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Rassegna Stampa del 14/11/2014
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INDICE
CONFIMI
14/11/2014 Corriere di Verona - Verona
La cava, la frana e i terreni del leghista Report torna a occuparsi di Verona
7
14/11/2014 Eco di Bergamo
La politica del rigore ci fa andare fuoristrada
8
14/11/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale
Sindaco: «Lieto fine importante pure per l'azienda»
9
14/11/2014 Il Giornale di Vicenza
Apindustria, missione a Camera e Senato
10
14/11/2014 Prima Pagina - Modena
'«Grande sollievo, eravamo tutti col fiato sospeso»
14
CONFIMI WEB
13/11/2014 www.informazione.it 17:05
Grande successo per la Festa dell'Imprenditoria, la serata dedicata al business
aziendale firmata Apindustria
16
13/11/2014 www.bologna2000.com 11:43
Gorzanelli (Apmi): soddisfazione e sollievo per la liberazione di Marco Vallisa
17
13/11/2014 www.modena2000.it
Gorzanelli (Apmi): soddisfazione e sollievo per la liberazione di Marco Vallisa
18
13/11/2014 www.reggio2000.it 11:43
Gorzanelli (Apmi): soddisfazione e sollievo per la liberazione di Marco Vallisa
19
13/11/2014 www.sassuoloonline.it 11:43
Gorzanelli (Apmi): soddisfazione e sollievo per la liberazione di Marco Vallisa
20
13/11/2014 www.sat8.tv 16:49
Grande successo per la Festa dell'Imprenditoria, la serata dedicata al business
aziendale firmata Apindustria
21
13/11/2014 7grammilavoro.com 17:31
Interpello n. 27/2014: somministrazione irregolare, distacco illecito e "lavoro nero"
22
13/11/2014 www.a-zeta.it 19:09
Grande successo per la Festa dell'Imprenditoria, la serata dedicata al business
aziendale firmata Apindustria
23
13/11/2014 www.comunicati-stampa.com 18:03
Grande successo per la Festa dell'Imprenditoria, la serata dedicata al business
aziendale firmata Apindustria
24
SCENARIO ECONOMIA
14/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Bce taglia la crescita di Eurolandia Bankitalia: «Mutui in ripresa»
26
14/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Alitalia-Etihad, più vicino il via libera Ue
28
14/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Maxi-assegno Ferrari per Fca Da Maranello 2,2 miliardi di euro
29
14/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Per Mediaset Premium il giorno di Telefonica Porte aperte a nuovi soci
31
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
«Nuove regole da gennaio»
32
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Né stop né retromarce
34
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Recessione, Europa svegliati dal torpore
35
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
È l'eurozona l'anello debole
37
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
«Dalla riforma una spinta per il rilancio»
38
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
È il momento per le ragioni dell'industria
40
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Ferrari verserà a Fca cedola da 2,25 miliardi#
41
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Le Borse europee tentano il rimbalzo
43
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Industria europea e italiana ancora in partita, l'eccellenza traina l'export
45
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il capitalismo familiare ha un volto giovane
48
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Patto della finanza per la ripresa
49
14/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Il re dei fondi "Punto sull'Italia"
50
14/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Bankitalia: "Ora è a rischio la stabilità dell'Eurozona" S&P: verso la terza recessione
52
14/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Nuova Sky punta sulle serie Tv Italia sarà Hollywood europea Più abbonati in banda
larga"
53
14/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Saipem in vendita tra Fsi e soci stranieri
55
14/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Amazon-Hachette la guerra dei libri adesso è finita
56
14/11/2014 La Stampa - Nazionale
"Jobs Act, pronti alla fiducia"
58
14/11/2014 La Stampa - Nazionale
Bankitalia lancia l'allarme Credito giù anche nel 2015
60
14/11/2014 La Stampa - Nazionale
Banche, la Borsa scommette sul risiko
61
14/11/2014 MF - Nazionale
Rai Way rompe il tabù delle ipo Va in borsa con offerta coperta per 2,1 volte
63
14/11/2014 MF - Nazionale
Contratto dei bancari, la pregiudiziale dell'Abi gela la trattativa
64
14/11/2014 MF - Nazionale
Della Valle: ipo del Cavallino per salvare bidone Fca
65
14/11/2014 MF - Nazionale
Chi contesta Draghi ha ragione, ma sbaglia modi e bersagli
66
14/11/2014 MF - Nazionale
Class Editori, ebitda in recupero del 38,8% nei 9 mesi
68
14/11/2014 MF - Nazionale
I profitti della Caltagirone spa balzano a 73 milioni
69
SCENARIO PMI
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Fondi e manager rilevano Agrimaster
71
14/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il «back to Italy» stenta a decollare
72
14/11/2014 MF - Nazionale
Aqr, il credito svalutato dieci volte più dei derivati
75
14/11/2014 MF - Nazionale
Le pmi strizzano l'occhio al fenomeno del back to Italy
77
14/11/2014 La Repubblica - Album - 14 novembre 2014
"La Regione punta su green e giovani"
78
CONFIMI
articoli
14/11/2014
Corriere di Verona Verona
Pag. 3
Domenica un servizio su Alcenago (Grezzana), dove la procura indaga sul crollo della strada provinciale
Alessio Corazza
VERONA Le immagini aeree, riprese con un drone, sono spettacolari e allo stesso tempo spaventose: si
vede il fianco sventrata della collina di Alcenago, sopra Grezzana, con la strada provinciale crollata e altre
voragini attorno. Verranno trasmesse domenica, in un servizio che andrà in onda all'interno del programma di
Rai 3 Report, che torna quindi ad occuparsi di Verona (in questo caso, della sua provincia) a sette mesi dal
famigerato servizio su Flavio Tosi. I primi crolli ad Alcenago risalgono al 2011 e secondo alcuni esperti, tra cui
il geologo dell'Università di Firenze Stefano Casagli (anche consulente della procura di Verona, che sul caso
ha aperto un'inchiesta), la responsabilità è da ascriversi alle attività di scavo della cava sottostante. «La
coincidenza spaziale e temporale fra i crolli in profondità e i dissesti in superficie è, a parere dello scrivente,
diretta ed evidente», scriveva il geologo in una relazione per la Provincia di Verona. La stessa giunta
provinciale, il 13 agosto scorso, ha dato parere favorevole all'ampliamento della cava (la cui ultima parola
spetta alla Regione). Per ottenere l'ampliamento, la ditta Micromarmo, che detiene i diritti di sfruttamento
della cava, ha dovuto pagare un indennizzo ai proprietari dei terreni in superficie. Giulio Valesini di Report ha
scoperto che circa un quarto dei terreni dell'area di ampliamento sono di proprietà di un politico leghista,
