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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
numero 29 | 23 luglio 2014 |  2,00
EDITORIALE
SPARTIZIONI, CLIENTELE, PREBENDE
Magistratura, l’unico posto in Italia
dove la politica funziona alla grande
«I
o so», scrisse una volta Pasolini. E «io so» dovrebbero scrivere oggi
retori, scribi e farisei che sull’altare della giustizia hanno celebrato fortune buone per se stessi ma non per la collettività. Essi conoscono la verità. Potrebbero scriverla. Ma si guardano bene dal farlo. Perché?
Quale verità? Basti pensare al volo degli stracci in procura a Milano, tra capi, vice, alleati dell’uno e dell’altro procuratore, dentro e fuori il palazzo. O
a come vengono spartiti tra le correnti dell’Anm gli incarichi di vertice nelle procure. O alle modalità con cui magistrati diventano sindaci, parlamentari, ministri, presidenti di authority, manager statali di superlusso…
La verità che la magistratura è l’unico posto in Italia dove la politica – la
famosa, la famigerata, la iperbistrattata politica – funziona e funziona alla
grande. Cioè funziona secondo le migliori regole del potere, della clientela,
delle prebende e talora della corruzione. «Ma mentre contro gli uomini politici, tutti noi, cari colleghi della Stampa, abbiamo coraggio di parlare, perché in fondo gli uomini politici sono cinici, disponibili, pazienti, furbi, grandi incassatori, e conoscono un sia pur provinciale e grossolano “fair play”,
a proposito dei Magistrati tutti stiamo
zitti, civicamente e seriamente zitti. Un POTERE autosufficiente,
Perché? Ecco l’ultima atrocità da dire: autoreferenziale, ateO di
fatto, che si impone su tutto
perché abbiamo paura» (P. P. Pasolini,
e tutti. MA DOVE NON C’È DIO
Corriere della Sera, 28 settembre 1975).
NON C’È PIÙ NEANCHE GIUSTIZIA
Insomma, è alla giustizia (e questo
capita un po’ ovunque in Occidente) che oggi appartiene quella che in altri tempi – chessò, ai tempi dell’imperialismo – si sarebbe definita “spregiudicata politica di potenza”. Una magistratura autosufficiente, autoreferenziale, atea di fatto, che si impone su tutto e tutti. Davanti a tale egemonia il
Quarto Potere mendica, si inchina, struscia, mostra i denti a chi il padrone
ordina di mostrarli. Ma dove non c’è Dio non c’è più neanche l’uomo. Dove
non c’è misericordia, non c’è più neanche giustizia (né, tantomeno, buon
giornalismo). Prova ne sia che le società più arretrate, ingiuste e violente sono le stesse in cui la legge è (teoricamente) implacabile e, come nel più perfetto degli stati islamici, essa regola tutte le dimensioni della vita.
«Saziaci al mattino con la Tua grazia» ci fa invece recitare la Bibbia.
Pronunciare parole così già ossigena i polmoni. Già è una liberazione
dal plumbeo orizzonte della Legge. Ma è anche giusta sentenza sulla vita.
Mentre per ogni sentenza giudiziaria – anche la più perfetta in ordine al desiderio di giustizia – vale un’osservazione analoga a quella fatta dal grande
Wagner a proposito di una sua stessa composizione, L’anello del Nibelungo
(figuriamoci di una sentenza): «Con quest’opera avevo confessato a me stesso, pur senza rendermene esatto conto, il vero fondo delle cose umane; poiché una necessità tragica le pervade da un capo all’altro. La volontà che in
principio pensava di trasformare il mondo nel senso dei suoi desideri,
alla fine non trova più altra soluzione soddisfacente che di spezzare
il proprio voler vivere e di preparare il suo tramonto».
MINUTI
Questa spiaggia
sempre uguale
Vada, Livorno. Su questa stessa
spiaggia, vent’anni fa, uno dei figli a
un anno e mezzo, in una mattina di
inizio d’estate, per la prima volta vide il mare. E mi ricordo come fosse ieri che restò per qualche istante muto,
sbalordito; poi si voltò e ridendo, sui
suoi passi incerti, corse verso di me e
mi abbracciò, quasi grato di un immenso regalo. E io, meravigliata, che
gli dissi: «Guarda che non l’ho fatto
io, il mare…». E lui fra le mie braccia
pazzo di gioia: semplicemente perché
esisteva il mare.
Su questa stessa spiaggia poi i nostri
figli negli anni han costruito innumerevoli castelli di sabbia, e torri merlate, e scavato fossati; e tutti sono stati
dalle onde e dai passi cancellati. Ma
sempre nuovi bambini scavano e riempiono i secchielli; poi a sera i bagnini e il mare annientano ogni cosa,
così come si cancella una lavagna.
E tutto è uguale, il profumo delle piadine e la sabbia fine che ti si incolla
addosso, e i coccodrilli di gomma; ma
il figlio che quel giorno scoprì il mare
ora ha vent’ anni, e una barba chiara
da garibaldino.
«Vedi, gli alberi sono, le case restano:
soltanto noi passiamo», dice un verso di Rilke che mi è caro. Da giovane
non lo sai; solo verso i cinquanta incominci a capire. È il mistero del tempo: di questa spiaggia sempre uguale
con gli ombrelloni blu, e i suoi bambini, e i suoi infiniti effimeri castelli.
Marina Corradi
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SOMMARIO
08 PRIMALINEA THE “OBAMA DISCONNECT” | FERRARESI
NUMERO
numero 29 | 23 luglio 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
29
Perché nonostante
la ripresa economica
Barack Obama è ritenuto
dagli americani il peggior
presidente del dopoguerra
LA SETTIMANA
Minuti
Marina Corradi............................3
28 SOCIETÀ LA MAFIA E IL CAPPELLANO | AMICONE
Foglietto
Alfredo Mantovano...........7
L’ascia nel cuore
Emanuele Boffi....................... 21
Speciale Difesa
Truppe di terra...................... 38
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 47
Acta Martyrum
Leone Grotti................................. 52
Sport über alles
Fred Perri...........................................54
14 ESTERI L’IMPERIALISMO
DEI DOLLARI | CASADEI
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 55
Mischia ordinata
Annalisa Teggi........................58
RUBRICHE
22 INTERNI MILANO ERITREA | MICHELA
32 SOCIETÀ PERIFERIE. LE TOWNSHIP | BERETTA
Stili di vita.......................................... 46
Per Piacere....................................... 49
Motorpedia........................................50
Lettere al direttore...........54
Taz&Bao................................................56
Foto: Pete Souza/White House; Ap/LaPresse; Fotogramma; Lorella Beretta
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 20 – N. 29 dal 17 al 23 luglio 2014
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
IN COPERTINA: Pete Souza/White House
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò
FOTOLITO E STAMPA: Elcograf
Via Mondadori 15 – 37131 Verona
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FOGLIETTO
E PER ORA NEANCHE UN COMMA
Giustizia. La riformetta di
Renzi è come un’enciclica
intitolata “fate i bravi”
|
DI ALFREDO MANTOVANO
Foto: Ansa
C
verso, in perfetto stile renziano, si potrebbe dire “del
giudice è il fin la maraviglia”. Talora lo stupore supera i pur estesi confini dell’immaginazione, e l’effetto non è
una reazione all’insegna del “basta!”, bensì un’assuefazione tanto più rassegnata
quanto più enfatici sono i propositi di riforma della giustizia.
In pochi giorni, a proposito delle infusioni della Stamina Foundation, più giudici hanno deciso che: gli accertamenti
svolti dal ministero della Salute, valendosi di fior di consulenti scientifici, non valgono nulla; altrettanto inutili sono le motivazioni unanimi dei medici che finora
hanno rifiutato di praticare il “metodo”;
merita invece concreta
tutela l’azione “mediSUl caso Stamina i giudici PRETENDONO
ca” di persone prive di
DI SAPERE di medicina più dei medici. E
qualifiche professionail
TAR
DEL LAZIO DECIDE CHE NON SI BOCCIA
li, di iscrizioni ad albi e
UN ALUNNO DI LICEO CLASSICO SOLO PERCHÉ
perfino di studi che abbiano a che fare con la HA INSUFFICIENZE IN FISICA E MATEMATICA
sanità; e ciò nonostante che queste persone da altri uffici giudi- co e azzerati i criteri essenziali di garanziari siano indagate per associazione per zia della salute dei pazienti.
Nelle stesse ore, il Tar del Lazio ha acdelinquere finalizzata alla truffa e somcolto il ricorso dei genitori di uno studenministrazione di farmaci pericolosi.
Con tali presupposti, tribunali della te di liceo classico, bocciato perché ha riRepubblica – da ultimo, quello de L’Aqui- portato 3 in matematica, 4 in fisica e 3 in
la – impongono: la somministrazione del- storia dell’arte. La scuola ha torto perché
la “cura” Stamina; la formazione di equi- – questa è la motivazione del Tar – in un
pe mediche per provvedere all’infusione corso di studi classici matematica e fisica
nel paziente; la guida di tali equipe da non sono essenziali: il che, oltre a ignoraparte di soggetto non medico, e nemme- re che con la maturità classica ci si iscrive
no iscritto all’albo dei biologi; la messa a a ingegneria o a medicina, e le si può fredisposizione di strutture e personale sa- quentare con profitto, trascura che una
nitario da parte di ospedali pubblici. Con formazione completa permette di affronun solo provvedimento sono calpestate la tare qualsiasi successivo percorso univerdeontologia e la responsabilità del medi- sitario, perfino quello che porta a laurearambiando
In pochi giorni diversi giudici
hanno imposto l’applicazione
della “cura” Stamina, contro
il volere del ministero della
Salute e la libertà dei medici
che si rifiutano di proseguire
le infusioni a base di staminali
si in giurisprudenza (pure lì 2 + 2 = 4) e a
vincere il concorso in magistratura.
Per il caso Stamina i giudici sanno di
medicina più dei medici, per il liceo in
questione compilare la pagella passa per
la camera di consiglio più che per il consiglio dei docenti.
Queste mirabili pronunce sono emesse in nome del popolo italiano mentre il
governo, che del popolo italiano dovrebbe essere espressione, espone sulla giustizia le sue “linee-guida in dodici punti”,
con enfasi da scoperta del neutrone. Leggendo le “linee-guida” viene da chiedersi
– ci si perdoni l’analogia – come verrebbe accolto un documento del Papa in tema di pedofilia che avesse per titolo “Siate buoni”: e non solo per titolo, ma pure
per contenuto, esaurendolo per intero.
Ecco, i dodici punti Renzi sulla giustizia
sono l’equivalente politico-giudiziario di
una impossibile enciclica “fate i bravi”. A
distanza di quindici giorni dalla loro illustrazione non sono state seguite neanche
da un comma, giusto per dare una prima
idea di concretizzazione. Sarà anche per
questo che non provocano alcuna reazione imporre a un medico di fare da assistente a un non laureato per infusioni di
ciarpame in un povero paziente, o sostituirsi alle valutazioni di docenti dicendo
che matematica e fisica sono materie superflue. Quale era il verso da cambiare?
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Ha dato ai suoi fan tutto quello che chiedevano. Inclusi la ripresa
economica, il ritiro dai fronti di guerra, l’egualitarismo Lgbt. Eppure
oggi è il più disprezzato fra i presidenti americani. Ecco perché
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DA NEW YORK MATTIA FERRARESI
Il peggi
Indagine sopra l’abisso tra Obama e
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THE BARACK DISCONNECT
giore
a e la sua nazione
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le prese di posizione ideologiche, fumo
filosofico buono per le svolazzanti menti europee rimaste incastrate in qualche
altro secolo. Ai manifesti d’intenti preferiscono gli istogrammi; se ne fregano delle apparenze e vanno al sodo. Prendono
decisioni sulla base dei dati, non di convincimenti indebitamente universalizzati, e non hanno idee tradizionali abbastanza solide da non poter essere rimpiazzate
alla bisogna da surrogati più funzionali.
Si potrebbe andare avanti per ore a ingrossare l’antologia dei luoghi comuni intorno alla leggenda del pragmatismo americano. Poi si dà uno sguardo al rapporto fra
i risultati politici di un presidente e la sua
popolarità e tutti i luoghi comuni si squagliano immediatamente.
Lo strano caso di Barack Obama è
esemplare in questo senso: nei suoi sei
Foto: Sintesi/Photoshot
G
sono pragmatici. Giudicano dai risultati.
Si muovono per i soldi e
per altri benefici misurabili. L’efficienza è per loro
supremo criterio di scelta,
il calcolo fra costi e benefici un’arte che
è andata affinandosi nel tempo. Apprezzano i risultati sonanti, la certezza delle
statistiche, non si baloccano troppo con
li americani
THE BARACK DISCONNECT PRIMALINEA
Ronald Reagan
e la moglie Nancy
salutano prima di
decollare dal prato
della Casa Bianca
a bordo del Marine
One (aprile 1983)
Foto: Sintesi/Photoshot
Reagan è rimasto SCOLPITO nei cuori perché ambiva a
interpretare un ideale. C’erano tattica e compromessI,
eccome se c’erano, ma c’era anche la tensione ideale che
scalda i cuori e argina la dittatura del relativismo
anni di presidenza l’America è uscita da
una recessione che certo non era imputabile al presidente, l’economia si è lentamente ma stabilmente ripresa, i posti di
lavoro si sono rivisti, la borsa ha raggiunto i massimi storici; Obama ha chiuso un
fronte di guerra, quello iracheno, ed è in
procinto di portare a casa i suoi ragazzi
dall’Afghanistan, ha accuratamente evitato di mettere le mani in qualunque ipo-
tesi di conflitto si presentasse, ha tagliato
corto con la storia dell’America poliziotto
globale, figurarsi con quella dell’impero
del bene di George W. Bush che combatte l’asse del male. Ha fatto del disimpegno
internazionale e del pragmatismo domestico una filosofia di governo e di vita.
Ha dato all’America una riforma sanitaria che va nella direzione della copertura universale in stile europeo, ha alzato quanto poteva le tasse ai ricchi, i vermi che hanno scavato nella mela bacata del capitalismo, ha bacchettato banchieri e promosso una riforma del sistema finanziario che dovrebbe fare da argine contro le future tempeste. Non ha firmato una legge in favore del matrimonio
gay, ma più scaltramente ne ha vidimato
in pectore lo spirito, limitandosi a “evolvere” nelle sue convinzioni matrimoniali
mentre la macchina della giurisprudenza faceva rimbalzare ricorsi su fino alla
Corte suprema. Il presidente sulla battaglia Lgbt non ci ha messo l’autografo ma
ci ha messo il cappello, e non è poco in
una disputa cresciuta nell’alveo lincolniano dei diritti civili da conquistare, figura
postmoderna dello spirito dell’abolizionismo. Insomma, Obama ha fatto molto di
quello che, a sentire i bene informati, gli
americani chiedevano come un sol uomo
alla fine della presidenza Bush. Eppure i
sondaggi sulla popolarità relegano Obama all’ultimo posto della classifica dei
presidenti americani dal secondo dopoguerra a oggi.
Un sondaggio della Quinnipac University (vedi a pagina 12) dice che il 33 per
cento degli americani pensa che Obama
sia il peggiore presidente degli ultimi sessant’anni, anche peggio del suo odiatissi-
mo predecessore, fermo al 28 per cento,
largamente peggiore dell’infinitamente
deprecabile Richard Nixon e dell’imbelle Jimmy Carter. Per rendere la percezione ancora più amara per Obama, il sondaggio rivela che il più amato fra i presidenti da Truman in poi è nientemeno che
Ronald Reagan, più venerato di quanto
Obama è odiato (35 per cento). Più staccato nella classifica John Fitzgerald Kennedy, con il 15 per cento dei consensi.
Assecondando lo spirito del tempo
Obama ha dato al popolo quello che il
popolo chiedeva, sempre stando ai bene
informati, ha guidato o assecondato –
a seconda delle circostanze – lo Zeitgeist, con tutte le sbavature e le manchevolezze in cui necessariamente incorre chi
armeggia con la realtà extramentale, ma
tutto sommato il suo governo è andato
nella direzione che si proponeva. Perché
allora il giudizio popolare è tanto impietoso? Perché emerge quello che la Cnn
chiama “Obama disconnect”, l’asimmetria fra le non poche prove che Obama
potrebbe teoricamente esibire a suo vantaggio e l’impopolarità diffusa che invece
ne è venuta fuori?
Federico Rampini su Repubblica conclude una dettagliata analisi del fenomeno lasciando intendere in una riga che in
fondo la colpa è del capitalismo: l’economia si starà anche riprendendo, ma se ad
arricchirsi oltremisura sono sempre e solo
i ricchi che affamano la middle class – e
non potrebbe essere altrimenti, perché il
capitalismo è nato con la sindrome della
diseguaglianza, lo dice Thomas Piketty in
un libro che tutti hanno comprato e nessuno ha letto – che gusto c’è a crescere?
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PRIMALINEA THE BARACK DISCONNECT
George W. Bush
sulle rovine del
World Trade Center
di New York
con il pompiere
Bob Beckwith,
14 settembre 2001
I più e i meno amati dagli americani
Le belle visioni di una volta
Il giudizio equanime sull’operato presidenziale di norma arriva assieme alla
distanza storica, ma l’“Obama disconnect” contiene già nel presente chiavi
interpretative utili. Innanzitutto smonta l’idea del pragmatismo e del funzionalismo di andamento tecnocratico come
vettore dominante della percezione politica degli americani. Reagan certamente
ha dato contributi politici perimetrabili,
e in questi tempi di inconcludente polarizzazione politica, come si dice, un altro
luogo comune di sicuro successo consiste
nell’evocare nostalgicamente i bei tempi
andati in cui Reagan e il democratico speaker della Camera Tip O’Neill siglavano
ragionevoli compromessi politici davanti
a un drink. Sono giusto un filo meno citate le battaglie elettorali di Reagan prima
di agguantare la Casa Bianca, montate su
una piattaforma politica libertaria che
al confronto l’odierno Tea Party sembra
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3
2
3
15
John Kennedy
Lyndon Johnson
Gerald Ford
Jimmy Carter
28
33
Democratici
Dwight Eisenhower
Richard Nixon
2
4
5
Harry Truman
3
1
1
2
35
Ronald Reagan
George H. W. Bush
3
18
Bill Clinton
George W. Bush
1
8
Barack Obama
4
Nessuna risposta
Repubblicani
un’accozzaglia di figuranti in maschera, perché nella vulgata circola un’acuta
allergia all’idea che le proposte politiche
di natura identitaria possano avere presa
sul popolo. Reagan è rimasto scolpito nei
cuori degli americani perché ambiva a
interpretare un ideale. Su tasse, ruolo dello Stato, famiglia, vita, crescita economica, rapporto fra settore pubblico e privato, spesa pubblica, debito, politica estera,
ruolo dell’America nel mondo e via dicendo il reaganismo si rifaceva a una concezione del mondo tendenzialmente organica. C’erano la tattica e il compromesso,
eccome se c’erano, ma c’era anche la ten-
4
Fonte: Quinnipiac University
sione ideale, quella che scalda i cuori e
argina la dittatura del relativismo.
