accaDmenti Scandiano Unione non significa fusione Il sistema Paese: una zavorra per le imprese Le Unità pastorali sono una scommessa sulla qualità Danilo Maletti: troppe tasse, non riusciamo più ad investire pagina 7 pagina 11 148 by Ceramicanda Il giornale di tendenza che non grava sulle casse dello stato DSTRISCIO Non è un paese per giovani anno 6 numero 148 • 11 Ottobre 2014 • euro 1,00 Aggregazione giovanile: un rebus senza soluzione L’intervista: «Lavorare nell’Ucraina in guerra» Materie prime: la possibile emergenza per gas e argille M segue a pagina 2 Crisi Ucraina Materie prime Di Roberto Caroli pagina 5 LA PRIMA WEB TV IN ITALIANO E INGLESE INTERAMENTE DEDICATA ALLA CERAMICA DI TUTTO IL MONDO www.ceramicandainternational.com ia figlia Gaia: “Questa sera vado alla festa dell’Unità a Villalunga”. “Hai scelto di essere di sinistra?”, le chiedo, “no la politica non c’entra, semplicemente è l’unico posto dove poter ascoltare un po’ di musica, incontrare gente”. Il dialogo risale a luglio scorso e suggerisce a genitori e amministratori del nostro territorio alcune domande: veramente nei comuni del distretto ceramico i giovani devono sperare in una festa di partito per incontrarsi e socializzare? Se è così viene spontaneo pensar male e fare peccato, come suggerito a suo tempo da Andreotti, ed ipotizzare una tragica verità: un pozzo d’acqua nel deserto vale più di una fonte in montagna… Battute a parte, vero è il fatto che nel comprensorio ceramico gli spazi per i giovani sono pochi e quei pochi esistono grazie all’iniziativa di privati, non certo per volontà delle nostre amministrazioni. C’è qualcosa che i comuni potrebbero fare nonostante la spending review e le scarse risorse a disposizione? Senza soldi non si va da nessuna parte, è chiaro, ma volontà e idee possono portare a soluzioni sorprendenti. Parte da qui la scelta di dedicare all’argomento l’apertura del Dstretto di questa settimana, per captare le opinioni dei giovani, pesare a riguardo la fantasia di assessori e sindaci, valutare a quali conclusioni è arrivata la psicologia, ascoltare con attenzione coloro che vivono quotidianamente a contatto con i ragazzi. DISTRETTO CERAMICO La migliore comunicazione ceramica si arricchisce di un nuovo strumento web: CERAMICANDA INTERNATIONAL ossia una all news 24 ore su 24 sul mondo ceramico. NEWS E INNOVAZIONE TECNOLOGICA DI PROCESSO ALLA BASE DEL FORMAT Sassuolo Ecco le spese dei gruppi consiliari Online sul sito del Comune i rimborsi versati ai consiglieri la scorsa legislatura pagina 9 C he non sia un distretto per giovani, quello ceramico, si sa. E basta chiederlo ai giovani medesimi, le cui risposte si sanno. Siamo andati oltre, scomodando, oltre ai giovani, anche la sociologia e le pubbliche amministrazioni. Per cercare di capire sia cosa si può fare devvero per quello che un’espressione onnicomprensiva definisce “universo giovanile” legando all’espressione i luoghi comuni che ben conosciamo. E per cercare di capire sia se lo si voglia fare per davvero sia se ai giovani potrebbe davvero interessare quello che, nel caso, si riuscirebbe a fare. a pagina 2 e 3 BAR DELLE VERGINI Giustizia ingiusta E’ la giustizia il tema della settimana al Bar delle vergini. Il Consiglio superiore della magistratura si è messo di traverso sulla riforma della giustizia definendo “controproducente” il taglio delle vacanze dei magistrati da 45 giorni all’anno a 30. Non piace nemmeno l’abolizione della pausa estiva dei tribunali, quella che fa si che a luglio e agosto non ci siano sentenze se non in casi eccezionali. Pensate quanto è controproducente per un’azienda aspettare una sentenza civile per 10 anni, e chissà cosa ne pensano quegli imprenditori che ad agosto invece di fare le ferie salgono e scendono dagli aerei per presidiare i mercati di mezzo mondo. Formigine La strada che non c’è, residenti in rivolta Oltre 150 firme per dire no all’abbandono della “strada dell’amore” pagina 10 Rubriche TFR in anticipo: un’altra fesseria della politica L’ennesimo annuncio del Governo ne conferma l’inadeguatezza pagina 13 Programmi d’abbonamenti anno VI, n° 148 di Ottobre 2014 del bisettimanale “Il Dstretto” - Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L- 27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 - aut. N° 080032 del 28/05/2008 - DCB - BO 2 DSTRISCIO anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 I luoghi di aggregazione di un tempo sono morti “ Marco Franchini “Il bello dei giovani è che sono indeterminati, non dobbiamo imbrigliarli, ma hanno bisogno di punti di riferimento”, lo sostiene Marco Franchini, psicologo 34enne, che lavora quotidianamente con i ragazzi Avete pienamente ragione”. Non capita spesso di ascoltare queste parole, men che meno di sentirle arrivare da un addetto ai lavori come Marco Franchini, uno psicologo e psicoterapeuta che lavora nelle scuole del distretto e che ha all’attivo diversi progetti con i giovani. “Non ci sono più spazi dove i ragazzi possano incontrarsi, i luoghi aggregativi che una volta proponevamo sono finiti. Quando Don Bosco proponeva campi da calcio nelle parrocchie era innovativo, era l’equivalente di proporre oggi un polo tecnologico, erano iniziative che permettevano di uscire dall’isolamento culturale mentre ora sono morte, vecchie, stantie. Quello che non è morto è la voglia di incontrarsi”. E se la socialità è fondamentale a qualsiasi età lo diventa ancora di più in per i giovani che con essa “si preparano alla vita, imparano a gestire i rapporti di coppia e quelli con le persone con le quali lavorerà in futuro”. “Oggi mancano luoghi aggregativi che si aprono a 360 gradi”, prosegue Marco, “devono essere pensati ricordando che siamo passati da un sistema analogico ad uno digitale. Il fai da te, il buon senso non bastano più. Ho girato l’Italia ed ho avuto la conferma che i centri giovani realizzati dai Comuni sono tutti falliti perché importano il modello del vecchio educatore che fa attività con i ragazzi mentre loro si trovano meglio in una multisala dove trovano il wifi gratuito”. E qua entra in gioco l’elemento di criticità maggiore, ovvero il denaro: “indiscutibilmente i ragazzi sono attratto da luoghi belli perché sono nella fase nella quale proiettano su di esso se stessi e il proprio corpo. Per essere attrattivo un luogo deve rappresentare quello che vorrei essere, per questo i ragazzi non studiano nella biblioteca della scuola, brutta e decadente, ma preferiscono farlo al Mac Donald’s dove trovano la connessione gratuita ed un luogo gradevole”. C’è poi da considerare un bisogno fondamentale dei ragazzi, ovvero la necessità di confrontarsi con qualcosa che non sia statico, un bisogno che è frutto della indeterminatezza che è propria dell’adolescenza e che “non dobbiamo imbrigliare”. Messi in fila i problemi c’è la necessità di capire da cosa ripartire e per lo psicologo Marco Franchini è la consapevolezza che “da solo nessuno si salva, che non ha senso affidarsi a soggetti che fanno la morale ai giovani perché hanno paura di invecchiare. Non accontentiamoci di utilizzare le persone che abbiamo in casa, dobbiamo trovare chi è disposto a mettersi in gioco e ce ne sono tanti”. La proposta di utilizzare le strutture dismesse delle aziende trova concorde anche lo psicologo convinto che possa attivare nei giovani il tema del riutilizzo che è proprio della cultura berlinese, ricordando però che servirà un lavoro enorme per trasformarli in luoghi adatti ai ragazzi. “Non mi interessa che i giovani stiano solo tra di loro, per basta un cinema e costa meno, voglio che lo stare tra loro diventi un momento educativo, qualcuno deve far capire loro bellezza vita e la sua temporalità. Gli spazi ci sono, ci sono i luoghi ma vanno riempiti di idee e persone”. L’elemento umano diventa preponderante anche perché gli i ragazzi sono alla ricerca di punti di riferimento, di qualcuno che faccia da collante tra tutti gli stimoli che raccolgono da ogni dove. “Pascolano negli spazi virtuali o reali sperando di trovare punti riferimento, sono assetati di punti di riferimento e dobbiamo stare attenti a che non scelgano chi tenta solo di sedurli e non di educarli ed indirizzarli”. Un ruolo che faticano a recitare le figure educative, complice la bruttezza della scuola e l’arretratezza della loro offerta formativa: “pensate che nel 2014 le scuole tecniche insegnano ancora il tornio, la crisi della classe media è una crisi formativa, trent’anni fa i loro padri uscivano da scuola sapendo più di ciò che sanno loro, i giovani rischiano di essere amputati a metà sulla formazione umanistica che ti apre la mente al resto. La scuola arranca perché non si è trasformata”. (Daniela D’Angeli) in futuro! Ma noi ci proviamo, gettiamo il nostro sasso nello stagno, consegniamo anche la nostra idea a chi volesse coglierla. Le politiche per i giovani andrebbero portate avanti in modo congiunto, discusse al tavolo dell’unione dei comuni, non lasciate alla mercé delle singole amministrazioni. Occorre fare massa critica, unire le forze e le poche risorse a disposizione, coinvolgere le aziende private e magari anche gli imprenditori del territorio. Perché non individuare un grande sito industriale dismesso e su quello concentrare l’attenzione della politica? Perché non valutare progetti finalizzati a realizzare un grande centro gio- I’opinione I 20enni divisi tra pub, discoteche e tanta voglia di evadere dal distretto Rebecca ha 21 anni, studia all’università e fa volontariato. La sua vita sociale si dipana tra Sassuolo e Modena con qualche capatina a Bologna perché, come ci racconta, “quando hai la patente prevale la voglia di spostarsi, restare in un piccolo contesto stringe”. La scelta di un locale da frequentare arriva soprattutto con il passaparola e se ci sono novità da provare vale la pena di sobbarcarsi anche quaranta minuti di macchina. “Faccio volontariato e in questo contesto ho preso parte all’organizzazione di un torneo che a Sassuolo ha portato gente da ogni dove, anche da Reggio Emilia. Se ci sono attività interessanti i ragazzi rispondono”. Il ventaglio di possibilità di svago è presto fatto: pub/bar se vuoi fare chiacchiere, il cinema, la pizzeria, la discoteca; a Sassuolo c’è il Temple bar mentre a Modena