Comuni a rischio default: mani (e tasche) bucate

Distretto ceramico
accaDmenti
«FLORIM
non è
in vendita!»
Rolando Rivi,
un esempio
per tutti noi
Così il Presidente
Claudio Lucchese
replica ai rumors
Martire e testimone:
il giovane Beato visto
da Don Achille Lumetti
pagina 4
pagina 9
133
by Ceramicanda
Il giornale di tendenza che non grava sulle casse dello stato
DSTRISCIO
C’era una
volta l’autorità
Di Roberto Caroli
anno 5 numero 133 • 2 Novembre 2013 • euro 1,00
Comuni a rischio default:
mani (e tasche) bucate...
segue a pagina 3
Lavoro
Contratto:
Confindustria
Ceramica sfida
i sindacati
Il 2013 porta con se una
novità di rilievo: il no
pubblico dell’associazione
dei produttori ceramici
alla richiesta di aumento
salariale fatta dai sindacati.
Un no pronunciato da Enzo
Mularoni, Presidente della
Commissione Sindacale
di Confindustria Ceramica
DI NUOVO
IN ONDA
L
’immediato dopo guerra
vissuto dal nostro Paese è
facilmente raccontabile: miseria, fame e macerie ovunque.
La maggior parte degli italiani
viveva alla giornata con quel
poco che riusciva a raccattare
qua e là. Si narra di famiglie
riunite davanti alle chiese, a
volte anche presso le caserme
dei militari ad elemosinare
cibo; si racconta di uomini assiepati di primo mattino sotto i
balconi dei municipi in attesa
di un lavoro. Soltanto il sindaco, con totale discrezionalità,
stabiliva chi avrebbe lavorato
anche solo per una giornata e
chi, invece, doveva fare ritorno
alle proprie misere case, speranzoso che il giorno dopo sarebbe andata meglio. I racconti
ci portano immagini di gente in
fila indiana attraversare il cuore delle città armata di carriole
e badili, diretti a svolgere lavori di manutenzione delle strade,
a rompere pietre sulle sponde
dei fiumi. Ma sulle comunità,
avvolte dal freddo e tetro momento economico, filtrava la
luce delle autorità del luogo;
ai cittadini arrivava forte l’affetto, l’abbraccio di Comuni,
Chiese, caserme: veri punti di
riferimento in grado di infondere sicurezza.
DISTRETTO CERAMICO
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C
PRIMI AD
INIZIARE
PRIMI NEGLI
ASCOLTI
asse pubbliche a rischio default? Se ne parla,
e anche nel distretto ceramico. In passato ci
eravamo occupati del maxidebito di Castellarano,
questa volta tocca a Sassuolo, zavorrato dai debiti di
quella SGP che si è presa, da un paio di mesi a questa parte, il primo piano nel dibattito politico. Che a
Sassuolo, attorno ai conti del Comune, si è fatto in-
cendiario, con Caselli sovraesposto e le opposizioni
a chiederne le dimissioni quando non la sostituzione
con un commissario prefettizio. Lo snodo cruciale è
il 30 novembre, quando dall’aula del consiglio comunale sassolese passeranno i numeri del Comune
e di SGP: intanto, però, il sindaco Luca Caselli racconta la sua verità
a pagina 2 e 3
BAR DELLE VERGINI
Colazione, pranzo e cena? Da Tiffany!
S
pese pazze in regione: è questo l’argomento del momento al Bar delle Vergini.
Tutti e nove i capigruppo - di Pd, Pdl, Idv, Lega Nord, Fds, M5S, Sel-Verdi,
Udc e gruppo Misto - sono indagati per peculato, sono accusati di aver speso il
nostro denaro con finalità “discutibili”. Un consigliere regionale che andava alle
cene di beneficenza e si faceva rimborsare il costo dalla Regione, un rappresentante del Pd ha messo nella nota spese 2 scontrini da 50 centesimi l’uno per andare a
fare pipì nei bagni pubblici, i grillini hanno messo in nota spese un divano letto e
un phon, ma ci sono anche consiglieri Pdl che hanno acquistato da Tiffany i regali
di Natale per amiche e segretarie: ovviamente tutto a spese nostre! Per non parlare
del capogruppo del Pd che ci ha messo in conto cene tra i 150 e i 200 euro a testa.
Speriamo almeno che abbiamo mangiato bolognese e non novelle cuisine!
Il treno Modena-Sassuolo
è di nuovo sotto attacco:
costa molto e non funziona
pagina 10
Casalgrande
Una piazza
da un milione
di euro
La riqualificazione del centro
di Salvaterra: progetto
ambizioso (e costoso)
pagina 12
Scandiano
L’antenna della
discordia agita
Fellegara
Centottanta firme contro
un ripetitore telefonico
in via di installazione
pagina 13
Programmi d’abbonamenti anno V, n° 133 di Novembre 2013 del bisettimanale “Il Dstretto” - Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L- 27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 - aut. N° 080032 del 28/05/2008 - DCB - BO
2
DSTRISCIO
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
80milioni di buco:
oltre 2mila euro per ogni sassolese
Il dissesto di SGP, il
rischio-liquidazione e
il piano di salvataggio:
tecnici al lavoro,
prossima scadenza fine
novembre
S
ono settimane decisive per il
futuro della casse del Comune
di Sassuolo appesantite dalla zavorra di un debito da oltre 80milioni di euro accumulato da Sgp,
la società che ha come unico socio il Comune stesso per il quale
gestisce beni e servizi. Come dire
che ogni sassolese ha sul capo
un debito di oltre 2mila euro da
saldare in tempi brevissimi. Il rischio, neppure tanto remoto, è la
messa in liquidazione della società con conseguente accollamento
del debito da parte di via Fenuzzi;
l’ipotesi alla quale stanno alacremente lavorando i tecnici comunali è la prosecuzione dell’attività
di Sgp con un continuo lavoro di
riduzione e taglio dei costi, pur in
una ottica di salvaguardia dei creditori e dei 37 dipendenti.
Il buco da 80.737.784 milioni di
euro, di cui 21.903.848 con scadenza a breve, è rappresentato
principalmente da mutui in essere
contratti dalla società, fondata nel
2009 dall’allora Sindaco graziano
Pattuzzi con la missione di gestire
global service, eventi ed immobili
di proprietà comunale. Un dissesto finanziario fotografato con
precisione già a dicembre 2012 da
Renzo Manfrin, il commercialista
al quale era stato proposto anche il
ruolo di amministratore delegato.
Oltre 10 mesi fa Manfrin sosteneva che “dall’analisi economico-finanziaria appariva evidente il forte squilibrio finanziario che palesa
addirittura uno stato di insolvenza,
il tutto gravato dal fatto che l’attività svolta non risulta redditizia
e tale, quindi, da non creare quel
cash flow necessario a garantire
il pagamento dei debiti maturati,
sia di breve che di lungo periodo”.
Manfrin non ci era andato per il
sottile sostenendo che “la società,
così come strutturata, non riesce a
produrre utili sufficienti a produrre utili finanziari tali da garantire
un equilibrio finanziario, onde per
cui se non si provvederà a breve
ad apportare rilevanti interventi
strutturali, essa è destinata a chiudere in perdita anche i prossimi
esercizi e ad incrementare sempre
più l’indebitamento fino ad un
naturale collasso”. Manfrin si era
poi premurato anche di studiare
gli scenari futuri ipotizzando che
di fronte al forte indebitamento
rispetto ad un fatturato annuo me-
dio che supera mediamente a mala
pena i 7 milioni, rimanevano due
alternative: la prima di constatare
lo stato di insolvenza e depositare
i libri in tribunale per la dichiarazione di autofallimento; la secon-
da valutare se possano esistere remote possibilità di liquidare parte
dell’attivo immobilizzato per
far fronte ai debiti e nello stesso
tempo ridurre l’attività alle sole
gestioni redditizie. “La seconda
ipotesi - scriveva Manfrin - rappresenta una scommessa in quanto i numeri di partenza non sono
incoraggianti. Qualora fosse questa la volontà del socio unico è necessario mettere in atto immediatamente una serie di strategie dal
forte impatto che hanno lo scopo
da una parte di trasferire patrimonio e debiti al socio e dall’altra ridurre i costi non necessari”.
Manfrin suggeriva di “trasferire al
Comune la gestione dei global service, escluso quello cimiteriale, la
gestione degli eventi, degli immobili di proprietà dell’ente non inseriti nei global service, trasferire
al Comune l’impianto natatorio
con contropartita compensazione
del debito accumulato di quattro
milioni e mezzo di euro, rinuncia
dei diritti di superficie immobiliari con contemporanea assunzione
della piena proprietà da parte del
Comune e contemporaneo trasferimento all’ente dei mutui in essere, riduzione proporzionale del
personale rispetto alla riduzione
dei servizi”.
Ora il tempo stringe ed i primi
disservizi hanno dato la misura
di quanto potrebbe accadere: corrente saltata in un asilo, il distacco dell’illuminazione pubblica in
diverse zone della città, lo spegnimento delle lampade votive in
alcuni cimiteri e la mancata accensione del riscaldamento presso villa Giacobazzi. Il prossimo
appuntamento ufficiale è fissato
per il Consiglio Comunale che
dovrebbe tenersi entro fino novembre, per allora in tecnici ed il
Sindaco dovrebbero aver approntato il piano d’azione.
(Daniela D’angeli)
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anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
3
DSTRISCIO
«Il dissesto del Comune? Sassuolo non è
messa peggio di altre Amministrazioni»
Luca Caselli
La verità di Caselli
su SGP: «Il maxidebito
c’era già nel 2009.
Oggi all’ordine del giorno
ci sono tagli importanti,
ma non c’è il rischiodefault. I conti del
Comune sono ok, quelli
di SGP no: si tratta di
lavorare per consolidare
i due contenitori»
L
a notte dorme, Luca Caselli, «ma non così sereno». Si
sveglia, dice, ad intervalli, a seconda di quelli che sono i problemi che gravano sull’amministrazione che guida ormai da quattro
anni. A rischio default, dicono i
detrattori, «ma chi agita davanti
ai cittadini il rischio-fallimento
del Comune è un irresponsabile, e
fa campagna elettorale sulle spalle
dei cittadini, pensando di poter approfittare delle loro paure». Paure
scritte nel maxidebito di SGP, Sassuolo Gestioni Patrimoniali, da cui
nascono molti dei problemi della
Sassuolo di oggi, «anche se – puntualizza Caselli – nel tanto che si è
detto c’è anche molta propaganda.
All’ordine del giorno, se parliamo
di SGP, ci sono tagli importanti,
ma non c’è il rischio del dissesto
della finanza pubblica. I conti del
Comune sono ok, quelli di SGP no:
si tratta di lavorare per consolidare
i due contenitori»
Chi ha voluto SGP?
«E’ nata nel 2005, come società
patrimoniale del Comune. Anche
altre amministrazioni, come quella
che governava Sassuolo allora, si
sono dotate di uno strumento del
genere, ma poche, come invece ha
fatto Sassuolo, l’hanno strutturata
così, ovvero con servizi e dipendenti. Chi ha scelto di fare una cosa
del genere e perché è, ad oggi, una
domanda senza risposta»
Cosa non ha funzionato?
