Dipartimento di Architettura Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara Osservazioni sul Disegno di Legge Lupi “Principi in materia di politiche pubbliche, territoriali e di trasformazione urbana” Premessa Per un’analisi corretta del Disegno di Legge in oggetto è necessario prendere in considerazione l’articolato processo di riforme in atto sul governo del territorio che comprende: a) la riforma del Titolo V della Costituzione; b) il riordino del sistema delle autonomie locali; c) il dibattito in corso (da decenni) sulla riforma del regime dei suoli. Rispetto al primo tema, è importante evidenziare che il contenuto della proposta di legge Lupi sia da analizzare anche in relazione all’intenzione, dichiarata dal Governo, di riportare tra le materie di competenza esclusiva dello Stato le “norme generali sul governo del territorio e l’urbanistica”. In tal senso, mentre è da apprezzare la volontà di ridurre il livello di incertezza normativa portando in sede centrale l’individuazione dei principi generali di riferimento, è tuttavia da rimarcare la necessità di una più chiara definizione degli spazi di autonomia degli Enti locali e dei loro strumenti operativi. Sarebbe preferibile che a livello statale si definissero solo le invarianti di sistema, con l’obiettivo di riportare a fattor comune le divergenti produzioni legislative regionali, lasciando poi alle Regioni il compito della declinazione di quei principi alla scala locale. Rispetto al processo di riordino degli enti locali, spicca evidente in questo testo di legge la difficoltà nel dare una connotazione istituzionale alle Province, che esisteranno (anche se depotenziate dalla conversione in Legge del DdL Del Rio) fino alla loro eventuale abolizione, che però presuppone una modifica della Costituzione e quindi un iter approvativo complesso e dai tempi incerti. Infine, una terza dimensione problematica riguarda la questione del regime dei suoli. Recuperando il contributo delle diverse proposte di legge nel tempo elaborate e di alcuni buoni esempi di leggi regionali vigenti, si tratta definire con chiarezza la natura e la dimensione del rapporto pubblicoprivato nei processi di trasformazione urbana. E questo certamente è un argomento ampiamente sviluppato dal DdL Lupi. Alcune riflessioni critiche sugli obiettivi del DdL Nonostante il suo titolo ambizioso, la bozza di Disegno di Legge non si configura come una riforma della Legge Urbanistica Nazionale del ‘42, ma rappresenta poco più di una legittimazione di alcune pratiche settoriali, già variamente sperimentate a livello locale, che ha come comune denominatore la volontà di migliorare l’efficacia delle disposizioni urbanistiche, soprattutto nei confronti dei diritti della proprietà privata. Il basso profilo di questa proposta (che si intuisce possa essere motivato dal tentativo di facilitarne l’iter parlamentare) rischia di condizionarne negativamente il giudizio, facendo passare in secondo piano alcuni elementi di indubbia utilità contenuti nel suo articolato: il superamento della dimensione quantitativa degli standard urbanistici verso soluzioni maggiormente adattive ai contesti locali; la formalizzazione del modello strutturale/operativo del piano urbanistico comunale già 1 sperimentato in molte leggi regionali; gli strumenti operativi di rapporto pubblico-privato quali la perequazione, la compensazione, gli accordi urbanistici, la fiscalità immobiliare, etc. In Parlamento - per altro - oltre al DdL Lupi si sono accumulati in questi anni quasi una decina di Progetti di Legge che, in qualche modo, tendono ad assumere il significato di “riforma urbanistica” (l’on. Morassut sta lavorando ad un tentativo di testo unificato), e non possiamo al momento prevederne gli sviluppi. Il DdL Lupi appare in questo senso una “occasione mancata” per cercare di riformare l’urbanistica italiana, oggi in evidente difficoltà per la sua crescente irrilevanza nelle politiche di trasformazione urbana e territoriale, e soprattutto per la sua preoccupante incapacità di trasmettere fermenti e valori positivi mirati al miglioramento delle condizioni di abitabilità del territorio, dell’ambiente e del paesaggio. Ma probabilmente c’è di più. Per molti versi, la proposta Lupi appare un “allarmante arretramento culturale” rispetto alle conquiste ottenute negli anni novanta per iniziativa del Ministero dei Lavori