piacciono alcuni locali del centro e d’estate quelli sui viali. C’è poi tutto il mondo delle attività sportive, come danza, pallavolo e simili, che portano comunque a contatti e occasioni di socializzare. Piace a Rebecca la proposta di realizzare un luogo pensato solo per i ragazzi nei capannoni dismessi: “Ci andrei sicuramente una prima volta spinta dalla curiosità, poi per tornarci dovrebbe fornirmi un certo servizio. Anche perché sei nella fase in cui inizi a guadagnare i primi soldi e c’è maggiore consapevolezza che vadano spesi oculatamente”. Non è un paese per giovani segue dalla prima pagina D i recente il nostro giornale si è occupato di anziani, abbiamo parlato di case di riposo, portato alla luce i diversi servizi offerti per la terza età; lo abbiamo fatto con successo direi, anche perché il materiale a disposizione dei giornalisti non è mancato. Più difficile, invece, parlare di giovani, di luoghi inesistenti, di servizi rimasti lettera morta, di qualcosa che può essere solo immaginato e frutto della fantasia di chi scrive. Forse per le casse comunali i giovani sono meno attraenti perché al momento non dispongono di una pensione da investire? Certo è che se non puntiamo su di loro, difficilmente potranno averne una vani in grado di soddisfare le loro esigenze culturali, ricreative e ludiche? Perché non coinvolgere le scuole e i ragazzi per misurare le loro reali esigenze di spazi e iniziative? Me ne rendo conto, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma una scialuppa a questi giovani la dobbiamo lanciare. Già la società non riesce a dar loro una prospettiva di lavoro, diamo loro un segnale forte, facciamo vedere che non li abbandoniamo, che nonostante la difficoltà del momento le istituzioni e gli imprenditori sono loro vicini. Anche perché se dovessero andarsene altrove, veramente il distretto diventerebbe un paese per soli vecchi. (Roberto Caroli) 3 DSTRISCIO anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Aggregazione giovanile: il pubblico cosa fa? C Lo abbiamo chiesto a chi governa i Comuni del distretto ceramico, ricavandone un’impressione: non è un distretto per giovani he non sia un distretto per giovani, quello ceramico, si sa. E basta chiederlo ai giovani medesimi, le cui risposte si sanno. «Non c’è niente, per nessuno», rispondono, cercando a loro volta risposte. Anche dalle istituzioni, anche dal pubblico… Anche, perché no, da quella politica che i giovani stessi rifuggono e alla quale il Dstretto ha chiesto le sue risposte, interrogando gli assessori – o i sindaci e i vicesindaci - che ai giovani, e ai loro modi (e tempi) di aggregazione sottendono per motivi di mandato. I centri giovani di Scandiano, i GET, i corsi (professionali e non), Casa Corsini a Fiorano,il Mabic piuttosto che il Bla tra Maranello e ancora Fiorano, il «fare rete tra le associazioni» che Sassuolo, unica città del distretto cui le elezioni hanno cambiato colore (in senso amministrativo) sono gocce nel mare di un’aggregazione che «evolve in continuazione, come è giusto che sia, ed è per questo – dice la sociologia – che è difficile da intercettare con i tempi dell’ente pubblico». E resta una variabile che va comunque considerata, anche a livello istituzionale. «Come risorsa – ci è stato detto – e non come problema». La questione non è il per- ché, ma la questione sono il «quando, il come, in che modo». Biagini, Costi, Iotti, Morini, Pigoni, Vaccari: in rigoroso ordine alfabetico ecco chi ci ha risposto, parlando di modelli di aggregazione che già ci sono e di altri che verranno, e spiegando quanto può fare, o provare a fare un’amministrazione locale intesa come pubblico, istituzione e, perché no, politica in senso lato, per dirigere, coordinare e gestire. E magari guardare avanti perché senza giovani le nostre città, i nostri paesi e i nostri quartieri e anche noi, a ben vedere, siamo tutti un po’ più vecchi. (S.F.) Alberto Vaccari, Sindaco di Casalgrande Marco Biagini, Vicesindaco di Fiorano Maria Costi, Sindaco di Formigine Massimiliano Morini, Sindaco di Maranello Giulia Pigoni, Assessore Com. di Sassuolo Giulia Iotti, Assessore Com. di Scandiano Alberto Vaccari Marco Biagini Maria Costi Massimiliano Morini Giulia Pigoni Giulia Iotti S « « « « S port, musica e pittura. Ecco le carte che Casalgrande gioca per favorire l’aggregazione giovanile. Secondo il sindaco Alberto Vaccari, l’amministrazione ha cercato di investire il massimo delle risorse nei tre poli sportivi presenti sul territorio, cercando di veicolare attraverso quelli le istanze giovanili. «L’obiettivo è, e sarà, quello di promuovere lo sport, soprattutto i cosiddetti sport minori e soprattutto a livello giovanile». Gli interventi? «A parte quelli infrastrutturali ci sono contributi che vengono erogati alle società sportive che svolgono la loro attività, e tra gli aiuti che diamo alle società – aggiunge Vaccari figurano anche quelli per i ragazzi che dal punto di vista finanziario non riuscirebbero a pagare l’iscrizione alla società per poter partecipare alle attività». Che il problema dell’aggregazione giovanile esista, fa capire Vaccari, è vero, ma le amministrazioni quel che possono lo fanno e «sono tante – aggiunge Vaccari - le iniziative proposte dall’assessorato gestito da Silvia Tagliani. Penso all’orchestra Mikrokosmos, formata da studenti, e agli oltre 50 ragazzi che frequentano i corsi di musica, o ai corsi nella casetta del parco con attività didattiche per gli studenti che hanno dato buoni esiti, e a breve partirà un corso di pittura». (Paolo Ruini) Parlare di politiche giovanili a Fiorano – secondo il vicesindaco Marco Biagini - significa rifarsi all’esperienza pluriannuale del sodalizio Comune-Parrocchia che ha generato le esperienze educative del gruppo Babele, di FreeNet e, a livello distrettuale, di Strada Facendo». Passa da ogni strada possibile quel favorire l’aggregazione che secondo Biagini è, in sé, contrasto al disagio e trova espressione anche nell’esperienza di Casa Corsini. «Cerchiamo di svilupparla, sfruttando le sale prove e la sala civica, per creare un modello di partecipazione della proposta culturale, aprendo la gestione al confronto programmatico con mondi associativi o informali, sulla falsariga di quanto già sperimentato con Crea e con Dummies», dice Biagini,che parla di altri «attrattori di giovani» indicando il Cinema Teatro Astoria, l’annesso Caffè del Teatro e il Bla, riferimento per gli studenti della zona. «Nel panorama delle associazioni giovanili, accanto alle realtà tradizionali, ritroviamo l’associazione culturale Tilt, oltre alla storica radio Antenna1 che a Fiorano ha sede e radici dal 1977. La sfida prossima – dice Biagini sarà quella di rendere queste realtà un sistema articolato e dialogante, valorizzando contenitori e contenuti, costruendo nuove partnership e progettualità in grado di intensificare la proposta ricreativa e culturale di Fiorano… gli ingredienti ci sono». (Edda Ansaloni) I giovani rappresentano una priorità per Formigine che si conferma, come testimoniano i dati demografici, un Comune giovane». Anche per questo, dice il sindaco Maria Costi, quello delle politiche giovanili è tema sentito, ben oltre quelli che sono i problemi legati al’aggregazione, che l’amministrazione declina al futuro. «Pur non avendo competenze specifiche in materia di lavoro e formazione – spiega il primo cittadino - il Comune si sta impegnando seriamente per intercettare tutte le opportunità che possono aiutare i ragazzi a trovare una collocazione nel mercato del lavoro o in percorsi di studio. Abbiamo stanziato risorse per borse lavoro all’estero aderendo al Progetto Leonardo e attivato tirocini». E’ una risposta al disagio anche quella, in fondo, cui si aggiunge un’azione mirata e continua, da parte dell’amministrazione, «per metterci in rete con le altre realtà cittadine come associazioni, parrocchie, società sportive e centri aggregativi. Lo Spazio Giovani, la Sala Prove Musicali e il Polo Culturale nella suggestiva cornice di Villa Gandini rappresentano i luoghi per eccellenza del territorio comunale all’interno dei quali i ragazzi si incontrano e si intrattengono per sviluppare attività di tipo creativo, culturale, ludico, di informazione, finalizzate allo stare bene insieme». (E.A.) Il nucleo dell’aggregazione giovanile è il Centro Giovani, un luogo in continua evoluzione, che cerca di dare spazio alle esigenze dei ragazzi con aperture serali e straordinarie nel week-end, cui va aggiunto il Mabic, la biblioteca in cui gli studenti possono incontrarsi per lo studio e per attività culturali». Passa da qui, secondo il sindaco Massimiliano Morini, l’aggregazione giovanile a Maranello, a non solo. «Gli spazi informali di aggregazione come parchi e circoli – dice Morini - sono luoghi che i giovani frequentano spontaneamente, e a questo proposito il progetto ‘Strada facendo’ si colloca tra gli interventi educativi che tentano di fare prevenzione su situazioni di disagio e rischio». Altro? I GET, rivolti ai ragazzi delle scuole secondarie di primo grado che prevedono momenti di studio e ludico-ricreativi, la sala prove comunale é a disposizione di gruppi musicali territoriali che trovano nella musica un momento per condividere idee e conoscenze, o eventi come Maranello Rock, appuntamento annuale che richiama giovani di Maranello e distretto in un momento importante di scambio per i giovani musicisti e non solo. «Senza dimenticare – chiude Morini - il lavoro delle società sportive e delle parrocchie che offrono la possibilità a tanti giovani di socializzare coltivando le proprie passioni».. (E.A.) L’idea è quella di creare una consulta delle associazioni, in modo da garantire all’associazionismo giovanile a tutti i livelli la possibilità di conoscersi, confrontarsi e collaborare». Idee ben chiare per l’assessore Giulia Pigoni, strette tra quelli che sono «modelli di aggregazione giovanile che cambiano e si evolvono», risorse che scarseggiano e il dovere, per l’ente pubblico, «di fare comunque da tramite tra le aspettative dell’universo giovanile e proposte che funzionano soprattutto se sono i giovani, le loro organizzazioni e le loro associazioni, a promuovere e sostenere». Il supporto dell’amministrazione, dice Pigoni, sarà