QUADERN / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Calcolo dell’IRAP in base al bilancio, “dubbio” il terzo rinnovo dell’opzione Per l’IMU sui montani è “delirio”, per ora resta la scadenza del 26 gennaio / Luca FORNERO Come già ricordato su Eutekne.info (si vedano “Opzione IRAP secondo le «vecchie» regole per i neo-costituiti a fine 2014” del 6 gennaio e “Opzione IRAP in base al bilancio dubbia per i soggetti costituiti nel 2015” dell’8 gennaio), a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (e, dunque, nel caso di specie, dal 2015), l’opzione per il calcolo della base imponibile IRAP in base al bilancio è comunicata con la dichiarazione IRAP presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitarla e non più, dunque, entro 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta per il quale la si esercita. È l’effetto della modifica apportata dall’art. 16 comma 4 del DLgs. 175/2014 (c.d. decreto semplificazioni) all’art. 5-bis comma 2 del DLgs. 446/97. Così, per il [...] A PAGINA 2 Ieri il TAR Lazio ha rinviato la tanto attesa decisione in materia, mentre il Governo sta ancora lavorando per individuare la soluzione più opportuna / Stefano SPINA Le speranze di molti contribuenti sulla possibilità di non pagare l’IMU sui terreni montani e dei loro consulenti, alle prese con in conteggi da effettuare in una manciata di giorni, potrebbero essersi infrante ieri pomeriggio, quando il TAR del Lazio, in Camera di consiglio, ha deciso di non prorogare la sospensione dell’efficacia del decreto 28 novembre 2014, ma di valutare direttamente nel merito i vari ricorsi di alcuni Comuni e ANCI regionali, una su tutte l’istanza presentata dalle ANCI di Umbria, Liguria, Veneto e Abruzzo. Riassumendo la vicenda, occorre partire dall’art. 4 comma 5-bis del DL n. 16/2012, modificato dal comma 2 dell’art. 22 del DL n. 66/2014 convertito, il quale ha previsto, a partire dall’anno 2014, una nuova elencazione dei terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina esenti dall’IMU, sostitutiva di quella allegata alla C.M. n. 9/1993. Il citato DM 28 novembre 2014, con il quale sono stati stabiliti i nuovi criteri, è stato da subito oggetto di critiche in ordine sia al contenuto A PAGINA 3 INEVIDENZA FISCO Ancora dubbi sullo split payment Residenza nei paradisi fiscali, rileva il centro degli interessi vitali Se l’amministratore di società fallita “spende troppo” è bancarotta fraudolenta Frazionamento delle plusvalenze anche senza l’apposito prospetto Nuovo OIC 16, valore del terreno da scorporare in ogni caso ALTRENOTIZIE che al ristretto termine per elaborate i nuovi conteggi. Con riferimento al secondo punto, con il DL n. 185/2014, che non sarà convertito perché, successivamente, i commi 692 e 693 della L. n. 190/2014 ne hanno recepito integralmente il contenuto dando l’efficacia di una legge approvata, è stato prorogato il termine di versamento al 26 gennaio 2015 prevedendo, in mancanza di un’aliquota specifica per i terreni agricoli, l’applicazione di quella di base del 7,6 per mille. Per ciò che concerne il contenuto del DM 28 novembre 2014, invece, con il decreto n. 16229/2014 la seconda sezione del TAR del Lazio ha accolto la domanda di sospensione dell’appena citato DM, fissando, per la trattazione collegiale, la Camera di consiglio a ieri, proprio a ridosso della data di scadenza del versamento dell’imposta. Come anticipato, ieri il TAR ha deciso di non prorogare la sospensione per i terreni montani calcolata sui nuovi criteri [...] Scadenze, il CNDCEC: “Alto il rischio ingorgo” / Savino GALLO Nonostante gli sbandierati intenti di semplificazione, il rischio che, nei prossimi mesi, contribuenti e professionisti si trovino a fare i conti con l’ennesimo “ingorgo fiscale” si fa sempre più concreto. L’allarme arriva dal Consiglio nazionale dei commercialisti che, in una nota stampa diffusa ieri, passa in rassegna le tante novità sopraggiunte nell’ultimo periodo e il conseguente “accavallarsi di scadenze”, che pongono i professionisti nell’impossibilità di svolgere al meglio la propria attività di [...] / A PAGINA 10 A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO Calcolo dell’IRAP in base al bilancio, “dubbio” il terzo rinnovo dell’opzione Il decreto semplificazioni non ha risolto la questione che quest’anno interessa le opzioni esercitate nel 2009 e tacitamente rinnovate nel 2012 / Luca FORNERO Come già ricordato su Eutekne.info (si vedano “Opzione IRAP secondo le «vecchie» regole per i neo-costituiti a fine 2014” del 6 gennaio e “Opzione IRAP in base al bilancio dubbia per i soggetti costituiti nel 2015” dell’8 gennaio), a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (e, dunque, nel caso di specie, dal 2015), l’opzione per il calcolo della base imponibile IRAP in base al bilancio è comunicata con la dichiarazione IRAP presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitarla e non più, dunque, entro 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta per il quale la si esercita. È l’effetto della modifica apportata dall’art. 16 comma 4 del DLgs. 175/2014 (c.d. decreto semplificazioni) all’art. 5-bis comma 2 del DLgs. 446/97. Così, per il triennio 2015-2017, l’opzione sarà comunicata con la dichiarazione IRAP 2015, da presentare entro il 30 settembre 2015. La facoltà di opzione è riservata alle società di persone commerciali (snc, sas e soggetti equiparati) e agli imprenditori individuali, in contabilità ordinaria (per obbligo o per opzione). L’opzione è invece preclusa per i soggetti in contabilità semplificata. A fronte della suddetta semplificazione, però, né il legislatore, né l’Amministrazione finanziaria (in via interpretativa) sono intervenuti per disciplinare il caso delle opzioni esercitate nel 2009 (riguardo al triennio 2009-2011), tacitamente rinnovate nel 2012 (riguardo al triennio 2012-2014) e che si intendono rinnovare anche per il triennio 2015-2017. Infatti, l’art. 5-bis comma 2 del DLgs. 446/97 stabilisce che, se si opta per la determinazione della base imponibile IRAP in base al bilancio, l’opzione è irrevocabile per tre periodi d’imposta. Al termine del triennio, essa si intende tacitamente rinnovata per un altro triennio, a meno che sia revocata. In caso di revoca, il valore della produzione netta va determinato secondo le regole dell’art. 5-bis comma 1 del DLgs. 446/97 per almeno un triennio, al termine del quale la revoca si intende tacitamente rinnovata per un altro triennio salvo opzione per la determinazione del valore della produzione in base al bilancio. In pratica, viene espressamente disciplinata soltanto l’ipotesi del primo (tacito) rinnovo, ma non di quelli successivi. Pertanto, riprendendo il nostro esempio, ci si chiede se un soggetto IRPEF che intenda continuare a calcolare l’IRAP secondo le disposizioni dettate dall’art. 5 del DLgs. 446/97 anche per il triennio 2015-2017 (terzo triennio di rinnovo / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 dell’opzione), in sede di dichiarazione IRAP 2015 non dovrà fare nulla oppure dovrà barrare la casella “opzione” all’interno del rigo IS35 (attualmente, i modelli sono ancora in bozza: il rigo destinato all’esercizio dell’opzione è quindi suscettibile di ulteriori modifiche). In attesa degli opportuni chiarimenti, a nostro avviso la questione può essere risolta osservando che, conformemente alla disciplina generale in materia di opzioni e revoche, ferma restando la validità del suo comportamento concludente, il contribuente è chiamato