Leggi on-line - ceramicanda

accaDmenti
Scandiano
Unione
non significa
fusione
Il sistema Paese:
una zavorra
per le imprese
Le Unità pastorali
sono una scommessa
sulla qualità
Danilo Maletti: troppe
tasse, non riusciamo
più ad investire
pagina 7
pagina 11
148
by Ceramicanda
Il giornale di tendenza che non grava sulle casse dello stato
DSTRISCIO
Non è un paese
per giovani
anno 6 numero 148 • 11 Ottobre 2014 • euro 1,00
Aggregazione giovanile:
un rebus senza soluzione
L’intervista:
«Lavorare
nell’Ucraina
in guerra»
Materie prime:
la possibile
emergenza per
gas e argille
M
segue a pagina 2
Crisi Ucraina
Materie prime
Di Roberto Caroli
pagina 5
LA PRIMA WEB TV
IN
ITALIANO E INGLESE
INTERAMENTE
DEDICATA ALLA
CERAMICA DI TUTTO
IL MONDO
www.ceramicandainternational.com
ia figlia Gaia: “Questa sera
vado alla festa dell’Unità a
Villalunga”. “Hai scelto di essere
di sinistra?”, le chiedo, “no la politica non c’entra, semplicemente
è l’unico posto dove poter ascoltare un po’ di musica, incontrare
gente”. Il dialogo risale a luglio
scorso e suggerisce a genitori e
amministratori del nostro territorio alcune domande: veramente
nei comuni del distretto ceramico
i giovani devono sperare in una
festa di partito per incontrarsi e
socializzare? Se è così viene spontaneo pensar male e fare peccato,
come suggerito a suo tempo da
Andreotti, ed ipotizzare una tragica verità: un pozzo d’acqua nel
deserto vale più di una fonte in
montagna… Battute a parte, vero
è il fatto che nel comprensorio
ceramico gli spazi per i giovani
sono pochi e quei pochi esistono
grazie all’iniziativa di privati, non
certo per volontà delle nostre amministrazioni. C’è qualcosa che i
comuni potrebbero fare nonostante la spending review e le scarse
risorse a disposizione? Senza soldi non si va da nessuna parte, è
chiaro, ma volontà e idee possono
portare a soluzioni sorprendenti.
Parte da qui la scelta di dedicare all’argomento l’apertura del
Dstretto di questa settimana, per
captare le opinioni dei giovani,
pesare a riguardo la fantasia di
assessori e sindaci, valutare a
quali conclusioni è arrivata la psicologia, ascoltare con attenzione
coloro che vivono quotidianamente a contatto con i ragazzi.
DISTRETTO CERAMICO
La migliore
comunicazione
ceramica
si arricchisce
di un nuovo
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su 24
sul mondo
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E
INNOVAZIONE
TECNOLOGICA
DI
PROCESSO
ALLA
BASE DEL FORMAT
Sassuolo
Ecco le spese
dei gruppi
consiliari
Online sul sito del Comune
i rimborsi versati ai consiglieri
la scorsa legislatura
pagina 9
C
he non sia un distretto per giovani, quello ceramico, si sa. E basta chiederlo ai giovani medesimi, le cui risposte si sanno. Siamo andati oltre,
scomodando, oltre ai giovani, anche la sociologia e le pubbliche amministrazioni. Per cercare di
capire sia cosa si può fare devvero per quello che
un’espressione onnicomprensiva definisce “universo giovanile” legando all’espressione i luoghi comuni che ben conosciamo. E per cercare di capire
sia se lo si voglia fare per davvero sia se ai giovani
potrebbe davvero interessare quello che, nel caso, si
riuscirebbe a fare.
a pagina 2 e 3
BAR DELLE VERGINI
Giustizia ingiusta
E’ la giustizia il tema della settimana al Bar delle vergini. Il Consiglio
superiore della magistratura si è messo di traverso sulla riforma della
giustizia definendo “controproducente” il taglio delle vacanze dei magistrati da 45 giorni all’anno a 30. Non piace nemmeno l’abolizione
della pausa estiva dei tribunali, quella che fa si che a luglio e agosto
non ci siano sentenze se non in casi eccezionali. Pensate quanto è
controproducente per un’azienda aspettare una sentenza civile per 10
anni, e chissà cosa ne pensano quegli imprenditori che ad agosto invece di fare le ferie salgono e scendono dagli aerei per presidiare i
mercati di mezzo mondo.
Formigine
La strada che
non c’è, residenti
in rivolta
Oltre 150 firme per dire no
all’abbandono della
“strada dell’amore”
pagina 10
Rubriche
TFR in anticipo:
un’altra fesseria
della politica
L’ennesimo annuncio del
Governo ne conferma
l’inadeguatezza
pagina 13
Programmi d’abbonamenti anno VI, n° 148 di Ottobre 2014 del bisettimanale “Il Dstretto” - Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L- 27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 - aut. N° 080032 del 28/05/2008 - DCB - BO
2
DSTRISCIO
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
I luoghi di aggregazione di un tempo sono morti
“
Marco Franchini
“Il bello dei
giovani è che sono
indeterminati,
non dobbiamo
imbrigliarli, ma
hanno bisogno
di punti di
riferimento”, lo
sostiene Marco
Franchini,
psicologo 34enne,
che lavora
quotidianamente
con i ragazzi
Avete pienamente ragione”.
Non capita spesso di ascoltare
queste parole, men che meno di
sentirle arrivare da un addetto ai
lavori come Marco Franchini, uno
psicologo e psicoterapeuta che
lavora nelle scuole del distretto e
che ha all’attivo diversi progetti
con i giovani. “Non ci sono più
spazi dove i ragazzi possano incontrarsi, i luoghi aggregativi che
una volta proponevamo sono finiti. Quando Don Bosco proponeva
campi da calcio nelle parrocchie
era innovativo, era l’equivalente
di proporre oggi un polo tecnologico, erano iniziative che permettevano di uscire dall’isolamento
culturale mentre ora sono morte,
vecchie, stantie. Quello che non è
morto è la voglia di incontrarsi”.
E se la socialità è fondamentale a
qualsiasi età lo diventa ancora di
più in per i giovani che con essa
“si preparano alla vita, imparano a
gestire i rapporti di coppia e quelli
con le persone con le quali lavorerà in futuro”.
“Oggi mancano luoghi aggregativi che si aprono a 360 gradi”, prosegue Marco, “devono essere pensati ricordando che siamo passati
da un sistema analogico ad uno
digitale. Il fai da te, il buon senso
non bastano più. Ho girato l’Italia
ed ho avuto la conferma che i centri giovani realizzati dai Comuni
sono tutti falliti perché importano
il modello del vecchio educatore
che fa attività con i ragazzi mentre
loro si trovano meglio in una multisala dove trovano il wifi gratuito”. E qua entra in gioco l’elemento di criticità maggiore, ovvero il
denaro: “indiscutibilmente i ragazzi sono attratto da luoghi belli
perché sono nella fase nella quale
proiettano su di esso se stessi e il
proprio corpo. Per essere attrattivo un luogo deve rappresentare
quello che vorrei essere, per questo i ragazzi non studiano nella
biblioteca della scuola, brutta e
decadente, ma preferiscono farlo
al Mac Donald’s dove trovano la
connessione gratuita ed un luogo
gradevole”. C’è poi da considerare un bisogno fondamentale dei
ragazzi, ovvero la necessità di
confrontarsi con qualcosa che non
sia statico, un bisogno che è frutto
della indeterminatezza che è propria dell’adolescenza e che “non
dobbiamo imbrigliare”.
Messi in fila i problemi c’è la necessità di capire da cosa ripartire e
per lo psicologo Marco Franchini
è la consapevolezza che “da solo
nessuno si salva, che non ha senso affidarsi a soggetti che fanno la
morale ai giovani perché hanno
paura di invecchiare. Non accontentiamoci di utilizzare le persone
che abbiamo in casa, dobbiamo
trovare chi è disposto a mettersi
in gioco e ce ne sono tanti”. La
proposta di utilizzare le strutture
dismesse delle aziende trova concorde anche lo psicologo convinto
che possa attivare nei giovani il
tema del riutilizzo che è proprio
della cultura berlinese, ricordando
però che servirà un lavoro enorme
per trasformarli in luoghi adatti ai
ragazzi.
“Non mi interessa che i giovani
stiano solo tra di loro, per basta
un cinema e costa meno, voglio
che lo stare tra loro diventi un momento educativo, qualcuno deve
far capire loro bellezza vita e la
sua temporalità. Gli spazi ci sono,
ci sono i luoghi ma vanno riempiti di idee e persone”. L’elemento
umano diventa preponderante anche perché gli i ragazzi sono alla
ricerca di punti di riferimento, di
qualcuno che faccia da collante tra
tutti gli stimoli che raccolgono da
ogni dove. “Pascolano negli spazi
virtuali o reali sperando di trovare
punti riferimento, sono assetati di
punti di riferimento e dobbiamo
stare attenti a che non scelgano
chi tenta solo di sedurli e non di
educarli ed indirizzarli”.
Un ruolo che faticano a recitare le
figure educative, complice la bruttezza della scuola e l’arretratezza
della loro offerta formativa: “pensate che nel 2014 le scuole tecniche insegnano ancora il tornio, la
crisi della classe media è una crisi
formativa, trent’anni fa i loro padri uscivano da scuola sapendo
più di ciò che sanno loro, i giovani rischiano di essere amputati a
metà sulla formazione umanistica
che ti apre la mente al resto. La
scuola arranca perché non si è trasformata”.
(Daniela D’Angeli)
in futuro!
Ma noi ci proviamo, gettiamo il
nostro sasso nello stagno, consegniamo anche la nostra idea a
chi volesse coglierla. Le politiche
per i giovani andrebbero portate
avanti in modo congiunto, discusse al tavolo dell’unione dei comuni, non lasciate alla mercé delle
singole amministrazioni. Occorre
fare massa critica, unire le forze
e le poche risorse a disposizione,
coinvolgere le aziende private e
magari anche gli imprenditori del
territorio. Perché non individuare
un grande sito industriale dismesso e su quello concentrare l’attenzione della politica? Perché
non valutare progetti finalizzati a
realizzare un grande centro gio-
I’opinione
I 20enni divisi tra pub, discoteche e
tanta voglia di evadere dal distretto
Rebecca ha 21 anni, studia all’università e fa volontariato. La sua vita sociale si dipana tra Sassuolo e Modena
con qualche capatina a Bologna perché, come ci racconta, “quando hai la
patente prevale la voglia di spostarsi,
restare in un piccolo contesto stringe”.
La scelta di un locale da frequentare
arriva soprattutto con il passaparola
e se ci sono novità da provare vale la
pena di sobbarcarsi anche quaranta
minuti di macchina. “Faccio volontariato e in questo contesto ho preso parte all’organizzazione di
un torneo che a Sassuolo ha portato gente da ogni dove, anche da Reggio Emilia. Se ci sono attività interessanti i ragazzi
rispondono”. Il ventaglio di possibilità di svago è presto fatto:
pub/bar se vuoi fare chiacchiere, il cinema, la pizzeria, la discoteca; a Sassuolo c’è il Temple bar mentre a Modena piacciono
alcuni locali del centro e d’estate quelli sui viali. C’è poi tutto il
mondo delle attività sportive, come danza, pallavolo e simili,
che portano comunque a contatti e occasioni di socializzare.