logistico e strutturale, ma il contenitore deve essere riempito da un nuovo modo di «fare rete» cui è giusto siano chiamati proprio i giovani. «Il Comune media, ascolta, promuove e in questo senso ha un ruolo determinante, ma la strada da seguire è quella di mettere i giovani, nelle loro espressioni associative e aggregative, in condizione di collaborare tra di loro e promuovere quanto l’amministrazione agevolerà, anche per permettere ad ogni evento, ad ogni struttura, di respirare, e di aprirsi alla città». Perché, fa capire Pigoni, «quello dell’aggregazione giovanile e dei suoi modi, per l’amministrazione di cui faccio parte è una risorsa da sfruttare appieno». (Stefano Fogliani) ono due i “motori” dell’aggregazione giovanile a Scandiano, ovvero i due Centri Giovani di Scandiano ed Arceto che favoriscono l’aggregazione di centinaia di ragazzi sotto l’egida del Progetto Giovani, «all’interno del quale - dice Giulia Iotti, assessore alle politiche giovanili e al welfare allargato – vengono pianificate le varie iniziative che verranno realizzate nell’arco dell’anno, cercando di supportare, per quanto possibile, lo spirito di iniziativa dei ragazzi stessi, che vengono prima valutate e poi spesso appoggiate e sostenute». Idee e strutture: le prime le mettono i ragazzi, le seconde l’amministrazione, proprio attraverso i due centri giovani. «Sono strutture dove sono presenti degli educatori che seguono i ragazzi e dove si svolgono tantissime attività. Dalle sale prove per i gruppi e le piccole band fino al corso sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Poi ci sono iniziative specifiche come quella che abbiamo lanciato per la realizzazione di piccoli cortometraggi: tutto – aggiunge Iotti – va nella direzione di coinvolgere tantissimi ragazzi, a più livelli». Facendo dei giovani stessi i protagonisti dei loro modi e tempi di aggregazione, come è successo l’anno scorso, quando «alcuni ragazzi, dopo aver seguito un corso di informatica presso il centro giovani, hanno organizzato delle serate dedicate all’utilizzo delle nuove tecnologie riservate agli anziani». (P.R.) Via Pietro Nenni, 8 - 42048 Rubiera (RE) - Tel. +39 0522 621162 - Fax. +39 0522 262589 - Email: [email protected] 4 DISTRETTO CERAMICO anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Tecnologia e innovazione: LB guarda al futuro Archiviata «con soddisfazione» l’edizione 2014 di Tecnargilla, l’azienda fioranese studia strategie in grado di confermarne la leadership. «Partendo dal made in Italy, ma valutando la possibilità – dice Emilio Benedetti – di produrre alcuni componenti all’estero» M anda in archivio il Tecnargilla con un bilancio lusinghiero, LB officine meccaniche. Da sempre protagonista sul mercato dell’innovazione tecnologica, l’azienda fioranese non smette di sperimentare, alla ricerca di soluzioni in grado di intercettare le crescenti esigenze di un mercato oltremodo selettivo. «L’innovazione, del resto – dice l’ad di LB officine meccaniche Emilio Benedetti – è sempre stato il nostro tratto distintivo, e la nostra presenza in fiera ha voluto sottolinearlo attraverso la presentazione di Emilio Benedetti soluzioni che ci hanno dato ottimi riscontri. Da una parte Freestile, «un concetto nuovo, mutuato – spiega Benedetti - dall’unione di diverse tecnologie. Il punto di partenza è una sorta di foglio bianco, dal quale si parte per realizzare un porcellanato tecnico le cui qualità sono decisamente rilevanti», dall’altra l’allestimento dell’esposizione con la quale LB ha caratterizzato la sua presenza alla fiera riminese. «Grande spazio alla macinazione a secco, con l’esposizione di pezzi unici realizzati attraverso questa tecnologia dai nostri partners, ma anche agli impianti propriamente detti. Non potendo portare in fiera gli impianti, li abbiamo realizzati in 3D, permettendo alla clientela di esaminarne, virtualmente, caratteristiche, metodi di funzionamento, manutenzione». Si tratta, fa capire Benedetti, di continuare ad investire in innovazione, a dispetto di un contesto non semplice, soprattutto per chi produce in Italia. Dove, dice Benedetti, l’ostacolo sono i costi di produzione, e se la soluzione potrebbe essere produrre all’estero, il numero uno di LB spiega come «esperienze pregresse ci hanno detto che la produzione estera non ci permette di ottenere la stessa qualità che otteniamo producendo in Italia, purtroppo, confermando come il made in Italy sia, per noi, un plus imprescin- dibile. Ma non escludiamo – aggiunge Benedetti – di cominciare a produrre componenti in paesi low cost, ovviamente a patto che vengano mantenuti gli standard di qualità richiesti da un’azienda come la nostra. Diciamo che è una opportunità che stiamo studiando, e sulla quale stiamo facendo le nostre valutazioni» anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Lavorare nell’Ucraina in guerra Giulia, resident manager di Litokol in Ucraina, racconta la sua percezione del conflitto che tiene con il fiato sospeso buona parte dell’Europa. «La guerra, nel nostro paese, c’è davvero: le informazioni non circolano, e in tutti c’è grande insicurezza» Giulia Ermolaeva L avorare con la guerra. La crisi ucraina, così lontana e al tempo stesso così vicina, è un po’ il paradigma «di un più ampio conflitto globale con il quale tutti devono fare i conti. Per noi, che in Ucraina viviamo e lavoriamo, non si tratta certo di essere in guerra, ma di convivere nel quotidiano con una tensione ben evidente, che sta diventando parte della nostra vita». Chi parla è Giulia, resident manager di Litokol, in Italia in occasione della settimana che ha visto il distretto ceramico protagonista lungo la via Emilia, complici Cersaie e Tecnargilla. «Fisicamen- te – dice – siamo lontani da ciò che accade nell’est del nostro paese, ma il malessere collettivo è abbastanza evidente, e la speranza, di tutti, è che la vicenda si risolva per il meglio». Perché i chilometri allontanano i venti di guerra, ma nemmeno troppo, «e perché – dice ancora Giulia la guerra, nel nostro paese, c’è davvero. Amici e clienti confermano una situazione difficile, e da parte nostra registriamo come non sia semplice nemmeno avere informazioni su quello che sta realmente succedendo». In ballo c’è, come noto, tanto: a livello politico ed economico, a livello sociale e perché no, a guardarlo dalla prospettiva di chi la guerra ce l’ha in casa, o quasi, anche a livello quotidiano, nel senso sia contingente che di prospettiva. Perché se il problema è politico «o geopolitico» non rileva, non almeno per chi lavora e conduce la propria esistenza, umana e professionale, seguendo binari all’interno dei quali la guerra è una variabile con la quale non ci si può non stupire di trovarsi a fare i conti, ben dentro l’Europa moderna, evoluta, occidentale e capitalista, parte nobile del mercato globale. «Ci si sente parte di un conflitto, si cerca di capire, ma quello che se ne ricava è soprattutto una sensazione di insicurezza», spiega ancora Giulia, che racconta di un paese che sta cambiando, nel sentiment e negli assetti, come nelle dinamiche. «Le sanzioni hanno diminuito la capacità di acquisto individuale, complice l’aumento dei prezzi, la moneta si è svalutata e inoltre non va trascurata l’incognita-gas, sulla quale il conflitto è destinato a pesare. Come è destinato a pesare, ovviamente, sul nostro quotidiano: l’incertezza e la preoccupazione frenano tutti, e non credo potrebbe essere diversamente. Kiev è una città moderna ed evoluta, come moderno ed evoluto è un paese che ha una sua identità, una sua economia, una rete di relazioni commerciali e non solo che stanno perdendo fatalmente il loro dinamismo, complice un conflitto che non permette di guardare al futuro con la necessaria tranquillità». Anche perché, fatica a capirlo l’Occidente non meno di chi in Ucraina vive e lavora, ad oggi l’evoluzione del conflitto è ancora tutta da scrivere, «e avere informazioni su cosa succede realmente – chiude Giulia – è difficile anche per noi». Argille: la Germania pensa all’emergenza Il punto di vista di Gunther Schmidt, ad avviso del quale «le potenzialità del Westerwald non sono sfruttate appieno, e oggi possiamo trasportare anche via mare» Gunther Schmidt N 5 DISTRETTO CERAMICO on solo il quotidiano di chi in Ucraina vive e lavora. Il conflitto in corso agita i sonni (anche) degli imprenditori del distretto ceramico, che hanno nell’Ucraina uno dei punti di riferimento per quanto riguarda le materie prime, ed in particolare le argille, che entrano negli impasti con percentuali tra il 15 ed il 20%. I laboratori, in vista di possibili difficoltà legate alle forniture, stanno riattivando le ricerche sugli impasti, guardando non più solo alle cave ucraine, ma anche a Spagna, Portogallo e soprattutto Germania. Si tratta di capire se queste zone, ed in particolare il Westerwald tedesco, potrebbero essere in grado di far fronte a fabbisogni maggiori di quelli richiesti prima che il conflitto mettesse a rischio l’asse commerciale tra Italia e Ucraina. «Oggi il Westerwald produce circa 3,5 tonnellate di argilla, in passato ne produceva anche 5. Significa che le potenzialità della zona non sono, oggi, sfruuttate appieno», dice Gunther Schmidt, Presidente della Stephan Schmidt, che tuttavia ha ben presenti le potenzialità del Westerwald. «Le condizioni per forniture più cospicue possono essere senza dubbio ricreate, e credo gli operatori della zona non ci metterebbero più di sei mesi per riorganizzarsi, a fronte di una richiesta di aumento di volumi. Ovvio, tuttavia, che non è pensabile sostituire un’argilla con l’altra, anche considerato che parliamo, per le argille tedesche, di coefficienti di allumi- na che si attestano tra il 22 ed il 25%, e di ferro presente tra l’1,4 e l’1,7%», aggiunge il numero uno di della Stephan Schmidt, che si dice in grado di soddisfare fabbiosgni maggiori «anche del 20%» rispetto ai circa 1,2 milioni di tonnellate che oggi muove dal Westerwald al distretto ceramico, e che erano quasi due milioni di tonnelate fino ad un quinquennio fa. Sperimentando anche nuove metodologie a livello logistico, «dal momento che oltre alla movimentazione su gomma o rotaia o container, siamo in grado, attraverso il Reno, di raggiungere via