CAPITOLO 11 - Rete Toscana

CAP. 11
CAPITOLO 11
MICROZONAZIONE SISMICA DI LIVELLO 3
V. D’Intinosante
(Ufficio Prevenzione Sismica, Regione Toscana)
G. Vessia
(INGEO, Università degli Studi “G. d'Annunzio” di Chieti e Pescara)
La Regione Toscana è da molti anni impegnata nella realizzazione di studi di
microzonazione sismica (attualmente definiti di terzo livello negli “Indirizzi e criteri per la
microzonazione sismica” approvati il 13 novembre 2008 dalla Conferenza delle Regioni e
delle Province autonome).
Essi sono stati avviati a partire dal 1997 nell’ambito del Programma VEL (Valutazione degli
Effetti Locali) e recentemente proseguiti grazie ai finanziamenti nazionali previsti con
l’attuazione dell’articolo 11 della legge 24 giugno 2009, n. 77 mediante l’OPCM 3907/2010 e
s.m.e.i.
Nell’ambito di questi studi, alcuni comuni in cui era già disponibile una banca-dati
geologico-tecnica adeguata alla realizzazione di analisi di III livello, sono stati oggetto di
analisi di risposta sismica locale. Queste attività sono state realizzate dal personale
dell’Ufficio Prevenzione Sismica della Regione Toscana mediante l’ausilio (attuato tramite uno
specifico Accordo di Collaborazione Scientifica) del Dipartimento di Ingegneria e Geologia
dell’ Università degli Studi “G. d'Annunzio” di Chieti e Pescara.
La successiva estrapolazione a livello areale dei fattori di amplificazione desunti e
l’eventuale considerazione di altri effetti indotti (liquefazione, instabilità di versante, etc..) è
stata realizzata internamente all’ Ufficio Prevenzione Sismica della Regione Toscana.
Il presente documento intende illustrare sinteticamente i criteri adottati per lo studio
analitico della sola amplificazione locale (legata alle caratteristiche stratigrafiche,
topografiche e delle geometrie sepolte), mentre gli altri aspetti sopraccitati saranno oggetto
di relazioni esposte nei precedenti capitoli.
1. I CRITERI SCELTI PER LA STIMA ANALITICA DELL’AMPLIFICAZIONE LOCALE
L’attività di determinazione della risposta sismica locale mono e bidimensionale, realizzata
internamente dall’Ufficio di Prevenzione Sismica della Regione Toscana e finalizzata alla
redazione di cartografie di microzonazione sismica di III livello, ha riguardato per il momento
una serie di comuni ricadenti nei territori di Casentino, Valtiberina e Mugello. Tale attività è
stata mirata a quantificare gli effetti di particolari geometrie e contrasti di impedenza sulle
possibili amplificazioni locali.
Le geometrie di interesse sono prevalentemente sepolte e riguardano:
1) I contatti tra bedrock sismici, anche sospesi, e depositi alluvionali, caratterizzati da
forme “vallive riempite da sedimenti”;
2) I contatti tra formazioni geologiche competenti con “geometrie complesse” associati a
forti contrasti di impedenza con strati di depositi superficiali anche in presenza di
inversioni di velocità;
3) Detriti di versante o conoidi soprastanti depositi alluvionali con geometrie irregolari e
contrasti di impedenza non elevati;
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4) Locali creste in vicinanza di valli sepolte.
Il lavoro di modellazione ha permesso di calcolare il valore della amplificazione locale in
termini di Fattori di amplificazione e di Funzioni di amplificazione. Quest’ultime sono state
calcolate dal rapporto tra gli spettri di risposta in accelerazione determinati in superficie e
quelli riportati al bedrock sismico, nei due casi di (1) bedrock sepolto e (2) bedrock
affiorante.
Nelle analisi di risposta sismica locale, vi sono alcune regole di “best practices”, le quali
vanno identificate rispetto ai tre step della creazione del modello numerico:
1) Rappresentazione degli strati, laddove le condizioni litologico sismiche ne indichino la
necessità;
2) Deconvoluzione dell’input al bedrock sismico;
3) Rappresentazione di una porzione di territorio significativa per la simulazione di
risposta sismica locale.
