Il Papa: “Indifendibili le prigionipiene solo di immigrati e poveri”. Parole sante, ma leggibili anche in un altro modo: “Prima ci devono finire i potenti che rubano” Domenica 8 giugno 2014 – Anno 6 – n° 156 e 1,30 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 CROAZIA, SOCIETÀ, TENUTE ECCO IL TESORO DI GALAN dc O INCALZA O CANTONE Prendi i soldi e ciancia di Marco Travaglio l guaio vero non è solo quello che i politici I non fanno contro la corruzione, ma anche quello che non dicono. Il che fa pensar male co- Dalle carte dell’inchiesta veneziana emerge l’ingente patrimonio (celato nelle dichiarazioni ufficiali alla Camera) dell’ex governatore. Una quota nel gruppo Stefanel, la rete nel settore sanità dalle Asl venete al Vaticano, una villa e un’azienda del food & beverage in Istria. E i favori dell’elemosiniere Mazzacurati Feltri, Massari, Meletti e Vecchi » pag. 2, 3 e 5 di Marco Lillo i sono 820 mila ragioni che C rendono Matteo Renzi poco convincente quando pro- mette di fare sul serio contro la corruzione dilagante, dall’Expo al Mose. Ogni giorno sentiamo suonare dai grandi quotidiani le fanfare dell’arrivano i nostri. Su Repubblica, ieri, Simona Bonafé prometteva: “Chi sbaglia deve pagare”. Sul Corriere, Debora Serracchiani garantiva: “Con la nuova guardia non ci saranno più ambiguità”. Renzi ieri ha assicurato i poteri al super commissario anti-corruzione Raffaele Cantone e ha annunciato il Daspo per i dirigenti che sbagliano. Intanto, però, continua a lasciare al suo posto di Capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, Ercole Incalza. Se Renzi vuole tenere Incalza a comandare la cabina di regia delle grandi opere ha una sola strada: prima deve farsi spiegare dal suo dirigente perché l’architetto Zampolini ha tirato fuori 820 mila euro (520 mila euro in assegni circolari e 300 mila euro in assegni bancari) nel 2004 per pagare una casa al genero del dirigente pubblico, che ha tirato fuori solo 390 mila euro. Nello stesso periodo in cui la Cricca di Anemone pagava parte della casa di Scajola, faceva esattamente lo stesso con la casa scelta dalla figlia di Incalza, mai indagato per questo, anche se Zampolini ha raccontato che andò con lui a fare un sopralluogo in questa casa da sogno: 8,5 vani catastali a due passi da piazza del Popolo, valore reale di un milione e 140 mila euro, come da preliminare curato dal solito Zampolini. Incalza è stato confermato da Lupi nel febbraio 2014, nonostante la storia della casa e nonostante sia indagato a Firenze per la vicenda del Tav, che coinvolge anche l’ex presidente dell’Umbria del Pd, Rita Lorenzetti. Se non vuole perdere la faccia, Renzi prima di creare per decreto la nuova Autorità dovrebbe togliere dal suo posto chiave un dirigente amico di Lupi, che guida le grandi opere da 12 anni. E anche Cantone ha una bella responsabilità: se accetterà di fare il commissario allo stesso tavolo di Incalza, trasformerà la sua bella storia in una brutta foglia di fico. y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!z!]!"!: TENGO FAMIGLIA Lo chiamavano Consorzio Venezia ma in realtà era Parentopoli Giancarlo Galan Dlm U di Furio Colombo QUEL MORBO CHE TOGLIE IL FUTURO AI GIOVANI » pag. 26 Amurri » pag. 4 » IL PREMIER » ”La legalità torni un valore, venerdì i poteri a Cantone” Renzi: “Anche il Pd ha colpe Via a calci chi ha rubato” Il presidente del Consiglio propone il Daspo per i politici corrotti e annuncia la riforma della legge sugli appalti Il presidente del Senato Grasso: “Togliere il vitalizio ai parlamentari coinvolti negli scandali”. ll magistrato che guida l’Authority anti-corruzione: “Il Mose? Un sistema criminale” De Carolis » pag. 6 PARLA IL DEM BOCCIA “Matteo ha ragione, ma ora chiarezza su Incalza ed Expo” Palombi » pag. 6 ISTRUZIONI PER L’USO PARTITE, FESTE SQUADRE, STAR (E POPOLI) DI BRASILE 2014 » L’INTERVISTA Scola: “Gassman mi convinse a fare il regista” Pagani e Corallo » pag. 22 - 23 Beha, Beccantini, Chierici, Pagani e Ziliani » pag. 11 - 18 La Grande Guerra e la nascita di una dittatura secondo Prezzolini Enzo Biagi » pag. 20 - 21 LA CATTIVERIA Della Valle: “Su 5 ministri incontrati, 3 erano deficienti”. Finalmente le cose stanno migliorando » www.forum.spinoza.it munque, perché delle due l’una: o hanno la testa vuota e non sanno di che cosa parlano, o lo sanno benissimo ma hanno la testa bacata. Prendiamo Renzi che, essendo appena arrivato, non dovrebbe avere nulla di personale da nascondere. Appena uno scandalo gli esplode in mano, se ne esce con dichiarazioni tonitruanti. Dopo il caso Expo annunciò “il Daspo per chi ruba”. Risultati concreti: zero assoluto. Dopo il caso Mose, la spara ogni giorno più grossa. Mercoledì è “turbato”. Giovedì vuole incriminare i corrotti per “alto tradimento”. Venerdì li vuole “fuori dalla politica”, mentre i suoi giannizzeri fingono di non conoscere il sindaco Orsoni per la decisiva ragione che non s’è iscritto al Pd che l’ha candidato, fatto eleggere e sostenuto per quattro anni. Ieri si accorge che forse Orsoni c’entra col Pd e promette di “mandare a casa i ladri a calci nel sedere”. Oggi dirà che vuole prenderli a ceffoni. Domani che gli sputerebbe in faccia. Dopodomani che meritano una bastonata in testa e pure qualche cinghiata. Poi che li cospargerebbe di miele e li lascerebbe lì sotto il sole legati a un albero infestato di formiche rosse. Chi offre di più? Tanto è tutto gratis. Intanto giovedì il nuovo ddl anti-corruzione (già necessario visto che il precedente, detto comicamente Severino, partorito 16 mesi fa dal governo Monti e votato dagli stessi partiti che sostengono ufficialmente o ufficiosamente il governo Renzi, è un colabrodo) era pronto per il voto in commissione e l’approdo nell’aula della Camera martedì, magari completato e inasprito con emendamenti del governo. Ma Renzi l’ha bloccato, annunciandone uno nuovo di zecca che ancora non c’è, però garantisce che arriva venerdì (non si sa ancora a che ora). Così la rumba riparte da zero e se ne riparla fra qualche mese. Tutti sanno che l’azzeramento l’ha imposto B. da Cesano Boscone, non volendo sentir parlare di falso in bilancio e minacciando di bloccare la boiata del Senato. Ma Renzi racconta che “il rinvio è stato una mia scelta” perché “occorre una duplice risposta, strutturale e culturale assieme”. Perbacco. “Bisogna ripartire dall’emergenza educativa”. Perdindirindina. “Cambiare radicalmente il processo amministrativo, l’impostazione della procedura”. Ah bè, allora. Quindi se politici, imprenditori, funzionari, amministratori, manager, tecnici e alti ufficiali rubano sempre su tutto, collezionano Tintoretto e Canaletto, seppelliscono milioni nell’orto, scrivono pizzini su carta commestibile per poi mangiarseli a colazione, è perché sono poco educati, culturalmente svantaggiati, strutturalmente traviati dalle procedure. L’idea che le grandi opere servano soltanto a far girare soldi da rubare per sfamare la Banda Larga e che gli onesti siano pochi deviati infiltrati in un sistema fondato sulla razzia, non sfiora Renzi né i cervelloni che lo circondano. Infatti continuano a trattare la corruzione come un incidente di percorso, un’eccezione di poche mele marce (i famosi “ladri” che, beninteso, diventano tali solo in Cassazione, ergo ci rivediamo fra 10 anni). E, anziché fermare la rapina, spaccano il capello in quattro tirando in ballo la burocrazia e l’educazione, disquisendo su tesserati e non, o addirittura (la Moretti, che Dio la perdoni) sulla minor gravità del finanziamento illecito di Orsoni rispetto alla corruzione di Galan. La scena ricorda Prendi i soldi e scappa, con Woody Allen che tenta di rapinare la banca consegnando all’impiegato un bigliettino con scritto “Agite con calma, siete sotto tiro”. Ma l’altro non capisce perché legge “apite con calma, siete sotto giro”. Allora si apre un ampio e articolato dibattito fra decine di persone sulla lettera g che sembra una p e sulla t che pare una g, fino alla scena finale dell’aspirante ladro in guardina, condannato su due piedi a 10 anni di galera, senza attenuanti, prescrizioni, indulti, servizi sociali. A noi manca giusto il finale. Sempre. 2 IL TESORO DOMENICA 8 GIUGNO 2014 Ideipossconiugi: edimenti case, gas ed elettricità MARGHERITA SRL LA HOLDING DI FAMIGLIA È la società capofila nella quale Giancarlo Galan e sua moglie Sandra Persegato detengono il cento per cento delle quote. La holding familiare è utilizzata dai coniugi Galan per la gestione delle altre società partecipate del gruppo. il Fatto Quotidiano SOCIETÀ AGRICOLA FRASSINETO LA TENUTA EMILIANA La tenuta agricola è ubicata al confine tra i comuni di Casola Valsenio (RA) e Castel del Rio (BO). La Guardia di finanza sostiene che tra società dirette e indirette i Galan posseggano il 70% del totale. Il valore stimato della proprietà e di 920.569 euro. SAN PIERI SRL E GREEN POWER LA PARTITA ELETTRICA La San Pieri detiene partecipazioni in diverse società del settore energetico. I Galan ne controllano il 21,6%. Valore stimato: 1.323.204 euro circa. I Galan hanno anche il 10% (10 mila euro) di Energia Green Power, che commercializza energia del Gruppo Green Power. GALAN, SOLDI E OMISSIONI SOCIETÀ CONTROLLATE, PARTECIPAZIONI E ANCHE UNA TENUTA ACQUISTATA DA DON GELMINI di Stefano Feltri e Antonio Massari I n omaggio alla trasparenza, l’onorevole Giancarlo Galan, nel febbraio 2013 ha pubblicato sul sito internet della Camera la sua situazione patrimoniale. “Sul mio onore – scrive prima di firmare – affermo che la dichiarazione corrisponde al vero”. A certificare dinanzi agli elettori “la veridicità sull’ammontare delle entrate” è il suo commercialista Paolo Venuti, arrestato nell’inchiesta sul Mose. In realtà, dal suo prospetto, mancano proprio le società più interessanti, come la IFHL, che opera nel settore delle consulenze sanitarie, la Thema Italia, che porta dritto agli affari con il gas in Indonesia, e la Amigdala srl, che lo rende socio – fino al 2011 – dell’imprenditore Giuseppe Stefanel. Il “pasticciaccio” firmato Stefanel Non è un dettaglio ininfluente, sotto il profilo politico, perché nel 2013 Galan pensò di candidare Stefanel prima al ruolo di Presidente della Regione Veneto, poi del Friuli. La Amigdala srl – scoperta dai finanzieri che hanno condotto l’indagine - è una società con capitale sociale da 50 mila euro che allo stato risulta inattiva. Si occupa di servizi finanziari, mobiliari e commerciali. I soci sono 5, tra persone fisiche e società, e tra questi c’è Paolo Venuti, commercialista di Galan, nonché “ponte” tra gli interessi del parlamentare e il settore del gas. E non solo. Fino al 2011, tra i soci, c’è anche la Finpiave spa - capitale sociale di 32 milioni di euro - che appartiene per il 51 per cento a Giuseppe Stefanel, proprietario della nota casa di moda, nonché socio di Mediobanca e Antonveneta. Un colosso dell’economia veneta e italiana. È lo stesso Stefanel che nel 2013 Galan candida per la presidenza del Veneto, e poi del Friuli, ipotesi poi bruciata in un solo week end per i malumori interni al Pdl. L’episodio passò alle cronache come “il pasticciaccio di Bepi Stefanel”, per la repentina caduta della candidatura, ma il vero pasticcio è che Galan avrebbe dovuto spiegare che stava candidando un suo (ex) socio in affari. E invece non disse nulla. Né disse, a febbraio 2013, mentre la redarguiva pubblicamente, che in qualche modo Angela Bruno era una sua dipendente. Green Power e la gaffe di B. con Angela Bruno La signora Bruno divenne improvvisamente famosa perché Silvio Berlusconi, invitato nella fabbrica della Green Power, si rivolse pubblicamente alla donna chiedendole: “Ma lei, quante volte viene?”. “Viene a NELL’OMBRA È stato socio di Stefanel e dell’azienda Green Power in cui B. offese Angela Bruno (che lui redarguì in tv) vendermi qualcosa, intendo”, aggiunse l’ex premier, tra i sorrisi del pubblico, dopo la battuta a doppio senso. “L’ennesima offesa alla sensibilità femminile”, polemizzarono politici e associazioni, spingendo Berlusconi a una mezza retromarcia e la Bruno a ribellarsi. Fu a quel punto che intervenne Galan: “Abbiamo gli sms della signora, che era contenta eccome di quanto accaduto”. Poi la Bruno ruppe con l’azienda. Ma chi era il suo capo? E di chi era socio? Diciamo che per Galan, l’energia, è una questione di amicizia e soprattutto di affari. È amico da sempre di Christian Barzazi, che è stato candidato del Pdl in Veneto proprio in quota Galan, e fu proprio alla convention organizzata da Barzazi presso la sua Gruppo Green Power – che l’ex Cavaliere scherzò in modo sgradevole con la Bruno. Barzazi è membro del cda di Gruppo Green Power, ma anche socio di una società quasi omonima, la Energia Green Power srl il 10 per cento della quale è controllato da Margherita, una srl dei coniugi Galan, metà di Giancarlo metà di Sandra Persegato. La Energia Green Power è nata da poco - febbraio 2013 come frutto di una scissione di un ramo d’azienda della Green Power madre, appena quotatasi in Borsa. La piccola Energia Green Power, invece, ha chiuso il suo primo anno con ricavi per soli 1.532 euro, patrimonio di circa un milione e capitale sociale di 100mila euro. È una scatola vuota, in pratica, che si dovrebbe occupare di vendita d’energia elettrica ma anche di progettazione di centrali, ricerca di fonti energetiche, e può essere attiva anche nella telefonia. E le prospettive devono essere interessanti, vista la bizzarra struttura societaria: pur essendo un ramo d’azienda di Gruppo Green Power, i soci sono i manager (i due Barzazi e il presidente del Gruppo AMICI MIEI Luca Ramor) più un politico amico come Galan. Così gli eventuali utili andranno a loro, e non alla casa madre. La tenuta agricola di don Gelmini Nella galassia di società ricostruita dagli inquirenti compare anche la Società Agricola Frassineto sas, gestita dalla Margherita srl, holding dei coniugi Galan che la detengono interamente. La tenuta agricola, che si trova tra Ravenna e Bologna, secondo gli investigatori ha un valore stimabile in 920mila euro. E nel 2008 la società controllata dai Galan decide di acquistare da don Pierino Gelmini - per la precisione dalla sua Comunità incontro – una tenuta vastissima. Siamo nel periodo di grande difficoltà, per il sacerdote, da poco accusato e indagato per abusi sessuali. La Margherita srl è comunque tra le società che Galan menziona, quando pubblica on line la sua situazione patrimoniale, certificata, come abbiamo detto dal suo commercialista – e coindagato – Paolo Venuti. Lo stesso Venuti che la Gdf intercetta mentre parla con un collega di studio. Montagne di banconote sparite rapidamente Scrivono gli inquirenti: “L’essenza della gestione, da parte del Venuti e dei propri collaboratori, del patrimonio illecito costituito da Galan è tutta condensata in un’intercettazione ambientale ... talmente indicativa da dover essere riportata”. Venuti e il collaboratore, prima di accennare espressamente alla situazione di Galan, dicono: “Resta il fatto che montagne di banconote sono sparite...”. “Beh”, risponde Venuti, “montagne è sempre relativo, qualche milioncino di euro”. Poi i due parlano dei benefici ottenuti: “Si fa presto a quei livelli là...”, dice Venuti, “fai presto a dare 100, 200 mila tanto perché le cose filino veloci fluidificante... parliamo di appalti a miliardi di euro”. E il collega risponde: “Senti, a noialtri ha fatto fare quelle fatture... tac tac... senza girarsi, cioè noi siamo tra i... tra virgolette tra i beneficiati”. Come ti frego il redditometro I due parlano quindi di Galan: “... Giancarlo è molto spaventato – dice Venuti - quindi stavo tirando giù quattro dati delle dichiarazioni vecchie che noi abbiamo fatto... la logica redditometro è quella, ma fiscalmente ok, ti faranno un accertamento fiscale, penalmente è un’altra cosa però non è mica facile, se dicono: dimostrami come hai comprato la tua casa, cioè tu devi avere i dati messi in fila...”. Il problema è come gestire “il nero”. “È questa la chiave di volta – risponde il collega a Venuti - sennò, tutto il nero...”. E In senso orario: Giuseppe Stefanel, Berlusconi ospite con gaffe alla Green Power e il commercialista di Galan, Paolo Venuti, finito nell’inchiesta Mose Ansa Venuti replica: “Lo spendi”. “Sì, ma dove?”. “E come lo spendi?”, abbozza una risposta Venuti. “Non so, vestiti, ristoranti...”. Ma il collega non è d’accordo. Il sistema è un altro, e fa l’esempio della benzina, spiegando che comunque poi bisogna spiegare da dove si prelevano i soldi spesi. “Cioè benzina, cosa fai qua? Paghi per quanto hai prelevato, e dove l’hai prelevato? Non ho prelevato e come l’hai pagata la benzina, mi chiavano, mi chiavano subito...giusto? Tu dove lo spendi? Hai voglia ad andare ai ristoranti, anche, ma ci sono alcune spese essenziali che mancano dei movimenti di banca, proprio perché faccio gli extra, il voluttuario, quello è l’imprendibile”. bato, il dramma è che il MOSE Zitelli risponde progetto sia andato avancon le tangenti. Per Prodi avrebbe doa Prodi: “Non ci ascoltò” tiquesto vuto ascoltare la voce delrovo singolare che, invece di pren- la città, l’esposizione appassionata dell’allora T dersela con chi si è lasciato corrom- sindaco Cacciari in quel famoso Comitato pere e ha speculato sul lavoro del Mose ce dei Ministri per Venezia del novembre 2006 la si voglia prendere con chi ha consentito che un’opera fondamentale per la salvezza di Venezia andasse avanti”. Così ha risposto Romano Prodi a chi come l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari gli ha rimproverato di “non averlo neppure ricevuto” quando nel 2006 era Premier per “ascoltare le criticità evidenti del Mose”. E alla professoressa Andreina Zitelli una delle responsabili della valutazione dell’impatto ambientale (VIA) del progetto che ha ricordato a Prodi come ai tempi “il progetto del Mose fosse nelle sue mani”. Pronta, asciutta e forte la risposta che la biologa lagunare: “Siamo bagnati ma onesti. Meglio una bella acqua alta che questa marea di tangenti. Voglio pensare che il Presidente Prodi sia d’accordo con me. È marginale che questi abbiano ru- quando l’allora il Premier votò per i suoi ministri e il Mose venne finanziato. “I ministri sono d’accordo con me, sono io la voce del Governo” disse lasciando tutti i ministri a bocca aperta. E a proposito del fatto che Prodi non avrebbe ricevuto progetti credibili la professoressa Zitelli ricorda: “La verità è che Prodi era favorevole al Mose e poco gli importava di ascoltare i nostri studi. Siamo stati 6 mesi alla Presidenza del Consiglio a discutere, a dimostrare che il Mose è un cattivo progetto approvato illegittimamente. E nonostante tutto anche ora il ministro dell’Ambiente Galletti dice: ‘Non è questo i momento per dire se l’opera è utile o inutile bisogna andare avanti’. Alla faccia del danno ambientale oltre a quello erariale e di un progetto oramai vecchio di dieci anni”. s.a. IL TESORO il Fatto Quotidiano IHLF SRL CONSULENZE SANITARIE Ha un capitale sociale di 10.000 euro, metà dei quali sottoscritti da Galan in modo anonimo, attraverso la fiduciaria milanese Sirefid operante nel settore delle consulenze sanitarie. Per la restante parte del capitale, la società è partecipata da dirigenti sanitari veneti e lombardi. FRANICA DOO GLI INVESTIMENTI CROATI La Franica Doo è una srl di diritto croato. Esercente l’attività di “gestione di patrimonio immobiliare proprio” e gestisce quindi patrimonio estero detenuto in Croazia dai Galan. La finanza ritiene che sia costituito da più immobili, diverse imbarcazioni e conti correnti. DOMENICA 8 GIUGNO 2014 AMIGDALA SRL GLI AMICI DI FAMIGLIA La Amigdala ha un capitale sociale di 50 mila euro ed è partecipata dalla moglie di Galan al 20% in modo anonimo sempre tramite la Sirefid. Il resto del capitale lo detengono la PVP (del commercialista Paolo Venuti) e la Finpiave dell’imprenditore tessile Giuseppe Stefanel. 3 THELMA ITALIA SPA IL GAS INDONESIANO Le quote della società (con un capitale sociale deliberato e interamente versato di 3.300.000) sono formalmente intestate a terzi soggetti; il capitale, tuttavia, è stato garantito dai coniugi Venuti tramite prestito della solita Sirefid. Dovrebbe occuparsi di commercio di gas indonesiano. La fiduciaria schermo tra Sanità & “Santità” IL DEPUTATO DETIENE IL 50% DELLA IHFL: AD AMMINISTRARLA C’È RUSCITTI, INDAGATO PER IL MOSE. HANNO QUOTE NOMI NOTI NELLE ASL E IN VATICANO di Marco Lillo L a società più misteriosa di Galan ha un nome enigmatico come la sua storia: IHLF SRL. È segnalata dalla Procura di Venezia nella sua richiesta di arresto contro l’ex presidente della Regione Veneto nel capitolo nel quale si ricostruiscono le sue proprietà per verificare la rispondenza delle entrate con le uscite, davvero cospicue dei Galan. La IHLF Srl è al 50 per cento di Galan, non è stata dichiarata pubblicamente al Parlamento e vanta sette soci noti del mondo a cavallo tra Chiesa, politica regionale e Sanità. LA PROCURA di Venezia scrive nella richiesta di arresto che: “IHLF Srl è una società con capitale sociale deliberato di 10.000 euro ed è partecipata da Galan Giancarlo al 50 per cento in modo anonimo, ovvero tramite la fiduciaria milanese Sirefid SPA”. Aggiunge che IHLF è “operante nel settore delle consulenze sanitarie” e che “per la restante parte del capitale, la società è partecipata da una serie di importanti dirigenti sanitari veneti e lombardi, nonché, per il 6,25 per cento, da parte di altra fiduciaria (Esperia spa) per conto di ignoti”. Il Fatto Quotidiano è andato a verificare alla Camera di Commercio scoprendo molte cose interessanti. La società è stata fondata il 29 dicembre del 2011, quando Galan non era più presidente del Veneto ed Alberto Prandin Stefano Del Missier era andato a Roma a fare il ministro della cultura. L’amministratore unico (socio con il solito 6,25 per cento) è Giancarlo Ruscitti, indagato nell’indagine del Mose. I pm hanno chiesto il 2 dicembre del 2013 per lui l’arresto (senza ottenerlo dal Gip) perché “Ruscitti riceveva nell’anno 2011 compensi per operazioni soggettivamente inesistenti per 184.663 dal marzo 2011 al 5 gennaio 2012”. La storia riguarda stavolta non il Mose ma la sanità: “Giovanni Mazzacurati (il presidente del CVN che deve realizzare il Mose, Ndr) infatti, a partire dall’anno 2010, è stato sensibilmente interessato - scrivono i pm - alle vicende relative del Nuovo Ospedale di Padova. In tale contesto, Mazzacurati ha affidato un incarico all’ex Segretario Regionale alla Sanità e al Sociale della Regione Veneto - Dott. Ruscitti Giancarlo, già coordinatore dell’iter procedurale relativo alla programmazione del piano per la realizzazione del nuovo ospedale. Il pagamento dell’onere è stato effettuato con risorse del CVN transitate al Co.ve.co (la coop rossa che svolge i lavori del Mose, Ndr) e Mazzacurati ha affidato l’incarico a Ruscitti al fine di cercare il consenso da parte delle autorità politiche regionali, provinciali e nazionali nonché dei referenti degli Enti Pubblici interessati per promuovere la costruzione del nuovo ospedale di Padova”. Per coprire l’esborso il Co.ve.co si è prestato a firmare con Ruscitti un contratto da co.co.pro. da 200 mila euro. Ruscitti è un personaggio legato al mondo del Vaticano, membro del consiglio direttivo del Cerismas (Centro di Ricerche e Studi in Management Sanitario) costituito nei primi mesi del 2000, su iniziativa ASSOCIATI DOC Bufacchi è direttore dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, Del Missier è l’uomo di Cl attivissimo in Lombardia FUORI DALL’ITALIA Villa e affari istriani per il “doge” dall’inviata a Venezia l patrimonio occultato dal “PicI colo Doge” come lo chiamavano quando era presidente della Regio- ne Veneto, Giancarlo Galan secondo le verifiche della Guardia di finanza dal 2000 al 2011 corrisponde a un milione e 300 mila euro che, secondo l’accusa, sarebbe lo stipendio percepito dal sistema Mose. Il calcolo è semplice: dichiara 1,4 milioni di euro e ne spende 2,7. La differenza avrebbe preso strade diverse via terra, via mare e via aerea: Venezia, Milano, Indonesia, Croazia. In Croazia Galan nel 2011, quando era ancora vietato agli stranieri acquistare case o barche, per diventare proprietario di una meravigliosa villa a Rovigno in Istria con affaccio e discesa direttamente sul mare il 23 giugno del 2011 costituisce la so- cietà Franica Doo (srl) con sede a servizio nautico, rurale, sanità, conRovinj (Rovigno) Passaggio dei Pe- gressi, sport, caccia e altre forme di scatori 4, capitale sociale turismo, servizi turistici. Villa che 1,173,300.00 kune (130 mila euro) gli è stata fatta acquistare da Nino domiciliata presso lo studio dell’av- Jakovčić, ex padre padrone del parvocato Korado Sergovic 43. Istarske tito regionale di maggioranza assoDivizije 17 52210 Rovinj. luta , la Dieta democratica istriana Scopo della società: acquisto e ven- (IDS-DDI), suo uomo di riferimendita di beni sui mercati nazionali ed to in Istria. Poi diventa proprietario esteri, Agenzia di commercio su anche di un’altra casa sull’isola Mali mercati nazionali ed esteri, rappre- losinj (Lussinpiccolo) di fronte a sentanza di aziende estere e nazio- Fiume. “L’ho incontrato proprio a nali nel commercio di La cittadina istriana di Rovigno Wikipedia Cc beni e servizi, preparazione di alimenti e servizi di ristorazione, preparazione e servizio bevande, preparazione del cibo per il consumo altrove (nei veicoli, in occasione di eventi, ecc) e la fornitura di alimenti (ristorazione), Mali Losinj il 18 giugno del 2011 quando era ministro per i Beni e le Attività culturali del governo Berlusconi in occasione dell’inaugurazione dell’asilo per bimbi italiani” racconta Maurizio Tremul presidente dell’Unione italiani in Croazia che si dice costernato per lo scandalo che lo ha travolto: “Era arrivato con la sua barca da pesca d’altura, come sempre circondato da donne avvenenti”. COME LA BELLISSIMA signora croata che era al suo fianco in occasione del concerto organizzato proprio da Tremul il 3 settembre 2011 all’arena di Pola alla presenza del presidente Giorgio Napolitano. “Era un onore per noi italiani avere un ministro, ma ora un po’ ce ne vergogniamo”. Sentimento condiviso anche in Italia. @sandraamurri1 dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Carlo Besta. Inoltre, dopo essere stato segretario della Sanità del Veneto in Regione, dal 2010 è Amministratore Delegato della Fondazione Opera San Camillo fondata nel 2008, gestisce 18 strutture tra case di cura, ambulatori, residenze di riabilitazione. Anche Giuseppe Di Ponzio viene da quel mondo: è il Direttore della casa di cura San Pio X di Milano che fa parte della Fondazione Ordine di San Camillo, amministrata da Ruscitti. E ANCHE MASSIMO Bufacchi è un nome noto in Vaticano. Il socio di Galan nella IHLF è infatti direttore del personale dell’ULSA, cioé l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, il cui presidente è il vescovo (nonché presidente dell’Autorità antiriciclaggio del Vaticano, AIF) Giorgio Corbellini. Ulsa, istituito nel 1989 si occupa del personale della Curia romana. Poi c’è una serie di soci di Galan che sono manager sanitari della sua regione. Il socio di IHLF Bortolo Simoni è direttore generale della Usl 8 di Asolo ed è stato a lungo il commissario della Usl 2 di Feltre, nominato dal presidente Galan. Un altro socio pesante è Stefano Del Missier, così descritto da Repubblica in un articolo del luglio 2007 sui mega stipendi della Regione Lombardia “ Ottima annata per Stefano Del Missier, dopo l’esperienza di commissario all’Asl di Lecco venne nominato direttore dei rapporti con le delegazioni straniere da Formigoni: dai 143mila euro del 2010 ai 189mila del 2012”. Alberto Prandin è stato per anni il direttore generale dell’ospedale di Motta di Livenza, in provincia di Padova. Nel 2009 Galan andò in visita al suo ospedale e lo definì un’eccelenza. Nel febbraio 2013 è stato rimosso ma lui ha impugnato il licenziamento. Infine c’è Giovanni Pavesi: direttore generale della Usl di Monselice in provincia di Padova. Cosa ci faccia Giancarlo Galan, nascosto dietro una fiduciaria, in una società con manager delle Asl del Veneto e dirigenti dei camilliani e del Vaticano resta un mistero. L’oggetto della società è “prestazione di servizi e attività di consulenza nel settore sanitario ed ospedaliero” in particolare “nella costruzione e gestione di strutture sanitarie ed ospedaliere all’estero”. Tra le tante cose che l’ex presidente della Regione deve spiegare ora c’è anche la IHLF. 4 di Sandra I ACQUA ALTA DOMENICA 8 GIUGNO 2014 Amurri inviata a Venezia l Consorzio Venezia Nuova, dominus indiscusso del Mose, 227 dipendenti, 22 dirigenti pagati fino a 200 mila euro l’anno, era finalizzato, di fatto, a comperare il consenso di chiunque potesse rivelarsi prezioso per eliminare lacci e laccioli alla realizzazione del Mose, compresi, naturalmente figli e parenti. Tutto “secondo una gestione quasi ‘familiare’ dell’impresa a opera dei Mazzacurati”, come si legge nell’informativa della Guardia di Finanza. Il presidente Mazzacurati, a parte l’una tantum di un milione di euro del 2009, si faceva pagare dal Consorzio anche l’assicurazione di casa oltre ai “benefici economici ottenuti direttamente o indirettamente dal CVN anche alle figlie, alla moglie, all'ex moglie ecc...”