nave anche il porto di Rotterdam e da qui i porti di La Spezia e Ravenna». Gas Sei mesi di scorte per l’europa Un mese senza problemi, poi capacità di resistenza fino a sei mesi (seppure con qualche difficoltà) in caso di un eventuale stop delle forniture di gas dalla Russia per l’acuirsi della crisi con l’Ucraina. L’Unione europea, al termine degli stress test condotti in questo ultimo periodo, è arrivata a questa conclusione, che il commissario uscente Günther Oettinger ha presentato a Milano alla riunione informale dei ministri europei dell’Energia e dell’Ambiente. Il dato allarma, ed il viceministro allo Sviluppo economico con delega all’Energia, Claudio De Vincenti, è stato chiaro: bisogna sviluppare gli approvvigionamenti alternativi, «in tal senso – ha aggiunto De Vincenti - sono centrali le infrastrutture come i rigassificatori e i gasdotti». Ma per l’immediato, par di capire, il problema non sussiste, come confermato, tra l’altro, da Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Eni, che alle agenzie di stampa, lo scorso settembre, aveva garantito come «l’Italia sara’ al sicuro questo inverno sul fronte degli approvvigionamenti di gas anche se si dovesse bloccare il flusso dall’Ucraina». A rischiare, ha aggiunto Scaroni, sono soprattutto quei paesi che ricevono il gas attraverso i tubi ucraini, come Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria e Austria mentre l‘Italia «ha molte fonti di approvvigionamento». accaDmenti anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Unità pastorali: unione non significa fusione Don Achille Lumetti Non si tratta di manifestare campanilismi assurdi ma si richiedono solo provvedimenti adeguati, non lineari ma a intermittenza di rispetto per il passato. Il grande concentramento è sempre maestoso, ma il piccolo borgo ti rimane nel cuore, ed il progetto unità pastorali si deve muovere con fraternità e rispetto per il cammino del passato P iccole parrocchie, sacerdoti in età avanzata, quasi nulla le ordinazioni di nuovi sacerdoti. Viene deciso l’accorpamento di parrocchie con un solo parroco e altri sacerdoti collaboratori. Ma non si possono cancellare per decreto mille e più anni di storia di tante realtà e identità parrocchiali. Non sempre l’unione di parrocchie riduce le forze e le risorse, anzi. Sovente, mega-strutture significano mega impegni insostenibili e cancellando le parrocchie si cancella un patrimonio di tradizioni e aggregazioni sociali e religiose. La festa del Patrono seguita da processione in un paesino di montagna può fare sorridere, ma rimane l’unico cordone ombelicale per richiamare alle proprie radici fedeli sparsi e dispersi su tutta la penisola. I parroci di queste comunità hanno una storia e una dignità. Unire le parrocchie per unificare i servizi religiosi può essere utile e necessario, ma non si possono fondere le identità di parroci che si sono dedicati con zelo e impegno alle loro “dimenticate” parrocchie, per le quali essi non rappresentano più nulla di autentico. Occorre valutare e non trascurare le caratteristiche delle singole parrocchie, non solo riguardo all’aspetto pastorale, ma anche per quanto concerne il patrimonio artistico e ambientale. Unire non è sinonimo di soppressione. Unire non significa fusione. Non si tratta di volere manifestare campanilismi assurdi ma si richiedono solo provvedimenti adeguati, non lineari ma a intermittenza di rispetto per il passato. Il grande concentramento è sempre maestoso, ma il piccolo borgo ti rimane nel cuore, ed il progetto unità pastorali si deve muovere con fraternità, consulenza e tanto rispetto per il cammino polveroso del passato. Le unità pastorali riducono le quantità ma accendono la scommessa della qualità. Il forte magnetismo che legava le comunità al loro pastore sta perdendo inesorabilmente la sua presa: auspichiamo allora che tutto ciò che viene proposto non equivalga a una rottamazione del passato nel suo ambito di tradizioni, usi ambiente e devozioni che per anni lo ha qualificato. (Don Achille Lumetti) Definizione Cosa sono le unità pastorali Si chiama unità pastorale un insieme di parrocchie vicine tra loro e affini per quanto riguarda il tipo di territorio (in montagna, in una grande città, nelle periferie) e le condizioni di vita degli abitanti (per esempio un insieme di piccole frazioni che gravitano tutte attorno ad un unico paese principale). L’unità pastorale è usualmente guidata da un parroco moderatore e molte diocesi, in Italia come altrove, stanno sperimentando questo tipo di organizzazione pastorale per cercare di far fronte ad alcuni problemi: oggi la mobilità delle persone è infatti molto ampia e i ristretti confini delle parrocchie hanno perso quasi del tutto il significato che avevano in passato, è necessario unire le forze per coordinare meglio alcuni settori della vita pastorale ed il costante calo del numero dei preti rende necessario abbandonare la formula tradizionale per cui in ogni parrocchia era presente un parroco residente. In molte unità pastorali i sacerdoti fanno vita comune in un’unica canonica, per poi andare a servire quotidianamente le diverse parrocchie situate nel territorio dell’unità pastorale: attualmente non esiste una formalizzazione giuridica delle unità pastorali, quindi ogni diocesi segue criteri propri per definire le proprie unità pastorali e stabilirne compiti e competenze. 7 8 Dstensioni anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Il pranzo di Babette Il maiale dei poveri N ella favola di Cenerentola si trasformava in carrozza per accompagnare la futura principessa al ballo, ad Halloween è il lumino di Jack O’lantern simbolo delle anime dannate ed errabonde, utilissima in cosmesi ed in medicina è indubbiamente la regina delle tavole d’autunno. Stiamo parlando di sua maestà la zucca, cucurbitacea originaria dell’America Centrale, i cui semi più antichi sono stati ritrovati in Messico e risalgono al 6mila avanti Cristo. Quest’ortaggio era conosciuto e coltivato già da Egizi, Romani, Arabi e Greci; fu conosciuta dagli europei solo dopo la conquista delle Americhe quando Cristoforo Colombo portò in Italia diverse varietà di zucca. Se inizialmente era destinata a sfamare il popolo contadino le lunghe carestie la fecero apprezzate anche dalle classi sociali più abbienti tanto da meritarle l’appellativo di “maiale dei poveri”, perché meno costosa della carne ma indubbiamente ricca di nutrimento: vitamine A e C, betacarotene, fosforo, potassio, calcio. Inoltre della zucca non si butta via niente: fiori, polpa e semi destinati all’alimentazione, mentre la buccia può essere utilizzata per addobbi e ornamenti; per i Romani la zucca svuotata ed essiccata diventava un prezioso contenitore leggero per trasportare sale e cereali, vino e latte. Sotto il profilo medicamentoso i semi vengono usati per combattere il verme solitario, alleviare le infiammazioni della pelle e prevenire le disfunzioni delle vie urinarie; dalla polpa si estrae un succo in grado di combattere i disturbi gastrici e le patologie della prostata. In cucina è versatile al punto da sostenere un pasto completo dall’antipasto al dolce garantendo un apporto calorico decisamente contenuto: solo 15 calorie ogni 100 grammi di polpa, totalmente assente il colesterolo. L’esordio di un pasto a base di zucca potrebbe avvenire con delicati tortini di zucca, realizzati con ricotta, uova, parmigiano e pangrattato; passare poi ai famosi tortelli, a voi la scelta se inserire nel ripieno amaretti e mostarda oppure limitarvi a zucca bollita e formaggio grana, senza dimenticare però la noce moscata; arrivati alla seconda portata la zucca può accompagnare in maniera egregia la carne di maiale, vi basterà tagliarla a cubetti e metterla a rosolare con uno spicchio d’aglio, sfumare con vino bianco ed insaporire con rosmarino in rametti ed abbondante pepe nero; infinite poi le varianti per preparare un dolce a base di zucca, da una semplice ciambella alle varianti più sfiziose con cannella, zenzero, cacao e perché no anche con le mele! La ricetta personale di Babette è una vellutata: fate soffriggere del porro, aggiungete la zucca a fette ed alcune patate, lasciate cuocere aggiungendo brodo vegetale per circa trenta minuti, la passate poi al mixer, al momento di impiattare aggiungete pepe fresco, olio a crudo e per i più golosi un cucchiaio di panna; se dovete mettere a tavola dei fanatici delle proteine aggiungete qualche strisciolina di pancetta rosolata, ma non disdegnate neppure un accompagnamento con una manciata di passatelli cotti a parte nel brodo, o magari qualche mazzancolla. Piatto colorato e gustoso, che saprà ben figurare su una tavola d’autunno! Non dimenticate di accostarvi un buon bicchiere di bianco optando tra un Traminer aromatico o un Müller Thurgau, o anche un Riesling delle colline mantovane o dell’Oltrepò pavese. (Babette) Gino Gandini. L’incanto della natura di Alberto Agazzani G ino Gandini è stato (con Paolo Orlandini), fra i pittori reggiani dell’ultima parte del secolo scorso, certamente il più rappresentativo e importante tra quelli che hanno inteso proseguire e rinnovare in termini puramente espressivi la grande tradizione figurativa reggiana. Non a caso, e sempre nel solco tracciato da Ottorino Davoli e dalla sua scuola, i suoi soggetti più felici sono sempre stati paesaggi dell’appennino locale o scorci innevati dell’altrettanto nostrana campagna. Più rari, ma non meno affascinanti, appaiono le marine, dove il consueto lirismo (di fascinazione quasi chiarista) si rafforza di toni solari, accesi, portatori di gioie e calori di assolate villeggiature estive. La nostalgia di un tempo ideale, nel quale lontana è l’eco delle inquietudini novecentesche, pervade ogni sua immagine, restituendo sempre un’aura di serenità “familiare” che, tuttavia, si manifesta attraverso una pittura pregna dello spirito del suo tempo. In particolare è la fragilità silenziosa di un certo chiarismo ad emergere in maniera più insistente: una pittura fresca e apparentemente veloce, poco attenta al dettaglio ma pregna di La nostalgia di un tempo ideale pervade ogni sua immagine, restituendo sempre un’aura di serenità “familiare” espressione, resa ancora più vibrante da una tavolozza delicata ma