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VIII Congresso Nazionale Medici in Formazione Specialistica in
Medicina Fisica e Riabilitazione
Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli
Istituto di ricerca Codivilla Putti- Aula Magna
Giovedì 11 Settembre 2014
SESSIONE POSTER
1) Effetto della stimolazione transcranica a corrente diretta sul freezing della marcia della malattia di
Parkinson
Orni C, Andrenelli E, Maracci F, Capecci M, Ceravolo MG, Ancona
INTRODUZIONE. Metodiche di stimolazioni transcranica non invasiva si stanno diffondendo in riabilitazione per l’efficacia
dimostrata nel modulare l’attività cerebrale corticale, cosa che permette di facilitare il movimento e supportare l’apprendimento
esercizio-dipendente e promuovere le funzioni cognitive. Tra di esse la stimolazione transcranica a corrente diretta (transcranial
Direct Current Stimulation - tDCS) è sicura facile da applicare e poco costosa: nella Malattia di Parkinson (MP) si è dimostrata
possibilmente efficace nel migliorare i sintomi segmentari (bradicinesia e rigidità) se erogata sulle cortecce motorie primarie e
funzioni esecutive se applicata sulla corteccia frontale dorsolaterale (CFDL). Tuttavia non ci sono evidenze in merito all’effetto su
un sintomo assiale frequente, invalidante e resistente a terapie farmacologiche e chirurgiche nella MP: il Freezing della Marcia (Fr).
Scopo di questo studio è osservare l’effetto, motorio (in particolare su Fr) e cognitivo, di una singola seduta di stimolazione
transcranica a corrente diretta (tDCS) condotta bilateralmente sulla CFDL e sulla corteccia parietale posteriore (CPP) di soggetti
con
MP,
mediante
un
protocollo
cross-over
che
prevede
il
controllo
sham
(stimolazione
placebo).
MATERIALI E METODI. 10 pazienti con MP idiopatica (Probabile sec i criteri di Gelb) non dementi (età media: 67.6±8.3; 4 donne;
durata di malattia: 14.5±5.2; Hoehn & Yahr = 4; LEDD 971±529 mg; UPDRS II: 16.6±6.1; FOG=15.6±5.1;FAB:12.7±3.1) sono stati
sottoposti a tre sedute di stimolazione di tDCS anodica a 2mA della durata di 20 minuti ciascuna e distanziate l’una dall’altra di un
mese. Ogni seduta prevedeva la stimolazione di un’unica area corticale bilateralmente (CFDL, CPP, o stimolazione “sham”
(placebo) su CFDL), randomizzando l’ordine delle procedure di stimolazione. Sono state utilizzate a T0 (pre-stimolazione) e a T1
(post-stimolazione) misure di outcome motorio(UPDRS parte III, TUG Test semplice e con doppio compito motorio (MTUG) e
cognitivo (CTUG), tempo totale di freezing) e misure di outcome cognitivo (Span di Corsi, Digit Span Forward e Backward, Fluenza
Verbale Fonologica e Semantica, Stroop Test).
RISULTATI. Dopo stimolazione della CFDL è stato riscontrato un significativo miglioramento del punteggio UPDRS III (Z=-2.1;
p=.03) e del tempo di esecuzione (Z=-2.6; p=.007) ed una riduzione del numero di errori nello Stroop test (Z=-2.0; p=.04). La
stimolazione della CPP induceva un significativo miglioramento dei tempi di esecuzione del MTUG Test (Z=-2.5; p=.01) e del
tempo di freezing (Z=-2.1; p=.03). La sessione sham non si associava ad alcuna variazione apprezzabile delle misure di outcome.
DISCUSSIONE e CONCLUSIONI. I risultati suggeriscono la possibilità che la tDCS CPP bilaterale riduca il sintomo freezing nella
MdP e che quella sulla CFDL migliori l’attenzione. I risultati ottenuti sono in linea con le evidenze scientifiche in merito ad un
coinvolgimento della CPP nella genesi del Freezing.
2) Impiego di una metodica elementare di esercizi per la prevenzione delle cadute in un gruppo di pazienti
neurolesi
Longo Elia R, Scalamandrè L, Bartolo D, Lepiane E, Amendola GAM, Fratto L, M.Iocco, Catanzaro
Il rischio di cadere è molto elevato in pazienti che presentano patologie di carattere neurologico su base ischemica e su base
degenerativa come ictus, sclerosi multipla e malattia di Parkinson. Tali patologie alterano il meccanismo di propriocezione e di
equilibrio, portando ad una maggiore probabilità di caduta con conseguenze che, in alcuni casi possono notevolmente aggravare la
condizione di disabilità della persona. Presso la scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, nell’ambito della
U.O.C. di MFeR dell’ Università Magna Graecia di Catanzaro, è in fase di svolgimento uno studio pilota coinvolgente un gruppo di
pazienti neurolesi a rischio di caduta. Lo studio si prefigge lo scopo di confrontare l’ efficacia di due specifici programmi di attività
motoria per il raggiungimento dei seguenti outcomes riabilitativi: riduzione del rischio di caduta, miglioramento delle ADL e stato di
salute globale. La dimensione del campione è al momento di sei pazienti, distribuita nei gruppi A e B in rapporto 1:1. Il Gruppo A è
costituito da pazienti sottoposti a programma riabilitativo di gruppo caratterizzato da esercizi finalizzati al miglioramento della forza
e della resistenza muscolare, dell’ equilibrio e della coordinazione; il Gruppo B è costituito da pazienti sottoposti a programma
riabilitativo individuale costituito da esercizi finalizzati al miglioramento della forza e della resistenza muscolare, dell’ equilibrio e
della coordinazione e da esercizi su pedana propriocettiva stabilometrica (Balance) e su treadmill con sostegno del carico (BWS),
a seconda delle necessità.Le fasi dello studio si svolgono con le seguenti modalità:reclutamento ambulatoriale;distribuzione
random dei pazienti nei vari gruppi di studio;trattamento fisioterapico per otto settimane con cadenza bisettimanale;follow-up a 1
settimana, 1 mese, 3 mesi, 6 mesi, 9 mesi, 12 mesi dall’ inizio del trattamento fisioterapico. I criteri di inclusione sono i seguenti:
diagnosi di Sclerosi Multipla, Ictus, Malattia di Parkinson; Capacità di stare in piedi con o senza ausili; Capacità di controllo del
tronco/capo. I criteri di esclusione sono i seguenti:Significative comorbidità; Gravi deficit visivi; Concomitanza con altri trattamenti
fisiochinesiterapici in corso.Ogni paziente è sottoposto durante la durata dello studio alle seguenti valutazioni: Anamnesi ed
Esame Obiettivo; Fim (valutazione autonomia funzionale); EuroQol (qualità della vita); Berg( equilibrio); Hads (depressione);Tinetti
Scale; six minute walking test; MRC(forza muscolare); ROM; OGA(analisi osservazionale del cammino); ICF (valutazione dello
stato di salute secondo il modello bio-psico-sociale). Inoltre tutti i pazienti vengono sottoposti ad Elettromiografia con Basografia,
Baropodometria ed esame di stabilità posturale alla pedana stabilometrica (Balance) e di lunghezza del passo al treadmill (BWS)
ad ogni controllo.
Lo studio è in corso, i risultati saranno resi noti successivamente.
3) Trattamento delle cefalee con biofeedback
Bolla S, Gerundino A, Schenone A, Genova
Introduzione: numerosi studi hanno dimostrato come I pazienti con dolore cervicale siano caratterizzati da una bassa performance
nell’attivazione dei muscoli flessori cervicali profondi (FCP) durante il test di flessione cranio cervicale (CCFT) [1][2]. In particolare
è stata riscontrata un alterazione nella strategia neuromotoria di controllo durante il CCFT, con una ridotta resistenza isometrica
dei muscoli FCP a fronte di un aumentata attività nei comparti muscolari flessori superficiali [2]. L’allenamento specifico dei muscoli
FCP in pazienti con dolore cervicale cronico, riduce il dolore e migliora l'attivazione degli stessi [3]. Attualmente non sono presenti
in letteratura studi che abbiano indagato tali problematiche in pazienti con cefalea.