. L’elenco prosegue con figli e parenti di dipendenti CVN (o società collegate) o di pubblici ufficiali e consulenti assunti in società collegate al Consorzio. La figlia Cristina del consulente CVN Francesco Giordano; il fratello di Valentina Croff, rappresentante legale CVN; Matilde e Francesco Cazzagon rispettivamente marito e figlia del dirigente responsabile Programmazione e controllo CVN, Nicoletta Doni; il marito di Maria Brotto, dirigente responsabile del Servizio il Fatto Quotidiano ALTRO CHE MOSE: LA GRANDE OPERA È UNA GRANDE FAMIGLIA CONSULENZE E ASSUNZIONI A VENEZIA CON INCARICHI FARLOCCHI E SPESE FOLLI progettazione opere alle bocche di porto del CVN; il figlio Alessandro del dipendente CVN Sergio Nave; il genero e il figlio dell’ingegnere Johann Stocker del Consorzio. Scrive la Finanza: “Senza entrare nel merito delle attività eseguite, suscitano non poche perplessità i vincoli familiari che legano i soggetti, tutti collegati direttamente o indirettamente a CVN”. NELL’ELENCO delle persone che il Consorzio Nuova Venezia aveva a cuore c’è anche Giampietro Beltotto, ex portavoce del governatore del Veneto, Luca Zaia, che ora cura l’immagine della Fenice contattato dall’addetta stampa del Consorzio, Flavia Faccioli per arginare gli attacchi sulla stampa di un assessore provinciale leghista. Il motto era “Una consulenza CVN non si rifiuta a nessuno” come rivela Pio Savioli, consigliere del Consorzio, e all’epoca del fatto, marzo 2011, assessore comunale alle attività produttive intercettato mentre parla con Antonio Paruzzolo, ex ammini- I lavori in Laguna a Venezia Ansa L’EX PRESIDENTE Oltre il milione di euro, si faceva pagare anche l’assicurazione di casa e sfruttava dei “benefici economici” per i suoi “cari” stratore delegato di Thetis (società collegata al Venezia Nuova). E una vacanza per l’intera famiglia come quella offerta nel 2011 in Toscana al Funzionario della Presidenza del Consiglio dei ministri, capo dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica” Paolo Signorini al fine di “reperire i fondi da destinare alla conclusione dell’opera Mose”. Scrivono le Fiamme Gialle: “L’ingerenza non si è fermata alla sola nomina dei presidenti del magistrato alle acque di Venezia è proseguita con una gestione assolutamente promiscua dell’ente deputato a controllare (Il magistrato alle acque) e del Consorzio formalmente controllato, il Cvn”. Mazzacurati aveva impiegato “svariati dipendenti del CVN presso il magistrato alle acque, anche con compiti di redazione di atti i quali, in sostanza, vengono predisposti indifferentemente da personale magistrato alle acque o da personale CVN, semplicemente a seconda di chi è disponibile”. Il presidente del magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, oltre agli 800 mila euro di stipendio per i due anni in cui è rimasto in carica, dal 2008 al 2011, e alla buonuscita di 500 mila ricevuti dal Consorzio su un conto svizzero, in cambio di “Atti contrari ai doveri d’ufficio”, ottiene per la figlia Flavia “prima, un contratto di collabora- zione a progetto con il CVN per un compenso lordo di euro 27.600 poi l’assunzione alla Thetis S.p.A., controllata del CVN. E come se non bastasse fa avere al fratello Paolo, architetto, un contratto tramite il co.ve.co di 38 mila euro pagato con i fondi del CVN. Infine “otteneva per sé e per i componenti del proprio nucleo famigliare utilità o la promessa di utilità rappresentate da voli con aerei privati, nonché alloggi e pranzi in alberghi e ristoranti di lusso ubicati in Venezia, Cortina d’A mpezzo e altre località” . UN COSTO a sé aveva l’i mmunità giudiziaria come i 500 mila euro al comandante della Guardia di Finanza Emilio Spaziante pagato, secondo l’ex segretaria di Galan da Baita della Mantovani, azionista di maggioranza del CVN. “Mi chiese anche di fare un paio di assunzioni”. Due ragazze, “una si chiama S, figlia di un comandante dei Servizi segreti – continua l'ex segretaria e – l’altra si chiama A., figlia di un importante funzionario della Regione Veneto, addetto alle opere di bonifica e di salvaguardia della Laguna”. Tutti lautamente pagati e corrotti sempre con soldi pubblici. ACQUA ALTA il Fatto Quotidiano Ela protesta in Laguna torna contro le Grandi Navi di Davide Vecchi inviato a Venezia o non riesco a fare niente, anzi ci siamo sconI trati in Consiglio dei ministri con Tremonti, che è stato anche particolarmente sgradevole, accusandomi di avere qualche interesse personale sul Consorzio Venezia Nuova”. Così Gianni Letta riporta l’esito delle pressioni che avrebbe fatto per sbloccare i fondi al Cipe per il Mose a favore dell’allora presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, suggerendogli: “Dovete trovare una strada per contattare Tremonti”. E il “papà del Mose”, da 30 anni a capo del Consorzio, diventato il “grande burattinaio” della serenissima cricca finita in carcere mercoledì, va direttamente a Milano dall’allora ministro dell’Economia, poi torna al Consorzio e illumina i soci: “Se volete sbloccare il Cipe sono 500 mila euro da consegnare a Milanese”. Nell’intervista sotto, Fabris racconta di avere trovato revocato. una consulenza assegnata a Milanese da Cnv. LA RICOSTRUZIONE è contenuta nelle 400 pa- gine della richiesta di misure cautelari firmata dai procuratori Carlo Nordio e Luigi Delpino il 2 dicembre scorso e conferma, ancora una volta, il ruolo centrale di Mazzacurati. Che si preoccupa di tutto e tutti dalla tolda di comando del Cvn. Crea la rete con politici, magistrati, forze dell’ordine. Li stipendia, ci intrattiene i rapporti e utilizza le casse del Cvn come fossero cosa sua. Una informativa della Guardia di Finanza mette in fila tutte le uscite verso parenti e amici dimostrando la “gestione familiare dell’impresa a opera dei Mazzacurati” fino a riconoscere a se stesso una liquidazione da 7 milioni di euro ricevuta lo scorso marzo, pochi mesi dopo il suo arresto avvenuto il 12 luglio 2013, dieci giorni dopo le dimissioni dalla presidenza del Con- Mauro Fabris di Giorgio Meletti e lei vuol parlare di tangenti S parliamone, però prima le dico la cosa più preoccupante: lo Stato sta spendendo 5,5 miliardi di euro per un’opera unica ma non è in grado di rivendersela in giro per il mondo perché non ha proprietà del know how e dei brevetti che ha finanziato. Le pare poco?”. Mauro Fabris, ex parlamentare mastelliano, ex sottosegretario ai Lavori pubblici, è da un anno presidente del Consorzio Venezia Nuova. Lo hanno chiamato a sostituire Giovanni Mazzacurati, per decenni padre-padrone del progetto Mose (“Ma non lo avevano ancora arrestato, sapevo che la situazione era grave, ma non così tanto”). Scusi, ma di chi sono i brevetti pagati da Pantalone? I vari pezzi delle ditte che li hanno sviluppati, il sistema nel suo complesso di nessuno. Il consorzio è nato con aziende in maggioranza pubbliche, poi il Mose è stato privatizzato. Non si può neppure commissariare COPERTONI COLORATI come salvagenti da lanciare a una città che rischia di annegare nel mare in tempesta dell’inchiesta sulle tangenti del Mose. È l'immagine-simbolo della protesta messa in atto ieri da duemila aderenti al Comitato No Grandi navi per tornare a chiedere lo stop irrevocabile al passaggio delle navi da crociera davanti a Piazza San Marco e una inversione di rotta DOMENICA 8 GIUGNO 2014 sulle grandi opere in laguna. Una manifestazione che ha saldato anime diverse della città: gli antagonisti e gli ambientalisti, i secessionisti della prima ora capeggiati da Franco Rocchetta e quanti, senza nessuna bandiera, si battono perchè a Venezia la sagoma dei grattacieli del mare non si profili più a poche manciate di metri dal “salotto buono” della città. Tattica Mazzacurati: “Per sbloccare il Cipe va pagato Milanese” TELEFONA A GIANNI LETTA E POI CERCA TREMONTI. E USAVA DENARO PUBBLICO ANCHE PER LE VILLE IN USA E PER I PARENTI sorzio presentate per “motivi di salute”. Dopo aver pensato a sé, si è preoccupato della consorte, Rosangela Taddei, ovviamente sempre a spese del Cnv, arrivando a far pagare al Consorzio l’assicurazione della sua abitazione a Venezia e l’affitto di una residenza in California sempre intestata alla moglie. Che ha case, fra l’altro, anche a Cortina. Infine le tre figlie Cristina, Elena e Giovannella, sono state attenzione di cure da parte del padre. Ovviamente tramite la cassaforte pubblica usata a scopi privati annota la Gdf: “Benefici economici ottenuti direttamente o indirettamente dal Cvn anche alle figlie”. In quella che gli uomini delle Fiamme Gialle definiscono “gestione familiare dell'impresa”. Basti citare le consulenze elargite nel solo 2008: 6 milioni e mezzo di utilità “a dir poco dubbi”, annota la Gdf. “Senza entrare nel merito delle attività eseguite, suscitano non poche perplessità i vincoli familiari che legano i soggetti, tutti collegati direttamente o indirettamente a Cvn”. Mazzacurati si preoccupa anche dei due figli maschi, Giuseppe e Carlo, ritenuto, quest’ultimo, uno dei migliori registi italiani e scomparso prematuramente lo scorso gennaio. I beneficiari delle attenzioni del presidente del Consorzio non finiscono al primo grado di parentela. Mazzacurati affida consulenze anche a Konstantin Skachinskiy, un parente prima acquisito e poi perso: è l’ex marito della figlia Cristina. Ci sono anche la figliastra di Mazzacurati, primogenita della signora Taddei, Marina Elettra Snow e il di lei marito Pietro Nascimbeni. Il “grande burattinaio” ha un cuore d’oro e il portafoglio del Consorzio che è nato per realizzare il Mose e ha gestito finora 5,5 miliardi di soldi pubblici. Nel 2009, quando il costo dell’opera era già lievitato dagli 1,5 miliardi previsti ai 4,678 miliardi cinque anni fa effettivi, Mazzacurati, intervistato dal Corriere sul perché di questo aumento abnorme, spiegò: “C’è un problema legato al fatto che questi soldi entrino integralmente alla voce debito pubblico. Basterebbe prevedere, come avviene in tutte le aziende, un piano di ammortamento. Ma in ogni caso sono garantiti”. IN QUESTI GIORNI Mazzacurati, 82 anni, si tro- va all’estero. Direttore generale del Consorzio dal 1983 al 2005, quando è diventato presidente, è finito in carcere nel luglio 2013 e da allora non ha più parlato. Ieri ha rotto il silenzio attraverso il suo avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, ma esclusivamente per rispondere alle accuse di Piergiorgio Baita ex presidente della Mantovani, primo socio del Consorzio Venezia Nuova, e con lui finito in carcere. Baita ha attribuito tutte le responsabilità della cricca su Mazzacurati: “Decideva tutto lui”. L’ingegnere, ha ribattuto Muscari Tomaioli, “ha preso atto delle sconcertanti dichiarazioni di Baita. Noi abbiamo un profilo differente e riteniamo che il tutto sia da affidare all'autorità giudiziaria”. Aggiungendo: “Mazzacurati avrebbe molto da dire sul punto, ma non riteniamo che sia opportuno e neppure il momento per farlo”. Giovanni Mazzacurati Ansa [email protected] Al collaboratore dell’ex ministro COPPE Il sindaco Orsoni, coinvolto nell’inchiesta sul Mose, alla presentazione della candidatura della città alla America’s Cup Ansa “Io la consulenza gliel’ho tolta” Mauro Fabris LaPresse No. E le dico, magari potessero. Io comunque ho un solo obiettivo: finire l’opera, la cui utilità è stata riconosciuta dallo stesso procuratore Carlo Nordio. E poi chiudere baracca. Stiamo rispettando tempi, costi e anche l’ambiente. A dispetto degli ecologisti gufi, come si usa dire, quest’anno sono tornati quattromila fenicotteri in laguna. Il governo poi prenda le sue decisioni, noi saremo sempre d’accordo. Piergiorgio Baita, ex capo della Mantovani (che ha il 43 per cento di Venezia Nuova), arrestato l’anno scorso e già fuori dallo scandalo perché ha patteggiato, parla di imprese con- IL NUMERO UNO Ho tagliato i 400 mila euro che ogni anno regalavano al Marcianum, il polopedagogico che fondò l’ex Patriarca Scola: si è arrabbiato molto 5 cusse dal Consorzio, che avrebbe succhiato un miliardo per le sue spese. Non voglio discutere con Baita. Al consorzio spetta il 12 per cento dell’importo dell’opera, più un’altra piccola retrocessione concordata con le imprese negli anni passati. In tutto fanno circa 700 milioni in 30 anni. E le tangenti sono uscite da questo gruzzolo? Quando mi sono insediato ho chiesto una due diligence . Poi anche i magistrati sono venuti a setacciare tutto. È tutto formalmente a posto, anche se i magistrati hanno scoperto cose che segnano una distanza tra forma e sostanza. Quello che ho notato è una certa generosità con la città di Venezia, dove ora tutti cadono dalle nuvole. Lo dica in cifre. I dipendenti di Venezia Nuova erano 180 e adesso sono 120. La struttura costava 30 milioni all’anno e adesso ne costa 20. Naturalmente ho provocato forti malumori. Ho azzerato le cosiddette liberalità, milioni di euro a pioggia sulla città. Come una Fondazione bancaria. Ecco perché dicono che ha fatto arrabbiare l'arcivescovo di Milano, Angelo Scola. Purtroppo ho dovuto tagliare i 400 mila euro che ogni anno il Consorzio regalava al Marcianum, il cosiddetto polo-pedagogico che fondò da Patriarca di Venezia. Il presidente è Gabriele Galateri, presidente anche delle Assicurazioni Generali. Gente forte. Ma ho tagliato tante regalie, quella alle Orsoline, quella alla casa del clero... Io sono un buon cattolico e adesso ho paura di andare all’inferno. L’ha pensato da solo o ha ricevuto segnali in tal senso? Ho cominciato a temerlo dopo l’arrabbiatura del Patriarca attuale, Francesco Moraglia. Confessi. Quanto altro dolore ha provocato? Ho tolto i finanziamenti al teatro La Fenice, ho più che dimezzato le consulenze, costavano 6-7 milioni l’anno. C’era anche Marco Milanese, braccio destro di Tremonti? Ho tagliato anche lui. Anche lei aveva una consulenza. Attraverso la società di cui è azionista mia moglie facevo consulenza per Mazzacurati, l’ho eliminata il giorno stesso della mia nomina a presidente. Anche lei ha avuto il suo dolore. Piccolo, 120 mila euro l’anno. Mi ha fatto più male scoprire che erano stati versati 2 milioni al comune per l'America’s Cup. Il sindaco Orsoni è appassionato di vela. Sì, al punto che doveva fare le regate per due anni di seguito, e qui hanno fatto contratti per due anni. Poi l’America’s Cup è andata a Napoli e a me sono arrivati i decreti ingiuntivi di chi aspettava il contributo. Torniamo alla teoria delle aziende concusse dal Consorzio, come se fosse un carrozzone politico. Ma a lei chi l'ha chiamata per fare il presidente? Le aziende del Consorzio, è ovvio, sono loro le padrone. E non mostravano spirito di rivalsa verso una struttura opprimente. Il problema semmai era la conflittualità tra loro, e hanno chiamato me e il direttore generale Hermes Redi perché conoscevamo bene questa realtà. Non hanno fatto una piega di fronte alle le mie condizioni. Quali? Basta con le mance alla città. E poi la più importante: il Consorzio si sciolga quando sarà finito il Mose. Qualcuno voleva restare a Venezia per l’eternità, per gestione e manutenzione delle dighe mobili. La mia risposta è che ogni euro risparmiato con i miei tagli, visto che non possiamo distribuire utili, torna allo Stato. A fine corsa conto di restituire 40 milioni. 6 MEA CULPA DOMENICA 8 GIUGNO 2014 C“Abolite antone al governo: la legge di B. sul falso in bilancio” di Luca De Carolis N on nega e non fa neppure distinzioni. “Nella vicenda di Venezia la responsabilità della politica è evidente, e vale anche per la mia parte. Il problema riguarda pure il Pd”. Intervistato a Napoli da Ezio Mauro per la Repubblica delle idee, Matteo Renzi ammette le (presunte) colpe dei Democratici nello sfascio del Mose. Tanto da aggiungere: “Guai a chi dice ‘ma non è iscritto’”. Una sconfessione del fedelissimo Luca Lotti, che due giorni fa aveva provato la presa di distanza: “Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, non è iscritto al Pd”. Parole che avevano provocato ironia e proteste. E così Renzi prova a sparigliare: “Se nel Partito democratico c’è chi ruba, costui deve andare a casa a calci nel sedere. Non c’è Pd o non Pd, ci sono ladri e non ladri”. Riconosce che “su Greganti il Pd ha sbagliato, e da segretario mi prendo le mie responsabilità”. POI SI PASSA agli annunci in stile renziano. “È il momento di una riforma radicale contro la corruzione, e se serve una settimana in più ce la prendiamo. Venerdì intanto portiamo un provvedimento ad hoc in Consiglio dei ministri: daremo più funzioni all’Autorità Anti-corruzione”. Ossia a Raffaele Cantone, che le invocava da tempo. Verranno tolte “a quelle autorità che non si sono accorte di nulla”. Stando alle voci, all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. La “risposta strutturale” di Renzi però è la riforma della giustizia, entro fine mese. Piatto forte, il Daspo contro politici e corruttori condannati in via definitiva: “Mi fai la cortesia, tu che hai corrotto o concusso qualcuno, di non mettere più piede negli uffici pubblici”. Poco dopo, sullo stesso palco, Cantone dirà un sì condizionato: “Per il Mose si può fare, per RAFFAELE CANTONE e Matteo Renzi sembrano marciare uniti. I due si sono incontrati ieri mattina a Napoli, prima di intervenire - entrambi, ma in momenti diversi - alla Repubblica delle idee. Venerdì il commissario anti-corruzione dovrebbe finalmente avere maggiori poteri: “Ma non avrò la bacchetta magica”, avverte. L’ex pm, come il premier, ritiene che la prima cosa da fare sia “met- il Fatto Quotidiano tere mano al codice degli appalti” (“se per ogni grande opera c’è una deroga significa che è fatta male”) e s’è detto a favore anche del “Daspo” agli imprenditori che corrompono, sottolineandone però le difficoltà applicative: “Per il Mose si potrebbe anche fare, ma per Expo no: il 1 maggio 2015 i cantieri devono essere chiusi”. Infine, un passaggio sul falso in bilancio: “Va ripristinato, così come serve una norma seria sul riciclaggio. I termini di prescrizione oggi sono inaccettabili”. L’attuale Parlamento ha il problema che entrambi questi provvedimenti non piacciono a Silvio Berlusconi, ma il problema non è certo solo lui: “Una parte dell’imprenditoria italiana festeggiò quando il falso in bilancio fu depenalizzato. Troppo facile dare la colpa solo a Berlusconi”. CORRUZIONE RENZI: “COLPA ANCHE DEL PD, VENERDÌ NUOVE NORME” “SE TRA NOI C’È CHI RUBA, SE NE VA A CASA A CALCI”. IL PREMIER ANNUNCIA: SUBITO I POTERI ALL’AUTHORITY, POI ENTRO GIUGNO IL DASPO AI POLITICI E LA RIFORMA DEL CODICE DEGLI APPALTI l’Expo no, perché i lavori dovranno essere chiusi entro il 1° maggio”. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, è sulla stessa linea: “Apprezzo molto l’idea del Daspo”. Ma rilancia: “Si possono inserire i reati di corruzione tra quelli di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia. Non solo: si può inserire un codicillo che blocchi ogni vitalizio per i politici condannati per reati di mafia e di corruzione, nonché estendere la decadenza e la incandidabilità ai parlamentari senza alcun limite, così come per i sindaci e i consiglieri regionali”. La palla torna comunque a Renzi, che a Napoli ha annunciato anche altro: “Venerdì arriveranno le misure per la semplificazione fiscale, e dall’anno prossimo arriva la dichiarazione dei redditi precompilata”. Quindi, le riforme: “Credo che entro l’estate si arriverà all’approvazione della legge elettorale e alla prima lettura della riforma costituzionale”. Ma c’è la postilla per le orecchie berlusconiane: “Sappiano lorsignori che il Pd, forte del risultato elettorale, non accetta giochi alla meno”. A proposito di risultato, Renzi ammette la sorpresa per il 40,8 per cento (“mi aspettavo il 35”). Infine, su Grillo: “L’atteggiamento del M5S è insopportabile, va a Londra a parlare con lo xenofobo (Farage, ndr) e non vuole discutere con noi”. Twitter @lucadecarolis GRILLO sbotta: “Ora ci prende pure per il culo” a bene abbassare i toni e riconoscere i propri erV rori, ma quando è troppo, è troppo. Farsi prendere per il culo come se dovessimo scontare una condanna a vita da cornuti e mazziati è troppo”. Beppe Grillo, o meglio il suo blog, reagisce così all’ultimo affondo di Matteo Renzi (“parlano con gli xenofobi e non con noi”): “Quando Renzi afferma che ‘il problema della corruzione sono i ladri, non le regole’ è troppo. Ma i ladri stanno (anche) nel tuo partito”. Vedasi la relativa foto di Orsoni con Pier Luigi Bersani. Il M5S accusa in sostanza il premier di lottare contro la corruzione solo a chiacchiere, mentre tenta in realtà di nascondere il coinvolgimento del Pd negli scandali. Non solo. La corruzione, per il blog, pare spiegare anche il risultato delle Europee : “Quanti voti sposta la corruzione? Tanti. Di tutti quelli che ne godono, anche di poche briciole gettate sotto il tavolo. Dopo l’astensione, la corruzione è il primo partito del voto”. Al netto dei brogli, ovviamente. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ieri a Napoli Ansa Francesco Boccia Riflessioni democratiche Francesco Boccia LaPresse “Incalza? Nei ministeri è necessario un ricambio” di Marco Palombi atteo Renzi, da Napoli, M fa un annuncio e un’ammissione: “Riformeremo su- bito il codice degli appalti” e negli scandali emersi in queste settimane “ci sono anche responsabilità del Pd”. Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, deputato democratico in rapporti non sempre semplici col premier (vedi il caso della cosiddetta web tax) stavolta sottoscrive tutto e fa di più: applica il teorema renziano alla realtà creata dalle inchieste. Col Fatto Quotidiano parla di tutto questo: dai possibili correttivi legislativi contro la corruzione negli appalti pubblici al potentissimo ras degli appalti del ministero delle Infrastrutture Ettore Incalza, dal caso Expo alle eventuali responsabilità del suo collega di partito, il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. “La prima cosa da fare – ci dice – è abolire gli appalti col massimo ribasso: solo con questo salterebbero molte delle conventicole italiane delle gare pubbliche”. Addirittura. Noi ora assegniamo le gare a chi offre di meno. Sa poi che succede? I prezzi salgono dopo l’appalto grazie al meccanismo delle cosiddette ‘riserve’, alle deroghe arbitrarie in cui magari si infilano anche le tangenti. È questo il meccanismo che viene fuori anche dalle inchieste su Expo o sul Mose per non citare che le ultime due. Invece il suo sistema cosa prevede. L’ente pubblico fissa il prezzo dei lavori che servono al pro- getto e assegna l’appalto all’azienda che gli dà di più: garanzie sulla qualità, per dire, oppure che sempre allo stesso prezzo costruisce un asilo o sistema una strada o che so io. Il di più, insomma, se lo deve prendere la collettività e non il politico o il funzionario pubblico. apicali delle amministrazioni centrali. Ogni volta che ne abbiamo proposto l’abolizione una grossa lobby accorre in difesa e affossa il progetto. Come funziona? Se è così semplice perché il massimo ribasso è ancora lì. Chi? Sono pezzi di Confindustria e del Parlamento, anche del Partito democratico, ma soprattutto è una certa alta bu- POLTRONE & PAPAVERI Volevamo abolire il ‘massimo ribasso’ negli appalti, ma l’alta burocrazia ci bloccava Lasciare troppi anni le stesse persone in quei posti non è sano rocrazia ministeriale coi suoi omologhi negli enti locali. Si riferisce a Ettore Incalza, il dirigente delle Infrastrutture di cui in prima pagina chiediamo lo spostamento? Non voglio fare nomi, ma posso dire che è evidente che non si può restare troppi anni nello stesso posto, specialmente se parliamo di poltrone Veniamo al caso Expo. Su questo voglio dire una cosa preliminare. La magistratura farà il suo lavoro, ora l’obiettivo è portare a termine i lavori. La proposta mia e di altri nel Pd è istituire un ‘Commissario di contratto’, magari nominato su proposta della stessa Autorità anti-corruzione. Se ci sono indagini gravi, magari con imprenditori o funzionari pubblici sottoposti a provvedimenti restrittivi, si nomina un commissario terzo: sarà lui a gestire l’appalto incriminato mentre la giustizia fa il suo corso. Questo vale in particolare per Expo: stiamo parlando dell’investimento infrastrutturale per singolo evento più rilevante dai tempi di Italia 90, un fatto di straordinaria importanza per il Paese: i ritardi e il rischio di fallimento sono intollerabili. E però ci sono entrambi e in una struttura, Expo, a sostanziale guida Pd. E per questo sono d’accordo con Renzi quando parla delle nostre responsabilità. I reati li accerterà la magistratura, ma le responsabilità politiche di questa situazione devono essere chiarite. Non è un mistero per nessuno che l’attuale governance di Expo 2015 sia vicina al Pd, in particolare a quello lombardo: è normale dunque che risponda politicamente al segretario del Pd, che poi adesso è anche il presidente del Consiglio Si riferisce all’Ad, Giuseppe Sala? Anche a lui. Il ministro Maurizio Martina, peraltro in ottimi rapporti con Sala, ha la delega a Expo da oltre un anno e anche lui è del Pd. Doveva controllare meglio? Guardi, io so che Sala e Martina sono due persone oneste, ma bisogna smetterla di nascondersi dietro la poca trasparenza. Voglio dire: qualcuno Angelo Paris (responsabile acquisti Expo, finito in carcere, ndr) lo avrà pure assunto; qualcuno sarà responsabile dei ritardi; qualcuno avrà motivato le gare assegnate in procedura d’emergenza. Per questo ho chiesto formalmente l’intero carteggio intercorso tra Martina e Sala in questi mesi: sono sicuro che così si EXPO 2015 È DEL PD I vertici della società sono vicini al partito e quindi vanno chiarite le responsabilità politiche: il carteggio tra il ministro Martina e l’ad Sala va pubblicato chiarirà di chi sono le responsabilità e se il partito intende davvero occuparsi della vicenda. Veramente al Fatto Quotidiano risulta che nessun carteggio del genere sia intercorso tra il ministro e Sala. Sarebbe davvero molto strano, sono sicuro che invece esiste e verrà reso pubblico. ECONOMIA il Fatto Quotidiano D ella Valle: ”Ho incontrato tre ministri deficienti” NELLA VICENDA della sponsorizzazione del restauro del Colosseo, che dura ormai da anni, Diego Della Valle ha incontrato “cinque ministri, di cui due bravi e tre emeriti deficienti.” Il patron della Tod’s lo ha detto in un dibattito ad Ancona. Poi ha parlato di uno dei suoi argomenti preferiti, la gestione di Rcs, l’editore del Corriere della Sera di cui è azionista. “È come Mission impossibile, ci vorrebbe Tom Cruise come amministratore delegato” ha detto. Mediobanca è un bene “che si sta disimpegnando dall’editoria come aveva detto”, a differenza di Fiat. Della Valle non vuole un’azienda con “una classe dirigente ar- DOMENICA 8 GIUGNO 2014 7 zilla e un po’ invecchiata”, una che “la mattina ascolta ancora Bazoli (cioè Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo). Ora si tratta di ripartire: è un’azienda che rappresenta un pezzo di cultura italiana. Servono proprietari che stiano indietro e un management efficiente". Aumento di capitale, gli ultimi segreti di Mps DAL PROSPETTO SI SCOPRE CHE I DERIVATI RESTANO UNA MINACCIA PER I CONTI DELLA BANCA: IL LORO VALORE POTREBBE ESSERE RIVISTO AL RIBASSO E ALCUNI CONTINUANO A CAUSARE PERDITE di Margherita Barbero A scorrere le 510 pagine del prospetto dell’aumento di capitale da 5 miliardi di Monte dei Paschi di Siena che partirà domani, l'operazione a tratti sembra una mission impossible. Solo che il protagonista non è Tom Cruise ma una banca che negli ultimi anni ha attraversato una fase tempestosa. L’ACQUISTO di Antonveneta, tra il 2007 e il 2008, a un prezzo fuori da ogni logica finanziaria e alcune operazioni spregiudicate con derivati dal nome esotico di Alexandria e Santorini, risalenti all'epoca del presidente Giuseppe Mussari, hanno pesato come sui conti, spingendo l'istituto di credito ad alzare bandiera bian- ca e invocare l'aiuto di Stato nel 2012, arrivato nella forma di 4 miliardi di obbligazioni chiamate Monti bond. Che ora, con l'aumento di capitale, la banca intende rimborsare per un valore nominale di 3 miliardi più i salati interessi (225 milioni solo da gennaio a luglio 2014). Garantisce il buon esito dell’iniezione di capitali un gruppo di istituti di credito capitanati dall'Ubs di Sergio Ermotti, storico amico del presidente di Mps, Alessandro Profumo. MA NON È DETTO che tutto fili liscio. “Nonostante sia previsto un impegno da parte dei garanti a sottoscrivere l’aumento - riporta il prospetto - qualora tale impegno dovesse venir meno per qualsiasi ragione, l’aumento potrebbe risultare eseguito solo in parte, comportando l’impos- sibilità di procedere al rimborso” dei Monti bond “nei termini assunti nell’ambito del piano di ristrutturazione” autorizzato dalla Commissione europea. Lo scenario estremo vedrebbe Mps pagare lo Stato non in contanti ma con la conversione in azioni di tutte le obbligazioni da 4 miliardi, circostanza che porterebbe il Tesoro dritto nel capitale con una maxi quota tra il 91 e il 77 per cento, a seconda del prezzo dei titoli. Se invece il gruppo senese dovesse riuscire, con l'aumento di capitale, a rimborsare i 3 miliardi nominali di Monti bond ma poi non fosse più in grado di restituire gli altri 1,071 miliardi, il ministero dell’Economia diventerebbe socio tra il 16 e il 18 per cento. Il prospetto lascia, inoltre, intendere che le operazioni Alexandria e Santorini, che hanno CATTIVE SORPRESE L’operazione Chianti Classico ha già prodotto un buco da 300 milioni nel 2013 e ora potrebbe costarne altrettanti avuto come controparti iniziali rispettivamente la giapponese Nomura e la tedesca Deutsche Bank, sono contabilizzate a bilancio nel modo più vantaggioso per la banca, cioè non secondo la classificazione di derivati “sintetici” (complessi). Ma “la modalità di rappresentazione contabile è all’attenzione degli organismi competenti”, che Mps deve trovare sul mercato 5 miliardi di euro Ansa “non si può escludere che forniscano indicazioni diverse, con possibili effetti negativi sulla situazione economica, patrimoniale e/o finanziaria”. Nel marzo 2013, Mps ha avviato due giudizi risarcitori dinanzi al Tribunale di Firenze nei confronti sia di Nomura sia di Deutsche Bank, con la quale però a dicembre ha raggiunto un accordo che ha sancito la chiusura “transattiva” dell'operazione Santorini. OLTRE AD ALEXANDRIA e Santorini, sui conti di Mps pesa anche “Chianti Classico”, un'articolata operazione immobiliare che lo scorso dicembre ha comportato per la banca il riacquisto di obbligazioni complesse che erano state vendute al grande pubblico. Dopo che nel 2013 è già costata 300 milioni, ora Chianti Classico potrebbe presentare un nuovo conto dello stesso importo legato a verifiche fiscali in corso. Una bella sbornia per il bilancio della banca guidata dall'amministratore delegato Fabrizio Viola. Viola, si legge nel prospetto, a causa degli impegni presi con la Commissione Ue, si è visto ridurre lo stipendio dai 3,5 milioni annui previsti dal suo contratto (stipulato nel 2012, quando già la banca non navigava in acque limpide) a 500 mila euro. Fortuna che Mps gli ha garantito, con il nome di “importo transattivo”, un premio di consolazione da 1,2 milioni in caso di “sottoscrizione di impegni vincolanti relativi all'aumento di capitale” oppure se la banca dovesse convertire in azioni i Monti bond. Non male come salvagente. Per Viola, naturalmente. 8 ALLE URNE DOMENICA 8 GIUGNO 2014 B ari, renziano favorito nel 2° turno dei veleni DECARO (49,7%) - DI PAOLA (35,7%) INCOGNITA ASTENUTI E M5S Il favorito dopo il primo turno è Antonio Decaro, candidato del centrosinistra costretto al ballottaggio per un soffio, con il suo 49,7 per cento. A contendergli la poltrona da sindaco è Domenico di Paola (centrodestra) che riparte dal 35,7 per cento del 25 maggio. Il divario di 15 punti e il Fatto Quotidiano 34mila voti sembra notevole, ma Decaro non dà la vittoria per scontata e punta ai voti dei grillini orfani di un loro candidato. Di Paola ha stigmatizzato “l’unione di fatto” tra M5S e Decaro ed è andato a caccia degli astenuti, visto che al primo turno ha votato solo il 67 per cento degli elettori. Gli ultimi giorni di campagna elettorale sono stati tesi, tra querele e accuse sui social network. LIVORNO, NEL FORTINO ROSSO M5S TIFA PER L’AUTOGOL DEL PD NEL CAPOLUOGO TOSCANO INDIFFERENZA PER IL BALLOTTAGGIO DI OGGI, MA ANCHE LA VOGLIA DI FARE UN DISPETTO A RENZI. E IL 5 STELLE NOGARIN CI CREDE di Alessandro A VOTO STORICO Ferrucci Quello di oggi è il primo ballottaggio a Livorno dopo 70 anni di giunte rosse Ansa Livorno gli scogli sono pieni, tutti al mare, tutti ad abbronzarsi, un bagno, un gelato, poi una corsa sul lungomare verso l’imbrunire. Del ballottaggio di oggi “chi se ne frega” è la risposta più comune “sono affari loro”, la seconda per preferenza, “ora sono cacchi del Pd, qui rischia di vincere realmente il grillino”, la terza in classifica, quella più sibillina, spesso conclusa con un “vada a chiedere a quelli”, sottintesi i democratici. ECCO i presunti colpevoli, basta parlare con loro per avvertire le teste chine, le facce cupe, i toni bassi, il sudore sulla fronte ben oltre i trenta gradi di questi giorni: sono pervasi dal dubbio di poter rappresentare l’unico vero schiaffo del trionfo renziano. E lo stesso Matteo Renzi non si è presentato in città. “Sarebbe una catastrofe – spiega un dirigente del Pd – Forse ci farebbe bene, visto cosa siamo stati in grado di produrre”. Cosa? “Dall’inizio ci siamo divisi in correnti, in gruppi bravi a lottare tra loro, convinti di poter vincere comunque”. E invece no. “Abbiamo bruciato una lunga serie di possibili candidati, senza un particolare mo- ORA ALLEATI Con il candidato del Movimento tutti gli altri partiti, compresa una lista civica, ex costola dei Democratici Filippo Nogarin (M5S) Ansa Marco Ruggeri (Pd) Ansa tivo, tutti compagni (qui si definiscono ancora tali) molto validi. Vada a vedere i dati specifici”. l’era berlusconiana, finiti gli anni di barricate contro quella destra becera, una lotta giocata su più piani, anche quello della goliardia, è giusto esprimere con il voto cosa realmente pensiamo del nostro partito”. In particolare? “Il vuoto. L’assenza. Giochi di potere, il menefreghismo misto a incapacità. La sottovalutazione dell’importanza culturale, nessuno ha mai coinvolto le poche testa pensanti rimaste. E poi è stata sbagliata tutta la campagna elettorale, compreso il confronto finale, e con un grillino che non è neanche di Livorno!”. Anche questo è vero. Filippo Nogarin è un 44enne inge- I DATI RACCONTANO: due settimane fa il partito di Renzi ha conquistato il 53 per cento alle Europee, mentre il candidato sindaco Marco Ruggeri si è fermato al 39; a pochi chilometri, nel comune di Collesalvetti, una sorta di paesino-satellite per Livorno, il Pd ha trionfato con il 60 per cento. Tradotto: la questione è cittadina “e adesso possiamo guardarci realmente in viso – spiega Emilio, cinquantenne livornese da sempre di sinistra, anzi comunista – perché chiusa gnere aerospaziale nato e cresciuto a Rosignano, pochi chilometri dalla città toscana: al primo turno ha raggiunto il 19 per cento pari a 16mila voti. In teoria pochi. In teoria, però. LA PRATICA racconta altro, racconta una conta generale nella quale vanno sommati tutti i partiti differenti dai democratici, uniti e d’accordo nella scelta di oggi verso il grillino, dalla destra fino alla sinistra, per passare dalla lista cittadina costola dei democratici. Il programma non interessa, è secondario, conta solo schiaffeggiare il monopolio politico. “Vuole un simbolo di quanto PADOVA “Meno tasse”, la promessa Dem La Lega soffia sull’effetto Mose di Davide Milosa a un lato il candidato del centrosinistra, dall’altro una D Lega d’assalto. Padova oggi torna al voto per decidere il suo nuovo sindaco. Sarà battaglia all’ultima preferenza, visto a Ivo Rossi. È inutile che il Partito Democratico continui a ripetere come un refrain che Orsoni non è del Pd. Gli sventolatori delle manette adesso si rendono conto che è capitato a loro”. Rossi risponde chiedendo le dimissioni del governatore del Veneto Luca Zaia. Insomma, lo scontro è aperto, e il risultato in bilico. che il primo turno ha consegnato a Ivo Rossi (Pd), sindaco reggente subentrato a Flavio Zanonato, un deludente 33,76 per cento. Appena un paio di punti sopra al 31,42 per cento del IL CENTROSINISTRA scommette sulla detassazione. Al centro senatore del Carroccio Massimo Bitonci, già sindaco del co- l’addizionale Irpef. Obiettivo: arrivare alla detassazione del 50 mune di Cittadella A dare l’appoggio ufficiale a Rossi ha prov- per cento dei cittadini di Padova. Rossi si spinge oltre e spera di veduto ilministro degli Affari Esteri, Federica Mogherini: arrivare alla riduzione del 25 per cento dell’Imu a carico dei “Penso sia importante che il Partito Democratico porti questa genitori che diano l’abitazione in comodato gratuito ai figli. voglia di cambiare anche a livello locale”. Dal canto suo Bitonci Rossi punta al portafoglio, mentre Bitonci scommette sulla tragioca all’attacco. “Pensavamo che non saremmo arrivati nem- sparenza e sulla legalità, proponendo di nominare subito “un meno al ballottaggio e invece adesso siamo qui che ci gio- assessore all’opposizione” perché, spiega, “noi non abbiamo chiamo la liberazione di Padova”. E ancora: “È stata una cam- paura di essere controllati ne vogliamo che tutti i padovani si pagna elettorale bella perché ho conosentano rappresentati anche quelli che sciuto il vero lato pulito della politica, non hanno votato per noi”. L’attegnon quella della tangentopoli che ha giamento di Bitonci è chiaro: andare decapitato il Pd. Io non sono andato a alla caccia dei voti dei Cinque stelle. cena con nessuna delle persone arreMentre Ivo Rossi, dopo aver siglato state”. Riferimento diretto all’inchiesta l’apparentamento con la lista ambiensul Mose. La Lega prende fiducia dopo talista Padova 2020 di Francesco Fiore, il grande risultato del primo turno e ha incassato il sì di Scelta Civica e Parpoliticamente cavalca la nuova tangentito socialista. Niente accordo elettotopoli veneta. “Renzi - ha detto Bitonci rale, invece, con Rifondazione ComuDa sin., Ivo Rossi (Pd) e Massimo Bitonci (Lega) nista. - non vuole mettere la sua faccia vicino sta accadendo? È l’ospedale cittadino”. Anche in questo caso sono due le fazioni e rispecchiano esattamente lo stato del ballottaggio: da una parte i democratici, soli e certi sulla necessità di costruirne uno ex novo; dall’altra il “gruppone” altrettanto convinto di dover ristrutturare l’esistente. “SE IL PD perde sono cacchi anche per quell’affare – insiste Giancarlo, 60 anni, iscritto ai democratici – E sono soldi, tanti, con alcuni noti già pronti a sorridere quando c’è solo da piangere. In città non c’è lavoro”. Specialmente da quando le controllate statali non danno più da mangiare, o il porto non esprime più la forza di un tempo. “Per fortuna ci s’ha il mare – continua Giancarlo – Comunque nel comizio finale, piazza Attias era piena di grillini”. E sul suo volto scatta un sorriso complice: magari a accade come a Roma, con piazza San Giovanni colma, le urne meno. Magari il grillino arriva vicino al 50 per cento, spaventa e non vince; magari i democratici si svegliano e non vivono sulla tranquillità del successo a prescindere. Magari, però. Perché a Livorno, d’estate, nulla è certo: tranne il desiderio di andare al mare. Twitter: @A_Ferrucci Bergamo, dove Gori spera di fare il Matteo TRE PUNTI APPENA di distacco. A Bergamo dovranno attendere fino allo spoglio dell’ultima scheda per sapere se continuerà il governo cittadino del centrodestra e del sindaco uscente Franco Tentorio appoggiato dalla Lega Nord, oppure l’assoluta novità, per questa terra, del centrosinistra e del suo candidato, l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori (prima vicinissimo a Renzi) che al primo turno si è piazzato in testa con il 45,5 per cento. “Il risultato è estremamente positivo, non era per niente scontato - commenta Gori - perché abbiamo a che fare con un sindaco uscente in una città che ha tradizioni di centrodestra. Questo risultato ribalta completamente quello di 5 anni fa, quando il centrodestra vinse al primo turno. Siamo avanti in modo abbastanza consistente: non c'entra il trascinamento delle Europee". Tentorio, infatti, è subito dietro con il 42,1 per cento. Un risultato che in questa tornata ha sofferto del generale calo elettorale fatto segnare dal Carroccio. Un ineTentorio (Lega) dito per queste zone padane. Nel secondo turno di oggi non ci saranno apparentamenti. Il tesoretto di voti più cospicuo è quello del Movimento Cinque Stelle (8,2 per cento) che però non darà indicazioni di voto. Intanto gli ultimi scampoli di campagna elettorali si sono consumati sulle accuse, sollevate dalla Lega, alla famiglia Gori-Parodi di aver avuto indebiti sconti Gori (Pd) sull’Imu. ALLE URNE il Fatto Quotidiano Pmaavia, Fi avanti il centrosinistra conta sui riservisti CATTANEO (46,5%) - DEPAOLI (36,5%) DEM CONTRO IL ROTTAMATORE AZZURRO Il centrodestra parte in vantaggio, con il sindaco uscente Alessandro Cattaneo (Forza Italia) forte del 46,5 per cento dei consensi al primo turno. L’avversario è Massimo Depaoli (Pd, a sinistra nella foto, ndr), che parte dal 36,5 per cento. Per vincere, entrambi hanno bisogno di DOMENICA 8 GIUGNO 2014 9 riportare alle urne gli elettori che li hanno sostenuti il 25 maggio, ma soprattutto devono convincere il 7,5 per cento di pavesi che ha votato il candidato 5Stelle Giuseppe Polizzi. Depaoli, poi, dovrà puntare sugli oltre 4mila cittadini che alle Europee hanno votato Pd (primo partito in città con uno storico 42 per cento) ma alle Comunali non lo hanno scelto. Addio Partitone e motori Modena non romba più IL DEMOCRATICO MUZZARELLI DOVREBBE SPUNTARLA SUL GRILLINO APPOGGIATO DA CARLO GIOVANARDI. MA SI APRIRÀ COMUNQUE UN’ALTRA STAGIONE di Emiliano P CIVITAVECCHIA Torna Tidei? I pm, le risse e i voti spariti di Loredana Di Cesare ulla sfida tra Pd e M5S, per il ballottaggio di CiS vitavecchia, c’è già l’ombra dell’annullamento. Il clima è caldissimo, tra errori nel conteggio dei voti al primo turno, schede contestate, ricorsi al Tar, candidati finiti al pronto soccorso e un’inchiesta della magistratura che indaga sui lavori al porto. In fondo, qui a Civitavecchia, va in scena anche la sfida tra il vecchio contro il nuovo. Il vecchio è rappresentato dal sindaco uscente Pietro Tidei, Pd, ex deputato (ora alla Camera c’è la figlia Marietta), alle spalle già tre mandati da sindaco, mentre il nuovo sarebbe Antonio Cozzolino del M5S che - per una manciata di voti (circa 40) - l’ha spuntata su Massimiliano Grasso dell’Ncd di Angelino Alfano e potrebbe sedersi per la prima volta sulla poltrona più alta di Palazzo del Pincio. CIVITAVECCHIA è il solo comune del Lazio - e tra gli 11 in Italia - in cui il Movimento 5 Stelle arriva al ballottaggio. E in queste due settimane di rovente campagna elettorale non sono mancati i colpi di scena. Uno su tutti: la procura di Civitavecchia iscrive nel registro degli indagati nove persone. I titolari delle ditte che lavoravano alla costruzione delle banchine portuali sono accusati di frode nelle pubbliche forniture per un valore di 130 milioni di euro. Secondo l’accusa, i materiali usati sono scadenti e non rispondenti al capitolato della gara d’appalto. Non solo. La magistratura potrebbe avviare un’altra indagine per le “numerose incongruenze” riscontrate dal magistrato della corte d’appello di Roma nella verifica dei verbali delle sezioni elettorali: incongruenze che riguardano il 50 per cento delle sezioni. Tradotto: i voti Cozzolino (M5S) non tornano. Nel frattempo, il candidato del Nuovo Centrodestra, Grasso che non si arrende alla sconfitta - ha presentato un ricorso al Tar per il riconteggio delle schede elettorali. E per finire, il caso tutto da chiarire, accaduto ieri, alla vigilia del voto: due esponenti del Pd accompagnati al pronto soccorso dopo un’accesa discussione con alcuni Tidei (Pd) esponenti di Sel finita in rissa. Liuzzi iù che la paura dell’avversario, in questi giorni, ha prevalso quella per il senatore Carlo Giovanardi, già candidato alla corsa, un grande serbatoio elettorale che negli anni ha raccolto, uno a uno, tanti voti. Lui allegramente lo chiama l’ambulatorio dove riceve i pazienti, che poi sono gli elettori. Siamo in quella che fu la rossissima Modena e che oggi vive una crisi d’identità: non è più rossa, ma non è più neppure la casa dei motori, perché la Maserati è stata smantellata e Maranello non è più quel gioiello che brillava ai tempi di Enzo Ferrari. Non è nemmeno, caso più unico che raro, renziana, perché la candidata che voleva il presidente del consiglio è stata fatta fuori alle primarie, voto seguito da polemiche ed esposti in procura. UN GRANDE pasticcio, Mo- dena, che oltre a essere terra di donne e motori, sarebbe anche la casa di Stefano Bonaccini, responsabile delle politiche locali del nuovo corso Pd, uno dei funzionari più vicini all’ex sindaco Renzi. Ma Bonaccini, che non ha brillato fino a oggi nel suo nuovo incarico e non lo ha pefatto di vedere tante personalità in giro per il Paese che nei ballottaggi tra i 5 stelle e la sinistra scelgono i 5 Stelle. Francamente per me è inconcepibile. Siamo al governo con Renzi, quale senso ha giocare allo sfascio appoggiando i 5 Stelle?”. Niente da fare. Giovanardi è rimasto sulla sua linea. L’INCUBO per il partito di Gian Carlo Muzzarelli (Pd) Ansa Marco Bortolotti (M5S) fatto neppure in epoche precedenti, ha fallito anche a Modena dove sembrava essere addirittura il candidato naturale. Poi Renzi lo ha chiamato a Roma, ma non sappiamo quanto ci rimarrà: il Pd è una gioiosa macchina da guerra a livello nazionale, almeno a leggere i risultati delle elezioni, ma nelle città sembra un motore a scoppio molto accrocchiato - avrebbe detto il Diego Abatantuono di Marrakesh Express - e in cerca di una stabilità. Così al ballottaggio si trovano Gian Carlo Muzzarelli, assessore regionale dell’Emilia Romagna, braccio destro di Vasco Errani, e il candidato del Movimento Cinque stelle, Marco Bortolotti. Muzzarelli non ce l’ha fatta per un soffio, si è fermato al 49,7 per cento. Ma la sua è già una mezza sconfitta, Modena non era la città abituata a fare doppie tornate elettorali. Alla fine dovrebbe farcela, a meno di colpi di scena. DICEVAMO Giovanardi. Il senatore con l’ambulatorio si è già scoperto a favore del candidato del Movimento 5 stelle: “È il male minore”, ha detto. “Ha poco del grillino: è cattolico e si esprime in modo educato”. Una scelta non apprezzata dal leader dell’Udc, Pierferdinando Casini: “Io sono un po’ stu- Renzi si chiama Parma. Anche lì due anni fa il centrodestra, prima del ballottaggio, si riposizionò a favore di Pizzarotti. Certo i numeri erano diversi (il Pd con Bernazzoli si era fermato al 34,3%) e la città arrivava da un’amministrazione disastrosa targata Forza Italia. Ma è anche vero che in una roccaforte rossa come Modena, in oltre mezzo secolo, non si era mai vista una situazione del genere. È la prima volta che il centrosinistra è costretto ad affrontare un ballottaggio. Dato ancora più significativo, se si confronta il 49 per cento guadagnato dalla lista di Muzzarelli con il 55 per cento raccolto a Modena dal Pd per le Europee. Circa 6 punti in meno, risultato di una campagna elettorale iniziata con primarie al veleno e dove hanno pesato soprattutto i dissidi interni al centrosinistra. LISTA TSIPRAS Spinelli ha deciso: andrà a Strasburgo. Sel fuori di Tommaso Rodano lla fine dell’ennesima giornata di patemi, Barbara Spinelli ha reso ufficiale A la scelta di accettare il seggio al Parlamento europeo. Lo ha fatto con una lettera inviata alla lista Tsipras decidendo di optare per il Centro e quindi lasciando fuori il candidato di Sel, Marco Furfaro. “Ho molto meditato quel che dovevo fare, scrive Spinelli, ma “ritorno sulle mie decisioni: accetterò l’elezione al Parlamento europeo, dove andrò nel gruppo Gue-Sinistra Europea”. Nonostante avesse dichiarato di non voler andare a Strasburgo, “la quantità di preferenze” ottenuta, circa 78 mila, ma anche il fatto “che la situazione politico-elettorale stava precipitosamente cambiando” ha indotto il ripensamento. Spinelli pensa a un impegno per un Parlamento europeo “costituente” che “dovrà lottare accanitamente contro lo svuotamento delle democrazie e delle nostre Costituzioni”. A convincere la figlia di Altiero Spinelli è stata “anche la lettera di Alexis Tsipras” ai molti “che sono delusi” risponde che “i patti si perfezionano per volontà di almeno due parti e gli elettori il patto non l’hanno accettato, accordandomi oltre 78.000 preferenze”. Infine, la scelta del collegio, quello del Centro, “è il mio collegio naturale, la mia città è Roma. È qui che ho ricevuto il maggior numero di voti. A Sud non ero capolista ma seconda dopo Ermanno Rea, e da molti verrei percepita come ‘paracadutata’ dall’alto”. Un grazie a Marco Furfaro “certa che i tanti elettori di Sel, battutisi con forza per la nostra Lista, approveranno e comunque accetteranno una scelta che è stata molto sofferta”. LA LETTERA ARRIVA dopo la conclusione dell’assemblea nazionale dei comitati della Lista Tsipras, circa 300 persone nella sala Umberto di Roma. Assemblea che non sa ancora della lettera ma che si basa sulle voci dei giorni scorsi. Tra le quali, l’annuncio fatto nel pomeriggio da Curzio Maltese alla festa di Repubblica “Barbara andrà, meglio lei di Iva Zanicchi” dice. La riunione quindi si trasforma in un “processo”. Dal palco, Guido Viale si limita ad annunciare che “Barbara Spinelli deciderà da sola, in modo unilaterale, per quale circoscrizione opta- Barbara Spinelli, eletta nella lista Tsipras Ansa re”. E quindi quale dei due partiti escludere dal Parlamento Europeo. Una scelta non apprezzata dall’assemblea che alla fine decide di adottare un documento polemico nei confronti della sua capolista: “Abbiamo contribuito con grande fatica e non pochi sacrifici a dare corpo e gambe a questo progetto (...) ora appartiene a tutti noi, non solo al comitato operativo, non ai soli candidati, non ai soli garanti (...) Per questo chiediamo che le scelte e le responsabilità vengano prese nella consapevolezza del fatto che sono parte di un processo collettivo”. Traduzione: “Barbara Spinelli non può decidere da sola, a nome di tutta la Lista Tsipras”. Alla fine, la lettera. Che ha già cominciato a far discutere, polemizzare, litigare. Il destino beffardo della sinistra italiana. 