ad esprimere una determinata opzione soltanto se il regime scelto è diverso da quello “proprio” (in questo senso anche le istruzioni alla dichiarazione IVA 2015). Si consideri, ad esempio, il nuovo regime semplificato per autonomi (si veda “Al via il nuovo regime forfetario” del 20 dicembre 2014): i professionisti e gli imprenditori individuali già in attività al 31 dicembre 2014, che presentano i requisiti per il relativo accesso, vi ricadono naturalmente, senza che sia necessaria alcuna comunicazione. Gli stessi saranno invece tenuti a comunicare, nel quadro VO (da includere nel modello UNICO 2016, in ipotesi di esonero dall’obbligo di presentazione della dichiarazione IVA 2016), l’eventuale scelta, per il 2015, di un regime diverso da quello naturale (ferma restando la validità del comportamento concludente). Alla luce delle considerazioni sopra formulate, nel nostro caso si ritiene che, in assenza di una nuova opzione, per il triennio 2015-2017 la società di persone commerciale o l’imprenditore individuale torni ad applicare le regole proprie dei soggetti IRPEF, in quanto per essi, come ribadito dalla circ. Agenzia Entrate 28 ottobre 2008 n. 60, il regime “naturale” di calcolo del valore della produzione netta è quello previsto dall’art. 5-bis del DLgs. 446/97. Pertanto, laddove si intenda rinnovare per la terza volta di fila l’opzione per la determinazione dell’IRAP in base al bilancio, si ritiene di dover barrare, in sede di dichiarazione IRAP 2015, la suddetta casella “opzione” all’interno del rigo IS35. Essa si intenderà tacitamente rinnovata anche per il triennio 2018-2020 (salvo revoca espressa nella dichiarazione IRAP 2018), tornando, in tale ipotesi, applicabile il disposto di cui all’art. 5-bis comma 2 del DLgs. 446/97. Questo a condizione che, entro il termine per la presentazione della dichiarazione IRAP 2015 (fissato al 30 settembre 2015), l’Agenzia delle Entrate non fornisca indicazioni di segno contrario. / 02 ancora FISCO Per l’IMU sui montani è “delirio”, per ora resta la scadenza del 26 gennaio Ieri il TAR Lazio ha rinviato la tanto attesa decisione in materia, mentre il Governo sta ancora lavorando per individuare la soluzione più opportuna / Stefano SPINA Le speranze di molti contribuenti sulla possibilità di non pagare l’IMU sui terreni montani e dei loro consulenti, alle prese con in conteggi da effettuare in una manciata di giorni, potrebbero essersi infrante ieri pomeriggio, quando il TAR del Lazio, in Camera di consiglio, ha deciso di non prorogare la sospensione dell’efficacia del decreto 28 novembre 2014, ma di valutare direttamente nel merito i vari ricorsi di alcuni Comuni e ANCI regionali, una su tutte l’istanza presentata dalle ANCI di Umbria, Liguria, Veneto e Abruzzo. Riassumendo la vicenda, occorre partire dall’art. 4 comma 5bis del DL n. 16/2012, modificato dal comma 2 dell’art. 22 del DL n. 66/2014 convertito, il quale ha previsto, a partire dall’anno 2014, una nuova elencazione dei terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina esenti dall’IMU, sostitutiva di quella allegata alla C.M. n. 9/1993. Il citato DM 28 novembre 2014, con il quale sono stati stabiliti i nuovi criteri, è stato da subito oggetto di critiche in ordine sia al contenuto che al ristretto termine per elaborate i nuovi conteggi. Con riferimento al secondo punto, con il DL n. 185/2014, che non sarà convertito perché, successivamente, i commi 692 e 693 della L. n. 190/2014 ne hanno recepito integralmente il contenuto dando l’efficacia di una legge approvata, è stato prorogato il termine di versamento al 26 gennaio 2015 prevedendo, in mancanza di un’aliquota specifica per i terreni agricoli, l’applicazione di quella di base del 7,6 per mille. Per ciò che concerne il contenuto del DM 28 novembre 2014, invece, con il decreto n. 16229/2014 la seconda sezione del TAR del Lazio ha accolto la domanda di sospensione dell’appena citato DM, fissando, per la trattazione collegiale, la Camera di consiglio a ieri, proprio a ridosso della data di scadenza del versamento dell’imposta. / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 Come anticipato, ieri il TAR ha deciso di non prorogare la sospensione per i terreni montani calcolata sui nuovi criteri altimetrici, ma di valutare direttamente nel merito i vari ricorsi presentati in un’udienza che sarà fissata prossimamente e, presumibilmente, dopo la scadenza attuale per il versamento, che – lo si ricorda – dovrà avvenire utilizzando il codice tributo 3914, anche se, dato che la speranza resta quella di un rinvio, il consiglio per i clienti, ammesso che si riesca a fare per tempo i conteggi, è quello di attendere fino all’ultimo giorno a presentare il modello F24 in banca. Quindi, come detto, le ipotesi e speranze sul tavolo sono tante ma, purtroppo, a oggi, in mancanza di una norma di rinvio, rimarrebbe l’obbligo del pagamento fissato per lunedì prossimo. Al riguardo, sempre ieri, il Sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, nel corso di un’audizione in Commissione per il Federalismo fiscale, ha dichiarato che “il Governo, e in particolare la Presidenza del Consiglio, cui la questione è stata rimessa ai fini della ricerca di un accordo politico soddisfacente anche per gli altri attori istituzionali direttamente interessati, sta ancora lavorando all’individuazione della più opportuna soluzione dal punto di vista tecnico e politico di una vicenda divenuta oltremodo complessa tanto più a seguito delle decisioni della giustizia amministrativa”. Data la “non decisione” del TAR, potrebbero comunque verificarsi i consueti “colpi di coda” dell’ultima ora. Non è escluso, infatti, che, al termine del Consiglio dei Ministri convocato per oggi pomeriggio, il Governo dia qualche indicazione in più, anche solo prorogando ulteriormente la scadenza, considerando quanto trapelato sulle sue presunte intenzioni due giorni fa (si veda “Verso il ripristino dell’esenzione da IMU per i terreni agricoli montani” del 21 gennaio). / 03 ancora FISCO Scadenze, il CNDCEC: “Alto il rischio ingorgo” Tante novità, termini che si accavallano e software in ritardo: dai commercialisti un nuovo allarme adempimenti / Savino GALLO Nonostante gli sbandierati intenti di semplificazione, il rischio che, nei prossimi mesi, contribuenti e professionisti si trovino a fare i conti con l’ennesimo “ingorgo fiscale” si fa sempre più concreto. L’allarme arriva dal Consiglio nazionale dei commercialisti che, in una nota stampa diffusa ieri, passa in rassegna le tante novità sopraggiunte nell’ultimo periodo e il conseguente “accavallarsi di scadenze”, che pongono i professionisti nell’impossibilità di svolgere al meglio la propria attività di consulenza. “La nostra principale preoccupazione – spiega Luigi Mandolesi, Consigliere nazionale del CNDCEC con delega alla fiscalità – è la vicinanza dei termini per l’invio della comunicazione IVA (scadenza il 28 febbraio, ndr) e della certificazione unica (7 marzo, ndr). In sede di audizione parlamentare, chiedemmo di prorogare la scadenza per quest’ultimo adempimento al 31 marzo, ma le Entrate spiegarono che a loro sarebbe servito più tempo per predisporre i 730 precompilati nel rispetto dei termini di legge. In realtà, non tutti i dati contenuti nella Certificazione Unica sono funzionali al 730 precompilato. Quindi, quel termine si sarebbe potuto spostare, o quantomeno si poteva fare in modo di non complicarsi ulteriormente la vita con questa certificazione unica così ampia. Invece, siamo alle