Obiettivo: Valutare l’utilità di specifici esercizi di training della muscolatura vertebrale profonda sia a livello cervicale che lombare,
nel prevenire o ridurre la sintomatologia algica, in pazienti emicranici.
Materiali e metodi: abbiamo selezionato 3 soggetti di sesso femminile con sintomatologia emicranica, rispondenti a tali criteri: età
18–65 anni; durata di malattia >6 mesi; abituale frequenza attacchi: 6–15 giorni/mese. Non sono stati inclusi pazienti con: cefalee
sintomatica; emicrania cronica (frequenza attacchi >15 giorni al mese); coesistenza di cefalea tensiva; disturbi psichiatrici
concomitanti; overuso di farmaci per l’attacco; assunzione in corso di terapia preventiva per l’emicrania; assunzione di terapia
antipertensiva. Alla valutazione iniziale è stato fornito al paziente il diario delle cefalee; si è proceduto inoltre alla misurazione,
mediante ecografia, dello spessore del muscolo trasverso dell’addome a riposo [4]. I soggetti hanno eseguito in seguito due sedute
di training alla settimana per un totale di totale di 8 sedute. In ciascuna seduta sono stati effettuati esercizi di stabilizzazione
vertebrale, a carico progressivo, mirati a stimolare la muscolatura profonda sia a livello lombare che a livello cervicale, con ausilio,
in tempo reale, di biofeedback pressorio (Stabilizer) ed EMG.
Risultati: al termine del trattamento i pazienti sono stati rivalutati ecograficamente e sono stati estrapolati i dati relativi alla
frequenza degli attacchi emicranici insorti nel periodo intercorso fra le 8 sedute, unitamente all’eventuale utilizzo di farmaci
sintomatici. Attualmente è in corso la valutazione in follow up ad 8 e 12 settimane dal termine del trattamento, al fine di monitorare
l’andamento della sintomatologia algica nel periodo post trattamento.
Conclusioni: nonostante lo studio sia in aperto i dati preliminari mostrano un assenza di effetti avversi al trattamento ed un
sostanziale riferito benessere soggettivo. Maggiori riscontri clinici significativi sul trattamento svolto potranno essere estrapolati
dalla valutazione in follow up.
4) Comorbilità e fratture laterali dell’epifisi prossimale di femore in età geriatrica
Scaturro D, Chiappone M, Asaro C, Russo A, Lauricella L, Letizia Mauro G, Palermo
Le fratture dell’estremo prossimale del femore in età geriatrica costituiscono un rilevante problema di salute pubblica destinato a
peggiorare nel corso degli anni, per il progressivo invecchiamento della popolazione. In Italia i tassi di incidenza raggiungono i
20.000 casi per milione di abitanti nella popolazione di età superiore ai 74 anni con un rapporto M/F= 1/3. Nei soggetti anziani le
fratture prossimali di femore sono la prima causa di ricovero ed incidono in modo non trascurabile sulla mortalità, disabilità ed
istituzionalizzazione. L’osteoporosi senile rappresenta la più importante concausa nel determinismo dell’evento fratturativo, tuttavia
i dati in letteratura confermano ulteriori importanti fattori responsabili della fragilità ossea.
Lo scopo del nostro studio è valutare la correlazione tra le diverse comorbilità e l’evento fratturativo in un campione di pazienti con
esiti di frattura laterale di femore al fine di potenziare la prevenzione. E’ stata condotta un analisi retrospettiva su 237 pazienti di
entrambi i sessi (M:78 F:159; età media: 83,71 anni) afferenti presso l’ambulatorio delle Malattie Metaboliche dell’Osso
dell’U.O.C. di “Riabilitazione” dell’A.O.U.P. “ P. Giaccone” di Palermo e sottoposti a trattamento riabilitativo da Gennaio 2011 a
febbraio 2012. La comorbilità dei pazienti è stata valutata in base al numero di patologie presenti al momento della visita mediante
la scala CIRS (Cumulative Illness Rating Scale). Dall’analisi dei dati si evince che il 62% della popolazione presa in esame era
affetta da ipertensione arteriosa, seguita in ordine decrescente da diabete mellito tipo II 27.19%, cardiopatia ischemica 23.8%,
demenza senile 14%, insufficienza renale 9.6%, flebite arti inferiori 9.2%, ictus-TIA 7%, epatiti 4.3%, tumori 0.8% ed infine anemia
0.17%. Nonostante l’esiguità del numero di pazienti e la mancanza di un gruppo di controllo (attualmente in esame) appare
evidente come alcune patologie siano comuni in più della metà del campione in esame, tuttavia è prematuro identificarle come
fattori di rischio. Proprio a conferma dell’importante ruolo giocato dalle svariate comorbilità appare fondamentale che la gestione
dell’anziano fratturato necessita di un approccio multispecialistico, ma ancora prima di un’efficace prevenzione.
5) Femmine VS Maschi. Influenza del sesso nelle strategie di controllo posturale
De Bernardi E, Abbamonte M, Togni R, Reggiani A, Bejor M, Monteleone S, Dalla Toffola E, Pavia
Il controllo posturale è fondamentale per l’organizzazione del movimento, in quanto il mantenimento di una posizione di riferimento
permette di ottenere un sistema di coordinate egocentriche. Queste sono essenziali per il calcolo della posizione dei target da
raggiungere e per le relative traiettorie da percorrere, mediante il controllo motorio dei segmenti corporei e con un dosaggio
adeguato della forza muscolare. Pochi studi in letteratura considerano le differenze di genere riguardo le strategie di controllo
posturale. Questo lavoro si propone di valutare se esistono differenze in termini di stabilità posturale e mantenimento della
simmetria del carico tra soggetti sani di genere diverso mediante valutazione stabilometrica ad occhi aperti e chiusi, test di training
del carico e test di reaching visuo spaziale, con calcolo dell’indice di reattività e di precisione. Sono stati valutati 16 soggetti (età
media 29.56±3.46, 8 M, BMI 22.26±3.47) tramite pedana stabilometrica Pro-Kin Type B Tecnobody®. Sono stati confrontati i
risultati ottenuti dagli uomini con quelli ottenuti dalle donne. Nella valutazione stabilometrica statica si riscontra una minor
lunghezza del gomitolo nel gruppo delle donne solo in condizione di deprivazione visiva. Invece l’area dell’ellissi ad occhi aperti e
chiusi è sempre inferiore negli uomini. L’indice di reattività e l’indice di precisione sono risultati migliori negli uomini. Mentre ad
occhi aperti la varianza del carico è sovrapponibile nei due gruppi, ad occhi chiusi le donne ottengono un risultato migliore. In
letteratura è noto che la destrezza e l’agilità delle donne è minore rispetto a quella degli uomini. I nostri dati, seppur preliminari,
supportano questa tesi, dal momento che evidenziano una differenza significativa negli indici di reattività e di precisione tra i due
sessi a favore degli uomini. Nel confronto delle prove stabilometriche e di training del carico è emerso che in entrambi i gruppi la
perfomance migliora con il feedback visivo, soprattutto negli uomini, che nella prova ad occhi chiusi mostrano una minor capacità
di adattamento posturale e di mantenimento della simmetria del carico. A conferma di questi risultati preliminari è in atto il
reclutamento di nuovi soggetti al fine di ampliare le dimensioni del campione.
6) Trattamento riabilitativo precoce nella sindrome di Guillain-Barrè in pediatria-caso clinico
Feltroni L, Carenzio G, Mariani F, Carlisi E, Dalla Toffola E, Pavia
Introduzione: la sindrome di Guillain-Barré (GBS) è la più rara forma di paralisi flaccida acuta in età pediatrica. La terapia
farmacologica è basata sulla somministrazione di immunoglobuline endovena. Come riportato in letteratura, la prognosi della
malattia è variabile. Il recupero in età pediatrica avviene generalmente entro i quattro mesi successivi all’esordio dei sintomi. Sono
rari gli studi riguardanti i risultati del trattamento riabilitativo associato alla terapia medica, specie in età pediatrica.