Alcune precisazioni di massima e validità generale vanno premesse:
1) La possibilità di tener conto della presenza di strati più o meno superficiali è legata alla
loro influenza sulla risposta del sistema. Infatti, strati di spessore inferiori ai 5m con velocità
delle onde di taglio (VS) simili ai valori degli strati sottostanti possono essere individuati non
come strati a se stanti ma con valori medi tra le Vs superficiali e quelle sottostanti. Nel caso di
forti contrasti di impedenza tra i primi metri di sedimenti e quelli sottostanti, tali strati sottili
possono essere modellati solo se gli elementi che rappresentano la “regione” modellata, sono
almeno organizzati in tre file orizzontali. Le dimensioni massime degli elementi l (l max),
orizzontale e verticale, devono rispondere alla regola di propagazione della massima
frequenza considerata (ad es. Lanzo e Silvestro 1999, Rainone et al. 2013):
lmax = Vs / (6-8) fmax
(1)
dove Vs (velocità di propagazione delle onde di taglio) viene ricavata dalle indagini
geofisiche in situ, mentre fmax è la frequenza corrispondente alla più corta onda sismica
propagabile (si è ritenuto sufficiente il valore di frequenza pari a 20Hz, corrispondente ad un
periodo di 0.05s che è quindi il minor periodo per cui si può ritenere attendibile il dato di
output).
In tal modo si individueranno una dimensione massima ed una minima per la “mesh” di tali
strati.
2) La deconvoluzione al bedrock, essendo una operazione monodimensionale quindi fittizia
ai fini di una analisi bidimensionale 2D, deve rappresentare almeno delle condizioni di bedrock
generali, per la sezione investigata. Inoltre, l’input deconvoluto al bedrock, deve essere
applicato ad una superficie orizzontale inferiore. Inoltre, laddove il “bedrock geologico” affiori
a profondità elevate, è necessario capire se sono individuabili “bedrock sospesi”, cioè depositi
che presentano delle velocità sismiche elevate rispetto agli strati sottostanti (fenomeno noto
con il termine “inversione di velocità”) che possono influire molto di più sulla risposta locale
rispetto al substrato profondo;
3) Quando si modella una porzione di territorio, è buona norma rappresentare delle
lunghezze o porzioni di territorio tali che la mesh numerica dell’intera sezione sia visibile
visualizzando tutta la sezione. Ciò è necessario per evitare un eccessivo numero di nodi
orizzontali rispetto a quelli verticali e per evitare un numero elevato di iterazioni necessarie a
far convergere la soluzione numerica del problema di risposta sismica locale modellato
mediante gli elementi finiti.
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A partire da queste indicazioni di base, sono state fornite una serie di indicazioni ad hoc nei
diversi contesti geologico-morfologici e sismici indagati dall’ufficio regionale.
2) IL MODELLO NUMERICO PER LE ANALISI
DISCRETIZZAZIONE AGLI ELEMENTI FINITI
2D
CON
IL
METODO
DI
Le analisi numeriche 2D devono essere condotte in contesti geologici s.l. in cui le geometrie
sepolte generate dai contatti tra formazioni rocciose diverse e/o sedimenti presentino
rapporti dimensionali paragonabili lungo due dimensioni su tre . Ad es., in presenza di una
valle alluvionale, la sezione potrà essere modellata con simulazioni bidimensionali se il
rapporto tra la lunghezza L e gli spessori dei sedimenti H al di sopra del bedrock sismico L/H
abbia valori massimi pari a circa 10-20; inoltre, gli strati appartenenti alle successioni
sedimentarie si potranno rappresentare come regioni separate nel modello numerico, se le
dimensioni massime degli elementi finiti calcolate mediante l’Equazione (1) saranno
contenute almeno 2-3 volte nello spessore considerato. Quest’ultimo è un requisito
numerico, dato che in ogni punto, i valori delle soluzioni sono condizionati dai vertici più
vicini.
Un altro importante aspetto che riguarda la generazione di una “buona mesh” numerica è
quello di usare elementi finiti la cui forma non sia troppo deformata dalle geometrie in gioco.