solite: i nuovi adempimenti si accavallano e i software per potervi fare fronte sono sempre in ritardo”. Il nuovo modello di certificazione unica “CU 2015”, denunciano i commercialisti, prevede un totale di 297 campi da compilare: “L’entrata in vigore del nuovo modello, la cui versione definitiva è stata pubblicata il 15 gennaio scorso, rischia di generare tra gli intermediari notevoli problemi applicativi, visti i tempi strettissimi e le pesanti sanzioni previste in caso di errore (pari a cento euro per ogni certificazione)”. / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 Quanto al 730 precompilato, invece, quest’ultimo, spiega il Consiglio nazionale di categoria, “non sostituisce, ma affianca il precedente modello”, andando a “raddoppiare” le complessità gestionali. Che riguardano non solo la consegna della delega all’intermediario per l’accesso al proprio modello, ma anche il download della dichiarazione, l’acquisizione e il confronto dei dati presenti nel sistema con quelli proposti dalle Entrate. Anche perché, su tali punti, “dall’Agenzia non è arrivato ancora nessun chiarimento”. Ma le novità, non si fermano a Certificazione Unica e 730 precompilato. Anche il modello ISEE, infatti, si presenta “completamente rinnovato rispetto agli anni precedenti”. Il nuovo modello, infatti, prevede non solo “delle diverse modalità di compilazione” ma anche un ampliamento dei dati richiesti: “Ben 70 pagine di modello – ricordano i commercialisti –, suddiviso in sei tipologie, nel quale saranno contenute praticamente tutte le informazioni in merito alla situazione economico-finanziaria dei contribuenti”. In più, ci sarà da adeguarsi alla nuova tassonomia XBRL per la redazione di bilanci e Note integrative depositati nel Registro delle imprese dopo il prossimo 3 marzo: “Novità non di poco conto, soprattutto ove si consideri che, per rendere coerenti lo Stato patrimoniale e il Conto economico con la parte tabellare della Nota integrativa, sono state introdotte anche diverse modifiche nei prospetti contabili”. Come se non bastasse, si dovrà fare i conti con i nuovi adempimenti relativi a split payment, compensazioni di ritenute in F24, comunicazioni black list e dichiarazioni d’intento. Un “quadro preoccupante” che, ancora volta, spinge i commercialisti ad alzare la voce, anche solo per ottenere delle “condizioni minime per uno svolgimento ordinato della propria attività professionale”. / 04 ancora FISCO Ancora dubbi sullo split payment Preoccupazione sul piano della sua compatibilità con il diritto comunitario e incertezze sull’indicazione delle P.A. destinatarie della disposizione / Marco MARANI Su Eutekne.info, sono stati già analizzati alcuni dei dubbi che stanno accompagnando le aziende davanti alla novità legislativa dello split payment (si veda, da ultimo, “Professionisti esclusi da split payment” del 20 gennaio 2015), nonché accorati appelli (si veda “Fermate lo split payment!”) affinché il legislatore possa tornare sui propri passi. Sulla stessa falsariga si evidenziano sia una preoccupazione che un ulteriore punto grigio. La prima risiede nella reazione che potrebbe avere, rispetto all’introdotta novità, il Consiglio dell’Unione europea. Come si ricorderà, la versione originaria del disegno di legge di stabilità 2015 disponeva che l’efficacia della misura fosse subordinata al rilascio di apposita autorizzazione, da parte del Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 395 della direttiva 2006/112/CE. Un emendamento predisposto dal Governo ed introdotto nel corso della discussione al Senato ne ha anticipato l’efficacia, stabilendo la sua applicabilità per le operazioni per le quali l’IVA si è resa esigibile a partire dal 1º gennaio 2015, indipendentemente dall’avvenuto rilascio dell’autorizzazione comunitaria. La decisione governativa appare particolarmente coraggiosa, suscitando una forte preoccupazione sul piano della sua compatibilità con il diritto comunitario. Basti pensare che, a quanto consta, l’Italia pare essere il primo Paese dell’Unione a prevedere una misura del genere. Un sintomo in tal senso può esser visto nel fatto che il Governo si sia già blindato, qualora l’autorizzazione comunitaria non dovesse pervenire entro il 30 giugno 2015, nel coprire la perdita di gettito attesa con lo split payment attraverso l’ormai consueto aumento delle accise sui carburanti. Sulle aziende aleggia così uno spettro, vale a dire la possibilità che gli sforzi attualmente in atto con le software house per implementare i sistemi contabili/amministrativi (considerando anche le relative spese) risultino vani in caso di diniego a livello comunitario. L’ulteriore punto grigio, che avrebbe meritato un maggior sforzo legislativo, attiene all’indicazione di quali sono i soggetti della Pubblica Amministrazione destinatari della nuova disposizione. Il novellato art. 17-ter, comma 1 del DPR n. 633/1972 fa riferimento alle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti “dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’articolo 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza”. L’elenco riecheggia quanto già presente nella normativa IVA sull’esigibilità differita, risultando troppo indefinito e lasciando il campo a troppi dubbi interpretativi. Prima di tutto si tratta di stabilire se l’elencazione effettuata nel nuovo art. 17-ter sia tassativa o possa invece essere oggetto di un’interpretazione estensiva. In materia di esigibilità differita, la prassi amministrativa esistente (risoluzione n. 99 del 30 luglio 2004; risoluzione n. 271 del 28 settembre 2007) ha imposto un’interpretazione “stretta”, ritenendo l’elencazione contenuta nella norma come tassativa. In secondo luogo, non ci si è accorti che l’elenco contenuto nell’art. 6, comma 5 del DPR n. 633 e fatto proprio dal legislatore nello split payment non è stato mai aggiornato rispetto all’evoluzione della normativa sugli enti pubblici, cosicché non è agevole ricondurre alcune tipologie di enti pubblici attualmente esistenti nell’elencazione normativa (ad esempio aziende pubbliche di servizi alla persona e aziende speciali). Basti pensare che l’art. 6 è stato introdotto nel 1973 rimandando come soggetti di riferimento “allo Stato, agli enti pubblici territoriali e agli enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza”, per poi giungere alla sua attuale elencazione nel 1998, prima dell’entrata in vigore, tra i tanti, del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (DLgs. 18 agosto 2000 n. 267) che ha apportato alcune modificazioni alla divisione territoriale dello Stato. In materia di split payment sarebbe stato più opportuno riprodurre la formulazione legislativa utilizzata in occasione dell’introduzione della fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione, rimandando così l’individuazione delle amministrazioni pubbliche all’elenco annuale pubblicato dall’ISTAT. È pertanto quanto mai opportuno che un’indicazione delle amministrazioni destinatarie dello split payment sia contenuta nel relativo decreto di attuazione, in fase di perfezionamento come annunciato dal comunicato stampa del Ministero dell’Economia e delle finanze lo scorso 9 gennaio. / 05 ancora FISCO Residenza nei paradisi fiscali, rileva il centro degli interessi vitali Lo ribadisce la Cassazione, valutando gli elementi di prova del trasferimento del contribuente / Gianpaolo VALENTE La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 961 depositata ieri, ha messo la parola “fine” al trasferimento