«Se io ho un bancomat, devo sapere che non ho un credito illimitato.
E quanto al maxidebito del quale
tanto si parla, quando siamo arrivati noi c’era già. SGP ha continuato
a pagare, ma le entrate non erano
quelle attese»
Chiuderla prima?
«Non era possibile. Non si chiude
dal mattino alla sera una società
che ha in pancia molti dei servizi
essenziali del Comune, come ad
esempio i lavori pubblici e molte
manutenzioni. Come amministrazione abbiamo ridotto, nel tempo,
gli impegni. Ma siamo, e questa è
una nostra responsabilità, arrivati
lunghi, e nel frattempo il debito ha
continuato a correre»
Un po’ una metafora dell’Italia
del terzo millennio: il privato
lotta e fatica per tenersi fuori dai
guai, il pubblico si indebita…
«Il maxidebito, e lo ripeto, c’era
già. SGP è un giochino creato per
eludere il patto di stabilità, e la
cosa che ancora oggi lascia perplessi è come, fino al 2009, i conti
della società siano rimasti pressoché inaccessibili anche a chi, come
le opposizioni, hanno chiesto di
poterli vedere»
Questo è il passato: sul presente
di SGP grava invece il rischio fallimento, a quanto si legge…
«Non siamo né in dissesto e, siccome la legge configura anche questa
fattispecie, nemmeno in predissesto»
Succedesse?
«Tasse più alte, magari un commissario che provi a far tornare i conti
con operazioni essenzialmente contabili. Ma non succederà:il dissesto
è legato alla mancata approvazione
del bilancio, e noi il 30 novembre,
e comunque entro allora, il bilancio
lo approviamo»
Siamo alla canna del gas, sindaco?
«Solo nella misura in cui l’abbiamo aperta per ripristinare alcuni
servizi. La mancanza di liquidità
di SGP ha creato una serie di problemi ai quali lavoriamo giorno e
notte, e dei quali mi sono pubblicamente scusato con la città. C’è chi
su queste cose ha cominciato a fare
la campagna elettorale. Noi invece
lavoriamo per la città, ed SGP resta
una priorità»
Chiuderla appena arrivato in via
Fenuzzi le avrebbe risparmiato
un sacco di grattacapi…
«Non sarebbe stato possibile allora, come ho già detto. E nel 2009
c’erano altre emergenze, anche a
livello di ordine pubblico, poi abbiamo scelto di finanziare, come
nessuno, i servizi sociali, Scelte
politiche, che rivendico come legittime, cui abbiamo dato la priorità,
poi ci siamo mossi su SGP»
Senza grossi risultati: oggi quali
strade restano da percorrere?
«Stiamo predisponendo due studi
di fattibilità: uno prevede la liquidazione, l’altro la sopravvivenza.
Bisogna capire se SGP deve vivere
o morire»
Ma con quali redditi avrebbe
dovuto campare, secondo chi la
creò?
«Iva, parcometri e occupazione del
suolo pubblico»
Se la palla passasse alla magistratura?
«Resterei sereno: su SGP feci un
esposto già nel 2011»
Teme un processo politico?
«Quelli, per fortuna, non ci sono
più. Ci sono le elezioni e il giudizio
dei cittadini, cui ci rimetteremo.
Come ci rimetteremo al giudizio
della magistratura, se dovesse avere a che ridire su SGP»
Una sentenza della corte di Stasburgo dice che dei debiti dei Comuni dovrà farsi carico lo Stato.
Forse conviene riportare SGP
in dissesto finanziario. Su tutti
spicca Detroit, citta di settecentomila abitanti che ha accumulato
un debito di 18 miliardi di dollari:
25mila a carico di ciascun cittadino. E’ evidente quindi che non solo
le imprese falliscono ma anche i
Comuni, seppure per loro esista
una legislazione apposita che ne
scongiura la totale debacle. Ma
con quali conseguenze per cittadini, sindaci, segretari generali e
assessori competenti che hanno
amministrato all’acqua di rose?
La magistratura indagherà sui dirigenti pubblici per appurare se si
configurino bancarotta, abuso del
credito ed altri reati finanziari ed
amministrativi, mentre i cittadini
saranno chiamati a sborsare più
imposte sulla casa, a pagare servizi e trasporti più cari, a subire un
aggravio della tassa dei rifiuti, a
non vedere più attivi alcuni servizi
anche importanti. Crescerà il conto dei fornitori esposti verso il Comune incriminato, anche perché è
loro preclusa la via dell’ingiunzione di pagamento nei confronti
dello Stato, padre putativo di tutti
i Comuni. O almeno era così fino
a ieri, in quanto una recentissima
sentenza del Tribunale per i diritti
umani di Strasburgo ha decretato
la totale responsabilità dello Stato che ora si vedrà costretto a ripianare i debiti dei municipi. Ma
non si illudano i cittadini, così facendo toccherà sempre a loro, in
seconda battuta, pagare per l’irresponsabilità e l’inadeguatezza
dei loro amministratori. La luce
del faro dei Comuni, quella che
illuminava le comunità nel primo
dopoguerra, si sta affievolendo
lentamente e il nostro destino è
sempre più avvolto in una coltre
di fitta nebbia.
C’era una volta
l’autorità
segue dalla prima pagina
L
a stessa luce, quella dell’autorità, che oggi sta venendo
meno, che si sta affievolendo
ovunque, anche “più in alto”:
lo Stato, fortemente indebolito
e impoverito dal debito pubblico, capace solo di esigere nuovi
tributi; le Regioni, le Province,
i Comuni ci ammorbano con i
loro buchi di bilancio e il dissesto finanziario. I numeri sono
impietosi: dal 1998 al 2012
sono 460 gli enti “falliti” in
Italia tra Province, Comuni e
Comunità montane. il record va
alla Calabria con 131 procedi-
menti, poi la Campania con 121
e il Lazio con 43. Ed ora anche
Sassuolo, città simbolo mondiale delle piastrelle in ceramica,
dopo la conquista della serie “A”
nel calcio potrebbe aggiungersi
all’elenco dei comuni in dissesto finanziario, alle prese con un
debito di 80 milioni di euro della
controllata Sgp; senza dimenticare la vicina Castellarano, schiacciata da un debito di 6 milioni di
euro, non pochi in rapporto al suo
magro bilancio. Se può consolare,
dal 1954 ad oggi sono una sessantina i comuni americani finiti
all’interno del Comune e scaricare tutto sullo Stato?
«Resta da capire, in questi giochi,
chi ha i soldi. Per come la vedo io,
non ce li ha né lo Stato né i Comuni. Il primo taglia sui secondi, i secondi sui cittadini»
Non resta che tagliare su SGP…
«Di ottanta milioni di debito ce ne
sono sessanta con le banche. Tra
cinquant’anni ci saranno sia il Comune che le banche: prevedere un
piano di rientro anche lunghissimo
termine mi sembra strada percorribile. Una delle tante cui si lavora,
giorno e notte»
Tutta colpa di una classe dirigente inadeguata, dice qualche
sassolese…
«Sassuolo fa notizia, ma non è
messa peggio di altre amministrazioni. Ci sono realtà che hanno cinque volte i debiti di Sassuolo, ma
non se ne legge, né se ne scrive»
Meglio il governo degli stranieri,
diceva Montanelli…
«Magari sì, ma non solo nelle pubbliche amministrazioni. L’Italia è
questa, e questa è la battaglia che si
combatte ogni giorno»
Lei si ricandida?
«Sto valutando. Ho un lavoro e
una famiglia, e fare il sindaco è un
impegno che ha tolto molto ad entrambi, in questi anni»
Succedesse, con che faccia si proporrà?
«Sempre questa: non ho rubato
nulla e il Sindaco l’ho fatto mettendoci tutto me stesso»
Sassuolo è in serie A nel calcio, è
capitale di un distretto industriale leader: retrocedere per debiti
sarebbe una iattura…
«Non succederà, e chi agita questi
spettri davanti ai sassolesi credo
faccia torto all’intelligenza dei sassolesi stessi».
(Roberto Caroli)
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DISTRETTO CERAMICO
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
«FLORIM non è in vendita!»
Il presidente Claudio
Lucchese fa giustizia
dei rumors circolati tra
gli stands in occasione
del Cersaie: «Abbiamo
investito 150 milioni
di euro in cinque anni:
pensassi di vendere
non mi sarei spinto a
tanto»
Claudio Lucchese
S
mentite le voci circolate in occasione del Cersaie circa una
possibile vendita del gruppo Florim ai colossi Thailandesi “ SIAM
CEMENT GROUP ” (SCG), leader, tra le altre, nella produzione
mondiale di piastrelle di ceramica
con 220 milioni di metri quadri.
E’ lo stesso presidente Claudio
Lucchese a sottolinearlo con forza. «Voci assolutamente false. Il
gruppo – dice il numero uno di
Florim - rimane saldamente nelle mani della famiglia Lucchese.
Forse il fatto che i thailandesi della SCG siano presenti al 9% nella
FINTWIN SPA , la finanziaria che
controlla FINFLOOR SPA e tutto
il gruppo Florim, può avere stimolato la fantasia di qualcuno a spingersi oltre l’immaginario. Anche
se trovo tutto questo strano, visto
che i thailandesi sono nostri soci
da 23 anni»
Lo stabilimento americano?
«E’ al 100% nostro, con buoni
risultati di bilancio negli ultimi
anni»
Sa , certe voci possono nascere a
seguito dei cospicui investimenti sostenuti dal suo gruppo negli
ultimi 5 anni: si parla 150 milio-
ni di euro…
«Si, tra torre tecnologica, impianti vari, magazzino verticale e la
show room di 9500 metri abbiamo
investito parecchio. A tale proposito, secondo Lei, se io pensassi di
vendere mi sarei spinto così tanto
con gli investimenti ? Suvvia, un
minimo di logica!»
O forse tali voci nascono perché
non si vede la continuità dopo
Claudio Lucchese. A proposito
chi ci sarà dopo di Lei?
« Mio figlio Alberto e i miei nipoti!»
(R.C.)