Piace a Rebecca la proposta di realizzare un luogo pensato solo
per i ragazzi nei capannoni dismessi: “Ci andrei sicuramente
una prima volta spinta dalla curiosità, poi per tornarci dovrebbe fornirmi un certo servizio. Anche perché sei nella fase in cui
inizi a guadagnare i primi soldi e c’è maggiore consapevolezza
che vadano spesi oculatamente”.
Non è un paese
per giovani
segue dalla prima pagina
D
i recente il nostro giornale
si è occupato di anziani,
abbiamo parlato di case di riposo, portato alla luce i diversi
servizi offerti per la terza età;
lo abbiamo fatto con successo
direi, anche perché il materiale
a disposizione dei giornalisti
non è mancato. Più difficile,
invece, parlare di giovani, di
luoghi inesistenti, di servizi rimasti lettera morta, di qualcosa
che può essere solo immaginato e
frutto della fantasia di chi scrive.
Forse per le casse comunali i giovani sono meno attraenti perché
al momento non dispongono di
una pensione da investire? Certo
è che se non puntiamo su di loro,
difficilmente potranno averne una
vani in grado di soddisfare le loro
esigenze culturali, ricreative e ludiche? Perché non coinvolgere le
scuole e i ragazzi per misurare le
loro reali esigenze di spazi e iniziative? Me ne rendo conto, tra il
dire e il fare c’è di mezzo il mare,
ma una scialuppa a questi giovani la dobbiamo lanciare. Già la
società non riesce a dar loro una
prospettiva di lavoro, diamo loro
un segnale forte, facciamo vedere
che non li abbandoniamo, che nonostante la difficoltà del momento
le istituzioni e gli imprenditori
sono loro vicini. Anche perché se
dovessero andarsene altrove, veramente il distretto diventerebbe
un paese per soli vecchi.
(Roberto Caroli)
3
DSTRISCIO
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Aggregazione giovanile: il pubblico cosa fa?
C
Lo abbiamo
chiesto a chi
governa i Comuni
del distretto
ceramico,
ricavandone
un’impressione:
non è un distretto
per giovani
he non sia un distretto per giovani, quello ceramico, si sa. E
basta chiederlo ai giovani medesimi, le cui risposte si sanno. «Non
c’è niente, per nessuno», rispondono, cercando a loro volta risposte.
Anche dalle istituzioni, anche dal
pubblico… Anche, perché no, da
quella politica che i giovani stessi
rifuggono e alla quale il Dstretto
ha chiesto le sue risposte, interrogando gli assessori – o i sindaci e
i vicesindaci - che ai giovani, e ai
loro modi (e tempi) di aggregazione sottendono per motivi di mandato. I centri giovani di Scandiano,
i GET, i corsi (professionali e non),
Casa Corsini a Fiorano,il Mabic
piuttosto che il Bla tra Maranello e ancora Fiorano, il «fare rete
tra le associazioni» che Sassuolo,
unica città del distretto cui le elezioni hanno cambiato colore (in
senso amministrativo) sono gocce
nel mare di un’aggregazione che
«evolve in continuazione, come è
giusto che sia, ed è per questo –
dice la sociologia – che è difficile
da intercettare con i tempi dell’ente
pubblico». E resta una variabile che
va comunque considerata, anche a
livello istituzionale. «Come risorsa
– ci è stato detto – e non come problema». La questione non è il per-
ché, ma la questione sono il «quando, il come, in che modo». Biagini,
Costi, Iotti, Morini, Pigoni, Vaccari: in rigoroso ordine alfabetico
ecco chi ci ha risposto, parlando di
modelli di aggregazione che già ci
sono e di altri che verranno, e spiegando quanto può fare, o provare
a fare un’amministrazione locale
intesa come pubblico, istituzione
e, perché no, politica in senso lato,
per dirigere, coordinare e gestire.
E magari guardare avanti perché
senza giovani le nostre città, i nostri paesi e i nostri quartieri e anche
noi, a ben vedere, siamo tutti un po’
più vecchi. (S.F.)
Alberto Vaccari,
Sindaco di Casalgrande
Marco Biagini,
Vicesindaco di Fiorano
Maria Costi,
Sindaco di Formigine
Massimiliano Morini,
Sindaco di Maranello
Giulia Pigoni,
Assessore Com. di Sassuolo
Giulia Iotti,
Assessore Com. di Scandiano
Alberto Vaccari
Marco Biagini
Maria Costi
Massimiliano Morini
Giulia Pigoni
Giulia Iotti
S
«
«
«
«
S
port, musica e pittura. Ecco
le carte che Casalgrande gioca per favorire l’aggregazione
giovanile. Secondo il sindaco
Alberto Vaccari, l’amministrazione ha cercato di investire il
massimo delle risorse nei tre
poli sportivi presenti sul territorio, cercando di veicolare attraverso quelli le istanze giovanili.
«L’obiettivo è, e sarà, quello di
promuovere lo sport, soprattutto i cosiddetti sport minori e
soprattutto a livello giovanile».
Gli interventi? «A parte quelli
infrastrutturali ci sono contributi
che vengono erogati alle società sportive che svolgono la loro
attività, e tra gli aiuti che diamo
alle società – aggiunge Vaccari figurano anche quelli per i ragazzi che dal punto di vista finanziario non riuscirebbero a pagare
l’iscrizione alla società per poter
partecipare alle attività». Che il
problema dell’aggregazione giovanile esista, fa capire Vaccari, è
vero, ma le amministrazioni quel
che possono lo fanno e «sono
tante – aggiunge Vaccari - le iniziative proposte dall’assessorato
gestito da Silvia Tagliani. Penso
all’orchestra Mikrokosmos, formata da studenti, e agli oltre 50
ragazzi che frequentano i corsi
di musica, o ai corsi nella casetta
del parco con attività didattiche
per gli studenti che hanno dato
buoni esiti, e a breve partirà un
corso di pittura».
(Paolo Ruini)
Parlare di politiche giovanili a
Fiorano – secondo il vicesindaco Marco Biagini - significa rifarsi
all’esperienza pluriannuale del sodalizio Comune-Parrocchia che ha
generato le esperienze educative del
gruppo Babele, di FreeNet e, a livello distrettuale, di Strada Facendo».
Passa da ogni strada possibile quel
favorire l’aggregazione che secondo
Biagini è, in sé, contrasto al disagio
e trova espressione anche nell’esperienza di Casa Corsini. «Cerchiamo
di svilupparla, sfruttando le sale
prove e la sala civica, per creare un
modello di partecipazione della proposta culturale, aprendo la gestione
al confronto programmatico con
mondi associativi o informali, sulla
falsariga di quanto già sperimentato con Crea e con Dummies», dice
Biagini,che parla di altri «attrattori
di giovani» indicando il Cinema
Teatro Astoria, l’annesso Caffè del
Teatro e il Bla, riferimento per gli
studenti della zona. «Nel panorama
delle associazioni giovanili, accanto
alle realtà tradizionali, ritroviamo
l’associazione culturale Tilt, oltre
alla storica radio Antenna1 che a
Fiorano ha sede e radici dal 1977.
La sfida prossima – dice Biagini sarà quella di rendere queste realtà
un sistema articolato e dialogante,
valorizzando contenitori e contenuti, costruendo nuove partnership
e progettualità in grado di intensificare la proposta ricreativa e culturale di Fiorano… gli ingredienti ci
sono».
(Edda Ansaloni)
I giovani rappresentano una
priorità per Formigine che si
conferma, come testimoniano i
dati demografici, un Comune giovane». Anche per questo, dice il
sindaco Maria Costi, quello delle
politiche giovanili è tema sentito,
ben oltre quelli che sono i problemi legati al’aggregazione, che
l’amministrazione declina al futuro. «Pur non avendo competenze
specifiche in materia di lavoro e
formazione – spiega il primo cittadino - il Comune si sta impegnando seriamente per intercettare tutte le opportunità che possono
aiutare i ragazzi a trovare una collocazione nel mercato del lavoro
o in percorsi di studio. Abbiamo
stanziato risorse per borse lavoro all’estero aderendo al Progetto Leonardo e attivato tirocini».
E’ una risposta al disagio anche
quella, in fondo, cui si aggiunge
un’azione mirata e continua, da
parte dell’amministrazione, «per
metterci in rete con le altre realtà
cittadine come associazioni, parrocchie, società sportive e centri
aggregativi. Lo Spazio Giovani,
la Sala Prove Musicali e il Polo
Culturale nella suggestiva cornice
di Villa Gandini rappresentano i
luoghi per eccellenza del territorio comunale all’interno dei quali
i ragazzi si incontrano e si intrattengono per sviluppare attività di
tipo creativo, culturale, ludico, di
informazione, finalizzate allo stare bene insieme».
(E.A.)
Il nucleo dell’aggregazione
giovanile è il Centro Giovani,
un luogo in continua evoluzione,
che cerca di dare spazio alle esigenze dei ragazzi con aperture serali e straordinarie nel week-end,
cui va aggiunto il Mabic, la biblioteca in cui gli studenti possono incontrarsi per lo studio e per attività
culturali». Passa da qui, secondo
il sindaco Massimiliano Morini,
l’aggregazione giovanile a Maranello, a non solo. «Gli spazi informali di aggregazione come parchi e circoli – dice Morini - sono
luoghi che i giovani frequentano
spontaneamente, e a questo proposito il progetto ‘Strada facendo’ si
colloca tra gli interventi educativi
che tentano di fare prevenzione su
situazioni di disagio e rischio».
Altro? I GET, rivolti ai ragazzi
delle scuole secondarie di primo
grado che prevedono momenti di
studio e ludico-ricreativi, la sala
prove comunale é a disposizione
di gruppi musicali territoriali che
trovano nella musica un momento per condividere idee e conoscenze, o eventi come Maranello
Rock, appuntamento annuale che
richiama giovani di Maranello e
distretto in un momento importante di scambio per i giovani musicisti e non solo. «Senza dimenticare
– chiude Morini - il lavoro delle
società sportive e delle parrocchie
che offrono la possibilità a tanti
giovani di socializzare coltivando
le proprie passioni»..
(E.A.)
L’idea è quella di creare una
consulta delle associazioni,
in modo da garantire all’associazionismo giovanile a tutti i livelli la possibilità di conoscersi,
confrontarsi e collaborare». Idee
ben chiare per l’assessore Giulia
Pigoni, strette tra quelli che sono
«modelli di aggregazione giovanile che cambiano e si evolvono», risorse che scarseggiano e
il dovere, per l’ente pubblico, «di
fare comunque da tramite tra le
aspettative dell’universo giovanile e proposte che funzionano soprattutto se sono i giovani, le loro
organizzazioni e le loro associazioni, a promuovere e sostenere».