Caso clinico: riportiamo il caso clinico di un bambino di 11 anni ricoverato presso il Dipartimento di Scienze Pediatriche della
Fondazione Policlinico San Matteo Pavia con diagnosi di sindrome di Guillain-Barrè. Il paziente è stato trattato, a pochi giorni
dall’esordio dei sintomi, con terapia medica associata ad un precoce trattamento riabilitativo finalizzato sia al recupero stenico degli
arti inferiori che al recupero dell’autonomia nella deambulazione. Il programma riabilitativo è stato proseguito in regime domiciliare
anche dopo la dimissione, controllando il bambino con follow-up presso l’Ambulatorio di Riabilitazione Specialistica.
Il recupero stenico è stato misurato mediante l’utilizzo della Medical Research Council Scale (MRC scale, 0-5), mentre quello
funzionale mediante GBS scale secondo van der Meche e Schimitz (GBS Disability Scale 0-6).
Risultati : il recupero funzionale completo è avvenuto in 2,5 mesi dall’esordio della malattia.
Conclusione: il caso clinico presentato evidenzia come un approccio precoce e multidisciplinare, con associazione di terapia
medica e riabilitativa, abbia portato ad una completa restitutio ad integrum funzionale in tempi rapidi.
7) Limitazione funzionale e grado di recupero dell’arto superiore in pazienti operate per neoplasia mammaria
Ricotti S, Boschi Luisa MR, Carrara C, Dalla Toffola E, Pavia
Negli ultimi anni una sempre maggiore attenzione è rivolta al recupero funzionale dell’arto superiore dopo intervento chirurgico per
neoplasia mammaria. Infatti la diagnosi precoce e i continui progressi nel trattamento chirurgico hanno portato a un incremento
della sopravvivenza e conseguentemente a un aumento della necessità di trattamento riabilitativo nelle donne operate al seno. Le
principali complicanze riguardano la limitazione articolare dell’articolazione s-o omolaterale all’intervento, lo sviluppo di linfedema e
le lesioni nervose periferiche. In questo studio riportiamo i dati relativi alla comparsa di disabilità dell’arto superiore omolaterale
all’intervento chirurgico proponendoci di identificare,attraverso una valutazione preoperatoria del grado di funzionalità, pazienti a
maggior rischio e di proporre interventi riabilitativi mirati. Sono state incluse nello studio 24 pazienti (età media: 53,71±8,6, e BMI:
25,03±4,5) valutate in sede pre-operatoria, a un mese e a tre dall’intervento chirurgico. Sono stati raccolti dati inerenti al range
articolare dell’articolazione s-o omolaterale all’intervento, alla funzionalità dell’arto superiore mediante scale standardizzate (scala
di Constant e scala DASH), alla misura della forza distale mediante Pinch Test e Hand grip e alla presenza di linfedema mediante
misurazione centimetrica. A tutte le pazienti è stato fornito uno schema di esercizi di mobilizzazione da eseguire quotidianamente
al domicilio. Inoltre sono stati dati consigli per la gestione dell’arto operato. Le pazienti con maggior limitazione funzionale hanno
eseguito un ciclo di rieducazione motoria individuale presso il nostro centro. Dall’analisi dei dati emerge un peggioramento
funzionale sia alla scala di Constant (punteggi preop:92, a 1 mese :72,71 e a 3 mesi: 83,25) che alla scala DASH (preop: 12,8, a 1
mese 29,34 e a 3 mesi 21,57) e un peggioramento stenico misurato sia con l’Hand-Grip (preop 24,35, a 1 mese 21,65 e a 3 mesi
20,67) che con il Pinch Test (preop 4,6, 1 mese 3,99 e a 3 mesi 3,46) in entrambi i follow-up rispetto alla valutazione preoperatoria. Alla valutazione effettuata a tre mesi dall’intervento è emerso un miglioramento funzionale rispetto alla valutazione a un
mese, in assenza di un miglioramento stenico distale. Inoltre nessuna delle pazienti ha sviluppato linfedema nei controlli
postoperatori.
Tutte le pazienti incluse nello studio ad un mese dall’intervento chirurgico hanno sviluppato, un certo grado di limitazione
funzionale rilevato mediante scala di Constant e scala DASH. Il controllo a 3 mesi ha evidenziato in tutte le pazienti un recupero
funzionale che non ha raggiunto i valori rilevati nel preoperatorio.In particolare i peggior out-come funzionali si verificano in 2
pazienti che presentavano nel preoperatorio pregresse patologie a carico dell’arto superiore omolaterale. Risulta inoltre
interessante l’andamento dei valori della forza distale, che tendono a peggiorare sia a un mese che a tre mesi dall’intervento. Ciò
potrebbe essere indicativo di un risparmio funzionale involontario indipendente sia dal recupero dell’articolarità che della capacità
di utilizzo dell’arto superiore. In conclusione riteniamo che, dato l’alto rischio di comparsa di disabilità dell’arto superiore che non
sembra transitoria ma perdurare nel tempo, anche in quelle pazienti senza una patologia pregressa, sia necessaria una
valutazione preoperatoria e un monitoraggio nel tempo al fine di identificare e seguire le pazienti a rischio e programmare in questi
casi anche il trattamento preoperatorio.
8) Riabilitazione dopo ricostruzione del Legamento Crociato Anteriore: Review basata sull’evidenza scientifica
e proposta di protocollo riabilitativo dal trauma alla ripresa del gesto sportivo.
Capacchione P, Desilvestri M, Lioce E, Milani P, Massazza G, Torino
Background: La riabilitazione del paziente affetto da lesione del LCA risulta fondamentale al fine di ottenere un buon recupero
funzionale e riprendere il gesto sportivo specifico. L’obiettivo iniziale di questa review è reperire in letteratura le evidenze
scientifiche più aggiornate in grado di supportare una forma di programma riabilitativo rispetto ad un altro, sia in pazienti trattati
conservativamente che sottoposti a intervento di ricostruzione del LCA. Avvalendosi di tali acquisizioni, ci siamo proposti di stilare
un programma riabilitativo aggiornato che garantisca il miglior outcome per il paziente, ottimizzando le risorse.
Metodi: Sono state eseguite ricerche su Cochrane Library (Bone, Joint and Muscle Trauma Group Specialised Register), Medline
(PUBMED) ricercando come parole chiave: anterior cruciate ligament injury, anterior cruciate ligament tear, anterior cruciate
ligament reconstruction, anterior cruciate ligament rehabilitation, rehabilitation program e includendo solo articoli pubblicati in
lingua inglese tra il 2005 e il 2013. Informazioni provenienti da titolo, abstract e full-text hanno permesso di selezionare le sole
pubblicazioni scientificamente più rilevanti. Sono stati presi in considerazione principalmente “systematic review”, “randomized
controlled trial” e “meta-analysis”, che possiedono elevato livello di evidenza secondo le raccomandazioni del “Manuale
Metodologico del progetto Progetto Nazionale Linee Guida”. Fonti con livello di evidenza più basso, come studi caso-controllo e
studi di coorte, sono stati inclusi laddove non disponibili articoli più ragguardevoli. Presa visione di circa 80 articoli, ne sono stati
inclusi in questa review un totale di 36. Due Autori hanno selezionato e analizzato le fonti in modo indipendente.
Risultati: I vari Autori sono concordi nel suddividere il programma riabilitativo in fasi successive, ciascuna delle quali prevede
esercizi rieducativi volti al raggiungimento di obiettivi specifici. Fondamentale per il passaggio alla fase successiva di tale percorso
è il raggiungimento degli obiettivi prefissati, che vengono quantificati mediante test specifici e criteri chiave. Questi ultimi
permettono di monitorare e pianificare la progressione del processo riabilitativo, adattandolo al singolo paziente. Un programma
riabilitativo personalizzato è fondamentale, soprattutto nei soggetti che intendo tornare a praticare sport ad un livello funzionale
precedente al trauma. Sulla base della letteratura consultata si può affermare che la riabilitazione pre-operatoria consenta un
recupero più rapido nella fase post-intervento. Inoltre la riabilitazione intrapresa nell’immediato post-operatorio permette di
recuperare precocemente l’articolarità e il tono-trofismo muscolare, riducendo l’incidenza di complicanze. Sulla base di queste
evidenze scientifiche è stato poi perfezionato il nostro protocollo riabilitativo aziendale.