Discorso simile si può fare a parti
invertite per Kennedy, presidente che nella lista delle cose fatte ha il disastro della
Baia dei Porci e poco altro e che un omicidio cresciuto nel cuore della Guerra fredda ha proiettato dalla vita alla leggenda
senza passare dalla storia, ma era “inspiring”, come dicono gli americani. Lyndon
Johnson, che poi ha centrato alcune delle conquiste che Kennedy aveva in seno,
innanzitutto i diritti civili per gli afroamericani, è invece ricordato senza calore
e anzi con una punta di sospetto per quel
Foto: U.S. National Archives
Obama dovrebbe insomma rivoltare il
sistema come un calzino, inaugurare un
nuovo paradigma sociale ed economico,
allora sì che si potrebbero riporre le basi
per una nuova convivenza. E forse i sondaggi tornerebbero a sorridere.
0
1
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3
MIGLIORE
Obama HA MESSO FINE Alle
culture wars su famiglia
E SESSUALITÀ. MA IL popolo
non appare ANCORA pronto
al perfetto appiattimento
cerebrale sui dettami
della cultura liberal
PEGGIORE
Il sondaggio che ha incoronato l’attuale presidente come il peggiore dal dopoguerra
L’AMERICA NON ha visto la
forza ideale che OBAMA
aveva promesso, MA una
DISARTICOLATA congerie
di calcoli, cabotaggio,
isolazionismo
mascherato da “nation
building at home”, il
mito della ricostruzione
della patria dopo il
passaggio dell’Unno Bush
Foto: U.S. National Archives
suo modo obliquo e texano di negoziare
intorno a qualsiasi cosa. Il mondo di Bush
era invece il trionfo della “moral clarity”.
La patria declassata
Se l’America davvero preferisse il freddo problem solver al leader carismatico,
persino apocalittico – e vale sia in senso democratico che repubblicano – due
anni fa avrebbe votato a mani basse Mitt
Romney, che aveva il portafogli, la mentalità, il physique du rôle e il sorriso finto ed efficiente dell’amministratore delegato della nazione da ristrutturare. Avrebbe potuto fare una perfetta due diligence
e un nuovo business plan. Obama a quel
punto era debole, ma era ancora “inspiring”. E l’America è pur sempre il “progetto della modernità”, come dice lo storico Stanley Hauerwas, unico esperimento insieme liberale e puritano che non
nasce dall’opposizione con una cultura
precedente ma interpreta la sua vocazione in senso assertivo, e questo esperimento non può che nutrirsi di ideali. I presidenti che vi rinunciano sono condannati a un serafico oblio, quelli che li evocano per poi abbandonarli, sottomettendoli
alla logica della convenienza, guadagnano l’attivo disprezzo.
La pena in questione è appunto il
“disconnect”, lo scollamento fra le conquiste e la percezione, fra l’ideale e la
sua interpretazione fattiva. L’America, a
quanto pare, non desiderava altro che
la ripresa economica, la fine delle guerre e il trionfo dell’ideologia egalitaria in
fatto di gender e coppia, e da Obama ha
ottenuto risultati tangibili in questo senso. Ma non ha visto muoversi la forza ideale che il comandante in capo aveva promesso. Ha visto una disarticolata congerie di calcoli, molto cabotaggio, isolazionismo mascherato da “nation building at home”, il mito della ricostruzio-
ne della patria dopo il passaggio dell’Unno Bush, ha visto il proprio paese e i propri ideali ritirarsi dietro le quinte di un
ordine mondiale multipolare, con l’America declassata da “città sulla collina” a
cui guardano tutte le nazioni a potenza
fra le potenze. E almeno un pezzo d’America ha visto svanire o svuotarsi di significato quelle forme sociali e culturali che
erano parte integrante del modo in cui il
popolo concepiva e interpretava se stesso.
L’inquietudine della nuova era
Obama può essere considerato il curatore fallimentare delle “culture wars” americane su sessualità, famiglia e altri conflitti limitrofi trattati come materia di
diritti civili, dunque verità di tipo selfevident confermata dalla lettera della
Costituzione, ma questo non può non
generare un’inquietudine in un popolo
che ancora non appare pronto al perfetto e simultaneo appiattimento cerebrale sui dettami della cultura liberal. I sondaggi che lo vogliono peggiore presidente americano dal dopoguerra, a dispetto
degli “accomplishment” da esibire come
sintesi di una nuova era, non sono che il
riflesso dell’inquietudine da disconnessione obamiana. n
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ESTERI
VALUTA NON NEGOZIABILE
La prepotenza
del dollaro
La sentenza di New York che minaccia di far fallire
di nuovo l’Argentina e la multa record inflitta a Bnp
per aver fatto affari con paesi nemici di Washington
chiariscono bene cosa intende la Casa Bianca quando
parla di soft power. Alla faccia della svolta multipolare
|
DI RODOLFO CASADEI
ESTERI VALUTA NON NEGOZIABILE
U
longa manus dei giudici americani e sulla
n giudice di New York sentenzia che il governo argen- severità delle loro sentenze che non sulla
tino deve rimborsare inte- minaccia o sul fragore delle armi. Tuttavia
ressi e valore intero dei anche in questo caso la reazione è partita:
bond acquistati da alcuni come la strapotenza politico-militare amefondi speculativi che han- ricana ha causato la reazione dei jihadisti
no rifiutato l’accordo concluso da Buenos invidiosi, così l’egemonia giuridico-finanAires coi creditori che detengono il 92,4 ziaria made in Usa sta suscitando schieper cento del suo debito ristrutturato, e re di avversari e alleati irritati che dalche nel frattempo non può versare a que- le parole cercano di passare ai fatti. Semsti ultimi neanche un dollaro, anche se pre più governi e sempre più privati cercaquesto dovesse causare il default del paese no modi per fare a meno del dollaro nelle
per la seconda volta in tredici anni. La pre- transazioni e delle piazze finanziarie amesidente Cristina Kirchner e i suoi ministri ricane per l’emissione di titoli.
strillano e si dimenano, i creditori europei
si chiedono che cosa c’entrino loro che i I diritti degli speculatori
bond ristrutturati li avevano sottoscritti in La sentenza del giudice Thomas Griesa sui
euro, ma la Corte suprema americana sta- bond argentini, avallata da due corti d’apbilisce che è giusto così.
pello e infine da quella suprema, è discuUna task force di enti americani com- tibile di suo. Martin Wolf, commentatoposta dal Department of Justice, l’Offi- re di punta del Financial Times, l’ha defice of Foreign Assets Control del ministe- nita «estorsione sponsorizzata dal sistero del Tesoro, il Department of Financial ma giudiziario Usa». Le autorità argenServices di New York e l’ufficio del pro- tine hanno fatto inserzioni sui giornali
curatore di Manhattan stabilisce che la di mezzo mondo per far sapere che essa
banca francese Bnp Paribas deve paga- vìola il diritto internazionale e il prinre 8,9 miliardi di dollari di sanzioni, la cipio di immunità sovrana. In base a
più pesante multa a un istituto di credi- un’interpretazione stravagante del printo di tutta la storia, sospendere le opera- cipio dell’uguale trattamento dei creditozioni in dollari di alcune sue filiali per un ri, il giudice ha stabilito che se l’Argentina
anno e licenziare una dozzina di dirigen- decideva di pagare gli interessi maturati
ti per la colpa di aver servito clienti che si ai creditori che nel 2005 e nel 2010 avevachiamano Sudan, Cuba e Iran, anche se le no accettato il concambio dei bond andaleggi francesi ed europee glielo permette- ti in default nel 2001 in ragione di 30 cenvano. La banca paga ed esegue
tesimi per 1 dollaro investisenza fiatare.
to inizialmente, allora doveLe più importanti banche
va contemporaneamente pagasvizzere, sempre molto risolure anche i creditori che non lo
MILIARDI
te quando si tratta di difendeavevano accettato, per il valore il segreto bancario dei loro
re pieno del titolo e degli intela multa record comminata alla prima
clienti (a meno che il governo
ressi che essi pretendono. Ha
federale non disponga diver- banca di Francia, Bnp pure costretto le banche di
Paribas, per aver sersamente), impongono ai loro
New York che dovevano eseguivito Sudan, Cuba e
clienti di passaporto statunire l’operazione di pagamenIran, paesi sotto sanzioni negli Stati Uniti
tense di rivelare se hanno pento degli interessi dei creditori
ma non in Europa
denze col fisco del loro paese o
concordatari a rispedire i solse stanno cercando di evaderdi versati dal governo argentilo: iniziativa prudenziale per evitare mul- no al mittente. In buona sostanza, l’1 per
te e sanzioni delle autorità americane, che cento dei creditori (quelli che non hanno
già hanno colpito in passato.
accettato il concambio e hanno fatto cauLa sequenza degli avvenimenti lascia sa in tribunale), ha bloccato l’esecuzione
senza respiro. Quando, all’inizio del suo di un accordo approvato dai detentori del
primo mandato, Barack Obama afferma- 92,4 per cento del debito. E non si tratta di
va che con lui gli Stati Uniti avrebbero poveri diavoli che hanno perduto i risparfatto leva sul soft power molto di più che mi di una vita: i capofila dell’azione giudisull’hard power, a differenza dell’epoca ziaria sono Nml Capital e altri hedge fund
di G. W. Bush, tutti avevano pensato alle che hanno comprato i bond argentini
virtù intrinseche dell’ideale democratico dopo la bancarotta del 2001 sul mercato
e delle libertà americane. Forse adesso si secondario per pochi centesimi di dollaro.
capisce cosa intendeva dire: droni a par«Il fondo Nml di Paul Singer – ha scritte, per riaffermare l’egemonia america- to la presidenza argentina sui giornali –
na nel mondo Washington conta molto nel 2008 ha pagato 48,7 milioni di dollari
di più sull’universalità del dollaro, sulla per l’acquisto di titoli dichiarati in default.
La sentenza sui bond
argentini è STATA
DEFINITA dA MARTIN
WOLF SUL Financial
Times «estorsione
sponsorizzata
dalLA giuSTIZIA Usa»
8,9
16
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Oggi la sentenza del giudice Griesa gli
riconosce un guadagno in soli sei anni del
1.608 per cento, ossia pari a 832 milioni di
dollari». Se l’Argentina paga ai querelanti gli 1,5 miliardi di dollari che pretendono, poi dovrà pagarne 15 agli altri creditori non concordatari che non si erano rivolti al tribunale; e alla fine dovrà pagare 130
miliardi a tutti i creditori, perché nel contratto dei bond ristrutturati a 30 centesimi di dollaro sta scritto che il paese non
può offrire a nessun altro investitore condizioni migliori dei 30 centesimi pagati
ha chi ha accettato la ristrutturazione, a
meno che non le estenda a tutti. Se l’Argentina non fa nulla, alla fine di luglio
Foto: Sintesi/Photoshot
Oltre alle scelte del governo di Cristina
Kirchner, che hanno precipitato il paese in
una grave crisi di iperinflazione, l’Argentina
si vede ora penalizzata anche dalla giustizia
Usa, che con sentenze favorevoli agli hedge
fund creditori rischia di portare il costo del
rimborso dei bond a 130 miliardi di dollari
va in bancarotta e resta tagliata fuori dai
mercati finanziari internazionali.
Ma, si dirà, i 100 miliardi di debito
argentino andati in default nel 2001 erano stati sottoscritti in dollari attraverso
banche americane e i contratti facevano
riferimento alla legge statunitense: troppo tardi per lamentarsi. Però la sentenza
investe anche chi i bond ristrutturati li ha
trattati in euro sulla piazza di Londra con
contratti di diritto britannico. La sentenza di New York impedisce pagamenti che
avvengono fuori dalla giurisdizione americana, fra soggetti che americani non
sono. Detto in altre parole: i giudici statunitensi mettono in crisi i mercati finan-
ziari internazionali costringendoli a sottomettersi alla loro volontà. A ciò si aggiunga un’altra conseguenza di portata incalcolabile: d’ora in poi le ristrutturazioni
dei debiti sovrani falliti diventeranno difficilissime, perché i creditori non accetteranno più tagli del valore nominale dei
bond, in quanto possono sperare l’indennizzo pieno se si oppongono e fanno resistenza come nel caso americano.
L’interventismo giudiziario
L’altro caso che ha visto leggi e giudici
americani interferire in transazioni fra
banche e paesi stranieri operanti fuori dalla giurisdizione americana è quello che ha
riguardato Bnp Paribas. Per quanto si possano considerare moralmente e politicamente riprovevoli i servizi svolti da una
filiale svizzera di Bnp per i governi del
Sudan, dell’Iran e di Cuba fra il 2002 e il
2009, per un valore pari a circa 30 miliardi di dollari, essi non hanno violato nessuna legge europea né alcuna norma del
diritto internazionale. Però erano in contrasto con il sistema di sanzioni economiche vigente verso quei paesi negli Stati Uniti, e le operazioni finanziarie si sono
svolte in dollari. Tanto è bastato ai regolatori americani per intervenire pesantemente sulla prima banca di Francia. La
quale si è sottomessa in forza del princi|
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ESTERI VALUTA NON NEGOZIABILE
pio del male minore: se non avesse accet- raffineria di avvalersi del cambio giornatato la punizione draconiana comminata- liero fra dollaro ed euro ed effettuare il
le, Bnp sarebbe stata privata della licenza pagamento in quest’ultima valuta».
Il predominio finanziario americano,
per operare sul mercato americano e, in
pratica, per trattare dollari. L’equivalen- amplificato dall’interventismo internaziote della pena di morte: la banca avrebbe nale del suo sistema giudiziario, appadovuto chiudere i battenti. Il caso è ecce- re effettivamente sproporzionato anche
nel confronto con l’indubbia
zionale per l’entità della sanpotenza economica del paezione (pari a due anni circa di
se: il Pil degli Stati Uniti costiprofitti dell’istituto), ma per
tuisce il 20 per cento del totanulla isolato: negli ultimi cinle mondiale, ma il dollaro rapque anni gli Stati Uniti hanno
MILIARDI
presenta la valuta con cui viecomminato multe per motivi
il capitale iniziale
della “banca per lo
ne regolato l’87 per cento di
analoghi a quelli addotti per
sviluppo”, progettata
tutti gli scambi internazionaBnp a colossi finanziari stradai paesi Brics come
li, il 60 per cento delle risernieri come Hsbc (1,9 miliardi
prima istituzione
ve valutarie di tutte le banche
di dollari), Standard Chartered
intesa a sfidare l’egemonia del dollaro nel
centrali del mondo, e più del
(667 milioni), Ing (619), Credit
mercato del credito
50 per cento di tutti i prestiSuisse (536), Abn Amro (500),
ti internazionali. Per adesso,
Lloyds (350), Barclays (298).
Francesi, inglesi, olandesi, svizzeri: per le però, più che lamentarsi gli europei non
fanno. Diverso il caso dei paesi cosiddetautorità americane non fa differenza.
Una conseguenza di tutti questi casi ti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudaè che al tradizionale malumore dei pae- frica), che si concepiscono come potenziasi non occidentali verso quella che il sito li protagonisti di un mondo multipolare
internet della radio Voce della Russia defi- e per questo hanno iniziato, benché timidamente, a sfidare l’egemonisce «la dominazione finannia finanziaria occidentale in
ziaria americana» si sta somgenerale e americana in parmando quello di paesi alleaticolare. Per aggirare eventuati degli Stati Uniti e di operatori finanziari e commerciali
PER CENTO li sanzioni americane, a fine
giugno scorso due banche rusdei paesi dell’Unione Europea.
la quota di scambi
internazionali effetse hanno lanciato obbligazioChe moltiplicano gli appelli
tuata in dollari; un
ni in euro per un valore pari
a utilizzare divise diverse dal
predominio spropora 2 miliardi. Nell’Unione Eurodollaro per gli scambi interzionato rispetto al
pea sono state commercializnazionali e a utilizzare piazze
peso del Pil americano sul totale mondiazate da banche inglesi, franfinanziarie alternative a quelle (20 per cento)
cesi e di altri paesi. Ma le mosle americane per l’emissione
se più interessanti sono quelle
di debito sovrano. I più assertivi sono i francesi, scottati dalla multa che i Brics in generale e la Cina in particoa Bnp Paribas. «Noi europei vendiamo e lare stanno facendo per ridurre la centracompriamo fra noi aeroplani pagandoli lità del dollaro negli scambi internazionain dollari. È necessario? Credo di no», ha li e nel mercato del credito. Quando quedichiarato recentemente il ministro del- sto articolo sarà nelle mani dei lettori, si
le Finanze Michel Sapin. E il presidente di saprà probabilmente quale città ospiterà
Total aggiunge: «Il prezzo del barile è quo- la banca per lo sviluppo dei paesi Brics, la
tato in dollari, ma nulla impedisce a una prima istituzione permanente che il grup-
50
87
18
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po ha intenzione di creare. La riunione dei
Brics in Brasile aveva all’ordine del giorno
una decisione in merito, e Shanghai appariva come la favorita. Il capitale sociale iniziale dovrebbe essere di 50 miliardi di dollari, forniti in parti uguali dai cinque paesi, che intendono anche istituire un fondo
di emergenza per le crisi finanziarie del
valore di 100 miliardi di dollari (in questo caso la Cina da sola ne fornirebbe 41).
Oltre gli accordi di Bretton Woods
La Cina poi è decisissima a inaugurare
quanto prima una Banca asiatica per l’investimento nelle infrastrutture che rivaleggerebbe con la Bad, la Banca asiatica
per lo sviluppo di fatto controllata da giapponesi e americani (che detengono il 15,7
e il 15,6 per cento del capitale rispettivamente, contro il 5,47 per cento dei cinesi). La nuova banca, a maggioranza cinese,
partirebbe con un capitale di 100 miliardi di dollari (quello della Bad è di 165). Per
misurare le ambizioni di queste iniziative
si tenga presente che il capitale sociale del
gruppo della Banca mondiale è attualmente di 223 miliardi di dollari (190 dei quali appartenenti alla Banca internazionale
per la ricostruzione e lo sviluppo), che il
Fondo monetario internazionale dispone
di risorse per 215 miliardi di dollari, e che
il Meccanismo di stabilità europeo, pensato per affrontare una crisi di debito sovrano, può rendere disponibili a prestiti di
emergenza 500 miliardi di euro.