10 UN GIORNO IN ITALIA DOMENICA 8 GIUGNO 2014 Sinfusione tamina, a Brescia a buon fine per Federico OTTAVA INFUSIONE col metodo Stamina andata a buon fine per il piccolo Federico Mezzina, 3 anni, affetto dal morbo di Krabbe, una rara malattia degenerativa. A operare il bambino di Pesaro, presso gli Spedali Civili di Brescia, la biologa Erica Molino assieme al “commissario ad acta” e vicepresidente di “Stamina Foundation” Marino Andolina. Forti proteste sia dalla comunità scientifica, che ritiene il metodo Vannoni troppo pericoloso per essere testato sui pazienti, sia dal mondo della politica con il capogruppo al Senato del Pd Luigi Zanda che ha invocato l’in- “Quei 5 milioni l’anno nelle casse dei casalesi” tervento del ministero della sanità. L’operazione, andata a buon fine, è durata circa un’ora e Marino Andolina al termine ha dichiarato che tutto è si è svolto senza alcun problema. Duro Michele De Luca del Centro di Medicina Rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia: “Mai il Fatto Quotidiano visto un giudice che nomina commissario ad acta un indagato accusato di truffa, che è anche vice presidente dell’ente per cui è indagato, e che si autorizza da solo a praticare le stesse infusioni per cui è indagato” G. F. Gay Pride a Roma IL BOSS DI GOMORRA, ANTONIO IOVINE, DEPONE DA PENTITO PER LA PRIMA VOLTA NEL PROCESSO SULLE INFILTRAZIONI NEGLI APPALTI E NELLA POLITICA DI VILLA LITERNO: “GIRAVANO FIUMI DI SOLDI” di Vincenzo P Iurillo Napoli er qualche minuto il sonoro fa le bizze. Un tecnico sistema il microfono e poco dopo le 10 il boss di Gomorra Antonio Iovine, ripreso di spalle, può finalmente iniziare a deporre per la prima volta da pentito. Aula di Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), ma è una scelta logistica dovuta alla migliore qualità degli impianti per la videoconferenza. Infatti non si processa un omicidio, ma le infiltrazioni della camorra negli appalti e nella politica di Villa Literno. Tra gli imputati l’ex sindaco Pd Enrico Fabozzi, tuttora consigliere regionale della Campania, e diversi imprenditori. Il pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro, che insieme al collega Cesare Sirignano ha convinto Iovine a collaborare con la giustizia, gli rivolge una serie di domande. ‘O Ninno parla. E chi lo ferma più. cuni lavori a Caserta, e i “10 euro a metro di tubo” pretesi da ‘O Ninno’ per la metanizzazione dell’agro aversano. In un sistema dove “erano gli imprenditori a cercare noi per gli appalti, noi aspettavamo che loro facessero il primo passo, erano loro a scegliere il boss di riferimento”. E dove truccare le gare non era un problema. “Il responsabile dell’ufficio tecnico la sera prima della lettura delle buste si adoperava ad aprirle prima”. A quel punto “gli imprenditori che io indicavo inserivano la busta con il ribasso giusto. Aperte le buste, e fatti i conteggi” veniva assegnato l’appalto. Prima di evocare il fruscìo delle banconote, Iovine racconta i delitti di cui si è macchiato. Omicidi, numerosi omicidi, talmente tanti “che non li ricordo tutti”. Si è pentito, dice, “per dare una svolta L’arresto di Antonio Iovine LaPresse BUSTE PAGA Il camorrista racconta la distribuzione del denaro: “Ricevevo 100 mila euro al mese per me e per pagare gli stipendi ad altri dieci” alla mia vita e un futuro migliore alla mia famiglia”. E risale alla storia del clan dei Casalesi, al periodo della sua affiliazione, avvenuta il giorno dell’uccisione di Ciro Nuvoletta con il classico rito della ‘pungitura’ davanti ad Antonio Bardellino e Vincenzo De Falco. Era l’epoca dello scontro tra i corleonesi, la mafia siciliana alleata dei Nuvoletta, e i Casalesi. I siciliani chiesero PARLA PER PIÙ di quattro ore, Iovine. Parla di soldi. Di molti soldi. Di un fiume di denaro da far girare la testa, che confluiva nella ‘cassa’ del clan dei Casalesi e nelle sue tasche. Circa 400.000 euro al mese in entrata (ovvero 5 milioni all’anno). Di cui 100.000 euro per se stesso e per pagare gli stipendi delle circa dieci persone che a turno lavoravano per proteggere i suoi 14 anni di latitanza dorata conclusi nel 2010. Poi c’è il ricordo di 250 milioni delle vecchie lire presi per “sistemare una situazione”, e quello più recente dei 25.000 euro mensili che per anni l’imprenditore del casertano Malinconico avrebbe versato a Iovine “per non avere alcun tipo di fastidio” tanto che tra i due sarebbe esistita una società di fatto, li andava a prendere un collaboratore del boss, “mi doveva ancora 130.000 euro ma mi hanno arrestato e ho avuto qualche problema”. “Malinconico negli anni mi ha dato in totale circa 2 milioni di euro”. “Nei verbali della collaborazione iniziata il 13 maggio lei ha detto circa 2 milioni e mezzo, tre” lo corregge il pm. Eppoi i 600.000 euro finiti nella disponibilità della camorra per un maxi appalto da 15 milioni di euro a Villa Literno, “il clan Bidognetti ne ha avuti 300.000, gli altri 300.000 sono andati nei miei conti con Nicola Schiavone”, ed altri “400.000 euro trattati con Nicola Schiavone” per al- IN PIAZZA ANCHE IL SINDACO MARINO Ieri si è tenuta a Roma la ventesima edizione della manifestazione dedicata all'orgoglio gay. Tra i partecipanti, anche il leader di Sel, Nichi Vendola e il sindaco della Capitale Ignazio Marino, accolto tra gli applausi ma anche dai fischi LaPresse ad Antonio Bardellino di ammazzare Tommaso Buscetta. Bardellino si rifiutò, e finì a sua volta nel mirino e fu ucciso in Brasile. IOVINE ricorda la sua amici- zia con l’altro superboss Michele Zagaria, che i suoi figli chiamavano ‘Zio Angelo’, tra vacanze insieme in Europa da latitanti e le successive incomprensioni nella gestione dei business. Poi su sollecitazione del pm ‘O Ninno’ inizia a scoperchiare il pentolone rancido dei rapporti con la politica: “Nicola Ferraro (ex consigliere regionale Udeur, ndr) era colui che ci permetteva di chiedere e ottenere a Caserta, in Provincia, in Regione, nell’Asl, per risolvere qualsiasi problema”. “A San Cipriano d’Aversa il sindaco Martinelli era seguito e gestito dal cugino e da Giuseppe Cate- IL NETWORK ‘O Ninno’parla anche di politica: “Ferraro (ex Udeur) ci permetteva di risolvere problemi a Caserta, in Regione e nell’Asl” rino, anche i bambini sapevano che il vero sindaco era 'Peppinotto'”. “A Casapesenna Michele Zagaria ha lottato per mettere un ‘suo’ sindaco”. Il processo riprende venerdì 13 giugno con il controesame degli avvocati difensori. Ma già domani Iovine ricomincia a parlare. A Napoli, al processo per le minacce a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione. LA RELAZIONE TECNICA La Concordia inquinerà ancora il Giglio di Giulia Merlo postare la Costa Concordia non è sicuro al cento S per cento perchè, nel viaggio, quasi certamente rilascerà in mare sostanze inquinanti come acque in- terne contaminate, prodotti chimici e idrocarburi. Ad ammettere i rischi per l’ambiente durante lo spostamento del relitto, naufragato ormai 2 anni e mezzo fa davanti all’Isola del Giglio, è la stessa compagnia Costa Crociere nella relazione tecnica dal titolo “Progetto di trasferimento e smaltimento”, in cui la compagnia descrive modi, tempi e pericoli del trasferimento della nave a Genova. Anche se solo potenziale, insomma, il rischio di inquinare una seconda volta le acque del mar Tirreno è presente e certificato e questo proprio alla vigilia della stagione turistica. Il sindaco dell’Isola del La Costa Concordia Ansa Giglio, Sergio Ortelli, si dice “sbigottito” sia per le possibili conseguenze ambientali che per la mancanza di tempismo: “Costa Crociere, non curandosi affatto delle ripercussioni che gli annunci fatti fuori dalle sedi opportune possono avere per l’economia della nostra isola, prosegue la sua corsa in solitaria. Chiedo l’immediato intervento del governo”. ORMAI, PERÒ, il danno è fatto. E a poco valgono le ulteriori precisazioni del progetto di Costa Crociere che, per minimizzare il pericolo - definito di “lieve entità” - prevede “misure di mitigazione”. Panne assorbenti attorno al relitto, uno skimmer di recupero olio e una rete da pesca a poppa del relitto per recuperare i materiali che cadranno dallo scafo, tenuta in tensione da due imbarcazioni: queste le precauzioni che fanno ritenere ai tecnici della compagnia che “gli impatti ambientali connessi al proIL DOCUMENTO getto di trasferimento del relitto della Costa ConcorLa Costa Crociere dia al porto di Genova Voltri, possano essere considecertifica i rischi dello rati temporanei e poco sispostamento della nave gnificativi”. Anche l’Osservatorio per dall’Isola del Giglio: l’ambiente della regione rilascerà in mare acque Toscana attacca il documento, non tanto per il contaminate e petrolio tempismo quanto perchè “carente”: non contiene infatti un piano di gestione del rilascio delle sostanze inquinanti né la valutazione dell’impatto della rotta scelta sulle diverse aree sensibili che saranno attraversate e nemmeno la previsione del rischio di eventi accidentali. Il progetto reso pubblico da Costa Crociere scontenta proprio tutti in Toscana, anche per la scelta del porto di Genova come sede dello smaltimento del relitto. Un appalto da 600 milioni di euro che fa gola a molti scali italiani e europei (in Turchia, ad esempio, davano quasi per scontato l’arrivo dello scafo). A Piombino, per dire, città prostrata dal recente spegnimento dell’altoforno, speravano che la scelta ricadesse su di loro: l’attracco toscano - si legge nel documento della Costa - “non è idoneo” perchè mancano le infrastrutture necessarie e realizzarle significherebbe ritardare ancora il disarmo della Concordia. Senza considerare che Genova è anche una sede più economica. “Esiste ancora un governo che deve fare le valutazioni di impatto ambientale oppure è Costa a decidere tutto da sola? Lo Stato intervenga”, ha commentato il presidente della regione Toscana Enrico Rossi. Il commissario per l’emergenza, Franco Gabrielli, ha tentato di mettere pace ribadendo che l’interesse generale è “portare lontano dal Giglio la Concordia al più presto e nella massima sicurezza ambientale e lavorativa possibile”. Senza campanilismi e con la massima serenità, ha detto il Commissario. Serenità che, se mai c’è stata, i gligliesi hanno perduto nel momento stesso in cui è stata data la notizia dei rischi. il Fatto Quotidiano GIOVEDÌ SI PARTE 11 DOMENICA 8 GIUGNO 2014 È ora. Il 12 giugno alle 17 (ore 22 in Italia) a San Paolo di Brasile-Croazia, match inaugurale del Mondiali 2014. L’Italia di Prandelli esordirà sabato 14 contro l’Inghilterra a Manaus (alle 18 in Amazzonia, mezzanotte in Italia). La finale si giocherà il 13 luglio al Maracanã PRONTI, VIA LE FAVORITE Tutti a caccia di Brasile, Spagna e Argentina di Roberto Beccantini i sono tutte le NazioC nali che l’hanno vinto. Dal Brasile, cinque volte campione, all’Italia che lo fu in quattro occasioni; poi la Germania (tre), l’Argentina e l’Uruguay (due), quindi Inghilterra, Francia e Spagna (una). Si torna in Brasile dopo l’edizione del 1950. » a pag. 12 PALLONE IN CRISI C’era una volta l’allegria dei Mondiali di calcio di Oliviero Beha allegria non è mai L’ stupida, verseggia il poeta sulle tracce dell’alle- gria francescana cui fa riferimento spesso Papa Bergoglio tifoso del San Lorenzo e del calcio. Allegria che era, dovrebbe essere e non è più un festival pallonaro come i Mondiali. Vi pare infatti che sia allegro, porti gioia di vivere, sia una promessa di felicità? Credo proprio di no. » a pag. 13 CALCIO E POLITICA La prima volta del Sudamerica “in borghese” di Maurizio Chierici a novità della Coppa L del mondo è un’America Latina in borghese, finalmente governi senza divise e polizia che contengono e non schiacciano le proteste. Che non si spengono: rabbia dei 45 milioni di senza niente, neanche l’acqua in casa. Non sopportano i capitali “sperperati” nello splendore dei 12 campi da gioco che galleggiano come astronavi. » a pag.18 La Coppa del mondo. Elaborazione grafica di Diana Panio 12 I NUMERI DEL 2014 Il Mondiale brasiliano sarà il ventesimo della storia. Si giocheranno il titolo 32 squadre, divise in 8 gironi Ottavi di finale a partire dal 28 giugno 100 I MATCH TEDESCHI LUNEDÌ CONTRO IL PORTOGALLO Germania a quota cento. Poi toccherà al Brasile, a meno 2 Un Gran ballo per tutte le Regine IN BRASILE NON MANCHERÀ NESSUNA DELLE OTTO NAZIONALI CHE HANNO VINTO ALMENO UN TITOLO. IN PRIMA FILA I PADRONI DI CASA, ARGENTINA E SPAGNA. L’ITALIA AI PIEDI DEL PODIO, ACCANTO A GERMANIA, URUGUAY E INGHILTERRA. LA DIFFERENZA? LA FARANNO I PORTIERI di Roberto Beccantini C i sono tutte le Nazionali che l’hanno vinto. Dal Brasile, cinque volte campione, all’Italia che lo fu in quattro occasioni; poi la Germania (tre), l’Argentina e l’Uruguay (due), quindi Inghilterra, Francia e Spagna (una). Si torna in Brasile dopo l’edizione del 1950, quando l’Uruguay di Obdulio Varela, Pepe Schiaffino e Alcides Ghiggia firmò una delle imprese più romanzesche nella storia dello sport. Quel 2-1 al Maracanà andò al di là, molto al di là, del campo, trasformando la partita in una sentenza e la sconfitta in un ergastolo. I Campionati europei sono democratici, come documentano i successi di Danimarca e Grecia. Il Mondiale, viceversa, è più selettivo. Diciannove puntate, otto regine. Ultima, la Spagna, sul cui regno non tramonta più il sole: campione d’Europa nel 2008, del mondo nel 2010, d’Europa nel 2012. Dal torello e dal falso nueve a un centravanti che ha tradito persino la sua terra, pur di esserci: Diego Costa, brasiliano di sangue. O lui o Llorente: lui. Il mio podio è Brasile, Argentina, Spagna. Il Brasile perché gioca in casa, e poi perché è allenato da Felipe Scolari, ct di radici italiane e scuola italianista. C’era proprio Scolari, nel 2002, quando Ronaldo, con otto reti, condusse la Seleçao al trionfo. Oggi, il Brasile è di Neymar. Viene da una stagione un po’ così al Barcellona, e persino Tostao, mitico centravanti del ’70, gli ha rimproverato una certa qual propensione per il “teatro”. Traduzione: adora i tuffi. Il Brasile è un mix di argenteria e lucchetti. Pier Paolo Pasolini ne cantò la poe- sia del dribbling, preferendola al calcio tutto prosa delle officine europee. Le distanze si sono ridotte. Leo Messi guida l’Argentina. Un’Argentina così ricca di obici da lasciare a casa addirittura Tevez, l’Attila juventino. Maradona ne aveva (quasi) 26, di anni, allorché alzò la Coppa a Città del Messico, la Pulce va per i 27: se non ora, quando? Il problema è la fase difensiva, portiere incluso. Sabella è un commissario da ristorante fuori porta, non da nouvelle cuisine. Il tango argentino è molto fisico, non meno delle marcature che praticano i suoi ballerini. A differenza del samba brasileiro, danza spensierata, di gruppo, a zona. Del Bosque e la Spagna dovranno misurarsi anche con la legge dei grandi numeri cara agli dei. Soltanto il Brasile di Pelé e l’Italia di Meazza hanno vinto due Mondiali consecutivi. Gli spagnoli vi arrivano come dittatori assoluti, tra Nazionale e squadre di club: il Siviglia ha conquistato l’Europa League e il Real ha strappato la Champions all’Atletico. Subito dopo, piazzo la Germania. I tedeschi sono i secchioni del calcio e vantano il più alto numero di finali e finaline. Hanno raffinato il repertorio e di boa classica resiste Klose. L’Olanda, che a Johannesburg fu seconda, è una roulette. All’appello mancano Strootman e Van der Vaart. Tutto gira attorno a Robben, Sneijder e Van FAVORITI Il Brasile “pentacampeao” padrone di casa è il grande favorito A fianco, Neymar, al primo grande esame LaPresse Persie. I batavi, in cuor loro, rimangono cicale. Van Gaal lo sa e per questo, prima di occuparsi del Manchester United, vuole infilargli almeno l’elmetto. Il tempo stringe: si ricomincia dalla fine, da Spagna-Olanda. E l’Italia? Sta ai piedi del podio, in compagnia di quella Germania che non ci batte mai, di Olanda, Inghilterra, Uruguay. Inglesi e uruguagi saranno nostri avversari, con Costa Rica, fin dal girone introduttivo. Ecco qua il problema. O la soluzione, visto che in Sudafrica la squadra di Lippi scivolò sulla buccia di un gruppo esageratamente morbido. Paraguay, Slovacchia, Nuova Zelanda: due punti e a casa; noi, i cam- pioni uscenti. Tutto poPAROLA AL CAMPO tremo dire, tranne di aver beccato materassi. Non è necessario Più penso ai portieri, più credo che proprio loro essere i più forti potrebbero sparigliare il per vincere un Mondiale mazzo. Buffon è Buffon, per fortuna; così come Basta esserlo Hart è Hart e Muslera, Muslera: lotterie ambuper un mese: dal 12 lanti. Poi c’è Pirlo: la giugno al 13 luglio bussola. Prandelli non ha attaccanti sicuri, tipo Bobo Vieri o Roberto Baggio. Balotelli è una bomba che può esplodere sul bersaglio, ma anche in mano. Cassano è il concessionario delle giocate sfiziose. A patto che i colpi di tacco scaccino i colpi di testa. Pepito Rossi è stato sacrificato alla ragione del muscolo. La tibia di Montolivo e il pareggio con il Lussemburgo hanno mescolato panico e scaramanzia. Il blocco Juve ha stradominato la stagione domestica, ma fatto acqua nelle Coppe. È una Nazionale, “socialdemocratica”, come la Juventus di Heriberto per l’avvocato Agnelli. Un po’ grigia, un po’ tenera, molto orgogliosa. Nello stesso tempo, l’Italia di Cesare arrivò seconda agli Europei. Sono questi i confini dentro i quali rimbalzeranno ambizioni e tensioni. Non è necessario essere i più forti per vincere un Mondiale. Basta esserlo per un mese: dal 12 giugno al 13 luglio. L’Uruguay del saggio Tabarez dipende dai gol di Cavani e Suarez, fresco di menisco. Gioca un calcio aspro, sporco, tipico di un popolo 5 LE VOLTE DI BUFFON L’ESORDIO A FRANCIA 98 Il n. 1 raggiunge il messicano Carbajal e Lotar Matthäus 14 DA BAYERN E MAN UTD il Fatto Quotidiano IN SETTE NAZIONALI Bavaresi e inglesi, i club con più tesserati al torneo 100% RUSSIA DOMENICA 8 GIUGNO 2014 AUTOCTONA 13 SOLO GIOCATORI IN PATRIA Nella Nazionale di Capello giocano tutti in Russia CONTROCORRENTE Il giocattolo è arrugginito Dov’è finita l’allegria? IL CALCIO VIVE OGGI SOTTO UNA PESANTE CAPPA, NON DI AFA E UMIDITÀ, BENSÌ DI DENARO E POTERE, CHE CORROMPE E SFIGURA DAPPERTUTTO di Oliviero Beha Casa Italia), l’onnipotenza della tv, le regole del gioco dell’organizzazione di un Mondiale che allegria non è mai stupida, verseggia il invece di migliorare stanno peggiorando socialpoeta sulle tracce dell’allegria francescana mente le condizioni di chi lo ospita, e si tratta del cui fa riferimento spesso Papa Bergoglio tifoso Brasile leader planetario del settore, finiscono del San Lorenzo e del calcio. Allegria che era, nello stesso calderone oramai ai limiti della sopdovrebbe essere e non è più un festival pallonaro portabilità. Quindi con un’allegria polverizzata come i Mondiali. Vi pare infatti che sia allegro, o a scartamento ridotto. La qualità, la tecnica, lo porti gioia di vivere, sia una promessa di felicità? spettacolo, gli ingredienti vecchi quanto il cucco Credo proprio di no. È una cappa pesante non eppure ancora in funzione in un “rettangolo vertanto di afa e di umidità, bensì di denaro & po- de” si sono degradati anche perché il gusto estetico dell’appassionato ormai conta poco e nientere che corrompe di qua e sfigura di là. Lo so, state pensando che non si presentano così te, mentre come detto il gusto etico ha subito un i Mondiali, che diffondo pessimismo invece che vero e proprio inabissamento. In questi giorni imbonire i lettori, che sto vendendo male la mia non sarà il campo a farla da padrone, bensì la merce. In un certo senso avete anche ragione. gestione delle immagini del campo quasi sempre Con tutto quello che ci succede un mese di par- a fini non strettamente calcistici. Non l’azione in tite a ogni pie’ sospinto in tempi di scandali, crisi sé, sempre meno allettante per cui si è costretti a e cinghia tirata parrebbe l’ideale per distrarsi. E millantare straordinarietà di fronte a un’ordigiacché comunque anche così mal ridotto, il cal- narietà davvero modesta, ma l’azione che può cio dispone di un potenziale anestetizzante e permettere l’uso della polemica, del gossip, del onirico straordinario, sfruttiamolo al meglio. fuoricampo che è miniera mediatica e di costuPeccato che chi scrive non debba vendere “quel- me ormai infinitamente più ricca del calcio inla” merce, che invece è sul bancone mediatico, teso come tale. E anche in questo senso la Ropolitico e politico sportivo nelle dosi macrosco- tondolatria non basta più a se stessa, e segue le piche che sapete. Peccato che il calcio nei suoi strade di tutto il resto. risvolti extra-campo abbia travolto il suo quid Tra uno stop azzardato di Chiellini e quello che ludico rendendolo a brandelli insieme alla cre- succede nel costoso ritiro azzurro, per il gusto dibilità di quello che vediamo: sarà combinata sensazionale del pubblico non c’è lotta. Anche quella partita oppure è vera? E le scommesse su nel calcio è il retrogusto a prevalere. Ed è un’altra qualunque cosa avvenga sul terreno di gioco, manifestazione di allegria in perdita. Ma i Mondalla prima espulsione al modiali ci sono e vanno raccontati. mento in cui viene sostituito il Magari con l’idea geopolitica che prima o poi verrà smentita terzo tipo di una squadra conLA FINE DEL CIRCO dizionano o no lo svolgimento la formula del calcio alla Monroe, ovvero “In Europa non degli incontri? Ecc. ecc. Per caIl calcio non è più rità, niente di nuovo oramai da vince una sudamericana, oltreoceano non vince un’eurotempo, anche se il denaro e le un’arma di distrazione tecnologie hanno elevato a popea”. Nella mediocrità dilagandi massa da tutto il resto, te e nel Brasile ammutinato tenza un prodotto drogato deprivandolo sempre più della magari vince la Germania (doperché risente al suo sua radice giocosa. E qui siamo po 24 anni...) o di nuovo la Spaalla autentica novità di questo gna... Certo, vincesse la Colominterno delle logiche Mondiale, che non consiste bia... di tutto il resto tanto o soltanto nel dubbio su www.olivierobeha.it chi lo vinca, sui favoriti, sulle “mode” tattiche, sul giocatore Cesare Prandelli e Antonio Cassano LaPresse che esploderà e quello con la miccia bagnata, no. La novità di Brasile 2014 è che non c’è più allegria. Anche se lo dovesse vincere la Nazionale di casa, e sarebbe la sesta volta dopo una dozzina d’anni dall’ultima escursione coloniale in Estremo Oriente, probabilmente non ci sarebbe allegria, per lo meno non come siamo abituati a registrarla nel Paese che è il calcio, e il samba, e il carnevale, che ha convissuto con la miseria pur essendo straricco di materie prime grazie a un’allegria naturale e culturale insieme, che il calcio esprimeva benissimo. L’ che la storia ha collocato tra le mascelle di Argentina e Brasile. Vi raccomando Diego Godin, difensore col vizio del gol (al Barcellona, al Real). All’Inghilterra, in compenso, manca sempre qualcosa, qualcuno: una punta da affiancare a Rooney, un nuovo Terry in difesa. Un portiere, perché no. Hodgson è un Boskov adattato, meno incline al cabaret. Come sorpresa, prendo il Belgio multi-etnico di Hazard e Lukaku. Il Belgio, più della Colombia orfana di Falcao, più del Cile di Vidal, ostaggio dello staff medico, più della Francia senza Ribéry, fulminato alla schiena. Con il Belgio, occhio al Portogallo di Cristiano Ronaldo. Pallone d’oro per