Adelino Brunelli, consigliere comunale a Grezzana ma anche consigliere proprio in Provincia, fino alla scorsa
primavera. «Li ho ereditati da mio padre nell'83, l'ho appreso da quelli di Report che stavano nella zona di
ampliamento della cava - sostiene lui - ma dov'è finita la privacy?». Brunelli assicura in ogni caso di non aver
preso niente «per adesso», ma nell'atto notarile recuperato da Report sta scritto che il politico, nel 2007, ha
incassato 40mila euro dai cavatori. «Ci sono stati contratti di sfruttamento nel 2007 con lui e con gli altri
proprietari dei terreni, che sono circa 500, pagati due o tre volte il valore delle aree agricole», conferma il
presidente della Micromarmo, Arturo Alberti , anche presidente dell'Associazione Piccoli Industriali (Api) di
Verona. Sulla vicenda della frana, Alberti si dice assolutamente «sereno»: precisa che nessuna
contestazione diretta è arrivata alla ditta e che la collaborazione con le istituzioni (Provincia e Regione) è
massima. Non solo: Micromarmo ha una controperizia di un altro geologo, il professor Rinaldo Genovais
dell'Università di Padova, per cui i crolli in superficie non sono collegati alle attività di scavo in profondità, ma
sono da avvenuti per cause naturali. «La strada non avrebbe dovuto trovarsi lì - secondo Alberti - era una
zona franosa già nel Paleolitico». Un dirigente della Provincia spiega a Report che l'ultimo controllo «visivo»
prima dei crolli, nel 2010, non aveva rilevato rischi. Ma oggi, i residenti di Alcenago, in particolare dell'abitato
di Senge, spiegano di non riuscire nemmeno ad assicurare le proprie case. A Senge abita anche lo stesso
Adelino Brunelli che, a scanso di equivoci, di dice contrario all'ampliamento della cava: «Il vero problema sostiene - è l'uso dell'esplosivo. Oggi volta che in cava scoppia una mina, le nostre case tremano».
CONFIMI - Rassegna Stampa 14/11/2014
7
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La cava, la frana e i terreni del leghista Report torna a occuparsi di Verona
14/11/2014
Eco di Bergamo
(diffusione:54521, tiratura:63295)
Le politiche restrittive e anti-crescita della finanza nordeuropea condannano il nostro Paese ad una
deindustrializzazione irreversibile.
I parametri delle istituzioni sovranazionali sono la continuazione della politica di austerità che ha distrutto il
nostro mercato interno negli ultimi anni, portando una perdita del 25% alla nostra produzione industriale.
Non è concepibile che uno Stato accetti regole che riducano la propria economia al limite di una crisi sociale.
L'Italia viene così condannata ad un collasso collettivo con una ulteriore perdita di migliaia di piccole e medie
imprese, favorendo, non a caso, l'acquisizione delle nostre eccellenze industriali da parte di competitors
europei, depotenziando il nostro sistema industriale.
L'ulteriore irrigidimento delle condizioni pretese dalla Bce sulla concessione del credito, insieme agli stress
test e ai parametri di Basilea, aggraverà in via definitiva il credit crunch alle aziende di piccola dimensione
non quotate in Borsa, togliendo quel poco credito a loro concesso.
Si tratta di parametri tarati sui meccanismi speculativi globali - proprio quelli che hanno provocato la crisi piuttosto che mirati a favorire una crescita sana dell'economia produttiva.
Gli appelli ad adeguarci alla nuova realtà troppo spesso nascondono la volontà di rendere egemoni i mercati
finanziari globali, in contrasto con il modello delle Pmi che affondano le loro radici nel territorio e nel lavoro
onesto.
Non è una questione di chiusura o di resistenza all'innovazione, ma di modello economico e di concezione
della società.
Rendiamoci conto che ciò che ci viene richiesto è di impossibile realizzazione se non con l'annientamento del
nostro sistema produttivo.
C'è chi pensa di approfittare della subalternità della politica italiana per conquistare ulteriori segmenti di
mercato, ma a lungo termine non c'è scampo: la politica europea del rigore farà affondare tutti, rendendo il
continente sempre meno importante in un mondo dove si affacciano nuovi autori orientati al progresso.
O l'Italia o l'Europa: non esistono soluzioni a queste condizioni.
Usciamo dai parametri, rilanciamo la nostra economia, facciamoci pure multare dalla Ue, sarà il male minore
pagare 5 miliardi di euro in caso di sforamento dell'1%.
Non è possibile che una economia in depressione possa produrre risorse per diminuire il debito pubblico .
Salviamo le imprese e il posto di lavoro degli italiani, tratteniamo in Italia le nostre industrie.
Se non esiste una politica solidale europea verso i paesi più in difficoltà, tutti gli appelli ai nobili valori dei
fondatori dell'Europa si rivelano vuoti e strumentali, atti solo a dividerci ancora di più.
Non fingiamo di credere che potendo licenziare si risolvano i problemi della crescita di questo Paese.
Verremo comunque tutti "licenziati" senza reintegra dal curatore fallimentare. Paolo Agnelli presidente di
Confimi Impresa - Confederazione dell'industria manifatturiera italiana e dell'impresa privata
CONFIMI - Rassegna Stampa 14/11/2014
8
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La politica del rigore ci fa andare fuoristrada
14/11/2014
Gazzetta di Modena - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:10626, tiratura:14183)
Sindaco: «Lieto fine importante pure per l'azienda»
Sindaco: «Lieto fine
importante
pure per l'azienda»
Soddisfazione in città per la liberazione di Vallisa. «La famiglia del tecnico di Piacenza può finalmente
ritrovare la serenità - afferma il sindaco Muzzarelli - ma la conclusione della vicenda e' importante anche per
l'azienda e per tutto il sistema economico locale». Giovanni Gorzanelli, presidente di Apmi Confimi Modena:
«Salutiamo il rilascio e il rientro in patria di Marco Vallisa. Esprimiamo la nostra grande soddisfazione per la
conclusione di una vicenda che ci aveva tenuti tutti con il fiato sospeso, e soprattutto il grande sollievo per la
ritrovata serenità di una famiglia così pesantemente segnata». La presidente del consiglio comunale
Francesca Maletti, aprendo ieri la seduta, ha espresso a nome di tutta l'assemblea soddisfazione per la
liberazione di Marco Vallisa: «Un grazie va all'impegno delle forze dell'ordine libiche, del ministero degli Esteri
italiano e della stessa Piacentini . La liberazione del nostro tecnico, oltre a darci serenità, permette anche alle
imprese in Libia di riprendere il lavoro». Il ministro Gentiloni: «Desidero ringraziare calorosamente tutti coloro
che hanno lavorato per il felice esito della vicenda. Tale risultato è il frutto di un gioco di squadra dell'Unità di
crisi del ministero degli Esteri, dei nostri servizi d'informazione e dell'ambasciata d'Italia a Tripoli. Un
particolare ringraziamento va alla famiglia Vallisa per la fiducia nel lavoro delle istituzioni».