Confindustria Ceramica dice no ai sindacati:
niente aumento di 130 euro in busta paga
Enzo Mularoni
«Puntiamo - dice
il Presidente della
Commissione Sindacale
Enzo Mularoni - ad un
rinnovo contrattuale
unitario, che tenga conto
della difficile realtà, della
diversa competitività di
imprese che operano a
livello internazionale,
degli esuberi strutturali
esistenti e delle necessarie
tutele di welfare»
rattative serrate in queste
settimane per il rinnovo del
contratto nazionale del settore
ceramico. Come sempre le contrattazioni si svolgono nel più
stretto riserbo e con tempistiche che oramai conosciamo, ma
questo 2013 porta con se una
novità di rilievo: il no pubblico
dell’associazione alla richiesta
di aumento salariale fatta dai
sindacati. Un no pronunciato da
Enzo Mularoni, Presidente della
Commissione Sindacale dell’Associazione: «Confindustria Ceramica punta ad un rinnovo
contrattuale unitario, che tenga
conto della difficile realtà, della
diversa competitività di imprese
che operano a livello internazionale, degli esuberi strutturali
esistenti e delle necessarie tutele di welfare». Un no motivato
con «fattori oggettivi da cui non
si può prescindere - scrivono da
Confindustria - la crisi strutturale
ha ridotto, dal 2008 in poi, la produzione nazionale di 130 milioni
di metri quadrati anche a causa
del crollo del 50% del mercato edile italiano; la produttività
per addetto in Italia è di 17.000
metri quadrati anno rispetto ai
26.000 metri quadrati spagnoli;
il delta negativo nei costi ci costringe a vendere a prezzi superiori dell’80% a quelli spagnoli
e del 150% rispetto a quelli dei
paesi in via di sviluppo. Questa
situazione porta ad avere esuberi
strutturali per oltre 3.000 lavoratori mentre gli ammortizzatori
sociali, che interessano 10.000
lavoratori – e che hanno visto
il settore ceramico nazionale
pioniere nell’utilizzo di formule utili anche a salvaguardare le
professionalità – stanno esaurendo le risorse». Confindustria
richiama i sindacati alla reale
consapevolezza della gravità
della situazione e senza mezzi
termini sostiene che «richiedere
130 euro di aumento, cifra addirittura superiore al precedente
rinnovo ed in forma fissa, significa far finta che nulla sia successo». Un forte richiamo alla realtà, quello di Confindustria, e non
una resa di fronte alle difficoltà,
come conferma la scelta delle
aziende di fare investimenti in
Italia superiori al 5% del proprio
fatturato: 255 milioni di euro
nel solo 2012, e con cifre simili
in ciascuno degli ultimi cinque
anni. «Mentre il mercato crollava – proseguono - l’industria
ceramica italiana ha continuato
ad investire. Una scelta che ci ha
consentito di mantenere, a fatica, la leadership del commercio
mondiale in valore con il 35% e
di sviluppare percorsi di vera internazionalizzazione produttiva,
necessaria per servire dall’interno quei mercati esteri, e non per
chiudere gli stabilimenti in Italia». Di più, l’associazione si è
detta disposta ad investire risorse
e a trattare aumenti salariali che,
per quanto definiti nel contratto
nazionale, tengano conto delle
singole situazioni settoriali ed
aziendali.
Non possiamo che salutare con
favore questa presa di posizione
dell’associazione, da tempo suggeriamo loro di alzare la voce,
di lasciare i toni melliflui della
diplomazia e di prendere il toro
per le corna. Peccato non averlo fatto anche in Rai. L’occasione era ghiotta: lo Studio di Uno
mattina, nel quale abbiamo sentito raccontare la “favola” di un
distretto senza problemi.
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T
5
DISTRETTO CERAMICO
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
Il Gruppo Concorde celebra il Prof. Tamagnini
Consegnati, al Barozzi, i
premi istituiti dal Gruppo
Concorde in memoria
di Ildefonso Tamagnini,
scomparso due anni fa
C
onsegnati, presso l’aula
magna dell’Istituto Jacopo
Barozzi di Modena, i premi di
studio che il Gruppo Concorde
ha istituito in memoria di Ildefonso Tamagnini, indimenticato
presidente del gruppo ceramico
di Fiorano Modenese scomparso due anni fa. Destinatari dei
riconoscimenti, i dieci migliori
studenti dell’istituto modenese, presso il quale Tamagnini,
subito dopo la laurea, aveva
insegnato tecnica bancaria. Lasciando, come del resto presso
il Gruppo Concorde, una pesante eredità di umanità, serietà e
competenza, patrimonio ideale
che i vertici del Gruppo Concorde, anche attraverso l’istituzione di un premio dedicato alla
memoria di Tamagnini, hanno
scelto di non disperdere, consapevoli di quanto sia importante
il legame tra aziende e territorio,
tra formazione scolastica e professione. La cerimonia si è svolta nell’aula magna del Barozzi
alla presenza di circa duecento
studenti delle classi quinte , che
hanno reso l’atmosfera particolarmente vivace e festosa. Era-
no presenti la moglie e i familiari
del dott. Tamagnini, i Consiglieri
del Gruppo Concorde, le autorità
scolastiche e naturalmente il gruppo dei premiandi accompagnati dai
loro familiari. Dopo i saluti di rito
del Preside e del prof. De Mizio
che ha portato i saluti e le congratulazioni del Provveditore, Davide
Mussini ha commemorato la figura
del Dottor Tamagnini, sottoline-
andone la statura morale, il rigore
professionale, l’onestà intellettuale
sempre dimostrata, soffermandosi
sull’attenzione che il Dottore riservava ai giovani che entravano in
azienda, proseguendo idealmente
anche in ambito aziendale la sua
vocazione di insegnante e leggendo
una lettera pervenuta alla direzione
del Gruppo Concorde poco dopo
la morte di Tamagnini. Mittente
un ex studente del Barozzi che lo
aveva avuto come professore nel
lontano 1967/68 e, avendo appreso
della scomparsa di Tamagnini, aveva sentito ancora, dopo oltre quarant’anni, il bisogno di esprimere
la sua ammirazione e gratitudine
per questo suo vecchio professore.
Diventato, negli anni, una delle figure più carismatiche del distretto
ceramico, nonché guida di un grup-
po industriale che, ha evidenziato
Roberto Nicolini, responsabile della Formazione del gruppo Concorde, «è organizzato per proseguire
in ambito aziendale la formazione
ricevuta a scuola, non solo sul piano tecnico, per fornire a ciascuno
gli strumenti di cui ha bisogno nella sua specifica attività in azienda,
ma anche e soprattutto per motivare le persone, rafforzare lo spirito
di team e infondere una cultura
aziendale basata sui valori della famiglia, del rispetto delle persone e
dei ruoli, della condivisione degli
obiettivi». Questo l’elenco dei premiati: Alessio Allegro, Emanuela
Barbapiccola, Gloria Bastia, Alessio Canalini, Marta Da Re, Dhessa Ylen Dolor, Nikolas Gavioli,
Nikolas Gavioli, Jacopo Manotti,
Francesca Migliori.
Investimenti e innovazione per Vernis Italia Srl
Quindici anni di solida
presenza sul mercato
per il colorificio
italo-spagnolo,
riconosciuti dall’Alfa
de Oro conferitogli nel
2013, a bissare quello
già ottenuto qualche
anno fa
«
Per essere ancora più competitivi abbiamo scelto di
investire in un impianto di
miscelazione automatizzato.
L’impianto studiato in collaborazione con la ditta Simac
Tech Srl sfruttando le ultime
innovazioni tecnologiche del
settore. Già dalla fine del 2013
saremo in grado di aumentare
sensibilmente la produzione
aziendale. Inoltre, la profonda
sinergia maturata tra la nostra
filiale e Vernis S.A., ovvero la
sede centrale sita a Castellon
de la Plana, in Spagna, ci ha
Emer Zanfi
permesso di instaurare partnership
importanti con Polonia, Stati Uniti, Turchia e Ucraina». Tecnologie d’avanguardia e attenzione ai
STARLIKE
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mercati esteri: Emer Zanfi, presidente di Vernis Italia Srl, ha idee
chiarissime su quelle che sono le
evoluzioni del mercato ceramico e
sul tipo di risposta che un’azienda
che guarda al futuro deve essere in
grado di fornire. Con Vernis Italia
Srl, della quale è presidente, Zanfi
produce smalti, da quelli in bicottura rapida e tradizionale a quelli
in gres porcellanato smaltato, passando per quelli in monoporosa e
monocottura, fritte e coloranti, «e
tutta la nostra gamma – dice – è
destinata alle industrie produttrici
di piastrelle ceramiche ed è carat-
terizzata da alta qualità e da raffinate tecniche realizzative». Vernis
Italia Srl mette infatti a disposizione dei suoi partner tanto il prodotto finito quanto le singole materie
e in quindici anni di attività è riuscita a conquistarsi la fiducia dei
gruppi più importanti e rappresentativi del made in Italy della ceramica. «Tra i nostri clienti – dice
Zanfi – ci sono tra gli altri il gruppo Atlas Concorde, Emilceramica,
Sichenia, Opera Group, Moma,
Coop Imola e Panariagroup, GranitiFiandre e Rondine Group:
il laboratorio è costantemente
impegnato nell’elaborazione di
grafiche in grado di soddisfare le
richieste dell’oggi e di interpretare
le tendenze del domani.
Il tutto – dice Zanfi – in sinergia
con i nostri partner spagnoli, che
dispongono di laboratori di ultima
generazione in grado di studiare la struttura chimico fisica dei
vari prodotti». Ricerca come valore aggiunto, insomma, e il resto
lo fanno quindici anni di storia e
una solida presenza sul mercato:
«Dobbiamo il nostro successo ai
parametri tradizionali con i quali
lavoriamo le materie e i prodotti,
alla capillare assistenza fornita ai
clienti cui assicuriamo velocità e
nell’acquisizione e nella consegna
degli ordini. Le competenze sviluppate in questi anni – garantisce
Zanfi – ci permettono di rispondere
in maniera rapida ed efficiente ad
ogni richiesta, e la professionalità
e la preparazione dei nostri tecnici sono stati riconosciuti a livello
internazionale nel 2006, quando
il gruppo Vernis è stato insignito
dell’Alfa De Oro e riconfermato
recentemente con un nuovo Alfa
de Oro per l’innovazione tecnologica nel 2013».
IL NOSTRO ULTIMO PROGETTO:
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6
DISTRETTO CERAMICO
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
I venticinque anni di Novabell
Un quarto di secolo di
attività per l’azienda
fondata da Silvio Bellei:
valori e concretezza
alla base di una storia
aziendale tra futuro e
tradizione
«
E’ una bella età. Non so se
voglia dire che siamo diventati grandi, di sicuro è un
traguardo importante, che tagliamo con legittimo orgoglio
in attesa di tagliare il prossimo». C’è la stessa emozione
del primo giorno di lavoro nel
Mario Roncaglia che celebra i
25 anni di attività di Novabell
e che, scherzando, strappa un
sorriso alla platea dicendo
che per il cinquantennale spera di essere «alle Bahamas».
Era l’agosto del 1988, infatti,
quando Silvio Bellei, uno dei
pionieri che hanno fatto grande
il distretto ceramico, fondava
la Novabell: un’azienda basata
su valori che, dice Roncaglia,
«sono gli stessi nei quali credeva il fondatore e che Novabell,
nel tempo, ha fatto suoi». Serietà, competenza, concretezza
e umanità hanno accompagnato il primo quarto di secolo di
attività di Novabell, oggi realtà
«ben solida, in grado di guardare al futuro con la prospettiva
di fare ancora tanto. E bene».