forza, nel senso che produce e trasmette forza, alla LeBron James, Cristiano garantisce quei gol che, scomparso Eusebio, i lusitani avevano smarrito. Sempre che il ginocchio sinistro non lo molli sul più bello. Gli eroi sono logori. La Russia di Capello si mantiene nel vago: non così fragile da uscire subito, non così forte da suggerire voli pindarici. La Bosnia incarna il nuovo che avanza. Saranno Dzeko e Pjanic a decorarne la prima volta. L’allenatore è Susic: un “dieci” da sballo, quando giocava. Obiettivo, nessun obiettivo. Un cenno lo merita anche la Croazia, non solo perché terrà a battesimo il Brasile. Prendete il centrocampo: è un forziere. Da Modric, che al Real ha scacciato il fantasma di Ozil, a Kovacic, sul cui talento Mazzarri ha deciso di fondare la nuova Inter. Il problema degli ex jugoslavi resta la LA SORPRESA? Il Belgio multietnico, da molti indicato come possibile outsider. A fianco, Lukaku e De Bruyne LaPresse continuità di rendimento. L’Africa avrebbe dovuto incarnare il calcio del Duemila. Fantasia e improvvisazione, un altro modo (e un altro mondo) di intendere il football. Del progetto, è rimasto lo slogan. Carta canta: mai un’africana in semifinale, mai. E solo tre ai quarti: il Camerun nel 1990, il Senegal nel 2002, il Ghana nel 2010. La Costa d’Avorio di Drogba e il Camerun di Eto’o oscillano tra seduzione e delusione. Il Giappone di Zaccheroni, da parte sua, riassume il tesoretto asiatico. Sul piano squisitamente tattico, l’ingorgo dei calendari ha spedito i Mondiali alla periferia degli studi. Una volta, costituivano il laboratorio più attendibile: dal 4-2-4 del Brasile di Feola al 4-4-2 dell’Inghilterra targata Ramsey, al calcio totale dell’Olanda di Michels & Cruyff. Oggi, sono i campionati e le Coppe a scandire lo sviluppo del gioco, per tacere dei continui “stupri” al regolamento, complici non marginali dell’impennata delle segnature. In questa ottica, va detto che sarà il primo Mondiale aperto alla tecnologia. Abbasso i gol fantasma. Gli arbitri hanno avuto l’ordine di essere indulgenti. Le squalifiche sono pericolose, rischiano di mutilare lo spettacolo. E allora, nel dubbio, semaforo “giallo”. Specialità di casa Pilato. ADESSO chi ha il coraggio di evocare l’allegria con quello che sta succedendo nelle strade e nei cantieri per stadi raffazzonati in extremis? Chi può evitare di giustapporre il socialismo di Lula e Rousseff calcisticamente protesa alla rielezione a questa scarnificazione anche del Diversivo Rotondo? Romario contro Pelé, la strada contro il Palazzo, la sensibilità contro le istituzioni, un Brasile che si sta ammutinando contro se stesso e le sue tradizioni più peculiari perché non ce la fa più. E dunque se al calcio viene a mancare l’allegria, bisogna forse rivedere tutto. Anche perché non è certo colpa del calcio, della sua mitologia a presa rapida e della sua resistenza al degrado nonostante tutto, se l’allegria se ne è andata, non essendo più compatibile neppure con una recita collettiva. Il calcio, e la vetrina dei Mondiali lo riflette alla perfezione, non riesce più a fungere da arma di distrazione di massa da tutto il resto, perché risente al suo interno delle logiche di tutto il resto. Quindi gli scandali di Blatter e la resipiscenza di Platini (fair play o non fair play finanziario? L’unico che gli interessi è il fair play politico della sua carriera), scendendo per li rami fino alle nanerie di casa nostra (di 14 DOMENICA 8 GIUGNO 2014 il Fatto Quotidiano il Fatto Quotidiano DOMENICA 8 GIUGNO 2014 15 16 CACCIA AL RECORD Alcuni primati sono “in pericolo”, come quello di bomber di tutti i tempi (oggi nelle mani di Ronaldo), altri inarrivabili: i numeri della grande Ungheria del ’54, per esempio 15 I GOL DI RONALDO KLOSE, UN PASSO DALLA STORIA Il tedesco, a quota 14, può raggiungere il Fenomeno Pianeta Mondiale di miserie e splendori IL “MARACANAZO” DEL 1950, IL GOL FANTASMA DI HURST DEL 1966, IL 4-3 ALLA GERMANIA DI RIVERA DEL 1970, LA “MANO DE DIOS” DEL 1986... OGNI QUATTRO ANNI C’È SEMPRE UNA STORIA SPECIALE DA RACCONTARE di Paolo Ziliani S torie che in una frazione di secondo diventano leggenda. Per l’importanza del palcoscenico. Per la notorietà degli attori. Per la vastità della platea. Da quando la televisione ce li ha portati in casa (Inghilterra 1966), i Mondiali di calcio sono diventati il più grande spettacolo dopo il Big Bang. Che il Muro di Berlino sia ancora in piedi oppure no, che Videla sia al potere oppure no, che la Jugoslavia sia ancora insieme oppure si sia disgregata in tanti piccoli pezzi-nazione, non c’è angolo del pianeta che per 30 giorni l’anno ogni 4 anni, succeda quel che succeda, non resti col naso incollato al video preda di una febbre e di una passione “malata”, non debellabili. E così, attimi fuggenti rubati dall’occhio in mondovisione si cristallizzano, come per miracolo, in leggenda: come la testata di Zidane a Materazzi nella finale Italia-Germania a Berlino 2006. La vedemmo (tutto il mondo la vide) solo in replay. Anche per questo, forse, Zidane divenne all’istante mito. E Materazzi con lui. Brividi mondiali. Piccole e grandi storie che hanno trasformato questo evento nel Grande Museo delle Emozioni. Il gol-non-gol di Hurst nella finale Inghilterra-Germania del ’66 (nacque la moviola: e il calcio non fu più come prima), il gol di Rivera e il braccio bendato di Beckenbauer in Italia-Germania 4-3 (Mexico ’70), Nelinho che batte il corner e Zico che insacca di testa al 90’ di Brasile-Svezia 1-1, ma inutilmente perché l’arbitro Thomas ha fischiato la fine prima che la palla toccasse la fronte di Zico; o ancora l’uscita assassina di Schumacher a travolgere Battiston in Germania-Francia 3-3 a Spagna ’82 (“Se proprio avrà bisogno – dirà il portiere – gli pagherò il dentista”), la mano de Dios di Maradona in Argentina-Francia 2-0 a Mexico 86 (“Chi ruba a un ladrone, ha 100 anni di perdono”, se la cavò El Pibe), lo sputo di Voeller in faccia a Rijkaard in Germania-Olanda 1-1 a Italia 90; le storie che il Mondiale ci ha regalato in mezzo secolo di calcio in tv sono mille e tutte romantiche e tutte emozionanti. Ve ne raccontiamo alcune. Il gol di Iniesta contro l’Olanda nella finale del 2010. Spagna campione del mondo LaPresse ALTRI TEMPI L’INVASIONE GERMANIA 1974 Cile 1962 Il peggiore Spagna 1982, La corsa lo sceicco ultrà di Mwepu n Campionato del monU do a 13 mila km di distanza: pura pazzia. Il Cile è n Cile, nel ’62, a invadere il I campo fu un cane. Si prese la scena durante Inghilterra-Bra- piccolo, povero, fiero. Il telefono non funziona. I taxi sono rari come i mariti fedeli. Un cablogramma per l’Europa costa un occhio della testa”. È l’incipit del primo pezzo del reportage di Antonio Ghirelli, inviato del Corriere della Sera ai Mondiali in Cile del ‘62: reportage che assieme a quello più spietato di Corrado Pizzinelli de La Nazione, provocò le violenti proteste – rimbalzate subito in Cile – dell’ambasciata cilena in Italia. Per l’Italia del ct Giovanni Ferrari, l’inizio della fine. I MONDIALI del ’62, complice anche l’assenza della diretta-tv (le partite venivano filmate e poi teletrasmesse in Europa, in ritardo, da Francoforte), furono i più brutti e violenti della storia sia fuori dal campo (4 morti alla partenza del Cile per la sfida con l’Urss ad Arica) sia in campo, con Cile-Italia 2-0 degna di un film di Tarantino (l’arbitro inglese Aston che caccia Ferrini e David nel primo tempo e assiste impassibile ai pugni in faccia di Sanchez a Maschio e allo stesso David). Stadi quasi sempre vuoti Cile-Italia, 1962 Ansa L’ARBITRO ASTON Cile-Italia 2-0 fu degna – ai danni degli Azzurri – di un film di Tarantino Pagammo anche gli spietati reportage dei nostri inviati (2.500 spettatori per Ungheria-Inghilterra a Rancagua, 3 mila per Cecoslovacchia-Jugoslavia a Vina del Mar) e botte da orbi sul prato: che non bastano al Cile per far fuori il Brasile in semifinale a dispetto dell’assenza di Pelé e delle sconcezze dell’arbitro Yamasaki, sgherro al soldo dell’organizzazione. Brasile campione, Cile 3°. P. Zi. sile, irrise Garrincha in dribbling e venne fermato a un passo dalla storia da un atleta britannico di sua maestà e dall’autorità in giacca nera dell’arbitro Greaves, libero dalla sudditanza psicologica del collega russo Stupar, uno che vent’anni più tardi, di fronte allo sceicco Fahad Al-Ahmad Al Sabah, divenne bianco di paura. Del sonnolento pomeriggio di Valladolid, quello in cui la Francia chiuse comodamente la pratica Kuwait, di Fahad ricordano tutti la discesa in campo. Si era sul 3-1 e Platini lanciò Giresse in campo aperto. I calciatori arabi credettero di aver udito un fischio e si fermarono. Alain segnò il quarto e a quel punto, in piena estasi protestataria, come un qualunque Galliani a Marsiglia, il presidente della Federazione, fratello dell’Emiro, iniziò a sbracciarsi dalle tribune per regalare al pubblico teatro in sovrappiù. SCESE i gradini ed entrò in campo, bloccò la partita, convinse Stupar a recedere dalla convalida e poi, con un codazzo di guardie private, giornalisti impazziti e calciatori/sudditi perplessi, ottenuto l’annullamento, si ritirò in buon ordine. mmaginate un pugile che I nell’intervallo tra un round e l’altro si alza, va Francia-Kuwait, 1982 LaPresse A VALLADOLID Lo sceicco del Kuwait Al Sabah invase il campo furioso per un gol della Francia L’arbitro Stupar annullò E la Fifa lo radiò La Fifa non la prese bene e per Stupar, arbitro esposto all’arbitrio del ricco petroliere, il finale di partita fu definitivo. Radiato. Cancellato dalle mappe. Lo stesso destino che per il Kuwait avrebbe desiderato anche Saddam. Fahad morì durante l’invasione irachena del ’90. La palla non rotolava più da un pezzo e la farsa aveva consegnato la staffetta alla tragedia. Pa. Zi. all’altro angolo e sferra un pugno al rivale; o un nuotatore che a metà dei 100 rana si mette a fare stile libero lasciandosi alle spalle tutti. Difficile non mettersi a ridere. Com’è difficile non mettersi a ridere quando al Parkstadion di Gelsenkirchen, il 22 giugno 1974, nell’ultimo match del Gruppo 2 tra Brasile e Zaire succede questo. A POCHI minuti dalla fine, col Brasile avanti 3-0 (Jairzinho, Rivelino, Valdemiro), l’arbitro Rainea fischia una punizione contro gli africani. Barriera a 5, l’arbitro ricorda ai Leopards di non muoversi, Rivelino è sul pallone pronto per rincorsa e tiro: quand’ecco che al fischio di Rainea dalla barriera parte di gran carriera un uomo in maglia verde, il numero 2 Mwepu, che si lancia sul pallone e bum!, gran destro e palla catapultata 70 metri più in là, dalle parti di Leao. Mwepu si prende il giallo ed entra di diritto nei Miti del Pianeta Pallone: dal giorno in cui il calcio fu inventato, mai visto nulla di simile! Solo anni dopo si saprà che non Brasile-Zaire, 1974 LaPresse CONTRO IL BRASILE Il difensore dello Zaire fece ridere il mondo: uscì dalla barriera e calciò il pallone a gioco fermo Ma oltre all’ingenuità c’era dell’altro c’era, invece, niente da ridere. I Leopards, reduci da uno 0-9 contro la Jugoslavia, erano stati minacciati dagli uomini del dittatore Mobutu: in caso di sconfitta con più di 3 gol di scarto, nessuno avrebbe potuto fare ritorno nelle proprie case nello Zaire. Perdere 4-0 sarebbe stata la fine. Mwepu, eroico, s’immolò. P. Zi. 27 LE RETI UNGHERESI IL PRIMATO INARRIVABILE Nel 1954 i magiari segnarono 27 reti in cinque partite 518 I MINUTI DI ZENGA il Fatto Quotidiano LA MIGLIORE IMBATTIBILITÀ Nel 1990 l’azzurro subì la prima rete solo in semifinale DOMENICA 8 GIUGNO 2014 2 I TITOLI DI V. POZZO 17 CON L’ITALIA NEL ’34 E NEL ’38 Solo ct a fare il bis Può raggiungerlo Del Bosque (Spa) SENZA ETÀ Roger Milla l’extraterrestre he età avesse davvero C non lo sapeva nessuno. La carta d’identita di Roger Milla diceva maggio 1952, ma mito e mitomania, nelle pieghe della leggenda, si confondevano. Qualcuno giurava fosse nato alla fine degli Anni Quaranta, ma Roger e la sua biografia erano documenti misteriosi in cui a ogni ricostruzione, come in un gioco per bambini, si potevano aggiungere o sottrarre verità e menzogna. INDOLENTE nei trascorsi se- venties in Ligue 1, la serie A francese, con il sorriso più largo della realtà, Milla era partito presto e arrivato tardissimo. In maglia verde, con la Nazionale del Camerun, era planato a 26 anni, nel 1978, 24 mesi dopo aver conquistato il Pallone d’Oro africano e 4 anni prima del suo Mondiale d’esordio, quello del 1982, a 30 anni. Un’eliminazione senza mai conoscere sconfitta e uno strano pareggio con l’Italia su cui molto si sussurrò e troppo poco, dopo l’inchiesta di Chiodi e Beha silenARGENTINA 1978 MESSICO 1986 Romania-Camerun, 1990 Ansa ziata dal trionfo di Madrid, si potè liberamente raccontare. Milla si ritirò a fine Anni Ottanta a dare calci in un possedimento francese d’oltremare. Poi ci ripensò e piegandosi alle pressioni della Federazione camerunense non meno che alla nostalgia, a 38 anni, nella cornice di Italia 90, si rimise a correre e diede lezioni di eterna giovinezza spaventando gli inglesi e danzando intorno alla bandierina come Juary ad Avellino. A 42 anni, a Usa 94, c’era ancora. Fece gol anche lì, ma superata l’incredulità, anche i miracoli avevano iniziato a fare un effetto relativo. M. Pa. LA FINALE DEL 90 La marmelada Galli, battuto di Quiroga dallo sguardo L’urlo di Diego agli 80 mila ui si chiama Ramòn L Quiroga, ha 28 anni e anche se i suoi natali sono o ripete due, forse tre volL te. “Hijos de puta”. Lo grida, Diego, mentre uno sta- argentini (Rosario, 23 luglio 1950) è il portiere del Perù, di cui ha preso la cittadinanza da poco, dopo il passaggio dal Rosario allo Sporting Cristal, club di Lima. Siamo ai Mondiali del 1978 in Argentina: e il fatto che un ex argentino, la sera del 21 giugno, difenda la porta del Perù dagli assalti della Nazionale di Menotti a Rosario, dove Ramòn si è affermato, è motivo di grande imbarazzo. Il Brasile, che nel pomeriggio ha battuto la Polonia 3-1, ha chiuso il girone con una differenza reti di +5 (6 gol fatti, 1 subìto); se l’Argentina, che parte da +2 (2 gol fatti, 0 subiti), vuole strappare il lasciapassare per la finale, deve battere il Perù con 4 gol di scarto. IL BISCOTTO (o marmelada, come dicono qui per alludere al tarocco) è nell’aria: alzi la mano chi vorrebbe essere nei panni del povero Ramòn, che infatti va incontro al suo Calvario. Non solo l’Argentina in un tempo e spiccioli gli rifila 4 gol (Kempes 21’, Tarantini 43’, Kempes 49’, Luque 50’), ma tra gli olé del popolo infierisce e maramal- on i portieri azzurri non C era sempre cinema a colori, ma a volte, con quella Argentina-Perù, 1978 Ansa PADRONI DI CASA Per passare, all’Argentina servivano quattro gol di scarto al Perù, che in porta aveva un argentino con passaporto di Lima Lui ne prese sei deggia infilzando Quiroga ancora e ancora (Houseman 67’, Luque 72’) per un 6-0 già infiocchettato per la leggenda. “Io ho fatto il massimo. Guardate i miei compagni; e il guardalinee Gonella, che convalidò due gol in fuorigioco e venne ricompensato con la finale”, piange ancora oggi Quiroga. L’uomo della marmelada. Pa. Zi. maglia ingrata sulle spalle, il destino della patria mutava in peso insopportabile e il Mondiale diventava irrisione generalizzata e graffio fantozziano: “Si diceva che l’Italia stava vincendo per venti a zero e che avesse segnato anche Zoff, di testa, su calcio d’angolo”. SE LA MANCANZA di alter- native, l’ostinazione di Bearzot e la magia dell’82 avevano donato proprio a Zoff una rivincita tardiva sulle tenebre di Germania ’74 e sulla condanna – netta e trasversale – piovuta dopo le strane traiettorie di Argentina 78 (parabole da 40 metri che eliminarono la truppa del vècio e per Dino suonarono un prematuro epitaffio: “Non ci vede più”, “È finito”, “È meglio Castellini”), la successione del Moloch fu lenta e dolorosa. C’era Bordon, ma l’elegante Ivano si autoeliminò in fretta. Sarebbe potuto toccare a Zenga, ma la chiamata di Bearzot per un’amichevole, e la distrazione sentimentale del portiere che al telefono non rispose, non deposero a favore della rivoluzione. Italia-Argentina, 1986 LaPresse L’EREDE DI ZOFF Un tocco da biliardo del Pibe de Oro accompagnato da una mimica rassegnata La fotografia di un Mondiale sciagurato Così Copernico si dette una calmata e il duello fu tra Galli e Tancredi. In campo andò il primo. Il resto lo fece Maradona. Un tocco lento. Un colpo di biliardo. Galli la accompagnò in rete con lo sguardo basso e la mimica dello sconfitto. L’Italia aveva pareggiato. Lui aveva perso da solo. Questione di ruolo. E di mestieri infami. M. Pa. dio Olimpico senza spirito a cinque cerchi mette la sua Argentina nel recinto del disprezzo. Fischi fortissimi. Fischi di ripudio. Fischi inauditi che coprono musica e parole dell’inno nazionale: “Siano eterni gli allori che riuscimmo a conquistare”. L’otto luglio del 1990, a Roma, Maradona e i suoi non vinsero nulla e a ben vedere, in controluce, persero in tanti. Davanti alla giacca marrone di Helmut Kohl, a Cossiga e ai generali sudamericani in bianco, la Germania scoprì inaspettatamente di giocare in casa e alzò la Coppa del mondo prima ancora che fosse dato il fischio d’inizio. C’erano i cosiddetti precedenti. LE SCORIE della semifinale persa pochi giorni prima dall’Italia di Vicini. L’astio per le notti magiche interrotte dalla testa di Caniggia in volo sull’unico errore di Walter Zenga. L’avversione per le maglie blu degli italiani d’Argentina che avevano sostituito – quando tutto indicava il contrario – l’azzurro tinto da Schillaci. Invece era andata diversamente e davanti agli occhi increduli dei Dezotti, dei Germania-Argentina, ’90 LaPresse FINE DI UN AMORE “Hijos de puta!” gridato due, tre volte al pubblico dell’Olimpico di Roma che fischiava l’inno nazionale argentino Troglio e dei Sensini, dei compagni di squadra che si erano già fatti conoscere o avrebbero fatto parlare di sé nelle arene di casa nostra, Maradona si ribellò. A petto in fuori. Da capitano nervoso, impotente, indignato. “Figli di puttana”. Così muore un argentino. Senza chiedere scusa, perché quando è giusto, urlare è necessario. M. Pa. 18 di Maurizio Chierici L a novità della Coppa del mondo è un’America Latina in borghese, finalmente governi senza divise e polizia che contengono e non schiacciano le proteste. Che non si spengono: rabbia dei 45 milioni di senza niente, neanche l’acqua in casa. Non sopportano i capitali “sperperati” nello splendore dei 12 campi da gioco che galleggiano come astronavi. I paesi attorno danno una mano con i loro agenti travestiti da ultrà nella speranza che gli scontenti della sesta potenza industriale del mondo non rovinino la sagra dei gol. La prima volta è successo nell’Uruguay del 1930, Svizzera sudamericana inginocchiata dalle giornate nere di Wall Street, Borse che precipitano nella prima crisi del secolo. La borghesia uruguayana aveva ammorbidito i militari con la cultura di mille librerie invidiate dalla Buenos Aires di Borges. Paese improvvisamente moderno disegnato dal presidente José Battle Ordonez, massone per dovere: nessun capo di Stato arrivava alla poltrona se non esce dalle logge cresciute a Montevideo nell’Ottocento del Garibaldi eroe anche di questo mondo. A differenza dei paesi attorno dove il cattolicesimo accompagna il potere, l’Uruguay ritocca il calendario: Natale diventa “festa dei bambini”, Pasqua “festa del turismo”. Il presidente che accoglie gli Azzurri sbarcati dal piroscafo Conte Verde si chiama Juan Capisteguy. Debolissimo. Il partito Colorado sta preparando le sue dittature. Si annuncia l’elezione del presidente Gabriel Terra il quale subito monta un colpo di Stato, cambia la Costituzione, scioglie il Parlamento, ammutolisce la stampa. L’Italia di Mussolini respira aria a casa. NEL 1950 è il Brasile padrone di casa, ma l’agi- COPPA DI SANGUE Buenos Aires, 25 giugno 1978. Il generale Videla ha appena consegnato la Coppa del mondo al capitano Daniel Passarella LaPresse LA SETTIMA VOLTA IN SUDAMERICA PRIMA “IN BORGHESE” tazione politica non cambia. Si gioca mentre brucia un’altra campagna elettorale. Se adesso Dilma IN ORIGINE FU URUGUAY ‘30. POI BRASILE ‘50 E CILE ‘62 TRA I DUE TORNEI IN MESSICO, NEL ‘70 Rousseff, Partito dei Lavoratori, spera nella rielezione di ottobre, 64 anni prima Getulio Vargas E NELL‘86, L’EMBLEMATICO ARGENTINA ‘78. STORIE DI MONDIALI LATINI DAI GOVERNI IN DIVISA scalava il secondo mandato con una rincorsa travagliata. Liberal, tra virgolette, nel ‘30 rovescia il presidente con un colpo di CALCIO Stato imponendo una giunta militare che guida nella scrittura E DIRITTI della nuova Costituzione detta Nel 1978 campioni “polacca” per la somiglianza con la Carta dei colonnelli neri come Cruijff (Olanda) di Varsavia e un po’ ispirata alla magna charta del Salazar portoe Breitner (Germania) ghese amico di Franco. In Alte restano a casa. Non uniformi e camicie da notte Jorge Amado racconta, nel travevogliono correre il rischio stimento di un accademico delle lettere, i dubbi di Getulio Vardi ricevere la Coppa gas: con Hitler o con gli alleati? Sceglie Washington e riapre la dalle mani sporche corsa alla seconda presidenza. del dittatore Videla Quel 1950. Sui brasiliani, sfiniti dalla politica, si abbatte la sciaDa destra in senso gura della sconfitta: l’Uruguay orario: di Ghiggia e Schiaffino infilano i il “Maracanazo”, padroni di casa fra le lacrime del il gol di Ghiggia Maracanà, mentre il Vargas al Brasile nella presidente viene lapidato da finale del 1950; giornali impietosi. La coalizione la finale del 1930 lo abbandona, l’economia non a Montevideo; si raddrizza e la corruzione diil presidente laga. I militari insorgono, Getubrasiliano Djlma lio si uccide. Le tragedie contiRiousseff nuano nel continente degli uomini forti. con Ignazio Lula; Buenos Aires 1978: il silenzio Joan Cruijff degli oppressi fa più rumore del e Paul Breitner tifo dei padroni di casa. GeneLaPresse rale presidente dopo un colpo di Stato, Videla avvolge l’Argentina nella rete delle prigioni segrete. Trentamila ra- colore. Enzo non ci sta. Anni dell’operazione dalla Coppa gazzi non ne usciranno mai. Indignazione che Condor disegnata da Kissinger. L’internazionale giocata fra le scuote il mondo del pallone. Campionissimi co- della repressione riunisce i generali del cono sud: nuvole nel me Johan Cruijff e Paul Breitner (Olanda e Ger- Pinochet, Videla, Aparicio Méndes (Uruguay) e il 1970: non solo mania squadre favorite) restano a casa per far ca- Paraguay di Stroessner da sempre al potere. Chi le rivolte dei pire il sacrilegio di un torneo costruito fra i lager. scappa non ha speranza: mezzo continente lo in- ninvest può raccontare la Coppa. Craxi dà una popoli indigeni diseredati, nelle piazze anche gli Non se la sentono di ricevere la Coppa della vit- segue. Ma in Brasile sta per succedere qualcosa: il mano e l’informazione per sempre cambia. Come studenti dell’Università Metropolitana, Unma, toria dalle mani sporche del dittatore. Videla, generale Figuereido annacqua l’autoritarismo, nella Buenos Aires di Videla, anche la Montevi- laboratorio delle inquietudini che formano la vol’ammiraglio Massera non erano soli. Appoggio mentre l’Uruguay dei generali P2 ospita il Mun- deo dalle logge armate scatena polemiche a casa cazione di un giovane professore di filosofia, Rainvisibile dell’Amministrazione Reagan e la col- dialito, torneo per le squadre campioni del mon- nostra. Castagner, allenatore della Lazio e San- fael Sebastian Guillén Vicente. Cambia nome nellaborazione della P2: Licio Gelli superstar allunga do. Spettacolo mediocre. Cambia qualcosa solo tarini, difensore della Roma, firmano un docu- le montagne del Chiapas: Subcomandante Marla propaganda al Giornale degli Italiani che si pub- nelle abitudini italiane: a Montevideo comincia la mento contro repressione, torture e fame nel pae- cos. Nessuna novità sociale e politica perché, per blica a Buenos Aires, proprietà Rizzoli-Corriere marcia su Roma di Berlusconi. La ragnatela P2 se dei militari. Ma Corriere della Sera e Gazzetta 70 anni, ogni potere resta nelle mani del Partito della Sera feudo della loggia deviata. Con la valigia strappa alla Rai la diretta delle partite. La legge lo dello Sport (gestione P2) si imbarcano nell’esal- rivoluzionario istituzionale, matassa burocratica pronta, non parte Enzo Biagi: voleva raccontare il proibisce, eppure Artemio Franchi, vicepresiden- tazione del Mundialito “più affascinante del mon- dei notabili che emarginano i diseredati e repripaese della paura, ma il direttore P2 del Corriere te Fifa, tessera P2 402 favorisce i passaggi che la- do”. Cosa dire della cornice politica del Campio- mono la libertà. Se ne vanno nel 2002, tornano nel (Franco Di Bella) pretende scanzonati articoli di sciano a mani vuote la Tv pubblica: solo la Fi- nato Messico 1986? Meno feroce, ma non diverso 2012, chissà se la storia ricomincia. ALTRI MONDI il Fatto Quotidiano Pianeta terra DOMENICA 8 GIUGNO 2014 19 IRAQ AUTOBOMBE A BAGHDAD, 60 MORTI La pace resta un miraggio in Iraq. Sono almeno 60 i morti e 84 i feriti coinvolti in sette attentati con autobombe ieri a Baghdad; 59 morti a Mosul. Le esplosioni hanno preso di mira i quartieri a maggioranza sciita. All’università c’è stata battaglia fra esercito ed estremisti islamici. Ansa USA I GIGANTI DEL WEB: BASTA INTRUSIONI DEI GOVERNI Colossi della Rete come Google, Microsoft e Facebook iniziano a respingere le richieste di dati non obbligatorie per legge. Lo ha scritto il New York Times. Anzi, l’idea è rendere più difficili le intrusioni della National Security Agency o altre organizzazioni del genere. LaPresse BRASILE SCIOPERI, BOTTE E INGORGHI: TE LO DO IO IL MONDIALE LE PROTESTE DILAGANO. DOPO INSEGNANTI, GUIDE TURISTICHE E INDIOS, TRASPORTI FERMI DA TRE GIORNI. A SAN PAOLO SI TERRÀ LA PRIMA PARTITA, MA