La riforma dei diritti di voto per nazione nelle istituzioni della Banca mondiale,
che li riequilibra a favore dei paesi emergenti, è bloccata dal Congresso americano. Nel frattempo si profilano all’orizzonte queste «alternative alle istituzioni che
formano l’ossatura del sistema finanziario
internazionale ereditato dagli accordi di
Bretton Woods, dominato dagli Stati Uniti», come scrive su Le Monde Sylvie Kauffmann. Ma la strada perché le alternative
diventino reali e serie è lunga. n
l’ascia
nel cuore
A
Romeo è stato assolto. Chi
è Alfredo Romeo?, si chiederà la
maggior parte dei lettori. E già
la domanda è significativa di come siano ridotte oggi l’informazione e la giustizia in Italia. Perché al medesimo quesito, la maggior parte dei lettori avrebbe
saputo dare un’indicazione, almeno approssimativa, sei anni fa, quando il volto
dell’imprenditore appariva sui maggiori
quotidiani e tg nazionali accanto a parole come «sistema», «lobby», «magnanapoli», «sultano», «cricca», «harem».
Sei anni dopo, dopo molti processi, dopo molte parcelle di avvocati pagate, dopo un suicidio – quello di Giorgio
Nugnes, assessore, travolto dall’inchiesta
“Global Service” –, dopo che la giunta di
centrosinistra di Rosa Russo Iervolino è
saltata a gambe all’aria, la Cassazione ha
annullato «senza rinvio» la condanna ricevuta dall’imprenditore napoletano in
appello con la formula «il fatto non sussiste». Dopo sei anni di processi – molti
posti di lavoro persi, molte articolesse di
giornale sul malaffare, sulla corruzione,
sugli affari illeciti napoletani – i giudici
hanno man mano assolto tutti i 23 imputati e hanno cassato tutti i 22 capi di imputazione. Scusate, non era vero niente.
Eppure, sei anni fa, le parole dei pm
che conducevano l’inchiesta e i titoli dei
giornali erano piuttosto assertivi. Si parlava di giri di milioni (300? 400?), di una
piovra e un sistema corruttivo impenetrabile, oscuro e tentacolare. Ecco, gli aggettivi. Come ha fatto giustamente notare il
Foglio, bisogna sempre diffidare delle inchieste che, quando ci vengono presentate dai magistrati e dai loro gazzettieri,
abbondano di aggettivi. I barocchismi servono a nascondere la mancanza di fatti.
Se non c’è la “ciccia” s’abbonda con la “cipria”. Se non ci sono le “prove”, si spinge l’acceleratore sulle “suggestioni”. In
fondo, è quello che cercano i giornali e
i giornalisti, ormai. Mica raccontare e verificare quel che è successo. Quel che fa
vendere è la “narrazione”, chissenefrega
del resto. Poi, se è buona, magari ci facciamo pure una fiction tv.
Intanto, però, Romeo s’è fatto 79 giorni di custodia cautelare da innocente.
L’allora giudice del riesame, un tale Luigi De Magistris, che oggi casualmente è
anche il sindaco di Napoli, gli negò i domiciliari.
Intanto, però, Giorgio Nugnes s’è tolto
la vita. Come si fa a rimediare a un suicidio? È giustizia questa? Il primo pensiero
lfredo
aspettando giustizia
Romeo, dopo sei anni
di processo, è innocente.
Ma solo per tre giorni
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DI EMANUELE BOFFI
La Cassazione ha annullato la condanna
in appello dell’imprenditore Alfredo Romeo,
travolto sei anni fa da un’inchiesta sugli
appalti del Comune di Napoli: «Il fatto non
sussiste». Romeo si fece 79 giorni di galera.
L’assessore Giorgio Nugnes si tolse la vita
di Romeo, quando è stato assolto, è stato proprio per Nugnes. In un’intervista al
Tempo s’è ricordato di lui, del «povero Nugnes e della sua famiglia». Ha anche detto che ci troviamo «di fronte a una sentenza storica, perché non si è mai visto che
22 reati venissero “cassati” dalla Suprema
Corte con la formula “il fatto non sussiste”. Non si tratta di un reato o due, ma di
decine di reati e 23 imputati, tutti assolti».
Sarà ovviamente solo una coincidenza, ma, solo tre giorni dopo l’assoluzione, la procura ha accusato l’imprenditore di peculato. La Guardia di finanza ha
sequestrato a una società di Romeo quasi 25 milioni di euro. Secondo i giudici,
Romeo si sarebbe indebitamente appropriato di somme di denaro del capoluogo campano.
Al sito thefrontpage.it, l’imprenditore
ha spiegato che, poiché il Comune doveva
alla sua società «una montagna di soldi»,
si è trovato un accordo col sindaco De Magistris. La società, dopo questi anni di marasma, rinuncia «ad azioni giudiziarie e
pignoramenti presso il Comune, si impegna nel piano di dismissione (con annunci del sindaco) e il Comune salda il debito
a rate, a partire anche dal recupero di denaro fatto dal Romeo. A un certo punto,
però, il Comune ci ripensa e smette di pagare le rate. Essendoci tra gli introiti e le
rate un vincolo negoziale, la società di Romeo, dopo opportune ingiunzioni, mette i soldi che incassa in un conto che non
tocca e chiede con un “accertamento negoziale” al giudice civile se quei soldi sono suoi o del Comune. «La Romeo Gestioni spa – secondo i legali – ha esposto i fatti
al giudice civile competente da 18 mesi
con cinque diversi atti di citazione, ora riuniti in un unico atto complessivo, pendente davanti al Tribunale delle imprese
per l’udienza del prossimo 30 settembre
2014. Mentre è attesa l’udienza del giudice civile, il giudice penale sequestra e accusa di peculato».
Ora, che deve fare Romeo? Aspettare
di nuovo giustizia, rientrare nel gorgo del
processo, ricominciare da capo? Lo può
fare con animo sereno? Lo si chieda a Silvio Scaglia. Il giudice che lo mise in galera è appena stato nominato al Csm.
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INTERNI
TRAFFICO UMANO
I Bastioni
di Porta Eritrea
Fuggono da un paese annientato da anni di folle dittatura.
Affrontano viaggi terrificanti per inseguire chissà quali
speranze. E quando non muoiono per strada si ritrovano
a Milano. Magari dopo mesi di stenti. Spesso soli e ormai
senza mete. Storie e voci da un esodo gigantesco e invisibile
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DI EMMANUELE MICHELA
| 23 luglio 2014 |
| Foto: Fotogramma
Da maggio a oggi
sono arrivati a Milano
circa 2.500 profughi
eritrei, per molti dei
quali la città è solo
una tappa di un
viaggio verso altri
paesi europei
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INTERNI TRAFFICO UMANO
24
| 23 luglio 2014 |
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JASMINE Forse andrà in Inghilterra, MA PER ORA Milano
le PARE Un paradiso. «DORMO in hotel», dice soddisfatta
riferendosi A UNo DEI dormitori OFFERTI dal Comune
È una sera qualsiasi di una settimana di inizio luglio: il caldo dell’estate non
morde ancora e la temperatura è godibile,
dai locali del vecchio Lazzaretto gronda il
vociare della movida milanese. La musica che arriva dai bar non attira però i giovani eritrei, che preferiscono attaccarsi
al ritmo gracchiante di una canzone araba, sparata a tutto volume dall’iPhone di
uno di loro: sono profughi ma non poveri, e per le mode tecnologiche si trovano
sempre i soldi. Tantissimi hanno telefoni all’ultima moda: un ragazzo lo usa per
chiamare a casa, altri due hanno le cuffie alle orecchie, in tanti girano durante
il giorno in cerca di wifi gratuite per con-
nettersi e guardare i propri profili Facebook. Attraverso internet poi si tengono
in contatto con qualche cugino che ha
già fatto il loro stesso viaggio e adesso li
aspetta nel Nord Europa.
Una camicia per tutti
Anche Simon non ha una vera e propria
meta, e tra i ragazzi fermi sui gradini dei
Bastioni è uno dei più tranquilli. Quattordici anni fa ha perso il padre in guerra, sua madre era scappata in Svizzera, a
Lugano, ma è morta anche lei per un cancro. È stanco e diffidente, non ha nessuno che lo aspetta in Scandinavia. Si accende però appena i volontari dei City Angels
Foto: Fotogramma
«N
Eritrea.
Never, never,
never». L’inglese di Jasmine
(nome di fantasia, come tutti
quelli degli altri profughi) è elementare
e suona duro all’orecchio, ma basta per
esprimere l’idea: nel suo paese la ragazza
africana non intende tornare. Sette mesi
fa se n’è andata di casa, non sa spiegare
con precisione il perché, ma la cosa non
sembra importarle nulla: nostalgia non
ce n’è, sebbene le sue giornate ora offrano ben poco e si riducano alla compagnia dei tanti connazionali che da qualche settimana hanno invaso Milano. Di
giorno girano per la città in cerca di qualcosa, alla sera tornano ai Bastioni di Porta
Venezia e si accampano in qualche maniera per trascorrere la notte, a centinaia. Un
fenomeno migratorio che da metà maggio a oggi si è intensificato spaventosamente, portando nel capoluogo lombardo
circa 2.500 eritrei. Arrivano in Libia, s’imbarcano per Lampedusa, risalgono l’Italia in treno e si fermano a Milano. Alcuni giorni nella città lombarda e poi via di
nuovo verso nord: Francia, Germania, Svezia e Norvegia.
Jasmine invece non pensa di partire:
non ha nessun parente da raggiungere
nel Nord, a differenza di altri connazionali. Forse andrà in Inghilterra, ma per ora
è più un sogno che un progetto. Nel frattempo se ne sta a Milano e le pare di stare in paradiso rispetto alla durezza di vita
del suo paese. Qui non dorme neanche
per strada: «Sono in un hotel», dice soddisfatta, riferendosi a quello che in realtà è uno dei dormitori messi a disposizione dal Comune. «A Milano in fin dei conti si sta bene: a Porta Venezia siamo in tanti e ci aiutiamo. E poi non lontano da qui
vivono diversi eritrei: sono arrivati anni fa
e hanno aperto bar o ristoranti. Per questo
ci siamo accampati in questa zona».
ever
PENNISI, ARCIVESCOVO DI MONREALE
«Il caos libico colpa dei francesi
Ci aiutino loro con i profughi»
Foto: Fotogramma
«L’operazione Mare Nostrum ha cercato di affrontare
un’emergenza, e in questo senso merita approvazione.
Però ha dei limiti. Qualcuno sostiene che questa modalità
d’intervento incoraggi altri profughi ad attraversare il
mare a rischio della vita, con le conseguenze tragiche
che si sono viste pochi giorni fa. Mi permetto di fare una
proposta provocatoria: tutti gli Stati europei, e soprattutto quelli che hanno creato questa situazione di insicurezza
in Libia a seguito del loro intervento militare, e faccio per
tutti il nome della Francia, partecipino a operazioni di
salvataggio in mare con le loro navi». Così parla monsignor
Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, uno dei vescovi
siciliani più impegnati nelle vicende degli sbarchi, in un’intervista che apparirà sullo speciale dedicato al Meeting di
Rimini in edicola con Tempi il 24 luglio.
Secondo il presule siciliano, che in agosto alla manifestazione riminese parlerà di “immigrazione e bisogno dell’altro”, occorre distinguere fra la dimensione emergenziale
del problema e le soluzioni a lungo termine, che riguardano
uno sviluppo economico più armonico per i paesi africani
e mediorientali. Per quanto riguarda l’emergenza, anche
gli altri paesi europei dovrebbero impegnarsi a soccorrere
in mare i migranti, ma la cosa migliore sarebbe «fare un
accordo con la Libia per selezionare le persone che hanno
diritto all’asilo quando ancora sono sul territorio libico. In
questo modo chi ha diritto all’asilo potrebbe da subito partire per Marsiglia, per Amsterdam, per Amburgo, senza
prima passare per i porti siciliani e i centri di accoglienza
italiani, o essere trasferito con ponti aerei».
Per quanto riguarda le soluzioni a lungo termine, Pennisi
invita a prendere esempio niente meno che dalla Cina: «Là
dove c’è la guerra la gente deve poter fuggire, però molti
scappano per la povertà. Allora c’è bisogno forti investimenti in quei paesi, come sta facendo ora la Cina in Africa.
L’Europa e l’Occidente dovrebbero prendere esempio».
si avvicinano a lui e gli offrono una camicia e una coperta. In pochi secondi è accerchiato da altri giovani africani, anche loro
in cerca di qualcosa di nuovo da mettersi.
Ha 22 anni Simon, e se n’è andato dall’Eritrea perché non vuole fare il servizio militare, una delle disgrazie più funeste del
paese. La dittatura di Asmara infatti impone a tutti i cittadini, uomini e donne, di
arruolarsi nell’esercito dopo aver compiuto i 16 anni: l’obbligo di leva sarebbe,
in teoria, di 18 mesi, di fatto può durare
anche 10 anni. Per sei mesi si segue l’addestramento, poi il servizio effettivo. I soldati vengono però utilizzati molto spesso
anche per altre mansioni, come costruire
strade o linee elettriche, e di fatto l’arruolamento è diventato un modo per controllare la popolazione. I giovani che indossano la divisa vengono chiamati “schiavi moderni”, le diserzioni sono frequenti.
Chi lo fa è costretto a fuggire, per gli obiettori di coscienza c’è solo il carcere.
È un dramma il presente dell’Eritrea. La dittatura folle di Isaias Afewerki
ha annullato ogni opposizione politica,
represso la libertà di stampa, privato tanti
giovani di una vita autonoma attraverso il
servizio militare obbligatorio. È per questo
che i ragazzi scappano a migliaia, andando incontro a viaggi eterni e maledettamente pericolosi. Il rapporto The Human
Trafficking Cycle: Sinai and Beyond pubblicato in Olanda dall’Università di Tillsburg
afferma che tra il 2007 e il 2012 fino a 30
mila persone nel Corno d’Africa sono state
coinvolte nel traffico di esseri umani: tra
i 5 e i 10 mila di questi non si sa che fine
abbiano fatto. Si sono persi tra il deserto e
il Mediterraneo, la spietatezza dei contrabbandieri e la violenza dei beduini che li
trasportano attraverso il Sahara.
Il 25 maggio i vescovi
cattolici dell’Eritrea hanno
denunciato con coraggio
le cause della «magmatica
fuga umana» che sta
svuotando il paese. «Se
la patria fosse uno spazio
dove regna la pace e
la libertà e non manca
il lavoro, non ci sarebbe
motivo per scegliere
la via dell’esilio e della
solitudine», hanno scritto
Di stagione in stagione la situazione
si fa sempre più angosciante, e anche la
Chiesa di recente ha alzato la voce contro
questa moria di giovani: lo scorso 25 maggio, per il 21esimo anniversario dell’indipendenza dell’Eritrea, i quattro vescovi cattolici delle diocesi del paese hanno
scritto una lunga lettera pastorale. “Dov’è
tuo fratello?” era il titolo, a ricordare le
parole che papa Francesco pronunciò a
Lampedusa all’indomani di una tragedia
che ebbe come vittime soprattutto eritrei.
«Fino a quando questa magmatica fuga
umana? Perché mai la durezza delle condizioni di vita nelle traversate del deserto e del mare, il peso finanziario che comportano, i rischi per la vita che si corrono, non riescono a convincere i giovani
a retrocedere da avventure, o meglio dire
disavventure, di queste proporzioni?».
Una terra desolata
La missiva è lunga venti pagine, e prende in esame tante piaghe dell’Eritrea. «Se
la patria fosse uno spazio dove regna la
pace e la libertà e dove non manca il lavoro, non ci sarebbe nessun motivo per scegliere la via dell’esilio, della solitudine
e delle difficoltà di ogni genere», affermano senza paura i presuli, preoccupati
dal progressivo disgregamento delle famiglie: «I componenti di ogni famiglia oggi
sono sparpagliati tra il servizio nazionale,
l’esercito, i centri di riabilitazione, le carceri, con gli anziani lasciati indietro senza nessuno che si prenda cura di loro. Tutto questo sta rendendo l’Eritrea una terra
desolata». Ma si parla anche delle prigioni e dei tanti detenuti in attesa di processo finiti dietro le sbarre spesso per ragioni politiche: «Il rispetto delle persone, della loro dignità e dei loro diritti è la pietra angolare della pace. L’assenza di tale
rispetto distrugge i fondamenti della pacifica convivenza umana. Per questo chiediamo la liberazione di quanti, arrestati,
ne sono in attesa da tempi più o meno
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INTERNI TRAFFICO UMANO
prolungati. Sia resa giustizia a quanti
sono detenuti senza le dovute norme di
legge, i dimenticati nelle prigioni».
Ad Asmara si soffoca, a Milano si prova a tirare il fiato, attendendo soldi e occasioni per andarsene altrove. «È una vera
emergenza quella dei profughi eritrei: le
prime settimane dopo i loro arrivi sono
state molto caotiche. Adesso finalmente siamo riusciti a organizzarci e in qualche maniera proviamo a venire incontro a
questa gente. Il problema è che sono tantissimi». Padre Berhane Ghebrekidan è un
connazionale di questi ragazzi, e a Milano ci vive da anni. La onlus Aspe (Associazione di Solidarietà e
Promozione per l’Eritrea e
Per Padre Ghebrekidan, ERITREO,
l’Etiopia) di cui è presidenL’ONDATA DI PROFUGHI «È una vera
te è una delle associazioI primI GIORNI sono statI
emergenza.
ni che aiutano gli africacaoticI, ORA RIUSCIAMO AD AIUTARE
ni: con l’Opera San Francesco riescono a offrire una
QUALCUNO. MA sono tantissIMI»
mensa agli eritrei, in piazza Velazquez. Qui possono anche lavarsi,
È quello che ha fatto Yonas, 24 anni e
oltre a ricevere assistenza medica.
un titolo di studio in ingegneria agraria. Ci
ha messo due mesi ad arrivare a Milano,
«Che tristezza vederli scappare»
pagando 1.800 dollari a uno scafista per
Padre Ghebrekidan spiega che gli sbarchi attraversare il Mediterraneo, «e mi è andasono aumentati quest’anno per la situa- ta bene, perché lungo la strada non mi è
zione esplosiva della Libia: è più facile successo nulla. Talvolta in Eritrea danno
per gli eritrei attraversare il paese, a costo l’ordine di sparare al confine a tutti quelli
anche di finire nelle mani di trafficanti che scappano». Dà l’impressione di essere
o criminali che li vogliono sfruttare. Su tanto libero quanto solo, finalmente fuoaltri passaggi, come il fiume Evros tra Gre- ri dall’inferno ma abbandonato a se stescia e Turchia, sono stati rafforzati i con- so: non ha cari che lo attendano, né si cura
trolli, oppure sono divenuti impraticabi- di chi piangerà la sua mancanza a casa. «Io
li, e così quasi tutte le rotte dei profughi ho il mio destino, tu il tuo». Veste un giubsono deviate qui. In più con la bella sta- botto Nike, attorno alla vita una tuta vecgione il Mediterraneo è all’apparenza più chia e sporca di terra: dorme in un’aiuotranquillo, e i viaggi dei barconi si molti- la di Porta Venezia, uno scatolone come
plicano. «Non potete immaginarvi che tri- materasso. «Sono scappato perché non ne
stezza è per noi vedere il paese svuotarsi potevo più di essere schiavo». Racconta di
in questa maniera», si lascia andare il reli- essere stato anche in carcere tre mesi, per
gioso. «Tutti questi giovani sono il futu- aver detto no al governo che lo voleva maero dell’Eritrea, e invece di cercare di sta- stro di scuola: «Ho studiato agraria, perché
re a casa e costruire qualcosa preferiscono dovrei insegnare?». Andrà in Germania
Yonas, anche se non ha parenti là.
scappare, andarsene».