varia, in grado di raccontare oltre il visibile la gioiosa nostalgia incantata della natura. Che si tratti del lucore della neve o dell’abbagliante splendore di un sole marittimo d’estate, in Gandini il senso della misura e del silenzio si manifestano con sempre seducente fascino, allontanando per sempre quell’incipiente clamore che da lì a qualche decennio sarebbe divenuto imperante, cancellando le voci della natura e divenendo espressione più modaiola di una realtà senza più pace. (Alberto Agazzani) anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 9 SASSUOLO Consigli per gli acquisti? No, acquisti per consiglio Online, sul sito del Comune, le cifre rimborsate ai gruppi consiliari nel corso della passata legislatura. Affitti, utenze, cancelleria, computer, stampanti e telefonini: euro, ironia e qualche (inevitabile) polemica U na stampante da 96 euro, acquistata dall’IDV, ma anche un’altra che, insieme ad altre pese di cancelleria e cartucce, è costata 5 volte tanto alla lista Sassuolo con Patuzzi, 84 euro di toner e 122 di cancelleria (lista civica Sassuolo), 500 euro di libri cui si aggiungono svariati mila euro (poco più di 10mila euro il partito democratico, poco meno il pdl Forza Italia, circa ottomila euro per la Lega Nord) per canoni di affitto di locali e utenze, ma anche acquisti di computer (circa Sheet1 Gruppo Importi liquidati tipologia Partito Democratico € 13.681,00 10750,50 euro canoni di locazione, 2931 euro utenze, bolli e cancelleria Forza Italia PdL € 11.453,50 9969,67 euro canoni di locazione, 999,83 euro utenze, 484 euro trasloco Lega Nord Padania € 7.885,40 7885,40 euro canoni di locazione e utenze Lista Civica per Sassuolo € 3.008,51 1074,8 euro organizzazione convegno, 713,71 cancelleria, stampe e toner, 720 acquisto pc, 500 acquisto libri Sassuolo con Pattuzzi € 2.150,00 815,86 cancelleria e versamento Fondo Solidarietà Comunale, 750 euro acquisto computer, 584,11 stampante e cancelleria, Gruppo Misto € 1.429,48 761,78 Acquisto toner, 667,60 acquisto cellulare IDV Italia dei valori € 278,40 96 euro acquisto stampante, 182,40 euro acquisto cancelleria 1500 euro complessivi rimborsati alla Lista Civica per Sassuolo e all’altra lista civica, ovvero Sassuolo con Pattuzzi, che sul finire della legislatura diventerà Siamo Sassuolo) e 667 euro spesi dal Gruppo Misto per l’acquisto di un telefonino. Ecco le spese dei gruppi consiliari sassolesi, messe online sulla pagina dedicata alla trasparenza del sito ufficiale del Comune. Circa 40mila euro (39886, per la precisione) quelli liquidati suddivisi tra i sette gruppi che hanno composto il consiglio comunale della legislatura che si è chiusa lo scorso giugno: Oltre tredicimila (13681 euro) liquidati al partito democratico, 11453 a Forza Italia pdl, 7865 alla Lega Nord, 3008 alla lista civica per Sassuolo, 2150 a Sassuolo con Patuzzi, diventata sul finire della legislatura Siamo Sassuolo, 1429 al Gruppo Misto, 278 all’Italia dei Valori, che chiude la graduatoria. Si tratta delle spese che i gruppi consiliari sostengono per la loro attività istituzionale e che vengono, per questo, rimborsate, a proposito delle quali, dopo averle acquisite e diffuse (sulla loro pagina facebook) i consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle Sassuolo hanno poi ottenuto che le stesse venissero pubblicate anche sul sito del Comune. «In modo – hanno detto Erio Huller e Silvano Rutigliano, che rappresentano il M5S in consiglio – che i cittadini possano valutare l’opportunità o la priorità di alcune spese fatte con il denaro pubblico». Una battaglia di trasparenza, l’avevano definita ai tempi i pentastellati, che aggiungono «troverete spese per computer, per libri (non si sa bene il genere), stampanti, toner, traslochi, cellulari» e lasciano, per ora, cadere la cosa, non senza soffermarsi sul «tempismo» con il quale il Gruppo Misto ha acquistato un cellulare. «Un mese prima delle elezioni, e poi – ha rincarato la dose l’ex sindaco Luca Caselli, oggi capogruppo della lista civica Sassolesi –nessuno si è ricandidato». (S.F.) Page 1 Via A. Vespucci, 12 - 41049 Sassuolo (MO) - tel. 0536-807484 - fax 0536-889952 - email: [email protected] 10 FORMIGINE e MARANELLO PERFETTI MECCANISMI DI ASSISTENZA MACCHINE, IMPIANTI E RICAMBI PER INDUSTRIE CERAMICHE G.P. Service s.r.l. via Atene, 17 41049 Sassuolo (MO) Tel. +39 0536 808876 Fax +39 0536 808877 La strada che non c’è: il quartiere Gramsci insorge Oltre centocinquanta firme raccolte per sensibilizzare l’amministrazione sulle condizioni della “strada dell’amore”. Oggi, loro malgrado, “strada del degrado” www.gpserviceitaly.com [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE ROBERTO CAROLI [email protected] DIREZIONE,AMMINITRAZIONE Ceramicanda srl, via De Amicis 4 42013 Veggia di Casalgrande (RE) tel.0536990323 - fax 0536990402 REDAZIONE IL DSTRETTO via De Amicis 4 42013 Veggia di Casalgrande (RE) tel.0536822507 - fax 0536990450 [email protected] REDATTORI Stefano Fogliani, Daniela D’Angeli COLLABORATORI Claudio Sorbo, Massimo Bassi, Edda Ansaloni, Paolo Ruini, Babette, Don Achille Lumetti, Alberto Agazzani, Maple Leaf, Sting EDITORE CERAMICANDA SRL Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Reggio Emilia al n°1202 in data 05/12/07 PUBBLICITA’ Ceramicanda srl, via De Amicis 4 42013 Veggia di Casalgrande (RE) tel.0536990323 - fax 0536990402 [email protected] IMPAGINAZIONE gilbertorighi.com STAMPA SOCIETA’ EDITRICE LOMBARDA SRL- CREMONA CERAMICANDA garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo al responsabile dati Ceramicanda via De Amicis 4 42013 Veggia di Casalgrande (RE). Le informazioni custodite nel nostro archivio elettronico verranno utilizzate al solo scopo di inviare proposte commerciali. In conformità alla legge 675/96 sulla tutela dati personali e al codice di auotisciplina ANVED a tutela del consumatore www.ceramicanda.com anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 U na raccolta di firme (158 in soli due giorni) e un incontro con l’amministrazione, già ottenuto dopo numerose insistenze. E’ stato questo il primo passo che i residenti del quartiere Gramsci hanno mosso per denunciare una situazione divenuta ormai intollerabile nel loro quartiere. «Sono anni che denunciamo il disagio che stiamo vivendo, ma purtroppo non siamo mai stati ascoltati. Abbiamo pensato – dicono i residenti - di appellarci al nuovo Sindaco e chiedere aiuto, per cercare di risolvere almeno alcuni dei problemi più urgenti. Solo il fatto di essere stati ascoltati ci rincuora e ci fa ben sperare, ma chissà…». Una delle emergenze più importanti riguarda il tratto di via Gramsci chiuso diversi anni fa alla circolazione delle auto, in quanto ritenuto di grande valore ambientale. «Riteniamo però – dicono i residenti che la tutela sia ben altra cosa, rispetto a quanto è stato fatto sino ad ora. Un tempo quella via era conosciuta come “la via dell’amore”, mentre oggi la possiamo tranquillamente ribattezzare “la via del degrado”, dal momento che è da tempo abbandonata a se stessa». La camporella di tanti è solo un ricordo, oggi «ci sono diversi pericoli che corrono i tanti cittadini che ogni giorno transitano a piedi o in bicicletta, per quel tratto di strada». I residenti parlano di stime «da noi effettuate» secondo le quali sarebbero circa 700 le persone ( tra cui molti bambini) che ogni giorno transitano in quella via, ed il sabato, la domenica o quando vi sono particolari eventi in centro, il numero di coloro che percorrono la strada triplica. Vi è anche da sottolineare che dopo l’apertura della nuova scuola elementare, è stato realizzato un passaggio sulla via Gramsci, per cui molti scolari percorrono questo tratto di strada ogni mattina. Proprio dietro la palestra della scuola vi sono diversi alberi d’alto fusto, completamente secchi. Nello scorso mese d’agosto ne sono caduti un paio, che hanno messo in pericolo l’incolumità delle persone, ed una mamma con carrozzina al seguito ha rischiato di essere colpita. Da qui le rimostranze dei residenti, che lamentano anche una scarsissima illuminazione, dovuta ai pochissimi lampioni presenti, la maggior parte dei quali sono coperti dalle piante. «La stradina – dicono i residenti - diventa così pericolosa di sera e chi la percorre è costretto ad uscire con la torcia, oppure utilizzare la luce del telefonino, in quanto il manto stradale versa in condizioni disastrose». Finisse lì, ok, ma, «vorremmo anche venisse controllata l’area dove si trova un’antenna della telefonia - continuano i residenti - perchè ci sono detriti, dei quali non conosciamo la provenienza e cavi scoperti, che rappresentano un grande pericolo. L’area in questione non è protetta ed è quindi accessibile e chiunque». E utile al quartiere, che chiede di poterla percorrere in sicurezza. (Edda Ansaloni) Un pranzo per gli orti E eccellenze regionali il tema conduttore di un happening di successo: una conviviale perfettamente riuscita Maranello G rande partecipazione al pranzo, tenutosi presso gli orti degli anziani di Maranello, che ha avuto come tema la nostra Regione, l’ Emilia Romagna. Per l’occasione, la parte che si trova nella zona retrostante la struttura è stata trasformata in un grande spazio nel quale sono state raffigurate tutte le eccellenze della nostra Regione. E per rappresentare il meglio dell’Emilia Romagna sono stati scomodati anche Enzo Ferrari, Giuseppe Verdi e Federico Fellini. All’incontro, organizzato da Angelo Stadiotti, il quale ha curato anche la parte scenografica, erano presenti anche il Sindaco di Maranello, Massimiliano Morini, lo storico dell’arte Gaetano Gherardi, l’architetto Marco Fontana, Romolo Levoni, storico del dialetto, Franco Bergonzoni, Presidente degli orti, l’Avv. Gianolio, grande esperto del Po e di Guareschi, l’ex comandante dei Carabinieri di Maranello, Giuseppe Barbaro e tanti altri. A presentare gli ospiti e i vari interventi è stato Alberto Beccari, Presidente dell’ex Ferrari Club Maranello. Durante la giornata sono stati raccontati aneddoti, recitate poesie e si sono tenuti altri interventi tutti legati all’Emilia Romagna, alla sua storia e alle sue tradizioni. Anche la parte culinaria ha rispettato la tradizione emilianoromagnola. (E.A.) Dal 1988 tradizione e