di residenza a Montecarlo di un noto motociclista confermando la sentenza della Commissione tributaria regionale di Bologna n. 12 del 15 febbraio 2012 e il conseguente recupero a tassazione operato dall’Agenzia delle Entrate per l’anno 2003 ai fini delle imposte dirette e IVA, eccezion fatta per un motivo di ricorso relativo all’applicazione dell’IRAP. La sentenza in commento si inserisce nel solco dei precedenti interventi della giurisprudenza di legittimità e di merito in materia di prova nei casi di trasferimento della residenza in un paradiso fiscale. L’art. 2 comma 2-bis del TUIR pone, infatti, a carico della persona fisica che si è trasferita l’onere di dimostrare l’effettività della propria residenza estera, fornendo la prova di non avere in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, né la residenza (dimora abituale), né il domicilio (centro dei propri interessi vitali). Nel caso di specie, i giudici d’appello avevano rilevato la permanenza in Italia del centro di affari, interessi e legami personali richiesti dall’art. 43 del codice civile ai fini della definizione della residenza fiscale, avendo il pilota – anagraficamente residente nel Principato di Monaco – mantenuto in Italia continui contatti con familiari, tifosi e media e dovendosi ricondurre alla volontà dello stesso di conservare il domicilio in Italia anche “l’intrecciarsi di rapporti economici e familiari attorno a lui e alle società estere”. Un primo motivo di ricorso ritenuto non fondato dalla Cassazione ha riguardato l’intervenuto giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 95/15/11 della stessa Commissione tributaria regionale pronunciatasi a favore del contribuente riguardo ad analogo avviso di accertamento per il precedente anno d’imposta 2002. Sul punto, la Cassazione ha, infatti, osservato che la residenza o il domicilio del contribuente, quali situazioni di fatto rilevanti ai fini fiscali, “sono di per sé stessi potenzialmente mutevoli nei vari anni d’imposta e richiedono volta per volta un autonomo accertamento per ciascuna annualità anche se, nell’accertamento giudiziale, possono essere coinvolti tratti storici comuni”. Un secondo motivo di ricorso ha riguardato il mancato contraddittorio preventivo tra Fisco e contribuente prima dell’emissione dell’atto impositivo. Anche tale motivo è stato ritenuto non fondato dai giudici di legittimità in considerazione del fatto che l’art. 2 comma 2-bis del TUIR – nel codificare l’inversione dell’onere della prova – non ha previ- / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 sto alcuna forma di contraddittorio anticipato e che l’art. 10 comma 1 dello Statuto del contribuente in tema di tutela dell’affidamento e della buona fede (invocato nel ricorso) non regola alcuna forma di contraddittorio tra Fisco e contribuente. Con riguardo poi all’ambito di applicazione della presunzione di residenza, norma introdotta a decorrere dal 1° gennaio 1999, la Cassazione ha osservato che non rileva l’epoca iniziale di cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e di emigrazione all’estero (nella specie il 1994), ma la “ricorrenza, anno per anno, dei requisiti per essere considerato residente all’estero ovvero residente o domiciliato in Italia secondo i parametri vigenti in ciascun anno”. E relativamente agli elementi di prova che, in concreto, il contribuente può utilizzare per dimostrare l’effettivo trasferimento della residenza all’estero, la sentenza in commento si è soffermata sulla nozione di domicilio accolta dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, da intendersi quale luogo in cui la persona ha la sede dei propri affari e interessi, dovendosi ricomprendere nel concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, anche gli interessi personali. Come osserva la Cassazione, ciò che conta non è la presenza continuativa in un luogo, quanto la volontà di rimanervi e di ritornarvi appena possibile e di mantenervi le proprie relazioni familiari e sociali. Per l’IRAP da provare che l’attività si svolge con organizzazione propria Da ultimo, come accennato in premessa, è stato accolto un unico motivo di ricorso relativo all’applicazione dell’IRAP. Sul punto, la Cassazione ha ritenuto che l’esistenza di un’autonoma organizzazione non possa essere desunta dal solo fatto che l’esercente un’attività artistica o uno sportivo disponga di un agente e stipuli contratti con società estere per la cura dell’immagine e dell’attività agonistica e, per il loro tramite, stipuli contratti con sponsor e scuderie. Occorre, infatti, dimostrare che il soggetto svolge la propria attività attraverso forme di organizzazione propria, estendendo l’accertamento alla natura, vale a dire alla struttura e alla funzione, dei rapporti giuridici in essere. / 06 ancora IMPRESA Se l’amministratore di società fallita “spende troppo” è bancarotta fraudolenta Per la Cassazione, la fattispecie di bancarotta semplice per spese personali eccessive non è applicabile agli amministratori di società di capitali / Maria Francesca ARTUSI Con la sentenza n. 2799 depositata ieri, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di un amministratore unico di una società a responsabilità limitata, in concorso con l’amministratore di fatto della stessa, condannato per bancarotta fraudolenta. La società dichiarata fallita si occupava, infatti, di attività di gestione di agenzie di viaggio e la condotta distrattiva veniva identificata nell’acquisto, da parte dei due imputati, di numerosi viaggi vacanza per sé e per propri familiari e collaboratori, in parte estinti mediante compensazione con crediti sociali. Viene altresì contestata la bancarotta documentale, dal momento che l’amministratore unico teneva le scritture contabili in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione, data la totale mancanza dei libri sociali e l’assenza in contabilità della traccia dei movimenti finanziari e delle compensazioni tra crediti e debiti, oltre che il reato di cui agli artt. 224 n. 2 e 217 n. 4 L. fall. per aver concorso ad aggravare il dissesto della società astenendosi dal richiedere tempestivamente la dichiarazione di fallimento. Due sono i punti controversi che la Cassazione, nella sentenza in commento, si trova ad affrontare. Il primo riguarda la nozione di “spese personali eccessive” richiamata dall’art. 217 L. fall., che sanziona la c.d. bancarotta semplice: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente: 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica (omissis)”. Innanzitutto, va detto che si devono considerare “eccessive” tutte quelle spese personali o per la famiglia che, pur essendo di per sé razionali e in certo modo connesse alla vita dell’azienda, risultano sproporzionate rispetto alla capacità economica dell’imprenditore. Considerata la natura di tali spese, derivante dalla stretta connessione tra attività d’impresa e profitto usufruibile per gli scopi personali di chi la esercita, si ritiene che la norma citata sia tipicamente riferibile all’imprenditore individuale e non anche all’amministratore societario. Questi, se- / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 condo la Cassazione (Cass. n. 44248/2013), non può mai essere ritenuto legittimato ad effettuare spese strettamente personali, anche se non eccessive, mentre può essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti ovvero di alcune altre ipotesi di cui al citato art. 217. Secondo questo orientamento, in particolare, l’art. 224 – che estende