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Partirà invece per la Francia Massawa,
che vicino a Parigi ha un fratello e una
sorella che vorrebbe raggiungere. Il suo
viaggio è cominciato a dicembre, ed è più
ricco di un libro d’avventure. Ha fatto tutta la strada a piedi, passando per la Siria e
la Turchia. Da lì si è imbarcato per la Grecia, e all’arrivo in porto la polizia ha preso
lui e i suoi compagni e li messi in carcere.
Massawa accenna pure ad alcuni pestaggi, ma non vuole parlarne: preferisce raccontare la liberazione, il passaggio per la
Macedonia e l’arrivo in Serbia. Qui si è fermato a lungo, ospite in un campo profughi dell’Onu. Era la fine di maggio, e i Balcani venivano sommersi da una delle peggiori alluvioni della loro storia. «È piovuto
per tre giorni ininterrottamente». Il fango
saliva anche nel campo e i rifugiati sono
stati costretti a scappare, ma non prima
di essere impiegati nel soccorso alla cittadinanza. Per alcuni giorni hanno ripulito
strade e cantine, posizionato sacchi di sabbia per evitare altri allagamenti. A inizio
giugno, finalmente, Massawa è arrivato in
Italia. «Ho visitato più paesi di un turista»,
scherza nella notte dei Bastioni. Di Milano
si sente ospite. Sta bene e non ha paura. Ma
non s’avvicina a nessuno che non parli la
sua lingua. L’Italia è solo un’altra tappa del
suo lungo cammino. Verso chissà dove. n
Foto: Ansa
Molti eritrei, specie
giovani in età da lavoro,
decidono di lasciare
il paese perché il regime
di Asmara, oltre a
costringerli per anni
al servizio militare,
pretende perfino di
decidere il loro mestiere
Da OlTRE CINQUaNT’aNNI
laVORIamO PER la TUa SICUREZZa
SUllE FERROVIE ITalIaNE
GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a
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SOCIETÀ
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DOPO IL CASO OPPIDO
DI LUIGI AMICONE
Infiltrazioni
di umanità
nella fede
I riti della pietà popolare. La presunta contiguità
con la malavita. La tentazione della Chiesa di isolarsi
in una purità “protestantica”. La sete di amicizia
e di misericordia dei detenuti. Parla don Francesco
Ventorino, teologo e cappellano di carcere a Catania
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vista tanta presa di distanza da parte delle gerarchie vaticane da costumi e usanze che affondano le loro radici nell’antica religiosità popolare. Al punto che per
evitare “collusioni” con persone, simboli e rituali dell’“onorata società”, oggi
sono gli stessi vescovi del Sud ad auspicare una rivoluzione che preveda addirittura la possibilità di abolire manifestazioni
religiose popolari in zone ad alta densità
mafiosa. Insomma, la Chiesa oggi “fa notizia” al punto che essa è pronta a mettersi in discussione a partire da quello che la
notizia dice della Chiesa stessa.
«Ciò non deve tuttavia trarre in inganno: il maggior interesse della grande
stampa per la Chiesa, e per gli avvenimenti del mondo ecclesiastico ed ecclesiale, rientra perlopiù in un progetto di
strumentalizzazione attraverso un’interpretazione di tali fatti in termini
Foto: AP/LaPresse
È
filosofo, teologo, saggista e (dall’agosto 2013) cappellano di carcere. Don
Francesco Ventorino, classe 1932,
sacerdote e professore molto conosciuto a Catania, ha qualcosa da dire a proposito di vere o supposte “infiltrazioni
mafiose” negli atti di devozione popolare.
Feste religiose, sagre patronali, processioni mariane. Nel Sud Italia sono tutte finite all’indice dopo il caso della processione
mariana di Oppido Mamertina (Rc). Pietra
dello scandalo: l’inchino che sarebbe stato fatto fare dai portantini (ora indagati)
alla statua della Madonna giunta nei pressi dell’abitazione di un mafioso. La vicenda ha suscitato vasta eco, indignazione
e scandalo sui giornali. Mentre il carabiniere che ha abbandonato la processione in segno di protesta è subito diventato un eroe dell’antimafia. Comunque siano andate le cose in Calabria, mai s’era
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SOCIETÀ DOPO IL CASO OPPIDO
Con Luigi Giussani. La sfida alla
modernità (Lindau) don Ventorino
ha portato a termine una serie
di libri dedicati al pensiero e al
metodo educativo del fondatore
di Cl. Il volume propone anche
diversi interventi tra i quali quelli
di Massimo Borghesi, Sergio
Cristalli, Giovanni Maddalena,
Luigi Negri, Davide Rondoni,
Romano Scalfi, Francesco Silanos
compiacenti rispetto alla cultura dominante. La Chiesa, ed ogni sua espressione sia diretta che indiretta, sono dunque
oggetto di manipolazione». Così pensava
il suo amico don Giussani, ma a lei, don
Ventorino, che effetto fanno i rumors
sulla contiguità tra fede e mafia?
quanto non si sarebbero recati alla Messa festiva dopo la scomunica comminata
da papa Francesco ai mafiosi. Per giunta, è stato messo loro in bocca un collettivo «cosa ci andiamo a fare a Messa se
siamo scomunicati?». Qual è la realtà?
ecclesiale che ha incontrato. Dentro l’offerta di una amicizia carica di stima e di
simpatia molti detenuti hanno riscoperto un cristianesimo che corrisponde alle
loro più profonde esigenze. In tanti hanno chiesto di essere battezzati, cresimati e
Nessuno si è chiesto delle ritorsio- ammessi alla prima Comunione. Il 30 per
Vivo in una terra, la Sicilia, in cui la ni che avrebbero avuto sulle loro fami- cento di loro partecipa alla Messa domepietà popolare che si esprime nelle feste glie i duecento detenuti se non si fosse- nicale. In carcere ho celebrato anche un
religiose rimane ancora un veicolo privi- ro “ammutinati” contro il cappellano. matrimonio. I detenuti hanno bisogno di
legiato della comunicazione della fede. So quanto le famiglie dei carcerati dipen- una fede comunicata più con i gesti che
Attraverso queste accade, pur nella com- dano dalle associazioni camorristiche, con le parole, addirittura attraverso un
presenza di tanti fattori di ambiguità, quanto da queste vengano sostenute e aiu- contatto fisico nel quale possano avvertire
la trasmissione di una concezione della tate, e quanto attraverso tutto ciò venga l’intensità e, direi, la verginità di un affetvita cristiana come ideale supremo della condizionata e ipotecata la vita di tanti to nei confronti della loro persona. Amano
vita umana. Nella mia città, Catania, ogni detenuti. Lo stesso potrebbe dirsi dei por- essere visitati nelle loro celle, dove ti ospiuomo vorrebbe che la propria
tano come nella loro casa e come
moglie, madre o sorella, assotu fossi uno di loro e avverto«Prima di stracciarci le vesti se
migliasse almeno per un po’ a
no se tu ti concepisci come tale,
sant’Agata, la “santuzza” verso
cioè come un poveraccio, mendiFARISaICAMENTE, chiedIAMOCI
la quale coltiva una devozione
cante della stessa misericordia,
cosa facciamo noi per una
particolare e attraverso la quale
quella del Crocifisso, di cui tutti
giunge più facilmente al mistebisogno.
società più giusta, nella quale abbiamo
ro della Resurrezione di Cristo
Vede nessi tra la situazione
l’uomo non DEBBA vendersi
che opera nel tempo la santità
della carceri italiane e l’Italia,
del popolo cristiano. Ciò detto,
tra chi è dentro e chi è fuori
alla mafia per poter sfamare
non sarebbe onesto negare che
dal carcere, tra le speranze
in questo tipo di manifestazioo disperanze che si coltivano
la PROPRIA famiglia»
ni religiose ci siano infiltrazioni
dietro e fuori le sbarre?
di interessi estranei (economici e mafiosi); tatori che hanno fatto l’inchino di fronHo vissuto tutta la mia vita in meztuttavia sarebbe un grave errore abolirle. te alla casa del boss. Prima di stracciarci zo ai giovani della mia terra. Mi sembra
Sarebbe come se, a causa dei preti pedofi- farisaicamente le vesti, dovremmo chie- di poter dire che la stessa necessità ecoli, si dovesse vietare a tutti i sacerdoti qua- derci cosa facciamo noi per una socie- nomica che porta oggi questi giovani ad
lunque rapporto educativo con i ragaz- tà più giusta, nella quale l’uomo non emigrare è spesso quella che porta altri in
zi. Sarebbe una grave sconfitta della Chie- abbia la necessità di vendersi alla mafia galera. Viviamo inoltre in una società talsa, e non un atto di forza di fronte al pote- per poter sfamare la propria famiglia. mente povera di risorse economiche, che
re della mafia. Le Chiese locali – lo vedo Rimane intatta la responsabilità morale non dà speranza di riscatto sociale a chi
nell’esperienza della mia città – hanno – denunciata dal Papa – di chi usa questa dovesse venir fuori dalla prigione, come
tutte le possibilità di una ripresa del con- povertà per il proprio potere.
non dà possibilità di ritorno a chi è emitrollo dei comitati e delle associazioni che
grato. Abbiamo bisogno – come va ripeCosa ha trovato la sua esperienza di
presiedono a tali festeggiamenti. L’alternatendo papa Francesco – di una politica
uomo e di sacerdote frequentando la
tiva sarebbe la protestantica concezione di
che metta al centro l’uomo e non il mergalera, luogo della pena, dell’espiazione
una fede, talmente pura, che non c’entra
cato. Inoltre si fa sempre più urgente una
e, si dice, del risarcimento sociale per i
più niente con la vita degli uomini.
educazione cristiana che renda capaci di
delitti compiuti?
Lei è anche cappellano di carcere. Avrà
Ho trovato una umanità eccezionale uscire da se stessi per andare incontro al
segnata da una vivissima domanda reli- bisogno umano nella sua complessa, inteletto dei duecento camorristi che hanno
giosa, che spesso è stata tradita dal volto ra e drammatica realtà. avuto molta pubblicità sui giornali in
n
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Giannino: Altro che debiti e
società
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periferie/7
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DA STELLENBOSCH (SUDAFRICA) LORELLA BERETTA
Township
Alla fine
della bontà
Benvenuti nelle baraccopoli sudafricane. Dove le
suggestioni terzomondiste, gli ideali di Mandela e il
mitico spirito ubuntu crollano ogni giorno davanti
alla cattiveria della realtà. Fra violenza, invidie e una
povertà per niente dignitosa. Perfino un po’ razzista
Foto: Lorella Beretta
H
che non rendono di nota porta il nome Domiziano, sì, l’iml’ingiustizia che vi alberga, ma peratore romano.
Si dice per brevità che le township
uno spirito ottimista nonostante tutto. Le township sudafricane sono siano l’equivalente dei barrio messicani,
ammassi di baracche di latta e di vite degli slum di Calcutta o di Nairobi, delle
umane che combattono con niente con- favela brasiliane, ma chiunque ci entri per
la prima volta viene assatro la violenza omicida
lito innanzitutto dall’unie senza limiti, contro la
in viaggio
cità delle città satellite
sopraffazione e la poverSeguendo l’invito
sudafricane, dalla vitalità, contro il freddo inverdi papa Francesco
tà che vi si respira, dalnale breve ma intenso e il
Continua il viaggio di
la stupefacente accogliencaldo infernale delle lunTempi nelle periferie
esistenziali. Le tappe
za gratuita. Anche se ci
ghe estati, eppure si chiaprecedenti: la tribù dei
sono angoli dove gli olezmano “luogo della protupurì africani (Rodolfo
zi sono pugni nello stomessa”, Tembisa; “luoCasadei), la borgata
maco, anche se i bambigo della felicità”, Tsakadi Roma (Monica
Mondo), la missione
ni corrono in mezzo alle
ni o Thokoza; “luogo deldi padre Belcredi in
strade con tutti i pericola pace e della tranquilliAmazzonia (Piero
li ai quali difficilmente
tà”, Zola. Nomi belli forGheddo), il ghetto dei
sfuggono, anche se non è
se solo per esorcizzare la
profughi a Tripoli (Gian
Micalessin), Oxford
difficile vedere i segni di
dura realtà quotidiana. O
(Antonio Gurrado), il
un qualche incendio che
nomi altisonanti e d’aukibbutz Sasa in Israele
ha lasciato senza baracspicio come quelli che i
(Angelica Calò Livné).
che migliaia di persone
genitori assegnano ai pronel giro di pochi minuti.
pri figli, Winston – come
Churchill, si batte il petto gonfio mentre E con tutta la violenza che si può appena
si presenta un giovane coi capelli lunghi immaginare.
Mi trovo a Kayamandi, “casa dolce
e ricci e il fisico da ballerino – o Sophia
come la bella Loren, o Nelson, proprio casa”, quando a inizio giugno un grupcome il comandante. L’ultimo nato degno po di vandali ha appena distrutto alcuanno spesso nomi
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società periferie/7
Solidarietà precaria
Il sottotesto dice della precarietà del tanto decantato spirito “ubuntu”, come mi
spiegano a margine dell’incontro gli organizzatori: ubuntu – parola zulu per indicare una filosofia tutta sudafricana che
significa “io sono quello che sono attraverso quello che siamo” – è un’etica di reciproco aiuto, amore e rispetto per il prossimo. Disse Tata Madiba, amato e onorato padre del Sudafrica democratico: «Una
persona che viaggia attraverso il nostro
paese e si ferma in un villaggio non ha
bisogno di chiedere acqua e cibo: subito
la gente le offre di che bere e di che sfamarsi, la intrattiene. Questo è un aspetto ubuntu ma ce ne sono altri. Ubuntu
significa non pensare a se stessi ma chiedersi: voglio aiutare la comunità che mi
sta intorno a migliorare?». Ecco, è proprio
su questa domanda che s’incaglia la realtà: «La benevolenza, la mutua assistenza,
l’umanità verso gli altri sono automatiche tra pari, finché tutti condividono la
stessa condizione di privazioni», prova a
spiegare Lindela, dispiaciuto ma intellettualmente onesto. «Non appena si cominciano a introdurre elementi di differenziazione, scatta la competizione, la rivendica34
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A Kayamandi
(Stellenbosch) «ci
sono 600 persone
che riescono a
risparmiare tra i
100 e i 500 rand
al mese su stipendi
che vanno dai 700
ai 15 mila mensili».
Per conoscere
l’equivalente in euro
bisogna dividere per
14: non è molto,
a fronte di un costo
della vita che è
di poco inferiore
a quello italiano
zione, il conflitto». L’assegnazione di una
casa come si deve segna la fine della pace
sociale, la distribuzione di borse di studio
comporta il sacrificio dell’amore fraterno,
finanziamenti per implementare l’autonomia delle donne alimentano una misoginia già fin troppo diffusa.
Ennesima lezione africana, risveglio
dal torpore buonista, quello che fa esclamare “eppure quanta dignità” ogni volta
che si vede un povero sorridere o offrirti
un piatto di riso e una birraccia fatta in
casa. Non che queste cose non le sappiamo, ma noi con le spalle coperte tendiamo a rimuoverle per paura di essere politicamente scorretti e perché in fondo non
siamo abituati a dover lottare per qualcosa di più del solito pollo, per l’acqua pulita, per l’elettricità che oltre alla luce ti
garantisca una doccia calda. E perché in
fin dei conti ci fa anche un po’ bene non
vedere che c’è invece chi vive così, mentre
noi buttiamo via il cibo fresco, tracannia-
mo da bottigliette di plastica acqua di fonte e prendiamo posto in una vasca piena
e spumeggiante di porcherie biologiche
ecocompatibili. Lo sappiamo anche “noi”
che più si ha e più ci si chiude nell’orticello, ci si blinda e ci si arma, non si saluta
nemmeno il vicino di casa e si tiene la contabilità di amici e conoscenti: perché non
dovrebbe essere lo stesso anche per “loro”,
i poveri, quelli poveri davvero?
Quelli che ci provano
Le organizzazioni non governative vanno avanti spedite. «Non siamo interessati ai risvolti politici di quello che facciamo, vogliamo solo dare la possibilità ai
sudafricani di avere una casa degna di tale
nome, un’istruzione migliore di quella
che oggi viene garantita nelle scuole delle
township, di poter risparmiare per progetti di vita a lungo termine: noi lavoriamo
con chi condivide il nostro stesso obiettivo di dare migliori modelli per sconfig-
«l’umanità verso gli altri È automaticA tra
pari, finché tutti condividono la stessa
condizione di privazioni. Non appena si
introduCONO differenziazionI, scattaNO
competizione, rivendicazionI, conflittI»
Foto: Lorella Beretta
ni dei locali del Corridor, l’edificio delle associazioni creato durante i Mondiali nel 2010. Si dice che siano stati militanti dell’African National Congress, l’Anc,
il partito che fu di Mandela e che governa il paese da vent’anni: era la loro forma di protesta contro un convegno su
programmi di sviluppo economico della comunità, a cui le Ong hanno invitato
anche l’amministrazione cittadina, a guida Da, Democratic Alliance, il principale
partito di opposizione considerato impropriamente il partito dei bianchi. Con le
magliette gialle e l’effigie del presidente
Jacob Zuma, si sono presentati al dibattito
denunciando la rabbia per non essere stati
adeguatamente coinvolti nei vari progetti.