Infatti, un elemento finito produce una soluzione affidabile quanto più i suoi angoli sono simili
tra loro; ad es. se si usa un elemento finito triangolare, la mesh generata deve mostrare
triangoli il più possibile equilateri; nel caso di elementi finiti rettangolari, le eventuali porzioni
di rettangoli deformati a parallelogrammi deve essere minima.
E’ necessario ricordare che, nelle analisi numeriche 2D, si fa l’ipotesi di deformazioni piane
cioè la risultante delle deformazioni fuori dal piano analizzato è nulla. Tale condizione si
verifica solo se tale piano è di simmetria. Pertanto, è lecita una analisi 2D in presenza di
geometrie vallive 3D di cui il piano di analisi sia piano di simmetria.
Infine, è necessario ribadire un concetto espresso nelle premesse: i risultati delle analisi
numeriche dinamiche di porzioni limitate di sottosuolo restituiscono una stima della risposta
dinamica dei depositi nei seguenti limiti di validità: (1) della semplificazione dei modelli
geometrici e materici, (2) della riduzione dimensionale, (3) della dimensione degli elementi
finiti utilizzati nel modello. In riferimento a quest’ultimo punto, bisogna ricordare che ridurre
la dimensione degli elementi finiti al fine di raggiungere una migliore approssimazione nella
soluzione numerica non è una regola che funziona sempre, anzi a volte sortisce l’effetto
opposto. Infatti, un numero di elementi finiti eccessivo porta ad una instabilità numerica
nella soluzione. Pertanto, la regola aurea, sta nell’osservare la mesh adottata alla scala
dell’intero modello (eliminate le estensioni fittizie dovute all’allontanamento delle sezioni di
cut-off): se assume l’aspetto di una chiazza nera, si deve aumentare la dimensione degli
elementi usati; se la mesh si distingue ad occhio nudo ed è caratterizzata da elementi di
forma “regolare” va bene. Buona norma è quella di dimensionare la mesh al massimo
possibile, cioè al valore leggermente più basso di quello derivato dall’Equazione (1).
Inoltre, il modello usato per le analisi 2D deve mostrare delle geometrie bidimensionali
evidenti: il modello 2D di una geometria 1D darà valori simili alla analisi 1D solo nel caso in
cui il punto in cui si calcolerà la risposta 2D sia lontano dai bordi laterali; negli altri casi i
risultati saranno diversi perché non saranno verificate le condizioni di assialsimmetria valida
per la riduzione dimensionale 1D.
Pertanto, è fortemente sconsigliata la modellazione numerica nei contesti geologici in cui vi
siano sedimenti alluvionali lontani da bordi di contatto ed in cui le geometrie deposizionali
siano sub-orizzontali. In questo contesto, infatti, non potendo considerare geometrie 2D si
dovranno eseguire analisi 1D: ciò non sarà solo corretto metodologicamente ma anche
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numericamente. Infatti, in un contesto in cui una valle alluvionale non presenti bordi rocciosi
a distanze “modellabili”, perché si dovrebbe effettuare una simulazione 2D? Se quest’ultima
dovesse servire per effettuare un confronto con le analisi 1D in punti precisi, si deve curare
la distanza dei punti di misura dalle frontiere di cut-off o frontiere laterali, specialmente
quando il codice di calcolo non prevede elementi che assorbono e smorzano le onde riflesse e
rifratte.
Nel caso delle simulazioni numeriche in centri abitati, le condizioni free-field dovrebbero
essere usate con una certa cautela, dato che le porzioni più superficiali dei depositi, spesso
denominati “terreni di riporto”, in area urbana sono rimossi e sostituiti dalle fondazioni. In
area urbana, l’esperienza consiglia di (1) trascurare gli strati superficiali meno competenti
(indicativamente per i primi 2-3 m) e (2) considerare almeno delle distribuzioni di carico
equivalenti agli edifici che insistono lungo la sezione considerata. Infatti, la presenza di uno
strato superficiale competente e di sovraccarichi (che in area urbana rappresentano quasi un
carico uniformemente ripartito) varia i periodi propri di vibrazione della successione di terreni
considerata ed il loro stato deformativo a taglio si incrementa. Tuttavia, in assenza di uno
studio che tenga conto degli scarichi tensionali operati dagli edifici, sarà opportuno modellare
la successione dei terreni evitando l’inserimento dei primi metri di “terreni di riporto” o di
“terreni rimaneggiati”.