Di Bellei e delle sue passioni, in
Novabell, c’è ancora tanto: c’è
l’aeroplano, tanto caro al fondatore, nel logo aziendale, ma c’è
soprattutto l’impronta dell’uomo,
inteso come fattore umano. Afferma Roncaglia: «posso dire con
orgoglio di conoscere tutti i nostri
centottanta dipendenti, per nome
e cognome. Il nostro capitale più
importante sono tutti coloro che
lavorano per noi sentendosi parte di una grande famiglia». I risultati, anche in una contingenza
non semplice, inorgogliscono non
meno della ricorrenza per il venticinquennale, festeggiato in linea
con quelli che sono gli standard di
Novabell. Concretezza e sobrietà:
guardare avanti senza perdere di
vista da dove si è partiti, tenere i
piedi ben dentro il distretto ceramico, culla del made in Italy della
piastrella, ritagliandosi tuttavia
uno spazio importante sul mercato
globale. «Oltre l’ottantacinque per
cento del nostro fatturato – dice
Roncaglia – lo facciamo all’estero, per il sessanta per cento in Europa, che resta uno dei nostri mercati di riferimento, come del resto
gli Stati Uniti». L‘Italia, in questo
contesto, resta, per ora, sullo sfondo. Tuttavia oggi fare impresa in
Italia sta diventando sempre più
difficile. Molti controlli e soprattutto una burocrazia esasperante,
che sembra quasi voler penalizzare le imprese che fanno il proprio
dovere». Un cruccio, cui Roncaglia dedica solo un piccolo inciso,
non sufficiente a togliere il sorriso
e la fiducia ad un’azienda che festeggia un traguardo prestigioso
come il quarto di secolo di attività
e, mentre alza i calici per i brindisi di rito, si vede bene che sta già
pensando al prossimo traguardo.
Giap e il marketing: uscire dalle regole per vincere
di Claudio Sorbo
Il 4 ottobre scorso è
scomparso alla veneranda
età di 102 anni il Generale
vietnamita Go Nguyen Giap. Agli adolescenti questo nome probabilmente non dice niente e ai loro
padri abbastanza poco, mentre ai loro nonni dice
molto, anzi, per alcuni Giap è ancora un idolo: nel
secolo scorso è stato l’unico comandante militare
che ha costretto alla resa e alla fuga due potenze
occidentali che avevano occupato il suo paese: i
francesi nel 1954 e gli americani nel 1975. Sono
rimaste storiche le immagini degli elicotteri che
evacuavano gli ultimi americani dalla loro ambasciata sotto la fucileria dei vietcong. Giap, nato nel
1911, era di bassa statura, magro, riservato, parlava a bassa voce, era mite ma aveva una volontà di
ferro e una determinazione granitica: quando gli fu
chiesto come avesse sconfitto i francesi nell’assedio
di Dien Bien Phu rispose con pacatezza: «Là dove
passa una capra passa anche un uomo e dove passa
un uomo passa un battaglione». Si riferiva all’attraversamento della giungla – ritenuto impossibile
– che aveva portato di sorpresa lui e i suoi soldati
alle spalle e poi all’accerchiamento dei francesi.
In quell’occasione i Viet Minh, i soldati vietnamiti,
dapprima distrussero gli aeroporti per tagliare i rifornimenti, poi strinsero d’assedio i francesi finché
questi, stremati, alzarono bandiera bianca. Il vero
eroe, però, non fu il comandante Langlais ma una
nobildonna, Geneviève de Galard, un’eroica crocerossina che si prodigò per salvare le vite dei feriti.
Con la sconfitta e l’uscita dall’allora Indocina, la
Francia si avviò verso lo smantellamento finale del
suo impero coloniale, che si concluse pochi anni
più tardi quando l’Algeria si rivoltò contro il dominio di Parigi e ottenne l’indipendenza. Contro
gli americani la lotta fu combattuta diversamente: Giap sapeva che storicamente ogni guerra era
sempre stata una riedizione della precedente, ma
combattuta con armi e mezzi più potenti. Ebbene,
nell’impossibilità di disporre della potenza militare americana, egli decise di combattere una “non
guerra”: niente scontri frontali, niente bombardamenti, cannoneggiamenti, assalti: organizzò un
“non esercito” di militari senza divisa, quindi non
identificabili, privi di gradi, quindi senza una gerarchia visibile, con il supporto della popolazione
civile nella logistica, nell’esecuzione degli attentati, nella resistenza passiva contro gli americani.
A questi elementi, Giap ne aggiunse altri due che
subdolamente misero al tappeto il fisico e il morale
delle truppe statunitensi: la droga, che veniva regalata ai soldati americani, e le malattie veneree,
propagate attraverso le prostitute che agivano in
Tailandia, paese dove erano stati costruiti alberghi
di lusso in cui soggiornavano in licenza i soldati
americani. Giap non voleva fare morti, bensì feriti
e malati. Sosteneva che la gestione di un morto non
richiedeva impegno: una volta sepolto, tutto era finito mentre la cura di un ferito o di un malato o,
peggio, di un tossicodipendente richiedevano l’impegno di molte persone, per un tempo lungo e con
costi elevati. Le strategie vietnamite e la consapevolezza di combattere una guerra inutile prostrarono
il morale e minarono l’equilibrio dei sodati, al punto che talvolta reagirono con la violenza figlia della
frustrazione: è storico l’eccidio di My Lay, dove il
Tenente Calley e i suoi uomini uccisero 347 civili,
soprattutto donne, bambini e neonati. Quando gli
fu chiesto perché avesse ordinato quel massacro, la
risposta fu «Non lo so». Giap era anche paziente: lo
dimostrò il famoso “Sentiero di Ho Chi Minh”, una
vera e propria strada nella giungla che partiva dal
Vietnam del nord e trasferiva uomini e mezzi nel sud
passando per Laos e Cambogia; nonostante i bombardamenti, il sentiero non smise mai di funzionare.
Infine, le unità combattenti del nord erano strutturate in pattuglie di pochi soldati, tutti senza divisa
e senza gradi. Non potendo reagire coi loro battaglioni, gli americani si uniformarono ma commisero un errore: i loro soldati indossavano la divisa e i
loro ufficiali portavano i gradi, come previsto dalla
Convenzione di Ginevra. Così, i vietnamiti abbattevano il capo pattuglia, così gli altri componenti
restavano senza ordini e quindi facili prede. L’intelligenza di Giap fu di uscire dalle regole: se avesse
combattuto come gli americani sarebbe stato spazzato via. E dire che la strategia di Giap non era una
novità: un principio noto e applicato in tanti campi
dice che per vincere devi portare per mano il tuo
avversario in una situazione che non sa gestire. Ad
esempio, nei recenti campionati europei di basket,
nella partita contro l’Ucraina la nostra nazionale
all’inizio del quarto tempo è rimasta senza segnare
per 5 minuti: la difesa asfissiante dei nostri avversari ha invischiato i nostri atleti costringendoli a
sparacchiare tiracci sbilenchi che venivano regolarmente catturati dai nostri avversari, tra l’altro
più alti. Così, l’astro Belinelli ha registrato un penoso 2 su 19 al tiro e i suoi compagni non sono stati
migliori. È finita che abbiamo perso perché non siamo stati capaci di giocare come pareva a noi perché
gli ucraini ci hanno costretti a giocare come pareva
a loro. Il principio seguito da Giap vale anche per il
Marketing: comportati sempre in modo diverso da
quel che si aspetta il tuo concorrente. I prodotti copiati, detti “Me too, me too”, “Anch’io, anch’io”,
di solito sono dei flop perché annacquano i mercati
(li hanno tutti) e non consentono di capire la differenza tra i vari competitori. Così, i consumatori
finali finiscono per acquistare il prodotto che costa
meno. E non lamentiamoci se è cinese.
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anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
7
DISTRETTO CERAMICO
G.M.M., tanti marchi ma un solo fornitore
Ottantamila referenze
a magazzino per
un’azienda in grado di
offrire ai propri clienti
un servizio completo e
personalizzato
Oltre alla
componentistica per
meccanica, motori,
riduttori, il cuore del
business dell’azienda
fondata da Attilio Milani
nel 1973 rimangono
i sistemi rotativi, in
particolare il cuscinetto
di cui è distributore
autorizzato di marchi
come SKF, TIMKEN, ISB,
NBS, ASAHI, NADELLA,
ASKUBAL, FARO,
STIEBER, TSC.
«Stiamo registrando
una crescita costante
dal 2010, non soltanto
per il fatturato, ma
anche in termini di
risorse umane», spiega
Attilio Milani. «Abbiamo
incrementato il numero
di collaboratori, che
da sempre considero il
bene più importante
dell’azienda»
S
ono 30 i marchi di cui G.M.M.
Trasmissioni Meccaniche è
oggi rivenditore autorizzato e
ammontano a 80.000 i prodotti a magazzino presso la sede di
Spezzano tra cui due novità: il
marchio Renold per le catene per
trasmissioni e Koyo per i supporti
orientabili con cuscinetto. A completare il quadro dell’ampia offerta è il centro di taglio a misura
delle guide THK, con evasione del
materiale tagliato in sole 24 ore e
supporto tecnico applicativo. Così
G.M.M. offre ai propri clienti un
servizio completo e personalizzato
e si prepara a crescere ancora. La
vendita dei sistemi lineari sta registrando, infatti, un +20% rispetto
al 2012 sia per le guide lineari di
precisione sia per le viti a ricircolo
di sfere, unità supporti, manicotti
a ricircolo di sfera, alberi di precisione. Oltre alla componentistica
per meccanica, motori, riduttori,
il cuore del business dell’azienda
fondata da Attilio Milani nel 1973
rimangono i sistemi rotativi, in
particolare il cuscinetto di cui è
distributore autorizzato di marchi
come SKF, TIMKEN, ISB, NBS,
ASAHI, NADELLA, ASKUBAL, FARO, STIEBER, TSC.
Un nuovo servizio per le ceramiche
G.M.M. non poteva non pensare
anche alle ceramiche visto che da
sempre risiede nel cuore del Distretto. Per loro presenta un nuovo
servizio continuativo che consente
alle aziende di affidarsi a un fornitore unico per l’interfaccia ordini,
il deposito delle scorte presso il
magazzino del fornitore, consegna
in 24 ore dal ricevimento ordine,
e altre soluzioni studiate su misura con l’obiettivo di ottenere il
miglior ritorno sugli investimenti
a fronte di un reale risparmio sui
costi di gestione delle scorte. Ridurre il numero di fornitori significa avere un risparmio diretto sui
costi e i tempi di approvvigionamento. In questo modo, G.M.M.
gestisce tutti i prodotti di consumo per la manutenzione generale
e aiuta le aziende ad analizzare i
processi, razionalizzare la gestione, lasciare che l’ufficio acquisti
del cliente si concentri su articoli
di maggiore valore.
Il magazzino automatico
Le 80.000 referenze a magazzino sono gestite da magazzini automatici verticali, investimento
effettuato nel corso del 2012 per
migliorare la gestione insieme alla
gestione ordini con codice a barre.
Così G.M.M. ha ridotto al minimo
il rischio di errore umano e i tempi
di consegna.
Un’azienda giovane
Con un giro d’affari annuo pari a
12 milioni di euro, che nel 2013
si preannuncia in ulteriore incremento, G.M.M. Trasmissioni
Meccaniche ha un grande futuro
davanti con 40 anni di storia, appena festeggiati in settembre con
un evento che ha riunito nella sede
di Spezzano i 40 collaboratori (età
media 36 anni!) a dirigenza, clienti, fornitori.