Foto: Lorella Beretta
SOLO cinque anni fa Tandeka,
domestica, e suo marito,
operaio, stavano ammassati
con tutta la famiglia in una
“shack”. ora che hanno più
spazio hanno sempre almeno
una ragazza IN AFFIDO A CUI
garantire un’istruzione
come Ai loro quattro figli
gere la povertà e non ci interessa il colore della pelle», spiega Thumakele Gosa,
di Imbadu, che fa notare come le proteste siano isolate e strumentalizzate. «In
questo momento ci sono 600 persone che
riescono a risparmiare tra i 100 e i 500
rand al mese su stipendi che vanno dai
700 ai 15 mila mensili». Per avere un’idea
in euro dividete adesso per 14 e otterrete
cifre inconsistenti, soprattutto se confrontate a un costo della vita di poco inferiore
a quello dell’Italia. Ma come si può vedere,
anche chi ha guadagni più alti nella maggior parte dei casi decide di continuare a
vivere in township «come scelta calcolata per contribuire al miglioramento degli
standard di vita collettivi», aggiunge Gosa.
Forte, in questo lavoro, è il ruolo delle chiese: ce ne sono di nuove ogni giorno, sul modello americano. Ma per lo più
sono cristiane: pentecostali, protestanti,
metodiste, cattoliche. Tandeka, domestica, e suo marito, operaio, vivono in una
delle nuove casette in muratura: fino a
cinque anni fa stavano ammassati con
tutta la famiglia in una “shack” (le baracche di lamiera) e ora che hanno più spazio hanno sempre in affido almeno una
ragazza alla quale garantire un’istruzione come hanno già fatto coi loro quattro
figli. Se non stessero con loro, e con tanti come loro, per questi giovani ci sarebbe
una vita di povertà ancora più estrema,
ci sarebbe droga, stupro, fino alla morte
per le ferite, per gli stenti, di Aids. Non è
difficile incrociare bambini che sniffano
colla o fumano Mandrax, a base di metaqualone: entrano a far parte di baby gang
che rubano a quelli un po’ meno poveri
di loro e se non muoiono diventano grandi in fretta. Temuti ma anche ammirati.
Ogni quattro minuti uno stupro
Gli alti tassi di criminalità del Sudafrica di
cui si legge qua e là si concentrano soprattutto qui, nelle township, e si consumano
tra neri. Ogni quattro minuti, è stato stimato, avviene una violenza sessuale. Le vittime sono bambini come anziani, donne
come uomini, ragazzi come ragazze. Ricercatori europei e statunitensi vengono qui
a studiare i perché e i per come, i volontari fanno quello che c’è da fare, alcuni scegliendo coraggiosamente di vivere dove
operano – singolari “mlugu”, bianchi, in
un mare nero – ma in contesti decisamente più sicuri e con un posto bello e confortevole dove un giorno tornare.
Allo Spaza shop, uno dei tanti piccoli
supermercati delle township, Sibelo prende coraggio per dirmi che un giorno gli
piacerebbe sposare una ragazza, guarda
caso italiana, per avere la possibilità di
viaggiare, di vedere altri panorami. M’in-
tenerisce e vorrei essere un po’ Marta Flavi mentre bastano quelle poche sincere
parole a farmi sentire la distanza abissale
che esiste tra questi mondi, quando non
c’è un aereo facile da prendere ma bisogna inventarsi stratagemmi dove l’“amore” è la migliore delle opzioni. Come
lui, tanti vorrebbero andar via, invece il
numero delle shack aumenta di notte in
notte, mentre arrivano dall’Africa ancora più povera nuovi vicini di casa sgraditi,
dallo Zimbabwe e dall’Angola, e gli odiatissimi somali che rimpiazzano i sudafricani nei negozi delle township. Perché c’è
anche un problema xenofobia, in Sudafrica: neri contro neri più neri, o comunque gente venuta da fuori a portar via agli
indigeni lavoro e donne.
La risata di Denise (o Thembi, ogni volta cambia nome) è un movimento di liberazione femminile che parte dallo stomaco ed esce da un esofago di carta vetrata
per il troppo cattivo fumo. «Sì, sì, gli uomini sudafricani non sono affidabili, non
hanno voglia di lavorare e noi preferiamo
gli altri», dice. Al suo fianco c’è Mark che
sorride e non dice parola in nessuna delle
undici lingue sudafricane e nemmeno in
slang: tanto lui ha cinque figli, «forse sei»,
mi aveva confidato con leggerezza mentre
camminavamo nella township più pericolosa del paese. Alexandra è una delle
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società periferie/7
più antiche suburbie di Johannesburg,
quella in cui abitò un giovane Mandela
appena arrivato dalle campagne dell’Eastern Cape, l’allora Transkei. Ad Alexandra entro da sola perché non ho il tempo di organizzarmi per una “scorta”: mi
danno tutti della matta, compresi Mark e
Denise che a un certo punto incontro per
caso e che mi affiancano per l’intera giornata per rendere più “safe” il mio già disinvolto incedere. Con loro visito gli ostelli
che nei primi anni del Novecento erano
stati costruiti per i lavoratori richiamati
a migliaia da Jo’burg e dalle sue miniere:
sono divisi in maschili e femminili, e ancora oggi è così. Sono piccole camerette con
angolo cucina, per single, che anche quando mettono su famiglia preferiscono vivere separati dalla moglie o
dal marito pur di non perche non vivo nella township
Entro in 15 metri quadrati di
dere quelle quattro mura e
ma la visito con i miei occhi
tramandarle di generazioda bianca. Colpita e affonlamiera dove vivono 10 adulti e 4
ne in generazione.
perfino io che pensavo
bambini. più uno in arrivo, mi spiega data,
Entriamo, subito redi essere “di casa” qui. E che
spinti, da un “sangoma”,
la “mami” mentre indica il pancione con fastidio ho tante volun santone, il loro medico
te ascoltato le domande di
della timida figliola quindicenne chi accompagno a fare espetradizionale: la sua casa la
riconosci dalle pelli di anirienza vera di questa realmali “sacri” appese al sole assieme a tut- de da pretenziose e bellissime porte di tà unica e complessa. Perché le township
ta una serie di ninnoli necessari per riti e legno lucidato e intarsiato. Entro in 15 sono luoghi in cui un occidentale pasciupozioni. Ancora oggi, nel 2014, non è diffi- metri quadrati di ammasso di lamiera to arriva e rimane deluso: tante volte mi
cile morire a causa di qualche terapia erra- dove vivono dieci adulti e quattro bambi- sono sentita chiedere se son tutte così, tutta prescritta per malattie altrove già debel- ni, più uno in arrivo, come mi spiega la to sommato accettabili. Niente capanne,
late. Si racconta che quando nell’agosto “mami” mentre mi indica il pancione del- niente bambini con le mosche attorno a
2012 la polizia sudafricana uccise una qua- la timida figliola quindicenne. Il padre è nasi mocciosi, niente donne pelle e ossa,
rantina di minatori in sciopero, uno dei un irresponsabile che non se ne farà cari- niente elemosinare soldi e cose: «Magamotivi della degenerazione della protesta co, mentre la ragazza è una delle decine di ri vale la pena andare anche in un’altra,
fu proprio un sangoma che aveva sommi- migliaia di adolescenti che abbandonano magari Soweto, che ne dici?», mi chiedonistrato a molti di loro un beverone magi- la scuola per una gravidanza “imprevista” no sempre, bramosi di portare a casa una
co che li avrebbe resi «invincibili».
che però garantirà un assegno mensile di foto ricordo da crocerossine d’altri tempi,
20 euro circa. Chiacchiero per una buona o magari foto colonialiste mentre si distriLa bambina madre
mezz’ora con due sostenitori del “socia- buiscono penne e quadernetti pressati in
Mi inoltro tra i palazzoni di nuova costru- lista rivoluzionario” Julius Malema, che valigia, cioccolatini sottratti all’albero di
zione – brutti come in certe periferie millanta un futuro di case, servizi e istru- Natale e qualche vestitino di seconda e terdisgraziate italiane – e le casette di mat- zione gratis per tutti: i due militanti mi za mano. E il racconto di “come sono povetoni rossi volute dai governi dell’apar- spiegano perché ci credono e alle mie resi- ri eppure quanta dignità”, e di quanto. in
theid, dimore minuscole alle quali si acce- stenze mi fanno notare che parlo bene io, fondo, siamo brava gente. n
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Foto: Lorella Beretta
Sono moltissime
le adolescenti
sudafricane delle
township che lasciano
le scuole a causa di
gravidanze “impreviste”
che però garantiranno
loro un assegno mensile
di 20 euro circa
SPECIALE
L’Esercito
TERRESTRe
È la forza armata più antica d’Italia. I nostri soldati
lavorano per la pace. In patria e all’estero. Con un
vantaggio, la presenza sul campo. Per risolvere un
conflitto, infatti, serve una profonda comprensione
delle dinamiche umane e sociali delle aree d’intervento
|
DI Giovanni Semeraro*
L’
Esercito italiano, la forza armata più antica tra le quattro che
compongono armonicamente la componente Difesa del
Sistema Paese, viene da sempre pienamente impegnato nell’assolvimento delle
missioni assegnate dal Governo e dal Parlamento alle Forze Armate, dimostrando negli anni una straordinaria flessibilità e capacità di adattamento alle sfide
alla sicurezza globale. In sintesi, esso è
oggi composto da: circa 103 mila militari professionisti e circa 10 mila dipendenti civili; 10 brigate di manovra; 1 Comando di Corpo d’Armata multinazionale
e 3 Comandi di Divisione; 3.850 piattaforme da combattimento e 7.281 piattaforme per il supporto; 226 elicotteri e 6
aeromobili.
Le Unità dell’Esercito sono distribuite
in tutte le regioni italiane su circa 3.900
infrastrutture di varia tipologia, e la loro
presenza sul territorio nazionale contribuisce allo sviluppo economico e alla crescita per un volume finanziario quantificabile in circa 5,33 miliardi di euro all’anno. Il cosiddetto “Modello Professionale 2001” prevedeva per l’Esercito un forza di 112 mila unità, che l’attuale riorganizzazione ridurrà di circa il 20 per cento (2013-2015: 10 per cento per la cosiddetta spending review; 2015-2024: 10 per
cento per quanto previsto dalla L. 244/12).
In assenza di ulteriori riduzioni, quin-
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di, la consistenza scenderà a meno di 90
mila unità entro il 2024 con un processo che comprende, inoltre, una riduzione
del 30 per cento dei dirigenti, delle strutture e del personale civile. La forza armata è comunque avvezza al rinnovamento – dettato di volta in volta dal mutare degli scenari strategici di riferimento,
dall’evoluzione delle dottrine di impiego,
dall’insorgere di nuove forme di minaccia e, anche, da esigenze finanziarie – pur
continuando a operare e garantire l’assolvimento dei propri compiti. La nuova ristrutturazione che l’Esercito italiano
sta portando avanti nasce, essenzialmente, proprio da ragioni economiche che
hanno reso insostenibile il modello organizzativo attuale. Pur con tale evidenza, è
indispensabile trasformare questa necessità in un’occasione per realizzare una
componente terrestre ridimensionata nei
numeri ma moderna, motivata, addestrata, ben equipaggiata e in grado di inserirsi armonicamente nello strumento militare nazionale, nonché di interoperare
con le Forze Armate dei maggiori paesi europei, Nato e Onu. Dal 1982 a oggi,
sono stati impiegati in operazioni all’estero oltre 125 mila militari dell’Esercito,
che hanno rappresentato la componente
principale dei contingenti nazionali (circa il 75 per cento del totale). Negli ultimi
vent’anni, l’Esercito ha infatti espresso
mediamente 9.000 militari in operazioni
fuori e all’interno del territorio nazionale per la sicurezza e soccorso delle popolazioni, con punte che sono giunte fino a
19.000 unità. Attualmente è impegnato
in 20 missioni in Europa, Africa e Medio
Oriente con una presenza media di circa
13.000 unità tra personale all’estero e sul
territorio nazionale.
Attività non solo militari
La principale lezione appresa, durante
questo ventennio, è il fatto che le operazioni terrestri sono destinate a rimanere un elemento cruciale di qualsiasi conflitto, soprattutto per la loro intrinseca
tendenza a influenzare attività umane in
campo sociale, economico e politico.
STIAMO LAVORANDO PER REALIZZARE UNA COMPONENTE
TERRESTRE RIDIMENSIONATA NEI NUMERI MA MODERNA,
MOTIVATA, ADDESTRATA E MEGLIO EQUIPAGGIATA
Per portare a termine con successo
queste operazioni, l’Esercito italiano può
contare su uomini e donne in grado di
esprimere equilibrio psicofisico, autonomia decisionale, coraggio e flessibilità,
e una piena consapevolezza soprattutto
dei limiti all’uso della forza. In tal senso,
il processo di trasformazione in atto deve
tendere all’impiego integrato di una combinazione di diversificate capacità, derivanti a loro volta dalla disponibilità di:
unità idonee alla raccolta di informazioni operative; forze per operazioni speciali, che oltre ai tradizionali compiti possano assistere istituzioni di sicurezza locali; moderne forze convenzionali; capacità
“duali” che consentano la piena integrazione con altre istituzioni/organizzazioni/agenzie dedicate alla sicurezza e alla
protezione civile.
In questa direzione l’Esercito ha intrapreso un moderno programma di “digitalizzazione”, che costituisce un concreto punto di forza nell’evoluzione delle
forze armate e dell’industria della Difesa
nel settore e, nella considerazione che nei
prossimi vent’anni sarà particolarmente
impegnativo schierare una componente
terrestre bilanciata nelle sue varie componenti (esplorazione, manovra, protezione, supporto di fuoco e logistica). E sono
stati individuati i seguenti possibili programmi di sviluppo: l’assegnazione di un
moderno Sistema Individuale da Combattimento; l’introduzione di una famiglia
di Veicoli Tattici Medi Multiruolo; l’ammodernamento dei Carri ARIETE e dei
veicoli da combattimento DARDO; l’assegnazione dei Veicolo Blindato Medio VBM
8x8; l’acquisizione delle blindo CENTAURO 2; l’acquisizione di munizionamento d’artiglieria guidato ad elevata precisione; l’introduzione del nuovo elicottero da Esplorazione e Scorta; l’assegnazione di un nuovo Veicolo Blindato Anfibio;
l’acquisizione di elicotteri per le Operazioni Speciali; la dismissione dei sistemi
d’arma c/a HAWK, sostituiti con piattaforme SAMP-T; l’ammodernamento dei sistemi controaerei per la difesa alle basse e
bassissime quote; la sostituzione di 138
elicotteri di supporto attualmente ripartiti su 5 diverse linee di volo con un numero inferiore di due soli nuovi elicotteri;
l’acquisizione di una famiglia di MINI/
MICRO/TACTICAL Unmanned Aerial Vehicles per le esigenze delle unità esploranti,
RSTA, di fanteria e di artiglieria.
In particolare, il piano di ammodernamento dell’Esercito ipotizza anche l’acquisizione di sistemi per equipaggiare
individualmente i combattenti delle proprie unità, così differenziati: configurazione “Base” (elmetto, giubbotto e arma
individuale), da assegnare al personale
delle unità di supporto al combattimento e logistico; configurazione “Fuciliere”,
con dispositivi anche di significativo contenuto tecnologico ai fini della digitalizzazione dell’ambiente operativo; configurazione “Granatiere”, con l’ulteriore integrazione di un lanciagranate automatico;
configurazione di “Comandante” di unità, con dotazione suppletiva di sensori e
sistemi di comando e controllo.
Mezzi e sistemi tecnologici
Un’attività di acquisizione e sviluppo
integrata e focalizzata su questi programmi (o comunque sui principali tra loro)
garantirebbe: il bilanciato ammodernamento di tutte le componenti e capacità della Forza Armata; la salvaguardia
del comparto terrestre dell’industria della Difesa; la tutela dell’occupazione delle
maestranze del comparto industriale della Difesa e del suo indotto ad alto contenuto tecnologico (materiali innovativi,
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SPECIALE
meccanica ed elettronica di precisione),
anche “Dual use”. Ancorché per l’Esercito il centro di gravità rimanga l’elemento
umano, la forza armata non può comunque prescindere da mezzi e sistemi al passo con i tempi, pena la mancanza di “interoperabilità” con i più importanti partner dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione
Europea e l’impossibilità di giocare un
ruolo conforme al rango politico e di salvaguardia degli interessi nazionali.
In sostanza, l’Esercito italiano si sta
trasformando per poter presumibilmente
disporre nel 2024 di Brigate ad alta capacità operativa, di tipo pesante, medio,
aeromobile con capacità anfibie, paracadutisti, leggero e alpino, in aggiunta a
una consistente componente di forze per
operazione speciali. Questo consentirà al
paese di potere impiegare con continuità alcune di queste Brigate e mantenerne altre in riserva strategica per l’assolvimento di differenti compiti istituzionali.
Una trasformazione di questo tipo
costituisce una sfida epocale per la forza
armata e la sua definizione e i presupposti per affrontarla con successo saranno
individuati nei contenuti del redigendo
Libro Bianco per la Difesa, di prevista definizione entro la fine dell’anno.
I tre ruoli principali
Qualsiasi azione o iniziativa intrapresa
dal governo italiano insieme con le organizzazioni internazionali si traduce di
fatto in strategie politiche, diplomatiche,
informative, militari ed economiche con
lo scopo di garantire la sicurezza e lo sviluppo umano in aree a volte anche molto lontane dal territorio nazionale. L’impiego dell’Esercito negli ultimi venti anni
ha confermato, in tal senso, che la gestione e la risoluzione dei conflitti richiedono
una profonda comprensione delle dinamiche umane e sociali delle aree di intervento. Le unità terrestri italiane si sono dimostrate, al riguardo, particolarmente effi40
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Dal 1982 a oggi sono stati impiegati in operazioni
all’estero oltre 125 mila militari. oggi lavoriamo
in 20 missioni in Europa, Africa e Medio Oriente
caci per le loro abilità di intervenire in
modo proporzionale, imparziale e discriminante fra e a favore della popolazione.
Proprio alla luce della forte dimensione
sociale delle moderne situazioni conflittuali ed emergenziali, l’Esercito ha dimostrato la sua enorme versatilità attraverso
la capacità di condurre una vasta gamma
di compiti, in patria e all’estero, a favore
di tre ruoli principali, ovvero la “prevenzione”, la “cooperazione per la sicurezza”
e la “stabilizzazione”, che si estrinsecano
attraverso: la presenza attiva, il controllo, la sorveglianza e la difesa dell’integrità
del territorio nazionale, e la protezione di
infrastrutture critiche; la partecipazione a
comandi e unità multinazionali, a esercitazioni e attività di formazione con partner/alleati regionali e internazionali; le
attività operative di gestione e risoluzione
di crisi internazionali; la condotta di operazioni sul territorio nazionale nell’ambi-
to della prevenzione al terrorismo e alla
criminalità organizzata in concorso con
le forze di Polizia; l’evacuazione e/o la protezione dell’incolumità dei connazionali e di contingenti nazionali all’estero; il
sostegno alle politiche nazionali e internazionali di non proliferazione delle armi
di distruzione di massa; il contributo al
ripristino dei servizi di utilità pubblica in
caso di disastri idrogeologici e ambientali sul territorio nazionale; l’intervento a
favore di popolazioni colpite da catastrofi
naturali; il supporto, la consulenza e l’addestramento a favore di Forze Armate terrestri straniere; il dialogo con istituzioni
locali per accrescere il consenso e supporto verso il sistema paese “Italia”. In ognuno di questi ruoli, e a supporto dell’intero
Sistema Paese, l’Esercito italiano ha sempre fornito, fornisce tuttora e sempre fornirà il proprio fondamentale contributo.