CONFIMI - Rassegna Stampa 14/11/2014
9
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Sindaco: «Lieto fine importante pure per l'azienda»
14/11/2014
Il Giornale di Vicenza
Pag. 10
(diffusione:41821, tiratura:51628)
Apindustria, missione a Camera e Senato
Apindustria in Parlamento Missione in Parlamento per Apindustria Vicenza: «Una visita al Senato, una alla
Camera durante un "question time", ma soprattutto l´incontro con i parlamentari per spiegare - spiega una
nota - quello che non va delle leggi attuali, le lacune che frenano lo sviluppo delle imprese, le normative che
servirebbero per facilitarne la crescita. Apindustria Vicenza ha deciso di scendere a Roma, per parlare con
chi queste norme le propone, le decide, indirizzando così il futuro dell´economia del Paese. Una ventina di
industriali dell´associazione vicentina, guidati dal presidente Flavio Lorenzin, sono entrati in Parlamento, per
avere un dialogo diretto con i deputati. L´incontro è stato organizzato dal parlamentare veronese Mattia
Fantinati del Movimento Cinque Stelle. «Gli imprenditori vicentini mi hanno illustrato le loro perplessità sulla
Legge di stabilità - spiega Fantinati -. Ho avuto il loro appoggio per il mio emendamento sulla compensazione
delle cartelle esattoriali a favore delle imprese titolari di crediti nei confronti della pubblica amministrazione. Mi
hanno ringraziato per l´emendamento anti delocalizzazione, in base al quale i contributi pubblici in conto
capitale erogati da gennaio 2014 decadono se l´impresa delocalizza la produzione in uno Stato non
appartenente all´Unione Europea. C´è una delocalizzazione scorretta, che uccide le imprese del Nordest.
CONFIMI - Rassegna Stampa 14/11/2014
10
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CONFRONTO SULLE LEGGI. Su invito del M5S
14/11/2014
Prima Pagina - Modena
Pag. 3
'«Grande sollievo, eravamo tutti col fiato sospeso»
I vertici di Aniem e Apmi: «Felici per i familiari e partecipi della gioia di Dino Piacentini »
«Salutiamo il rilascio e il rientro in patria di Marco Vallisa, il tecnico della "Pia centini costruzioni" r i m as t o
per oltre 4 lunghi mesi nelle mani dei rapitori in Libia, dove si trovava per conto dell'im presa che fa capo al
nostro past president Dino Piacentini». Così Giovanni Gorzanelli, presidente di Apmi Confimi Modena,
commenta la notizia della liberazione di Vallisa data nella notte dal ministro degli Esteri Gentiloni.
«Esprimiamo la nostra grande soddisfazione per la conclusione di una vicenda che ci aveva tenuti tutti con il
fiato sospeso e, soprattutto, il grande sollievo per la ritrovata serenità di una famiglia così pesantemente
segnata». Dello stesso tenore le parole il direttore generale di Aniem Federico Ruta: «Siamo partecipi alla
gioia del nostro presidente Dino Piacentini per la liberazione, dopo 4 mesi, di Vallisa - ha dichiarato -.
Rompiamo il nostro tradizionale riserbo su questa situazione per gioire insieme al nostro presidente e per
unirci ai r i n g r a z i amenti alle autorità italiane e quelle lib i c h e p e r quanto fatto in questi mesi per la
liberazione di Vallisa. Finalmente tiriamo tutti un sospiro di s o l l i evo » . Le istituzioni si sono accodate alla
gioia delle associazioni imprenditoriali. «Esprimo la soddisfazione mia personale e dell'amministrazione
comunale per la liberazione del dipendente della ditta modenese "Piacentini costruzioni", rapito in Libia - ha
affermato il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli -. La famiglia del tecnico di Piacenza può finalmente
ritrovare la serenità ma la conclusione della vicenda è importante anche per l'a zienda e per l'i nte ro sistema
economico locale». Al primo cittadino si allinea il presidente del Consiglio comunale, Francesca Maletti,
aprendo la seduta di ieri: «Un grazie va all'impe gno delle forze dell'ordine libiche, del ministero degli Esteri
italiano e della stessa Piacentini - ha osservato -. La liberazione, oltre a darci serenità, permette alle imprese
in Libia di riprendere il lavoro». «Per noi è la fine di un incubo - ha fatto sapere Marco Bricconi, sindaco di
Cadeo, comune di 6mila abitanti della Bassa piacentina nel quale vive la famiglia Vallisa -. Questa sera
stessa (ieri per chi legge, nd r ) abbiamo organizzato un momento di preghiera nel nostro santuario di
Roveleto, in attesa di riabbracciare e festeggiare Marco». Nel frattempo la moglie Silvia si è portata a Roma
per riabbracciare il marito. «E' stata lei ad avvisarmi della liberazione - ha concluso il sindaco, che è amico
d'infanzia di Vallisa - con un sms, poi ci siamo sentiti più volte al telefono. Ripeto: è la fine di un incubo,
anche se noi non abbiamo mai ceduto allo sconforto e siamo rimasti sempre speranzosi di un esito
favorevole della vicenda». Nel paese di Marco Il primo cittadino: «Avvisati dalla moglie Silvia». Campane a
festa e preghiera in chies CHI E Marco Vallisa ha 53 anni ed è originario di Cadeo, in provincia di Piacenza; è
un tecnico specializzato nel settore costruzioni e perforazioni, che spesso lavora con grandi aziende anche
all'estero. Sin da luglio il suo paese si è stretto intorno alla sua famiglia: la moglie Silvia Bolzoni, farmacista
del paese e consigliere comunale nel gruppo di maggioranza, e tre figli. E ieri alle 8.30, alla diffusione della
notizia della libera, le campane della chiesa di Roveleto di Cadeo hanno suonato a festa.
CONFIMI - Rassegna Stampa 14/11/2014
11
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I COMMENTI Mentre il sindaco di Modena parla di «conclusione positiva per l'intero sistema economico
locale»
CONFIMI WEB
articoli
13/11/2014
17:05
www.informazione.it
Sito Web
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Verona, 10 novembre 2014 - Sono stati circa 250 gli imprenditori che hanno partecipato venerdì 7 novembre
alla Festa dell'Imprenditoria, organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza.