innovazione Materie prime per ceramica: Ricerca e sv iluppo Controllo Qualità Logistica Stoccaggio Mineral s.r.l. Via Aldo M oro 20, 41043 Formigine ( M odena ) - Italia - Tel. (+39) 059 578911 - Fax (+39) 059 578991 http://www.mineral.it - E-mail: [email protected] 11 SCANDIANO anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Maletti: il sistema Paese potrebbe piegare anche un’eccellenza come la nostra Danilo Maletti Tassati per l’81% non riusciamo più a investire nella ricerca e le banche stanno a guardare C i sono eccellenze nel nostro distretto che tutto il mondo guarda con ammirazione e ci invidia, nei campi delle automobili di lusso , della ceramica per arrivare all’arredamento per parrucchieri. La Maletti group di Scandiano, 36 milioni di euro il fatturato complessivo, 120 dipendenti, 80 artigiani,78 anni di storia, due sedi di rappresentanza rispettivamente a Parigi e San Paolo, sembra essere l’unica azienda di settore a reggere l’impatto della crisi, nonostante il fatturato sia in diminuzione e alcuni mercati in flessione. Ma a preoccupare maggiormente la proprietà è il nostro sistema paese che sta stretto anche a una azienda leader nel suo settore. “Abbiamo perso per strada 10 milioni di euro in cinque anni” ci spiega Danilo Maletti presidente del gruppo, “ridotto drasticamente il giro d’affari in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, ma abbiamo saputo bilanciare in parte con l’apertura del mercato sud americano, in parte migliorando le performance di vendite in altri paesi. Oggi ne contiamo 101 in tutto il pianeta”. Dalla fine degli anni ‘70 Danilo e i fratelli Edoardo e Guido hanno raccolto la mission del padre Guerrino, fondatore dell’azienda nel 1936, portandola ai vertici mondiali dei produttori di arredamenti e servizi per parrucchieri; un risultato ottenuto grazie anche alle scelte di produrre in serie le proprie linee di arredamenti e affidarne l’ideazione ai migliori designer del mondo. “Oggi affidare a Philip Stark il progetto di una linea significa investire un milione di euro, e se lo abbiamo fatto in passato oggi non è più una via percorribile, anche se auspicabile. E con i costi siamo solo all’inizio del percorso; poi ci sono gli stampi, la messa in produzione, la campionatura, la promozione. E’ diventato molto difficile, anche perché le risorse a disposizione sono sempre meno a causa anche dell’ingordigia del nostro Stato: la Maletti spa, come la maggior parte delle imprese italiane, paga l’ 81 % tra tasse, imposte , contributi vari, ai quali annovero anche tutti i costi diventati indeducibili. Come è possibile pensare di avere un futuro. Noi gli utili li dobbiamo impiegare nella ricerca, nell’individuazione di nuovi prodotti, non possiamo lavorare solo per lo stato”. E’ un fiume in piena Maletti, è arrabbiato con il sistema, se la prende con le istituzioni che a suo dire non lavorano per risolvere i problemi degli imprenditori. “Ho inviato una lettera a Squinzi, a Renzi, al Sindaco di Scandiano per cercare di renderli partecipi delle rea- li difficoltà che oggi un imprenditore si trova ad affrontare nel nostro paese, ma non ho ricevuto risposta. Noi siamo gli unici a resistere, guardatevi intorno, a Scandiano non ci sono più imprese, c’è la desertificazione, le aziende da sempre rappresentative della nostra città hanno chiuso i battenti: Maska, Majorca, Magica, Frigor box, per non parlare di quelle del nostro settore specifico, scomparse o letteralmente ridimensionate. E’ sbagliato pensare che queste abbiano abbassato la saracinesca perché guidate da imprenditori incapaci, hanno abdicato per colpa del sistema paese! Siamo tra i pochi a resistere, anche se il prossimo proiettile potrebbe essere per noi”. Danilo Maletti è seduto sul divano bianco del suo bellissimo ufficio, alle spalle un mobile pieno di cimeli, oggetti provenienti da ogni dove, omaggi di clienti venuti in visita a Fellegara, luogo nel quale nel 2001 l’azienda si trasferì potendo contare su una superficie di quasi 50mila metri quadri, di cui 3300 destinati ad uffici e 3mila alla show room. “Ho il dovere morale di denunciare pubblicamente le anomalie , i lacci e lacciuoli che rischiano col tempo di strangolare anche una azienda sana come la nostra. Non posso rimanere indifferente”. E’ visibilmente deluso, non riesce a nascondere la preoccupazione per il momento ma neppure l’amore per la sua azienda e per questo territorio ce traspare non appena gli chiedo se ha mai pensato di lasciare l’Italia: “Io sono nato e cresciuto qui, questa è la mia terra, qui ci sono i calanchi, i prati, i boschi che sento miei, e qui vorrei rimanere, ma se le cose non cambiano in fretta me ne dovrò fare una ragione”. Eppure l’andamento dei primi nove mesi del 2014 non è tutto da buttare, tant’è che il gruppo, forte dei marchi Maletti, Nilo, PresenceParis, UKI, ha fatto registrare un più 7,5%, ed è fiducioso di non arrestare la crescita grazie alle nuove poltrone firmate dall’architetto Giovannoni, pronte ad accogliere le nuove sfide di mercato: una sorta di ritorno al passato, ai “vecchi” saloni anni ‘50 e ‘60 . “Gli ultimi risultati sono incoraggianti, dopo la brusca caduta degli ultimi cinque anni abbiamo invertito la rotta, abbiamo ripreso a risalire ma troppo poco rispetto alle nostre reali potenzialità. Sono convinto che la nostra azienda potrebbe arrivare anche a cento milioni di euro di fatturato ma per farlo è necessario investire ed è qui che troviamo lo scoglio maggiore: oggi le banche hanno il braccino corto, troppo corto. Il sistema ci sta lasciando soli, dobbiamo contare solo sulle nostre forze e risorse. Oltre al momento delicato dell’economia la nostra azienda ha dovuto affrontare negli ultimi anni anche il nuovo assetto societario, con la liquidazione agli eredi delle quote appartenute a mio fratello Edi, scomparso nel 2001, e non è stata una passeggiata. D’altra parte l’alternativa era fare entrare tra i soci la famiglia Burani (quelli del marchio di moda Mariella Burani) al tempo interessata all’acquisto delle quote di Edi, ma io e Guido l’abbiamo impedito, con mille sacrifici. Un passo importante che dovrebbe dimostrare quanto la famiglia Maletti abbia ancora a cuore l’azienda. Ma questo evidentemente non basta”. Classe 1951 Danilo Maletti ha oggi 63 anni, migliaia di ore d’aereo sulle spalle, anche perché come si fa a seguire i mercati del mondo standosene comodamente seduto nell’ufficio di Fellegara? “Purtroppo è così, nel mese d’agosto mentre la maggior parte delle persone si godeva le vacanze io mi sono fatto migliaia di chilometri in Brasile, in lungo e in largo, a cercare opportunità di business. Se ti fermi sei perduto”. Ma le energie ci sono ancora? E poi dopo di lui chi ci sarà? Domande legittime alle quali lui non si sottrae: “Mi sento ancora forte, anche se il morale per le ragioni espresse non è al massimo. Beh, dopo di me, dopo Guido, ci sono i nostri figli, confidando che possano operare in un paese migliore”. Rimane giusto il tempo per toccare l’argomento che qualche settimana fa ha portato la ditta Maletti sulle prime pagine dei giornali, ossia la questione legata alla richiesta di aumento di salari e stipendi negata per disaccordi con il sindacato. “Quello che risulta inaccettabile della proposta del sindacato è riconoscere l’aumento in busta paga ai lavoratori a prescindere dalla loro resa produttiva, a prescindere dal loro attaccamento all’azienda, dalla loro professionalità, dalla loro preparazione, dalla loro dedizione al lavoro. Perché dovrei riconoscere l’aumento a chi da gennaio ad oggi ha prodotto migliaia di ore di assenteismo? Se posso vorrei premiare chi lo merita. Meritocrazia, questa è la parola che vorrei aleggiasse negli ambienti di lavoro della mia azienda”. Ha gli occhi lucidi Danilo Maletti, ha parlato con il cuore, che divide con l’azienda e i suoi collaboratori. Alla fine della chiacchierata ci salutiamo e lui rimane però seduto dietro la sua scrivania, con l’espressione grintosa di chi non molla e va avanti. Da oggi lui ha una persona in più che lo comprende e lo stima! (Roberto Caroli) Andamento del settore 2005/2013 Conto Economico AGV Salon Habitat Gamma Male/ 0onsoli2ato 3on estero Pietranera BMP srl 31-12-2013 6.480.434 9.383.092 10.000.000 33.660.200 6.320.989 2.431.906 31/12/2012 7.714.754 11.073.957 10.405.647 35.097.325 7.060.440 2.832.778 31/12/2011 10.710.415 12.256.918 10.656.471 33.659.264 8.646.280 3.035.303 31/12/2010 12.681.013 11.466.519 11.019.132 34.426.424 9.223.967 3.456.818 31/12/2009 13.568.562 10.234.958 10.619.185 33.999.290 9.167.834 AGV 25000000,0 31‐12‐2007 31‐12‐2006 21.663.263 10.514.177 14.557.809 40.948.862 10.959.134 21.093.076 9.080.487 13.799.250 36.359.497 7.256.364 31‐12‐2005 20.110.146 8.694.536 13.907.876 30.965.659 7.134.188 GRUPPO MALETTI 21663263,0 42.151.432 45000000,0 40000000,0 34.426.424 35000000,0 36359497,0 30000000,0 33.659.264 25000000,0 40948862,0 20000000,0 35.097.325 33.999.290 30965659,0 15000000,0 10000000,0 5000000,0 33660200,0 ‐ Innovazione ceramica per l’arredo urbano 20110146,0 20000000,0 15000000,0 17.805.992 21093076,0 13.568.562 10000000,0 6480434,0 5000000,0 31/12/2008 17.805.992 10.750.404 13.093.959 42.151.432 10.816.051 10.710.415 7.714.754 12.681.013 ‐ AGV Male1 2on5oli7ato 9on e5tero Series1 Series2 Series3 Series4 Series6 Series7 Series8 Series9 Series5 Series1 Series2 Series3 Series4 Series5 Series6 Series7 Series8 Series9 13 RUBRICHE anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 Fardelli d’Italia Il TFR in aniticipo, l’ennesima fesseria della politica degli annunci C he la considerazione degli italiani nei confronti dei politici sia ai minimi storici, è cosa nota: eppure testardamente continuano a confermare che hanno ragione a non stimarli. Ad esempio, è di questi giorni una trovata geniale del Governo: stanno pensando di mettere in busta paga per uno o tre anni (questo non è stato deciso) la metà del TFR, Trattamento di Fine Rapporto, maturato da ogni lavoratore annualmente. Il tutto, allo scopo di far avere più soldi agli italiani, così potrebbero ripartire – secondo le intenzioni governative – i consumi. Questa è una fesseria che nessuno direbbe nemmeno al Bar Sport, e per molte ragioni. In primo luogo, il