* Colonnello dell’Esercito italiano
LA SICUREZZA
IN MISSIONE
L’esercito ha scelto l’italiana Iveco Defence Vehicles
per assicurarsi mobilità e protezione. Elementi chiave
per chi è impegnato in operazioni di ricostruzione
S
forze
armate sono impegnate in missioni internazionali di mantenimento della pace e nella ricostruzione di infrastrutture quali scuole,
strade e ospedali in regioni tormentate
da conflitti. Queste operazioni espongono i soldati di pattuglia, quelli di scorta
ai convogli delle organizzazioni umanitarie, autisti e infermieri delle ambulanze
al rischio di attentati balistici, con mine
e ordigni artigianali, tutti potenzialmente letali. Mobilità e protezione sono ormai
due elementi chiave perché gli operatori in missione possano svolgere il proprio
lavoro in sicurezza.
Tra le aziende che hanno saputo rispondere rapidamente alle sfide del
nuovo contesto operativo, l’italiana Iveco
Defence Vehicles, del Gruppo CNH Industrial, è un riferimento a livello internazionale per eccellenza tecnologica nel campo dei veicoli protetti ad alta mobilità. Gli
ottimi risultati commerciali e un forte sviluppo delle vendite all’estero – principalmente nei paesi Nato, che dal 20 per cento
a metà degli anni Novanta rappresentano
empre più spesso le nostre
oggi più del 50 per cento del fatturato –,
sono la conferma di questo successo. L’intera gamma dei prodotti – veicoli multiruolo, veicoli protetti e autocarri tattici e logistici – utilizza tecnologia d’avanguardia e
offre estrema mobilità e i più alti livelli di
protezione balistica e anti-mina.
Prodotto di eccellenza è il noto Lince (LMV) che, adottato da dieci paesi (Italia, Regno Unito, Spagna, Norvegia, Belgio, Croazia, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Russia) in oltre 4 mila esemplari, è il veicolo più venduto nella sua categoria in Europa. Fra i più recenti sviluppi dell’azienda va segnalato il Veicolo Tattico Medio Multiruolo (VTMM), basato sul
robusto chassis del Trakker 4x4, mezzo
della gamma pesante Iveco per impieghi off-road. È stato progettato con un
design modulare per consentire un costante aggiornamento della tecnologia. Il veicolo è già stato adottato in diverse versioni
dall’Esercito italiano e, in particolare nella
versione ambulanza, le caratteristiche di
alta mobilità del mezzo sono fondamentali in quanto permettono alle unità mediche di intervenire rapidamente ovunque
sia necessario, mentre l’alto livello di protezione garantisce agli operatori sanitari il
massimo livello di sicurezza.
Basandosi su un’esperienza pluridecennale nei veicoli ruotati protetti, Iveco
DV ha recentemente ampliato la gamma
dei suoi prodotti includendo una nuova
generazione di mezzi che uniscono capacità anfibie e alta protezione. Caratterizzato da robustezza ed elevata mobilità, l’anfibio 6x6 VBTP ha conosciuto un immediato successo con la fornitura di oltre 2 mila
veicoli all’Esercito brasiliano. Sempre nella gamma anfibi, il nuovo SUPERAV 8x8,
oltre a essere stato proposto alla Marina
Militare italiana, è stato anche selezionato per uno dei più ambiziosi programmi
di acquisizione della Marina degli Stati
Uniti (ACV 1.1.), al quale Iveco parteciperà
in collaborazione con il colosso britannico BAE Systems.
Anche nel settore degli autocarri, Iveco DV è una delle aziende leader di mercato. Disponibili in versione protetta e non
protetta, le piattaforme logistiche di Iveco sono state adottate dai principali eserciti europei – Spagna, Svizzera, Francia, Belgio, Regno Unito, Germania – che le impiegano attualmente per le attività di supporto logistico tattico in teatro operativo.
Oltre alle competenze specifiche in
ambito difesa, Iveco DV dispone di tecnologie di riconosciuta leadership anche
nel campo dei motori e dei mezzi industriali. Sono questi i fattori che permettono di offrire soluzioni tecnologicamente all’avanguardia in termini di protezione e mobilità in un contesto operativo
in continua evoluzione, nel quale Iveco
Defence Vehicles si afferma a livello internazionale.
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SPECIALE
I PIù ANTICHI
DEL MONDO
Quasi cinquecento anni di attività. Dagli archibugi
di Bartolomeo alle armi ad alta precisione di Ugo.
Ecco l’epopea della fabbrica Pietro Beretta spa, che
al rispetto delle tradizioni ha saputo affiancare le
tecnologie avanzate per diventare leader indiscusso
F
Pietro Beretta S.p.A.
è probabilmente la più antica fabbrica di armi al mondo. Le sue
origini sono fatte risalire a Bartolomeo Beretta, un artigiano che in epoca rinascimentale a Gardone Val Trompia cominciò a produrre canne per archibugi. La ricevuta di pagamento del primo
ordine, una fornitura di archibugi alla
Repubblica di Venezia datata 1526, è conservata negli archivi della ditta.
L’uomo che seppe trasformare l’azienda da artigianale in industriale, ampliandola e introducendo i più moderni sistemi di lavorazione, fu Pietro Beretta (18701957). Sotto i suoi successori, i figli Giuseppe e Carlo, l’impresa ha acquisito
carattere multinazionale e conquistato brillanti successi nel settore militare
e sportivo.
Quasi cinquecento anni di attività
lavorativa hanno arricchito la Beretta
di un’enorme esperienza, consentendole di sviluppare una elevata e specifica
tecnologia nell’ambito della meccanica di precisione. Con il tempo la fabbrica ha assunto dimensioni sempre maggiori: dall’inizio del Novecento ad oggi
la superficie coperta dello stabilimento è passata da 10 mila ad oltre 110 mila
metri quadrati. Il fatturato netto nel
2011 è stato pari a 164 milioni di euro.
I reparti produttivi sono strutturati su
centri di lavoro robotizzati ma anche sul-
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abbrica d’Armi
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A sinistra, casa
Beretta a Gardone Val
Trompia (Brescia). La
ricevuta di pagamento
del primo ordine, una
fornitura di archibugi
alla Repubblica di
Venezia, è datata 1526.
La fabbrica produce
circa 1.500 armi
portatili al giorno
la presenza, importante, del fattore umano, quale condizione necessaria per ottenere i livelli di precisione e di qualità
previsti a progetto.
La progettazione utilizza sistemi
avanzati di calcolo delle tensioni attraverso il metodo degli elementi finiti, mentre i laboratori sono attrezzati per ricerche in campo dinamico-impulsivo applicato al sistema arma-munizione, per ana-
lisi metallografiche e prove a fatica. La
produzione Beretta (circa 1.500 armi al
giorno) copre quasi tutta la gamma delle
armi portatili: sovrapposti e paralleli da
caccia e tiro in diversi calibri e differenti
livelli di finitura, fucili semiautomatici,
carabine, fucili express, pistole semiautomatiche (dal calibro .22 short al .45 Auto),
fucili militari automatici. La produzione
sportiva copre mediamente il 90 per cen-
to del totale. Le armi sportive rappresentano anche oltre il 75 per cento dell’export, in un centinaio di paesi.
L’ultima generazione
Da molti anni le armi Beretta sono in
dotazione alle Forze Armate e alle Forze di Polizia italiane e di numerosi altri
paesi. Nel gennaio 2009 Beretta ha vinto
il più grande contratto militare di pistole destinate all’US Army dalla fine della Seconda Guerra mondiale per la fornitura totale di 450 mila pistole modello 92FS. Nel 2008 il ministero della Difesa italiano ha acquisito i primi modelli
del nuovo fucile d’assalto Beretta ARX160,
parte integrante del progetto “Soldato
Futuro”. All’aprile 2007 risale l’accordo
per la fornitura del modello Px4 Storm
alla polizia di frontiera canadese (Cana-
da Borders Services Agency). Nel maggio 2005 venne siglato un nuovo contratto per la fornitura di 18.744 pistole della
serie 92 destinate all’US Air Force mentre nel settembre 2007 erano giunti nuovi ordinativi per 10.576 pistole 92FS per
l’US Army e l’US Air Force. Nel 2002 è
stato stipulato l’accordo per la fornitura
di 45.000 pistole 92FS alla Guardia Civil
(Spagna). Nel corso dello stesso anno è
stata anche avviata la fornitura di circa
40.000 pistole serie 92 alla Polizia Nazionale turca. La prima acquisizione di pistole Beretta della serie 92 da parte delle Forze Armate e dalle Polizie di Stato americane risale al 1985 ed è stata la base dei successivi contratti. Successivamente anche
la “Gendarmerie Nationale” e “L’Armée
de l’Air” francesi richiesero il modello.
Lavoro, inventiva, rispetto della tra-
dizione, attenzione al cliente e alle maestranze, e insieme a questo studi ed
aggiornamenti continui, miglioramento
tecnologico e avanzati metodi di fabbricazione, sono le basi sulle quali Beretta ha
costruito la sua immagine e da cui derivano le armi sportive e militari che dal 1526
portano in tutti i continenti il marchio
della più antica fabbrica d’armi.
Dal punto di vista societario, Fabbrica
d’Armi Pietro Beretta S.p.A. è una controllata di Beretta Holding S.p.A., che annovera al suo interno importanti fabbriche
di armi sportive e ottiche, nonché società commerciali e di distribuzione sia italiane sia estere. Nell’esercizio 2011 Beretta Holding ha registrato un fatturato consolidato di 480 milioni di euro. Ugo Gussalli Beretta e i figli Pietro e Franco sono
alla guida dell’Azienda.
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SPECIALE
Gore: prodotti
innovativi
e polivalenti
Anche chi non pratica attività all’aria aperta
conosce i tessuti traspiranti e impermeabili
preferiti da escursionisti, alpinisti e appassionati
di sport estremi. Sono infatti l’articolo più in vista
dell’azienda. Fondata nel 1958 negli Stati Uniti
fornisce soluzioni rivoluzionarie per ogni settore
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G
ore è rinomata a livello internazionale come azienda specializzata nel politetrafluoroetilene
(PTFE), che utilizza per produrre membrane, fibre, filtri e guarnizioni
per un’ampia gamma di applicazioni. I
prodotti tessili funzionali realizzati con
i tessuti GORE-TEX® non si trovano però
soltanto nei prodotti di largo consumo.
Anche chi lavora nei servizi pubblici,
quali il trasporto, la manutenzione stradale, lo smaltimento dei rifiuti, e ancora nella polizia, nei servizi antincendio
e servizi ambulanza, beneficia di indumenti, calzature e guanti di alta qualità.
La gamma dei prodotti di Gore si
spinge anche oltre. L’azienda produce
corde per chitarra, dispositivi medicali
impiantabili e persino componenti destinati alla tecnologia aerospaziale. «La
lista dei nostri clienti comprende diverse aziende multinazionali di rilievo nel
campo delle telecomunicazioni, in quello automobilistico e dell’industria tessile, nonché importanti aziende ospedalie-
re e strutture sanitarie nazionali», dice
Massimo Marcolongo, presidente della
W. L. Gore & Associati S.r.l. «Gore è presente in Italia dal 1977 e a Verona conta
circa 100 dipendenti».
I preferiti dai militari
L’azienda, all’avanguardia in vari settori tecnologici, è attiva anche nel settore
militare e in quello degli armamenti. Per
fare un esempio, i prodotti elettronici e
i sistemi di cablaggio realizzati da Gore
sono utilizzati nei caccia militari da
incursione. Inoltre, anche i militari italiani (Esercito, Marina, Aviazione e Arma
dei Carabinieri) beneficiano della vasta
esperienza dell’azienda nello sviluppo di
capi di abbigliamento moderni, funzionali e protettivi per varie zone climatiche. Da oltre venticinque anni il reparto
“GORE® Military Fabrics” applica le sue
tecnologie e utilizza i suoi materiali per
ottenere equipaggiamenti di alta qualità come uniformi, scarponi e guanti da
combattimento.
L’ultima novità in questo particolare
segmento è la nuova “Battle Dress Uniform” (BDU), per cui è stata impiegata
la tecnologia dei tessuti GORE® PYRAD®.
«Per questa uniforme da combattimento abbiamo utilizzato tessuti leggeri e
particolarmente resistenti e li abbiamo
combinati con un nuovo tipo di protezione da fiamme e fonti di calore», spiega Giovanni Longo, responsabile del settore militare dell’azienda per l’Italia. «La
combinazione della straordinaria funzionalità con il comfort di utilizzo va
incontro alle necessità sempre più complesse dei soldati degli eserciti moderni». La nuova Battle Dress Uniform è stata adottata dalle Forze speciali e dalle
Truppe alpine dell’Esercito italiano, ma
anche dai soldati regolari.
Gore è rinomata non solo per i suoi
prodotti innovativi, ma anche per la sua
eccezionale cultura aziendale. Bill Gore,
che ha fondato l’azienda nel 1958 nello
stato del Delaware (Stati Uniti), ha valorizzato il potenziale creativo e innova-
tivo dei dipendenti, allestendo strutture organizzative non convenzionali. Sin
dal principio, ha fatto affidamento sulla flessibilità, su di un’organizzazione
cosiddetta “a matrice” (ovvero a gerarchia piatta) e sul gioco di squadra.
Una mentalità vincente
Oggi Gore opera globalmente con 10
mila Associati, come l’azienda definisce
i propri dipendenti. «Consideriamo tutti i nostri lavoratori non come dipendenti ma come Associati, al fine di stimolare
al massimo la loro mentalità imprenditoriale», dice ancora Massimo Marcolongo. La cultura aziendale di Gore è perciò
considerata di fondamentale importanza ed è altresì molto attraente. Da molti anni l’azienda è costantemente in vetta alle classifiche nazionali e internazionali dei datori di lavoro “Great Place to
Work®”. Quest’anno Gore Italia ha raggiunto il secondo posto nella classifica
“Best Small and Medium Workplaces”
(aziende con meno di 500 dipendenti).
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STILI DI VITA
CINEMA
diritto e gestione dell’ambiente
Un libro per “rifare la gente”
«D
Insieme per forza,
di Frank Coraci
Commediola
di fine stagione
Giuseppe Giusti: “Il fare un libro è meno che
niente/ se il libro fatto non rifà la gente”. In questo volume vengono
esposte posizioni non condivise dalla generalità di coloro che gestiscono l’argomento del quale ci si è occupati, oppure talmente rivoluzionarie da richiamare di per sé l’attenzione dell’opinione pubblica e almeno cominciare a smuoverla: in accordo col Giusti, l’obiettivo del lavoro è cominciare a rifare la gente».
Un’impresa titanica anche per chi, come Paolo Togni, direttore della Sstam
(Scuola Superiore Territorio, Ambiente, Management) dell’Università di Perugia e
un’attività di lungo corso presso il ministero dell’Ambiente, è abituato a scrivere –
in queste pagine ma non solo – e pensare contropelo in materia ambientale, materia «tra quelle che hanno più sofferto i condizionamenti di un’opinione pubblica
priva di conoscenze scientificamente fondate, e pertanto fortemente condizionabile da gruppi di interesse politico o economico, o che più semplicemente trovano la
loro radice e la ragione del proprio vivere nel rifiuto apodittico delle innovazioni
tecnologiche, basato su paure e sensazioni irrazionali».
L’opera Spunti critici in tema di diritto e gestione dell’ambiente, curato da Togni per la Sstam (Il Sole 24 ore, 225 pagine, 21 euro), si propone di “smuovere
la gente” e fornire una visione
quante leggi, sentenze, quanti complessiva delle problematiche ambientali in maniera rigosoldi sono stati impegnati
rosa e scientificamente correte quanti provvedimenti sono
ta. “Gli Ogm sono pericolosi”,
assunti con la premessa che
“gli inceneritori causano il can“i cibi biologici sono più sani” cro, “l’aumento delle temperao “gli inceneritori causano
ture terrestri è causato dall’attività dell’uomo”, “i cibi biologici
il cancro”?, chiede togni
sono più sani”: quante leggi, si
chiede Togni, sono state approvate, sentenze pronunziate, quanti soldi impegnati
e quanti provvedimenti assunti sulla base di tali affermazioni?
Il volume è composto da una serie di saggi di autorevoli esperti, che affrontano in maniera critica e non convenzionale queste e altre importanti tematiche del
settore. La prima parte tratta argomenti di ampio respiro in materia di diritto e gestione dell’ambiente, facendo riferimento a tesi diverse da quelle generalmente applicate dall’amministrazione; la seconda affronta argomenti più specifici con un taglio tecnico. Sia che si tratti di “teoria generale” che di argomenti applicativi, i saggi
hanno in comune «una visione complessiva e finale delle problematiche ambientali, che sono viste utilizzando un’ottica razionale, scientifica, antropocentrica». Il libro aspira a essere una testimonianza della verità, atto «essenziale per potersi riconoscere, per poter essere riconosciuti uomini nella società, individui nell’umanità».
iceva il troppo dimenticato
HUMUS IN FABULA
verso una FOOD POLICY
Milano propone un
patto internazionale
Più di metà della popolazione mondiale vive oggi nelle città e nel 2030 sarà il 60 per cento: come gestire l’insieme dei cicli
agroalimentari legati ad esse? È
un tema esplosivo a livello mondiale, che interessa sia gli slums
del Sud del mondo sia le grandi capitali dell’hi tech, da Los Angeles a Bangalore a Shanghai. Ed
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è un tema su cui Milano, sede di
Expo 2015, vuole fare la sua parte: «In quell’occasione chiederò ai sindaci di tutto il mondo di
sottoscrivere un patto internazionale che coinvolga anche le loro città nella costruzione di sistemi alimentari centrati sulla
sostenibilità e sulla giustizia sociale». Così Giuliano Pisapia firmando, lo scorso 10 luglio, un
protocollo d’intesa tra Comune e
Fondazione Cariplo per realizzare
una Food Policy, uno strumento
di supporto al governo della città per qualificare e rendere più
sostenibile ed equa Milano partendo dai temi legati all’alimen-
Genitori single, equipaggiati di prole, si ritrovano
in vacanza in Sudafrica.
