Audizione presso le Commissioni riunite II (Giustizia) e III (Affari esteri e comunitari) della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame del disegno di legge A.C. 1589 (6 febbraio 2014) Signori Presidenti, Onorevoli Colleghi, vi ringrazio dell’invito a partecipare all’audizione odierna nel corso dell’esame del disegno di legge d’iniziativa governativa che autorizza la ratifica della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori. Si tratta di una Convenzione molto importante, entrata in vigore dal 1 gennaio 2002 e finora ratificata da 36 Paesi. L’Italia, che pure ha firmato la Convenzione il 10 aprile 2003, è purtroppo in notevole ritardo nel processo di ratifica, risultando tra gli ultimi Paesi dell’Unione europea ad avviare tale processo. Il disegno di legge in esame attribuisce alla Commissione per le adozioni internazionali, da me presieduta in virtù della delega conferitami dal Presidente del Consiglio, taluni compiti che si aggiungono a quelli che la Commissione già svolge in materia di adozioni internazionali quale Autorità centrale ai sensi della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993. 1 Sin dal mio insediamento, ho manifestato attenzione e profondo interesse per l’attività che la Commissione per le adozioni internazionali svolge, trattandosi di attività particolarmente complessa e delicata che ha enormi riflessi sulle vite di bambini e adolescenti e di genitori che aspettano di divenire famiglia per gli stessi bambini e adolescenti. Spero di poter portare a tale attività il mio personale contributo. La Commissione costituisce uno degli strumenti introdotti dalla Convenzione stessa per garantire che “le adozioni internazionali si facciano nel superiore interesse del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti dal diritto internazionale.”. Si tratta di compiti complessi, anche perché coinvolgono non solo le omologhe Autorità centrali di altri Stati, ma amministrazioni ed enti, anche privati, che vi operano. Può accadere, inoltre, che sull’esito positivo o meno delle procedure di adozione, incidano anche i problemi dei rapporti tra gli Stati. Dal momento in cui ho assunto l’incarico di Presidente della Commissione, ho voluto avviare un proficuo confronto al riguardo, indicando quelle che mi sembravano le principali questioni da affrontare per favorire lo svolgimento dei compiti da parte della Commissione stessa. Al riguardo, è molto avvertita l’esigenza di una revisione del regolamento di organizzazione della Commissione per le adozioni internazionali che risale al 2007 e, in particolare, delle disposizioni che regolano lo svolgimento dei lavori dell’organismo, ai quali occorrerebbe conferire maggiori speditezza ed efficacia. 2 E’ mia intenzione promuovere una semplificazione e uno snellimento del procedimento di adozione, allineando i nostri tempi a quelli di Paesi più avanzati in tale campo (ad esempio, Stati Uniti e Francia). Occorrerebbe poi riconsiderare i costi, assicurando una maggiore omogeneità tra quelli praticati da parte dei singoli enti autorizzati o, eventualmente, favorendo la costituzione di enti pubblici che curino il procedimento di adozione. La Commissione dovrebbe, inoltre, intensificare i contatti con i singoli Paesi, al fine di offrire maggior sostegno alle famiglie italiane aspiranti all’adozione e allo scopo di seguire e, ove necessario, sostenere l’attività svolta all’estero dagli enti autorizzati. Con tali enti, a mio avviso, andrebbero rafforzati i rapporti. Molte sono le attività di rilievo che la Commissione ha svolto in questi anni. In particolare, ricordo con soddisfazione che la Commissione ha promosso e sostenuto, con contributi di carattere finanziario, la realizzazione di progetti di sussidiarietà, volti cioè alla prevenzione e al contrasto del fenomeno dell’abbandono dei minori nel Paese di origine, attraverso interventi che consentano la loro permanenza in famiglia e, più in generale, nella comunità di appartenenza. Ciò nel rispetto dell’obbligo, previsto per gli Stati che hanno ratificato la Convenzione dell’Aja, di inserire tra le priorità politiche “misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia di origine.”. Vengo ora ai nuovi compiti che il disegno di legge in discussione attribuisce alla Commissione per le adozioni internazionali. 