Il supporto dell’amministrazione,
dice Pigoni, sarà logistico e strutturale, ma il contenitore deve essere riempito da un nuovo modo
di «fare rete» cui è giusto siano
chiamati proprio i giovani. «Il
Comune media, ascolta, promuove e in questo senso ha un ruolo
determinante, ma la strada da seguire è quella di mettere i giovani,
nelle loro espressioni associative
e aggregative, in condizione di
collaborare tra di loro e promuovere quanto l’amministrazione
agevolerà, anche per permettere
ad ogni evento, ad ogni struttura,
di respirare, e di aprirsi alla città».
Perché, fa capire Pigoni, «quello
dell’aggregazione giovanile e dei
suoi modi, per l’amministrazione
di cui faccio parte è una risorsa da
sfruttare appieno».
(Stefano Fogliani)
ono due i “motori” dell’aggregazione giovanile a Scandiano, ovvero i due Centri Giovani di
Scandiano ed Arceto che favoriscono l’aggregazione di centinaia
di ragazzi sotto l’egida del Progetto Giovani, «all’interno del quale
- dice Giulia Iotti, assessore alle
politiche giovanili e al welfare allargato – vengono pianificate le varie
iniziative che verranno realizzate
nell’arco dell’anno, cercando di
supportare, per quanto possibile,
lo spirito di iniziativa dei ragazzi
stessi, che vengono prima valutate e
poi spesso appoggiate e sostenute».
Idee e strutture: le prime le mettono
i ragazzi, le seconde l’amministrazione, proprio attraverso i due centri
giovani. «Sono strutture dove sono
presenti degli educatori che seguono i ragazzi e dove si svolgono
tantissime attività. Dalle sale prove
per i gruppi e le piccole band fino
al corso sull’utilizzo delle nuove
tecnologie. Poi ci sono iniziative
specifiche come quella che abbiamo lanciato per la realizzazione di
piccoli cortometraggi: tutto – aggiunge Iotti – va nella direzione di
coinvolgere tantissimi ragazzi, a più
livelli». Facendo dei giovani stessi i
protagonisti dei loro modi e tempi
di aggregazione, come è successo
l’anno scorso, quando «alcuni ragazzi, dopo aver seguito un corso di
informatica presso il centro giovani,
hanno organizzato delle serate dedicate all’utilizzo delle nuove tecnologie riservate agli anziani».
(P.R.)
Via Pietro Nenni, 8 - 42048 Rubiera (RE) - Tel. +39 0522 621162 - Fax. +39 0522 262589 - Email: [email protected]
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DISTRETTO CERAMICO
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Tecnologia e innovazione:
LB guarda al futuro
Archiviata «con
soddisfazione»
l’edizione 2014
di Tecnargilla,
l’azienda fioranese
studia strategie
in grado di
confermarne
la leadership.
«Partendo dal
made in Italy,
ma valutando la
possibilità – dice
Emilio Benedetti
– di produrre
alcuni componenti
all’estero»
M
anda in archivio il
Tecnargilla con un
bilancio lusinghiero, LB officine meccaniche. Da sempre protagonista sul mercato
dell’innovazione tecnologica,
l’azienda fioranese non smette
di sperimentare, alla ricerca di
soluzioni in grado di intercettare le crescenti esigenze di
un mercato oltremodo selettivo. «L’innovazione, del resto – dice l’ad di LB officine
meccaniche Emilio Benedetti
– è sempre stato il nostro tratto
distintivo, e la nostra presenza
in fiera ha voluto sottolinearlo
attraverso la presentazione di
Emilio Benedetti
soluzioni che ci hanno dato ottimi riscontri. Da una parte Freestile, «un concetto nuovo, mutuato
– spiega Benedetti - dall’unione
di diverse tecnologie. Il punto
di partenza è una sorta di foglio
bianco, dal quale si parte per realizzare un porcellanato tecnico le
cui qualità sono decisamente rilevanti», dall’altra l’allestimento
dell’esposizione con la quale LB
ha caratterizzato la sua presenza alla fiera riminese. «Grande
spazio alla macinazione a secco,
con l’esposizione di pezzi unici
realizzati attraverso questa tecnologia dai nostri partners, ma
anche agli impianti propriamente detti. Non potendo portare in
fiera gli impianti, li abbiamo realizzati in 3D, permettendo alla
clientela di esaminarne, virtualmente, caratteristiche, metodi di
funzionamento, manutenzione».
Si tratta, fa capire Benedetti, di
continuare ad investire in innovazione, a dispetto di un contesto
non semplice, soprattutto per chi
produce in Italia. Dove, dice Benedetti, l’ostacolo sono i costi di
produzione, e se la soluzione potrebbe essere produrre all’estero,
il numero uno di LB spiega come
«esperienze pregresse ci hanno
detto che la produzione estera
non ci permette di ottenere la
stessa qualità che otteniamo producendo in Italia, purtroppo, confermando come il made in Italy
sia, per noi, un plus imprescin-
dibile. Ma non escludiamo – aggiunge Benedetti – di cominciare
a produrre componenti in paesi
low cost, ovviamente a patto che
vengano mantenuti gli standard
di qualità richiesti da un’azienda
come la nostra. Diciamo che è
una opportunità che stiamo studiando, e sulla quale stiamo facendo le nostre valutazioni»
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Lavorare nell’Ucraina in guerra
Giulia, resident
manager di Litokol
in Ucraina, racconta
la sua percezione
del conflitto che
tiene con il fiato
sospeso buona
parte dell’Europa.
«La guerra, nel
nostro paese,
c’è davvero: le
informazioni non
circolano, e in
tutti c’è grande
insicurezza»
Giulia Ermolaeva
L
avorare con la guerra. La
crisi ucraina, così lontana e
al tempo stesso così vicina, è un
po’ il paradigma «di un più ampio
conflitto globale con il quale tutti
devono fare i conti. Per noi, che in
Ucraina viviamo e lavoriamo, non
si tratta certo di essere in guerra,
ma di convivere nel quotidiano
con una tensione ben evidente, che
sta diventando parte della nostra
vita». Chi parla è Giulia, resident
manager di Litokol, in Italia in
occasione della settimana che ha
visto il distretto ceramico protagonista lungo la via Emilia, complici
Cersaie e Tecnargilla. «Fisicamen-
te – dice – siamo lontani da ciò che
accade nell’est del nostro paese,
ma il malessere collettivo è abbastanza evidente, e la speranza, di
tutti, è che la vicenda si risolva
per il meglio». Perché i chilometri
allontanano i venti di guerra, ma
nemmeno troppo, «e perché – dice
ancora Giulia la guerra, nel nostro
paese, c’è davvero. Amici e clienti
confermano una situazione difficile, e da parte nostra registriamo
come non sia semplice nemmeno
avere informazioni su quello che
sta realmente succedendo». In ballo c’è, come noto, tanto: a livello
politico ed economico, a livello
sociale e perché no, a guardarlo
dalla prospettiva di chi la guerra
ce l’ha in casa, o quasi, anche a
livello quotidiano, nel senso sia
contingente che di prospettiva.
Perché se il problema è politico «o
geopolitico» non rileva, non almeno per chi lavora e conduce la propria esistenza, umana e professionale, seguendo binari all’interno
dei quali la guerra è una variabile
con la quale non ci si può non stupire di trovarsi a fare i conti, ben
dentro l’Europa moderna, evoluta, occidentale e capitalista, parte
nobile del mercato globale. «Ci si
sente parte di un conflitto, si cerca di capire, ma quello che se ne
ricava è soprattutto una sensazione di insicurezza», spiega ancora
Giulia, che racconta di un paese
che sta cambiando, nel sentiment
e negli assetti, come nelle dinamiche. «Le sanzioni hanno diminuito
la capacità di acquisto individuale, complice l’aumento dei prezzi,
la moneta si è svalutata e inoltre
non va trascurata l’incognita-gas,
sulla quale il conflitto è destinato a
pesare. Come è destinato a pesare,
ovviamente, sul nostro quotidiano:
l’incertezza e la preoccupazione
frenano tutti, e non credo potrebbe
essere diversamente. Kiev è una
città moderna ed evoluta, come
moderno ed evoluto è un paese
che ha una sua identità, una sua
economia, una rete di relazioni
commerciali e non solo che stanno
perdendo fatalmente il loro dinamismo, complice un conflitto che
non permette di guardare al futuro
con la necessaria tranquillità». Anche perché, fatica a capirlo l’Occidente non meno di chi in Ucraina
vive e lavora, ad oggi l’evoluzione del conflitto è ancora tutta da
scrivere, «e avere informazioni su
cosa succede realmente – chiude
Giulia – è difficile anche per noi».
Argille: la Germania pensa all’emergenza
Il punto di vista di
Gunther Schmidt,
ad avviso del quale
«le potenzialità
del Westerwald
non sono sfruttate
appieno, e
oggi possiamo
trasportare anche
via mare»
Gunther Schmidt
N
5
DISTRETTO CERAMICO
on solo il quotidiano di chi in
Ucraina vive e lavora. Il conflitto in corso agita i sonni (anche)
degli imprenditori del distretto
ceramico, che hanno nell’Ucraina
uno dei punti di riferimento per
quanto riguarda le materie prime,
ed in particolare le argille, che
entrano negli impasti con percentuali tra il 15 ed il 20%. I laboratori, in vista di possibili difficoltà
legate alle forniture, stanno riattivando le ricerche sugli impasti,
guardando non più solo alle cave
ucraine, ma anche a Spagna, Portogallo e soprattutto Germania. Si
tratta di capire se queste zone, ed
in particolare il Westerwald tedesco, potrebbero essere in grado di
far fronte a fabbisogni maggiori di quelli richiesti prima che il
conflitto mettesse a rischio l’asse
commerciale tra Italia e Ucraina.
«Oggi il Westerwald produce circa
3,5 tonnellate di argilla, in passato
ne produceva anche 5. Significa
che le potenzialità della zona non
sono, oggi, sfruuttate appieno»,
dice Gunther Schmidt, Presidente
della Stephan Schmidt, che tuttavia
ha ben presenti le potenzialità del
Westerwald. «Le condizioni per
forniture più cospicue possono essere senza dubbio ricreate, e credo
gli operatori della zona non ci metterebbero più di sei mesi per riorganizzarsi, a fronte di una richiesta
di aumento di volumi. Ovvio, tuttavia, che non è pensabile sostituire
un’argilla con l’altra, anche considerato che parliamo, per le argille
tedesche, di coefficienti di allumi-
na che si attestano tra il 22 ed il
25%, e di ferro presente tra l’1,4 e
l’1,7%», aggiunge il numero uno di
della Stephan Schmidt, che si dice
in grado di soddisfare fabbiosgni
maggiori «anche del 20%» rispetto ai circa 1,2 milioni di tonnellate
che oggi muove dal Westerwald al
distretto ceramico, e che erano quasi due milioni di tonnelate fino ad
un quinquennio fa. Sperimentando
anche nuove metodologie a livello
logistico, «dal momento che oltre
alla movimentazione su gomma o
rotaia o container, siamo in grado,
attraverso il Reno, di raggiungere
via nave anche il porto di Rotterdam e da qui i porti di La Spezia e
Ravenna».