Conclusioni: Un’ottimale gestione riabilitativa del paziente con lesione del LCA consente di ritornare ai livelli funzionali precedenti
al trauma, in tempi brevi e con basso rischio di una nuova lesione. La revisione della letteratura ha permesso di redarre un
programma riabilitativo aggiornato e basato sull’evidenza, suddiviso in sette fasi che accompagnano il paziente dal trauma alla
completa ripresa funzionale.
9) Efficacia ed efficienza nella terapia robot-assistita del cammino
Mahlknecht A, Smania N, Verona
Introduzione:
Sia i fattori demografici, che lo sviluppo della medicina d´urgenza comportano un incremento di patologie neurologiche che
necessitano un intervento riabilitativo intenso e specifico. In questo contesto tecnologie innovative di supporto alle risorse umane
svolgeranno un ruolo sempre più importante. Il ripristino della capacità deambulatoria è uno degli obiettivi principali per il recupero
dell´autonomia. La terapia robot assistita del cammino migliora gli outcome della neuroriabilitazione in termini di efficacia.
Combinando diversi dispostivi robotici in un´unica palestra si riesce a migliorare ulteriormente l´efficienza.
Materiali e metodi:
Nel laboratorio della locomozione un singolo terapista riesce a seguire contemporaneamente tre pazienti neurologici
su tre diversi dispositivi elettromeccanici e/o robotici (treadmill con body weight support, Gangtrainer GT1 e G-EO System) per
la riabilitazione al cammino. Il protocollo di lavoro è definito in termini di sgravio del peso corporeo e di velocitá del passo in
dipendenza del FAC (Functional Ambulation Category). Per il treadmill viene utilizzato un protocollo aggiuntivo per l´inclinazione,
per il G-EO System un ulteriore protocollo per il trattamento robot-assistito su scale e la modalità attiva assistita. La durata della
terapia (net-treatment time) è di 20 minuti. Inoltre il paziente riceve due sessioni di fisioterapia al cammino individuale ogni giorno.
Risultati:
Nel laboratorio della locomozione, con l´utilizzo contemporaneo di più dispositivi meccanici e robotici per la riabilitazione al
cammino, gestiti
da
un solo
terapista, si
ottiene, oltre
al
noto
aumento
dell’efficacia
della
terapia, un aumento significativo dell´efficienza in termini di tempo di trattamento effettuato a risorse umane impiegate. Il
consenso dei pazienti per questo metodo di lavoro è ottimo.
Conclusione:
Il laboratorio della locomozione rappresenta un nuovo e innovativo metodo di trattamento simultaneo che è in grado
di aumentare l’efficienza del
trattamento
a senza
aumento
di umane impiegate, incrementando l´efficacia
degli
interventi neuroriabilitativi al cammino e l´efficienza grazie all’apporto tecnologico fornito dai dispositivi in dotazione alla struttura
sanitaria.
10) Accuratezza dell’inoculazione di tossina botulinica nei muscoli dell’avambraccio in pazienti con polso flesso
e pugno chiuso spastico in esiti di ictus cerebrale: posizionamento dell’ago mediante tecnica palpatoria a
confronto con la guida ecografia
Picelli A, Verzini E, Roncari L, Baldessarelli S, Berto G, Lobba D, Santamato A, Fiore P, Gandolfi M, Smania N,
Verona.
L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’accuratezza dell’inoculazione di tossina botulinica di tipo A mediante
individuazione palpatoria del sito di inoculazione verificandola ecograficamente in pazienti adulti con polso flesso e pugno chiuso
spastico in esiti di ictus cerebrale. E’ stato condotto uno studio clinico prospettico su 41 pazienti adulti con polso flesso e pugno
chiuso spastico in esiti di ictus cerebrale cronico. Tali pazienti sono stati selezionati da un database di 113 pazienti candidati a
ricevere un trattamento focale della spasticità mediante inoculazione di tossina botulinica tipo A nei muscoli flessore radiale del
carpo, flessore ulnare del carpo, flessore superficiale delle dita e flessore profondo delle dita. L’identificazione della superficie dei
muscoli da trattare è stata condotta mediante individuazione palpatoria dei reperi anatomici, secondo le indicazioni dell’atlante di
Huber e Hack. L’accuratezza del posizionamento dell’ago e lo spessore del muscolo nel sito di inoculazione sono stati stabiliti
mediante ecografia. L’accuratezza del posizionamento manuale dell’ago mediante tecnica palpatoria verificata ecograficamente è
risultata essere del 51.2%. Tale accuratezza è risultata essere significativamente maggiore per i muscoli flessori delle dita (63.4%)
rispetto ai flessori di polso (39.0%). L’accuratezza della tecnica palpatoria è stata: 41.5% per il flessore radiale del carpo, 36.6%
per il flessore ulnare del carpo, 61.0% per il flessore superficiale delle dita, 65.9% per il flessore profondo delle dita. I muscoli
flessori delle dita hanno mostrato uno spessore significativamente maggiore (media 1.58 cm) rispetto ai flessori di polso (media
0.49 cm). I risultati di questo studio suggeriscono l’utilizzo di una guida strumentale per l’inoculazione di tossina botulinica nei
muscoli dell’avambraccio in pazienti con polso flesso e pugno chiuso spastico post-ictus.
11) Studio sperimentale prospettico, multicentrico: comparazione di diversi volumi e pesi molecolari di acido
ialuronico nel trattamento di viscosupplementazione in pazienti con osteoartrosi di ginocchio.
Panelli E, Di Prinzio E, Bellomo RG, Saggini R, Chieti-Pescara
INTRODUZIONE
L'anca e ginocchio sono le articolazioni più frequentemente colpite da OA e sono associate a disabilità da moderata a grave,
anche in giovani adulti. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'OA è la sesta principale causa di disabilità nel mondo.
Colpisce maggiormente gli uomini di età <45 anni, mentre le donne sono colpite dopo i 55 anni e i soggetti più anziani > 70 anni,
indipendentemente dal sesso. L’OA è una delle principali cause di disabilità nelle persone anziane ed entro il 2020 si prevede che
il numero delle persone con artrosi aumenterà del 57%.
Il trattamento dell’OA prevede, come da Raccomandazioni EULAR 2003, l’impiego di farmaci antinfiammatori e/o analgesici per
eliminare o ridurre il dolore.
Le Linee Guida del 2012 dell’ACR prevedono la terapia intra-articolare (con corticosteroidi e acido ialuronico) come aggiunta al
programma terapeutico per la gestione dei soggetti con OA.
MATERIALI E METODI
Sono stati valutati e trattati 241 soggetti (171F–70M) di età compresa tra 45 e 86 aa (età media 70,2 ± 10) con diagnosi
documentata di osteoartrosi di ginocchio.
Criteri di inclusione: sintomatologia di osteoartrosi di ginocchio presente da almeno 6 mesi; osteoartrosi confermata
radiologicamente.
Criteri di esclusione: gravidanza; ipersensibilità ai prodotti utilizzati; instabilità meniscale o legamentosa; sepsi del ginocchio;
versamento intra-articolare; iniezione sistemica o intra-articolare di corticosteroidi nel mese precedente; assunzione di
anticoagulanti orali; artrite da condrocalcinosi o da microcristalli; patologia infiammatoria o altre malattie reumatologiche.
I pazienti che soddisfano i criteri di inclusione ed esclusione sono stati suddivisi, in base al PM e volume di acido ialuronico (A.I.)
utilizzato in 5 gruppi:
Gr. 1: A.I. PM 1.500–2.000 kDa; ialuronato di sodio 30 mg/2 ml x 3 infiltrazioni
Gr. 2: A.I. PM 2.100 kDa; ialuronato di sodio 20 mg/2 ml x 3 infiltrazioni
Gr. 3: A.I. PM1.500–2.000 kDa; ialuronato di sodio 30 mg/2 ml x 3 infiltrazioni+condroprotezione orale
Gr. 4: A.I. cross–linkato; ialuronato di sodio 40 mg/4 ml x 1 infiltrazione
Gr. 5: A.I. MO.RE. Technology® PM 500–730 kDa; HYADD 4 esodecilammide di sodio ialuronato 24 mg/3ml x 2 infiltrazioni
Ciascun gruppo è stato suddiviso per età (45-65 aa e 66-86 aa) e gravità radiologica (Kellgren-Lawrence)
Tutti i soggetti sono stati valutati e trattati al basale e al follow up a 6 mesi con scala VAS; scala KOOS; Indice Algofunzionale di
Lequesne; R.O.M. del ginocchio; consumo mensile di FANS o COXIB.