Verona, 13/11/2014 (informazione.it - comunicati stampa - fiere ed eventi)
- Sono stati circa 250 gli imprenditori che hanno partecipato venerdì 7 novembre alla Festa dell'Imprenditoria,
organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza.
'La Festa dell'Imprenditoria è stata un'occasione perfetta per sviluppare rapporti con le realtà associative
territoriali più vicine in un'ottica di networking' ha dichiarato il Presidente di Apindustria Arturo Alberti.
'Apindustria Verona e Vicenza hanno dimostrato che fra associazioni è possibile, e deve esserci, il dialogo.
La promozione dell'extraterritorialità è avvenuta anche grazie al prezioso sostegno di Confimi,
Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e dell'Impresa Privata, alla quale aderiscono 20.000
imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato pari a 70 miliardi di euro'.
Oltre ad imprenditori veronesi, hanno partecipato all'evento anche esponenti di altre associazioni
imprenditoriali di Vicenza e Mantova.
La Festa dell'Imprenditoria vuole essere il primo di una serie continuativa di numerosi incontri, inseriti
all'interno di un progetto volto a favorire la creazione di rapporti sempre più stabili e profondi tra le
associazioni, occasioni di networking imprenditoriali extraterritoriali.
Apindustria Verona
Via Albere 21, Verona
[email protected]
T. 045 810 2001
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 14/11/2014
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"Salutiamo il rilascio e il rientro in patria di Marco Vallisa, il tecnico della Piacentini Costruzioni rimasto per
oltre 4 lunghi mesi nelle mani dei rapitori in Libia, dove si trovava per conto dell'impresa che fa capo al nostro
past president Dino Piacentini". Così Giovanni Gorzanelli, presidente di Apmi Confimi Modena nel
commentare la notizia della liberazione di Vallisa data nella notte dal Ministro degli Esteri Gentiloni.
'Esprimiamo la nostra grande soddisfazione per la conclusione di una vicenda che ci aveva tenuti tutti con il
fiato sospeso, e soprattutto il grande sollievo per la ritrovata serenità di una famiglia così pesantemente
segnata".
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Gorzanelli (Apmi): soddisfazione e sollievo per la liberazione di Marco
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"Salutiamo il rilascio e il rientro in patria di Marco Vallisa, il tecnico della Piacentini Costruzioni rimasto per
oltre 4 lunghi mesi nelle mani dei rapitori in Libia, dove si trovava per conto dell'impresa che fa capo al nostro
past president Dino Piacentini". Così Giovanni Gorzanelli, presidente di Apmi Confimi Modena nel
commentare la notizia della liberazione di Vallisa data nella notte dal Ministro degli Esteri Gentiloni.
"Esprimiamo la nostra grande soddisfazione per la conclusione di una vicenda che ci aveva tenuti tutti con il
fiato sospeso, e soprattutto il grande sollievo per la ritrovata serenità di una famiglia così pesantemente
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"Salutiamo il rilascio e il rientro in patria di Marco Vallisa, il tecnico della Piacentini Costruzioni rimasto per
oltre 4 lunghi mesi nelle mani dei rapitori in Libia, dove si trovava per conto dell'impresa che fa capo al nostro
past president Dino Piacentini". Così Giovanni Gorzanelli, presidente di Apmi Confimi Modena nel
commentare la notizia della liberazione di Vallisa data nella notte dal Ministro degli Esteri Gentiloni.
'Esprimiamo la nostra grande soddisfazione per la conclusione di una vicenda che ci aveva tenuti tutti con il
fiato sospeso, e soprattutto il grande sollievo per la ritrovata serenità di una famiglia così pesantemente
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"Salutiamo il rilascio e il rientro in patria di Marco Vallisa, il tecnico della Piacentini Costruzioni rimasto per
oltre 4 lunghi mesi nelle mani dei rapitori in Libia, dove si trovava per conto dell'impresa che fa capo al nostro
past president Dino Piacentini". Così Giovanni Gorzanelli, presidente di Apmi Confimi Modena nel
commentare la notizia della liberazione di Vallisa data nella notte dal Ministro degli Esteri Gentiloni.
'Esprimiamo la nostra grande soddisfazione per la conclusione di una vicenda che ci aveva tenuti tutti con il
fiato sospeso, e soprattutto il grande sollievo per la ritrovata serenità di una famiglia così pesantemente
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Vallisa
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Verona, 10 novembre 2014 - Sono stati circa 250 gli imprenditori che hanno partecipato venerdì 7 novembre
alla Festa dell'Imprenditoria, organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza.
'La Festa dell'Imprenditoria è stata un'occasione perfetta per sviluppare rapporti con le realtà associative
territoriali più vicine in un'ottica di networking' ha dichiarato il Presidente di Apindustria Arturo Alberti.
'Apindustria Verona e Vicenza hanno dimostrato che fra associazioni è possibile, e deve esserci, il dialogo.
La promozione dell'extraterritorialità è avvenuta anche grazie al prezioso sostegno di Confimi,
Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e dell'Impresa Privata, alla quale aderiscono 20.000
imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato pari a 70 miliardi di euro'.
Oltre ad imprenditori veronesi, hanno partecipato all'evento anche esponenti di altre associazioni
imprenditoriali di Vicenza e Mantova.
La Festa dell'Imprenditoria vuole essere il primo di una serie continuativa di numerosi incontri, inseriti
all'interno di un progetto volto a favorire la creazione di rapporti sempre più stabili e profondi tra le
associazioni, occasioni di networking imprenditoriali extraterritoriali.