Gas
Sei mesi
di scorte
per l’europa
Un mese senza problemi, poi
capacità di resistenza fino a
sei mesi (seppure con qualche difficoltà) in caso di un
eventuale stop delle forniture
di gas dalla Russia per l’acuirsi della crisi con l’Ucraina.
L’Unione europea, al termine
degli stress test condotti in
questo ultimo periodo, è arrivata a questa conclusione,
che il commissario uscente
Günther Oettinger ha presentato a Milano alla riunione informale dei ministri europei
dell’Energia e dell’Ambiente.
Il dato allarma, ed il viceministro allo Sviluppo economico con delega all’Energia,
Claudio De Vincenti, è stato
chiaro: bisogna sviluppare gli
approvvigionamenti alternativi, «in tal senso – ha aggiunto
De Vincenti - sono centrali le
infrastrutture come i rigassificatori e i gasdotti». Ma per
l’immediato, par di capire, il
problema non sussiste, come
confermato, tra l’altro, da Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Eni, che alle
agenzie di stampa, lo scorso
settembre, aveva garantito
come «l’Italia sara’ al sicuro
questo inverno sul fronte degli approvvigionamenti di gas
anche se si dovesse bloccare
il flusso dall’Ucraina». A rischiare, ha aggiunto Scaroni,
sono soprattutto quei paesi
che ricevono il gas attraverso
i tubi ucraini, come Ungheria,
Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria e Austria mentre
l‘Italia «ha molte fonti di approvvigionamento».
accaDmenti
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Unità pastorali: unione
non significa fusione
Don Achille Lumetti
Non si tratta
di manifestare
campanilismi
assurdi ma si
richiedono solo
provvedimenti
adeguati, non
lineari ma a
intermittenza
di rispetto per il
passato. Il grande
concentramento è
sempre maestoso,
ma il piccolo
borgo ti rimane
nel cuore, ed il
progetto unità
pastorali si
deve muovere
con fraternità
e rispetto per
il cammino del
passato
P
iccole parrocchie, sacerdoti in età avanzata, quasi
nulla le ordinazioni di nuovi
sacerdoti. Viene deciso l’accorpamento di parrocchie con
un solo parroco e altri sacerdoti
collaboratori. Ma non si possono cancellare per decreto mille
e più anni di storia di tante realtà e identità parrocchiali. Non
sempre l’unione di parrocchie
riduce le forze e le risorse, anzi.
Sovente, mega-strutture significano mega impegni insostenibili e cancellando le parrocchie
si cancella un patrimonio di tradizioni e aggregazioni sociali e
religiose. La festa del Patrono
seguita da processione in un paesino di montagna può fare sorridere, ma rimane l’unico cordone ombelicale per richiamare
alle proprie radici fedeli sparsi
e dispersi su tutta la penisola. I
parroci di queste comunità hanno una storia e una dignità. Unire le parrocchie per unificare i
servizi religiosi può essere utile
e necessario, ma non si possono fondere le identità di parroci
che si sono dedicati con zelo e
impegno alle loro “dimenticate” parrocchie, per le quali essi
non rappresentano più nulla di
autentico. Occorre valutare e
non trascurare le caratteristiche
delle singole parrocchie, non
solo riguardo all’aspetto pastorale, ma anche per quanto concerne il patrimonio artistico e
ambientale. Unire non è sinonimo di soppressione. Unire non
significa fusione. Non si tratta
di volere manifestare campanilismi assurdi ma si richiedono
solo provvedimenti adeguati,
non lineari ma a intermittenza
di rispetto per il passato.
Il grande concentramento è
sempre maestoso, ma il piccolo
borgo ti rimane nel cuore, ed il
progetto unità pastorali si deve
muovere con fraternità, consulenza e tanto rispetto per il
cammino polveroso del passato.
Le unità pastorali riducono le
quantità ma accendono la scommessa della qualità. Il forte magnetismo che legava le comunità
al loro pastore sta perdendo
inesorabilmente la sua presa:
auspichiamo allora che tutto
ciò che viene proposto non
equivalga a una rottamazione del passato nel suo ambito
di tradizioni, usi ambiente e
devozioni che per anni lo ha
qualificato.
(Don Achille Lumetti)
Definizione
Cosa sono le unità pastorali
Si chiama unità pastorale un insieme di parrocchie vicine tra loro e
affini per quanto riguarda il tipo di territorio (in montagna, in una
grande città, nelle periferie) e le condizioni di vita degli abitanti
(per esempio un insieme di piccole frazioni che gravitano tutte
attorno ad un unico paese principale). L’unità pastorale è usualmente guidata da un parroco moderatore e molte diocesi, in Italia
come altrove, stanno sperimentando questo tipo di organizzazione
pastorale per cercare di far fronte ad alcuni problemi: oggi la mobilità delle persone è infatti molto ampia e i ristretti confini delle
parrocchie hanno perso quasi del tutto il significato che avevano
in passato, è necessario unire le forze per coordinare meglio alcuni
settori della vita pastorale ed il costante calo del numero dei preti
rende necessario abbandonare la formula tradizionale per cui in
ogni parrocchia era presente un parroco residente. In molte unità
pastorali i sacerdoti fanno vita comune in un’unica canonica, per
poi andare a servire quotidianamente le diverse parrocchie situate
nel territorio dell’unità pastorale: attualmente non esiste una formalizzazione giuridica delle unità pastorali, quindi ogni diocesi
segue criteri propri per definire le proprie unità pastorali e stabilirne compiti e competenze.
7
8
Dstensioni
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Il pranzo di Babette
Il maiale dei poveri
N
ella favola di Cenerentola
si trasformava in carrozza per accompagnare la futura
principessa al ballo, ad Halloween è il lumino di Jack O’lantern simbolo delle anime dannate ed errabonde, utilissima in
cosmesi ed in medicina è indubbiamente la regina delle tavole
d’autunno. Stiamo parlando di
sua maestà la zucca, cucurbitacea originaria dell’America
Centrale, i cui semi più antichi
sono stati ritrovati in Messico e risalgono al 6mila avanti Cristo. Quest’ortaggio era
conosciuto e coltivato già da
Egizi, Romani, Arabi e Greci; fu conosciuta dagli europei
solo dopo la conquista delle
Americhe quando Cristoforo
Colombo portò in Italia diverse varietà di zucca. Se inizialmente era destinata a sfamare
il popolo contadino le lunghe
carestie la fecero apprezzate
anche dalle classi sociali più
abbienti tanto da meritarle l’appellativo di “maiale dei poveri”, perché meno costosa della
carne ma indubbiamente ricca
di nutrimento: vitamine A e C,
betacarotene, fosforo, potassio,
calcio. Inoltre della zucca non
si butta via niente: fiori, polpa e
semi destinati all’alimentazione, mentre la buccia può essere
utilizzata per addobbi e ornamenti; per i Romani la zucca
svuotata ed essiccata diventava
un prezioso contenitore leggero per trasportare sale e cereali, vino e latte. Sotto il profilo
medicamentoso i semi vengono
usati per combattere il verme solitario, alleviare le infiammazioni
della pelle e prevenire le disfunzioni delle vie urinarie; dalla polpa si estrae un succo in grado di
combattere i disturbi gastrici e le
patologie della prostata. In cucina
è versatile al punto da sostenere
un pasto completo dall’antipasto
al dolce garantendo un apporto
calorico decisamente contenuto:
solo 15 calorie ogni 100 grammi
di polpa, totalmente assente il colesterolo. L’esordio di un pasto a
base di zucca potrebbe avvenire
con delicati tortini di zucca, realizzati con ricotta, uova, parmigiano e pangrattato; passare poi
ai famosi tortelli, a voi la scelta
se inserire nel ripieno amaretti e
mostarda oppure limitarvi a zucca
bollita e formaggio grana, senza
dimenticare però la noce moscata; arrivati alla seconda portata
la zucca può accompagnare in
maniera egregia la carne di maiale, vi basterà tagliarla a cubetti e
metterla a rosolare con uno spicchio d’aglio, sfumare con vino
bianco ed insaporire con rosmarino in rametti ed abbondante pepe
nero; infinite poi le varianti per
preparare un dolce a base di zucca, da una semplice ciambella alle
varianti più sfiziose con cannella,
zenzero, cacao e perché no anche
con le mele!
La ricetta personale di Babette è
una vellutata: fate soffriggere del
porro, aggiungete la zucca a fette
ed alcune patate, lasciate cuocere
aggiungendo brodo vegetale per
circa trenta minuti, la passate poi
al mixer, al momento di impiattare aggiungete pepe fresco, olio a
crudo e per i più golosi un cucchiaio di panna; se dovete mettere
a tavola dei fanatici delle proteine
aggiungete qualche strisciolina
di pancetta rosolata, ma non disdegnate neppure un accompagnamento con una manciata di
passatelli cotti a parte nel brodo,
o magari qualche mazzancolla.
Piatto colorato e gustoso, che
saprà ben figurare su una tavola
d’autunno! Non dimenticate di
accostarvi un buon bicchiere di
bianco optando tra un Traminer
aromatico o un Müller Thurgau,
o anche un Riesling delle colline
mantovane o dell’Oltrepò pavese.
(Babette)
Gino Gandini.
L’incanto della natura
di Alberto Agazzani
G
ino Gandini è stato (con Paolo Orlandini),
fra i pittori reggiani dell’ultima parte del
secolo scorso, certamente il più rappresentativo
e importante tra quelli che hanno inteso proseguire e rinnovare in termini puramente espressivi la grande tradizione figurativa reggiana. Non
a caso, e sempre nel solco tracciato da Ottorino
Davoli e dalla sua scuola, i suoi soggetti più felici sono sempre stati paesaggi dell’appennino
locale o scorci innevati dell’altrettanto nostrana
campagna. Più rari, ma non meno affascinanti,
appaiono le marine, dove il consueto lirismo
(di fascinazione quasi chiarista) si rafforza di
toni solari, accesi, portatori di gioie e calori di
assolate villeggiature estive. La nostalgia di un
tempo ideale, nel quale lontana è l’eco delle
inquietudini novecentesche, pervade ogni sua
immagine, restituendo sempre un’aura di serenità “familiare” che, tuttavia, si manifesta attraverso una pittura pregna dello spirito del suo
tempo. In particolare è la fragilità silenziosa di
un certo chiarismo ad emergere in maniera più
insistente: una pittura fresca e apparentemente
veloce, poco attenta al dettaglio ma pregna di
La nostalgia di un tempo
ideale pervade ogni sua
immagine, restituendo
sempre un’aura di
serenità “familiare”
espressione, resa ancora più vibrante da una tavolozza delicata ma varia, in grado di raccontare oltre il visibile la gioiosa nostalgia incantata
della natura. Che si tratti del lucore della neve o
dell’abbagliante splendore di un sole marittimo
d’estate, in Gandini il senso della misura e del
silenzio si manifestano con sempre seducente
fascino, allontanando per sempre quell’incipiente clamore che da lì a qualche decennio
sarebbe divenuto imperante, cancellando le
voci della natura e divenendo espressione più
modaiola di una realtà senza più pace.