12) L’utilizzo della Mental Practice per il recupero motorio dell’arto superiore dopo ictus
Di Guida M, Giamattei T, Gimigliano R, Napoli
Introduzione. L’ictus è la terza causa di morte e rappresenta la prima causa di disabilità nel mondo occidentale. Tra i pazienti che
sopravvivono all’ictus, ben il 50% presenta una disabilità residua, e necessita di riabilitazione. Tra le alterazioni delle funzioni
corporee, la più frequente è senza dubbio l’emiparesi, per il trattamento della quale nell’ultimo ventennio si sono sviluppate nuove
metodiche, come la Mirror therapy e la Mental Practice (MP). La MP è una metodica di training autogeno, chiamata anche
ripetizione mentale o simbolica, basata sulla Mental Imagery, ovvero sulla simulazione mentale di un movimento in assenza di
macroscopica attivazione muscolare, al fine di esercitare la propria mente e fornire un utile contributo all’apprendimento motorio.
L’obiettivo del nostro studio, è stato quello di valutare l’efficacia riabilitativa della MP nel recupero funzionale dell’arto superiore in
fase post acuta nei pazienti affetti da emiparesi post ictus. Materiali e Metodi. Abbiamo condotto uno studio clinico controllato
randomizzato. Sono stati inclusi i pazienti con ictus in fase acuta, di età compresa tra i 40 e gli 85 anni, con basso grado di
spasticità, con abilità di immaginazione visiva e motoria preservate e che non avessero alterazioni e /o asimmetrie morfofunzionali. I pazienti sono stati randomizzati con un sistema computerizzato e assegnati a 2 gruppi: il gruppo A sperimentale e il
gruppo B di controllo. I pazienti del gruppo A oltre al trattamento riabilitativo tradizionale, hanno ricevuto anche il trattamento
sperimentale con la tecnica della MP. Il protocollo della MP da noi attuato consiste in 5 sessioni settimanali di 20 minuti ciascuna
per un totale di 8 settimane, durante le quali il paziente è invitato a prendere visione di un video, registrato al T0, che riprende il
paziente stesso durante lo svolgimento di attività di vita quotidiana, utilizzando l’arto non paretico. Il video è stato poi manipolato in
modo da invertire specularmente l’immagine, creando così un video in cui è possibile vedere il paziente che svolge le attività prima
con l’arto non paretico e successivamente con l’arto paretico. Le valutazioni cliniche e funzionali dei pazienti sono state effettuate a
T0, ovvero al momento del reclutamento, a T1 dopo 4 settimane di trattamento neuromotorio e a T2 dopo 8 settimane. Risultati.
Sono risultati eleggibili 36 pazienti (18 gruppo A e 18 gruppo B). Per quanto riguarda la forza muscolare, valutata con il Motricity
Index, il gruppo A è passato da un punteggio medio di 29,72 a 50,72, mentre il gruppo B da 30,56 a 39,44. Al Barthel Index, il
gruppo A è passato da un punteggio medio di 8,22/20 a un punteggio di 11,94/20 mentre il gruppo B da 7,72/20 a 9,5/20. Per la
valutazione della qualità del gesto nelle varie attività proposte all’Arm Functional Test è stata utilizzata la Functional Ability Scale,
con la quale si è visto un maggiore progresso nei pazienti del gruppoA. Al Nine hole Peg Test solo 2 pazienti del gruppo B e ben 7
pazienti del gruppo A sono riusciti ad eseguire il test con l’arto paretico alla valutazione in T2. Conclusioni. Come già dimostrato
dalla letteratura, anche il nostro studio dimostra che il trattamento con la Mental Practice integrato ad un trattamento riabilitativo
tradizionale, migliora la perfomance motoria dell’arto superiore nei pazienti emiparetici
13) La vibrazione meccanica focale nel trattamento della paralisi di Bell: case report
Pasquini A, Galuppo L, Pedrini MF, Costantino C, Parma
La paralisi di Bell e’ una paralisi idiopatica unilaterale del nervo facciale la cui causa non e’ nota e che si manifesta con deficit dei
muscoli buccinatore, pellicciai della testa e mimici e con sintomi associati come ipoestesia e parestesie del padiglione auricolare,
ipogeusia dei due terzi anteriori della lingua, iposcialia e riduzione della lacrimazione. La percentuale di recupero spontaneo varia
dal 70% all’87% in caso di trattamento precoce con corticosteroidi. Poiche’ in letteratura viene riportata l’applicazione di vibrazioni
meccaniche focali al fine di ottenere un miglioramento della funzione neuromuscolare grazie alla stimolazione propriocettiva e alla
conseguente riorganizzazione dei network corticali preposti al controllo motorio abbiamo verificato l’efficacia della vibrazione
meccanica focale in una paziente di 52 anni con paralisi di Bell destra precedentemente sottoposta a terapia farmacologica con
corticosteroidi e fisiokinesiterapia con scarso beneficio. La paziente presentava epifora, angolo della bocca deviato verso l’esterno,
rima nasogeniena e plica nasolabiale asimmetriche rispetto al lato sano, appianamento delle rughe frontali, ridotta capacità di
corrugare la fronte, incompleta chiusura delle palpebre e incapacità di sorridere a bocca aperta, arricciare le labbra e ringhiare.
Il trattamento utilizzato si avvaleva dell’applicazione di vibrazioni meccaniche focali a 300Hz di frequenza, 0,4mm di ampiezza,
mediante posizionamento di un trasduttore sui muscoli orbicolari della bocca, dell’occhio e buccinatori destri e prevedeva 10
sedute da 30 minuti tre volte la settimana.
La paziente e’ stata valutata al baseline (T0) e alla fine del trattamento (T1) utilizzando il Facial-Disdability-Index (FDI), per valutare
il grado di disabilità percepito; la versione italiana della Sunnybrook-Facial-Grading-System Scale (SFGS) per quantificare il grado
di severità clinica; l’esame elettromiografico ed elettroneurografico (EMG/ENG) per rilevare il grado di disfunzione
neuromuscolare.. Al T1 si è riscontrato un miglioramento clinico evidenziato dallo score alla FDI, alla SFGS, e all’ENG/EMG. La
valutazione al T1 ha evidenziato un miglioramento significativo e sembra avvalorare l’ipotesi di una possibile applicazione
terapeutica della vibrazione meccanica focale in pazienti con Paralisi di Bell refrattari ai trattamenti convenzionali. Il limite di questo
studio e’ sicuramente la numerosità campionaria e la mancanza di un follw-up a medio e lungo termine. Ci si propone pertanto di
effettuare uno studio controllato randomizzato alla scopo di valutare il possibile utilizzo della terapia con vibrazioni meccaniche
focali anche in fase precoce.
14) Ruolo dell’ecografia muscolo-scheletrica nel monitoraggio del trattamento della fascite plantare acuta:
cenno alla diatermia capacitivo resistiva. Case report.
Cacciatore D, Mahmoud Ali Moustafa A, Giordani L, Foti C, Roma Tor Vergata
Introduzione
La fascite plantare rappresenta una delle cause principali di talalgia. E’ noto come tanto più lungo sia il lasso di tempo che
intercorre tra la comparsa della sintomatologia algica e l’intervento terapeutico, tanto più difficoltosa risulterà la risoluzione della
sintomatologia stessa. Studi recenti, hanno valutato l’uso della Diatermia Capacitivo Resistiva (DCR) come trattamento nelle
lesioni muscolo tendinee. Uno strumento utile sia nella diagnosi precoce che nella scelta accurata dell’intervento terapeutico è
rappresentato dall’ecografia muscolo scheletrica (EMS). Tuttavia, in letteratura non vi sono studi sufficienti riguardo al ruolo della
EMS nel monitoraggio di eventuali cambiamenti strutturali precoci post-trattamento. Scopo dello studio è stato quindi quello di
evidenziare l’utilità dell’EMS nel valutare l’effetto immediato del trattamento con DCR in un quadro di fascite plantare acuta.