la disciplina della bancarotta all’amministratore di una società dichiarata fallita – si può riferire unicamente alle condotte previste ai numeri 4 e 5 della disposizione sulla bancarotta semplice, ovvero alle condotte di chi ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa, e a quelle di chi non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. Da ciò deriva la conferma, da parte della Cassazione, della condanna per bancarotta fraudolenta dell’imputato ricorrente, non potendosi considerare “personali”, nel senso sopra descritto, le spese effettuate dall’amministratore avvalendosi del patrimonio sociale. Il secondo punto su cui si pronuncia la sentenza riguarda la responsabilità in relazione all’inattendibilità assoluta della contabilità della società. Esistevano, infatti, il libro giornale e i registri IVA, ma non era stata effettuata nessuna registrazione, in particolare riguardo i consistenti pagamenti effettuati per i predetti viaggi dell’amministratore e dei suoi familiari e collaboratori. Il problema riguarda, qui, il rapporto tra amministratore di diritto e amministratore di fatto e la Cassazione ribadisce il principio per cui l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta “testa di legno”). In capo all’amministratore formalmente nominato sussiste il diretto e personale obbligo di tenere e conservare le scritture obbligatorie, così come quello più generale dell’adempimento e del controllo su tutti gli obblighi di legge che fanno capo alla società (in tema di corretto adempimento degli obblighi tributari si vede enunciato lo stesso principio in Cass. n. 1975 del 16 gennaio 2015). / 07 ancora FISCO Frazionamento delle plusvalenze anche senza l’apposito prospetto Secondo la Cassazione, dovrebbe essere sufficiente che tale frazionamento si possa evincere dalla dichiarazione dei redditi / Salvatore SANNA Ai fini della determinazione del reddito di impresa, nell’ambito delle cessioni a titolo oneroso e delle relative fattispecie assimilate, è possibile frazionare le plusvalenze realizzate in un massimo di cinque esercizi, nei casi in cui i beni (materiali o immateriali) siano posseduti da almeno tre anni. La norma, inoltre, prevede esplicitamente che la scelta del frazionamento delle plusvalenze venga effettuata nella dichiarazione dei redditi. Nel caso in cui la dichiarazione non sia presentata, la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata. In sostanza, a determinate condizioni, possono essere oggetto di frazionamento le plusvalenze sulla cessione di beni d’impresa che si calcolano come differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato. La scelta di frazionare le plusvalenze presenta alcuni vincoli: - le quote devono essere costanti (se, ad esempio, è stata scelta la ripartizione in cinque esercizi, a ciascuno di essi deve essere imputato il 20% del reddito); - la scelta per la rateazione è irrevocabile, nel senso che, una volta effettuata, vincola il contribuente. La sentenza della Cassazione n. 991 depositata ieri, 21 gennaio 2015, è intervenuta su quanto previsto dall’art. 86 comma 4 del TUIR, per il quale la scelta del frazionamento delle plusvalenze deve essere effettuato nella dichiarazione dei redditi. In primo luogo, si segnala che tale obbligo è stato oggetto di diversi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate. Nella circolare n. 8/2010 (§ 1) e nella risoluzione n. 325/2002, è stato affermato che laddove un contribuente scelga di far concorrere integralmente la plusvalenza patrimoniale al reddito dell’esercizio di competenza e, conseguentemente, paga l’imposta ad essa relativa, non ha la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa per scegliere in un momento successivo la rateizzazione dell’imposta. In tale evenienza si realizzerebbe, infatti, un mero ripensamento di una scelta (tassazione in un’unica soluzione) rivelatasi poi meno favorevole, e non si ravvisano, quindi, gli estremi dell’errore rilevante ed essenziale utili per applicare l’istituto disciplinato dall’art. 2 comma 8-bis del DPR 322/98. In sostanza, ad avviso dell’Agenzia, quella in esame rappresenta un’opzione irrevocabile che non può essere / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 “ritrattata” dall’imprenditore. Secondo quanto indicato dalle istruzioni al modello UNICO (confermata anche dalle bozze 2015), la scelta per la rateazione e per il numero di quote costanti va effettuata nella dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui le plusvalenze sono state realizzate, compilando il prospetto delle “Plusvalenze e delle sopravvenienze attive” contenuto nel quadro RS. Tuttavia, la sentenza in argomento sembra dare rilevanza al fatto che effettivamente la rateizzazione di cui si parla si possa desumere dal modello UNICO, anche se non è stata esercitata un’opzione esplicita all’interno del medesimo usando gli appositi prospetti. Rileva il calcolo del reddito imponibile Il caso trattato riguarda una società fallita, la quale ha liquidato le imposte applicando il frazionamento di una plusvalenza senza esercitare alcuna opzione esplicita nella dichiarazione dei redditi. La Cassazione osserva che, ai sensi dell’art. 1 comma 1 del DPR 442/97, l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si può desumere da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. I giudici rilevano che nel caso di specie la plusvalenza è stata spalmata in bilancio secondo la norma fiscale e che gli effetti di tale procedura contabile di rateizzazione sono confluiti all’interno della dichiarazione dei redditi, pur in mancanza della formale opzione per la rateizzazione. Si sostiene che il bilancio rappresenti un documento che bisogna conservare anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e che in conformità ad esso deve essere compilata la dichiarazione, in modo da far risultare, attraverso l’esposizione delle variazioni in aumento ed in diminuzione, l’ammontare del reddito imponibile. Per questo motivo, la Corte ha concluso che l’esercizio dell’opzione nella dichiarazione dei redditi non rappresenta un elemento indispensabile per beneficiare del frazionamento della plusvalenza, purché, naturalmente, gli effetti della rateizzazione confluiscano nei valori indicati nella dichiarazione dei redditi. / 08 ancora OPINIONI Nuovo OIC 16, valore del terreno da scorporare in ogni caso Prima le società potevano non scorporarlo dal fabbricato se il valore dello stesso tendeva a coincidere con il valore del fondo di ripristino / Raffaele MARCELLO Pubblichiamo l’intervento di Raffaele Marcello, Consigliere nazionale commercialisti con delega ai Principi contabili e componente del Consiglio di gestione dell’OIC. L’Organismo italiano di contabilità (OIC) ha rivisto, nel corso del 2014, la gran parte dei principi contabili nazionali precedentemente emanati. Il progetto, iniziato nel 2010, è finalizzato a uniformare e coordinare in modo organico i principi contabili nazionali. In questo contesto, è stata pubblicata anche la nuova versione dell’OIC 16, dedicato alle immobilizzazioni materiali. Una delle modifiche apportate a tale principio consiste nella revisione parziale della sezione dedicata alla separazione tra valore del terreno e valore del fabbricato. Si ricorda che tale problematica richiede inevitabilmente una lettura coordinata con quanto previsto, dal punto di vista fiscale, dal DL 223/2006 conv. L. 248/2006, emesso, peraltro, successivamente alla pubblicazione della precedente versione dell’OIC 16 (2005). Giova ai nostri fini tenere presente che le precedenti versioni del principio contabile nazionale n. 16 già prevedevano, in linea generale, di scorporare il valore del terreno dal valore “complessivo” del fabbricato. Le imprese che, quindi, volevano predisporre i propri bilanci in conformità con i principi dell’OIC dovevano già effettuare lo scorporo in base alle precedenti disposizioni. Tuttavia, le versioni previgenti concedevano alle società la facoltà di non scorporare il valore del terreno dal fabbricato nel caso in cui il valore dello stesso “tendesse” a coincidere con il valore dell’eventuale fondo di ripristino alla data di chiusura (che non era, quindi, rilevato in bilancio). In sostanza, la versione precedente del principio assumeva che il costo di bonifica, azzerando il valore del terreno, attribuisse il valore complessivo al fabbricato. La nuova versione, in linea anche con il divieto di compensazione, richiede di scorporare in ogni caso il valore del terreno e, contestualmente, di appostare il pertinente fondo ripristino. È opportuno evidenziare che la fattispecie delineata precedentemente dall’OIC 16 era sostanzialmente residuale e, co- / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 me ribadito, riconducibile alla sola circostanza in cui l’impresa avesse dovuto accantonare, in linea con l’allora OIC 19, un fondo ripristino ad hoc. Ciò detto, l’impresa che si trovava nella casistica delineata, anche non avendo scorporato il valore del terreno dal valore complessivo, avrebbe dovuto effettuare egualmente lo scorporo ai fini fiscali, ai sensi del DL 223/2006, creando un disallineamento tra valori contabili e fiscali, con l’inevitabile conseguenza di dare luogo alla gestione della relativa fiscalità differita. Si ricorda, inoltre, che i terreni, la cui utilità non si esaurisce nel corso del tempo, non sono soggetti ad ammortamento. È vero, poi, anche che i terreni soggetti a deperimento (per es., cave, siti utilizzati per le discariche ed anche autostrade, terreni adibiti a sedime ferroviario, etc.) sono ammortizzabili sia ai fini civilistici, sia, in base ai coefficienti ministeriali, ai fini fiscali. Il fatto che nel principio sia stata eliminata la frase per cui “i terreni possono essere esposti insieme ai fabbricati con la dizione terreni e fabbricati” – che pur attiene alla esposizione e non agli elementi valutativi – niente cambia rispetto al passato, poiché i terreni, salvo che sia opportuno esporre separatamente i valori per fornire una migliore lettura dei dati in conformità anche con il principio della significatività, risultano iscritti unitamente ai fabbricati alla voce “B.II.1Terreni e fabbricati” dell’attivo patrimoniale. Lo scorporo previsto dai principi contabili nazionali potrebbe, poi, non coincidere con quello del DL 223/2006. Il valore del terreno, se non esiste un costo specifico di antecedente acquisto autonomo, è determinato per la redazione del bilancio civilistico sulla base di stime, mentre lo scorporo ai fini fiscali avviene sulla base di percentuali forfetarie, ossia – come noto – 30% dei costi complessivi per i fabbricati industriali e 20% per gli altri fabbricati. La validità di tale stime anche ai fini civilistici è quindi da considerarsi caso per caso. Nell’ipotesi in cui il valore contabile del terreno sia, infine, inferiore a quello fiscale, si genera fiscalità differita. / 09 ancora FISCO Imposta di bollo “a doppio binario” dal 1° gennaio 2014 Nello Studio n. 854-2014/T, il Notariato esamina la disciplina dell’imposta di bollo, nella sua applicazione all’attività notarile / Anita MAURO Con la riforma della fiscalità indiretta dei trasferimenti immobiliari, recata dall’art. 10 del DLgs. 23/2011, entrata in vigore il 1° gennaio 2014, anche l’imposta di bollo ha subito rilevanti modifiche. In particolare, a seguito delle novità (illustrate nell’apposita scheda 4/2014), le regole sull’applicazione dell’imposta di bollo: - rimangono immutate per tutti gli atti diversi da quelli assoggettati ad imposta di registro proporzionale ai sensi dell’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86; - vengono meno, a causa dell’esenzione dall’imposta di bollo prevista dal comma 3 dell’art. 10 citato, per tutti gli atti disciplinati dal nuovo art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86. Questa è una delle indicazioni desumibili dallo Studio n. 854-2014/T, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato nella seduta del 9 gennaio 2015. Lo studio, corposo e approfondito, intitolato “Attività notarile ed imposta di bollo”, esamina la disciplina dell’imposta di bollo con particolare riferimento agli atti di interesse notarile. Nella prima parte del documento, viene descritta la disciplina generale dell’imposta, per poi passare all’esame delle singole voci di tariffa e dei singoli atti (notarili) assoggettati ad imposizione. Limitando il nostro esame, in sede di primissimo commento allo Studio, alla prima parte del documento, rileviamo che, in primo luogo, il Notariato fornisce alcuni dati sul gettito scaturente da tale imposta, pari a 7.695 milioni di euro nel 2013, a fronte di un gettito derivante dall’imposta di registro pari a 3.883 milioni di euro. Per quanto concerne l’oggetto dell’imposta – rilevano gli estensori dello Studio – nonostante le novità introdotte con la “forfetizzazione” del tributo e con la dematerializzazione dei documenti veicolanti atti e negozi giuridici, l’imposta di bollo resta legata alla “documentazione”, ovvero all’opera in cui materialmente si estrinseca l’attività negoziale. L’imposta di bollo, dunque, colpisce il documento (“contenitore”) a prescindere dalla specie cartacea o digitale cui sia riconducibile, seppur in stretta correlazione con il “contenuto” di esso (atto documentato). Tali principi, tuttavia, si trovano “incrinati” con l’avvento della “digitalizzazione”, che eliminando il supporto “fisico” / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 del documento, rende più difficile parametrare l’imposta (come avviene, ad esempio, in relazione alle riproduzioni dell’originale o alle copie autentiche). Per quanto concerne le modalità di pagamento, lo Studio ricorda che, a norma dell’art. 3 del DPR 642/72, l’imposta di bollo si corrisponde: - mediante pagamento dell’imposta all’intermediario convenzionato che rilascia l’apposito contrassegno telematico (attesa l’abolizione sia della carta bollata che delle “marche da bollo”); - “in modo virtuale”, mediante pagamento dell’imposta all’Agenzia delle Entrate o ad altri uffici autorizzati o mediante versamento in conto corrente postale. In tale seconda modalità di pagamento rientra – spiega lo Studio – anche l’imposta di bollo “forfetizzata”, corrisposta mediante Modello Unico Informatico (MUI). Passando all’esame dei criteri di applicazione dell’imposta, il Notariato rileva come essa segua due fondamentali criteri: - l’applicazione dell’imposta “fin dall’origine” (che avviene al momento della “confezione” del documento o al momento della bollatura del registro); - la soggezione ad imposizione “in caso d’uso” (ormai limitato al solo caso di presentazione dell’atto all’Agenzia delle Entrate per la registrazione). Per quanto concerne i documenti informatici aventi rilevanza tributaria – precisa, poi, lo Studio – il DM 17 giugno 2014 ha ridefinito le modalità di assolvimento degli obblighi fiscali ad essi relativi, disponendo che l’imposta di bollo debba essere corrisposta mediante F24, esclusivamente per