Commedia romantica risaputa e volgarotta dello
stesso regista di Cambia la
tua vita con un click. È un
saldo di fine stagione (fine
stagione terribile: tra giugno e luglio, complice anche
il Mondiale, sono usciti tanti
film debolissimi) e va preso
per quello che è. La vicenda ricalca lo schema consolidato della commedia degli equivoci e degli opposti.
Lui, Adam Sandler (attore in gamba ma spesso pe-
HOME VIDEO
Snowpiercer,
di Bong Joon-ho
Il talento di Joon-ho
Mentre la Terra è stretta nella
morsa di una nuova Era Glaciale, i pochi sopravvissuti vivono
su un treno in corsa intorno al
mondo congelato.
Grande cinema apocalittico diretto dal talentuoso regista coreano Bong Joon-ho che
prende lo spunto dal cinema
classico (L’imperatore del Nord)
combinandolo con i film più recenti, da Matrix fino a Drive.
Suggestive caratterizzazioni dei
personaggi, scenografie perfette: a ogni vagone corrisponde
un genere di cinema diverso.
tazione. L’obiettivo, ha spiegato il
presidente di Fondazione Cariplo
Giuseppe Guzzetti, è «dare vita
ad un’azione che rimanga anche
dopo la manifestazione e soprattutto che sia basata su metodo
scientifico della ricerca, capace
di cambiare in meglio i comportamenti delle persone, degli attori e degli operatori». Come Kyoto, meglio di Kyoto, Expo dovrà
quindi lasciare un’ eredità concreta alla città, e alle città: un
patto internazionale che trasformi le Food Policies esistenti in un
decalogo di azioni utili alla diffusione di sistemi urbani del cibo
sani, equi e sostenibili.
berlino È di moda
Campioni d’ecologia
Non chiamatele fiere di nicchia:
la moda sostenibile è un must
per mercati e paesi attenti alle risorse del pianeta. Così dall’8
al 10 luglio Berlino ha ospitato
in coda alla Berlin Fashion Week il Green Showroom e l’Ethical Fashion show, accendendo i
riflettori su capi in materiali riciclati o certificati Gots (Global
organic textile standard). Per i
campioni del mondo la sostenibilità è una cosa seria: nel Padiglione della Germania a Expo 2015
vestiranno solo abiti ecologici.
REGOLE DA CASERMA
nalizzato da sceneggiature mediocri e un doppiaggio
piatto) è vedovo con tre figlie, di cui una adolescente
che sembra un maschiaccio.
La Barrymore, invece, è separata da un marito assente e ha due figli che sono
un terremoto. Si troveranno insieme in una vacanza in Sudafrica a sopportarsi a vicenda. I pregi: c’è un
padre (uomo) e una madre
(donna) alle prese con dei figli. Alcune gag, come quelle sulla figlia adolescente sono gustose e c’è buon feeling
tra i due protagonisti. I difetti: zero originalità e tante volgarità evitabili. visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Indennità di disoccupazione
A mia moglie, supplente giornaliera per la scuola dell’infanzia,
spetta l’indennità Mini-ASpI per il
2013 o per il 2014, avendo lavorato dal 24 settembre 2013 al 27
giugno 2014 per un totale di 105
giorni non consecutivi e non avendo usufruito di altre indennità?
Pasquale L.
invia il tuo quesito a
[email protected]
Vacanze a casa
Marinedda
Il regista
Frank Coraci
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
L’
aspirazione di casa Marinedda sarebbe quella di assomigliare a
un monastero: regole definite,
orari dettati dallo scorrere naturale del
tempo, ognuno significativamente votato all’altro, ora et labora, obbedienza
e dedizione a gogò. Aspirazione che si
scontra con la dura realtà di avere tre
maschi sotto i tredici anni e due femmine sotto i quattordici, per non parlare del nonno più che novantenne. Dello
stile benedettino qualcosa si mantiene,
ad esempio, mentre il mondo legge la
Mazzucco e grida modernamente, anche sulle rocce granitiche, che sei come
sei e come ti vuoi, qui, per sapere chi sei
veramente, vanno per la maggiore le avventure de La Freccia nera. Se il mondo
adora i club d’animazione per i bambini, qui sono i bambini che animano,
fin troppo, il mondo. Se i moderni sono così ingenui da pensare di sistemare e raddrizzare la natura, qui in ogni
ramo, nuvola, patatina e pezzo di carasau i maschi vedono rappresentate armi per conquistare il mondo e le femmine cani, gatti e tartarughe. Ma per
capire meglio perché, anche quest’anno, l’aspirazione a una regola da monastero rimarrà tale in favore di più ragionevoli leggi da caserma (il generale
comanda, stop), dovete pensare a due
maschi di 13 anni, sovversivi, che hanno fondato “la compagnia del mastino
di Baskerville”, che si guardano e, in puro stile foolish, iniziano a dire stupidaggini e a ridere, ridere, ridere.
mammaoca.com
Senza dati anagrafici è difficile
dare risposta. Per esempio, non
possiamo vedere se versa il contributo. Se non ha tempo per recarsi nella sede Inps di competenza, la domanda deve essere
presentata all’Inps, esclusivamente in via telematica, attraverso uno dei seguenti canali:
web (servizi accessibili tramite
pin attraverso il portale dell’Istituto); contact center multicanale
(numero telefonico 803164 gratuito da rete fissa); patronati/intermediari dell’Istituto.
I contributi figurativi per disoccupazione per la pensione di vec-
chiaia sono validi? Se lo sono, si
possono sommare più periodi di
disoccupazione per raggiungere
le 1.040 settimane?
Alessandra B.
Per il raggiungimento del requisito dei venti anni per la pensione di vecchiaia vale la contribuzione versata o accreditata a
qualsiasi titolo.
Come attivare i voucher? Ho
un’attività stagionale (stabilimento balneare) e ho bisogno di assumere un ragazzo. Come posso
comunicare il suo inizio? Devo comunicare i giorni esatti in cui la-
vorerà o posso essere generica e
chiamarlo quando ho bisogno?
Barbara V.
La procedura non consente di inserire dichiarazioni superiori a
30 giorni, si consiglia di indicare
i giorni/periodi di effettiva prestazione, tra il periodo dichiarato
e il compenso assegnato al prestatore, tenendo fede al criterio,
introdotto dalla nuova normativa sui voucher, dell’ancoraggio
orario dei buoni lavoro (per cui
un’ora di prestazione accessoria
deve essere compensata almeno con un buono lavoro del valore nominale di 10 euro).
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| 23 luglio 2014 |
47
Campagna Meeting 2014
MISSIONE TEMPI
RADDOPPIAMO GLI ABBONAMENTI
Sottoscrivi o rinnova un abbonamento dal 1 agosto al 15 settembre
ne riceverai uno digitale in omaggio per un nuovo amico
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PER PIACERE
BURRO&ALICI – LOCANDA DI MARE, ERBUSCO (BS)
Spettacolari piatti campani
nella terra del Franciacorta
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
LIBRI/1
Cultura, un affare
per giornalisti
vivi. Cioè curiosi
«Quando il mondo gira pagina
gli intellettuali non son lesti a cogliere il nuovo, a transire nel futuro senza perdere il passato. Le
eccezioni sono luminose, Dante,
Shakespeare, Galileo (...), ma non
frequenti. Eppure, alla fine di
questa lettura, il compito vi apparirà limpido: vivere senza paura il nostro tempo, trasferendo le
lezioni del passato, e imparando
dal futuro». Così Gianni Riotta
nella prefazione all’ultima fatica della sua più «scettica, riottosa e recalcitrante» allieva al corso “New Media e old values” alla
Summer School di Ca’ Foscari
e Harvard University a Venezia.
Maria Laura Conte, allora, «resisteva», riluttante ad accettare la
nuova era digitale, «preoccupata
di salvare il salvabile dell’esistenza precedente della comunicazione». In una società sommersa
da un sistema mediatico pervasivo e giocato sull’istante – si
chiedeva Conte, direttrice editoriale e della comunicazione della Fondazione Oasis – c’è ancora
spazio per il giornalismo culturale? E come svilupparlo in un contesto in cui i social media sembrano sostituirsi all’incontro “a
tu per tu” e i tweet diventano la
principale fonte di notizie? Con
queste domande, animata dalla stessa ricerca della verità con
cui per Oasis ha curato reportage dai fronti di guerra, Conte si
confronta con l’esperienza di Domenica, l’inserto settimanale del
Sole 24 ore che dal 1983 si occupa di cultura: parla con i suoi
animatori, interroga i suoi protagonisti, dagli eredi della pagina culturale del Giorno ai nuovi,
giovani, social media editor. Un
giornalismo per uomini vivi (ed.
Messaggero Padova, 27 euro) è
nato così: ritrovando nelle testi-
di Tommaso Farina
D
ai sapori forti della tradizione toscana, a quelli non meno fascinosi e profumati della Costiera Amalfitana. Questa è la
rivoluzione copernicana che, a Erbusco (Brescia), una delle capitali vinicole della Franciacorta, ha coinvolto il vecchio rustico al numero 7 di via Cavour, di proprietà di Vittorio Moretti,
storico patron di Bellavista. Fino a non molto tempo fa qui operava la famiglia Coppini, che, sotto l’insegna di “La Mongolfiera dei
Sodi”, aveva creato uno dei migliori ristoranti toscani fuori dalla
Toscana: ribollita, pappardelle col piccione, una superba bistecca
alla fiorentina. Oggi i Coppini han passato la mano. E il successore si avvia, probabilmente, a bissarne la storia gaudiosa. Pasquale
Torrente, cuoco dal cappellino inconfondibile, ha raggiunto la fama ai fuochi del Convento di Cetara (Salerno) con la sua interpretazione ortodossa della tradizione culinaria campana. Eccolo ora
qui, in Franciacorta, in un locale che col suo intervento è diventato molto luminoso, oltre che presidiato da una brigata di servizio di giovani campani.
Si può partire con una serie di “sfizi”: alici fritte con la provola (spettacolari); mozzarella di bufala; pane, burro e alici conservate di Cetara (un capolavoro di semplicità) e parecchio altro. Oppure, antipasti più “corposi”, come la sentimentale parmigiana
di melanzane e pesce azzurro.
Primo piatto? Le zite spezzate alla “genovese di tonno”, ossia
una genovese (carne in umido alle cipolle) fatta però col pesce.
Gli spaghetti cetaresi alla colatura di alici. Le spettacolari candele
(del Pastificio dei Campi) con ragù alla napoletana.
Lo stesso ragù si può ordinare anche di secondo, in aggiunta a
un eccellente calamaro ripieno di patate ai pomodorini, a un fritto di paranza o di calamaretti spillo, a un pesce del giorno. Dolce chiusura col babà, o con il tiramisù al limone. Per bere, avrete
una nervosa e intelligente cantina che mischia Campania, Franciacorta e altro. Da applausi il prezzo: meno di 45 euro per quattro portate.
Per informazioni
Burro&Alici – Locanda di mare
www.locandaburroealici.it
Via Cavour, 7 – Erbusco (Brescia)
Tel. 0307760569 – Giorno di chiusura in definizione, per ora sempre aperto
monianze di una intera generazione di giornalisti italiani e nelle pagine di Domenica, una via
«per stare al passo con la curiositas dei lettori e continuare ad
alimentarla», scrive l’autrice. E
per comprendere come, anche in
scenari socio-tecnologici trasformati, ciò che rimane costante
nel percorso storico e contenutistico di un giornale di cultura
è sempre la centralità dell’umano, «alimentata dall’originario e
inestirpabile desiderio dell’uomo:
l’inquietudine dell’intimo, per cui
nulla sembra mai bastare a soddisfare il desiderio di totalità che
ci tiene vivi».
libri/2
Il fiume carsico del meticciato
Sono l’emblema dei nuovi cittadini “glocali”, persone che accanto a una storia di mobilità,
che proietta in un orizzonte globale la percezione della propria
esistenza, traducono costantemente nell’esperienza quotidiana l’anelito a un miglioramento
delle proprie condizioni di vita. Sono gli immigrati, o persone “in arrivo”: un mondo che oggi, nell’universo glocale – dove
assistiamo al progressivo superamento della classica identità
nazionale in direzione del pluralismo e dell’ibridazione tra popoli e culture – partecipa alla costruzione di una nuova civiltà e
di un destino comune agli autoctoni. A questo meticciato, anzi, al fiume carsico del meticciato, e all’attualissimo tema della
nuova cittadinanza, è dedicato Legittime aspettative. Il cammino dell’immigrato nella nuova
Italia (ed. Claudiana, 12,50 euro) dell’imprenditore afro-italiano Otto Bitjoka, promotore degli
Stati Generali degli Immigrati in Italia. Per Bitjoka un mondo nuovo è possibile, anzi, è già
accaduto: la nuova mobilità e il
necessario incontro fra popoli,
può portare a un ringiovanimento culturale e caratteriale di società ricche ma stanche, in cui
la contrapposizione del “noi/voi”
può tradursi in reciproco scambio e la legittima aspettativa
dell’accoglienza restituire dignità a ogni essere umano, a vantaggio di tutti. «Siamo dunque
di fronte a un bivio per l’individuo», scrive Bitjoka al termine
di un’opera completa di numeri, casi di cronaca e proposte a
supporto di soluzioni politico-diplomatiche (come fare di Lampedusa un vero hub dell’immigrazione). «C’è da nutrire una
fiducia profetica nel cambiamento che sta avvenendo sotto
i nostri occhi: la storia futura ci
imporrà una prospettiva imprescindibilmente meticciata».
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motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
Bmw R 1200 GS
Novità in vista per la maxi enduro più venduta al mondo: a due anni dal lancio la Bmw R 1200 GS riceve alcuni aggiornamenti tecnici oltre a nuove colorazioni. Principalmente è il motore a cambiare. Dopo essere stato oggetto
di qualche critica per l’eccessiva reattività, ora è lo stesso che equipaggia la
RT e la GS Adventure: dotato di massa volanica maggiorata, ha una risposta
più dolce senza penalizzare le prestazioni (potenza massima di 125 cavalli).
Tra le novità segnaliamo il cambio elettronico assistito in scalata e la possibilità di dotare la moto di sistema di avviamento keyless (senza chiave) con un
[sc]
trasponder che sblocca sia l’accensione, sia il tappo del serbatoio.
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La nuova “peugeottina” OFFRE DUE MOTORIZZAZIONI,
Multimedialità al top e ALLESTIMENTI PREMIUM
Non chiamatela city car
La 108 punta in alto
I
Bmw ha equipaggiato la nuova R 1200 GS (foto
a sinistra) con il motore della RT, “addolcendo”
così la risposta senza penalizzare le prestazioni
n un segmento A che si sta rivelando sempre più dinamico e ricco di modelli, la piccola Peugeot 108
porta una ventata di freschezza e di glamour. Compatta, naturalmente adatta agli spostamenti urbani, la
nuova 108 sfoggia un rinnovato design decisamente elegante. E soprattutto moltiplica l’offerta con l’arrivo, in
aggiunta alle tradizionali versioni a tre e cinque porte,
anche di quella Top con tetto apribile in tela. Inevitabile, visto che è il trend del momento, la disponibilità di
molti temi di personalizzazione, dall’ambiente interno
ai tanti colori di carrozzeria.
Due le principali novità: una sotto il cofano, con l’arrivo del motore tre cilindri 1.2 da 82 cavalli che affianca il tradizionale mille da 68 caIl NUOVO PROPULSORE valli; una nell’abitacolo, grazie al
1.2 DA 82 CAVALLI sistema MirrorScreen che riporta
È DEDICATO A chi sullo schermo della vettura tutsceglie la 108 come to quanto presente sul proprio
unica auto anche smartphone.
La Peugeot 108 si distingue
PER TRAGITTI LUNGHI,
MAGARI Con il dal concetto di comune city car
bagagliaio PIENO per sposare allestimenti pre(ORA PIÙ CAPIENTE) mium di classe superiore, grazie
ad accessori che vanno dalla retrocamera alla climatizzazione automatica passando
per il sistema keyless e, volendo, per gli interni in pelle.
Il motore 1.0 è dedicato a chi affronta principalmente
la città. Il 1.2 per chi sceglie la 108 come unica auto e si
sposta anche su tragitti più impegnativi, magari con il
bagagliaio pieno (peraltro ora più capiente che in passato): questo è ciò che ci sentiamo di consigliare a chi vorrà acquistare la piccola leonessa. Se con la 107 la scelta era obbligata, oggi la 108 propone qualcosa in più
dal punto di vista delle prestazioni, che con gli 82 cavalli del 1.2 sono decisamente brillanti. A tutto questo la
“Peugeottina” associa un comparto sospensioni di qualità, passa indenne la prova del pavé e dell’asfalto sconnesso e offre un assetto efficace anche sul piano del feeling di guida.
Alla 108 di cilindrata 1.0 comunque non manca nulla, nemmeno la velocità autostradale, visto che a 130
km/h si viaggia a regimi di tutto riposo. Soprattutto se
acquistata con il cambio robotizzato Etg5 è la prima
scelta per chi userà la 108 in un ambiente prettamente
urbano, magari senza troppe salite.
Al debutto la 108 sarà disponibile con due modelli
in offerta lancio: 108 Active cinque porte con schermo
Touch 7 pollici a 10.000 euro netti e 108 Allure (l’allestimento più completo) cinque porte a 10.950 euro.
Stefano Cordara
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ACTA
MARTYRUM
RINCHIUSO DA DUE ANNI NEL SEMINARIO DI SHANGHAI
Ma, il vescovo fedele
al Papa che il regime
cinese vuole “convertire”
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DI LEONE GROTTI
P
er il secondo anno consecutivo, durante l’annuale commemorazione
dei santi martiri cinesi, Agostino
Zhao e compagni, canonizzati da Giovanni Paolo II nel 2000, si è pregato anche per Ma Daqin. Il 46enne vescovo di
Shanghai si trova agli arresti domiciliari nel seminario di Sheshan dal 7 luglio
2012, giorno della sua ordinazione episcopale a vescovo ausiliario e giorno del
suo arresto. Monsignor Ma, un tempo
benvoluto sia dal Vaticano che dal partito comunista, che vorrebbe decidere le
nomine episcopali in Cina come l’imperatore Enrico IV nel XI secolo, era stato arrestato dalla polizia alla fine della Messa
per aver pronunciato queste parole: «Con
questa ordinazione, io consacro il mio
cuore e la mia anima al ministero episcopale e all’evangelizzazione. Voglio dedicarmi ad assistere il vescovo (Jin Luxian,
allora 96enne, ndr) e per questo ci sono
alcune posizioni che mantengo e che risulterebbero sconvenienti. Da oggi in poi,
dunque, non sarò più membro dell’Associazione patriottica».