Materiali e Metodi
Paziente di 52 anni, affetto da fascite plantare acuta comparsa dopo una lunga camminata con scarpe inadeguate. Diagnosi
eseguita mediante EMS utilizzando una sonda lineare da 10 MHz. Il trattamento comprendeva 2 sedute di DCR (Human Tecar®) a
4 giorni di distanza l’una dall’altra, associate ad esercizi di stretching della fascia plantare. E’ stata eseguita una valutazione pretrattamento (T0), dopo la prima seduta (T1) e al termine della seconda seduta (T2). Per la valutazione del dolore sono state
utilizzate la scala analogica visiva del dolore (VAS), e l’ Heel Tenderness Index (HTI); mentre per il monitoraggio dei cambiamenti
strutturali precoci in funzione del trattamento, è stata effettuata un’ EMS con il fine di valutare l’ecogenicità e lo spessore della
fascia plantare.
Risultati
Dopo la prima seduta l’EMS ha mostrato parziale risoluzione dell’edema a livello della fascia plantare e vi è stata un miglioramento
nel punteggio VAS e nell’ HTI e una riduzione della limitazione funzionale; al termine della seconda seduta è stata evidenziata
un’ulteriore riduzione del dolore, con progressivo e rapido riassorbimento dell’edema evidenziato mediante EMS.
Conclusioni
L’efficacia clinica della DCR nel trattamento della fascite plantare acuta è stata dimostrata dai cambiamenti strutturali rilevati
mediante l’uso dell’EMS. Questo lavoro mira a sottolineare l’importanza dell’uso dell’EMS in Medicina Fisica e Riabilitativa,
creando un terreno fertile per possibili studi futuri su tale argomento.
15) I disturbi cognitivi e comportamentali nelle vasculopatie cerebrali: valutazione clinica e riabilitativa
Frigè A, Rolfini D, Fiaschi A, Smania N, Verona
Le malattie cerebrovascolari sono la terza causa di morte e la prima di disabilità nei paesi occidentali1.
I disturbi cognitivi e comportamentali sono tra le manifestazioni più frequenti (fino al 32% dei casi) in conseguenza di un ictus e
possono evolvere da un quadro di MCI sino alla demenza2,3. Si sta sviluppando un interesse specifico sull’argomento, si è
costituita una Società Scientifica Internazionale che si impegna in questo settore (VAS COG International Society) 4 e sono in fase
attuativa centri multidisciplinari che affrontano queste problematiche5. Il presente studio prende in esame un ambulatorio
interamente dedicato ai pazienti affetti da disturbi cognitivi e comportamentali causati o associati a malattia cerebrovascolare con
l'obiettivo di valutare, seguire nel tempo e proporre un trattamento riabilitativo.
I pazienti reclutati nello studio provenivano da reparti quali Stroke Unit, Neurologia e Riabilitazione. Il protocollo diagnostico
prevedeva la raccolta dell’anamnesi, l’esame obiettivo, la valutazione degli esami funzionali e di neuroimaging, la
somministrazione di un test di screening preliminare per misurare le funzioni cognitive e comportamentali e la valutazione
attraverso le scale ADL e IADL. Le visite di follow-up erano programmate a intervalli di tempo diversi, da un minimo di sei mesi a
un massimo di un anno.
I pazienti che dalla valutazione iniziale presentavano coinvolgimento cognitivo o comportamentale erano inseriti in un programma
di riabilitazione specifico. Nel periodo febbraio-dicembre 2013 sono stati valutati 80 pazienti, di cui 36 femmine (45%) e 44 maschi
(55%). L’età alla prima visita era compresa tra i 50 e gli 80 anni (età media 71 anni).
I pazienti senza evidenti disturbi cognitivo-comportamentali sono risultati il 23% del totale, quelli con disturbo di grado lieve il 53%
e quelli con coinvolgimento cognitivo-comportamentale moderato o severo sono stati rispettivamente il 20% e il 4%. In quei
pazienti che riportavano lesioni cortico-sottocorticali diffuse si evidenziava una prevalenza di disturbi cognitivi di grado moderatosevero, ma tra questi si rilevava anche un’alta percentuale di pazienti con compromissione lieve-assente. Non è emersa relazione
tra la gravità dei disturbi motori o sensitivi e il grado di deficit cognitivo, così come non è risultata alcuna correlazione tra tempo
trascorso dall’evento e grado del deficit cognitivo. Si è confermata una diretta corrispondenza tra severità del deficit cognitivo ed
età del paziente, mentre una relazione inversa è emersa tra gravità del deficit cognitivo e livello di autosufficienza in ADL/IADL e
livello di scolarità. Le regioni encefaliche prevalentemente coinvolte nei pazienti in studio erano quelle fronto-temporo-parietali; la
prevalenza era di lesioni vascolari ischemiche.
Alla valutazione post trattamento riabilitativo a un anno, i pazienti che ai test cognitivi sono risultati migliorati raggiungevano una
percentuale del 33%, quelli stabili del 49%, mentre quelli peggiorati del 18% del totale.
L'esperienza di questo studio ha dimostrato che l’estensione e la gravità della lesione cerebrale spesso non correlano con il grado
di deficit cognitivo del paziente e che percorsi riabilitativi specifici risultano fondamentali per il miglioramento/mantenimento a lungo
termine della condizione cognitivo-comportamentale nei pazienti post stroke.
16) Valutazione e trattamento della camptocormia nella Malattia di Parkinson
Di Martino S, Ceravolo R, Chisari C, Rossi B, Pisa
INTRODUZIONE
La camptocormia è un disturbo della postura invalidante e frequentemente ricorrente nella malattia di Parkinson. L’esatta eziologia
di questa condizione nei pazienti parkinsoniani non è attualmente ben definita e le diverse opzioni di trattamento si sono finora
dimostrate poco valide. Furusawa et al. hanno dimostrato che occorre considerare il possibile coinvolgimento dei muscoli obliqui
esterni (EO) in alcune forme di camptocormia superiore (dove la flessione del tronco avviene a livello delle ultime vertebre
toraciche e delle prime vertebre lombari) e a tal proposito hanno presentato uno studio dove i pazienti camptocormici sono stati
trattati con ripetute iniezioni di lidocaina mostrando effetti benefici anche a lungo termine (2 mesi).
MATERIALI E METODI
Descriviamo un caso di un uomo di 66 anni con diagnosi di malattia di Parkinson con antero-lateroflessione del tronco che
compariva prevalentemente durante la marcia e la stazione eretta prolungata. Questa condizione lo limitava in maniera importante
nelle ADL e nella vita sociale. Le indagini clinico-strumentali effettuate precedentemente (RX, RMN ed EMG dei muscoli
paravertebrali) non avevano rivelato alcuna anomalia morfo-strutturale o elettromiografica. I farmaci anti-parkinsoniani assunti non
avevano avuto alcun beneficio.
Dopo esame neurofunzionale, abbiamo eseguito Gait Analysis con EMG di superficie dei muscoli addominali che ha mostrato
un’iperattività del muscolo EO bilateralmente (dx>sx), sia a riposo che durante il movimento. L’EMG ad ago eseguita
successivamente ha confermato il dato.
Il paziente è stato quindi sottoposto a iniezioni giornaliere di 100 mg di lidocaina nel muscolo EO sinistro per 5 giorni consecutivi,
associate a trattamento fisioterapico. Il quinto giorno è stata riscontrata all’esame clinico un’inversione della latero-flessione del
tronco verso destra, confermata da un incremento dell’iperattività del muscolo EO destro all'esame elettromiografico; pertanto si è
proceduto ad effettuare un nuovo ciclo di inoculazioni di lidocaina nei muscoli EO bilateralmente (50 mg di lidocaina in ciascun
muscolo per altri 5 giorni) sempre associati al medesimo programma di esercizi. Gli outcome considerati erano: l’angolo di
flessione; lo score del Camptocormia questionnaire (CQ-score) e i parametri spazio-temporali del cammino ottenuti con il sistema
di rivelamento G-Walk (BTS Bioengineering®).