3 Nella scorsa legislatura, presso la Commissione Affari esteri, era stato avviato l’iter per l’esame di quattro proposte di legge di iniziativa parlamentare, che prevedevano la ratifica della Convenzione del 1996, ma il relativo iter è stato interrotto per la fine della legislatura. Nell’attuale legislatura, il Governo ha ritenuto opportuno presentare un proprio disegno di legge per la ratifica della Convenzione, anche sotto la spinta della Commissione europea che ha più volte chiesto all’Italia (da ultimo nel luglio 2013) le ragioni del notevole ritardo nella ratifica, prospettando l’apertura di una procedura di infrazione (caso EU Pilot 3503/12/JUST). La Convenzione dell’Aja del 1996 costituisce uno strumento aggiornato per l’individuazione delle norme applicabili a tutte le questioni relative alla tutela dei minori che presentino elementi di contatto con più ordinamenti giuridici, al fine di evitare possibili conflitti tra gli stessi in materia di competenza, legge applicabile, riconoscimento ed esecuzione delle misure di protezione dei minori. Attualmente, in Italia le norme applicabili si trovano nella vigente Convenzione dell’Aja del 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva con legge n. 742 del 1980. La Convenzione del 1961 è richiamata dalla legge n. 218 del 1995 di disciplina del sistema italiano di diritto internazionale privato che ne ha fatto una norma di applicazione universale, dunque non limitata alle sole relazioni tra Stati ratificanti. 4 La Convenzione del 1961, tuttavia, è ormai uno strumento giuridico superato, anche perché gli Stati che a suo tempo la ratificarono hanno nel frattempo ratificato la Convenzione del 1996. Il disegno di legge governativo in corso di esame presso queste Commissioni è frutto dell’attività svolta sin dal 2008 a livello interministeriale da parte di un gruppo di lavoro composto da rappresentanti del Ministero della giustizia, del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell’interno, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro per le pari opportunità, del Ministro per le politiche europee, nonché della Commissione per le adozioni internazionali. Tale gruppo di lavoro ha tenuto numerose riunioni presso il Ministero della giustizia nel periodo dal novembre 2008 al febbraio 2011. Nel corso del 2011, si sono poi tenute altre riunioni presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri allo scopo di risolvere alcuni nodi critici emersi nell’ambito del gruppo di lavoro. I profili più problematici riguardavano il riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto della kafala o istituto analogo (previsto dall’articolo 3 della Convenzione). Il Ministero dell’interno aveva, in proposito, inizialmente espresso preoccupazioni circa le potenziali interferenze del riconoscimento della kafala con le politiche migratorie; superata tale eccezione, in linea generale, erano state segnalate le possibili incompatibilità con il nostro ordinamento costituzionale del requisito della fede islamica, previsto dalla normativa dei Paesi interessati come condizione per la realizzazione della kafala. In sostanza, si paventava che le coppie aspiranti ad accogliere un 5 bambino tramite kafala potessero essere eventualmente coartate nelle loro scelte religiose. La kafala (letteralmente: accoglimento) è un istituto giuridico del diritto islamico che costituisce una sorta di affidamento familiare ed è l’unica misura di protezione del minore in stato di abbandono negli ordinamenti islamici. Attraverso tale istituto, un giudice affida la protezione e la cura di un minore ad un altro soggetto (kafil) che non ne sia il proprio genitore naturale. Tale soggetto affidatario, nella maggior parte dei casi, è un parente che curerà la crescita e l’istruzione del minore. Non esiste, tra l’altro, negli Stati di diritto islamico uniformità di disciplina e ciò costituisce un ulteriore problema nel trovare soluzioni uniformi tra gli altri Stati. Tratti comuni tra le varie discipline sono l’esclusione del sorgere di qualsiasi rapporto di filiazione tra affidatario e minore e, quindi, la previsione della mancanza di legami giuridici con la famiglia di accoglienza, nonchè l’obbligo per l’affidatario di provvedere al mantenimento e all’educazione del minore fino al compimento della maggiore età. La kafala è espressamente citata nella Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 1991. In tale Convenzione (articolo 20) si dice “Ogni fanciullo, il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato.”. Gli Stati prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale. 6 Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi attraverso la sistemazione in una famiglia, la kafala di diritto islamico, l’adozione o, in caso di necessità, il collocamento in un adeguato istituto per l’infanzia. Nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica. Sempre più frequentemente cittadini italiani di origine nord africana e cittadini di Paesi islamici da anni residenti in Italia chiedono di realizzare nel loro Paese d’origine la kafala di un bambino abbandonato. Tuttavia questo non è possibile, o meglio, l’eventuale procedura realizzata all’estero non può facilmente perfezionarsi con l’ingresso in Italia del bambino. I cittadini di Paesi islamici residenti in Italia possono in realtà fare ricorso alle norme sul ricongiungimento familiare. In tali casi, si può andare incontro alla sostanziale incertezza (quanto meno sui tempi) della concessione del ricongiungimento e alla frequente necessità di dover ricorrere ai tribunali contro la reiezione dell’istanza, anche se ormai taluni tribunali interpretano con favore tali istanze. L’adozione è vietata dalla Sharia: pertanto, una famiglia di fede islamica, di nazionalità italiana o straniera ma comunque residente in Italia, da un lato non potrebbe ricorrere all’adozione, perché contraria ai suoi principi di fede, dall’altro lato non potrebbe attivare all’estero la procedura di kafala, perché finora non è formalmente riconoscibile in Italia. 