Apindustria Verona
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T. 045 810 2001
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CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Grande successo per la Festa dell'Imprenditoria, la serata dedicata al
business aziendale firmata Apindustria
13/11/2014
17:31
7grammilavoro.com
Sito Web
La Confimi Impresa ha avanzato istanza di interpello al fine di conoscere il parere del Ministero del Lavoro in
ordine alla corretta interpretazione degli artt. 27, comma 2, e 30, comma 4 bis, D.Lgs. n. 276/2003,
riguardanti le ipotesi di somministrazione irregolare e di distacco illecito.Nello specifico, l'istante chiede se nei
suddetti casi possa essere riscontrata anche la fattispecie del "lavoro nero" ai fini dell'applicazione del regime
sanzionatorio della maxisanzione di cui alla Legge n. 183/2010, nonché per l'adozione del provvedimento di
sospensione dell'attività imprenditoriale di cui all'art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.Rispondendo al quesito, il
Ministero del Lavoro, ha anzitutto ricordato che in caso di somministrazione irregolare o distacco illecito,
l'effettivo utilizzatore potrebbe essere considerato a tutti gli effetti il datore di lavoro del personale utilizzato.Di
conseguenza, afferma il Ministero, nelle suddette ipotesi l'applicabilità di tale disposizione esclude "in radice"
la possibile applicazione delle sanzioni per lavoro "nero" e delle altre sanzioni amministrative legate agli
adempimenti di costituzione e gestione del rapporto di lavoro.Infatti, come affermato dal Ministero del Lavoro,
si tratta di fattispecie autonome del tutto distinte e peculiari, in quanto presuppongono che l'utilizzazione dei
lavoratori sia avvenuta in forza di un accordo tra somministrante/distaccante e utilizzatore. Tale elemento,
peraltro verificabile in ragione della esistenza di adempimenti retributivi e contributivi in capo al
somministratore/distaccante, determina una peculiarità della fattispecie, dalla quale deriva l'inapplicabilità
delle sanzioni amministrative per lavoro "nero" o legate agli adempimenti di costituzione e gestione del
rapporto di lavoro o del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale. Si applicheranno, invece, le
sanzioni specifiche previste per le fattispecie in oggetto.Fonte: Ministero del Lavoro
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Interpello n. 27/2014: somministrazione irregolare, distacco illecito e
"lavoro nero"
13/11/2014
19:09
www.a-zeta.it
Sito Web
Verona, 10 novembre 2014 - Sono stati circa 250 gli imprenditori che hanno partecipato venerdì 7 novembre
alla Festa dell'Imprenditoria, organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza.
"La Festa dell'Imprenditoria è stata un'occasione perfetta per sviluppare rapporti con le realtà associative
territoriali più vicine in un'ottica di networking" ha dichiarato il Presidente di Apindustria Arturo Alberti.
"Apindustria Verona e Vicenza hanno dimostrato che fra associazioni è possibile, e deve esserci, il dialogo.
La promozione dell'extraterritorialità è avvenuta anche grazie al prezioso sostegno di Confimi,
Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e dell'Impresa Privata, alla quale aderiscono 20.000
imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato pari a 70 miliardi di euro".
Oltre ad imprenditori veronesi, hanno partecipato all'evento anche esponenti di altre associazioni
imprenditoriali di Vicenza e Mantova.
La Festa dell'Imprenditoria vuole essere il primo di una serie continuativa di numerosi incontri, inseriti
all'interno di un progetto volto a favorire la creazione di rapporti sempre più stabili e profondi tra le
associazioni, occasioni di networking imprenditoriali extraterritoriali.
Apindustria Verona
Via Albere 21, Verona
[email protected]
T. 045 810 2001
Press office Terzomillennium:
Elisa Andreatta [email protected]
T.045 6050601
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Grande successo per la Festa dell'Imprenditoria, la serata dedicata al
business aziendale firmata Apindustria
13/11/2014
18:03
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Verona, 10 novembre 2014 - Sono stati circa 250 gli imprenditori che hanno partecipato venerdì 7 novembre
alla Festa dell'Imprenditoria, organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza.
'La Festa dell'Imprenditoria è stata un'occasione perfetta per sviluppare rapporti con le realtà associative
territoriali più vicine in un'ottica di networking' ha dichiarato il Presidente di Apindustria Arturo Alberti.
'Apindustria Verona e Vicenza hanno dimostrato che fra associazioni è possibile, e deve esserci, il dialogo.
La promozione dell'extraterritorialità è avvenuta anche grazie al prezioso sostegno di Confimi,
Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e dell'Impresa Privata, alla quale aderiscono 20.000
imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato pari a 70 miliardi di euro'.
Oltre ad imprenditori veronesi, hanno partecipato all'evento anche esponenti di altre associazioni
imprenditoriali di Vicenza e Mantova.
La Festa dell'Imprenditoria vuole essere il primo di una serie continuativa di numerosi incontri, inseriti
all'interno di un progetto volto a favorire la creazione di rapporti sempre più stabili e profondi tra le
associazioni, occasioni di networking imprenditoriali extraterritoriali.
Apindustria Verona
Via Albere 21, Verona
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SCENARIO ECONOMIA
29 articoli
14/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il monito di Francoforte: senza riforme disoccupati sotto il 10% solo dal 2019 Il debito italiano La quota di
debito italiano in mano agli investitori esteri ora è al 29,4%
Stefania Tamburello
Roma L'economia è debole, in Europa e ancora di più in Italia. Ieri lo hanno ribadito nell'ordine la Bce, che nel
suo bollettino mensile ha rivisto al ribasso le stime di crescita dei paesi dell'Eurozona; la Banca d'Italia che
nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria ha misurato i rischi sul credito e sull'impiego del risparmio; Standard
& Poor's che ha detto di vedere rischi crescenti per l'Europa di cadere in una terza recessione ( triple dip ).
Unica notizia in controtendenza, l'inflazione che a ottobre torna col segno più: l'indice dei prezzi al consumo è
salito dello 0,1% sia rispetto a settembre sia rispetto a ottobre 2013.
A Francoforte gli analisti della Banca centrale europea hanno tagliato le stime di crescita per l'Eurozona
dall'1% allo 0,8% per quest'anno, dall'1,5% all'1,2% per il 2015 e dall'1,7% all'1,5% per il 2016. In ribasso
anche le previsioni per l'inflazione che dovrebbe aumentare solo dello 0,5% quest'anno e dell'1% il prossimo
mentre a restare alte sono solo stime per la disoccupazione che si manterrà sopra l'11% nel 2014 e nel 2015
e tornerà a scendere sotto il 10% solo nel 2019. Gli economisti della Banca d'Italia si soffermano sugli effetti
finanziari di tale debolezza economica, in Italia più accentuata, su famiglie e imprese. Le prime devono far
fronte ad un reddito che non aumenta, ma hanno ripreso seppure di poco a consumare riducendo il risparmio
e soprattutto, grazie ai bassi tassi di interesse, hanno ricominciato a chiedere i mutui. Quanto ai prestiti per
l'acquisto di una casa, le previsioni parlano di un'inversione di tendenza, con un aumento già nei primi mesi
del prossimo anno.
Diversamente, proseguirà anche nel 2015 il calo dei finanziamenti bancari alle imprese, «seppure con
intensità progressivamente decrescente», e con un doppio binario che penalizza soprattutto le piccole, «in
media meno patrimonializzate e più esposte ai rischi della congiuntura». E non si tratta di mancanza di
liquidità. Le banche ne hanno in abbondanza anche grazie ai prestiti della Bce. E ne hanno pure le imprese,
perlomeno quelle di media e grande dimensione: le loro disponibilità liquide hanno raggiunto il 7,6% sul totale
del passivo, oltre un punto in più della media del periodo 2004-2008. Mancano però i progetti, gli investimenti.