(Alberto Agazzani)
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
9
SASSUOLO
Consigli per gli acquisti?
No, acquisti per consiglio
Online, sul sito del
Comune, le cifre
rimborsate ai gruppi
consiliari nel corso della
passata legislatura.
Affitti, utenze,
cancelleria, computer,
stampanti e telefonini:
euro, ironia e qualche
(inevitabile) polemica
U
na stampante da 96 euro,
acquistata dall’IDV, ma anche un’altra che, insieme ad altre
pese di cancelleria e cartucce,
è costata 5 volte tanto alla lista
Sassuolo con Patuzzi, 84 euro di
toner e 122 di cancelleria (lista
civica Sassuolo), 500 euro di libri
cui si aggiungono svariati mila
euro (poco più di 10mila euro il
partito democratico, poco meno
il pdl Forza Italia, circa ottomila
euro per la Lega Nord) per canoni di affitto di locali e utenze, ma
anche acquisti di computer (circa
Sheet1
Gruppo
Importi liquidati
tipologia
Partito Democratico
€ 13.681,00
10750,50 euro canoni di locazione, 2931 euro utenze, bolli e cancelleria
Forza Italia PdL
€ 11.453,50
9969,67 euro canoni di locazione, 999,83 euro utenze, 484 euro trasloco
Lega Nord Padania
€ 7.885,40
7885,40 euro canoni di locazione e utenze
Lista Civica per Sassuolo
€ 3.008,51
1074,8 euro organizzazione convegno, 713,71 cancelleria, stampe e toner, 720
acquisto pc, 500 acquisto libri
Sassuolo con Pattuzzi
€ 2.150,00
815,86 cancelleria e versamento Fondo Solidarietà Comunale, 750 euro acquisto
computer, 584,11 stampante e cancelleria,
Gruppo Misto
€ 1.429,48
761,78 Acquisto toner, 667,60 acquisto cellulare
IDV Italia dei valori
€ 278,40
96 euro acquisto stampante, 182,40 euro acquisto cancelleria
1500 euro complessivi rimborsati alla Lista Civica per Sassuolo e
all’altra lista civica, ovvero Sassuolo con Pattuzzi, che sul finire
della legislatura diventerà Siamo
Sassuolo) e 667 euro spesi dal
Gruppo Misto per l’acquisto di
un telefonino. Ecco le spese dei
gruppi consiliari sassolesi, messe online sulla pagina dedicata
alla trasparenza del sito ufficiale
del Comune. Circa 40mila euro
(39886, per la precisione) quelli liquidati suddivisi tra i sette
gruppi che hanno composto il
consiglio comunale della legislatura che si è chiusa lo scorso
giugno: Oltre tredicimila (13681
euro) liquidati al partito democratico, 11453 a Forza Italia pdl,
7865 alla Lega Nord, 3008 alla
lista civica per Sassuolo, 2150 a
Sassuolo con Patuzzi, diventata
sul finire della legislatura Siamo
Sassuolo, 1429 al Gruppo Misto, 278 all’Italia dei Valori, che
chiude la graduatoria. Si tratta
delle spese che i gruppi consiliari sostengono per la loro attività
istituzionale e che vengono, per
questo, rimborsate, a proposito
delle quali, dopo averle acquisite e diffuse (sulla loro pagina
facebook) i consiglieri comunali
del Movimento 5 Stelle Sassuolo
hanno poi ottenuto che le stesse
venissero pubblicate anche sul
sito del Comune. «In modo –
hanno detto Erio Huller e Silvano
Rutigliano, che rappresentano il
M5S in consiglio – che i cittadini possano valutare l’opportunità
o la priorità di alcune spese fatte
con il denaro pubblico». Una battaglia di trasparenza, l’avevano
definita ai tempi i pentastellati,
che aggiungono «troverete spese
per computer, per libri (non si sa
bene il genere), stampanti, toner,
traslochi, cellulari» e lasciano,
per ora, cadere la cosa, non senza
soffermarsi sul «tempismo» con
il quale il Gruppo Misto ha acquistato un cellulare. «Un mese
prima delle elezioni, e poi – ha
rincarato la dose l’ex sindaco
Luca Caselli, oggi capogruppo
della lista civica Sassolesi –nessuno si è ricandidato».
(S.F.)
Page 1
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La strada che non c’è:
il quartiere Gramsci insorge
Oltre
centocinquanta
firme raccolte
per sensibilizzare
l’amministrazione
sulle condizioni
della “strada
dell’amore”.
Oggi, loro
malgrado, “strada
del degrado”
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DIRETTORE RESPONSABILE
ROBERTO CAROLI
[email protected]
DIREZIONE,AMMINITRAZIONE
Ceramicanda srl, via De Amicis 4
42013 Veggia di Casalgrande (RE)
tel.0536990323 - fax 0536990402
REDAZIONE IL DSTRETTO
via De Amicis 4
42013 Veggia di Casalgrande (RE)
tel.0536822507 - fax 0536990450
[email protected]
REDATTORI
Stefano Fogliani, Daniela D’Angeli
COLLABORATORI
Claudio Sorbo, Massimo Bassi, Edda Ansaloni,
Paolo Ruini, Babette, Don Achille Lumetti,
Alberto Agazzani, Maple Leaf, Sting
EDITORE
CERAMICANDA SRL
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di
Reggio Emilia al n°1202 in data 05/12/07
PUBBLICITA’
Ceramicanda srl, via De Amicis 4
42013 Veggia di Casalgrande (RE)
tel.0536990323 - fax 0536990402
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IMPAGINAZIONE
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dei dati forniti e la possibilità
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di Casalgrande (RE). Le informazioni custodite nel
nostro archivio elettronico verranno utilizzate al
solo scopo di inviare proposte commerciali.
In conformità alla legge 675/96 sulla tutela dati
personali e al codice di auotisciplina ANVED
a tutela del consumatore
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anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
U
na raccolta di firme (158
in soli due giorni) e un
incontro con l’amministrazione, già ottenuto dopo numerose insistenze. E’ stato questo il
primo passo che i residenti del
quartiere Gramsci hanno mosso
per denunciare una situazione
divenuta ormai intollerabile nel
loro quartiere. «Sono anni che
denunciamo il disagio che stiamo vivendo, ma purtroppo non
siamo mai stati ascoltati. Abbiamo pensato – dicono i residenti
- di appellarci al nuovo Sindaco e chiedere aiuto, per cercare
di risolvere almeno alcuni dei
problemi più urgenti. Solo il
fatto di essere stati ascoltati ci
rincuora e ci fa ben sperare, ma
chissà…». Una delle emergenze
più importanti riguarda il tratto
di via Gramsci chiuso diversi
anni fa alla circolazione delle
auto, in quanto ritenuto di grande valore ambientale. «Riteniamo però – dicono i residenti che la tutela sia ben altra cosa,
rispetto a quanto è stato fatto
sino ad ora. Un tempo quella
via era conosciuta come “la
via dell’amore”, mentre oggi la
possiamo tranquillamente ribattezzare “la via del degrado”, dal
momento che è da tempo abbandonata a se stessa». La camporella di tanti è solo un ricordo,
oggi «ci sono diversi pericoli
che corrono i tanti cittadini che
ogni giorno transitano a piedi o
in bicicletta, per quel tratto di
strada». I residenti parlano di
stime «da noi effettuate» secondo le quali sarebbero circa 700
le persone ( tra cui molti bambini) che ogni giorno transitano
in quella via, ed il sabato, la domenica o quando vi sono particolari eventi in centro, il numero di coloro che percorrono
la strada triplica. Vi è anche da
sottolineare che dopo l’apertura
della nuova scuola elementare,
è stato realizzato un passaggio
sulla via Gramsci, per cui molti
scolari percorrono questo tratto
di strada ogni mattina. Proprio
dietro la palestra della scuola vi sono diversi alberi d’alto
fusto, completamente secchi.
Nello scorso mese d’agosto ne
sono caduti un paio, che hanno
messo in pericolo l’incolumità
delle persone, ed una mamma
con carrozzina al seguito ha rischiato di essere colpita. Da qui
le rimostranze dei residenti, che
lamentano anche una scarsissima illuminazione, dovuta ai
pochissimi lampioni presenti,
la maggior parte dei quali sono
coperti dalle piante. «La stradina – dicono i residenti - diventa
così pericolosa di sera e chi la
percorre è costretto ad uscire
con la torcia, oppure utilizzare
la luce del telefonino, in quanto
il manto stradale versa in condizioni disastrose». Finisse lì,
ok, ma, «vorremmo anche venisse controllata l’area dove si
trova un’antenna della telefonia
- continuano i residenti - perchè
ci sono detriti, dei quali non conosciamo la provenienza e cavi
scoperti, che rappresentano un
grande pericolo. L’area in questione non è protetta ed è quindi
accessibile e chiunque». E utile
al quartiere, che chiede di poterla percorrere in sicurezza.
(Edda Ansaloni)
Un pranzo per gli orti
E eccellenze
regionali il tema
conduttore di
un happening
di successo:
una conviviale
perfettamente
riuscita
Maranello
G
rande partecipazione al
pranzo, tenutosi presso gli
orti degli anziani di Maranello,
che ha avuto come tema la nostra
Regione, l’ Emilia Romagna. Per
l’occasione, la parte che si trova
nella zona retrostante la struttura
è stata trasformata in un grande
spazio nel quale sono state raffigurate tutte le eccellenze della
nostra Regione. E per rappresentare il meglio dell’Emilia Romagna sono stati scomodati anche
Enzo Ferrari, Giuseppe Verdi e
Federico Fellini. All’incontro,
organizzato da Angelo Stadiotti,
il quale ha curato anche la parte scenografica, erano presenti
anche il Sindaco di Maranello,
Massimiliano Morini, lo storico
dell’arte Gaetano Gherardi, l’architetto Marco Fontana, Romolo Levoni, storico del dialetto,
Franco Bergonzoni, Presidente
degli orti, l’Avv. Gianolio, grande esperto del Po e di Guareschi,
l’ex comandante dei Carabinieri
di Maranello, Giuseppe Barbaro
e tanti altri. A presentare gli ospiti e i vari interventi è stato Alberto Beccari, Presidente dell’ex
Ferrari Club Maranello. Durante
la giornata sono stati raccontati aneddoti, recitate poesie e si
sono tenuti altri interventi tutti
legati all’Emilia Romagna, alla
sua storia e alle sue tradizioni.
Anche la parte culinaria ha rispettato la tradizione emilianoromagnola. (E.A.)
Dal 1988 tradizione e innovazione
Materie prime per ceramica:
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11
SCANDIANO
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Maletti: il sistema Paese potrebbe piegare
anche un’eccellenza come la nostra
Danilo Maletti
Tassati per l’81%
non riusciamo più
a investire nella
ricerca e le banche
stanno a guardare
C
i sono eccellenze nel nostro
distretto che tutto il mondo
guarda con ammirazione e ci invidia, nei campi delle automobili di
lusso , della ceramica per arrivare
all’arredamento per parrucchieri.