7 A tale riguardo, ho chiesto ai miei Uffici gli approfondimenti di comparazione con la legislazione delle altre nazioni. Degli Stati appartenenti all’Unione Europea, solo il Belgio e l’Italia non hanno ancora proceduto alla ratifica. Peraltro, il Belgio già da anni dispone di una legge che specificamente disciplina il riconoscimento della kafala realizzata all’estero. Hanno ratificato la Convenzione del 1996 anche Polonia, Malta e Irlanda in cui la questione religiosa è molto avvertita. La Francia e la Spagna hanno proceduto ad una ratifica “secca”; inoltre, la Francia sta procedendo anche ad accordi bilaterali con alcuni Paesi arabi. Nel corso degli ultimi anni, numerose sono state le interrogazioni parlamentari con cui è stato chiesto conto del ritardo nella ratifica e, inoltre, sono state presentate varie proposte di legge parlamentari nelle more della presentazione di un disegno di legge governativo. Per via di interpretazione giurisprudenziale ed in applicazione dei principi delle convenzioni internazionali, i giudici italiani, dopo un iniziale orientamento negativo, in epoca recente hanno di fatto in molti casi riconosciuto la kafala (compresa la Corte di Cassazione), sebbene la giurisprudenza non è uniforme. Per i giudici italiani la fattispecie può essere variamente inquadrata, ad iniziare dalla circostanza che l’adozione o l’affidamento a scopo adottivo pronunciati in quei Paesi che non hanno aderito alla Convenzione dell’Aja “possono essere dichiarati efficaci in Italia a condizione che (...) sia accertata la condizione di abbandono del minore straniero o il 8 consenso dei genitori naturali ad una adozione che determini per il minore adottato l’acquisizione dello stato di figlio legittimo degli adottanti e la cessazione dei rapporti giuridici fra il minore e la famiglia d’origine.”. L’articolo 5 del disegno di legge attribuisce alla Commissione per le adozioni internazionali, definita “autorità competente italiana”, il compito di approvare la proposta di assistenza legale, tramite kafala o istituto analogo, di un minore in stato di abbandono, se, dalla documentazione trasmessa e tenuto conto del superiore interesse del minore, risultano tutte le circostanze richieste espressamente dalla norma. Sono previsti requisiti dettagliati ed un sistema di garanzie analogo a quello vigente per le adozioni internazionali, per evitare che attraverso la richiesta di assistenza legale, si possano aggirare le disposizioni delle leggi sulle adozioni. L’intera procedura deve essere realizzata con l’intermediazione degli enti autorizzati o del servizio pubblico per evitare rapporti diretti tra il minore e i potenziali kafil. Si tratta di attività che la Commissione per le adozioni dovrà svolgere con l’attuale struttura e con le risorse disponibili a legislazione vigente poiché il disegno di legge non prevede nuovi o maggiori oneri, ferma restando la necessità per la Commissione di garantire la netta separazione fra l’istituto dell’adozione e quello della kafala, così come esigono le norme internazionali. Segnalo, tra l’altro, che la disposizione che prevede l’attribuzione delle nuove competenze alla Commissione per le adozioni internazionali e le relative procedure è il risultato di un approfondito confronto con i 9 vertici della medesima, avvenuto in sede di predisposizione del disegno di legge in esame, al fine di valutarne la fattibilità amministrativa in modo da garantire lo svolgimento dei nuovi compiti nel rispetto del principio di invarianza degli oneri. Nell’ambito del necessario riordino della struttura organizzativa della Commissione per le adozioni, che è nelle mie intenzioni realizzare durante il mio mandato ministeriale, si terrà conto dei nuovi compiti affidati dal disegno di legge di ratifica. D’altra parte, lo stesso disegno di legge rinvia ad appositi regolamenti la disciplina delle modalità operative per attuare in modo adeguato le disposizioni che riguardano l’affidamento e l’assistenza legale del minore non in stato di abbandono, attività attribuita al Ministero della giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile (articolo 4), e l’assistenza legale del minore in stato di abbandono, attività attribuita alla Commissione per le adozioni internazionali (articolo 5). Signori Presidenti, Onorevoli Colleghi, concludendo, auspico vivamente una rapida approvazione del disegno di legge di ratifica di questa importante Convenzione internazionale da parte del Parlamento. Grazie per l’attenzione. 10
© Copyright 2024 Paperzz