È, insomma, un problema di domanda. Quanto alle piccole imprese, la questione è invece anche di offerta
perché le banche con esse sono molto prudenti, visto che temono, a causa delle deboli prospettive di ripresa,
di non vedersi rimborsare i finanziamenti.
Il debito pubblico, infine, che ha beneficiato del calo dello spread e dei tassi di interesse. L'investimento in
titoli di Stato italiani, dice la Banca d'Italia, «è elevato». Anche da parte degli investitori esteri, che alla fine di
giugno detenevano una quota del 29,4%, 2,4 punti percentuali in più rispetto alla fine dello scorso anno; nello
stesso periodo la quota detenuta dalle banche italiane è passata dal 21,7 al 20,1%. In estate però gli
investitori esteri hanno disinvestito, soprattutto a seguito del rinnovo solo parziale da parte del Tesoro dei titoli
in scadenza. Nel 2015 i titoli a medio e lunga scadenza saranno pari a 205 miliardi, 15 in più di quest'ano, ma
il Tesoro potrebbe continuare a non rinnovarli completamente, vista l'attesa diminuzione del fabbisogno da
finanziarie. In generale, dice Bankitalia, nell'area dell'euro «aumentano i rischi per la stabilità finanziaria
derivanti dalla perdita di vigore della crescita e dai persistenti bassi livelli di inflazione».
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0,8 per cento
la crescita
del Pil europeo stimata dalla Bce per il 2014
0,4 per cento
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Bce taglia la crescita di Eurolandia Bankitalia: «Mutui in ripresa»
14/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Il tasso di inflazione
della zona euro
a ottobre
23,3 per cento la disoccupazione giovanile nell'area euro
a settembre (11,5% totale)
Il rapporto
La Banca d'Italia ha presentato ieri il rapporto sulla stabilità finanziaria (nella foto il governatore Ignazio
Visco). Il rapporto spiega che anche nel 2015 proseguirà
il calo dei finanziamenti bancari alle imprese
14/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il probabile «sì» al passaggio di mano e il negoziato sui conti pubblici Le regole Le valutazioni sul ruolo di
Poste Italiane, alla luce delle norme sugli aiuti di Stato
Luigi Offeddu
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES Un mese fa, erano solo un sussurro. Ma adesso, le voci sul prossimo via libera dell'Unione
Europea alla fusione fra Alitalia ed Etihad, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti, si moltiplicano e si
rafforzano. La sentenza - o almeno il suo nucleo principale - dovrebbe arrivare entro il 17 novembre, e le voci
dicono: la Commissione Europea è orientata verso il "sì".
Ma trattandosi di indiscrezioni quasi sempre di fonte italiana, anche se provenienti dall'interno dei palazzi Ue,
nel valutarle è forse necessario mantenere ancora un po' di prudenza.
La decisione finale spetta all'Antitrust europeo, cioè alla commissaria Ue alla Concorrenza, la danese
Margrethe Vestager, politicamente proveniente dalla sinistra radicale e non certo ideologicamente favorevole
ai "cartelli".
Il primo dubbio di Bruxelles è che, insieme, le due compagnie possano occupare una posizione predominante
sul mercato, e abusarne: ma sembra che Alitalia ed Etihad abbiano ora offerto di cedere alcuni "slot"
("finestre" di orari e di voli) sulla direttrice Roma-Belgrado, proprio per evitare le accuse di concorrenza
sleale.
Il secondo dubbio, o secondo dossier aperto sulla vicenda, è che l'Alitalia, alla conclusione dei negoziati,
finisca sotto il controllo di una compagnia extra-europea, appunto Etihad, cosa che è espressamente vietata
dalle norme comunitarie.
E poi c'è da valutare il ruolo nell'operazione di Poste italiane, alla luce delle norme sugli aiuti di Stato.
Il presunto atteggiamento "comprensivo" della Commissione Europea avrebbe anche una motivazione
politica di fondo: sull'Italia sono già aperti dossier ben più pesanti, a cominciare da quello sul piano di
Stabilità, che si porta con sé anche l'ombra di una possibile procedura di infrazione; e nella nuova
Commissione ci si chiederebbe se valga la pena aggiungere peso a peso, tensione a tensione.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Alitalia-Etihad, più vicino il via libera Ue
14/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Balzo del 4,7% in Borsa. Goldman: c'è ancora valore da estrarre dal nuovo gruppo Diego Della Valle
L'imprenditore all'attacco: quotazione per salvare il bidone Fiat
Raffaella Polato
milano Punto primo: Fiat Chrysler Automobiles scorporerà la Ferrari e distribuirà gratis i relativi titoli ai propri
soci, portando in parallelo il 10% a Wall Street, ma il «regalo rosso» agli azionisti non sarà quello che i critici
dell'operazione (pochi, per la verità) definiscono «un costo secco» per l'azienda Fca. Al contrario. Si era già
parlato di un possibile dividendo straordinario. La forma sarà diversa, la sostanza dell'assegno la stessa:
Maranello trasferirà alle casse della holding liquidità per 2,25 miliardi di euro. Numero ancora preliminare,
come preliminare è il documento inviato alla Sec con questo e altri dettagli del piano di rafforzamento
patrimoniale made in Usa , e tuttavia abbastanza preciso da lasciar immaginare che la «cifra attualmente
stimata» non si discosterà poi molto da quella definitiva.
Punto secondo. La Ferrari è lo snodo-chiave del pacchetto varato da Sergio Marchionne con il duplice
obiettivo di portare a Fca mezzi freschi per almeno 4 miliardi di euro ( cash del Cavallino escluso) e insieme
allargare, consolidandolo, il lato americano dell'azionariato. È dall'abbinamento della «rossa» sia ai titoli del
gruppo sia al prestito convertendo in preparazione che nascono le scommesse sul successo del piano,
confermate dalla continua corsa di Fca tanto a Piazza Affari (+4,76% ieri) quanto a Wall Street (rialzi in linea
con Milano). Ma scorporo e quotazione di Maranello sono in agenda per il 2015, tra il secondo e il terzo
trimestre. «Prima di Natale», conferma Marchionne, andranno invece in porto le altre due «operazioni a
stelle&strisce». E anche su queste - il collocamento negli Usa di cento milioni di titoli Fca e, appunto, il
convertendo da 2,5 miliardi di dollari - il filing Sec aggiunge dettagli. Sul bond, soprattutto. Dovrebbe avere
scadenza nel 2016. Ma con possibilità di conversione anticipata (magari subito dopo lo spin off del Cavallino).