SENZA METRO SI TEME IL CAOS di Giulia Merlo stano con i mezzi pubblici. Nei giorni scorsi, l’interruzione dei trasporti ha provocato 200 chilometri di coda moltissime persone non hanno potuto raggiungere il posto di lavoro. Ieri, con 38 fermate di metro chiuse su 65, il traffico ha creato un ingorgo di 72 chilometri. A meno di una settimana dall’inizio dei Mondiali di Calcio e con gli occhi del mondo puntati sul Brasile, la città di San Paolo è ancora teatro di scontri tra polizia e manifestanti. Gli agenti hanno usato proiettili di gomma, gas lacrimogeni e manganelli per disperdere il presidio dei lavoratori della metropolitana, che piantonavano la stazione Metro - chiusa - di Santa Ana, in pieno centro città. I militari hanno dichiarato di essere intervenuti per sedare una rissa tra scioperanti e pendolari, ricostruzione però smentita dai manifestanti. LO SCIOPERO dura ormai da tre giorni e i dipendenti del trasporto pubblico hanno deciso di proseguire a oltranza, dopo l’interruzione delle trattative tra sindacati e amministrazione comunale. Il braccio di ferro riguarda gli stipendi: i lavoratori che chiedono un aumento del 10%, mentre la compagnia che eroga il servizio non è disposta ad andare oltre l’8,7%. Il tribunale regionale del lavoro sta valutando la legittimità delle richieste del Sindicato dos Metroviários de São Paulo e ha ordinato che il trasporto metropolitano sia comunque garantito nelle ore di punta. Nonostante il Comune abbia so- CON I MONDIALI ormai alle Proteste in strada LaPresse ACCUSE AL GOVERNO Critiche al presidente Dilma Rousseff: ha speso troppo per i grandi eventi (comprese le Olimpiadi 2016) sacrificando sanità e istruzione speso in via eccezionale il limite alla circolazione delle auto nel centro città e la Compagnia dei trasporti ha annunciato l’aumento del numero di treni, San Paolo è andata in tilt. In una città con oltre 20 milioni di abitanti, sono più di 4 milioni le persone che ogni giorno si spo- porte, le proteste rischiano di mettere in serio imbarazzo, oltre al comitato organizzativo brasiliano, anche la Fifa. La prima partita, in cui il Brasile affronta la Croazia nel match di apertura del gruppo A, si giocherà giovedì prossimo proprio al San Paolo Arena Corinthians. Lo stadio si trova in periferia e il modo più semplice per raggiungerlo è proprio con la metropolitana. Se lo sciopero continuasse, però, moltissimi spettatori potrebbero non arrivare all’impianto per assistere alla cerimonia di apertura dei Mondiali, e un’arena mezza vuota non sarebbe certo un buon biglietto da visita per il governo brasiliano. Nonostante le proteste, la presidentessa brasiliana Dilma Roussef ha dichiarato di essere sicura che i Mondiali saranno un enorme successo, sostenendo che le proteste non rovineranno l’evento. Anche il presidente della Fifa Sepp Blatter, dopo gli scontri con il governo brasiliano per i ritardi sui preparativi, ha gettato acqua sul fuoco: “So- I lavoratori della metropolitana si scontrano con la polizia nella stazione di Ana Rosa LaPresse no ottimista. Quando il torneo inizierà, migliorerà anche l’umore della gente e sono sicuro sarà una festa”. Quello della metropolitana, però, è solo l’ultimo sciopero in ordine di tempo. In maggio, infatti, ad incrociare le braccia erano stati gli autisti dei mezzi pubblici, provocando anche in quel caso ingorghi e blocchi del traffico. Prima ancora, invece, era stato il turno degli insegnanti e delle guide turistiche. Le proteste in Brasile continuano ormai da più di un anno, nonostante la loro intensità sia progressivamente diminuita. Le numerose manifestazioni contro le politiche di Dilima Youssef hanno portato anche a scontri con le forze dell’ordine e all’arresto di oltre 200 persone. La sollevazione popolare considerata la più grande degli ultimi 20 anni - scaturisce dalle accuse verso il governo di Brasilia, di aver speso troppo per l’organizzazione dei due grandi eventi sportivi che si terranno nel Paese - i Mondiali 2014 e le Olimpiadi 2016 - sacrificando gli investimenti in sanità e istruzione e aumentando del 7% il costo del trasporto pubblico. Secondo le stime, infatti, la sola Coppa del Mondo 2014 è costata alle casse statali circa 11 miliardi di dollari. Non certo il clima migliore per accogliere l’evento che dovrebbe rilanciare l’immagine del Brasile a livello internazionale. VATICANO Hamas tira la giacca a Papa Francesco “UN APPELLO PER I PALESTINESI”. CON BERGOGLIO IN PREGHIERA ABBAS E L’ISRAELIANO PERES a preghiera in Vaticano in programma oggi alla quale L papa Francesco (nella foto) ha invitato il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmoud Abbas di- venta occasione di rivendicazioni. Un appello per “i palestinesi di Gaza, per una questione di umanità e a prescindere da ogni presa di posizione politica” è quanto si aspetta dal papa Israa al-Mudallal, ex portavoce del governo di Hamas nella Striscia di Gaza e attuale responsabile delle relazioni esterne per il governo di unità. Lo riporta l’Aki-Adnkronos International; l’esponente di Hamas chiede al papa di “ricordare che i palestinesi sono esseri umani, che subiscono ogni giorno, soprattutto a Gaza, violazioni dei loro diritti e una vera e propria apartheid”. Pure il governo israeliano di Benyamin Netanyahu ritiene una occasione da non perdere l’appuntamento con Bergoglio tanto che ha dato il benestare alla partecipazione del presidente Shimon Peres. Lo riporta il Jerusalem Post, secondo il quale fino a giovedì pomeriggio non era certo che Peres avrebbe ricevuto l’approvazione governativa ad una preghiera assieme al presidente palestinese Mahmoud Abbas dopo le obiezioni israeliane contro il nuovo governo palestinese di unità nazionale. Tra le tv satellitari, al-Arabiya si prepara a coprire l’evento sottolineando che “per la prima volta nella storia, preghiere islamiche e brani del Corano saranno recitati in Vaticano”. La tv ricorda che la Santa Sede garantirà una diffusione mondiale delle immagini della preghiera, ma precisa che ci sono “scarse aspettative” sul fatto che questa giornata possa produrre effetti concreti sul processo di pace in Medio Oriente. Poroshenko e l’amico americano UCRAINA, IL NUOVO PRESIDENTE APPLAUDITO DA BIDEN: IL FIGLIO È NEL CDA DELLA COMPAGNIA PRIVATA DI GAS di Roberta Zunini Kiev odici fortissimi spari, a salve, hanno saD lutato l'insediamento di Petro Poroschenko alla presidenza della repubblica ucraina. Facendo abbassare la testa per lo spavento alle poche centinaia di persone raccoltesi davanti alla Rada (Parlamento) e alle cupole dorate di Santa Sofia, dove il neo presidente, l'oligarca “re del cioccolato”, è andato ad assistere alla santa messa. Ma più che celebrare una festa, le fucilate sono sembrate l'eco, assai vicina, di quelle che nell'est del Paese hanno ucciso un deputato della autoproclamata repubblica popolare di Donetsk -Maxim Petrukhin, assistente del leader dei ribelli Denis Pushilin- e delle sparatorie scoppiate nuovamente, dopo una breve tregua, a Lugansk, la seconda regione del Donbass, a ridosso del confine con la Russia. “Tra i 13 morti, caduti a causa delle sparatorie e dei bombardamenti dei soldati ucraini contro le nostre postazioni in città, ci sono anche 10 civili” ha dichiarato il leader dei sepa- giugno, giorno in cui si terrà a Bruxelles il ratisti dell'autoproclamata repubblica di Lu- vertice Ue, la parte economica dell’accordo gansk, Valeri Botolov. Nonostante Poro- di associazione con l’Unione Europea. La shenko durante il suo primo discorso alla tranche politica dell’accordo tra Kiev e BruNazione dalla sede del Parlamento avesse xelles era già stata firmata a marzo. Il rifiuto, sottolineato di essere disposto ad amnistiare all'ultimo minuto, otto mesi fa, da parte del i ribelli che hanno combattuto ma “non si deposto presidente Yanukovich di siglare sono macchiati le mani di sangue”, Bolotov questo accordo di associazione aveva inneha risposto in modo netto e inequivocabile di scato le proteste di molti cittadini che poi non credere alla sua promessa, aggiungendo: erano divenute vera e propria rivolta soffo“Non abbiamo rapporti con cata dai corpi antisommossa. Kiev, e ogni negoziato sarà Ma questa è storia del passato. Ieri, alla cerimonia di possibile solo se le truppe di PARENTI SERPENTI occupazione lasceranno il insediamento di Poroshenko nostro territorio”. , tra i delegati stranieri c'era il I separatisti filo-russi vicepresidente Usa, Joe BiPOROSHENKO, proprietario den, il cui figlio, Hunter, un da Lugansk mandano di una catena di negozi di mese fa, è entrato nel conun messaggio: “Con cioccolata con molti punti siglio di amministrazione vendita anche in Russia ha della più importante compaKiev nessun rapporto. gnia privata di gas dell'Ucraisottolineato che non riconoscerà l'annessione della CriNegoziati possibili solo na, la Burisma Holdings. mea da parte della Russia e si La Casa Bianca ha cercato di se ritirano le truppe” è detto pronto a firmare il 27 spazzare via le accuse di con- Petro Poroshenko all’uscita del parlamento dopo la cerimonia di insediamento Ansa flitto di interessi con una dichiarazione a Business Insider. La portavoce di Joe Biden, Kendra Barkoff, ha sottolineato che la nomina di Hunter non è da collegare al “peso” del vice presidente americano: “Hunter Biden è un privato cittadino e un avvocato. Il vice presidente non sostiene alcuna società in particolare e non ha alcun coinvolgimento con la Burisma”. Il cerchio si può considerare chiuso, speriamo non attorno al collo dei cittadini ucraini esausti da lutti e crisi economica. 20 Collage di domande Una serie di interviste che raccontano uno dei grandi protagonisti e intellettuali del Paese: da volontario “anarchico” nelle prime file, all’amicizia con Carducci e Borsi 46 (continua) La Grande guerra “Così l’Italia diventò fascista” LA RIEVOCAZIONE DI GIUSEPPE PREZZOLINI DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE: PARTÌ VOLONTARIO PER IL FRONTE. SPIEGAVA CHE, NONOSTANTE TUTTO, QUELLO FU IL MOMENTO MIGLIORE DEL PAESE: “DOPO LA DISFATTA DI CAPORETTO SI SCATENÒ LA REAZIONE DELLE TRUPPE. CON TUTTI I SUOI ORRORI. LA GUERRA ESASPERA LE FACOLTÀ UMANE: SI VEDE IL PAUROSO DIVENTARE UN VIGLIACCO E IL CORAGGIOSO UN EROE” di Enzo Biagi C aro Prezzolini che cos’è un conservatore? È un freno alla illusione umana. C’è chi pensa che tutto quello che è nuovo sarà migliore. Non è uno che vuole tornare indietro, ma intende mantenere quello che è stato provato per molto tempo, mentre ciò che si propone non tiene mai conto degli ostacoli e del disinganno che nascono da qualunque rapido trapasso. E la rivoluzione che cos’è? Sempre un miraggio: può trasformare in parte un paese, talvolta ne accentua i difetti, può produrre qualcosa che non è mai quello che si era sperato. Il 1789, la Rivoluzione francese, ha creato niente di meno Napoleone, e nacque col presupposto che le guerre erano fatte dai principi per scopi personali, e c’era del vero, e scoppiarono poi conflitti molto più estesi, il servizio militare diventò obbligatorio, e le masse vennero coinvolte. E il 1917? Ha avvilito quelli che speravano in un mutamento profondo della Russia in senso democratico, ha dato un benessere diffuso, non eccezionale, ma notevole per il passato di quel popolo. Ma l’Urss non è né il modello di Marx né un esempio per gli altri. All’inizio del Novecento avevi diciotto anni, com’era la vita allora? A me pareva sbagliata. Quando ero ragazzo mi dichiaravo anarchico, volevo anzi andare a Ginevra dove c’era il covo. Figlio di un Prefetto del Regno, per reazione mi sentivo libertario. Nella nostra casa non mancava nulla. Durante l’inaugurazione della galleria del Sempione mio padre aveva citato un verso del Petrarca contro i tedeschi e questo non era permesso perché dal 1882 facevamo parte, con Germania e Austria, della Triplice Alleanza. Il verso diceva: ‘Ecco queste Alpi che ci hanno difeso dalla tedesca rabbia’. Un senatore cattolico lo riferì a Giolitti che gli tolse il posto a sei mesi dalla pensione. Per fortuna che era stato volontario nel ’59, durante la Seconda guerra d’Indipendenza, questo gli consentì di salvare la pensione, così ritornammo a Firenze. Com’era la vita letteraria a Firenze? Eravamo giovani; io insegnavo il latino a Giovanni Papini, che era figlio di un garibaldino, lui ricambiava spiegandomi lo spagnolo. Ci separammo da Ercole Luigi Morselli, il commediografo, perché era per la letteratura, noi per la filosofia. ‘È il pensiero che conta’, sostenevamo noi. ‘No è l’arte’, rispondeva l’autore di Glauco. Nel 2008 fondammo la rivista culturale La Voce, dopo che avevamo fatto l’esperienza del Leonardo che chiudemmo nel 1907. Allora tutto era dominato da D’Annunzio e dalla rivista letteraria Il Marzocco. D’An- nunzio non l’ho mai voluto incontrare, non mi piaceva. Era l’emblema della vita senza pensiero, godereccia, del piacere. Noi, da idealisti, sostenevamo che il mondo esterno non esisteva. Com’era Papini allora? Come vivevate? Tante volte mi pareva un angelo, altre un demonio. La sua famiglia era dell’aristocrazia artigiana. Quando, prima della macchina, contava l’abilità delle mani, facevano mobili poi diventarono mercanti. Giovanni era maestro elementare, dal reddito del negozio gli passavano 30 lire al mese. Ogni tanto riceveva una lettera che gli offriva un posto da insegnante, ma lui la buttava via. do io per De Amicis’. Come giudichi Giolitti come capo di governo? Giolitti aveva capito che bisognava aprire la strada alla classe lavoratrice, attraendola come aveva fatto coi cattolici, ma non aveva abbastanza forza. Si è allontanato dal governo ogni volta che c’era una questione grave, lasciava nominare qualcuno di fiducia, poi ritornava. La guerra del ’15 fu dovuta anche all’incarico dato a quella nullità che era Antonio Salandra, che pur essendo un conservatore era protetto da Giolitti che aveva la maggioranza in Parlamento. Fu un grave errore di Giolitti perché non riuscì a imporgli la neutralità, Salandra con il suo ministro degli ITALIANO ALL’ESTERO I mille viaggi tra la Francia e l’America GRANDE INTELLETTUALE Giuseppe Prezzolini cresce studiando privatamente nella fornita biblioteca del padre che ricoprì la carica di Prefetto del Regno in varie città italiane. Nel 1899 abbandona gli studi liceali; a Firenze conosce Giovanni Papini, da cui lo separa un solo anno di età. Nasce una duratura amicizia. L'anno seguente Prezzolini perde il padre. Tra il 1900 e il 1905 compie numerosi viaggi in Francia; perfeziona il francese a Grenoble. Nel 1903, ad appena 21 anni, inizia l'attività di giornalista ed editore: assieme a Papini fonda a Firenze la rivista culturale Leonardo, pubblicata fino al 1908. Durante la Grande Guerra è volontario sul fronte. Nel 1929 ottiene un incarico annuale alla Columbia University e si trasferisce da Parigi a New York con la famiglia. Nel gennaio 1940 diventa cittadino americano. Nel 1948 l'ateneo newyorchese lo nomina professore emerito di Italianistica. Nel frattempo ha avviato collaborazioni con alcuni giornali italiani. Ha scritto per i principali quotidiani italiani di allora, dal Tempo alla Nazione e al Resto del Carlino. È morto a Lugano nel luglio del 1982 all’età di cento anni. Esteri Sonnino appoggiarono la Triplice Alleanza e l’Italia entrò in guerra nel secondo anno dallo scoppio. Ebbi un colloquio con Giolitti; La Voce era aperta a tutte le tendenze. Sull’occupazione di Fiume mi disse: ‘Fu una semplice operazione di polizia’. Hai scritto che il tempo più bello vissuto dal nostro paese, nonostante tutto, è quello del Primo conflitto mondiale. Sì, dopo la disfatta di Caporetto si scatenò la reazione delle truppe. Con tutti i suoi orrori. La guerra esaspera le facoltà umane: si vede il pauroso diventare vigliacco e il coraggioso eroe. Tu sei partito volontario nella Prima guerra mondiale, perché? È vero che hai giocato a carte con Carducci? Carducci era amico di mio padre, erano stati studenti agli Scaloppi di Firenze, gente seria: il babbo sapeva Virgilio a mente. Tutte le volte che cambiava prefettura, Carducci gli veniva a far visita. Ho giocato una partita con lui e, purtroppo, ho perso. E De Amicis? Venne a Novara, ma era sotto sorveglianza della polizia perché noto come socialista. Una mattina, tornando dalle lezioni, incontrai un signore che mi chiese della prefettura: era De Amicis. Era alto, con grandi occhi, baffi bianchi e sopracciglia grosse scure, ben vestito, una cravattina a farfalla, e un colletto con il bavero di velluto. Mi ricordo che portava un bel cappello a cencio. Gli dissi che anch’io ci andavo, salimmo insieme le scale, veniva a far visita al prefetto, sicuramente non parlarono di politica perché mio padre era un liberale conservatore. Ricordo che disse al delegato di polizia di sospendere la sorveglianza: ‘Rispon- Io penso che il soldato italiano sia stato un buon soldato Non era peggiore degli altri, non li ho visti mai scappare. Il problema casomai erano gli ufficiali, ma non i nostri soldati Erano diverse le ragioni per le quali in molti eravamo a favore della guerra. A La Voce pensavamo che fosse l’unica occasione che l’Italia avrebbe avuto per riavere Trieste e Fiume. Quelle terre erano nostre. Lavoravo in un ufficio militare, controllavo delle scartoffie, dopo la disfatta di Caporetto feci domanda per essere mandato al fronte. Accettai l’invito di entrare nel corpo d’armata A, che stava per assalto, che era composto tutto di arditi. L’esercito aveva scelto, per sfondare il fronte austriaco a Vittorio Veneto, i gruppi che aveva preparato per ciascun corpo d’armata, gli aveva messi tutti insieme formando un unico nucleo. Prima di partire scrissi a Papini una lettera nella quale gli raccontavo che mi vergognavo di stare a riposo mentre gli altri si battevano anche per me e che avevo deciso di fare la mia parte, di dare il mio contributo. Combattemmo sul Monte Grappa e sul Piave. Cosa ricordi della Grande Guerra? Molte cose dolorose e penose: la morte degli il Fatto Quotidiano DOMENICA 8 GIUGNO 2014 21 LA GRANDE GUERRA Nella foto accanto, Giuseppe Prezzolini. Sotto, i soldati italiani durante la Prima guerra mondiale sul fronte del Piave. Un conflitto che, secondo Prezzolini, aprì le porte al fascismo Ansa Quando a Sarajevo finì la Belle Époque L’OMICIDIO DELL’ARCIDUCA D’AUSTRIA SEGNA L’INIZIO DEL CONFLITTO L’EUROPA SI SPACCA, MUSSOLINI E D’ANNUNZIO DA SUBITO INTERVENTISTI di Loris Mazzetti A lla fine dell’Ottocento il mondo stava cambiando. Era il periodo della Belle Époque, una stagione non propriamente felice per l’Italia. Milioni di cittadini, a causa della dell’agricoltura in crisi e del progresso scientifico, che avevano reso inutile molta manodopera, furono costretti ad attraversare l’oceano, in cerca di un lavoro. Vennero fondati i primi grandi giornali: il Corriere della Sera, il Messaggero, La Stampa. Si affermarono le banche e i signori dell’industria come Krupp in Germania, Rockefeller in America, da noi Pirelli, Agnelli, Olivetti. Le due scoperte dei coniugi Curie e di Guglielmo Marconi, il polonio, il radio con la loro radioattività, e la radio, rivoluzionarono scienza, medicina e comunicazioni. CON L’INIZIO del nuovo secolo, in Europa scoppiarono grandi fermenti: nei Balcani le popolazioni sognavano l’autonomia e pensavano di liberarsi dall’oppressione austriaca, con l’appoggio della Russia. L’Impero Ottomano entrò in crisi profonda: perse la Libia nel conflitto con l’Italia e i suoi territori europei vennero spartiti tra Bulgaria, Montenegro, Grecia e Serbia. Bulgaria e Serbia si dichiararono guerra. Tutto ciò sembrava cir- coscritto ma era, invece, solo l’anteprima di una contesa che avrebbe coinvolto il mondo. La Belle Époque finì il 28 giugno 1914 quando a Sarajevo uno studente nazionalista bosniaco, Gavrilo Princip, uccise l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e la moglie Sofia. Il mondo si divise in due. Da una parte l’Impero Austro-ungarico e la Germania, dall’altra Russia, Francia e Inghilterra: è l’inizio della Prima guerra mondiale. TRA GLI ITALIANI c’è chi vuole intervenire come Mussolini e D’Annunzio e chi si batte per restarne fuori, come Giovanni Giolitti, il socialista che aveva guidato il governo per 14 anni. Allo scoccare del secondo anno di guerra l’Italia, che nel frattempo aveva abbandonato la Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania e sottoscritto il Patto di Londra con Francia, Inghilterra e Russia, il 24 maggio 1915 dichiarò guerra all’Austria. Il re Vittorio Emanuele III motivò così la decisione agli italiani: “Per piantare il tricolore sui terreni sacri che natura pose ai confini della patria”. In caso di vittoria l’Italia avrebbe ottenuto Trentino e Trieste, l’Istria, la Dalmazia e il porto di Vallona. Nel centesimo anniversario della Grande Guerra, l’intervista di Enzo Biagi che il Fatto Quotidiano pubblica oggi è a Giuseppe Prezzolini che è stato testimone di quegli anni, a lui la nostra cultura deve molto. Aveva fondato insieme a Giovanni Papini La Voce, che espresse i fermenti e le ribellioni di un’epoca: quella che morì con le rivoltellate di un giovane studente a Sarajevo. Prezzolini, classe 1882, nella sua importante biografia si definì polemicamente “L’italiano inutile”, visse da protagonista tra il 1903 e il 1916 la fervida “stagione delle riviste fiorentine” e partì, come tanti altri intellettuali, come volontario per la Grande Guerra, che considerò il “tempo più bello vissuto dal nostro paese”. Biagi ebbe con lui un lungo rapporto di amicizia, nonostante la differenza di età. “ Prezzolini mi è stato vicino in alcuni momenti professionali per me difficili. I suoi consigli sono sempre stati preziosi” ricordò il giornalista il giorno dopo la sua scomparsa, il 14 luglio 1982, sulle pagine de La Stampa. L’ultimo incontro tra i due era avvenuto alla vigilia del centesimo compleanno a Lugano, dove lo scrittore viveva da anni con Jakie, la moglie, in un tranquillo e luminoso appartamento sul lago. “Le esperienze lo hanno addolcito, anche se le sue idee, che si ispirano a un realismo senza sogno, continuano a scandalizzare”. Prezzolini raccontò a Biagi che il segreto per vivere a lungo, glielo aveva spiegato un famoso medico, Condorelli, “è scegliersi bene gli ante- amici. Nel battaglione trovai il poeta Giosuè Borsi, anche lui volontario. Era simpatico, raccontava storielle, morì tradito dal suo capitano. Il vigliacco diceva ai suoi soldati: ‘Se viene un combattimento, io metto la testa sotto un sasso e non mi vedete più’. Una cosa tremenda. Borsi fu tra i primi a essere mandato in combattimento. Morì mentre lanciava una bomba contro il nemico. Tra i volontari e gli ufficiali di complemento c’era l’idea che la guerra avrebbe dovuto portare a un rinnovamento politico, che avremmo potuto, una volta finita, fare un’altra Italia. Questo era un sentimento diffuso. Io ho sempre creduto che la guerra preparò l’arrivo del fascismo. Benito Mussolini ti scrisse: “Io sono stato fatto e poi rifatto dai periodici, “Leonardo” prima e da “La Voce” poi, e te ne sono riconoscente”. È vero? Da che cosa è nata Caporetto? Dalla stanchezza: le truppe non capivano cosa stesse realmente accadendo. Ma anche il comando, ormai, non sapeva più nulla teva più studiare come una volta, ma batteva sempre a macchina due articoli ogni settimana. Biagi lo raccontò così: “È dentro la storia e la cultura dell’Italia. Nella sua stanza, una intera parete è nascosta da uno scaffale che contiene la corrispondenza che ha scritto e ricevuto. Grossi fascicoli sono intestati a un solo nome: Papini, poi Croce, Gobetti, Mussolini. Si è definito ‘un rompiscatole’: ha discusso, contraddetto e litigato con molti personaggi di questo secolo. Da ragazzo piantò il liceo perché si accorse che c’era poco da imparare. Fumava l’hashish, contestava, si direbbe oggi. Ha conservato la sua indipendenza: puoi non essere d’accordo, ma devi rispettare la dirittura di questo toscano scomodo. Ha sempre saputo dir di no”.n Che cosa vi avevamo promesso? Dalla stanchezza: le truppe erano senza cibo e non avevano informazioni. Il comando non sapeva nulla. Una volta fui mandato a Udine per portare un dispaccio. Lì incontrai Ugo Ojetti, il giornalista, lo scrittore, anche lui vo- avevano informazioni, SI LAMENTAVA perché non po- dante era il generale Caviglia, fu merito suo la vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto. Ho visto con i miei occhi le sue capacità militari. Da che cosa è nata Caporetto? erano senza cibo e non nati”. Aggiunse Biagi: “Forse è anche l’interesse per le cose, la parsimonia, il gusto della scoperta”. Nel 1925, quando si accorse della strada che aveva infilato il fascismo, se ne andò a Parigi con la famiglia. Qualche anno dopo si trasferirono in America dove insegnò per 33 anni alla Columbia University di New York, diventando cittadino americano. Biagi rimase ancora una volta affascinato per la lucidità e la chiarezza del racconto, nonostante l’età, la sua memoria era completamente intatta. lontario, mi accorsi nel parlargli che non sapeva nulla di ciò che stava accadendo. Come si comportò il soldato italiano? È stato un buon soldato, non era peggiore degli altri, non li ho visti mai scappare. Il problema erano gli ufficiali non i soldati. Parlami dei generali Cadorna e Diaz. Di Cadorna, nel mio Diario, ne ho fatto una discrezione spaventosa. Era un vecchio generale che non credeva nelle innovazioni militari. Per lui gli aeroplani erano dei giocattoli, non credeva nelle mitragliatrici, mandò gli ufficiali del mio reggimento a combattere con la sciabola. Mi ricordo una volta che mi or- dinarono di formare un nuovo reparto e che Cadorna lo avrebbe passato in rassegna. Ci tennero sull’attenti per due ore, quando arrivò radunò gli ufficiali ed ebbe il coraggio di rimproverarli perché la musica era