2.1 Frontiere laterali
Si ribadisce la necessità di allontanare le frontiere laterali dai punti di misura scelti sul
modello. L’introduzione di tali frontiere, chiamate anche sezioni di cut-off, è resa necessaria
dalle esigenze di deconvoluzione dell’input sismico.
Infatti, sebbene i bordi delle valli rappresentino una chiusura anche numerica della sezione
da modellare, non avendo quasi mai a disposizione una registrazione su bedrock sepolto in
array verticale, sarà necessario deconvolvere in profondità un segnale registrato in
superficie. Tuttavia lungo i bordi sepolti di una valle, la profondità del bedrock varia da punto
a punto. Per effettuare tale operazione è necessario individuare una profondità
“rappresentativa” del bedrock sismico valida per l’intero modello di sezione sismolitostratigrafica.
Pertanto, è consigliabile approfondire il modello della sezione di qualche metro sotto il
bedrock sismico e riempire la parte di modello che esce dalla valle con materiale litoide o più
rigido, limitato da tre superfici: una orizzontale in profondità ospiterà le sollecitazioni
sismiche (ai nodi con y maggiore verrà applicata la componente orizzontale ed
eventualmente verticale del moto), le altre due verticali saranno le sezioni delle frontiere
laterali. La loro presenza, perturba la soluzione numerica nella valle se sono poste in
vicinanza del bordo vallivo: si suggerisce di valutare la distanza più idonea di queste frontiere
attraverso il calcolo della risposta nella valle con diverse distanze di tentativo. Il numero dei
tentativi si ridurrà se si parte con una distanza delle frontiere laterali pari ad H (cioè alla
profondità del modello numerico): in generale, una distanza compresa tra H e 2H sarà
sufficiente.
2.2 Input multipli e deconvoluzione
La normativa vigente in tema di valutazione dell’azione sismica di progetto, NTC 2008,
prevede che per le analisi di risposta sismica locale si debbano adoperare accelerogrammi
naturali derivati da studi di pericolosità sismica ad hoc, ovvero derivati dalle banche dati
disponibili (meglio se Italiane o anche Europee) ma rispettando la spettrocompatibilità
derivata dalla Vita di riferimento dell’edificio da verificare e dalla classificazione in termini di
hazard della zona del territorio italiano dove l’edificio sorge.
Nel caso degli studi di microzonazione sismica, invece, il tempo di riferimento di cui tener
conto è convenzionalmente 475 anni (questa scelta è opinabile e fette di comunità scientifica
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sempre più larghe suggeriscono criteri più strettamente legati alla sismicità dei luoghi da
analizzare) ed in funzione della mappa di pericolosità sismica adottata dalle NTC 2008, si
potrà costruire lo spettro di riferimento e l’accelerazione di ancoraggio per il sito in esame.
L’input sismico nella analisi 2D è quindi rappresentato da una settupla o da una tripletta di
accelerogrammi spettro-compatibili con lo spettro di riferimento al sito: nel caso di una
settupla, il risultato delle analisi numeriche condotte con i singoli accelerogrammi, sarà la
MEDIA delle risposte; nel caso di una tripletta, il risultato sarà l’inviluppo delle MASSIME
risposte spettrali.
Pertanto, sia la settupla che la tripletta non dovranno mai essere mediate o inviluppate in
fase di input. Solo i risultati in termini di spettri dovranno essere combinati. Inoltre, tutti gli
accelerogrammi dovranno essere deconvoluti.
Nel caso in cui una sezione 2D presenti al bedrock due formazioni rocciose a contatto che lo
dividono in due porzioni, la deconvoluzione dovrà essere fatta attraverso i due tipi di roccia.