RISULTATI
A partire dal primo giorno dopo l’inoculazione si è riscontrato un netto miglioramento della camptocormia con progressiva riduzione
dell’angolo di flessione da 50° fino a 30°. Anche il CQ-score ha mostrato una riduzione da 18/32 a 9/32: il paziente riferiva una
netta riduzione del dolore lombare e della ricorrenza della flessione anteriore del tronco. I parametri spazio-temporali del cammino
non hanno mostrato variazioni significative. I miglioramenti clinici si sono mantenuti nelle due settimane successive al trattamento
per regredire nel mese successivo.
CONCLUSIONI
L’effetto benefico che si ottiene dal trattamento ripetuto con lidocaina sul muscoli EO sembra confermare il coinvolgimento di tale
distretto muscolare nelle forme di camptocormia superiore. D’altra parte non si sono riscontrati gli effetti a lungo termine attesi.
Resta ancora da definire un protocollo standard con la dose ottimale di lidocaina e il numero esatto di giorni di trattamento
necessari e valutare il ruolo svolto dalla combinazione del trattamento con lidocaina e del trattamento fisioterapico.
17) Trattamento con Onde d’Urto Defocalizzate in paziente con Sindrome di Kabuki e sospetta cerebropatia:
case report
Raiano E, Mazzuoccolo G, Liguori L, Cappetta G, D’Antuono B, Luise C, Spina L, Servodio Iammarrone C, Napoli Federico II
La Sindrome di Kabuki si manifesta con facies tipica (eversione della palpebra inferiore, rime palpebrali lunghe, sclere blu,
labiopalatoschisi o palato ogivale ed anomalie della dentizione), ritardo psicomotorio moderato, ipoacusia, cardiopatia congenita
nel 50% dei casi ed anomalie scheletriche non caratterizzanti (brevità e clinodattilia del V dito, scoliosi, dislocazione dell’anca e/o
della rotula) e lassità legamentosa generalizzata. I 2/3 dei pazienti presentano disturbi neurologici: ipotonia, convulsioni,
microcefalia, anomalie oculari (nistagmo e strabismo).
Il paziente M.C., 5 anni, giunge alla nostra osservazione nel novembre 2013 con il seguente quadro: “Sindrome di Kabuki,
Babinski bilaterale, clono bilaterale alla mobilizzazione della tibio-tarsica, ipereflessia rotulea e ipertono degli arti inferiori
prevalente a sx. La deambulazione avviene a sx con appoggio in punta, a dx in punta-mesopiede (occasionalmente punta-tacco)
e la deambulazione sui talloni ed in tandem risulta impossibile.” Il pz è stato preso in carico con l’obiettivo di valutare e trattare
l’ipertono e le anomalie della deambulazione, atipici per la sindrome. In base al protocollo da noi adottato, M.C. è stato trattato
con 5 sedute di onde d’urto defocalizzate, applicate bilateralmente al tendine d’Achille ed ai muscoli gastrocnemio mediale e
laterale. Sia pre che post trattamento, sono stati valutati i ROM articolari degli arti inferiori ed effettuata videoregistrazione della
deambulazione, documentando fotograficamente l’appoggio e le misurazioni goniometriche dei ROM articolari. Contestualmente
al trattamento con O.U., il paziente ha svolto un programma riabilitativo individuale comprendente: stretching, mobilizzazioni
articolari attive e passive e training del passo. Le misurazioni goniometriche e la valutazione della deambulazione eseguite a fine
trattamento hanno dimostrato miglioramento dell’equinismo, con recupero di 15°di dorsiflessione, diminuzione dell’ipertono degli
arti inferiori (Ashworth pre 3 vs Ashwort post 2) e miglioramento globale dell’assetto posturale e del pattern deambulatorio.
18) Studio dei parametri cinematici e dinamici di anca e ginocchio in pazienti operati di ricostruzione del
Legamento Crociato Anteriore (LCA)
Picone A, Baratto L, De Rosa R, De Vivo A, Liguori L, Matarazzo G, Corrado B, Servodio Iammarrone C, Napoli Federico II
Il legamento crociato anteriore (LCA) ha origine posteriormente e medialmente al condilo femorale laterale e si inserisce
anteriormente sul piatto tibiale. La sua funzione principale consiste nel limitare la traslazione anteriore (shift) della tibia e la
rotazione tibiale in varo-valgo stress. Di solito, la rottura completa è preceduta da una lesione di almeno il 20% dello spessore
legamentoso. La lesione del LCA è di frequente riscontro in soggetti che praticano attività sportiva sia a livello agonistico che
amatoriale.
Il valgismo-rotazione esterna è il più frequente movimento in grado di determinare la rottura del legamento ed è riscontrabile nei
cambi direzionali o nelle situazioni in cui il piede rimane fisso al suolo.
Lo studio si pone come obiettivo la valutazione dei parametri dinamici e cinematici di anca e ginocchio, analizzati mediante 3D Gait
Analysis.
Sono stati arruolati 15 pazienti (13 maschi e 2 femmine, età media 24,3 anni) con lesione del LCA, ricostruito chirurgicamente in
artroscopia con i tendini dei muscoli gracile e semitendinoso duplicati. Tutti i pazienti sono stati sottoposti allo stesso protocollo
riabilitativo: tutore per 30 giorni, TECAR terapia, mobilizzazione precoce e idrokinesiterapia. I pazienti sono stati, inoltre, sottoposti
a valutazione computerizzata del passo mediante BTS SMART E - 3D GAIT ANALYSIS, 3 giorni prima dell’intervento (T0) e sei
mesi dopo (T1). Sono stati presi in considerazione i seguenti parametri: angolo e momento di forza di flesso-estensione del
ginocchio, angolo e momento di forza di flesso-estensione di anca. I dati sono stati analizzati con test T-student, confrontando i
parametri dell’arto sano con quello operato.
Prima dell’intervento (T0), non si evidenziano differenze statisticamente significative nei parametri di dinamica e cinematica tra
l’arto interessato dalla lesione del LCA e l’arto sano. A sei mesi (T3), si rilevano miglioramenti dei parametri di dinamica e
cinematica, tutti però non statisticamente significativi.
La sovrapponibilità dei risultati ottenuti a T0 e T1 suggerisce un ritorno alla funzionalità originale dell’arto operato rispetto a quello
sano e sottolinea, inoltre, l’efficacia della riabilitazione precoce per ottenere un risultato ottimale. Emerge, infine, ancora una volta,
l’importanza dell’analisi computerizzata del cammino quale strumento di valutazione oggettiva dell’efficacia di differenti trattamenti
riabilitativi.
19) Arm Spasticity can be reversible even after decades: a case report treated with Local Vibration
Sancesario A, Bacciu S, Giordani L , Scarpini C, Foti C, Roma Tor Vergata
Introduzione
Il nostro intento è quello di riportare gli effetti della Local Vibration (LV) applicata al trattamento della spasticità di arto superiore in
un paziente con un quadro di emiplegia insorta da un periodo superiore a venti anni. La spasticità è una delle principali
conseguenze dell’ictus e sappiamo che può essere modulata attraverso la stimolazione diretta del sistema nervoso centrale e
periferico ed attraverso l’esercizio terapeutico. Resta tuttavia da chiarire se gli effetti della spasticità sono reversibili o modificabili
anche a distanza di tempo.
Materiali e Metodi
Paziente di 62 anni con emiplegia destra, insorta più di 20 anni fa in seguito a un ictus emorragico fronto-parietale sinistra. Il
paziente presenta ipertono dei flessori di arto superiore con severa limitazione del range articolare (ROM) a livello del gomito. Il pz
è stato valutato prima di iniziare il trattamento (T0), dopo l’ultima sessione (T1) e 4 mesi dopo la fine dell’ultima sessione (T2). La
spasticità del muscolo bicipite brachiale è stata valutata attraverso la Modified Ashworth Scale (MAS), mentre per il ROM del
gomito abbiamo utilizzato l’applicazione DrGonometer®. Il programma riabilitativo è stato focalizzato sulla mobilizzazione passiva
e sull’allungamento muscolare; la LV (30 Hz) è stata applicata a livello del muscolo tricipite brachiale. Il trattamento è stato ripetuto
per 10 sessioni a cadenza trisettimanale.