stata suonata male e i soldati non avevano marciato bene. Durante l’inverno, alla mattina invece del caffè caldo ci fece dare le castagne secche. A sua difesa dico che nonostante tutto era quello che strategicamente capiva di più. Fu lui a decidere, quando avvenne la catastrofe di Caporetto, che l’unica difesa possibile era il Piave. Diaz, che aveva sostituito Cadorna, non era niente, proprio niente. Il migliore coman- È un documento a cui tengo moltissimo perché, senza volerlo, è la conferma di ciò che ho appena detto: il fascismo fu l’unica soluzione nazionale data dalla guerra. Su questo punto pubblicai una lettera di Ferruccio Parri del 1915 nella quale, fin da allora, egli attribuiva a quei giovani il compito di creare un’Italia nuova, e lo previdi perché nel ’14 scrissi che Mussolini sarebbe stato il capo della prima invasione non di barbari, ma di italiani. Che cosa vuol dire essere di destra o di sinistra? Rigorosamente parlando, non saprei: conosco individui di destra più rivoluzionari di quelli di sinistra e ne conosco di sinistra più reazionari di quelli di destra. Nel tuo libro “Dio è un rischio”, concludi: “Non c’è alcuna certezza”. E allora? Questa è la tragedia moderna, o antica, di coloro che riflettono sui problemi generali, ma per fortuna la maggior parte di noi non è stata castigata da Dio con la capacità di pensare ad altro che al proprio destino. Il pensiero è una disgrazia, non è un merito.n 22 DOMENICA8GIUGNO 2014 SECONDO TEMPO S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E GP CANADA: MERCEDES IN POLE, MALE FERRARI Prima fila tutta Mercedes nelle qualifiche del Gran Premio del Canada. Miglior tempo per Nico Rosberg, secondo Lewis Hamilton Terzo Vettel con la Red Bull Indietro le Ferrari: settimo Alonso, decimo Raikkonen ROLAND GARROS, TRIONFO SHARAPOVA Maria Sharapova trionfa al Roland Garros. La russa, numero 8 del mondo, ha sconfitto la romena Simona Halep, con il punteggio di 6-4, 6-7 (5-7), 6-4 dopo tre ore di gioco LUTTO IN BRASILE MUORE FERNANDAO L’ex attaccante dell’Internacional di Porto Alegre Fernandao è morto a 36 anni in un incidente d’elicottero. Fernando Lucio da Costa, il nome completo, ha giocato nell’Olympique Marsiglia e nel Tolosa Dietro la macchina da presa Ettore Scola: “Fu Gassman a convincermi a fare il regista” D Pagani e Fabrizio Corallo el tessuto giovanile rammenta le striature: “Lo sceneggiatore deve essere un po’ sarto e un po’ puttana. Se vuole che il vestito venga bene deve tener conto di chi lo indosserà, regalargli delle gioie, farlo sentire amato”. Del mestiere di regista che lo ha candidato all’Oscar 4 volte e reso venerato maestro (“ma non mi ci sento, in fondo Arbasino e Berselli li avevo letti poco”) ricorda il timbro dei suoi eroi minori: “Anche se nei progetti che scrivevamo non pulsava mai il pregiudizio, non si può negare che i protagonisti dei nostri film non fossero spesso degli stronzi” e il sollievo di abbandonarlo a tempo debito: “Il regista è uno schiavo. Fa un lavoro lungo, noioso, ripetitivo e scandito da orari canini. Si sveglia all’alba e quando è buio, trotta ancora per preparare il giorno successivo. Appena potevo fuggire, fuggivo. Con l’età, la pigrizia ha superato qualunque altra considerazione. Quando mi chiedono perché non giro più rispondo seccamente: ‘Mi sono preso un decennio sabbatico’”. Superati gli 83 anni da un mese, Ettore Scola aspetta nella penombra di una casa al piano terra il soffio di un’estate ancora giovane. Fuma molto, cammina sempre meno e sugli scaffali, tra i garofani rossi e le litografie di Gramsci, rifiuta di far tramontare l’ironia al ritmo di un ordine nuovo: “Craxi non ce lo ricordiamo più, Gramsci molto meglio e non c’è bisogno di dire perché”. Anche se l’ipotesi di raccontarsi non lo infiamma: “Non facciamo altro che commemorare, intorno a noi siamo pieni di morti”, Scola non crede nell’incendio della nostalgia: “Non sono mai stato pessimista e non credo che oggi si stia davvero peggio di prima” e sostiene che il ricambio generazionale sia cosa buona e giusta: “Aristofane met- All’inizio del suo percorso soffrì anche lei? Appartengo a un mondo in cui il lettino dell’analista aveva sede dal barbiere e alle nevrosi si rispondeva con la passione. Sono debitore a tante persone, a modelli che rispettavo e desideravo imitare. Penso che anche i grandissimi artisti della pittura abbiano avuto punti di riferimento che amavano più di loro stessi e a cui volevano disperatamente somigliare. Oggi nessuno vuole copiare nessuno e il cinema italiano che osserviamo, pur vitale, non è originale proprio perché non copia. È un peccato. che qualcosa di Troisi o di Sordi, anche se non riconoscevi cosa fino in fondo, ti apparteneva indiscutibilmente. Anche Nando Mericoni, il protagonista di Un americano a Roma era un’invenzione originale di Sordi. Steno si ispirò a uno degli episodi del suo Un giorno in pretura, ma girò un film meno luminoso ed efficace del precedente. All’epoca lei scriveva per gli altri. Ero decisamente uno sceneggiatore felice. Facevo un mestiere fantastico di cui dettavo tempi, voglie e slanci dal salotto di casa mia. Non solo non ero frustrato, ma quando andavo a Perché accade? Il Maestro di Malcom teva in scena Socrate nei panni del vecchio rompicoglioni. Che i giovani subiscano malvolentieri l’inamovibilità dei vecchi mi pare nel naturale ordine delle cose. Dicono una cosa legittima. Semplice: ‘Hai tentato e hai goduto, adesso fatti da parte e fai provare me. Non soffriva forse Puccini, da ignorato compositore in trasferta milanese, nel vedere Ricordi pubblicare solo Wagner, Bizet e Verdi?”. Avevamo scritto un film a episodi per Vittorio e lui mi disse: ‘Lo giri tu, farai benissimo’. Il resto è venuto di conseguenza ma se escludo quell’occasione, nessuno mi ha mai obbligato a far nulla. Il peso delle cose buone e di quelle meno riuscite, è tutto sulle mie spalle Se chiedi a Luchetti notizie di Tornatore, tanto per dire due nomi, non ne ha. Non si vedono. Non si frequentano. Mi pare che i registi italiani tra loro non si stimino granché e che il Paese non lo amino poi troppo. Del resto non è facile. Come fai a dire a un giovane autore: ‘ama l’Italia!’. È dura. Per voi era diverso? Per quelli della mia generazione, va detto, era più facile. Nel cinema si respirava l’aria sana della comunione d’intenti. Ci stimavamo reciprocamente e pur non avendo una visione comune e litigando spessissimo, non di rado in modo furibondo, passavamo il tempo insieme anche a lavoro concluso. Eravamo in un’Italia che non ci dispiaceva e a cui eravamo affezionati. Un luogo che avevamo contribuito a ricreare dopo la dolorosa parentesi fascista. Un latifondo di cui il cinema si limitava a vergare ritrattini opachi, minuzie regionali, caratteri minimi. Un posto slabbrato e senza identità in cui tutto era possibile e tutto da inventare proprio perché non c’era nulla. Solo fame, macerie, idiozia. Neorealismo e commedia all’italiana raccontarono al mondo chi fossero davvero gli italianuzzi. Neorealismo e Commedia all’italiana si fecero apprezzare all’estero fino a diventare una sorta di manifesto nazionale, perché di un Paese in cui anche la letteratura non aveva poi fatto molto, restituirono il ritratto fedele di una società per molti versi sconosciuta. Calvino diceva che il più grande narratore d’Italia, al livello di Verga e di Manzoni, era De Sica e nel cinema europeo degli anni 50 non c’erano paragoni. Francia e Inghilterra, ancorate agli archetipi di Feydeau e a Dickens, non erano andate in profondità nella narrazione. Non ti raccontavano mai se avevi la zia sciocca o il padre coglione. La vecchiaia è una fregatura propinata dalla scienza. La vita si è allungata in maniera spropositata. Quando mio nonno festeggiò i 60 anni, Gli italiani invece si identificarono nei vostri film. noi ragazzi lo guardavamo Ci hanno amato più di quanto non amassero Visconti anche perché Visconti era un quadro a sé in una galleria aperta solo per lui. Io, Risi, Monicelli, Comencini e Germi eravamo accomunabili perché dipanavamo un filo collettivo. Il cinema di Visconti, così distaccato nella sua originale lettura del passato, non è che mi spiegasse qualcosa in più di me. Zampa, che era molto meno talentuoso, qualcosa di quel che ero me lo raccontava. La commedia italiana, poi, è certamente un affare di scrittura e di regia, ma senza Gassman, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi o Sordi non sarebbe esistita. attoniti: ‘Ma come cazzo ha Con Sordi lavorò fin dagli anni 40 e per lui scrisse con Steno Un americano a Roma. Quando ho cominciato volevo diventare come Steno. Scriveva bene. Aveva una penna svelta, nuova, moderna. Lo avevo conosciuto ai tempi dei giornali umoristici, dove ero entrato presto, a 16 anni. Il modello cambia al ritmo dell’ispirazione, ma Steno era tra i miei. Con Sordi avevo fatto molta radio: Mario Pio, il Conte Claro, Grazie Amedeo. Alberto era acuto. Politicamente conservatore. Un vero intellettuale che per essere autore non doveva passare la notte sui libri. Aveva un’intelligenza rapidissima, capiva lo spirito dei tempi, orientava il pubblico all’immedesimazione non diversamente da Massimo Troisi, con una comunicazione tutta sua. Guardandoli, sapevi fatto ad arrivare fino a qui’? vedere i film che avevo scritto, li trovavo nobilitati, sempre migliori del mio lavoro. Per Risi e Pietrangeli scrisse varie sceneggiature tra cui Il Sorpasso e Io la conoscevo bene. Risi era maestro di grazia, leggerezza e qualche volta, anche di approssimazione. Pietrangeli era l’esatto contrario. Era pignolo e pretendeva di scandagliare i suoi dubbi in profondità. Entrambi avevano il pallino delle donne, ma anche lì, Risi era più gioioso e la donna, metaforicamente, tendeva a scoparsela. Pietrangeli conosceva profondamente Joyce e voleva studiarla. Capire. Fino a quel momento la donna nel cinema era stata laterale, personaggio secondario al servizio del maschio. Con Pietrangeli il rapporto si ribaltò completamente. In quegli anni le offrirono la sua prima regia. Fosse stato per me, come vi dicevo, non sarei mai diventato regista. Fu colpa di Gassman, esattamente 50 anni fa. Avevamo scritto un film a episodi per lui, Se permettete parliamo di donne e non si trovava il regista: ‘Lo giri tu, farai benissimo’. Il resto è venuto di conse- il Fatto Quotidiano DOMENICA 8 GIUGNO 2014 23 SCATTI DI VITA Da sinistra a destra: Scola a 8 anni a Trevico; con Stefania Sandrelli; con Alberto Sordi; con Marcello Mastroianni e Jack Lemmon sul set di “Maccheroni”. A sinistra, una recente immagine del regista LaPresse lusconi e ne anticipava i temi in modo impressionante. Certe battute sembrano scritte da lui. Per conquistare la simpatia dell’interlocutore con una battuta, Berlusconi si sarebbe fatto uccidere. In Io la conoscevo bene Turi Ferro interroga la Sandrelli. Lei giustifica un amico ladro lodandone la simpatia e lui le rivela una verità assoluta: ‘Le galere sono piene di gente simpatica’. I mariuoli dell’epoca erano più allegri. Adesso neanche quello. Tutta gentaglia. La furbizia è considerata una dote. Il berlusconismo ha dato la stura a questo tipo di personaggi e sicuramente anche Bruno Cortona, il Gassman de Il Sorpasso era simpatico e quindi dannoso, forse anche più degli altri. Ma nel dolo aveva una carica umana che guenza, ma se escludo quell’occasione, nessuno mi ha mai obbligato a far nulla. Il peso delle cose buone e di quelle meno riuscite, è tutto sulle mie spalle. L’ha portato bene. È stato premiato ovunque. Ha valorizzato alcuni dei più grandi attori del ‘900. E pensare che mi sarebbe piaciuto fare il falegname. Anche il regista intaglia il legno. Plasma i suoi attori, li rassicura e li forma, ma nel mio caso, Mastroianni a parte, non ho mai chiesto a un attore di inventarsi un’indole diversa dalla propria. Li conoscevo da vicino, sapevo dove avrebbero potuto spendere al meglio le loro peculiarità. Agli albori della mia parabola avevo fatto il “negro” per Totò, con Metz e Marchesi. Certe battute potevi scriverle solo per lui, altrimenti le buttavi. Perché dice Mastroianni a parte? Forse perché Marcello, che aveva una personalità meno forte dei suoi omologhi, era più attore di tutti gli altri. Era adattabile. Flessibile. Ispirato e semplice, ma non sempliciotto perché gli attori che ho incontrato custodivano personalità complesse. D’altra parte se non vuoi cimentarti in panni che non ti appartengono e non covi un principio di ansietà, scegli un’altra strada. Ha mai litigato con un suo attore? Mi sforzo, ma non mi viene in mente niente. Litigarci e quindi faticare non era tra le mie priorità. Avevo ascoltato Fellini lamentare i suoi precari rapporti con Donald Sutherland e ne avevo intuito l’aggravio. Si intuisce quello di un’intera generazione al tramonto anche ne La grande bellezza. C’è chi ha scorto dirette filiazioni con La Terrazza. Ne ho parlato anche con Sorrentino e pur capendo che gli spettatori sono in costante caccia di similitudini e specularità, mi sembra una scemenza. Sì, Jep Gambardella, Toni Servillo, ha un terrazzino a Roma, ma mi pare che i punti di contatto terminino lì. I due film non c’entrano nulla. Come convive con la vecchiaia? Anche se la verità è che vogliamo andare avanti fino all’ultimo per poi lamentarcene, la vecchiaia è una fregatura propinata dalla scienza. La vita si è allungata in maniera spropositata. Quando mio nonno Pietro festeggiò i 60 anni, noi ragazzi lo guardavamo attoniti: ‘Ma come cazzo ha fatto ad arrivare fino a qui?’. Di ottantenni ne ho conosciuti pochissimi. I miei amici più cari non hanno superato i 72. Monicelli e Lizzani hanno deciso di dire basta da soli. Anche Lucio Magri se è per questo, ma ogni biografia fa storia a sé. Il gesto di Mario l’ho capito e in qualche modo non mi ha stupito. Quello di Carlo invece sì, a riprova di quanto i caratteri non determinino ogni scelta. Scorrendo la sua filmografia si trova anche un film con Alberto Sordi, La più bella serata della mia vita, tratto da La Panne di Friedrich Dürrenmatt che firma anche il soggetto e nel suo libro aveva previsto il suicidio del protagonista. Dürrenmatt era molto severo, scettico e rigoroso. Non gli andava bene niente e con Maximilian Schell, che aveva portato al cinema Il giudice e il suo boia, era incazzatissimo. Non aveva torto e per fortuna non fece in tempo a vedere il lavoro di Sean Penn tratto da La promessa. Non è brutto, ma neanche nel film di Penn si coglie l’epicità della narrazione di Dürrenmatt. Sia come sia, a Friedrich portai la sceneggiatura de La più bella serata della mia vita scritta con Sergio Amidei perché volevo cambiare il finale. Alfredo Traps, il protagonista de La Panne, sottoposto a processo da un bizzarro tribunale notturno in un castello in cui capita per caso, afflitto dal pentimento, si impiccava. Sarebbe stato insostenibile. Nel romanzo gli accusatori si dolgono della scelta: “Alfredo, mio caro Alfredo! Ma che cosa ti sei messo in testa, santo cielo? Ci rovini la più bella serata della nostra vita!” Con lo scrittore andai alla radice della questione. ‘Noi siamo cattolici e non luterani’ gli spiegai. ‘Per il peccatore ci sarà comunque la punizione, ma morirà ridendo perché sa che la sua mentalità borghese, infinitamente più forte della religione di qualsiasi credo, non morirà mai’. Il discorso non gli piacque molto, ma il risultato finale, pur lontanissimo da lui, lo persuase. Tra l’altro, Sordi somigliava a Ber- Renzi ha qualche difetto. Prima di tutto è toscano e noi romani, anche d’adozione, con i toscani abbiamo sempre avuto qualche diatriba esistenziale. Poi non è straordinariamente simpatico ed è un po’ sbruffoncello oggi è totalmente scomparsa. Nel film Gassman sopravvive e Trintignant muore. C’era una premonizione sul destino che sarebbe toccato in sorte a probi e mascalzoni? C’era anche quello, certo. Ma noi eravamo curiosi di vedere l’evoluzione e lo sviluppo delle nostre maschere. Sapere come se la cavavano. Non partivamo con la condanna aprioristica nella tasca. 50 anni dopo, film come Il Sorpasso, il grande cruccio di registi e sceneggiatori rimane lo stesso di allora. Continuano a farmi domande a cui non so rispondere. A Berlusconi, categoria storica più solida dell’ultimo ventennio, riconosce un talento? Anche un progetto eversivo come il suo avrebbe avuto bisogno di genialità. È stato sfrontato, presuntuoso e a tratti anche gagliardo. Ma si è limitato a compiacersi. Per fortuna non ha avuto il lampo hitleriano del caudillo violento o del mascalzone spietato. È rimasto piccolo. E anche la sua fine, con quella condanna risibile che suona come un umiliante contrappasso letterario o come un conticino inevaso, è piccola assai. C’è chi giura che Renzi gli somigli. Forse nella prossemica un po’ di contagio c’è. Sono due italiani e si somigliano di più di quanto non accada a un bavarese e a un napoletano. Renzi ha qualche difetto. Prima di tutto è toscano e noi romani, anche d’adozione, con i toscani abbiamo sempre avuto qualche diatriba esistenziale. Poi non è straordinariamente simpatico ed è un po’ sbruffoncello. Detto questo, nell’ultimo mese mi sembra molto migliorato e con gli 80 euro ha colto nel segno. Si è fatto seguire in un nodo cruciale. Dicono: ‘Son temi elettorali, non frega niente a nessuno’. Niente di più falso. Dovreste vedere le discussioni ideologiche che ascolto quando vado a fare fisioterapia. Tra chi è dentro la forbice e chi rimane fuori, tra entusiasti e detrattori, a volte sembra di essere in una vecchia sezione del Pci. (Arriva una telefonata, dall’altro capo del filo c’è un amico. Scola: “Giovanni, ma che ci chiediamo davvero come stiamo? Lasciamo perde’ dai” ndr) Lei in sezione non va più. Che sentimenti le provoca la sinistra del 2014? Sono tra l’allegro, il deluso e lo speranzoso che è come dire tutto e il contrario di tutto. La sinistra è stata la sua famiglia. Quanto ha contato nella sua formazione quella d’origine? Non moltissimo, ma neanche così poco. Era numerosa, vivevamo a Trevico, in una grande casa al centro di un piccolo borgo nell’avellinese. Non mi sono mai chiesto se ne potessi fare a meno, però so che mi è servita a osservare tic, difetti, tipi e tipetti. La famiglia è una radice, viene fuori anche quando non vuoi, solleva l’asfalto, gonfia la terra, ma se non ci fosse forse non staresti in piedi perché noi non siamo molto diversi dalle piante. Ricorda Mastroianni alle prese con gli aforismi meccanici ne La Terrazza? “Ho lasciato la famiglia perché non sopportavo la solitudine”. Si vabbè, d’accordo, ma voi che intenzioni avete? 24 DOMENICA 8 GIUGNO 2014 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano a cura di Stefano Disegni di edelman BIOCRAZIA RAFFAELE FITTO (MAGLIE, 1969) Fitto è l'esponente di Forza Italia più votato alle ultime Europee. C'era bisogno di dare un volto al disastro. n La candidatura di Fitto all'Europarlamento è stata sostenuta da Nicola Cosentino. Per un'ora al giorno. n Fitto ha ottenuto così tante preferenze che i magistrati devono ancora finire di contarle. n Di recente ha proposto le primarie per individuare il leader del centrodestra. Un affronto intollerabile al grande carisma di Toti. n Anche Bisignani vede bene Fitto alla guida di Forza Italia. Da quando gli hanno allargato i buchi del cappuccio. n Fitto vorrebbe che la discussione sulle primarie avvenisse in streaming. E che invece di Berlusconi ci andasse Bersani. n Berlusconi accusa Fitto di aver organizzato cene alle sue spalle. Tranquillo Silvio, erano davvero cene. n Nel 2011 Fitto veniva descritto come un fedelissimo di Alfano. Capirete la sua voglia di riscatto. n Fitto è stato condannato in primo grado per corruzione. Davvero troppo poco per competere con Berlusconi. n Il re è nudo SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano DOMENICA 8 GIUGNO 2014 25 FEDERICO BUFFA conduce “Storie Mondiali”, 10 puntate su Sky Calcio Ansa TG PAPI SALI E SCENDI Due fiori di stile in un prato di melma di Paolo Ojetti mentre il melmoso tsunami di E mazzette, tangenti, estorsioni e peculati travolge l’informazione tutta, in Rai – chissà, forse per legge – ci si contorce ancora fra “nuove rivelazioni” e garantismo: non c’è “dazione” che non sia presunta e non c’è Galan (preso ad esempio) che non venga difeso d’ufficio. I verbi al condizionale, è sicuro, dureranno fino alle sentenze definitive, cioè per dieci anni. Tralasciamo la fanghiglia, tanto il telespettatore sa già che fra patteggiamenti, prescrizioni, leggi e leggine ad personam nessuno finirà sul serio in galera. E allora cogliamo due fiori. Uno è “Quel gran pezzo dell’Italia” di Riccardo Bocca, in onda giovedì sera su Rai3. L’altro è uno speciale del Tg1: i “Mille papaveri rossi” di Roberto Olla. RICCARDO BOCCA ha confezionato “La sinistra è un male”, ricostruendo 50 anni di vita politica da Togliatti a Renzi non con la tattica della solita voce che srotola il gomitolo della storia comunista e post come fossero pagine di Paolo Spriano o Giorgio Galli, ma gettando colpi di luce su angoli eterodossi molto più esplicativi: gli autodafé di Veltroni e Bertinotti davanti al satiro Paolo Rossi, un acerbo Scalfari anni ’60, punti- glioso e petulante che interroga un Togliatti forbito come può essere solo un piemontese promosso all’esame moscovita di Stalin, Berlinguer appena cinquantenne a tu per tu con l’eterno Vespa, le ragioni dell’essere comunista – agli antipodi – di vigorosi Pajetta e Napolitano. Qua e là il filtro caustico delle imitazioni di Corrado Guzzanti e le considerazioni puntute del compianto Edmondo Berselli, un venerato maestro (per citare la categoria migliore che egli stesso individuò in alternativa al “solito stronzo”). L’operazione del gran pezzo dell’Italia di Bocca, diretta per ammiccamenti soprattutto a chi la storia didascalica già conosce a menadito, è riuscita, geniali teche teche comprese. “Lungo le sponde del mio torrente/ voglio che scendano i lucci argentati/ non più i cadaveri dei soldati/ portati in braccio dalla corrente”. I “mille papaveri rossi” di Olla hanno ricordato così la guerra in Italia del 1944, con “La guerra di Piero” di Fabrizio De André come colonna sonora, poesia che è penetrata nella cultura collettiva di almeno due generazioni. Poche parole, una sapiente narrazione per immagini, per risalire la penisola fra distruzioni, crudeltà ed eroismi. Una lezione di stile sottratta da Maria Luisa Busi ad altri orari stravaganti e alle reti digitali periferiche. Nessun racconto già scritto Soltanto Storie: mondiali di Carlo Tecce a incorporato un magnate, inH sidioso. Non ti stacchi. Stai lì, penzolante, tra il bordo di un divano e l’orizzonte di fuga. Vuoi uscire. E buttare il televisore, che a volte emana calore e pure pigrizia. Ma poi la musica toglie il disturbo dopo averti ingannato e Federico Buffa – Storie Mondiali, 10 puntate, Sky Calcio – ti attira a sé fra citazioni, dischi in vinile, frammenti taglienti di partite. Il calcio è tante cose, non sempre belle, non sempre limpide. Vedi quest’uomo in piedi, un pulpito laico, prospettive rarefatte, sensazioni eleganti. Capisci che ti vuole raccontare Messico 86, una fregatura ancora vivida per gli inglesi o, semplicemente, un’epica mai riscritta con un uomo che fa vincere una squadra e non viceversa. Va bene, nulla di nuovo: sono passati quasi trent’anni. Vuoi liquidare Buffa e le rivisitazioni, le celebrazioni. Non concedi neanche due minuti al “battaglione curiosità” che non abbandona mai il campo cerebrale (e spesso viene sottovalutato), ma l’astuto Buffa ha già sconfitto le tue difese psicologiche e i tuoi pregiudizi estremi. Non puoi mollare, anzi la testa va spinta contro lo schienale e all’occorrenza puoi stappare una birra, perché ti sta per far toccare con la mano di Maradona la palla che spiove in area e comincia dal generale Videla e ricomincia da Gaetano Scirea, le isole Falkland. QUANTE VOLTE quella mano ha toc- cato quel pallone oppure quel botolo argentino l’hai ammirato correre per un campo intero su passaggio di un carneade? Ma Buffa rettifica, aggiunge, sovrappone e ti stupisce, dopo aver annientato le ultime resistenze d’ignoranza che ci fanno pensare di essere saturi quando saturi di sapere non s’è mai. E poi Maradona esulta con quella faccia sincera di un rapinatore di pallone e Buffa la esamina senza amnesie fisiognomiche o sproloqui antropologici: no, ti getta dentro quegli occhi (ancora non spiritati come a Usa 94) con la malinconia permanente, il disincanto mai infantile di un Osvaldo Soriano. Gli oro- Gli ascolti di venerdì SISTER ACT Spettatori 4,3 mln Share 18,9% SEGRETI E DELITTI Spettatori 2,4 mln Share 13% logi non si indossano più e non s’appendono in salotto. Il telefono, per sua fortuna, è lontano. Non t’accorgi che un’ora è andata via, vorresti il secondo tempo senza intervallo. E finisce così, al diavolo l’aperitivo di mezzanotte. Stavolta l’appetito lo scatena un racconto di calcio che non è un racconto di calcio, ma un estratto di un mondo che chiamano Mondiale, l’apoteosi di un gioco che di sportivo ha poco, se non l’origine. Ha il popolo, la leggenda, la politica, la corruzione, la speculazione, la maledizione, il sacrificio, la leggerezza e, tanto, tanto culo. Il prossimo Buffa arriva presto. Bucato l’ordine di calendario, il redento telespettatore oscilla fra Italia-Germania 4-3 con le retroguardie che avevano poco di guardia e molto di retrò; i polacchi abrasivi di Spagna 82 e la sfiga di Ciccio Graziani; l’aggressiva umanità di Zidane e l’umanità aggressiva con Ronaldo di Franca 98. Forse l’avete già visto, sentito di certo. Mai, mai così. Twitter: @Teccecarlo BLOB Spettatori 1,1 mln Share 4,9% IL MEGLIO DI CROZZA Spettatori 1,5 mln Share 6,4% 26 SECONDO TEMPO DOMENICA 8 GIUGNO 2014 il Fatto Quotidiano STORIE ITALIANE STRATEGIE Più lavoro