Governo farebbe avere agli italiani più soldi dando loro quelli che già sono di loro proprietà: in pratica, gli italiani farebbero ripartire i consumi grazie a loro stessi, non grazie al Governo, come sarebbe suo compito (e poi ti meravigli se aumentano coloro che sono convinti che il Governo si inventi queste soluzioni perché non sa cosa fare). In secondo luogo, il Governo si arrogherebbe con un atto d’imperio da fazenderos sudamericani il diritto di disporre di soldi di proprietà dei lavoratori. In terzo luogo, anticipare parte del TFR (o liquidazione, come è detto comunemente) significherebbe non darlo poi al lavoratore al momento dovuto, quindi il lavoratore si vedrebbe depauperato di una parte del danaro che gli spetterebbe. In quarto luogo, non è detto che, anche se dessero ai lavoratori una parte del TFR, essi la spenderebbero: si veda l’esperienza fatta con gli 80 Euro, che i lavoratori si sono messi in tasca senza spenderli. In quinto luogo, le aziende non hanno in cassa i soldi che dovrebbero dare con questo anticipo di TFR: dubito infatti che esista una sola impresa che abbia un conto in cui abbia fatto confluire nel tempo gli accantonamenti a favore dei propri dipendenti in previsione della cessazione del rapporto di lavoro. In sesto luogo, nelle Piccole e Medie Imprese, PMI, sotto i 50 dipendenti, dopo la riforma del 2006 il TFR resta in azienda tranne che per i lavoratori che hanno scelto di farlo confluire in un fondo pensioni (una esigua minoranza). Ebbene, il totale dei TFR accumulati ogni anno dagli italiani vale 24 miliardi di Euro, di cui il 40% riguarda le PMI sotto i 50 dipendenti, cioè 9,6 miliardi. La proposta del Governo di mettere in busta paga il 50% di questa somma implicherebbe che le Piccole e Medie Imprese dovrebbero subire un salasso di 4,8 miliardi di Euro, una somma che non hanno. In settimo luogo, nessuno ha detto come questa somma andrebbe tassata; in ogni caso, l’aumentata retribuzione manderebbe molti lavoratori in una fascia di imposta superiore a quella in cui era fino a quel momento; soprattutto, l’aliquota da pagare sarebbe superiore rispetto a quella cui è sottoposto il TFR, che gode di un’aliquota ridotta. Ciò genererebbe per lo Stato un’entrata supplementare in termini fiscali: così, i lavoratori riceverebbero meno danaro di quel che loro spetterebbe perché ci devono pagare più imposte e lo Stato incasserebbe più danaro di quello che avrebbe diritto ad avere. In ottavo luogo, gli italiani non sono fessi: anche se non sono degli economisti, san- no benissimo che spendere oggi quel che si dovrà ricevere domani farà non solo avere meno danaro domani, ma significherà continuare a fare gli interessi dei politici: infatti, il maggior flusso di danaro agli italiani vedrebbe, come appena detto, un maggior flusso di imposte nelle casse dello Stato e ciò sarebbe, come esperienza insegna, un incentivo per i politici ad aumentare la spesa pubblica. E dire che questa porcheria non è il parto della mente di qualche politico al Governo in preda ad emozione etilica: nel 2011 l’allora Ministro dell’Economia Giulio Tremonti fece studiare dai suoi tecnici la possibilità di dare agli italiani parte del TFR. Fortunatamente, l’ipotesi abortì grazie ai dipendenti pubblici: essi infatti non percepiscono a fine rapporto il TFR, ma il TFS, Trattamento di Fine Servizio, che consiste nell’80% dell’ultima retribuzione moltiplicato per gli anni di servizio. Poiché fino al pensionamento non è possibile sapere né quale sarà la retribuzione finale né quindi il TFS, non era possibile calcolare l’ammontare del 50% dello stesso e tutto finì lì. In sintesi: si ha sensazione che questo Governo abbia abbracciato la regola del “caricate – fuoco – puntate”: hanno un’idea, la dichiarano, poi controllano se è praticabile. Il timore è che non solo non hanno la minima idea di cosa sia la vita di tutti i giorni, ma che soprattut- to siano pessimi giudici delle loro proposte, presi come sono dalla fregola di comunicarle. Insomma, sono proprio dei Fardelli d’Italia. A loro beneficio, che probabilmente lo ignorano, racconterò in poche parole cosa è il TFR. Nacque col XVII Disposto della Carta del Lavoro pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 1927 e fu un provvedimento clamoroso, che mise l’Italia all’avanguardia tra i paesi più avanzati per legislazione sociale. Il TFR era stato voluto personalmente da Mussolini, che aveva una pessima considerazione degli italiani (“Governare gli italiani non è difficile: è inutile”, diceva). Egli pensava che se ogni lavoratore avesse ricevuto ogni mese tutto quanto gli spettava, giunto alla vecchiaia non avrebbe avuto nemmeno un soldo da parte. Per questo motivo decise di far accantonare l’8,3% di ogni retribuzione mensile: in tal modo sarebbe stato messo da parte un gruzzoletto pari a una mensilità per ogni anno lavorato. Grazie anche al fatto che all’epoca si entrava a lavorare in una fabbrica a 14 anni e ci si restava fino a 65, sarebbe stato messo da parte un capitale con cui il lavoratore avrebbe potuto comprarsi la casa. Questi, invece, sono dilettanti allo sbaraglio, al massimo sanno proporre il gelatiere che serve panna e crema al Presidente del Consiglio. (Sting) Le automobili con gli occhi a mandorla di Claudio Sorbo Diamo un’occhiata al mercato cinese dell’automobile. Nel 1997, cioè diciassette anni fa, in Cina circolava un milione di automobili, quasi tutte riservate ai papaveri del partito, agli alti ufficiali dell’esercito e ai burocrati di Stato. Nel 2008 le auto, quasi tutte di privati, erano 51 milioni, diventati 83 nel 2013. Oggi, secondo una suggestiva statistica fornita dal Ministero dell’Industria “in Cina si vende una automobile ogni 2 secondi”, cioè saranno venduti oltre 63 milioni di auto che si andranno a sommare agli 83 milioni circolanti nel 2013: al netto delle inevitabili rottamazioni, sarebbero comunque sempre almeno 130 milioni di auto circolanti, cioè circa 12 automobili ogni 100 abitanti. È una percentuale ancora modesta rispetto ai 37 milioni di autovetture circolanti in Italia nel 2012, cioè il 61 auto ogni 100 abitanti: un numero inferiore solo a quello registrato in Lussemburgo (66) e in Islanda (64) ma superiore alla media dell’Unione Europea (51 auto ogni 100 abitanti). L’evoluzione dell’industria automobilistica cinese ha seguito tre fasi storiche: l’autarchia, i cloni, le automobili. L’autarchia: è consistita per oltre 60 anni nella produzione di auto cinesi, progettate da cinesi, realizzate in Cina e destinate ai personaggi di rango elevato dell’esercito, del partito, delle istituzioni: berline nere, enormi, poco pratiche, dalle caratteristiche e dalle prestazioni ignote e prive di mercato, realizzate da imprese dedicate (cioè, che producevano solo quelle). Accanto, a partire dagli anni ’70 e fino ai primi anni 2000 sono fiorire le produzioni automobilistiche destinate ai privati. La creatività cinese coniugata con l’inesperienza del settore e con l’assoluto disinteresse per le aspettative del cliente portarono alla realizzazione di modelli deludenti e talvolta ridicoli. Ad esempio, nel 2004 fu realizzato un modello di auto a tre ruote, due posti, 12 CV, un cilindro, 5 marce, che sembrava creato cento anni prima. L’imperativo era che il cliente doveva spendere poco perché solo così sarebbero state vendute molte auto, un magnifico esempio di ignoranza di Marketing. Fu un fallimento commerciale: nessuno le comprava perché erano poco pratiche, brutte, con prestazioni modestissime e poco affidabili. A mano a mano che gli stipendi crescevano, le vendite di quegli aborti calavano: urgevano auto vere. I cloni: sotto questa spinta, nei primi anni ’90 l’industria automobilistica cinese pensò di passare ai cloni dei marchi più affermati. I cinesi, a differenza dei loro vicini giapponesi, non hanno scelto strategicamente di clonare i prodotti occidentali per acquisire know how saltando la Ricerca e Sviluppo che era alle loro spalle: non essendo capaci di far niente (erano privi di cultura meccanica), hanno bovinamente copiato i modelli europei di maggior successo per creare una sorta di legittimità di mercato. Per farlo, hanno soprattutto, aggirato le normative a protezione del marchio: ecco la Byd, con marchio circolare bianco e azzurro come la BMW ma non diviso in quattro spicchi bensì solo in due; la Mazda che diventa HASMA e il suo marchio, simile a un uccello con le ali aperte verso l’alto, diventa un uccello con le ali spiegate; la Toyota con nel clone cinese tre righe orizzontali e parallele in luogo di quella a mezzaluna. La BMW, irritata non solo per il marchio contraffatto ma anche perché esso compariva su un clone del suo modello X6, ha citato in giudizio il produttore cinese: naturalmente la causa è stata discussa in Cina, davanti a una corte cinese, con giudici cinesi e secondo le leggi cinesi. Risultato? La BMW ha perso. Insieme ai marchi sono stati clonati i modelli: dal 2005 al 2010 l’industria cinese di è sbizzarrita nel copiare la Mini, alcune Volvo, la KIA, persino la Infiniti. Nel frattempo sono emersi marchi cinesi come la Gonow e la Great Wall (Grande Muraglia) che sono sbarcati timidamente in Europa con SUV di prima generazione: alti consumi, basse prestazioni, poco look, prezzo eccessivo rispetto alla qualità percepita, difficoltà nell’assistenza tecnica. Oggi la tentazione del clone non è ancora morta: La Martin Motors ha proposto al mercato europeo la Bubble (bolla), il clone della Smart. Climatizzatore, autoradio e cerchi in lega la proporrebbero come alternativa alla Smart: purtroppo il prezzo di € 11.500,00, pari a quello di una Smart col cambio automatico, la taglia fuori dalla competizione. Insomma, quanto ad automobili i cinesi sono ancora nella fase pionieristica: cloni, ignoranza del Marketing automobilistico, assenza di immagine, bassa qualità, prezzi medio alti, assistenza tecnica precaria, comunicazione povera o assente e soprattutto mancanza dei requisiti di sicurezza cui siamo abituati e che sono imposti dalle nostre normative, sideralmente lontane da quelle cinesi (se e quando esistono): tutto ciò rende oggi il prodotto del Celeste Impero poco interessante. Le automobili: la Cina è già un mercato per i produttori