Risultati
Abbiamo ottenuto una riduzione significativa della MAS: 4 a T0, 2 a T1; un aumento del ROM: 89.4° a T0, 164° a T1; le
modificazione ottenute al T1 sono rimaste pressochè invariate per quanto riguarda il ROM: 162°a T2, mentre abbiamo avuto un
leggero aumento della MAS: 3 a T2.
Discussione
L’applicazione della LV a livello del tricipite brachiale induce una riduzione dell’ipertono flessorio ed un aumento dell’articolarità del
gomito clinicamente significativa e di lunga durata. Questo studio conferma l’importanza dell’inibizione reciproca indotta nei
muscoli agonisti quando uno stimolo vibratorio viene applicato a livello del muscolo antagonista.
Conclusioni
L’ipertono dei muscoli flessori d’arto superiore è una modificazione funzionale dovuta a cambiamenti plastici che avvengono a
livello muscolare e nervoso; questi cambiamenti risultano reversibili, almeno in parte, anche a distanza di due decadi, sempre che
non si verifichino modificazioni osteomuscolari strutturali secondarie.
20) La Tossina botulinica di tipo A nella profilassi secondaria dell’emicrania cronica: dati preliminari
sull’esperienza Veronese.
Lobba D, Marchioretto F, Baldessarelli S, Vallies G, Modenese A, Picelli A, Tamburin S, Gandolfi M, Smania N,
Verona
L’emicrania cronica è una patologia neurologica che si manifesta secondo i criteri classificativi dell’International Headache Society
ICHD-II con cefalea di tipo emicranico presente per almeno 15 giorni al mese da più di 3 mesi, in assenza di uso eccessivo di
farmaci. E’ una condizione invalidante e con un elevato impatto socio-economico. I pazienti con emicrania cronica hanno una
riduzione di produttività e qualità di vita.
I trattamenti farmacologici di profilassi più comunemente utilizzati spesso presentano inefficacia o problematiche di tollerabilità. Tra
le opzioni terapeutiche profilattiche a disposizione per pazienti resistenti o intolleranti alla terapia di profilassi di primo livello, vi è la
Tossina Botulinica di tipo A.
Lo scopo del presente studio è valutare la sicurezza e l’efficacia del trattamento con tossina botulinica nella profilassi
farmacologica secondaria in pazienti affetti da emicrania cronica resistenti alla terapia di profilassi farmacologica primaria e
individuare fattori predittivi che possano influenzarne la responsività. Sono stati reclutati 14 pazienti (11 donne; 3 uomini) con età
media di 44 anni: 12 affetti da emicrania senz’aura, 2 affetti da emicrania cronica con aura.
A ciascun paziente è stato consegnato un diario cefalea. I diari pervenuti sono stati analizzati valutando i seguenti parametri:
numero di ore settimanali di cefalea lieve, moderata, intensa; durata media dei singoli attacchi; quantità e tipologia di farmaco
assunto settimanalmente; tipologia del dolore e sintomatologia associata ad esso; ore di sonno complessive; giorni liberi da
cefalea.
Il trattamento ha previsto la somministrazione di tossina botulinica di tipo A (Botox) per un totale di 155 U, con diluizione 100U/2ml,
in 31 punti di iniezione secondo protocollo validato a livello di 7 muscoli di testa e collo specifici. Ciascun paziente è stato
monitorato ad 1 mese dall’infiltrazione clinicamente e mediante analisi del diario cefalea del mese post-infiltrazione.
Ad una prima analisi dei dati ottenuti, la risposta terapeutica ad un mese dalla prima infiltrazione di tossina è la seguente:
- in 9/14 pazienti (64%): miglioramento di almeno un parametro tra quelli analizzati (frequenza – intensità – giorni liberi da malattia)
- in 7/14 pazienti (50%): riduzione complessiva delle ore di emicrania
- in 5/14 pazienti (35%): riduzione dell’intensità dei singoli attacchi
- in 5/14 pazienti (35%): 1-2 settimane di benessere (0-2 ore di emicrania/settimana tra la 2° e la 3° settimana post-infiltrazione)
- nessuna modificazione in pazienti con abuso farmacologico
Nessun paziente ha riportato effetti avversi e/o collaterali.
La terapia di profilassi secondaria con tossina botulinica può rappresentare una strategia sicura e innovativa per pazienti affetti da
emicrania cronica farmaco-resistente. Questo può avere importanti implicazioni per pianificare percorsi terapeutici in soggetti affetti
da emicrania cronica, al fine di ridurre il numero di attacchi e migliorarne la qualità di vita. Emerge inoltre una resistenza al
trattamento in pazienti con emicrania cronica da abuso farmacologico che potrebbero giovare di disassuefazione/disintossicazione
pre-trattamento.
21) Possibile conseguenze dell’ uso prolungato dei bifosfonati: le fratture atipiche di femore. nostra esperienza
Falossi F, A. Menconi A, G. Palattella G, M. Scali M, C. Genovesi C, I. Celauro I, V. Bottai, G. Raffaetà, Pisa
Introduzione
I Bifosfonati sono farmaci ampiamente utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi, soprattutto in pazienti trattati anche con
cortisonici . In Letteratura troviamo sempre più lavori che evidenziano una possibile relazione tra utilizzo di bifosfonati ed
insorgenza di fratture atipiche, definite dalla Task Force della American Society for Bone and Mineral Research come fratture
sottotrocaneriche o diafisarie atraumatiche o per trauma minore, trasverse o oblique, complete o incomplete a partenza dalla
corticale laterale. Ad oggi l’incidenza delle fratture atipiche viene stimata intorno all’1% delle fratture femorali e di questo 1% nello
0,4% dei casi è presente una associazione con bifosfonati. Viene stimato che 0,1-0,2 persone al di sotto dei 65 anni su 10.000
all’anno vanno incontro ad una frattura atipica in assenza di associazione con bifosfonati, mentre al di sopra dei 65 anni questa
incidenza sale a 1,6 su 10.000 all’anno. Se si considerano i pazienti trattati con bifosfonati l’incidenza è stimata di 3-10 pazienti su
10.000 l’anno.
Materiali e metodi.
Gli Autori descrivono 3 casi di frattura atipica. Si tratta in tutti i casi di pazienti di sesso femminile sottoposte per un lungo periodo
a terapia con bifosfonati. In un caso vi è associazione con LES. In 2 dei tre casi è stata eseguita anche una SPECT-Tc a
completamento diagnostico. Tutte le Pazienti hanno seguito lo stesso schema di trattamento che prevede: immediata
sospensione dei BF, terapia chirurgica della frattura, terapia medica con Vit D e 1-34 PTH, studio del femore controlaterale.
Conclusioni
Ad oggi l’utilità dell’impiego dei bifosfonati nella riduzione del rischio fratturativo supera largamente il rischio dell’insorgenza di
fratture atipiche. Nonostante la bassa incidenza, le fratture atipiche sono una patologia da tenere in considerazione, anche
perché si tratta di una patologia subdola, che spesso interessa il femore bilateralmente e che più frequentemente evolve in
pseudoartrosi. La loro incidenza è correlata al tempo di trattamento con bifosfonati e ad oggi il limite di “impiego sicuro” di questi
farmaci è di 5 anni. La dose del farmaco non sembra essere in correlazione con l’incidenza fratturativa.
La sospensione della terapia determina una riduzione del rischio fratturativo che tuttavia non si esaurisce con un fenomeno on-off,
ma permane una coda terapeutica che è in relazione alla durata dell’effetto del farmaco sull’osso, stimabile per gli alendronati in
1,2 anni, per i risedronati 3,5 anni. Pertanto è necessaria una attenta valutazione dei pazienti in trattamento con bifosfonati,
soprattutto se protratto a lungo.