«Stiamo registrando una crescita
costante dal 2010, non soltanto
per il fatturato, ma anche in termini di risorse umane», spiega Attilio Milani. «Abbiamo incrementato il numero di collaboratori, che
da sempre considero il bene più
importante dell’azienda. In un periodo storico di sofferenza economica, anche noi affrontiamo ogni
giorno delle difficoltà, ma da “capitano d’impresa” sono soddisfatto di poter avere oggi un’azienda
giovane e desidero che i miei figli
possano continuare a farlo in futuro. In questo momento stiamo
dando un segnale in controtenden-
za, stiamo crescendo», afferma
soddisfatto Attilio Milani.
Il futuro
A chiarire gli obiettivi per i prossimi anni è il fondatore Attilio
Milani. «Per i prossimi anni – aggiunge Milani - vogliamo diventare punto di riferimento nel settore
della distribuzione meccanica con
l’ambizione di poter spegnere in
futuro altrettante candeline e di
poter festeggiare, ancora una volta, assieme ai nostri clienti e a tutti
coloro che hanno contribuito alla
crescita di G.M.M».
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
accaDmenti
L’esempio di Rolando Rivi, 128+1
Don Achille Lumetti
Rolando Rivi,
non è la 139ma vittima
di Monchio, ma l’unica
vittima di Monchio
con la connotazione
di “martire”
e di testimone
è
stato scritto da un giornalista inesperto e sprovveduto di eventi religiosi che il
giovane Rolando Rivi seminarista, ucciso dai partigiani a
Monchio non è nient’altro che
la 139ma vittima dell’atroce
strage. Occorre invece, prima
di tutto, ricordare che la strage
di Monchio fu opera dei nazisti
come rappresaglia di guerra avvenuta in quel periodo in molte altre parti d’Italia, mentre il
sacrificio di Rolando Rivi non
appartiene, in nulla e per nulla,
a questa vicenda bellica.
L’uccisione di Rolando Rivi fu
infatti un’atroce azione singola
e insolita, anche nel contesto di
guerra civile e di rappresaglia. Fu
frutto unicamente di “odio e stupro della fede cattolica” in quanto
quel ragazzo di soli quattordici
anni era in cammino verso il sacerdozio.
L’unica sua “arma”, un indole “disarmante”.
Segno qualificante di questo suo
cammino era la piccola “veste talare” che egli indossava sempre e
in ogni circostanza. Oggi pronunciare la sigla “comunismo” sembra anacronismo. Ma in quel periodo, nel quale il fronte popolare,
i garibaldini e i partigiani schierati
e fanatici non erano null’altro che
dei “settari comunisti…”.
L’odio, la sete di vendetta, il livore
contro la Chiesa, appare evidente
dal moltiplicarsi di uccisioni ed
eliminazioni di troppi zelanti e
operosi Sacerdoti.
In questa bolla di prepotenza e
sopraffazione fu costretto a vivere anche il giovane Rolando.
Io stesso, essendo un ragazzo, il
quel periodo ho dovuto subire la
triste esperienza di due partigiani
prepotenti, che puntandomi addosso il loro rudimentale fucile,
per intimorirmi fecero razzia di
modesti alimenti che io, rimasto
solo a casa, custodivo quasi con
riverente rispetto per i miei genitori e fratelli.
Quando si riscrive la storia di
quel periodo, si deve interpretare
la “resistenza” riferendola a comportamenti eroici e non connotati
di vigliaccheria e prepotenza.
Rolando Rivi, quindi non è la
139ma vittima di Monchio, ma
l’unica vittima di Monchio con la
connotazione di “martire” e di testimone. La manifestazione dello
scorso ottobre, avvenuta la Pala-
panini di Modena, in occasione
della “beatificazione” di Rolando
Rivi, è un chiaro richiamo alla
separazione del “martirio” dalle
stragi avvenute in quel periodo da
cancellare per sempre.
Quindi chi si attiva oggi a scrivere
di Rolando Rivi si inchini prima
di tutto davanti a questo inerme,
mite, studioso e generoso ragazzo, poi si accinga a scrivere con il
cuore sconvolto e con le lacrime
agli occhi.
La satira e la penna avvelenata
usiamola contro ogni forma di
violenza, di cattiveria umana. Ai
giovani di oggi, spesso fracassoni, rumorosi e superficiali vorrei
dire con forza: “silenzio, parla
Rolando Rivi”.
La costituzione, la corte costituzionale devono capire e comprendere che la prima e migliore
costituzione è la nostra robusta e
integra costituzione morale e ci-
vile. Quando gli autori di storia
scrivono, non devono depistare la verità e costringerla al
proprio interesse perché dimostrerebbero semplicemente che
viaggiano “in folle” e che, con
tutta evidenza, il cervello “non
è inserito”.
Rolando Rivi sia uno stimolo
per tutti, ma specialmente per i
ragazzi e i giovani, perché non
si lascino andare a gesti stupidi
e volgari ipotecando la possibilità di diventare potenziali
delinquenti e dare vita a una
“sottocultura del branco”.
Non possiamo nutrirci soltanto
di soia e di farro, per apparire
“stilizzati”; aggiungiamo invece carbone alle nostre roventi
esistenze, per riuscire a planare
su piste di rispetto e di valori.
Onore e gloria a questo “vivo”
testimone della fede.
(Don Achille Lumetti)
9
10
FORMIGINE e FIORANO
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
Qualcuno fermi Gigetto
G
Paolo Bigliardi
Il trenino che collega
Sassuolo a Modena
è sotto attacco:
costa molto, dice
Paolo Bigliardi,
e non funziona.
«Rottamiamolo»
igetto, il trenino della tratta
Modena-Sassuolo, continua
a far discutere. Le minoranze
consiliari di Formigine sono da
tempo sul piede di guerra, a Casinalbo è nato addirittura un comitato che si prefigge l’obiettivo
di mandare in pensione il vecchio trenino e ora si sta pensando anche ad una raccolta firme,
per dar modo alla cittadinanza
di esprimersi su questo scottante tema. Dividono più che unire,
quei pochi vagoni che collegano
il distretto ceramico al capoluogo estense, e sono in tanti, e non
da ieri, a chiedersi se valga la
pena insistere su un modello di
logistica che costa molto e rende
poco: e tra i nemici giurati di Gigetto c’è Paolo Bigliardi, che sul
trenino ha le idee chiarissime.
«Per Formigine – detta Bigliardi
- Gigetto è ormai solo un problema. Gigetto – aggiunge Bigliardi
- non serve. E’ ora che la ferrovia
Modena-Sassuolo abbia un’altra
destinazione e occorre porre fine
ad una situazione ormai divenuta ingestibile. Non passa giorno
che non raccogliamo lamentele
di cittadini»
I motivi?
«Treni sempre vuoti, il cui transito blocca il paese, inquinamento
dell’aria e acustico, blocco delle
sbarre, corse saltate o in grave
ritardo senza nessun avviso, difficoltà a reperire i biglietti, costi
altissimi, sporcizia, mancanza
di sicurezza, distanza dai nuovi
poli scolastici. Non dimentichiamo che Formigine ha 9 passaggi
a livello a raso in 3 km di ferrovia che tagliano a metà i centri
storici di Casinalbo e della stessa
Formigine»
Come mai tanto accanimento
contro il povero Gigetto?
«Non si tratta assolutamente di
accanimento, ma della volontà
di provare a risolvere una situazione invivibile, e che tra l’altro
costa. Bisogna pensare che sulla
tratta Modena-Sassuolo non vi
è nessun altro comune che ha
le criticità di Formigine e delle
sue frazioni, in primis Casinalbo.
Questo tema è importante per la
nostra comunità ed è per questo che da tempo chiediamo un
tavolo di confronto con tutti gli
Enti responsabili per cercare di
cambiare l’attuale, insostenibile,
situazione»
Senza ferrovia, dice chi difende
smo e la padronanza della lingua
inglese – dicono gli organizzatori – rappresentano oggi il primo
livello di alfabetizzazione. Come
Comune siamo partiti da questa
esperienza, ottenendo l’appoggio
dei genitori e il loro gradimento,
e restiamo convinti che si tratti
di un impegno che vale la pena
portare avanti, nella speranza che
possa essere assunto dallo stato,
in un prossimo futuro, e riguardare l’intero sistema scolatico». Nel
frattempo, Fiorano muove dai
nidi, ovvero da un primo passo
che tuttavia non vuole rimanere
fine a se stesso. «Dopo un anno
di esperienza – dice l’assessore
alle politiche educative Maria
Paola Bonilauri - abbiamo voluto
fare il punto con una giornata informativa, raccontando e facendo vivere il progetto ai genitori,
ai nostri cittadini, agli addetti ai
lavori e soprattutto a chi, da altri
comuni, ci chiede informazioni
su un’esperienza la cui importanza è stata testimoniata dagli
importanti risultati raggiunti tra
il novembre del 2012 e il giugno
del 2013».
(E.A.)
il servizio, come verrà garantito il servizio ai tanti pendolari che Gigetto continuano ad
usarlo?
«Con le ruote, ovvio. Se il trasporto si effettuasse su gomma
grandi problemi non esisterebbero»
E il traffico? L’inverno? L’inquinamento?
«Non dimentichiamo che anche
con il treno si possono verificare
problemi, anche quando nevica
e/o gela. La certezza di arrivare
in orario assoluto non esiste. La
soluzione potrebbe anche essere
un treno moderno, un metrotram, insomma tutte quelle soluzioni, che esistono nelle città
moderne, ma è soluzione futuribile»
La vostra posizione?
«Trasporti più moderni, ma che
oggi come oggi sono un sogno.
Se venisse adottata una di queste idee che abbiamo proposto
avremmo meno rumore, meno
inquinamento, più velocità e poi
verrebbero tolti i passaggi a livello, perchè le soste di questi mezzi
sono brevissime, tipo quelle che
si effettuano ai semafori»
Invece?
«Formigine e Casinalbo sono tagliate in due dalla ferrovia, complici ben nove passaggi a livello.
Le soluzioni potrebbero essere
tante ed è per questo motivo
che noi chiediamo da tempo un
gruppo di lavoro, per studiare la
situazione, ma non abbiamo mai
avuto una risposta. E nemmeno
dati. I costi sono troppo alti, per
il servizio che viene offerto alla
cittadinanza»
Ci sono anche i pro-Gigetto…
«Qualcuno per motivi ideologici
e politici. Si obietta che la ferrovia è ecologica, ma questo è vero
se funziona, ma questo treno crea
un grande inquinamento, con le
lunghe file ferme ai semafori»
Si sono spesi milioni e milioni
per rendere la linea un minimo
moderna
«Spesi male: chi difende Gigetto, secondo me, questo treno non
lo ha mai usato, diversamente si
renderebbe conto che, oggi come
oggi, Gigetto è un mezzo da terzo mondo».
(Edda Ansaloni)
Il nido dell’inglese
Un progetto presso le
scuole dell’infanzia
fioranesi: «il bilinguismo
come livello base di
alfabetizzazione»
Maranello
S
i comincia presto, a Fiorano, con l’inglese. I bambini fioranesi cominciano infatti
a prendere confidenza con una
lingua straniera, l’inglese, già
dal nido. Questa importante iniziativa è stata fortemente voluta
dall’amministrazione comunale,
un primo passo per la costruzione di un bagaglio culturale che si
forma proprio attraverso l’istruzione, e che l’amministrazione
stessa vorrebbe estendere a tutto
il sistema scolastico. «Il bilingui-
Dal 1988 tradizione e innovazione
Materie prime per ceramica:
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anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
11
SASSUOLO e MARANELLO
Differenziata, Sassuolo non fa la... differenza
Meglio Formigine,
Fiorano e Maranello
della capitale del
distretto ceramico,
dove i dati, da un anno
all’altro, sono e restano
quelli, quasi a dire che
chi la fa continua a
farla, e gli altri se ne
sbattono...