occidentali, americani, giapponesi e coreani. È il primo mercato mondiale per la Volkswagen, la General Motors dal 2010 vi vende più auto che negli Stati Uniti, Audi e Mercedes vi hanno costruito stabilimenti dedicati al mercato locale, la BMW vi esporta con regolarità e la Ferrari nel 2013 vi ha venduto 2.000 esemplari. Il risultato? I produttori cinesi hanno meno del 50% del mercato domestico. Essendone consapevoli, stanno migliorando il prodotto dedicato al cliente nazionale (che farà da collaudatore pagante, come abbiamo fatto noi italiani per generazioni con la FIAT. Soprattutto si sono buttati sull’auto elettrica, un settore cui gli occidentali e i giapponesi hanno sempre dedicato svogliate attenzioni. Così, la Byd, uno dei primi produttori di batterie al litio, ha raggiunto un accordo con la Mercedes per produrre auto elettriche. Le previsioni dicono che entro 10 anni il mercato interno cinese sarà saturo e la qualità delle sue auto sarà molto migliorata. Risultato? Tra 10 anni compreremo tutti auto cinesi. anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014 15 RUBRICHE Stelle & Strisce Glu USA e il razzismo/2: parità non compiuta, ma molto si è fatto Schiavitù, discriminazione, segregazione razziale: termini fortunatamente sconosciuti a noi italiani. Gli Stati Uniti, invece, tranne che per la schiavitù ne sono ancora vittime, come dimostrano i disordini razziali che ogni tanto esplodono nei quartieri poveri delle loro metropoli. Quante volte abbiamo sentito pronunciare queste parole? Innumerevoli. Ebbene, è una fesseria. O meglio, è uno dei tanti luoghi comuni che circolano su quel paese: nel numero scorso vi abbiamo raccontato cosa è accaduto fino al 1865, quando il 13° Emendamento ha abolito la schiavitù in tutti gli Stati Uniti, oggi vi raccontiamo cosa è successo fino ai giorni nostri. Nascono ovviamente le resistenze al 13° Emendamento: anche se il 14° Emendamento del 1868 vieta la discriminazione razziale e il 15° del 1870 vieta discriminazioni nel voto maschile (le donne voteranno solo dopo il 1920), molti Stati del Sud si inventano leggi che di fatto discriminano le persone di colore: la Louisiana Poll Tax impone una tassa a chi vuole votare (così i neri, che in gran parte non avevano danaro, non votavano), in North Carolina e in Virginia potevano votare solo coloro che superavano i test di alfabetizzazione (la maggior parte dei neri, essendo analfabeti, non votavano) e una norma bizzarra della Georgia stabilì che i neri il cui nonno fosse stato schiavo non potevano votare: in tutto lo Stato, di 130.000 persone di colore, nel 1876 votarono in 5.000. Così, dopo l’abolizione della schiavitù, paradossalmente il problema della segregazione razziale si aggravò e la pacificazione del paese dopo i massacri della Guerra di Secessione fu più faticosa del previsto; inoltre, l’esplosione della Rivoluzione Industriale anche nel Sud, ormai non più solo agricolo e cotoniero, fece capire che la manodopera di colore non era sufficiente a far fronte alle nuove esigenze: si impose l’importazione di manodopera dall’Europa. Ciò fu visto al Sud come un nuovo problema razziale e il disagio sociale che ne derivò fece emergere il peggiore razzismo: proprio al Sud, a Pulaski, nel Tennessee, era nato nel 1865 il Ku Klux Klan, un’organizzazione caritatevole di reduci della Guerra di Secessione che aiutavano le vedove e gli orfani dei caduti. Verso la fine del secolo, questi nobili intenti furono sostituiti da altri molto meno nobili: creare ostacoli a ogni norma che consentisse il diritto di voto ai neri, sostenere principi razzisti che propugnassero la superiorità della razza bianca, promuovere azioni nei Parlamenti degli Stati del Sud contro leggi che equiparassero i neri ai bianchi. Il KKK riscosse consensi al Sud, dove la presenza dei neri era più massiccia e molto meno al Nord. Iniziarono gli omicidi, le violenze, soprattutto gli stupri a danno delle donne di colore, fino a che il Presidente Ulysses Grant, un ex militare già comandante dell’esercito del Nord al tempo della Guerra di Secessione, nel 1870 firmò il Klan Act e nel 1871 l’Enforcement Act, coi quali dichiarò illegale il KKK e autorizzò l’uso della forza contro ogni sua manifestazione. Il risultato: il KKK fu eliminato fisicamente in South Carolina e poche tracce ne rimasero negli altri Stati del Sud. Nel 1882 le due leggi di Grant furono dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema, ma ormai il KKK non esisteva più. Rinacque nel 1915, quando una breve crisi economica convinse molti bianchi poveri che tutte le loro disgrazie erano causate dai neri, dagli ebrei e dai banchieri, il leit motiv che accompagna da sempre le proteste degli ignoranti e le proposte dei demagoghi contro le crisi economiche. Il massimo esponente storico del KKK fu un certo William Joseph Simmons, persona discutibile e discussa: a differenza del primo KKK, che non aveva fini di lucro ma solo scopi caritativi ed era politicamente composto solo da democratici, Simmons lo strutturò intorno al fund raising, la raccolta di danaro. Inoltre, il suo KKK era composto quasi tutto da repubblicani, spesso influenti e con entrature alla Casa Bianca. Negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, sull’onda della Grande Depressione nacquero piccole unità operative locali del KKK che effettuavano raid locali, soprattutto nelle cittadine di provincia del Sud, con violenze, stupri e incendi di proprietà di neri. La divisa dei membri era una tunica bianca con cappuccio; poco prima di ogni azione essi davano fuoco a una grande croce in modo che la loro presenza fosse notata da lontano e spaventasse la gente di colore. Negli anni ’30 da una costola del KKK nacque la Black Legion, una frazione ispirata alle camice nere fasciste: era specializzata nei pestaggi e negli omicidi di individui bianchi e neri sospettati di simpatizzare per i socialisti o per i comunisti. Le violenze della Black Legion alienarono il consenso al KKK, che, anche sotto la spinta patriottica della Seconda Guerra Mondiale, nel 1944 fu sciolto. Dopo la guerra fu ricostituito e tuttora esiste: dei sei milioni del 1924, oggi aderiscono al movimento circa 5.000 persone, suddivise in tre organizzazioni, di cui una proclama l’amore tra gli esseri umani. Oggi gli ideali discriminatori del KKK, intrisi di nazismo, razzismo, antisemitismo, anticomunismo e pure anticattolicesimo sono definitivamen- Martin Luther King te tramontati e ne è scomparso pure il ricordo. Per gli esegeti, Ku Klux Klan deriverebbe dal greco antico, κύκλος, Kìklos, circolo, gruppo. “Klan” viene dal gaelico “Clann”, aggregazione di persone unite da parentela o con interessi comuni. Nonostante i tentativi di pacificazione, a partire dai primi anni del ‘900 la divisione tra bianchi e neri diventa sempre più netta: ristoranti, bar, scuole, università, alberghi (citati sul famoso Green Book for Negro Motorists, la Guida Michelin per neri, edita fino al 1964) sono nettamente divisi in base al colore della pelle. Persino la sanità è separata, con aspetti anche ridicoli: dopo il 1901, data della scoperta dei gruppi sanguigni, gli ospedali cominciarono ad avere scorte di sangue per le trasfusioni. Ebbene, negli ospedali per neri si conservava il sangue donato dai neri per i neri e lo stesso accadeva negli ospedali per i bianchi: il tutto, pur essendo i gruppi sanguigni identici. Infine, esplosero le reazioni dei neri contro queste forme ormai vistosamente ingiuste di discriminazione e segregazione: i neri andavano bene solo per morire sui campi di battaglia e per trionfare sulle piste di atletica, ma non per frequentare le scuole dei bianchi. Le proteste più efficaci furono quelle non violente: nel 1953 a Linda Brown, alunna di terza elementare di Topeka, Kansas, fu negata l’iscrizione a una scuola elementare per bianchi. Il padre, Oliver Brown, fece causa al Ministero della Pubblica Istruzione. La causa arrivò sino alla Corte Suprema, che gli diede ragione e Linda andò a scuola coi bianchi. Fu la prima crepa nella diga delle resistenze dei bianchi: nel 1957 a Little Rock, Arkansas, nove studenti di colore, sei femmine e tre maschi, forti della sentenza della Corte Suprema nel caso di Linda Brown, si iscrissero a un liceo per bianchi. La Polizia locale, a conoscenza della sentenza, li scortò per farli entrare a scuola. Scattò un braccio di ferro tra le autorità: il Governatore intimò alla Guardia Nazionale di impedire alla Polizia di scortare i nove, ma il Presidente degli Stati Uniti, Eisenhower, mandò l’esercito per impedire alla Guardia Nazionale di bloccare la Polizia, così i nove poterono frequentare la scuola. In mezzo, nel 1955, a Montgomery, in Alabama, una donna di colore di 41 anni, Rosa Parks, si rifiutò provocatoriamente di cedere il posto a un bianco su un autobus. Venne arrestata e la comunità nera, che non aspettava altro, entrò in sciopero: non prese più l’autobus e andò a lavorare grazie al car sharing, in cinque o sei per auto. Mentre l’opinione pubblica mondiale insorgeva contro la detenzione di Rosa Parks, lo sciopero proseguì fino al fallimento della società degli autobus. Nel 1964 il Presidente Johnson emanò il Civil Right Act e nel 1965 il Voting Right Act che segnarono la fine della segregazione e della discriminazione razziale. L’ultima spallata alle differenze razziali la darà il martirio di Martin Luther King nel 1968 e con lui altri testimoni delle lotte per i diritti civili, tra cui Malcolm X, leader meno ricordato perché fortemente politicizzato. Anche se la reale parità dei diritti tra bianchi e neri non è ancora compiuta, buona parte della strada è stata percorsa. Nella battaglia fu decisivo l’intervento delle donne di colore, che qui vogliamo sottolineare: furono la parte silenziosa, dura, etica, indomita della resistenza ai soprusi. Gli uomini rimasero, come nel caso di Malcolm X, spesso vittime di ideologie e di conflitti tra loro. La parità dei diritti in U.S.A. è donna, anche se ne usufruiscono anche gli uomini. (Maple Leaf) TEST THE BEST DIGITALPRINTINGSYSTEM 400 X 400 DPI PER 40 METRI AL MINUTO 4 LIVELLI DI GRIGIO FINO A 80 PICOLITRI PER GOCCIA 6 BARRE COLORE LINELESS systemceramics.com
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