La Maletti group di Scandiano, 36
milioni di euro il fatturato complessivo, 120 dipendenti, 80 artigiani,78 anni di storia, due sedi di
rappresentanza rispettivamente a
Parigi e San Paolo, sembra essere
l’unica azienda di settore a reggere l’impatto della crisi, nonostante
il fatturato sia in diminuzione e
alcuni mercati in flessione. Ma
a preoccupare maggiormente la
proprietà è il nostro sistema paese
che sta stretto anche a una azienda
leader nel suo settore.
“Abbiamo perso per strada 10 milioni di euro in cinque anni” ci spiega
Danilo Maletti presidente del gruppo,
“ridotto drasticamente il giro d’affari
in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, ma abbiamo saputo bilanciare in
parte con l’apertura del mercato sud
americano, in parte migliorando le
performance di vendite in altri paesi. Oggi ne contiamo 101 in tutto il
pianeta”.
Dalla fine degli anni ‘70 Danilo e i
fratelli Edoardo e Guido hanno raccolto la mission del padre Guerrino,
fondatore dell’azienda nel 1936, portandola ai vertici mondiali dei produttori di arredamenti e servizi per
parrucchieri; un risultato ottenuto
grazie anche alle scelte di produrre in
serie le proprie linee di arredamenti e
affidarne l’ideazione ai migliori designer del mondo.
“Oggi affidare a Philip Stark il progetto di una linea significa investire
un milione di euro, e se lo abbiamo
fatto in passato oggi non è più una
via percorribile, anche se auspicabile. E con i costi siamo solo all’inizio
del percorso; poi ci sono gli stampi, la
messa in produzione, la campionatura, la promozione. E’ diventato molto
difficile, anche perché le risorse a disposizione sono sempre meno a causa anche dell’ingordigia del nostro
Stato: la Maletti spa, come la maggior parte delle imprese italiane, paga
l’ 81 % tra tasse, imposte , contributi
vari, ai quali annovero anche tutti i
costi diventati indeducibili. Come è
possibile pensare di avere un futuro.
Noi gli utili li dobbiamo impiegare
nella ricerca, nell’individuazione di
nuovi prodotti, non possiamo lavorare solo per lo stato”. E’ un fiume in
piena Maletti, è arrabbiato con il sistema, se la prende con le istituzioni
che a suo dire non lavorano per risolvere i problemi degli imprenditori.
“Ho inviato una lettera a Squinzi, a
Renzi, al Sindaco di Scandiano per
cercare di renderli partecipi delle rea-
li difficoltà che oggi un imprenditore
si trova ad affrontare nel nostro paese, ma non ho ricevuto risposta. Noi
siamo gli unici a resistere, guardatevi
intorno, a Scandiano non ci sono più
imprese, c’è la desertificazione, le
aziende da sempre rappresentative
della nostra città hanno chiuso i battenti: Maska, Majorca, Magica, Frigor box, per non parlare di quelle del
nostro settore specifico, scomparse
o letteralmente ridimensionate. E’
sbagliato pensare che queste abbiano
abbassato la saracinesca perché guidate da imprenditori incapaci, hanno
abdicato per colpa del sistema paese!
Siamo tra i pochi a resistere, anche se
il prossimo proiettile potrebbe essere
per noi”.
Danilo Maletti è seduto sul divano
bianco del suo bellissimo ufficio,
alle spalle un mobile pieno di cimeli, oggetti provenienti da ogni dove,
omaggi di clienti venuti in visita a
Fellegara, luogo nel quale nel 2001
l’azienda si trasferì potendo contare
su una superficie di quasi 50mila
metri quadri, di cui 3300 destinati
ad uffici e 3mila alla show room.
“Ho il dovere morale di denunciare
pubblicamente le anomalie , i lacci e
lacciuoli che rischiano col tempo di
strangolare anche una azienda sana
come la nostra. Non posso rimanere indifferente”. E’ visibilmente
deluso, non riesce a nascondere la
preoccupazione per il momento ma
neppure l’amore per la sua azienda e
per questo territorio ce traspare non
appena gli chiedo se ha mai pensato di lasciare l’Italia: “Io sono nato e
cresciuto qui, questa è la mia terra,
qui ci sono i calanchi, i prati, i boschi
che sento miei, e qui vorrei rimanere,
ma se le cose non cambiano in fretta
me ne dovrò fare una ragione”.
Eppure l’andamento dei primi nove
mesi del 2014 non è tutto da buttare,
tant’è che il gruppo, forte dei marchi
Maletti, Nilo, PresenceParis, UKI,
ha fatto registrare un più 7,5%, ed è
fiducioso di non arrestare la crescita
grazie alle nuove poltrone firmate
dall’architetto Giovannoni, pronte
ad accogliere le nuove sfide di mercato: una sorta di ritorno al passato,
ai “vecchi” saloni anni ‘50 e ‘60 .
“Gli ultimi risultati sono incoraggianti, dopo la brusca caduta degli
ultimi cinque anni abbiamo invertito
la rotta, abbiamo ripreso a risalire
ma troppo poco rispetto alle nostre
reali potenzialità. Sono convinto
che la nostra azienda potrebbe arrivare anche a cento milioni di euro
di fatturato ma per farlo è necessario investire ed è qui che troviamo
lo scoglio maggiore: oggi le banche
hanno il braccino corto, troppo corto.
Il sistema ci sta lasciando soli, dobbiamo contare solo sulle nostre forze
e risorse. Oltre al momento delicato
dell’economia la nostra azienda ha
dovuto affrontare negli ultimi anni
anche il nuovo assetto societario,
con la liquidazione agli eredi delle
quote appartenute a mio fratello Edi,
scomparso nel 2001, e non è stata
una passeggiata. D’altra parte l’alternativa era fare entrare tra i soci la
famiglia Burani (quelli del marchio
di moda Mariella Burani) al tempo
interessata all’acquisto delle quote
di Edi, ma io e Guido l’abbiamo impedito, con mille sacrifici. Un passo
importante che dovrebbe dimostrare
quanto la famiglia Maletti abbia ancora a cuore l’azienda. Ma questo
evidentemente non basta”.
Classe 1951 Danilo Maletti ha oggi
63 anni, migliaia di ore d’aereo sulle
spalle, anche perché come si fa a seguire i mercati del mondo standosene comodamente seduto nell’ufficio
di Fellegara? “Purtroppo è così, nel
mese d’agosto mentre la maggior
parte delle persone si godeva le vacanze io mi sono fatto migliaia di chilometri in Brasile, in lungo e in largo,
a cercare opportunità di business. Se
ti fermi sei perduto”. Ma le energie
ci sono ancora? E poi dopo di lui chi
ci sarà? Domande legittime alle quali
lui non si sottrae: “Mi sento ancora
forte, anche se il morale per le ragioni espresse non è al massimo. Beh,
dopo di me, dopo Guido, ci sono i
nostri figli, confidando che possano
operare in un paese migliore”.
Rimane giusto il tempo per toccare
l’argomento che qualche settimana
fa ha portato la ditta Maletti sulle
prime pagine dei giornali, ossia la
questione legata alla richiesta di aumento di salari e stipendi negata per
disaccordi con il sindacato. “Quello
che risulta inaccettabile della proposta del sindacato è riconoscere
l’aumento in busta paga ai lavoratori a prescindere dalla loro resa
produttiva, a prescindere dal loro
attaccamento all’azienda, dalla loro
professionalità, dalla loro preparazione, dalla loro dedizione al lavoro.
Perché dovrei riconoscere l’aumento
a chi da gennaio ad oggi ha prodotto
migliaia di ore di assenteismo? Se
posso vorrei premiare chi lo merita.
Meritocrazia, questa è la parola che
vorrei aleggiasse negli ambienti di
lavoro della mia azienda”.
Ha gli occhi lucidi Danilo Maletti, ha
parlato con il cuore, che divide con
l’azienda e i suoi collaboratori. Alla
fine della chiacchierata ci salutiamo
e lui rimane però seduto dietro la sua
scrivania, con l’espressione grintosa
di chi non molla e va avanti. Da oggi
lui ha una persona in più che lo comprende e lo stima!
(Roberto Caroli)
Andamento del settore 2005/2013
Conto Economico
AGV
Salon Habitat
Gamma
Male/ 0onsoli2ato 3on estero
Pietranera
BMP srl
31-12-2013
6.480.434
9.383.092
10.000.000
33.660.200
6.320.989
2.431.906
31/12/2012
7.714.754
11.073.957
10.405.647
35.097.325
7.060.440
2.832.778
31/12/2011
10.710.415
12.256.918
10.656.471
33.659.264
8.646.280
3.035.303
31/12/2010
12.681.013
11.466.519
11.019.132
34.426.424
9.223.967
3.456.818
31/12/2009
13.568.562
10.234.958
10.619.185
33.999.290
9.167.834
AGV 25000000,0 31‐12‐2007
31‐12‐2006
21.663.263
10.514.177
14.557.809
40.948.862
10.959.134
21.093.076
9.080.487
13.799.250
36.359.497
7.256.364
31‐12‐2005
20.110.146
8.694.536
13.907.876
30.965.659
7.134.188
GRUPPO MALETTI 21663263,0 42.151.432 45000000,0 40000000,0 34.426.424 35000000,0 36359497,0 30000000,0 33.659.264 25000000,0 40948862,0 20000000,0 35.097.325 33.999.290 30965659,0 15000000,0 10000000,0 5000000,0 33660200,0 ‐ Innovazione ceramica
per l’arredo urbano
20110146,0 20000000,0 15000000,0 17.805.992 21093076,0 13.568.562 10000000,0 6480434,0 5000000,0 31/12/2008
17.805.992
10.750.404
13.093.959
42.151.432
10.816.051
10.710.415 7.714.754 12.681.013 ‐ AGV Male1 2on5oli7ato 9on e5tero Series1 Series2 Series3 Series4 Series6 Series7 Series8 Series9 Series5 Series1 Series2 Series3 Series4 Series5 Series6 Series7 Series8 Series9 13
RUBRICHE
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
Fardelli d’Italia
Il TFR in aniticipo, l’ennesima fesseria della politica degli annunci
C
he la considerazione degli italiani nei confronti dei politici
sia ai minimi storici, è cosa nota:
eppure testardamente continuano
a confermare che hanno ragione
a non stimarli. Ad esempio, è di
questi giorni una trovata geniale
del Governo: stanno pensando di
mettere in busta paga per uno o tre
anni (questo non è stato deciso) la
metà del TFR, Trattamento di Fine
Rapporto, maturato da ogni lavoratore annualmente. Il tutto, allo
scopo di far avere più soldi agli
italiani, così potrebbero ripartire –
secondo le intenzioni governative
– i consumi. Questa è una fesseria
che nessuno direbbe nemmeno al
Bar Sport, e per molte ragioni. In
primo luogo, il Governo farebbe
avere agli italiani più soldi dando
loro quelli che già sono di loro
proprietà: in pratica, gli italiani farebbero ripartire i consumi grazie a
loro stessi, non grazie al Governo,
come sarebbe suo compito (e poi
ti meravigli se aumentano coloro
che sono convinti che il Governo
si inventi queste soluzioni perché
non sa cosa fare). In secondo luogo, il Governo si arrogherebbe con
un atto d’imperio da fazenderos
sudamericani il diritto di disporre
di soldi di proprietà dei lavoratori.