Se il risultato della deconvoluzione è molto simile, si applicherà all’intera sezione la
deconvoluzione effettuata attraverso il materiale più rigido; in caso contrario si potrà operare
nei seguenti due modi:
1) se si ravvisano le condizioni di simmetria geometrica, si dovrà suddividere la sezione
nelle due porzioni relative ai due diversi bedrock. In questo caso, la sezione di cut-off
corrispondente alla mezzeria della valle dovrà implementare le condizioni di simmetria
geometrica. Il risultato finale delle due analisi numeriche condotte sulle due metà della
sezione, sarà dato dalla somma delle risposte calcolate nelle due sezioni a metà (secondo il
principio della sovrapposizione degli effetti);
2) se non si ravvisano le condizioni di simmetria geometrica, si eseguiranno le analisi
numeriche con i due input deconvoluti lungo le due formazioni e poi si invilupperanno i
massimi spettrali delle due risposte (secondo il principio dello spettro inviluppo di più possibili
input sismici).
2.3 Modellazione
deconvoluzione)
di
substrato
deformabile
(scelta
della
profondita’
di
In molti contesti geologici il bedrock sismico caratterizzato da valori di Vs superiori ad
800m/s non si raggiunge. Tali formazioni rocciose deformabili possono mostrare valori di
800m/s a centinaia di metri di profondità per il miglioramento delle proprietà meccaniche. In
tali casi, il modello numerico 2D può essere costruito seguendo due strategie:
1) Fino alla profondità a cui si arriva agli 800m/s se si hanno misure in situ e a diverse
profondità sia delle velocità delle onde di taglio che delle proprietà meccaniche dei depositi.
Infatti, per modellare 100m di depositi o di roccia bisogna poterne ricostruire le proprietà
meccaniche con le quali si devono condurre le analisi statiche (che precedono quelle
dinamiche);
2) Fino alla base dei depositi, per es. a 10-40m, approfonditi di alcuni metri di bedrock per
rendere la base del modello orizzontale, con le sue proprietà meccaniche (non solo Vs ma
anche alcune proprietà derivate da sondaggi e indagini geotecniche, nonché le curve
dinamiche G/Gmax(γ) e D(γ)).
2.4 Indici di amplificazione locale
Per quanto attiene alle modalità di rappresentazione della risposta sismica locale in termini
di indicatori di amplificazione nelle zone “stabili suscettibili di amplificazione locale” (secondo
la definizione introdotta da “Indirizzi e criteri per la Microzonazione Sismica” 2008, 2010),
l’indicatore può essere il Fattore di Housner modificato FH, calcolato come rapporto tra
l’integrale dello spettro di accelerazione in output (PSAout) calcolato mediante simulazione
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numerica e l’omologo integrale dello spettro di accelerazione in input (PSAin) non
deconvoluto al bedrock sismico del modello numerico
(2)
dove per T1 e T2 si intendono i periodi (s) estremi dell’intervallo considerato. Nelle analisi
finora condotte, sono stati considerati significativi due intervalli di periodi:
Bassi-medi periodi
T1=0.1s; T2=0.5s
Medi-alti periodi
T1=0.5s; T2=1s
Da un punto di vista metodologico, invece, va spesa qualche parola sulla scelta del
denominatore nell’Eq. (2). Uno dei testi di riferimento sugli studi condotti fino dagli anni ‘70
sulla risposta sismica locale, Kramer (1996) afferma che un Fattore di Amplificazione riferito
ad un sito S, si può costruire considerando diversi segnali di input:
•
su bedrock sepolto, sotto il punto S;
•
su bedrock affiorante, nei pressi del punto S;
•
su sito di riferimento R anche distante dal punto S.