per i giovani: lo spot per cacciare i vecchi di Furio Colombo N on c’è lavoro. I governi si spostano in avanti per mostrarsi coraggiosi e distribuiscono appelli estrosi. L’ultimo, nel nostro Paese, che ha un governo giovane e audace, si chiama “Sblocca Italia”. Significa, credo, che adesso provvederemo a far correre tutto più veloce. Ecco un’attendibile descrizione: “Abbattere il numero delle autorizzazioni. Semplificare le regole degli appalti. Norme speciali per superare i vincoli. In altri termini levare i tappi che oggi fermano opere pubbliche e private, gli ostacoli delle Sovrintendenze, dei Comuni, dei ministeri, dello Stato”. (Repubblica, 2 giugno ). Segue, su tutti i giornali, e ascoltiamo, con voce adeguatamente stentorea in tv, la dichiarazione del giovane premier Renzi: “Perché di questo abbiamo bisogno, di sbloccare l’Italia e di lasciar fare alla gente quello che la gente vuole fare”. Questo il 2 giugno. IL 4 GIUGNO inizia la retata di tutti coloro che finora sono riusciti a mettere le mani sul flusso di danaro del Mose, la grande diga veneziana, personaggi di vertice del settore pubblico e di quello privato. Giorni prima era toccato a vertici di grandi banche e della loro rappresentanza. E poco prima a tutti i responsabili del grande gioco dell’Expo. Accade spesso nella storia. Un ostacolo troppo grande (la peste, la siccità, la carestia, l’infertilità) non si può rimuovere e allora si ricorre, secondo il tempo e i riti, a due espedienti che ritornano sempre: trovare un nemico e offrire sacrifici. Il nemico era stato trovato fin dall’inizio del nuovo, giovane governo, nella burocrazia, un calcinaccio che bloccava le macchine e dunque bloccava il lavoro. “Noi ci entreremo col bulldozer”, aveva annunciato il giovane primo ministro. I sacrifici, intanto, venivano chiesti un po’ bruscamente a tutti, cominciando dal basso, da coloro che non hanno vie di fuga. Un’altra buona idea è multare la Rai (che, se funzionasse, sarebbe “un servizio pubblico” e dunque non solo una garanzia ma anche un diritto, per i cittadini che hanno pagato il canone). Ma è stata lasciare andare tranquillamente per il mondo la massima impresa italiana, la Fiat, che adesso paga le tasse a Londra, produce in America e non ha, al momento, progetti per ciò che è restato qui, una filiale italiana. Riassumiamo. Non c’è lavoro. Le “grandi opere” sono mangiate dalla corruzione, le grandi aziende si sfilano (la Fiat è stata seguita in America dalle migliori fabbriche dell’indotto), le banche restano ferme o perché arrestano i dirigenti o per prudente astensione e mancanza di segnali (unico lumicino, per ora, è l’iniziativa di Draghi). Una tentata soluzione è stata lanciare la guerra generazionale. Non rappresenta la realtà e non produce lavoro, ma dà una ragione alla rabbia. Il settore “età” però è immensamente disordinato. Allo stesso tempo si annuncia che i vecchi andranno in pensione più tardi, che intere masse di lavoratori (Alitalia) saranno esclusi dal lavoro più presto, e che gli anziani occupano tutti i posti che spettano ai giovani. È l’invenzione della gerontocrazia. Contiene un falso. È vero che anche i ricchi invecchiano e, se possono, restano potenti. Ma non è vero che i vecchi diventano ricchi e potenti per via degli anni, e non è vero che siano gli anziani a sbarrare la strada ai giovani. Basti pensare all’immenso gap tecnologico. Ma lo scambio tra classe e Amedeo Matacena LA GIUSTA RICETTA La sola strada che produce occupazione è la lotta alla corruzione Altrimenti moriranno i gerontocrati, ma i ragazzi rimarranno disoccupati generazione giova al nuovo clima di larghe intese. Ognuno ha il suo vecchio da odiare, qualcuno che si ostina a occupare il tuo posto. In questo clima si diffonde una pubblicistica in cui il lavoro dei giovani viene trattato come un fenomeno sociale, tipo quartieri a luci rosse, la città a dimensione di bambino, l’energia alternativa e le piste ciclabili. Come per le piste ciclabili, ogni tanto si annuncia: “E adesso diamo il lavoro ai giovani”. NON È VERO che manca il la- voro dei giovani. Manca il lavoro e basta. Nel nuovo clima esasperato e confuso si aggiunge un paradosso in più: ogni licenziamento in grandi numeri viene visto con simpatia dall’opinione pubblica, indottrinata a vedere come cosa buona ogni “snellimento” di personale, predicato per decenni come soluzione in ogni assemblea di imprenditori invece di studiare innovazione e sviluppo. La guerra tra poveri sta dando frutti. L’antipolitica si è a poco a poco trasformata in anti-lavoro. Piace che mandino via gente dalla Rai invece di riformare quell’azienda, piace che il governo annunci inesorabili tagli agli statali. Circola una curiosa antipatia per l’Alitalia e nessun interesse per i 2000 o 3000 esuberi. Gli occupati sono diventati una sottoclasse da multare o mandare a casa, come i politici. Però, nelle imprese, a nessun licenziamento segue un’assunzione. Diciamoci la verità: il lavoro ha senso nella lunga durata, quando si investe per questa e per la prossima generazione. Nella vita breve stimolata dalla droga finanziaria, l’imperativo è “prendi i soldi e scappa”. Nella vita breve conta la tangente molto più dello stipendio o del profitto. Adesso e subito, anche se comporta rischi. Evidentemente, nonostante le ondate ricorrenti di maxi-retate, solo pochi inciampano. E l’attività corrotti-corruttori (che non è il lavoro, non crea lavoro ma si porta via ricchezza) riprende subito. Dunque la sola strada che produce lavoro è la lotta senza tregua alla corruzione. Altrimenti moriranno i gerontocrati, ma i giovani continueranno a restare senza lavoro. Alla corruzione non servono. Serve personale esperto. Matacena e Scajola sono gli eroi del nostro tempo. FATTI DI VITA di Silvia Truzzi n QUESTA settimana Antonio Colombo, membro del Cocer (il sindacato della Marina militare), ha chiesto alla Figc che gli Azzurri indossassero in Brasile un fiocco giallo sulla maglia “per mantenere viva l’attenzione e coinvolgere l’opinione pubblica internazionale sulla triste e assurda vicenda dei nostri marò”. Mercoledì dalla Figc è arrivata una risposta negativa: “Siamo solidali con quella che è una battaglia non solo del Cocer, ma di tutto il Paese. Tuttavia non possiamo mettere il fiocco giallo per i marò italiani trattenuti in India”. Il portale dell’Ansa che riporta la notizia racconta così – notare bene l’espressione – il no al fiocco giallo, “simbolo di chi è trattenuto contro la sua volontà lontano da casa”. “Lo sport dia un segnale perché siamo vicini a questi ragazzi e alle loro famiglie”, ha detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò. Segnale che è prontamente giunto. Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, ha presentato due maglie ufficiali della Nazionale con stampati i nomi di Latorre e Girone: “Il Campionato del mondo loro lo giocano con noi. È un piccolo gesto, ma ricco di “Io, scampato a Capaci, ora vivo col senso di colpa” di Nando dalla Chiesa L’ uomo parla e spinge indietro la memoria di tutti. Che è un macigno, ma scivola veloce. Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova. L’aula magna dedicata a Cesare Musatti resta sospesa tra le parole di questo relatore anomalo e le immagini di un passato che non passa mai. Angelo Corbo non è un nome noto, eppure bastano due parole per associarlo a momenti indimenticabili e terribili della storia della Repubblica. È uno degli agenti di scorta di Giovanni Falcone usciti vivi dall’inferno di Capaci. 23 maggio del 1992. Ore 18.58, un cratere immenso che si apre d’improvviso sull’autostrada che porta dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Un boato di guerra e le tre auto in fila. Quella di Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo davanti. Quella del giudice e di sua moglie Francesca Morvillo, in mezzo, con l’autista giudiziario Giuseppe Costanza seduto dietro. E poi la sua: lui con Paolo Capuzza e Gaspare Cervello. Che, con Costanza, si salveranno. È praticamente impossibile guardare Angelo e non immaginare, dietro di lui, quei momenti sullo schermo dell’aula magna. Parla a fatica, in certi momenti la voce si incrina, soprattutto quando a distanza di 22 anni vuole ricordare i nomi dei colleghi. È ANCORA un uomo giovane, Angelo Corbo. Vestito di chiaro, ha il fare educato e gentile e un’espressione solare. In apparenza. Perché il fondo dello sguardo ti consegna una malinconia acuta, incredibilmente simile (chissà per quale misterioso motivo) a quella che in certe foto si vede nei neri assiepati intorno a Martin Luther King. Ricorda, ai giovani e agli adulti riuniti dalla professoressa Ines Testoni a parlare di mafia e corruzione, il servizio prestato con slancio accanto al magistrato più a rischio d’Italia. Una squadra di amici, affiatata. Racconta a chi non la sappia o se la fosse dimenticata la storia di un uomo lasciato solo in Sicilia e costretto ad andare a Roma; e di loro, poliziotti semplici, che lo capivano e cercavano di farlo capire ai loro superiori. E che pativano per l’ingiusta solitudine. “Era ‘un morto che cammina’, gli dicevano continuamente, e noi lo eravamo con lui, non ci voleva molto a rendersene conto”. “Poi gli altri sono morti davvero e io invece sono qui. E mi sento in colpa”. Il silenzio in platea si fa più fitto. Incredulo. Commosso. Puoi anche avere già letto di lui su un quotidiano, puoi averlo ascoltato in un’intervista in tivù, ma sentirglielo dire mentre lo hai accanto e ne puoi quasi distillare il fiato, mette i brividi. “Ci hanno anche rimproverato, lo ha fatto un ex collega, perché non ci siamo accorti che su una strada parallela si muoveva un’auto dei mafiosi, con Gioac- La strage di Capaci LaPresse SENZA VERITÀ Uno dei poliziotti della scorta di Falcone: “Chiedete chi c’era a Ciampino quel giorno, chi ha passato alla mafia gli orari del giudice” chino La Barbera. Così almeno si è saputo poi. E io, trasformato in colpevole, ho dovuto spiegare che il compito della scorta non è quello di perlustrare le strade vicine ma di proteggere davanti e dietro la persona che può essere colpita, di non fare avvicinare nessuno”. Spiega le tecniche di protezione, descrive le manovre “a fisarmonica”, racconta che ora si viene formati a fare le scorte, i più fortunati anche a sparare, ma che a lui non l’aveva insegnato nessuno, che Angelo Corbo aveva dovuto imparare presto e da solo, con qualche insegnamento pratico dei più “anziani”, come difendere il giudice più odiato da Cosa Nostra. “Non è a noi che devono chiedere perché fu possibile uccidere Falcone”, dice. Uno scatto del pensiero lo porta oltre i risultati delle indagini. “Lo devono chiedere a chi avvisò Cosa nostra che lui stava arrivando a Palermo a quell’ora. Perché neanche noi lo sapevamo. Non avevamo alcuna notizia certa sull’orario. Certe informazioni non si davano in anticipo. Bisognerebbe sapere chi c’era a Ciampino (e qui la voce si fa dura), non dimentichiamo che il giudice partì da lì, non aveva preso un volo di linea ma per sicurezza aveva preso un volo di Stato. E invece loro si fecero trovare all’ora giusta, con precisione. Chi li aveva avvertiti?”. Torna lacerante l’interrogativo che non ha fatto dormire tanti italiani. Una soffiata complice e impunita perché si compisse la grande tragedia collettiva. Il “chi?” che rimane senza risposta. Con lui, Cervello e Capuzza che non riescono ad aprire la portiera della Croma di Falcone e allora restano armi in pugno, sanguinanti, a difenderlo dal possibile colpo di grazia dei killer mafiosi. ANGELO CORBO, medaglia d’oro al valor civile, è ancora in servizio. Ispettore presso la sezione di polizia giudiziaria al tribunale di Firenze. Non è dunque solo un pezzo di memoria. Anche se la memoria, questo è certo, lo ha inchiodato al boato; e gli ha regalato un compagno di vita che non lo molla mai, il rovello di aver visto un giorno i suoi amici saltare in aria e poterlo raccontare. Nel paese in cui masse di corrotti impuniti, anche a pochi chilometri da qui, pretendono applausi, tappeti rossi e onorificenze, tetragoni a ogni vergogna, un uomo onesto e dallo sguardo malinconico, un uomo dello Stato, sente la colpa di essere uscito vivo dalla guerra mafiosa che ha fatto a pezzi i suoi colleghi. Che abisso di umanità, amici... Marò: anche i pescatori sono stati uccisi “contro la loro volontà” significati: per noi sono parte integrante della squadra”. Non è certo la prima volta che la vicenda dei due fucilieri di Marina sconfina oltre il terreno della politica. L’edizione 2014 del Festival di Sanremo si è inaugurata con una conferenza stampa (la Rai non c’entrava nulla, l’iniziativa era stata del sindaco della Città dei fiori) delle mogli di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. A due passi dall’Ariston, una fontana era stata arredata con luci gialle. DA DOVE nasce questa retorica collettiva e pseudo patriottica, che invoca “l’immediato rientro a casa” al grido di “salviamo i nostri ragazzi”, o “difendiamo i nostri soldati che rischiano la vita per difendere l’Italia”? Non aiuta che a ogni occasione ufficiale, che sia il discorso dell’ultimo dell’anno o la celebrazione del 25 aprile, il presidente Napolitano dica cose come “I nostri marò, ingiustamente trattenuti troppo a lungo lontano dalla Patria, fanno onore all’Italia”. Ma è un atteggiamento diffuso e piuttosto trasversale (c’è addirittura chi, n come La Russa, si è dichiarato pronto a candidarli). Dunque, l’opinione pubblica ha tutto il diritto di pensare a Girone e Latorre come a due martiri, soldati rapiti da un governo straniero. Non possiamo essere tutti esperti di giurisdizione, immunità funzionali, trattati, diritto internazionale: questa vicenda è molto complicata e proprio per questo la propaganda innocentista è fuori luogo. Di certo lo sono i toni. I militari hanno diritto a un giusto processo, ma non a diventare due eroi sicuramente non prima che la loro posizione sia chiarita. Perché Ajesh Binki, 25 anni, e Valentine Jelastine, 45 anni, sono morti. Nessuno qui sa chi erano, nessuno conosce i loro nomi: erano due pescatori indiani, scambiati per pirati, uccisi il 15 febbraio 2012 al largo del Kerala. È per questi omicidi che sono sotto accusa Girone e Latorre. E se i marò sono trattenuti in India “contro la loro volontà”, sicuramente Ajesh Binki e Valentine Jelastine sono morti contro la loro volontà. @silviatruzzi1 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano 27 DOMENICA 8 GIUGNO 2014 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Assuefazione mediatica agli scandali È ormai evidente, che gli appalti, in particolare i più grossi, abbiano componenti standard. Ci sono i costi per i lavori, destinati a lievitare e ci sono i costi "connessi". L'impressione è che, la scelta dei progetti, più che alla necessità, sia legata alla consistenza di questa essenziale appendice, usata per finanziare partiti, malavita politica e il suo indotto di manager, controllori corrotti, oltre alle mafie "ufficiali". Per questo è impossibile fermarli. Chi vuota il sacco, parla di un sistema degenerato di "ordinaria" corruzione, di cui tutti, nonostante gli arresti giornalieri, continuano ad accettare i rischi. Rischi modesti in verità, visto che, prima bisogna essere scoperti, poi, tra “leggine” ad hoc, indulti, immunità, prescrizioni, malattie o età avanzata, nessuno va in galera o ci resta per molto. (In base ai dati, i detenuti per corruzione-concussione, nell'UE sono il 4% del totale. Nel paese più corrotto d'Europa, sono lo 0,4). Se proprio va male, ci sono domiciliari e servizi sociali. E' il sistema Italia, gestito in modo efficace e scrupoloso, dal ceto politico, di destra o sinistra che sia. In fondo, gli scandali Expò, Mose ecc.. non vanno considerati straordinari o da prima pagina. Fanno parte del "panorama" e la gente si è assuefatta, visto che continua a votare questi partiti. La notizia sarebbe, se un'opera pubblica venisse decisa perchè davvero utile, completata nei termini coi fondi previsti e senza indagati per tangenti e corruzione. Mario Frattarelli Pugno duro di Renzi, ma fino a un certo punto Bravo Renzi, chi ruba deve essere processato per alto tradimento. Quelli di Venezia, di Milano, di Genova sono per il momento solo indagati. Pu- gno duro, daspo per i politici. Il discorso è perfetto. Come mai allora lui continua a collaborare con Verdini che, oltre che indagato, è stato rinviato a giudizio per le stesse cose? E con questa persona, passibile di alto tradimento sta per varare la riforma della Costituzione, legge fondamentale dello stato? Alle parole devono seguire i fatti altrimenti non si è credibili. Ma tanto verba volant. Francesco Degni “Piove governo ladro” e noi gli unici a bagnarci In passato le inchieste della magistratura sono state spesso sospettate di strumentalizzazione per fini politici in merito alla tempistica scelta nel diffondere all'opinione pubblica lo stato delle indagini che coinvolgevano noti esponenti politici. In questi casi si è parlato di ma- fuori l'ennesimo scandalo di corruzione (Mose di Venezia) in cui sono implicati politici di spicco di quello stesso partito che un milione e mezzo di indecisi in aggiunta ai soliti affezionati hanno votato. Mi chiedo se anche in questo caso non si debba parlare di magistratura ad orologeria, questa volta però a scoppio ritardato per non danneggiare il partito egemone di Renzi che altrimenti difficilmente avrebbe potuto ottenere il plebiscito di voti che ha registrato in tutto il Paese, Veneto incluso. “Piove governo ladro”, recita l'antico detto, ma vien da pensare che agli italiani piaccia bagnarsi. Grandi opere, grandi retate CARO FURIO COLOMBO, perché le “grandi opere” invocate da tutti come la soluzione della crisi, lasciano sempre lavori incompiuti e carceri affollate? Federica SE SI TRATTASSE di un fatto medico si parlerebbe di epidemia. E quando gli esperti hanno buone ragioni per sospettare una epidemia, sanno che a ciò che è accaduto nel recente passato potrà corrispondere una serie uguale o peggiore di eventi nell'immediato futuro. Qui non si tratta di dire che sono tutti ladri, perché ovviamente non è vero. Però certe cose, troppe cose, non si capiscono. Quando si parla di “grandi opere” vige una sorta di ingenua e appassionata attesa. Prima, tutto si celebra, tutto si esalta e più grande è l'opera, intorno a cui in tanti si danno da fare (e non sappiamo come) più le celebrazioni si moltiplicano. Basti pensare alle “grandi opere” in corso, esattamente modellate su Expo e Mose, ma felicemente “in progress” senza disturbi e verifiche. Alcune volte (tante) all'improvviso, dopo decine (centinaia) di arresti con accuse immense, frutto della mancanza di ogni controllo, tutti dicono prontamente due cose: “Fiducia nella magistratura”. E “le grandi opere devono continuare”. Eppure la seconda frase non può essere detta perché le modalità con cui le “grandi opere” in corso non ancora investigate, sono identiche alle modalità che hanno portato alle maxi-retate di Expo e Mose (per parlare solo dei due eventi più recenti, più impressionanti e più strettamente derivati dalla politica). Scrive Corrado Stajano: “Il futuro è incerto, il governo delle larghe intese non è il modello di quella chiarezza di cui il Paese ha necessità (...) Lo Stato si regge su travature tarlate. Aveva ragione Berlinguer, quando sosteneva che la questione morale è questione politica” (il Fabio Filomeni Il premier predica bene e razzola malissimo Dopo la retata veneziana da parte della Procura locale di chiacchiere più o la vignetta Corriere della Sera, 5 giugno). Nessuno risponderà a queste parole, salvo parlare di “gufi”, “rosiconi” o “sciacalli” per definire coloro che, anche educatamente, dissentono. C'è stato un solo annuncio: la nomina del magistrato Cantone come verificatore di tutto. Nonostante il prestigio e le qualità di Cantone, è possibile? Per esempio, potrà, quel solo magistrato, andare su e giù per il tracciato dell'autostrada privata detta “Corridoio Tirrenico” che divide e spacca la Toscana dalla Maremma a Livorno (e oltre), che ha ricevuto in dono dallo Stato l'intero percorso della via Aurelia, e si affida a una catena di subappalti ad aziende lontane, piccole e ignote? Per avere detto cose come queste, il prof. Gianni Mattioli (docente di Fisica a La Sapienza di Roma e già ministro di Prodi) deve difendersi a sue spese da una causa per diffamazione dei fautori della grande opera, per centinaia di migliaia di euro. E Nicola Caracciolo, presidente di Italia Nostra, è già stato ammonito a non provare a sollevare dubbi, per avere difeso Mattioli, e al Fatto Quotidiano per avere pubblicato la lettera di Caracciolo. Intanto decine di migliaia di espropri di fertili terreni agricoli, uliveti e costruzioni sono già pronti per poter iniziare il proficuo lavoro di cementificazione vista mare, il tutto senza gare e senza concorrenza. E dovrà, potrà Cantone verificare tutto in tempo? Dovrà, potrà andare ad aprire il suo ufficio presso altre grandi opere in corso (inutilmente contestate dai cittadini dei luoghi purtroppo prescelti), dal costo immenso, e con ignote partecipazioni straordinarie, di cui si verrà a sapere, sia pure con grande stormire di media, solo troppo tardi ? Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] sare i suoi soldi allo Stato. Se poi, come emerge da tante vicende come l’ultima l'inchiesta sulla corruzione negli appalti per il Mose i denari pubblici frutto delle tasse invece che essere usati per garantire servizi di qualità adeguata ai cittadini, servono per foraggiare politici corrotti e funzionari infedeli, non possiamo stupirci se la nostra credibilità europea molto spesso scricchiola. Mario Pulimanti DIRITTO DI REPLICA Caro Padellaro, ho letto il pezzo sulla presentazione del mio nuovo quotidiano (“il Garantista”) che avete pubblicato ieri. Ci sono due imprecisioni. Una pochissimo grave. Una moltissimo grave. La prima è che io sarei il giornalista più avvistato da Vespa. Non so se voi siate contrari per principio alla partecipazione dei giornalisti ai talk show. Io comunque non vado da Vespa dal 2010, un po’ più di quattr’anni… La seconda imprecisione invece è grave. Dice che ho licenziato da “Calabria Ora” Lucio Musolino perché stava facendo un’inchiesta sulla ‘ndrangheta. Io non ho mai licenziato Musolino e lui non stava facendo nessuna inchiesta sulla ‘ndrangheta. Musolino è stato licenziato dall’editore, contro il mio parere e la ‘ndrangheta non c’entrava niente. Capisci che essere accusato di licenziare uno perché contrasta la mafia è piuttosto infame. La polemica è sempre bella, il fango e la bugia no. Piero Sansonetti gistratura “ad orologeria”, proprio per la tempestiva coincidenza con eventi mediatici internazionali (ricordiamo l'imbarazzo di Berlusconi al ricevimento dell'avviso di garanzia in occasione del G8 di Genova). Adesso, appena terminate le importanti elezioni europee ed amministrative nelle quali il Partito democratico ha stravinto, viene meno scandalizzate se ne fanno parecchie e non si astiene il Capo del governo Renzi che fa il monsieur de La Palisse dicendo che il problema sono i ladri e non le regole. Peccato che intanto in Parlamento le regole, appunto, vengano depotenziate dal punto di vista penale per certi reati, tipici dei colletti bianchi, che prevedono pene fino ai cinque anni. Renzi dichiara, nell’ennesima conferenza stampa, che per lui il politico che si macchia di corruzione dovrebbe essere incriminato per alto tradimento. Anziché fare simili sparate ad effetto dovrebbe invece spiegare, lui o il ministro della giustizia Orlando, perché il Def approvato dal Consiglio dei ministri l’8 aprile scorso prevedeva la ne- il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio cessità di rivedere il processo penale nella prescrizione, allungandola, con l’introduzione del reato di autoriciclaggio e autoimpiego oltre che con la revisione del falso in bilancio, mentre una settimana dopo quando è arrivato alla Camera per l’avvio dell’esame parlamentare tali argomenti sono scomparsi. Parafrasando il titolo di un famo- so film si può dire: sotto le chiacchiere poco o niente. Mario Sacchi Le tasse non sono solo alte, ma incomprensibili Il nostro sistema fiscale é oppressivo e vessatorio, perché obbliga il cittadino che vuole pagare le tasse a impressionanti peripezie per capire quando, quanto e come deve ver- I NOSTRI ERRORI Ieri, per un errore, l’autorità di sorveglianza legata alle vicende dello scandalo veneziano del Mose è stata indicata come Magistrato del Po, mentre si tratta invece del Magistrato alle Acque. Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] • Servizio clienti [email protected] MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo; Società Tipografica Siciliana S. p. A., 95030 Catania, strada 5ª n° 35 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l’estero: Publishare Italia S.r.l., 20124 Milano, Via Melchiorre Gioia n° 45, tel. +39 02 49528450-52, fax +39 02 49528478, mail: [email protected], sito: www.publishare.it È possibile sottoscrivere l’abbonamento su: https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/ Distribuzione Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: 20132 Milano, Via Cazzaniga n° 1, tel. + 39 02 25821, fax + 39 02 25825203, mail: [email protected] Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione: ore 22.00 Certificato ADS n° 7617 del 18/12/2013 Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129 Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su c. c. postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. 00193 Roma , Via Valadier n° 42, Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero +39 06 92912167, con ricevuta di pagamento, nome, cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal.
© Copyright 2024 Paperzz