Pubblici prima, e del Ministero delle Infrastrutture poi. In quegli anni era emersa un’interessante vena sperimentale che, in sintonia con le direttive europee, aveva portato anche l’Italia a dotarsi di strumenti d’intervento avanzati (Urban, Programmi Complessi, PRUSST, etc.) soppiantando la dimensione del singolo intervento edilizio, frammentario e svincolato da visioni d’insieme, che aveva permeato le politiche pubbliche fino agli anni Ottanta. Oggi ci troviamo al capolinea di un lungo ciclo strutturale, caratterizzato dall’espansione continua e abnorme della produzione edilizia che ha provocato danni spesso irreversibili ai nostri territori. Proprio per questo si intravvede all’orizzonte un possibile punto di svolta nella cultura della trasformazione urbana, chiamata - adesso o mai più - a restaurare, ricostruire e a rigenerare il patrimonio edilizio esistente, prima ancora che a predisporre strumenti per le nuove urbanizzazioni. Queste erano le aspettative nei confronti di una bozza di Legge che, come si legge sull’home page del sito approntato ad hoc per la sua consultazione pubblica, si è posta l’ “obiettivo di predisporre un quadro normativo unitario in grado di rinnovare le norme urbanistiche di valenza nazionale, risalenti al 1942”. Da questo punto di vista la proposta va presa sul serio, perché si inquadra in un processo più ampio di ritorno a una visione dell’urbanistica tradizionale, mirata a ridurne strozzature e inefficienze nei processi attuativi, con l’intento di favorire l’investimento dei capitali privati, ritenuti (giustamente) indispensabili, soprattutto in questa congiuntura di recessione economica e di drammatico debito pubblico. Il problema è che questa volontà di “fare ordine”, ha come controindicazione il ridimensionamento di visioni più complessive che sostengono invece che il valore degli insediamenti urbani provenga non soltanto dalla fattibilità dei singoli interventi e dalle condizioni della loro concreta “cantierabilità”, ma ancora di più dalle loro relazioni d’interdipendenza, che trovano espressione nell’ idea di città e di territorio che si vuole perseguire. Ed è proprio questo che manca al DdL Lupi: un’idea di città e di territorio. E’ troppo da chiedere ad una Legge? 2 Da qualche tempo sta maturando la convinzione che il sistema politico-istituzionale italiano sia affetto da una congenita debolezza della propria capacità decisionale. In particolare si pensa che le difficoltà di costruire consenso intorno ad operazioni urbane complesse, a posizioni scientifiche più innovative, sarebbero tali da rendere proibitivo pensare a progetti troppo impegnativi, inducendo il legislatore a ridimensionare i propri obiettivi circoscrivendoli ai temi della immediata realizzabilità delle opere. Quest’approccio, che del resto sembra essere richiesto dal sistema produttivo, è implicitamente avallato anche dalle posizioni di alcune organizzazioni di categoria sensibili alla crisi delle piccole imprese, purtroppo spesso arretrate tecnologicamente e dal punto di vista organizzativo e sostanzialmente disinteressate alla modernizzazione dei propri sistemi di produzione. La proposta Lupi sembra nascere da questi presupposti, dando espressione a una convergenza trasversale tra posizioni tra loro eterogene, ma accomunate dall’intendimento di abbandonare relazioni d’interdipendenza troppo impegnative, e di riportare il processo di trasformazione della città e del territorio alla sua finalizzazione nell’intervento edilizio, non importa se frammentario e sconnesso dalla visione dello sviluppo da perseguire. Sullo sfondo rimane anche l’idea (datata!) che “se l’edilizia gira, va bene anche l’economia”, intendendo per edilizia unicamente le nuove costruzioni. Un preconcetto duro a morire che ha alimentato la crescita distorta ed il consumo di suolo dei nostri territori negli ultimi cinquant’anni. Il suggerimento che vogliamo dare alla bozza di legge Lupi è di non limitarsi al solo obiettivo di oliare i meccanismi dell’intervento edilizio, ma di cogliere l’occasione per affrontare temi ampiamente sviluppati nel dibattito scientifico, che certamente oggi sono da ritenersi ineludibili per una legge che si pone l’obiettivo di riformare il governo del territorio nel nostro paese. In questa prospettiva la nostra proposta è di includere nel Disegno di Legge le seguenti tematiche prioritarie: Decalogo di Tematiche prioritarie 1. Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana. Il tema dell’uso del suolo è affrontato solo marginalmente dal DdL, ad es. introducendo un incremento degli oneri di urbanizzazione inversamente proporzionale alla densità edilizia. Sarebbe invece opportuno assumerlo come principio fondamentale della proposta di legge, traguardando obiettivi di graduale riduzione dei processi di antropizzazione dei territori fino al raggiungimento di un auspicabile livello di “consumo zero”. Per far ciò si ritiene necessario impegnarsi fin da subito ad evitare qualunque nuova urbanizzazione se non laddove ne sia dimostrata l’inevitabilità, ossia quando sia dimostrata l’assenza o la non fattibilità di occasione di riuso e rigenerazione urbana capaci di soddisfare i fabbisogni regressi. In tal modo oltre a non innescare ulteriori consumi di suolo, si può perseguire anche l’obiettivo di intervenire sulla riqualificazione urbana, sociale ed ambientale di parti di città degradate. 2. Trattamento del patrimonio paesaggistico e rurale. Le leggi di tutela dettano disposizioni prevalenti rispetto a quelle della pianificazione, e questo è probabilmente il motivo della “grande assenza” del paesaggio in questo DdL, ma la rinuncia a qualsiasi indicazione, anche di principio, sul patrimonio paesaggistico in una legge che si pone ambiziosamente come riforma 3 delle politiche territoriali, appare non condivisibile. Alcuni principi fondamentali per la tutela del paesaggio e per la conservazione e la valorizzazione dei suoli agricoli andrebbero assunti e fatti declinare alla scala locale, come ad esempio l’individuazione delle aree a vocazione ambientale, i perimetri degli edificati urbani, le “cinture” verdi, i corridoi ecologici, etc. Andrebbero inoltre chiariti i rapporti con la pianificazione paesaggistica. 3. Recupero e valorizzazione dei centri storici. Anche qui: essendo i centri storici uno dei caratteri italiani maggiormente distintivi, è curioso come non compaiono in una proposta di legge nazionale sul governo del territorio. Non che non si possa demandare l’argomento a specifiche leggi di settore, ma parrebbe opportuno che alcuni principi sulla tutela e valorizzazione del patrimonio storico-architettonico potessero essere espressi in modo chiaro, quantomeno quelli riconosciuti come ampiamente condivisi da un dibattito scientifico oramai maturo su queste tematiche. Una cosa, inoltre, va detta sull’articolazione del concetto di Rinnovo urbano contenuto nel DdL che sembra quasi essere teso a riformare la L. 457/’78, anche nelle categorie di intervento, introducendo ad es. la demolizione. Questo elemento, in assenza di un riferimento esplicito alle categorie di tutela, pone alcune preoccupazioni. 4. Difesa del territorio e rischi ambientali. Il tema è di grandissima attualità, ma è trattano solo marginalmente dal DdL. Sarebbe stato preferibile un articolo specifico che definisse, ad es., il ruolo delle conoscenze (chi le fa? come?) o che specificasse i principi che le leggi regionali dovranno assumere in merito ad eventuali incentivazioni e premialità. Sul rischio sismico, ad es., si potrebbero introdurre principi, da declinare poi in sede locale, per specificare la gradualità negli interventi, includendo nelle tipologie ammesse anche interventi tecnici di costo contenuto, a carattere locale, ma di grande efficacia antisismica (cornicioni, grondaie, aggetti, ecc.). Ancora una volta: non che non lo si possa fare successivamente con altri strumenti operativi, ma è proprio per rafforzare l’idea che le metodologie di intervento sui rischi naturali (idraulici, geomorfologici, sismici, etc.) e sulla difesa del territorio entrano finalmente a pieno titolo nella cultura riformatrice di governo del territorio italiano. 5. Performance energetiche degli edifici e dei quartieri. Il tema merita un approfondimento rispetto alle disposizioni contenute nel DdL, specie per quanto attiene al miglioramento energetico, bioclimatico e igienico-sanitario, e gli indirizzi per una concreta ottimizzazione delle prestazioni correlate. Trattandosi di interventi orientati alla ridefinizione di parti urbane significative, sarebbe inoltre opportuno introdurre alcune indicazioni per l’adozione di un approccio progettuale che tanto alla scala urbana che a quella edilizia tenda al raggiungimento di una soglia misurabile di performance energetico-ambientali. 