È evidente quanto tutto ruoti intorno all'oggetto del desiderio Ferrari, cui gli analisti attribuiscono un valore
fino a 9-10 miliardi (sui poco più di 11 di capitalizzazione attuale Fca). Quella stessa Ferrari è però pure la
base del nuovo attacco di Diego Della Valle a Torino. Per Mr. Tod's Maranello «ha salvato quel bidone che è
Fiat», e il suo scorporo «depaupera l'azienda: usava il denaro per finanziare lo sviluppo, ora quotano un
pezzetto per ripianare i debiti e il resto se lo prendono gli azionisti. È vergognoso».
Non la pensano così i mercati, all'inseguimento di Fca «anche» per garantirsi il Cavallino. E perché, secondo
Goldman Sachs che lunedì ha inserito il titolo nella lista « convinction buys » dell'automotive (avvertenza:
Goldman gestirà con JP Morgan, Barclays e Ubs l'offerta di azioni e il convertendo Fca), «l'annuncio dell'Ipo
Ferrari segna l'inizio, non la fine, di una storia di creazione di valore che proseguirà fino al 2018». L'anno del
completamento del piano Marchionne.
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Il gruppo FCA in Borsa Fonte: Borsa Italiana d'Arco Ieri 9,795 euro (+4,76) 6,751 7,205 7,659 8,112 8,566
9,020 14 Ottobre 20 Ottobre 26 Ottobre 30 Ottobre 5 Novembre 11 Novembre
La vicenda
Fiat Chrysler Automobiles (nella foto
il ceo Sergio Marchionne ) scorporerà
la Ferrari e distribuirà gratis i relativi titoli ai propri azionisti, portando in parallelo il 10% a Wall Street La casa
di Maranello dovrebbe trasferire alle casse della holding un assegno di circa 2,25 miliardi di euro Scorporo
e quotazione
del Cavallino sono
in agenda
per l'anno prossimo,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Maxi-assegno Ferrari per Fca Da Maranello 2,2 miliardi di euro
14/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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tra il secondo
e il terzo trimestre
10 per cento
la quota
di Ferrari che verrà collocata a Wall Street
9-10 miliardi di euro il valore che
gli analisti attribuiscono
al Cavallino
4 miliardi di euro l'obiettivo
di nuove risorse per
Fiat Chrysler
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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14/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
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Telecom e Canal Plus i candidati. I conti Mondadori
Paola Pica
La pay tv di Mediaset, Premium, si stacca dalla casa madre, diventa una società per azioni e una piattaforma
aperta a nuovi soci industriali, oltre agli spagnoli di Telefonica, partner storici in procinto di acquisire l'11,11%.
Mentre, non da oggi, si ipotizza l'ingresso nella nuova struttura di Telecom Italia e della tv francese Canal
Plus, due gruppi che hanno in comune l'azionista Vivendi, gruppo che fa capo a Vincent Bollorè.
Il passaggio è di rilievo nel gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi che da mesi prepara il riassetto che porta
dal prossimo primo dicembre al trasferimento in Mediaset Premium di giornalisti, tecnici, competenze. Lo
scorporo è stato annunciato ieri, preceduto da un rialzo in Borsa di poco superiore al 2% dopo una fiammata
del 6% messa in mostra mercoledì. Entro il prossimo mese, spiega una nota, Telefonica (tramite la controllata
Telefonica de Contenidos) acquisirà la quota dell'11,11% come annunciato in luglio. Il restante 88,89%
rimarrà al momento in capo a Rti che ribadisce «la disponibilità a esaminare eventuali ingressi di partner
industriali di rilievo per rafforzare la dimensione tecnologica e internazionale». A Mediaset Premium spa
vengono conferiti 267 dipendenti tra dirigenti, impiegati, tecnici e giornalisti già in forza a Mediaset.
L'assemblea è convocata il 26 novembre per eleggere il nuovo consiglio. Per il ruolo di di amministratore
delegato è stato designato Franco Ricci, già responsabile delle attività nella pay tv. A lui riporteranno il
direttore contenuti Yves Confalonieri, il direttore commerciale Marco Rosini, il direttore tecnologie Eugenio
Pettazzi e il direttore sistemi informativi Domenico Alessio Mediaset Premium, possiede già i diritti pr la
prossima Champions League e quelli della Serie A dei prossimi quattro anni e prevede « un generale
innalzamento qualitativo del prodotto Premium che si svilupperà anche sulle nuove piattaforme di
distribuzione», con l'offerta di «servizi innovativi a valore aggiunto, compresi abbonamenti integrati di nuova
generazione».
La giornata di ieri ha portato poi altre novità nel mondo delle controllate Fininvest. Mondadori prevede di
chiudere in pareggio l'esercizio 2014, dopo il ritorno all'utile per 3,5 milioni nel terzo trimestre. E la vicenda
Mediolanum, la società controllata con la famiglia Doris nella quale Silvio Berlusconi deve cedere il 20% in
seguito alla perdita dei requisiti di onorabilità, va verso una definizione. «Siamo pronti a rilevare qualche
punto percentuale», il 2-3%, della quota Fininvest che sarà conferita a un trust, ha annunciato Massimo
Doris, figlio del fondatore Ennio.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Per Mediaset Premium il giorno di Telefonica Porte aperte a nuovi soci
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Nuove regole da gennaio»
Giorgio Pogliotti
di Giorgio Pogliotti
«È stato raggiunto un accordo che spiana la strada all'approvazione del Jobs Act entro l'anno» spiega il
ministro Giuliano Poletti. «Decisivo il fattore tempo per far partire a gennaio il contratto a tutele crescenti con
gli incentivi della stabilità».
Intervista u pagina 2
ROMA
«Alla Camera è stato raggiunto un accordo importante che spiana la strada all'approvazione del Jobs act
entro l'anno. Per noi è decisivo il fattore tempo, dobbiamo partire a inizio di gennaio con i decreti delegati per
dare attuazione al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, affinchè gli imprenditori possano
assumere beneficiando degli incentivi previsti dalla legge di stabilità. Se ci fosse uno slittamento dei tempi,
questi stessi imprenditori potrebbero rinviare le assunzioni».
A parlare è il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, che è stato impegnato nel lavoro di mediazione con il
gruppo Pd della commissione lavoro della Camera, che ha portato all'accordo sulle modifiche al testo del Ddl
delega che era stato approvato dal Senato.
Ministro Poletti, avete raggiunto un accordo che ha ricompattato il Pd alla Camera, ma che è stato contestato
dal Nuovo centro destra che invoca un chiarimento con il Governo. Cosa farete, si riapre la partita?