via telematica, per tutti i titoli emessi ed utilizzati durante l’anno, entro 120 giorni dalla chiusura del’esercizio, senza necessità di comunicazioni preventive e consuntive. Ancora, in relazione all’applicazione dell’imposta di bollo agli allegati (da registrare in caso d’uso) ad atti da registrare mediante MUI, lo Studio ricorda come, nella ris. 194/2008, l’Agenzia abbia disposto che il bollo forfetario applicato con il MUI assorba anche il bollo da corrispondere sugli allegati non soggetti all’imposta fin dall’origine. Invece, ove gli atti allegati siano autonomamente soggetti all’imposta di bollo fin dall’origine (come, ad esempio, una procura speciale per il compimento dell’atto assoggettato al bollo forfetario), essi scontano l’imposta “secondo la loro natura”. / 10 ancora FISCO Mancato “ribaltamento” dei costi di gestione dei consorzi alle Sezioni Unite Si chiede di stabilire definitivamente se il rapporto tra consorzio e consociate si configuri o meno alla stregua di un mandato senza rappresentanza / Alessandro BORGOGLIO Con l’ordinanza interlocutoria n. 951 di ieri, la Cassazione ha rimesso al Primo Presidente gli atti di causa, affinché venga devoluta alle Sezioni Unite la questione del mancato ribaltamento sulle imprese consorziate dei costi generali sostenuti dal consorzio di cui fanno parte. La pronuncia si origina dal caso di una srl, che aveva ricevuto un avviso di accertamento IVA per omessa fatturazione di operazioni imponibili, o meglio sottofatturazione delle stesse. Ciò, in quanto, a fronte delle commesse aggiudicate dal consorzio per un prezzo convenuto con il terzo committente, la società consorziata aveva fatturato al consorzio le prestazioni ad essa affidate per un prezzo inferiore rispetto a quello stipulato con il terzo dal consorzio medesimo, tenendo ovviamente conto della ripartizione pro quota dei lavori eseguiti fra le varie consorziate intervenute. La srl aveva motivato che la differenza di prezzo in oggetto era dovuta allo scomputo dal prezzo intero della quota parte di competenza dei costi di gestione che il consorzio aveva sostenuto per l’attività di coordinamento, direzione lavori ed altro, costi che altrimenti avrebbero dovuto essere deliberati dal consorzio a carico delle consorziate, con i relativi addebiti. Secondo il Fisco, invece, in tal modo, la società aveva omesso di fatturare una parte dei corrispettivi afferenti alle prestazioni effettivamente rese al consorzio. Di qui, l’accertamento della maggiore IVA dovuta. La sezione giudicante ha osservato che, invero, nella giurisprudenza della stessa Suprema Corte sono presenti due orientamenti contrastanti in relazione alla fattispecie in oggetto. Il primo di essi (favorevole nel caso di specie all’Amministrazione finanziaria) s’impernia sullo scopo mutualistico ex artt. 2602 e 2614 c.c. della società consortile e, valorizzandolo, perviene alla conclusione che il consorzio non può trarre per sé alcun vantaggio, né svantaggio, dall’attività posta in essere, poiché gli uni e gli altri appartengono unicamente sempre e solo alle imprese consorziate (cfr. Cass. 13293/2011). In base a tale posizione, quindi, sarebbe illegittima la compensazione tra una parte dei ricavi del consorzio, che dovrebbero invece essere trasferiti integralmente alle consorziate, ed il rimborso delle spese da esso sostenute (cfr. Cass. 20778/2013), come avvenuto appunto nel caso di specie. Peraltro, secondo tale orientamento, la differenza tra prezzo erogato dalla società al consorzio e quello più alto corrisposto dal terzo committente non può essere giustificata in base alla provvigione richiesta dal consorzio-mandatario senza / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 rappresentanza alle consociate, in quanto se da un lato non può escludersi che il mandato, in assenza di finalità lucrativa, ben potrebbe essere svolto gratuitamente dal consorzio, dall’altro la richiesta di provvigione deve necessariamente trovare corrispondente riscontro probatorio nelle scritture contabili del consorzio e delle associate, ed essere evidenziato nella determinazione della base imponibile indicata nelle fatture emesse dalle consorziate, considerando che l’art. 13, comma 2, lettera b) del DPR 633/1972 esclude dalla base imponibile la provvigione dovuta dal mandante al mandatario senza rappresentanza. Il secondo indirizzo giurisprudenziale, invece, poggia le sue basi sull’autonoma soggettività giuridica e fiscale del consorzio rispetto alle consorziate ex art. 73, comma 2 del TUIR, da cui deriva che il consorzio può legittimamente svolgere una propria attività commerciale, atteso che la finalità mutualistica non contraddice lo scopo di lucro, inteso in senso oggettivo come esigenza di economicità della gestione dell’attività svolta dalla società consortile (cfr. Cass. 6835/2014). Conseguentemente, non è affatto obbligatorio che i costi di gestione del consorzio debbano necessariamente essere riversati sulle consorziate, atteso che il consorzio, esercitando autonomamente la propria attività, può conseguire autonomi ricavi necessari a compensare i predetti costi di gestione. In questa prospettiva, quindi, la differenza tra il prezzo corrisposto dal terzo committente al consorzio e quello inferiore corrisposto da quest’ultimo alle consorziate non assume la natura di provvigione per l’esecuzione del mandato senza rappresentanza conferito dalle consorziate. In conclusione, pertanto, con l’ordinanza di ieri, è stato chiesto alle Sezioni Unite di pronunciarsi in merito alla questione, stabilendo definitivamente se il rapporto tra consorzio e consociate si configuri alla stregua di un mandato senza rappresentanza, cosicché debba sussistere un’equivalenza tra prestazioni rese dalle consorziate al consorzio e quelle da quest’ultimo al terzo-committente (ovvero un’uguaglianza dei prezzi praticati tra la consorziata verso il consorzio e quest’ultimo verso il terzo committente), considerando, tuttavia, che la base imponibile IVA può divergere in relazione alla provvigione del mandatario; oppure, se tale rapporto consorzio-consociate debba configurarsi alla stregua di uno schema diverso da quello del mandato, trovando fondamento nei rapporti interni e giustificando così la differenza tra gli importi fatturati dalle consorziate al consorzio e da quest’ultimo al terzo committente. / 11 ancora FISCO “Nuova” rappresentanza nella procedura di domiciliazione dal 2 febbraio Con una circolare, l’Agenzia delle Dogane modifica le regole valide finora per l’istituto / Vincenzo CRISTIANO Con la circolare 19 gennaio n. 1, pubblicata ieri, l’Agenzia delle Dogane, a seguito di quanto disposto dalla Commissione europea, investita di un reclamo formulato da un’associazione professionale, riesamina la prassi finora adottata circa l’istituto della rappresentanza nell’ambito della procedura di domiciliazione. In particolare, l’Agenzia fornisce nuove istruzioni che superano integralmente quelle contenute nella circolare n. 27/D/2005 e modificano la circolare 9/D/2011, § 2.1., per la parte relativa alle modalità di rappresentanza, lasciando invariate le altre istruzioni in essa contenute. Si ricorda che la previgente prassi prevedeva che le imprese industriali, commerciali e agricole avrebbero potuto avvalersi della procedura di domiciliazione, agendo in nome e per proprio conto, ovvero usufruire della rappresentanza diretta, per il tramite di uno spedizioniere doganale per la presentazione della dichiarazione. Diversamente, gli altri operatori