6. Iter approvativi e procedure partecipative. La legge non affronta uno dei nodi maggiormente problematici del processo di governo del territorio: gli iter procedurali. E’ chiara la volontà attraverso la Direttiva Quadro Territoriale (DQT) di riservare al solo livello statale le competenze decisionali sulle grandi operazioni infrastrutturali che (cit.) “garantiscono l’espressione della domanda pubblica di trasformazione che la pianificazione paesaggistica deve contenere”. Meno chiaro è il sistema procedurale di approvazione della strumentazione urbanistica di livello regionale e comunale. Il concetto di “co-pianificazione” sul quale si è a lungo riflettuto in questi anni, non è adottato in termini espliciti, mentre più spazio andrebbe riservato alle diverse modalità di partecipazione costruttiva al progetto, valorizzando i processi 4 di controllo in itinere rispetto agli stop tardivi dei divieti che intervengono a valle del processo di formazione delle scelte. 7. Riorganizzazione della strumentazione di piano. Il DdL se da un lato formalizza il modello strutturale/operativo del piano urbanistico, dall’altro continua a riferirsi genericamente a strumenti urbanistici che sono retaggio del “vecchio” PRG e dei livelli di pianificazione della L. 1150/42. Sarebbe opportuna una riorganizzazione istituzionale e normativa della strumentazione urbanistica, ad es. rafforzando il ruolo strategico della pianificazione a scala regionale, spingendo verso la dimensione intercomunale la pianificazione strutturale, affidando al piano comunale il duplice ruolo di quadro flessibile di coerenza per progetti di trasformazione urbanistica complessa e sistema delle regole per la gestione degli interventi diffusi sul patrimonio edilizio esistente. 8. Convergenza delle diverse azioni di trasformazione territoriale. Anche se si riconosce, in alcuni passaggi dell’articolato normativo proposto, lo sforzo di integrare gli obiettivi di trasformazione territoriale alle diverse scale di intervento, appare necessaria una maggiore convergenza delle diverse azioni che concorrono al governo delle trasformazioni territoriali traguardandole rispetto a comuni obiettivi di sostenibilità, inclusività e sviluppo “intelligente”, che devono essere alla base delle politiche urbanistiche, infrastrutturali, ambientali, paesaggistiche, economiche e sociali, con particolare riferimento al coordinamento effettivo tra piani urbanistici, progetti di settore (ad es. PRG portuali) e programmi finanziati con fondi comunitari. 9. Passaggio dagli Standard Urbanistici alle nuove Dotazioni Territoriali Essenziali. E’ apprezzabile il tentativo di superare la logica esclusivamente quantitativa degli standard urbanistici introdotti dal DM 1444/68. Desta invece qualche preoccupazione, non tanto in relazione al principio quanto ai rischi connessi alla sua applicazione, la cancellazione di qualsiasi soglia minima di servizi pubblici in assenza di un decreto sostitutivo che aggiorni gli standard ai nuovi fabbisogni passando da una logica “conformativa”, nel senso di adeguamento formale al rispetto delle prescrizioni quantitative di legge, ad una logica “performativa”, nel senso di verifica sostanziale del raggiungimento effettivo delle performance richieste al sistema insediativo. Sorprende infine l’assenza di riferimenti al tema della soft mobility (piste ciclabili, corridoi pedonali, mobilità pubblica sostenibile, etc.), che tanto spazio sta assumendo nelle politiche urbanistiche in tutta Europa. 10. Ricomposizione ricognitiva del quadro delle tutele. Il tema delle tutele ha visto un processo storico di allargamento progressivo che ha seguito con leggero ritardo quello della pianificazione urbanistica. Nell’ottocento si tutelavano i monumenti, poi si è passati a tutelare gli ambienti storici, e dopo interi centri urbani consolidati. Infine è maturato il concetto di paesaggio. Su questo terreno le competenze dello Stato e degli Enti locali si sono spesso sovrapposte e non di rado sono risultate conflittuali. La necessità è quindi quella di individuare in modo chiaro l’unitarietà del soggetto competente dell’insieme di tutele differenziate che a vario titolo insistono sullo stesso territorio, traguardando obiettivi di semplificazione operativa. Pescara, li 6 settembre 2014 5
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