La dichiarazione è stata accolta da
un lunghissimo applauso dei fedeli ma il
partito comunista non l’ha presa altrettanto bene. L’Associazione patriottica è
un surrogato della Chiesa cattolica creato
da Mao Zedong nel 1958. Tra i suoi scopi
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c’è quello di istituire una Chiesa indipendente dalla Santa Sede e dal Papa, considerato un capo di Stato straniero e ostile.
Non a caso è stata definita da Benedetto
XVI un organo «inconciliabile con la dottrina cattolica». Sacerdoti e vescovi in Cina, però, sono chiamati ad aderire alla cosiddetta “Chiesa ufficiale”, che pretende
di stabilire cosa si insegna a catechismo,
chi deve essere ordinato, cosa si deve studiare nei seminari e cosa devono dire i
parroci durante le omelie. Ma Daqin ha
deciso coraggiosamente di obbedire al Papa e non al partito comunista, e ha voluto dirlo pubblicamente a tutti i fedeli della diocesi di Shanghai.
Quel mandato non è cancellabile
Gli ufficiali del partito l’hanno subito portato nel seminario di Sheshan, alla periferia di Shanghai, per farlo «riposare»
e perché le sue azioni «hanno violato in
modo grave il regolamento sull’ordinazione episcopale del Consiglio dei vescovi in Cina». In questa «gabbia dorata, isolato quasi completamente», come hanno
riferito i testimoni che sono riusciti a visitarlo di nascosto, «è dimagrito e pallido».
Il governo di Shanghai ha anche costretto la diocesi a sospenderlo, impedendogli
di concelebrare la Messa per due anni e revocandogli l’incarico di prete parrocchia-
SECONDO l’Associazione
patriottica «È plagiato
da forze straniere
(IL Vaticano, ndr). Ha
violato le regole della
Chiesa ma è una persona
dotata di talento e può
essere riabilitato
se si pente veramente
e riconosce i suoi errori»
le della chiesa Nostra Signora di Lourdes
di Tangmuqiao. Infine, la Conferenza episcopale della Chiesa cattolica cinese, non
riconosciuta dal Vaticano perché nello
statuto indica come autorità ultima un’assemblea democratica di prelati e non il Papa, ha revocato a monsignor Ma il titolo di
vescovo ausiliario di Shanghai.
Nel frattempo Ma è diventato vescovo
a tutti gli effetti di Shanghai. Il 27 apri-
Qui sopra, l’ingresso del
seminario di Sheshan,
dove da due anni è
rinchiuso ai domiciliari
monsignor Ma Daqin,
il vescovo della diocesi
messo «a riposo» dal
partito comunista
cinese per aver lasciato
la “Chiesa ufficiale”
e aver proclamato
in pubblico la sua
fedeltà al Papa
le 2013, infatti, è morto Jin Luxian, vescovo “patriottico” ordinato nel 1985 senza
l’approvazione del Papa e riconciliatosi
con la Chiesa nel 2005. Monsignor Savio
Hon, segretario della Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli, ha parlato
chiaro da Roma: «Ma Daqin è il legittimo
vescovo di Shanghai. La “Conferenza dei
vescovi cinesi” ha cancellato questo suo
titolo, ma la Santa Sede ha precisato che
nessuna conferenza episcopale, in nessuna parte al mondo, ha questo potere
di cancellare il mandato pontificio. Tanto più in questo caso, in cui la “conferenza” non è riconosciuta dal Vaticano». Il
partito comunista, invece, ha dichiarato
la sede vacante per bocca di Anthony Liu
Bainian, presidente onorario dell’Associazione patriottica: «Ma ha ingannato i vescovi e il governo. Come potrebbe diventare responsabile di una diocesi grande
come Shanghai? È plagiato da forze straniere (cioè dal Vaticano, ndr). Ha violato
le regole della Chiesa ma è una persona
dotata di talento e può essere riabilitato
se si pente veramente e riconosce i suoi
errori». L’errore di monsignor Ma Daqin
consiste nel riconoscimento dell’autorità
del Papa contro quella del partito comunista di Pechino, secondo il quale la volontà del Vaticano di nominare i vescovi
in Cina è una «ingerenza indebita».
«Non cambierete la nostra fede»
Prima del “caso Ma”, tra il 2010 e il 2012,
il governo cinese ha interrotto il dialogo
con la Santa Sede attraverso quattro ordinazioni illegittime senza l’approvazione
del Papa: quella di Guo Jincai a vescovo di
Chengde, quella di Paolo Lei Shiyin a vescovo di Leshan, quella di Giuseppe Huang
Bingzhang a vescovo di Shantou e quella
di Giuseppe Yue Fusheng a vescovo di Harbin. La Santa Sede in una nota ha ricordato che i vescovi illegittimi, e chi li ordina
contro il volere del Papa, incorrono tutti
nella scomunica secondo il canone 1382
del Codice di Diritto Canonico.
Ma Daqin, per sottrarsi all’autorità comunista, si è sottoposto agli arresti domiciliari e ai “corsi di studio” di Pechino.
Scontata la pena di due anni, sembra però che la prigionia andrà avanti, secondo quanto dichiarato da ufficiali del governo a un raduno di sacerdoti e suore
lo scorso 18 giugno: «Ma non sarà liberato perché deve continuare la sua azione
di pentimento e riflessione». Nonostante
la persecuzione, il vescovo non è abbattuto nello spirito come dimostrano le parole
che ha fatto giungere a papa Francesco attraverso il cardinale Joseph Zen Ze-kiung,
vescovo emerito di Hong Kong: «Non smetta di predicare la verità per timore di causare problemi a me». Anche il popolo cattolico di Shanghai ha capito il valore della
testimonianza di Ma. «Voi potete restringere la libertà di monsignor Ma, non potete però scuotere la sua fede», ha scritto il 7
luglio un fedele nel microblog del prelato,
dove vengono pubblicate preghiere e riflessioni. «Potete minacciarci, ma non potete cambiare la nostra fede. Noi vi trattiamo con benevolenza, ma voi calpestate la
nostra coscienza e ci guardate come rivoltosi. Potete demolire le nostre chiese, sbriciolare le nostre croci, ma Dio ricostruirà
il Suo tempio nei nostri cuori per sempre».
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LETTERE
AL DIRETTORE
Obama è “il peggiore”
anche perché i suoi
giudici “fanno scuola”
M
il tono esageratamente apologetico dell’articolo di Caterina Giojelli “Funeral home all’italiana”. Sono stato recentemente in questo luogo per rendere omaggio alla salma
di un caro amico. E sono rimasto raggelato… Questa casa funeraria non ha nulla del senso della morte della nostra
tradizione cristiana e occidentale. Tutto è racchiuso nella materia. È solo un concentrato di lusso, generi di conforto, salotti felpati, luce diffusa, tv, riviste e giornali vari: tutto finalizzato al benessere del dolente.
Finalizzato a far dimenticare ciò che
è intrinseco alla vicenda umana: la fine, il distacco, il dolore che fa soffrire chi resta e mantiene ancora la sua
autenticità di persona umana, in una
società che vuole ignorare il suo destino ultimo, e appoggia la speranza
sul conforto materiale, facendo della
morte un tabù. Qui invece viene attutito (o stordito) da un ambiente finalizzato solo al conforto materiale. Non
un simbolo religioso, tutto è “neutrale”, asettico, su un modello globalizzato, come la sala vip di un aeroporto.
La Giojelli scrive di «spazi che testimoniano una razionalità che guarda
alla vita che prosegue». Io non li ho
notati, a meno che non intenda dire
che prosegue per il dolente quella vita
di benessere che la morte ha tolto al
suo caro defunto! Questa casa funeraria esprime una cultura senza Dio.
Anche se ha fatto i funerali di Martini e di Giussani. È una copia di modelli americani. Come spiegare che Tempi scriva l’elogio di questo luogo? Me
i spiace dire che non condivido
lo spiego solo come una forma di pubblicità commerciale occulta. Gianfranco Lucini
La morte è come il diavolo: se ne
parla sempre troppo o troppo poco. E quando se ne parla si cerca
di esorcizzarli o con l’edonismo o
drammatizzando fino allo spasmo
(vedi la passione per la cronaca nera e i peggiori delitti che guarda caso fanno vendere i giornali e fanno
audience). Noi abbiamo incontrato
una persona che in qualche modo ha
cercato di dare al mistero del limite non un senso (quello spetta alla
coscienza e agli incontri che uno fa
nella vita) ma almeno una dignità e
un decoro. Questo abbiamo raccontato non nascondendo che questo è
anche il suo lavoro. Ognuno è libero
di leggerci ciò che crede. Noi preferiamo cercare di valorizzare in ogni
cosa la positività che ci è stata indi Fred Perri
TUTTI A TIFARE GERMANIA
I
n questi giorni, in cui si è concluso il Mondiale degli altri, ridotti al piccolo cabotaggio a cui ormai
siamo usi sia nella politica/economia che nel calcio, ci siamo divisi, come ai tempi dei Comuni e delle
Signorie, appiattendoci su questo o su quel potente.
Non so se vi siete resi conto dello splendido periodare che vi sto regalando, bastardi, comunque sto di-
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cendo che, fuori l’Italia abbiamo tifato per questo o
quello. Germania o Argentina? Qualcuno si è stupito che la maggioranza, salvo qualche fronda partenopea, ancora nostalgicamente ancorata al ricordo di
Maradona o entusiasta del Pipita Higuain, si sia trovata massiccia e inquadrata dalla parte della Germania. Invece non è casuale.
Foto: Ansa
Perché noi italiani in fondo in fondo
invidiamo i tedeschi (nonostante i bermuda)
[email protected]
segnata. Perfino in un funerale. (Caterina Giojelli)
2
L’assemblea dei presidenti degli Ordini
provinciali dei medici chirurghi ha approvato il nuovo Codice deontologico
che solo formalmente consente l’obiezione di coscienza all’articolo 22, ma
nello stesso articolo introduce anche
l’obbligo da parte del medico obiettore a dettagliare al paziente le modalità (dove, come, da chi) per ottenere
quella prestazione che il medico obiettore non gli fornisce. È chiaro che è
in questione la corretta applicazione
dell’obiezione di coscienza ovvero l’articolo 9 della legge 194/78. Il problema di fondo è che si sono idolatrati i
presunti “diritti” dei malati, ma in questo caso non si parla neanche di malati perché essere in gravidanza non è
certo essere ammalati. I diritti dei medici sono calpestati, i medici umiliati. Basterà che un medico, anche non
obiettore, magari semplicemente per il
fatto che fa il dietologo e si occupa di
tutt’altro, dica in buona fede “non so
dove si fanno le Ivg” che potrà essere
sanzionato. “Heil Hitler”. dr Fabio Sansonna Monza
È in arrivo (posso dirlo? massì lo dico) una grande libro del giudice milanese Guido Brambilla. In cui si dimostra che l’attuale epoca di diritti
crescenti nient’altro è che un fenomeno tardorinascimentale postmoderno in cui alle persone viene fatto
credere di essere protagonisti di un
processo di emancipazione, ma che
in realtà è asservimento grazie allo
svuotamento delle coscienze.
AMICI VERI E PICCOLE COSE LIETE
Preferisco il nostro Sud
dove il mare è “mare mare”
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
U
no dei messaggi del Concilio Vaticano II è valorizzare ciò che Dio ha creato: amare il mondo, senza essere mondani. Un cristiano perciò s’identifica con Gesù anche percorrendo come Lui le strade del mondo. Per me che mi trovo nel
Sud Italia (prima in Calabria e poi in Sicilia) è particolarmente evidente che le creature sono buone. Chi ama l’ordine, il funzionamento preciso dei trasporti, la puntualità, può andare a Düsseldorf, ma se preferisce le persone creative e intelligenti, capaci di vera amicizia, il Sud Italia è il posto ideale. Il Sud è una continua scoperta. La
compagnia di persone affettuose e profonde, che sanno chiedersi qual è il senso della vita, che hanno un senso devoto dell’ospitalità, è forse il bene più prezioso, assieme a un contorno di piccole cose liete. La frutta è saporita forse perché non passa per
troppi intermediari. Il mare, il grande mare blu dove lo sguardo si sperde, fa lievitare
un senso di letizia nel cuore. Anche il mar Baltico è mare, ma il mare del Sud è “mare mare”. Salato, calmo, trasparente. Un conoscente veniva via dalla spiaggia perché
era “sporco”: c’erano qua e là delle chiazze bianche piccoline, subito scomparse. Tralascio il confronto col mare nei pressi Roma o più su. A Monte Paone in Calabria c’è
un gelataio, un artista, che fa delle granite (i gusti assaggiati: mandorla, mandarino,
pompelmo rosa) che spopolerebbero altrove ma lui vuol restare al suo paese. Il Sud
mi rende più buono: il forte sole mi avvolge e mi fa tornare bambino.
Mi trovo occasionalmente negli Stati Uniti e stamattina leggevo sul New
York Times che un giudice ha invalidato il divieto di matrimonio fra persone dello stesso sesso in Colorado, approvato con referendum nel 2006.
Domanda: so che il common law è
strutturalmente diverso dai sistemi
continentali; ma poniamo un caso di
scuola. Io, come cittadino, sono chiamato ad applicare una decisione assembleare con un tenore chiaro, nata
dopo un ampio dibattito su un punto di elementare comprensione: se io
vi dicessi che la decisione di un’assemblea intera è retriva ed è superata dalla mia più intelligente arguzia, non
sarei quantomeno presuntuoso e maleducato? E forse – a seconda dei sistemi legali – anche fuori dalle prerogative che la legge mi riconosce?
Questione di cultura, di etica, prima
che di tecnica giuridica.
don Luca Caveada via internet
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
Come disse il poeta messicano Octavio Paz: «Gli
argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono francesi». Noi italiani, anche se li deridiamo per
le salsicce, i bermuda, le camicie, le infradito e non li
sopportiamo perché determinano il destino dell’Europa e in particolare il nostro, vorremmo essere come
i tedeschi. Perché noi viviamo tra gli estremi, o tutto o niente e in fondo amiamo questo nostro essere
splendidamente dannati o vincenti, senza vie di mezzo. Ma ogni tanto ci piacerebbe essere lì, mal che vada
secondi o terzi, mal che vada senza fantasia ma anche
senza correre il rischio di ritrovarci con il portafoglio
vuoto o eliminati da coreani, slovacchi, costaricani.
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taz&bao
Benedetto chi non s
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| Foto: Corbis
«Dobbiamo fermare tutto e subito. Dobbiamo fermarci
e dialogare. Ebrei, musulmani, cristiani, drusi. Tutti.
Dobbiamo fermarci e pensare. Fermarci e decidere
di perdonare, di ricominciare da capo, di accoglierci, di
abbracciarci. Sia benedetta la memoria di Eyal, Gilad e Naftali.
E siano benedetti tutti coloro che continuano a credere
e che non si arrendono al male, e cercano con responsabilità,
con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze di
mantenere in vita la splendida creazione che Dio ci ha dato».
Angelica Edna Calò Livné
Famiglia cristiana, 14 luglio 2014
n si arrende al male
MISCHIA
ORDINATA
FACILE E VELOCE COME IL GATTO E LA VOLPE
Il contraccettivo sottopelle che
spegne la libertà. Basta un click
di Annalisa Teggi
«Qui son li frati miei che dentro ai chiostri/ fermar li piedi e tennero il cor saldo» (Paradiso,
canto XXII)
S
e vuol dire: è facile. Si dice anche “in un click” e vuol
dire: è veloce. Facile e veloce sono una
coppia furba, come il gatto e la volpe. In loro compagnia siamo tentati di sentirci più liberi; liberi ad esempio di fare altro, se è stato più veloce del previsto riuscire a sbrigare
certe commissioni; liberi di soddisfare curiosità su oggetti ed esperienze, se sono facili
da usare o facili da provare. Di
contro, è fastidioso trovarsi la Un gesto, per essere libero, richiede che la volontà
strada sbarrata, mentre si cor- si esprima in pienEZZa di coscienza. e sì, PER questo
re da un posto all’altro con la SERVE il tempo di fermarsi a guardare ciò che si fa
coda dell’occhio sempre fissa
sull’orologio. Magari il Telepass funzionasse da la persona, la sacralità della sua libertà. E
su ogni metaforica strada della vita e bastas- qui mi sembra che con un click la si schiacci,
se il suo «bzz bzz» per alzare tutte le sbarre o meglio si tenti – facilmente e velocemente
in fretta, senza dover rallentare la velocità di – di anestetizzarla. Libertà significa libero arbitrio, un’adesione vigile e consapevole. Cumarcia! Magari sì e magari no.
Perché, in effetti, ci sono caselli o frontie- rioso, invece, che le obiezioni sorte in merito
re a cui, anche se è faticoso, è bene fermarsi, a questo prodotto siano sì inerenti la libertà,
fare coda e sbuffare. L’uomo non è una mac- ma a una visione più epidermica della liberchina a pulsanti, con un click lo accendi e tà. Da una parte, c’è chi storce il naso perché
con un altro lo spegni. L’uomo non è facile e ipotizza che con la scusa della contraccezioveloce; l’uomo ha il grande vantaggio di po- ne questo microchip sia un modo per conter essere complesso e lento, per essere libero. trollare le persone, dall’altra c’è chi suppoEppure, gli si para davanti sempre qualche ne che il telecomando possa essere azionato
nuova accoppiata di gatto e volpe a blandir- di nascosto da qualcuno che non è la donna
lo. I giornali hanno divulgato la notizia di un che “indossa” il microchip, forzandola così a
progetto innovativo sviluppato dai ricercato- inconsapevoli e clamorose scelte. Non dubiri del Massachusetts Institute of Technology to che siano preoccupazioni legittime, ma a
e sostenuto da Bill Gates: si tratta di un con- me preoccupa di più la sottile-impercettibitraccettivo digitale sottocutaneo, un minu- le-sottocutanea anestesia del libero arbitrio,
scolo microchip computerizzato controlla- quando scelte rilevanti diventano facili, veloto da un telecomando. L’apparecchio rilascia ci e quasi invisibili.
Un gesto, per essere libero davvero, riuna piccola dose di levonorgestrel, un ormone già usato come principio attivo nella pil- chiede che la volontà si esprima in pienezza
lola del giorno dopo, e che può durare fino a di coscienza, e sì, molto spesso questo richie16 anni. Sarà sul mercato nel 2018; per ora lo de il tempo di fermarsi a guardare ciò che si
slogan è: per una donna decidere se, e quan- fa. Perciò io sono tra quelli che non si crucdo, avere un figlio, diventa facile come guar- ciano, vedendo sfrecciare il gatto e la volpe
col Telepass; mi metto in coda e pago il pedare la tv; basta un click.
Non mi soffermo sul contraccettivo, per- daggio a mano… a quell’instancabile rompiché l’insidia che scorgo è a monte e riguar- scatole del grillo parlante.
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| 23 luglio 2014 |
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i dice “basta un click”