La relatività del concetto di fattore di amplificazione è ribadita, più di recente, dal noto
ricercatore americano dell’USGS, Boore (2004) che nel suo lavoro intitolato: “Can local site
amplification be predicted” ribadisce la non univocità del Fattore di Amplificazione negli studi
di microzonazione. Quando si parla di risposta sismica locale, si dovrebbe innanzitutto
chiarire che:
•
la risposta dei depositi superficiali alle sollecitazioni sismiche, di solito, è limitata alle
azioni taglianti sebbene soprattutto in condizioni near field (ricorrenti nei terremoti
italiani e nello specifico in quelli toscani) le componenti verticali sono presenti ed in
misura non trascurabile, condizionando il complessivo comportamento dei terreni;
•
le analisi numeriche utilizzate negli studi di microzonazione sismica si basano su
comportamento dei terreni semplificato (lineare equivalente) che tratta in modo
disaccoppiata la risposta tagliante e compressiva dei terreni;
•
nelle analisi numeriche lineari equivalenti, pur essendo indispensabile la conoscenza
della curva di decadimento del modulo elastico G(γ) e della curva di incremento dello
smorzamento D(γ) per ogni litotipo considerato. Spesso, soprattutto per i materiali a più
elevata componente grossolana, tali curve sono prese da letteratura;
•
le semplificazioni adottate nella descrizione del comportamento dei geo-materiali è
spesso legata alla mancanza di indagini lito-tecniche (di sito e di laboratorio) e sismiche
sui depositi stessi. Ciò è vero nel sito dove si effettua lo studio di risposta sismica S ma
lo è anche nei siti R e spesso in quelli dove sono registrati gli input in affioramento.
Pertanto, nel rispetto di quanto previsto da un punto di vista normativo (ICMS, 2008), per il
calcolo del Fattore di Amplificazione secondo l’approccio riportato in Eq.(2) si è scelto di
utilizzare al denominatore l’integrale dello spettro di accelerazione in input (PSAin) in
condizioni di outcrop, tenendo però presente che tale operazione lecita deve essere
considerata approssimata.
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3) L’ESTENSIONE DEL DATO A LIVELLO AREALE
L’esecuzione delle analisi di risposta sismica locale 1D e 2D, secondo i
criteri
precedentemente illustrati, permette di conoscere il valore del Fattore di Amplificazione (Eq.
2) in corrispondenza delle sezioni analizzate.
Ai fini della redazione della cartografia di microzonazione di III Livello, tali fattori vanno
estesi arealmente. Nelle analisi effettuate (di cui alcuni esempi sono riportati all’ultimo
capitolo) tale delicata operazione è stata condotta mediante l’ausilio combinato della
cartografia geologico-tecnica e della cartografia MOPS.
Il modello logico su cui si basa l’estrapolazione areale dei dati di amplificazione è il seguente:
1. rappresentazione su mappa di tutti i punti di output delle modellazioni dinamiche
effettuate, con il relativo valore di FH;
2. individuazione del modello geologico-tecnico alla base di ogni valore di FH desunto;
3. identificazione sulle cartografie tematiche esistenti (in particolare geologico-tecniche e
MOPS) di analoghe condizioni geologico-tecniche su aree in cui non sono disponibili
analisi di risposta sismica per assenza di dati di base;
4. Confronto con omologhi valori di FH da analisi monodimensionale e conseguente
attribuzione del fattore FH nelle predette aree;
5. raggruppamento di situazioni tipologiche ed amplificative similari attraverso la
discretizzazione dell’area in classi distinte. Tali classi sono identificate sulla base di
differenti intervalli di FH;
6. rappresentazione della cartografia prodotta mediante software operante in ambiente
GIS.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Boore, D. M. (2004). Can site response be predicted? J. Earthquake Engineering 8 Special
Issue 1: 1-41.
Dipartimento della Protezione Civile e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome
(2008). Indirizzi e criteri per la microzonazione sismica (ICMS). Dipartimento della
Protezione Civile.
Kramer S.L. (1996). Geotechnical earthquake engineering. Prentice-Hall, New Jersey.
Lanzo G. e Silvestri F. (1999). Risposta sismica locale. Teoria ed esperienze. Edizioni
Hevelius.
NTC08 - DM 14.1.2008. Norme tecniche per le Costruzioni. Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana 29.
Rainone M.L., Vessia G., Signanini P., Greco P., Di Benedetto S. (2013). Evaluating site
effects in near field conditions for microzonation purposes: the case study of L’Aquila
earthquake 2009. Italian Geotechnical Journal, 3: 44-62.
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