L
’abitudine sembra ormai
consolidata, nè sono attesi
particolari picchi in questo 2013.
Non, almeno, rispetto al 2012: si
parla, e pazienza se l’argomento
non intriga, di pattume, o meglio di rifiuti solidi urbani, e di
dati, diffusi di recente dall’amministrazione comunale, che da
una parte raccontano una Sassuolo sempre uguale a se stessa
– quanto raccolto nei primi sei
mesi del 2013 è circa la metà
del totale raccolto nel 2012 – e
nella produzione e nella pratica
virtuosa che si chiama raccolta
differenziata. Erano, i dati della
differenziata, pari al 59,72% nel
2012, sono il 59,40% del totale
oggi. Totale che, per quanto riguarda Sassuolo, vale poco meno
di trentamila tonnellate nel 2012
(29862), poco meno di quindicimila (14886) nei primi sei mesi
del 2013 per, lo abbiamo già detto, percentuali speculari di raccolta differenziata, poco sotto al
sessanta per cento. Sufficiente,
ma anche lontana dai dati di eccellenza registrati in altre realtà
(a Novi di Modena nel 2012 si
è sfiorato il 75%, e rimanendo nel
distretto ceramico Fiorano vale il
64%) e punto di partenza – forse
– per dare ulteriori impulsi ad una
pratica che, vale la pena ricordarlo,
innesca oltre al ciclo virtuoso del
riuso tutta una serie di meccanismi
che vedono coinvolti, oltre Hera
che gestisce il servizio di raccolta,
altre realtà. Ce ne sono infatti oltre
quaranta che rappresentano la prima destinazione della differenziata. Se l’indifferenziato è destinato
principalmente al termovalorizzatore di Modena o ad altri impianti
del genere, la differenziata si spar-
ge in diversi rivoli. Carta, plastica e
lattine vengono selezionati presso
Akron di Modena, vetro e lattine raccolti nelle campane vanno
all’impianto di Emiliana Rottami,
i rifiuti organici e gli impianti di
compostaggio sono destinati principalmente agli impianti di compostaggio di Sant’Agata Bolognese,
di Cesena e di Faenza. Sul territorio, dicono le statistiche, la quantità di rifiuti “persa”, ovvero scartata
in quanto non idonea al recupero o
inquinata da agenti esterni, sarebbe
tuttavia solo il 6,6%.
Tutto il resto, si parla di oltre il
93% del totale, torna invece a nuova vita: il dato attiene a fine 2011
ed è dato migliorativo rispetto al
2010, quando non arrivava al 92%.
I dati aggregati del 2012 sono attualmente in elaborazione, ma
le tabelle del primo semestre del
2013 e i consuntivi del 2012 per
quanto riguarda le singole realtà
Rifiuti urbani e assimilati
Indifferenziato
Differenziato
TOTALE (valori in tonnellate)
Differenziata
carta/cartone
vetro/lattine
plastica/lattine
organico
scarti vegetali
altra (pile, farmaci, etc)
TOTALE RD
2012
12029
17833
29862
2012
4079
1346
1372
239
5341
5456
17833
%
40,28
59,72
100
%
22,9
7,5
7,7
1,3
30,0
30,6
100
se ne sbatte, e continua a farlo, lasciando a Sassuolo la maglia nera
tra i comuni ricicloni del distretto
ceramico. Detto del 64% di Fiorano, infatti, anche Formigine e
Maranello (61 e 63%) hanno fatto
meglio di Sassuolo, ferma, almeno
nel 2012, a meno del sessanta per
cento. (S.F.)
2013 (6 mesi)
6044
8842
14886
%
40,6
59,4
100
2013
2130
628
679
111
2642
2652
8842
%
24,1
7,1
7,7
1,3
29,9
30,0
100,0
valori espressi in tonnellate: i dati comprendono anche i rifiuti avviati autonomamente
al recupero da parte delle imprese del territorio comunale
Il Grullo, mezzo secolo dopo
A
Una rimpatriata
simbolica – c’era anche
il ciclostile - per gli autori
di un giornalino che
cinquant’anni fa fece
(parecchio) parlare di se
provinciali e la loro propensione
alla pratica della raccolta differenziata sembrano dire che quanto si
fa in città, a livello di differenziata, è già il massimo. Almeno per i
sassolesi, che scrivono dati uguali
da un anno all’altro. Quasi a dire
che chi differenzia lo fa e continua
a farlo, mentre chi non differenzia
nche se solo per una sera, “Il
Grullo” è tornato a vivere. Si
sono infatti riuniti, dopo 50 anni,
i promotori di un giornalino, Il
Grullo, appunto, uscito per sette
numeri nell’inverno del 1963/64
a Maranello. All’epoca ragazzi
dai 15 ai 20 anni, oggi maturi sessantenni lanciati verso i settanta.
Anticipando lo stile “gossip” di
certi periodici di oggi, “Il Grullo”
metteva alla berlina l’ambiente
giovanile di Maranello: dai frequentatori della parrocchia a quelli del Bar centrale, da coloro che
si davano appuntamento in piazza
sotto il pino agli studenti che ogni
mattina prendevano la corriera per
Modena. Imperdibile la rubrica di
Sexino, pepata come il suo autore, poi Baby Caliban, Omobono,
Milkerio, L’ombrello, tutti pseudonimi dietro ai quali si celavano
i giovanissimi fondatori di una
testata che qualche volta si spinse
anche (beata ingenuità) a rivelare
qualche tresca nascosta, rischiando addirittura denunce a carico dei
giovanissimi autori.
Fu, la stagione de “Il Grullo”, anche quella dell’assassinio di Kennedy e della sciagura del Vajont
e in quelle occasioni le pagine si
fecero serie, autore l’Ombrello,
dietro il quale si nascondeva il
cappellano della parrocchia.
Insomma quei ragazzi si divertirono un sacco e ancora oggi si
divertono a ricordare quei tempi a
rinverdire le vecchie amicizie. Per
la serata che ha celebrato la rimpatriata è stato rintracciato il vecchio ciclostile dell’epoca, intorno
al quale si sono effettuate le foto
ricordo. C’è stata anche una piccola cerimonia di consegna all’archivista della compagnia, collezionista accanito, già autore di un
libro di foto d’epoca di Maranello,
delle uniche sette copie originali
del giornale, che verranno custodite come reperti a nome di tutto
il gruppo fondatore. Una cena ha
quindi concluso la serata, con tanti
ricordi, tanti aneddoti, ma soprattutto tanta nostalgia.
(E.A.)
Innovazione ceramica per l’arredo urbano
12
CASALGRANDE e CASTELLARANO
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
Una piazza da un milione di euro
Tanto costerà la
riqualificazione del
centro di Salvaterra:
lavori già iniziati.
Al netto di qualche
perplessità di residenti
e commercianti, un
progetto ambizioso
e, secondo il sindaco
Andrea Rossi, «priorità
del programma
dell’amministrazione
comunale»
C
ambia il centro e di conseguenza “il volto” di Salvaterra. In un momento particolarmente
difficile dal punto di vista finanziario il comune di Casalgrande
ha deciso comunque di iniziare un
intervento che fra alcuni anni trasformerà dal punto di vista urbanistico l’immagine della frazione
che finalmente avrà una piazza, e
una nuova pavimentazione dalla
chiesa fino al castello con tanto di
arredi urbani e piste ciclopedonali. I lavori sono iniziati nei scorsi
giorni e grazie alla clemenza della
stagione procedono a buon ritmo.
Il primo stralcio prevede la realizzazione della nuova pavimentazione in pietra di luserna e della
costituzione dei nuovi arredi urbani su una parte di via Reverberi,
sulla piazzetta Ugo Farri, su via
Canalazzo e fino all’inizio della
via dell’ex Castello. Ad oggi sono
state realizzate le predisposizioni
per l’illuminazione pubblica e le
manifestazioni, tutte le impiantistiche e un nuovo sistema di raccolta delle acque piovane che renderà particolarmente difficile la
possibilità di eventuali allagamenti. Tutto è pronto per iniziare la
posa della pavimentazione in pietra su tutta la piazzetta Ugo Farri
e le zone collegate. Ne valeva la
pena? Si chiede qualcuno, ma la
domanda cade nel vuoto. Come
è ovvio questi lavori creano un
poco di disagio ai residenti e alle
attività commerciali che vengono
raggiunte con una certa difficoltà
da parte degli utenti. Per non arrecare dei danni economici particolarmente gravi l’amministrazione
comunale ha deciso di sospendere dall’otto di dicembre fino alla
fine dell’anno i lavori nel cantiere,
riaprendo, per così dire, il centro
di Salvaterra tutti gli appuntamenti culturali e musicali previsti
nel periodo natalizio. A gennaio,
tuttavia si ricomincia. I lavori riprenderanno e salvo complicazioni date dal maltempo dovrebbero
terminare in primavera. Il primo
stralcio che vede la spesa di circa 240mila euro è stato finanziato
grazie ad un accordo fra la ditta
Bervini Primo e l’amministrazione comunale. L’intera somma che
si aggira sui 240mila euro è stata
erogata dall’azienda specializzata
nella produzione di carni in cambio dell’autorizzazione ad un una
ristrutturazione edilizia dei proprio
capannoni dove avviene la produzione. Grazie ad una legge regionale è stato dato il parere positivo
alla ristrutturazione edilizia e gli
oneri ricavati sono stati utilizzati
interamente per avviare il primo
stralcio dei lavori di costruzione
del nuovo centro di Salvaterra. La
riqualificazione della frazione più
grande di Casalgrande avverrà in
tre tempi. Il primo è già stato finanziato ed è anche iniziato. Sul
secondo è invece prevista una
spesa di circa 300mila euro e più
o meno altri trecentomila euro
per il terzo stralcio. Alla fine si
arriverà alla bella cifra di un milione di euro che per i tempi che
corrono rappresentano un grande
investimento rispetto alle capacità
di spesa di comuni - come quello
di Sassuolo o Castellarano, giusto
per citarne un paio - dove l’indebitamento non da’ margine di
investimento alle rispettive amministrazioni. Casalgrande, invece?
Per il secondo stralcio si prevede
di utilizzare un parte del disavanzo del comune che quest’anno è
stato di ben 700mila euro. «Siamo molto vincolati – sostiene il
sindaco Andrea Rossi- dal patto
di stabilità che di fatto non ci permette di utilizzare in tempi veloci
i disavanzi che abbiamo ottenuto
nella gestione del comune negli
ultimi anni. Con tutta probabilità
il secondo stralcio verrà finanziato
con dei fondi ottenuti dal disavanzo anche se però le cose da fare
a Casalgrande sono veramente
molte. Per il terzo vedremo quali
saranno le nostre disponibilità in
base alle normative che sempre si
susseguono, ma per noi dare una
piazza e un centro vero a Salvaterra rappresenta uno degli scopi del
programma dell’amministrazione
comunale».