economici (es. le imprese di spedizione internazionali, i titolari di magazzini generali, i CAD, gli spedizionieri doganali) avrebbero potuto agire solo con la modalità della rappresentanza indiretta. Proprio per tale lacuna, come anticipato la Commissione europea è stata investita di un reclamo formulato da un’associazione professionale di categoria, che “ha lamentato il rifiuto dell’Amministrazione doganale italiana di autorizzare la procedura di domiciliazione con la modalità della rappresentanza diretta”. In via preliminare, l’Agenzia richiama l’art. 5 del Codice doganale comunitario Reg. (CEE) 2913/93, che riconosce la possibilità a chiunque di farsi rappresentare presso l’autorità doganale per l’espletamento di atti e formalità previsti dalla normativa. In base a tale norma, la rappresentanza indiretta presuppone l’esistenza di un contratto di mandato, c.d. “mandato senza rappresentanza”, in virtù del quale il mandatario può agire in nome proprio e per conto del mandante. Con la rappresentanza diretta, invece, unico responsabile dell’obbligazione doganale è il rappresentato, cioè l’importatore o l’esportatore, in conformità al combinato disposto degli artt. 4, p. 18 e 201, par. 3 del CDC, che individua il debitore dell’imposta nella persona del dichiarante e viene esercitata “… attraverso la procura, atto giuridico unilaterale con il quale un soggetto conferisce ad un altro il potere di rappresentarlo, manifestando a suo nome e per suo conto la propria volontà di fronte a terzi”. Al riguardo, la disciplina con- / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 22 GENNAIO 2015 tenuta nel richiamato art. 5 del CDC è stata interpretata dalla Commissione europea nel richiamato Eu pilot nel senso che, da tale norma, “si evince che si può limitare la rappresentanza di qualsiasi altro agente, ma non quella degli spedizionieri doganali. La rappresentanza da parte di uno spedizioniere doganale deve sempre essere consentita, che sia diretta o indiretta”. Tanto premesso, la Commissione Ue, nell’esprimersi con riguardo al citato Eu pilot, ha richiamato l’art 253, par. 4 del Reg. n. 2454/1993 delle Disposizioni di applicazione del codice doganale (di seguito DAC), applicativo dell’art. 76, par. 1 lett. c) del CDC, ove prevede che: “Qualsiasi persona può chiedere che le sia rilasciata un’autorizzazione per la procedura di dichiarazione semplificata o di domiciliazione da utilizzare per proprio conto o in qualità di rappresentante, purché esistano scritture e procedure adeguate che consentano all’autorità doganale di rilascio di identificare le persone rappresentate e di effettuare i controlli doganali appropriati”. Pertanto, ai sensi di quanto disposto dalle citate norme, il titolare di procedura di domiciliazione, potrà agire: in suo nome e per proprio conto; come rappresentante diretto; come rappresentante indiretto. Importante è l’ipotesi dell’autorizzazione alla procedura di domiciliazione già rilasciata. Al riguardo, possono verificarsi le seguenti ipotesi: - l’operatore economico che intende chiedere l’integrazione dell’autorizzazione esistente avvalendosi anche della modalità della rappresentanza diretta dovrà presentare il modulo di cui all’allegato 67 del Reg. CEE 2454/1993/allegato B della determinazione direttoriale prot. n. 158326/RU del 14 dicembre 2010, indicando nella casella 1.d tale modalità di rappresentanza; - l’operatore economico che intende presentare una richiesta di modifica dell’autorizzazione avvalendosi della sola modalità della rappresentanza diretta dovrà presentare il modulo di cui all’allegato 67/allegato B appena citati, indicando nella casella 1.d tale modalità di rappresentanza. In caso di motivato diniego alla richiesta d’integrazione dell’autorizzazione con la modalità della rappresentanza diretta, il titolare della procedura domiciliata continuerà ad operare alle condizioni previste dalla vigente autorizzazione. Le disposizioni previste dalla circolare in commento si applicano a decorrere dal 2 febbraio 2015. / 12 ancora FISCO On line le guide per ristrutturazioni e riqualificazione energetica L’Agenzia delle Entrate ha aggiornato con le novità della legge di stabilità i vademecum sulle detrazioni legate agli immobili / Arianna ZENI L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato ieri, 21 gennaio 2015, sul proprio sito internet, nella sezione “L’Agenzia comunica”, le due Guide fiscali “Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali” e “Le agevolazioni fiscali per il risparmio energetico” aggiornate a gennaio 2015. I documenti tengono conto delle novità contenute nei commi 47, 48 e 657 dell’art. 1 della L. 23 dicembre 2014 n. 190 (legge di stabilità 2015), in relazione alle agevolazioni per gli immobili. In particolare, il suddetto provvedimento normativo ha stabilito la proroga: - dell’aliquota “potenziata” al 50% della detrazione IRPEF di cui all’art. 16-bis del TUIR per interventi di recupero del patrimonio edilizio residenziale; - della detrazione nella misura potenziata del 65% per gli interventi antisismici di cui all’art. 16-bis comma 1 lett. i) del TUIR; - della detrazione IRPEF del 50% per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici (con determinate caratteristiche) finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione (c.d. “bonus mobili” o “bonus arredamento”) introdotta dall’art. 16 comma 2 del DL n. 63/2013 (convertito nella L. n. 90/2013); - dell’aliquota “potenziata” del 65% della detrazione IRPEF/IRES per interventi di riqualificazione energetica degli edifici, di cui ai commi 344 - 347 dell’art. 1 della L. 296/2006. Quanto all’agevolazione prevista per gli interventi di riqualificazione energetica, la Guida dell’Agenzia ricorda che la L. 190/2014 ha esteso, per il solo anno 2015, la detrazione del 65% alle spese di acquisto e posa in opera degli impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, nel limite massimo di detrazione di 30.000 euro ed alle spese di acquisto e posa in opera delle schermature solari, nel limite massimo di detrazione di 60.000 euro. In relazione alle schermature solari non viene precisato nulla di più rispetto a quanto stabilito dalla L. 190/2014, ossia che si tratta di quelle indicate nell’allegato M del DLgs. n. 311/2006. In relazione alla ritenuta d’acconto introdotta dall’art. 25 del DL 31 maggio 2010 n. 78 sui pagamenti effettuati con bonifico in relazione ad oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d’imposta, inoltre, viene ricordato che il comma 657 della legge di stabilità 2015 ne ha aumentato la misura dal 4% all’8%. Tale ritenuta, si ricorda, si applica sui pagamenti effettuati con bonifico in “relazione ad oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d’imposta”. Nel dettaglio si applica ai bonifici disposti per il pagamento delle spese relative: - agli interventi di recupero del patrimonio edilizio; - all’acquisto di mobili ed elettrodomestici per i quali spetta la detrazione IRPEF del 50% di cui si è detto; - agli interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Per fruire della detrazione per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici, tuttavia, il pagamento può essere effettuato anche mediante carte di credito o carte di debito (es. bancomat). In questi casi, poiché l’obbligo di effettuare la ritenuta è conseguenza del bonifico bancario o postale, la ritenuta non si applica. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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