In terzo luogo, anticipare parte del
TFR (o liquidazione, come è detto comunemente) significherebbe
non darlo poi al lavoratore al momento dovuto, quindi il lavoratore
si vedrebbe depauperato di una
parte del danaro che gli spetterebbe. In quarto luogo, non è detto
che, anche se dessero ai lavoratori
una parte del TFR, essi la spenderebbero: si veda l’esperienza fatta
con gli 80 Euro, che i lavoratori si
sono messi in tasca senza spenderli. In quinto luogo, le aziende non
hanno in cassa i soldi che dovrebbero dare con questo anticipo di
TFR: dubito infatti che esista una
sola impresa che abbia un conto in
cui abbia fatto confluire nel tempo
gli accantonamenti a favore dei
propri dipendenti in previsione
della cessazione del rapporto di
lavoro. In sesto luogo, nelle Piccole e Medie Imprese, PMI, sotto
i 50 dipendenti, dopo la riforma
del 2006 il TFR resta in azienda
tranne che per i lavoratori che hanno scelto di farlo confluire in un
fondo pensioni (una esigua minoranza). Ebbene, il totale dei TFR
accumulati ogni anno dagli italiani
vale 24 miliardi di Euro, di cui il
40% riguarda le PMI sotto i 50
dipendenti, cioè 9,6 miliardi. La
proposta del Governo di mettere in
busta paga il 50% di questa somma implicherebbe che le Piccole e
Medie Imprese dovrebbero subire
un salasso di 4,8 miliardi di Euro,
una somma che non hanno. In settimo luogo, nessuno ha detto come
questa somma andrebbe tassata; in
ogni caso, l’aumentata retribuzione manderebbe molti lavoratori in
una fascia di imposta superiore a
quella in cui era fino a quel momento; soprattutto, l’aliquota da
pagare sarebbe superiore rispetto a
quella cui è sottoposto il TFR, che
gode di un’aliquota ridotta. Ciò
genererebbe per lo Stato un’entrata supplementare in termini fiscali: così, i lavoratori riceverebbero
meno danaro di quel che loro spetterebbe perché ci devono pagare
più imposte e lo Stato incasserebbe
più danaro di quello che avrebbe
diritto ad avere. In ottavo luogo,
gli italiani non sono fessi: anche
se non sono degli economisti, san-
no benissimo che spendere oggi
quel che si dovrà ricevere domani
farà non solo avere meno danaro
domani, ma significherà continuare a fare gli interessi dei politici:
infatti, il maggior flusso di danaro
agli italiani vedrebbe, come appena detto, un maggior flusso di imposte nelle casse dello Stato e ciò
sarebbe, come esperienza insegna,
un incentivo per i politici ad aumentare la spesa pubblica. E dire
che questa porcheria non è il parto della mente di qualche politico
al Governo in preda ad emozione
etilica: nel 2011 l’allora Ministro
dell’Economia Giulio Tremonti
fece studiare dai suoi tecnici la
possibilità di dare agli italiani parte
del TFR. Fortunatamente, l’ipotesi
abortì grazie ai dipendenti pubblici: essi infatti non percepiscono a
fine rapporto il TFR, ma il TFS,
Trattamento di Fine Servizio, che
consiste nell’80% dell’ultima retribuzione moltiplicato per gli anni
di servizio. Poiché fino al pensionamento non è possibile sapere né
quale sarà la retribuzione finale né
quindi il TFS, non era possibile
calcolare l’ammontare del 50%
dello stesso e tutto finì lì. In sintesi: si ha sensazione che questo
Governo abbia abbracciato la regola del “caricate – fuoco – puntate”: hanno un’idea, la dichiarano,
poi controllano se è praticabile. Il
timore è che non solo non hanno
la minima idea di cosa sia la vita
di tutti i giorni, ma che soprattut-
to siano pessimi giudici delle loro
proposte, presi come sono dalla
fregola di comunicarle. Insomma,
sono proprio dei Fardelli d’Italia.
A loro beneficio, che probabilmente lo ignorano, racconterò in poche
parole cosa è il TFR. Nacque col
XVII Disposto della Carta del
Lavoro pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale del 30 aprile 1927 e fu
un provvedimento clamoroso, che
mise l’Italia all’avanguardia tra i
paesi più avanzati per legislazione sociale. Il TFR era stato voluto
personalmente da Mussolini, che
aveva una pessima considerazione degli italiani (“Governare gli
italiani non è difficile: è inutile”,
diceva). Egli pensava che se ogni
lavoratore avesse ricevuto ogni
mese tutto quanto gli spettava,
giunto alla vecchiaia non avrebbe
avuto nemmeno un soldo da parte.
Per questo motivo decise di far accantonare l’8,3% di ogni retribuzione mensile: in tal modo sarebbe
stato messo da parte un gruzzoletto pari a una mensilità per ogni
anno lavorato. Grazie anche al fatto che all’epoca si entrava a lavorare in una fabbrica a 14 anni e ci
si restava fino a 65, sarebbe stato
messo da parte un capitale con cui
il lavoratore avrebbe potuto comprarsi la casa. Questi, invece, sono
dilettanti allo sbaraglio, al massimo sanno proporre il gelatiere che
serve panna e crema al Presidente
del Consiglio.
(Sting)
Le automobili con gli occhi a mandorla
di Claudio Sorbo
Diamo un’occhiata al
mercato cinese dell’automobile. Nel 1997, cioè diciassette anni fa, in Cina circolava un milione di automobili, quasi tutte riservate ai papaveri del partito,
agli alti ufficiali dell’esercito e ai burocrati di Stato. Nel 2008 le auto, quasi tutte di privati, erano 51
milioni, diventati 83 nel 2013. Oggi, secondo una
suggestiva statistica fornita dal Ministero dell’Industria “in Cina si vende una automobile ogni 2
secondi”, cioè saranno venduti oltre 63 milioni di
auto che si andranno a sommare agli 83 milioni
circolanti nel 2013: al netto delle inevitabili rottamazioni, sarebbero comunque sempre almeno 130
milioni di auto circolanti, cioè circa 12 automobili
ogni 100 abitanti. È una percentuale ancora modesta rispetto ai 37 milioni di autovetture circolanti in
Italia nel 2012, cioè il 61 auto ogni 100 abitanti: un
numero inferiore solo a quello registrato in Lussemburgo (66) e in Islanda (64) ma superiore alla media
dell’Unione Europea (51 auto ogni 100 abitanti).
L’evoluzione dell’industria automobilistica cinese
ha seguito tre fasi storiche: l’autarchia, i cloni, le
automobili. L’autarchia: è consistita per oltre 60
anni nella produzione di auto cinesi, progettate da
cinesi, realizzate in Cina e destinate ai personaggi
di rango elevato dell’esercito, del partito, delle istituzioni: berline nere, enormi, poco pratiche, dalle
caratteristiche e dalle prestazioni ignote e prive di
mercato, realizzate da imprese dedicate (cioè, che
producevano solo quelle). Accanto, a partire dagli
anni ’70 e fino ai primi anni 2000 sono fiorire le
produzioni automobilistiche destinate ai privati. La
creatività cinese coniugata con l’inesperienza del
settore e con l’assoluto disinteresse per le aspettative del cliente portarono alla realizzazione di modelli deludenti e talvolta ridicoli. Ad esempio, nel
2004 fu realizzato un modello di auto a tre ruote,
due posti, 12 CV, un cilindro, 5 marce, che sembrava creato cento anni prima. L’imperativo era che
il cliente doveva spendere poco perché solo così
sarebbero state vendute molte auto, un magnifico
esempio di ignoranza di Marketing. Fu un fallimento commerciale: nessuno le comprava perché erano
poco pratiche, brutte, con prestazioni modestissime
e poco affidabili. A mano a mano che gli stipendi
crescevano, le vendite di quegli aborti calavano:
urgevano auto vere. I cloni: sotto questa spinta, nei
primi anni ’90 l’industria automobilistica cinese
pensò di passare ai cloni dei marchi più affermati. I cinesi, a differenza dei loro vicini giapponesi,
non hanno scelto strategicamente di clonare i prodotti occidentali per acquisire know how saltando
la Ricerca e Sviluppo che era alle loro spalle: non
essendo capaci di far niente (erano privi di cultura
meccanica), hanno bovinamente copiato i modelli
europei di maggior successo per creare una sorta
di legittimità di mercato. Per farlo, hanno soprattutto, aggirato le normative a protezione del marchio: ecco la Byd, con marchio circolare bianco
e azzurro come la BMW ma non diviso in quattro
spicchi bensì solo in due; la Mazda che diventa
HASMA e il suo marchio, simile a un uccello con
le ali aperte verso l’alto, diventa un uccello con le
ali spiegate; la Toyota con nel clone cinese tre righe orizzontali e parallele in luogo di quella a mezzaluna. La BMW, irritata non solo per il marchio
contraffatto ma anche perché esso compariva su
un clone del suo modello X6, ha citato in giudizio
il produttore cinese: naturalmente la causa è stata
discussa in Cina, davanti a una corte cinese, con
giudici cinesi e secondo le leggi cinesi. Risultato?
La BMW ha perso. Insieme ai marchi sono stati clonati i modelli: dal 2005 al 2010 l’industria cinese
di è sbizzarrita nel copiare la Mini, alcune Volvo,
la KIA, persino la Infiniti. Nel frattempo sono emersi marchi cinesi come la Gonow e la Great Wall
(Grande Muraglia) che sono sbarcati timidamente
in Europa con SUV di prima generazione: alti consumi, basse prestazioni, poco look, prezzo eccessivo rispetto alla qualità percepita, difficoltà nell’assistenza tecnica. Oggi la tentazione del clone non
è ancora morta: La Martin Motors ha proposto al
mercato europeo la Bubble (bolla), il clone della
Smart. Climatizzatore, autoradio e cerchi in lega
la proporrebbero come alternativa alla Smart: purtroppo il prezzo di € 11.500,00, pari a quello di una
Smart col cambio automatico, la taglia fuori dalla competizione. Insomma, quanto ad automobili i
cinesi sono ancora nella fase pionieristica: cloni,
ignoranza del Marketing automobilistico, assenza
di immagine, bassa qualità, prezzi medio alti, assistenza tecnica precaria, comunicazione povera o
assente e soprattutto mancanza dei requisiti di sicurezza cui siamo abituati e che sono imposti dalle
nostre normative, sideralmente lontane da quelle
cinesi (se e quando esistono): tutto ciò rende oggi
il prodotto del Celeste Impero poco interessante. Le
automobili: la Cina è già un mercato per i produttori occidentali, americani, giapponesi e coreani.