(Paolo Ruini)
i primi appelli alcuni volontari si
sono presentati e non è difficile
che si formerà una gruppo di una
decina di persone che terrà aperta
l’antica chiesa che risale all’anno
mille e che contiene le spoglie del
Beato Rolando Rivi ucciso a soli
14 anni da un gruppo di partigiani
che professavano l’eliminazione
dei religiosi e dei preti per fon-
dare una nuova società basata sul
comunismo. Per chi desiderasse
visitare al chiesa di San Valentino
gli orari attuali sono i seguenti alla
domenica mattina dalle ore 10 a
mezzogiorno, al giovedì dalle ore
19,30 alle 21 e al sabato dalle ore
15 alle 17. E’ possibile visitare
l’edificio religioso anche in altri
momenti ma è necessario concor-
dare la visita con la disponibilità
della famiglia che risiede in canonica allo 0536.854048. Dopo la beatificazione del seminarista Rolando Rivi le visite alla Pieve si sono
fatte più numerose da parte di molti fedeli che provengono non solo
dal comprensorio delle ceramiche
ma anche dalle province vicine.
(P.R.)
Le chiese? Le aprono i fedeli
Un po’ guide, un po’
custodi: i volontari a
servizio di due edifici
religiosi, il Santuario di
Campiano e la Pieve di
San Valentino, meta di
parecchi fedeli
Castellarano
C
astellarano vanta sicuramente un piccolo-grande primato nella Valle del Secchia. Ed è
quello di avere due delle chiese
storiche più importante aperte
ai fedeli anche fuori dai normali orari delle funzioni religiose.
Le chiese sono il Santuario della
Madonna di Campiano e la Pieve
di San Valentino. Per il Santuario
sono anni che un gruppo di una
ventina di volontari, molti sono
pensionati, si danno il cambio per
tenere aperto l’edificio religioso
al pubblico sempre aperto dalle
otto a mezzogiorno e dalle 14 alle
18. I turni sono di due ore e i volontari hanno il compito di tenere
aperta la chiesetta, controllare che
non succeda nulla di spiacevole e
dare anche alcune informazioni ai
fedeli o ai semplici visitatori sulle
origini del santuario e la sua storia
che nel corso dei secoli lo ha reso
uno dei luoghi di culto particolarmente amati dal popolo. Tutti pos-
sono fare i volontari/guardiani del
santuario di Campiano, così come
nella Pieve di San Valentino dove
l’iniziativa di tenere aperta la chiesa è partita dopo la beatificazione
di Rolando Rivi avvenuto da poco
più di un mese. A San Valentino è
più difficile trovare i volontari perché la frazione è piccola e gli abitanti sono troppo pochi. Però dopo
anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
13
SCANDIANO
Fellegara e l’antenna:
centottanta firme per dire no
Luciano Mattioli
I residenti non vogliono
un ripetitore che
verrebbe installato tra
fra Via del Cristo e Via
delle Querce
C
entottanta firme raccolte in meno di una settimana: il “Comitato Diritti
Veri per Tutti”, che si oppone
all’installazione di un ripetitore telefonico di una nota compagnia telefonica in località
Fellegara fra Via del Cristo e
Via delle Querce, fa sul serio,
e lancia una petizione popolare. Lunedì 21 ottobre è stato
anche organizzato un incontro, al quale hanno partecipato
una settantina di persone. Di
ciò che sta accadendo ne abbiamo parlato con il promoto-
re del comitato, l’architetto Luciano Mattioli, residente in Via
delle Querce: «Ciò che chiediamo – dice Mattioli - è di sospendere l’iter della collocazione di
questa antenna; e nella riunione
di lunedì, tra le altre cose, si è
deciso di vedere se il Comune
riesce a trovare un’altra soluzione». La storia di questo comitato
inizia giovedì 21 ottobre: «Tornavo a casa – racconta Mattioli – e mio padre mi ha messo al
corrente del fatto che in giornata
erano venute persone a fare dei
rilevamenti qui nella zona a
fianco della nostra proprietà. Mi
sono messo sùbito alla ricerca di
informazioni. Ho telefonato allo
zio dei proprietari del terreno, e
mi ha detto che c’è in programma l’installazione di un’antenna
telefonica, un traliccio di 34 metri di altezza». L’area in questione è proprietà di un privato, che
ha sottoscritto regolare accordo
col gestore telefonico.
A quel punto Mattioli si reca in
Comune a Scandiano: «Ho parlato col tecnico che ha istruito
la pratica, il quale mi ha messo
a disposizione tutti gli atti rela-
tivi. Devo dire che dal punto di
vista della trasparenza l’amministrazione merita un plauso».
Eppure nessuno sapeva nulla...
«Dal punto di vista amministrativo l’operazione è formalmente
corretta. C’è stato un problema
politico: di questa operazione
non sono stati informati nemmeno i consiglieri comunali. Poi
c’è l’altro problema: non capisco perchè posizionare in prossimità degli abitati un’antenna
che potrebbe essere collocata da
un’altra parte. L’Arpa e l’Ausl
hanno espresso per iscritto un
parere unanime: suggeriscono di
riprendere contatto col gestore
dell’antenna e scegliere una diversa collocazione, a una distanza minima di 200 metri rispetto
alle abitazioni, per una ragione
di garanzia in termini di salute
delle persone. Quest’antenna si
ritroverà ad una distanza di 110
metri da un paio di abitazioni.
Tra l’altro, considerando la stessa zona, sarebbe bastato spostare
il posizionamento per avere una
distanza di 200 metri dall’abitazione più vicina». E come mai
allora la legge consente l’installazione fino a distanze di 70
metri? «Il problema – spiega
Mattioli - è che non si riesce a
definire, dal punto di vista epidemiologico, un protocollo; anche
perchè le frequenze cambiano
continuamente. Quelle di oggi
non sono più quelle di ieri, conseguenza del fatto che cambia la
tecnologia. Per cui risulta difficile mettere insieme qualcosa che
possa consentire di modificare le
norme. Quello che bisogna fare
però è applicare il principio di
precauzione e posizionare antenne del genere a una distanza
almeno di 200 metri dalle abitazioni. Ora il Comune di Scandiano, anche vista la reazione della
gente, sta cercando di avviare un
dialogo con l‘operatore per vedere se è possibile una migliore
soluzione. Valuteremo...».
(Massimo Bassi)
Un mese di cinema, tra luci, ombre e… fuori programma
La nuova gestione del
Boiardo tra incognite
e conferme: bene il
lunedi, male il giovedi,
ma c’è chi ha affittato
la sala per festeggiare l’anniversario del
matrimonio
È
trascorso poco più di un
mese dall’inizio della nuova
stagione del cinemateatro Boiardo di Scandiano. Una stagione
importante, segnata dal cambio
di gestione con l’ingresso nella
cabina di comando di una fondazione prestigiosa, l’Emilia
Romaga Teatri (Ert), un ente
riconosciuto per il valore della
propria qualità professionale e
che gestisce diverse sale della
regione.
Qual è stato l’impatto con la
realtà scandianese? Non facile.
Ed era prevedibile. Il Boiardo,
da quando – anni fa – a Reggio e Rubiera sono stati aperti
due multisala, ha visto calare le
presenze alle proiezioni cinematografiche. E il momento di difficoltà persiste.
Ert è partita con un programma
di ottimo livello culturale che
prevede proposte ad ampio spettro: prime visioni, rassegne in
abbonamento, teatro, proiezioni
accompagnate dall’incontro con
registi e attori, spettacoli per
ragazzi... E qualche successo lo
si è già registrato, anche se nella serata di inaugurazione della
stagione, con uno spettacolo e un
concerto a ingresso gratuito, la
sala si è riempita solo per metà.
Per la messa in scena de “Il falso ospite” invece, opera teatrale
dell’8 ottobre promossa dal Comune di Scandiano e dal Centro
Studi Spallanzani , la sala era
piena: c’è però da dire che anche
in questa occasione non si pagava nessun tagliando d’ingresso.
La rassegna cinematografica in
abbonamento è partita in modo
soddisfacente, con una cinquantina di persone presenti alla prima
proiezione; così come soddisfacente è la serata del lunedì, con
la prima visione promozionale a
4 euro. Non soddisfacente invece – sempre per quanto riguarda
le prime visioni - la serata del
giovedì, tant’è che Ert potrebbe
eliminarla, destinando magari
la serata all’organizzazione di
iniziative di diverso tipo. Altra
conseguenza potrebbe essere
quella di programmare, per la
domenica pomeriggio, un cartone animato per i bambini. Incoraggiante l’avvio dell’iniziativa
che prevede la presenza-incontro
con un personaggio in sala: sono
stati duecento i presenti alla serata con Rocco Papaleo, quando
sabato 26 ottobre si proiettava
il suo ultimo film – in prima
visione – “Una piccola impresa
meridionale”. Probabilmente si
proseguirà su questa linea.
Da segnalare assolutamente,
infine, un aneddoto tutto sui
generis. Giovedì 24 ottobre un
signore ha chiesto la sala in
affitto, tutta per sè. Doveva festeggiare l’ottavo anniversario
di matrimonio e vi ha portato la
moglie, dicendole sempicemente che l’avrebbe portata a vedere
il film di Papaleo. E invece... In
sala c’erano solo loro due, e il
gestore – d’accordo col marito
– ha fatto partire il dvd del loro
matrimonio...
(Massimo Bassi)
DIRETTORE RESPONSABILE
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anno 5 numero 133 / 2 Novembre 2013
15
RUBRICHE
Quando andrete a...
La Davis – Monthan Air Force Base, il cimitero degli aerei
N
ell’immaginario collettivo Stati Uniti = New
York, ma non è vero: gli States
sono un enorme spazio pressoché disabitato fatto di immense pianure spesso incolte,
montagne imponenti, fiumi
interminabili (il Mississippi è
lungo quasi 6.000 chilometri),
deserti estesissimi. Inoltre,
siccome il paese è molto grande, generalmente si ritiene
che anche le sue città lo siano,
mentre solo 9 hanno più di un
milione di abitanti: la Cina ne
conta oltre cento. Va aggiunto
che spesso le città degli Stati
Uniti, anche le più note, sono
piccole, grigie, sbiadite e non
valgono una deviazione, come
direbbe la Guida Michelin: ad
esempio, Tucson, in Arizona,
conta poco più di 500.000 abitanti, è nel mezzo di un deserto
(come Phoenix o Las Vegas) e
non c’è niente di memorabile
da vedere. I suoi figli celebri (sia naturali, sia adottivi)
sono solo due: Jesse Owens,
l’uomo di colore che nel 1936
vinse quattro medaglie d’oro
nell’atletica alle Olimpiadi di
Berlino, il suo trionfo provocò un travaso di bile a Hitler,
che lasciò lo stadio prima delle premiazioni per non essere
costretto a stringere la mano
a un essere appartenente a una
razza inferiore (secondo lui),
e Joseph Bonanno, nato a Castellammare del Golfo (Trapani)
nel 1905 e morto a Tucson a 97
anni, un’età inconsueta per chi
svolgeva la sua professione: il
gangster. Era detto Joe Bananas.