È il primo mercato mondiale per la Volkswagen, la
General Motors dal 2010 vi vende più auto che negli Stati Uniti, Audi e Mercedes vi hanno costruito
stabilimenti dedicati al mercato locale, la BMW vi
esporta con regolarità e la Ferrari nel 2013 vi ha
venduto 2.000 esemplari. Il risultato? I produttori
cinesi hanno meno del 50% del mercato domestico. Essendone consapevoli, stanno migliorando il
prodotto dedicato al cliente nazionale (che farà
da collaudatore pagante, come abbiamo fatto noi
italiani per generazioni con la FIAT. Soprattutto
si sono buttati sull’auto elettrica, un settore cui gli
occidentali e i giapponesi hanno sempre dedicato
svogliate attenzioni. Così, la Byd, uno dei primi
produttori di batterie al litio, ha raggiunto un accordo con la Mercedes per produrre auto elettriche.
Le previsioni dicono che entro 10 anni il mercato
interno cinese sarà saturo e la qualità delle sue
auto sarà molto migliorata. Risultato? Tra 10 anni
compreremo tutti auto cinesi.
anno 6 numero 148 / 11 Ottobre 2014
15
RUBRICHE
Stelle & Strisce
Glu USA e il razzismo/2: parità non compiuta, ma molto si è fatto
Schiavitù, discriminazione, segregazione razziale: termini
fortunatamente sconosciuti a
noi italiani. Gli Stati Uniti, invece, tranne che per la schiavitù
ne sono ancora vittime, come
dimostrano i disordini razziali
che ogni tanto esplodono nei
quartieri poveri delle loro metropoli. Quante volte abbiamo
sentito pronunciare queste parole? Innumerevoli. Ebbene, è una
fesseria. O meglio, è uno dei tanti
luoghi comuni che circolano su
quel paese: nel numero scorso vi
abbiamo raccontato cosa è accaduto fino al 1865, quando il 13°
Emendamento ha abolito la
schiavitù in tutti gli Stati Uniti,
oggi vi raccontiamo cosa è successo fino ai giorni nostri. Nascono ovviamente le resistenze al 13°
Emendamento: anche se il 14°
Emendamento del 1868 vieta la
discriminazione razziale e il 15°
del 1870 vieta discriminazioni nel
voto maschile (le donne voteranno solo dopo il 1920), molti Stati
del Sud si inventano leggi che di
fatto discriminano le persone di
colore: la Louisiana Poll Tax impone una tassa a chi vuole votare
(così i neri, che in gran parte non
avevano danaro, non votavano),
in North Carolina e in Virginia
potevano votare solo coloro che
superavano i test di alfabetizzazione (la maggior parte dei neri,
essendo analfabeti, non votavano)
e una norma bizzarra della Georgia stabilì che i neri il cui nonno
fosse stato schiavo non potevano
votare: in tutto lo Stato, di 130.000
persone di colore, nel 1876 votarono in 5.000. Così, dopo l’abolizione della schiavitù, paradossalmente
il
problema
della
segregazione razziale si aggravò e
la pacificazione del paese dopo i
massacri della Guerra di Secessione fu più faticosa del previsto;
inoltre, l’esplosione della Rivoluzione Industriale anche nel Sud,
ormai non più solo agricolo e cotoniero, fece capire che la manodopera di colore non era sufficiente a far fronte alle nuove
esigenze: si impose l’importazione di manodopera dall’Europa.
Ciò fu visto al Sud come un nuovo problema razziale e il disagio
sociale che ne derivò fece emergere il peggiore razzismo: proprio
al Sud, a Pulaski, nel Tennessee,
era nato nel 1865 il Ku Klux
Klan, un’organizzazione caritatevole di reduci della Guerra di Secessione che aiutavano le vedove
e gli orfani dei caduti. Verso la
fine del secolo, questi nobili intenti furono sostituiti da altri molto meno nobili: creare ostacoli a
ogni norma che consentisse il diritto di voto ai neri, sostenere
principi razzisti che propugnassero la superiorità della razza bianca, promuovere azioni nei Parlamenti degli Stati del Sud contro
leggi che equiparassero i neri ai
bianchi. Il KKK riscosse consensi
al Sud, dove la presenza dei neri
era più massiccia e molto meno al
Nord. Iniziarono gli omicidi, le
violenze, soprattutto gli stupri a
danno delle donne di colore, fino
a che il Presidente Ulysses Grant,
un ex militare già comandante
dell’esercito del Nord al tempo
della Guerra di Secessione, nel
1870 firmò il Klan Act e nel 1871
l’Enforcement Act, coi quali dichiarò illegale il KKK e autorizzò
l’uso della forza contro ogni sua
manifestazione. Il risultato: il
KKK fu eliminato fisicamente in
South Carolina e poche tracce ne
rimasero negli altri Stati del Sud.
Nel 1882 le due leggi di Grant furono dichiarate incostituzionali
dalla Corte Suprema, ma ormai il
KKK non esisteva più. Rinacque
nel 1915, quando una breve crisi
economica convinse molti bianchi poveri che tutte le loro disgrazie erano causate dai neri, dagli
ebrei e dai banchieri, il leit motiv
che accompagna da sempre le
proteste degli ignoranti e le proposte dei demagoghi contro le
crisi economiche. Il massimo
esponente storico del KKK fu un
certo William Joseph Simmons,
persona discutibile e discussa: a
differenza del primo KKK, che
non aveva fini di lucro ma solo
scopi caritativi ed era politicamente composto solo da democratici, Simmons lo strutturò intorno al fund raising, la raccolta
di danaro. Inoltre, il suo KKK era
composto quasi tutto da repubblicani, spesso influenti e con entrature alla Casa Bianca. Negli anni
’20 e ’30 del secolo scorso,
sull’onda della Grande Depressione nacquero piccole unità operative locali del KKK che effettuavano raid locali, soprattutto
nelle cittadine di provincia del
Sud, con violenze, stupri e incendi di proprietà di neri. La divisa
dei membri era una tunica bianca
con cappuccio; poco prima di
ogni azione essi davano fuoco a
una grande croce in modo che la
loro presenza fosse notata da lontano e spaventasse la gente di colore. Negli anni ’30 da una costola
del KKK nacque la Black Legion,
una frazione ispirata alle camice
nere fasciste: era specializzata nei
pestaggi e negli omicidi di individui bianchi e neri sospettati di
simpatizzare per i socialisti o per i
comunisti. Le violenze della
Black Legion alienarono il consenso al KKK, che, anche sotto la
spinta patriottica della Seconda
Guerra Mondiale, nel 1944 fu
sciolto. Dopo la guerra fu ricostituito e tuttora esiste: dei sei milioni del 1924, oggi aderiscono al
movimento circa 5.000 persone,
suddivise in tre organizzazioni, di
cui una proclama l’amore tra gli
esseri umani. Oggi gli ideali discriminatori del KKK, intrisi di
nazismo, razzismo, antisemitismo, anticomunismo e pure anticattolicesimo sono definitivamen-
Martin Luther King
te tramontati e ne è scomparso
pure il ricordo. Per gli esegeti, Ku
Klux Klan deriverebbe dal greco
antico, κύκλος, Kìklos, circolo,
gruppo. “Klan” viene dal gaelico
“Clann”, aggregazione di persone
unite da parentela o con interessi
comuni. Nonostante i tentativi di
pacificazione, a partire dai primi
anni del ‘900 la divisione tra bianchi e neri diventa sempre più netta: ristoranti, bar, scuole, università, alberghi (citati sul famoso
Green Book for Negro Motorists,
la Guida Michelin per neri, edita
fino al 1964) sono nettamente divisi in base al colore della pelle.
Persino la sanità è separata, con
aspetti anche ridicoli: dopo il
1901, data della scoperta dei
gruppi sanguigni, gli ospedali cominciarono ad avere scorte di
sangue per le trasfusioni. Ebbene,
negli ospedali per neri si conservava il sangue donato dai neri per
i neri e lo stesso accadeva negli
ospedali per i bianchi: il tutto, pur
essendo i gruppi sanguigni identici. Infine, esplosero le reazioni
dei neri contro queste forme ormai vistosamente ingiuste di discriminazione e segregazione: i
neri andavano bene solo per morire sui campi di battaglia e per
trionfare sulle piste di atletica, ma
non per frequentare le scuole dei
bianchi. Le proteste più efficaci
furono quelle non violente: nel
1953 a Linda Brown, alunna di
terza elementare di Topeka, Kansas, fu negata l’iscrizione a una
scuola elementare per bianchi. Il
padre, Oliver Brown, fece causa
al Ministero della Pubblica Istruzione. La causa arrivò sino alla
Corte Suprema, che gli diede ragione e Linda andò a scuola coi
bianchi. Fu la prima crepa nella
diga delle resistenze dei bianchi:
nel 1957 a Little Rock, Arkansas,
nove studenti di colore, sei femmine e tre maschi, forti della sentenza della Corte Suprema nel
caso di Linda Brown, si iscrissero
a un liceo per bianchi. La Polizia
locale, a conoscenza della sentenza, li scortò per farli entrare a
scuola. Scattò un braccio di ferro
tra le autorità: il Governatore intimò alla Guardia Nazionale di impedire alla Polizia di scortare i
nove, ma il Presidente degli Stati
Uniti, Eisenhower, mandò l’esercito per impedire alla Guardia
Nazionale di bloccare la Polizia,
così i nove poterono frequentare
la scuola. In mezzo, nel 1955, a
Montgomery, in Alabama, una
donna di colore di 41 anni, Rosa
Parks, si rifiutò provocatoriamente di cedere il posto a un bianco su
un autobus. Venne arrestata e la
comunità nera, che non aspettava
altro, entrò in sciopero: non prese
più l’autobus e andò a lavorare
grazie al car sharing, in cinque o
sei per auto. Mentre l’opinione
pubblica mondiale insorgeva contro la detenzione di Rosa Parks, lo
sciopero proseguì fino al fallimento della società degli autobus.
Nel 1964 il Presidente Johnson
emanò il Civil Right Act e nel
1965 il Voting Right Act che segnarono la fine della segregazione
e della discriminazione razziale.
L’ultima spallata alle differenze
razziali la darà il martirio di Martin Luther King nel 1968 e con lui
altri testimoni delle lotte per i diritti civili, tra cui Malcolm X, leader meno ricordato perché fortemente politicizzato. Anche se la
reale parità dei diritti tra bianchi e
neri non è ancora compiuta, buona parte della strada è stata percorsa. Nella battaglia fu decisivo
l’intervento delle donne di colore,
che qui vogliamo sottolineare: furono la parte silenziosa, dura, etica, indomita della resistenza ai
soprusi. Gli uomini rimasero,
come nel caso di Malcolm X,
spesso vittime di ideologie e di
conflitti tra loro. La parità dei diritti in U.S.A. è donna, anche se
ne usufruiscono anche gli uomini.
(Maple Leaf)
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