Come Tucson ci sono mille altre città: Cheyenne, capitale del
Wyoming e città più popolosa
dello Stato (59.000 abitanti),
1.900 metri sul livello del mare
nel cuore delle Montagne Rocciose. I suoi monumenti più importanti sono la stazione ferroviaria del 1867, quattro enormi
stivali da cow boy, allegramente
decorati da artisti locali, strategicamente posizionati ai vertici
del giardino antistante la stazione e un enorme negozio storico della Wrangler, blue jeans,
cappelli Stetson, stivali, lazos
e simili: nient’altro. Simile a
Cheyenne è Salt Lake City nello
Utah, la mitica capitale dei Mormoni, conta 190.000 abitanti (i
mormoni sono 20.000), l’unico
locale trasgressivo è un bar – ristorante in cui si beve birra, si
mangiano mortiferi Hamburger
a due piani e si è allegramente
bombardati dal frastuono assordante di musica Rock sparata a
100.000 Watt. Il nome del locale è “Squatter”, che vuol dire
“occupante abusivo”. Eppure,
tornando a Tucson (pronuncia
“Ciusoòn, con la “s” di “rosa”)
qualcosa di unico, enorme, impensabile e imprevedibile c’è,
ma è fuori città: è il più grande
cimitero di aerei civili e militari
del mondo. Nel torrido deserto
che circonda la città di trova la
Davis – Monthan Air Force Base,
un aeroporto militare, di cui una
parte immensa, oltre 5 milioni di
metri quadri, è occupata dal 309°
Aerospace Maintenance And
Regeneration Group, AMARG,
“Gruppo di manutenzione e rigenerazione aerospaziale”, che
ospita oltre 4.400 aerei civili e
militari, tutti usciti di servizio
o mai entrativi. Ed eccoli, mili-
tarmente allineati per tipo e modello, i mitici Phantom II, cacciabombardieri supersonici della
guerra del Vietnam, i più recenti
F14 ed F15, oltre allo smisurato
Lockheed C5A Galaxy, alto 19
metri e lungo 75, peso a vuoto
172 tonnellate, carico trasportabile di 123 tonnellate, serbatoi
per 193.000 litri di carburante in
grado di dargli una autonomia di
4.400 chilometri alla velocità di
crociera di 908 chilometri orari
(consumo: 43 litri al minuto): un
bestione tuttora in servizio dopo
oltre 40 anni. È più piccolo solo
del russo Antonov An – 225 Mriya, un monumento al gigantismo
(e alla stupidità) del regime sovietico: sei turbo reattori, carrel-
lo con 32 ruote, 288 tonnellate di
peso, poteva trasportare 250 tonnellate. Ne è stato costruito solo
uno, tuttora in servizio dopo 20
anni. Tornando al nostro cimitero degli aerei, accanto al Galaxy e ai caccia bombardieri sono
anche elicotteri, aerei civili e da
trasporto e 13 mezzi aerospaziali (modelli mai entrati in servizio). Infine, incredibile, ci sono
numerosi aerei nuovi finiti qui
perché rivelatisi non necessari
essendo stati prodotti in eccedenza rispetto alle esigenze: un
capolavoro dell’intelligenza militare. Appena portati qui, gli aerei vengono collocati accanto a
quelli dello stesso tipo, poi vengono tolte le parti riutilizzabili e
quelle coperte da segreto militare come
i radar, posizionati dietro il muso (ecco
perché quasi tutte le carcasse degli aerei
ne sono prive). Inoltre, il cimitero degli
aerei non inquina: dopo essere stati parcheggiati, ne vengono estratti, oltre alle
parti riutilizzabili, il carburante residuo,
i lubrificanti, i liquidi delle parti idrauliche. Poi, lentamente e silenziosamente
ogni aereo muore. Il clima torrido del
deserto e l’escursione termica tra giorno
e notte dilatano e fanno restringere l’alluminio delle ali e delle carlinghe, così
dopo qualche anno le giunture cominciano ad allentarsi, poi cedono, i vetri della
cabina di pilotaggio e quelli sulla carlinga si spezzano, le ali si afflosciano, infine
l’aereo collassa al suolo. Talvolta, però,
interviene il miracolo: qualcuno compra
uno di questi aerei, lo paga a peso di metallo, lo porta via e lo resuscita: rivivrà,
novella araba fenice, per irrorare i campi
di sostanze chimiche o – opportunamente
adattato – per spegnere incendi boschivi.
Di questo cimitero colpisce l’aspetto
surreale: gli aerei sembrano battaglioni
di scheletri metallici stesi allineati sul
terreno brullo e privo di presenze umane. Girando tra quelle lamiere ti aspetti
che il silenzio sia rotto all’improvviso
dall’urlo lacerante delle turbine pronte a
sparare qualche sgangherato F14 nell’ultimo volo verso il cielo. D’altra parte,
non volano in cielo anche le anime? E
questo, non è forse un Aircraft Boneyard,
un cimitero di aerei?
(L’Amico del Tempo)
Fardelli d’Italia
Made in Tarocco, ovvero la contraffazione come pratica produttiva
L
’ANUGA di Colonia,
la più importante fiera
mondiale dell’agroalimentare, nell’edizione 2013 (5 – 9
ottobre) ha confermato i numeri degli anni precedenti.
Di più: mai come quest’anno
c’è stata la caccia allo Stand
perché se esponi all’ANUGA
sei un’azienda che conta in
campo internazionale, se non
esponi vuol dire che non esisti. È una fiera rigorosamente
riservata agli addetti ai lavori,
quindi non si corre il rischio di
trovarsi tra i piedi battaglioni
di scolaresche fastidiose come
zanzare o arzille pensionate che ti chiedono cataloghi
di cui non si faranno niente:
chi circola nelle corsie è un
Buyer professionista o un decisore d’acquisto, quest’anno
in cinque giorni ne sono stati
registrati 155.000 provenienti
da 187 paesi. Il leit motiv di
questa edizione è stato rappresentato da due temi cruciali: la
catena del valore del prodotto
alimentare e il miglioramento della qualità come primo
obiettivo dei produttori. Bene,
avrei voluto vedere le facce
degli espositori quando la
mattina del giorno 8 ottobre un
plotone della Guardia di Finanza
tedesca è entrato nel complesso fieristico a passo di carica e
si è sparso tra i vari stand sequestrando oltre 700 prodotti
“Italian Sounding”, cioè che di
italiano hanno solo il nome. Insomma, hanno colpito i “taroccatori senza vergogna”, coloro
che avevano avuto la faccia tosta di esibire prodotti dichiarati
italiani senza che lo fossero, per
di più presentati negli stand in
un trionfo di bandiere tricolori.
Così, è finito sotto la lente dei
solerti finanzieri un “Mozzarella
Shredded Cheese”, “Formaggio
Mozzarella a fette”, marchio
registrato (!!!) dalla australiana
VVRS. Essa produce e commercializza in tutto il mondo tramite
organizzazioni di vendita locali
zampe di pollo (piatto molto
popolare in Estremo Oriente),
grano, noci, frutta secca, olio,
spezie, zucchero, legumi secchi,
fiocchi d’avena, grano duro e,
appunto, latticini e derivati. La
sede sociale è a Doolandella,
quartiere periferico di Brisbane,
nello Stato del Queensland, e ha
altre sedi operative a Melbourne
e Sidney. Questi signori eviden-
temente ignorano che non si può
usare il nome “Mozzarella” né
produrre un formaggio chiamandolo “Mozzarella”, tanto è vero
che nel loro sito Internet il listino
presenta i prezzi di quattro tipi di
mozzarella: intera fresca, intera
surgelata, a fette fresca (“shredded”, appunto) e a fette surgelata. Di più: un filmato mostra
con quanta cura essi producano i
formaggi, quindi possiamo stare
tranquilli. Altra azienda presa in
castagna dai rigorosi finanzieri
teutonici è stata la tedesca Hasa
di Burg, nei pressi di Magdeburgo, produttore di pizze surgelate.
All’ANUGA hanno sequestrato
pizze esposte sotto i marchi “Italissimo” e “Pizza Amore”, nelle
versioni “Alla diavola”, “Margherita” e una esotica “Hawaii”,
con piccoli tranci di ananas. Il
catalogo di “Italissimo” presente in Internet ci mostra anche le
versioni “Salami”, “Speciale” e
un poco invitante “Tonno”, sia
nella versione “Standard”, sia
in quella “Premium”; inoltre,
compaiono la versione “Bio” e
i formati speciali – molto tedeschi – a forma di cuore o con il
prosciutto che la ricopre la pizza a forma di cuore (ma perché
non l’abbiamo inventata noi, che
siamo creativi? Vuoi mettere che
serata ci scappa fuori con la nostra compagna dopo una pizza
a forma di cuore?). Il trionfo finale è stato il sequestro di quantità industriali di “Parmesan
Chese”, “Pecorino Romano”,
“Romano Cheese”, e “Asiago”
esposti dal produttore americano “Milano’s”, tutta roba tutelata dai nostri marchi DOP e
IGP, Denominazione di Origine
Protetta e Indicazione Geografica Protetta, che vengono attribuiti dall’Unione Europea agli
alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono
essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati
prodotti. L’intervento dei militari tedeschi è stato richiesto alle
autorità di Berlino da parte del
nostro Ministero delle politiche
agricole, evidentemente sollecitato dalle proteste di una miriade
di produttori stufi di queste truffe. La cosa più grave, aggiungo
io, è che una parte considerevole delle aziende produttrici
di questi falsi appartengono a
paesi dell’Unione Europea, che
evidentemente sinora ha avuto
troppo da fare per occuparsi di
questo scandalo che dura da decine di anni. Quanto vale questo
mercato del falso alimentare? Non ci crederete: circa 60 miliardi di Euro l’anno in
termini di mancati acquisti di omologhi
prodotti nostrani, almeno 4,8 miliardi di
IVA non incassata dallo Stato e il mancato impiego di almeno 110.000 lavoratori
per produrre ciò che disonestamente viene venduto da altri. Fortunatamente siamo un popolo di buon carattere e vediamo sempre il lato grottesco delle cose: lo
scorso anno il settore dell’abbigliamento
(altro segmento produttivo duramente
colpito dalle contraffazioni) in occasione
del MIPEL di Milano(fiera della pelletteria) ha organizzato una mostra intitolata
“Made in Tarocco” ove sono state esposte le foto delle false griffe di casa nostra
vendute in giro per il mondo. Comunque,
evitiamo di gioire troppo perché per una
volta hanno incastrato gli altri: noi siamo
affezionati alle nostre trasgressioni. La
DDA (Direzione Distrettuale Antimafia)
di Napoli ha denunciato che la mozzarella adulterata prodotta nel comprensorio
campano da 29 caseifici, tutti incriminati, era realizzata impiegando milioni
di litri di latte congelato proveniente dai
paesi dell’Est e con cagliate provenienti
da Lituania, Polonia ed Estonia. Il tutto,
con un bel marchio “DOP” contraffatto
applicato sulle confezioni. Come si vede,
se Atene piange, Sparta non ride. E le nostre produzioni alimentari ancora meno.
(Sting)
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