Nella maggioranza le discussioni si risolvono a livello parlamentare, confrontandoci sul merito delle
tematiche sollevate. Il Senato quando ha esaminato il Ddl delega ha modificato il testo del Governo, ed io
stesso espressi parole di apprezzamento per il lavoro della Commissione, dando atto che erano stati fatti
interventi migliorativi. Analogamente adesso è ragionevole che la Camera, in modo misurato, possa svolgere
il proprio ruolo. Con il voto in Aula dovrà essere confermata la data finale del 26 novembre per l'esame.
Penso che i malumori del Ncd possano rientrare, non sono accettabili aut aut da parte di nessuno.
Tuttavia Ncd lamenta il fatto che sui licenziamenti si sia preso come riferimento il testo dell'ordine del giorno
votato dalla direzione nazionale del Pd, che è l'azionista di maggioranza, ma non l'unico azionista di questo
Esecutivo.
L'accordo fa riferimento alle dichiarazioni fatte dal sottoscritto, depositate in Senato quando venne posta la
fiducia. Ci sono 550 emendamenti in commissione, c'è un lavoro parlamentare da completare. È un problema
di responsabilità che riguarda tutti, visto che siamo nella sessione di bilancio, e che subito dopo il Jobs act c'è
da approvare la legge di stabilità. Bisogna fare bene e velocemente. Con le modifiche oggetto dell'accordo
resta confermato l'impianto del testo, si tratta di esplicitazioni di contenuti già noti.
Veniamo al merito delle modifiche rispetto al testo del Senato: quali sono le principali?
Sui licenziamenti verranno ribaditi i contenuti della dichiarazione che ho depositato al Senato, ovvero che per
le nuove assunzioni con i contratti a tutele crescenti in caso di licenziamenti economici non è più prevista la
reintegra, che resta confermata per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari, se rappresentano dei
casi particolarmente gravi che saranno specificati e puntualmente definiti nel decreto di attuazione.
Quali sono gli altri punti principali del testo del Senato che saranno modificati?
Per i controlli a distanza si definisce che riguardano gli impianti tecnologici e gli strumenti di lavoro, non le
persone. Ripeto siamo di fronte ad esplicitazioni di concetti già noti, non c'è nessuna grossa modifica di
merito.
Una delle deleghe del Jobs act riguarda l'estensione degli ammortizzatori sociali. Mi spiega come pensate di
ampliare la copertura se con la legge di stabilità per il 2015 confermate sostanzialmente le risorse del 2014,
mettendo sul piatto 2 miliardi (quest'anno si sono spesi 1,7 miliardi per la sola cassa integrazione in deroga)?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Intervista PARLA GIULIANO POLETTI
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Per gli ammortizzatori sociali possiamo contare anche sulle risorse del fondo occupazione, pari a 1,4 miliardi,
di questi circa 700 milioni vanno alla cassa in deroga. Bisogna considerare che ci sarà un ridimensionamento
dell'utilizzo della Cigd, a seguito del decreto già approvato che introduce criteri più rigidi per evitare utilizzi
distorti che si sono verificati negli anni passati. Inoltre finora una parte dei costi di un anno ricadevano su
quello successivo, nel 2014 ad esempio abbiamo dovuto coprire una parte del 2013. Questo non dovrà più
accadere. Infine c'è l'impegno nella legge di stabilità a prevedere risorse ulteriori, che ancora non sono state
quantificate.
Il Jobs act contiene almeno 5 deleghe al Governo. Quali intendete esercitare prima e in che tempi?
Ad inizio anno, come ho già detto, sarà operativo il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Insieme alla delega che riorganizza le tipologie contrattuali, il nuovo codice dei contratti, sarà operativa la
delega sul riordino degli ammortizzatori sociali. Si tratta di provvedimenti che hanno un collegamento con la
legge di stabilità.
Ha destato allarme la fine della cassa integrazione in caso di cessazioni d'attività di un ramo aziendale, che
rischia di ostacolare processi di riconversione professionale. Interverrete su questo punto?
Con i decreti delegati gestiremo la fase di passaggio ed eviteremo di provocare vuoti normativi, e quindi
interverremo sulle cessazioni di attività di un ramo aziendale, e introdurremo elementi di transizione per
evitare un passaggio secco da un regime all'altro.
Avete messo in conto che restringendo il ricorso alla cassa integrazione in deroga, che assicura la costanza
del rapporto di lavoro, molti che oggi sono formalmente ancora occupati avranno lo status di disoccupati?
Per gli ammortizzatori sociali vi saranno passaggi graduali per gestire la transizione. Il tema è come garantire
il massimo della continuità se l'impresa ha prospettive di ripartire. In situazioni in cui le imprese hanno
cessato l'attività da anni, non è ragionevole proseguire con le integrazioni salariali. E quindi si passerà
all'Aspi. Una volta concluso il periodo di copertura degli ammortizzatori sociali, bisogna prendere atto e
mettere in piedi politiche di ricollocamento, i servizi per l'impiego, attraverso una maggiore collaborazione tra
pubblico e privato
Intanto però il Regolamento del fondo per le politiche attive del lavoro che aveva annunciato per luglio non è
ancora operativo.
Il Regolamento è pronto, come ministero abbiamo fatto la nostra parte, ha avuto parere favorevole dalla
Conferenza Stato Regioni ed è alla Corte dei Conti per la registrazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Occupati per tipologia di orario, posizione e carattere dell'occupazione.
Anno2013,datiinmigliaia A tempo pieno 18.407 A tempo parziale 4.013 - di cui involontari 2.470 Totale 22.420
Dipendenti 16.878 Permanenti 14.649 - a tempo pieno 12.093 - a tempo parziale 2.556 A termine 2.230 - a
tempo pieno 1.592 - a tempo parziale 638 Indipendenti 5.542 - a tempo pieno 4.722 - a tempo parziale 820
Indipendenti, di cui: collaboratori 382 Fonte: elaborazioni Ref Ricerche su dati Istat OCCUPATI Indice I
2008=100 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 Fonte: elaborazioni Ref ricerche su dati Eurostat
Foto: L'andamento Occupati per tipologia di orario, posizione e carattere dell'occupazione. Anno 2013, dati in
migliaia
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Né stop né retromarce
Fabrizio Forquet
C ome una coperta corta il Jobs Act scopre le contraddizioni della maggioranza sul tema del lavoro. Mettere
d'accordo Maurizio Sacconi, da una parte, e Cesare Damiano, dall'altra, su un tema ostico come l'articolo 18
è impresa difficile anche per un tessitore abile come Matteo Renzi. Non c'è da sorprendersi, quindi, se al
momento di tirare le somme emergano quelle divergenze.
Il tema della riforma del lavoro, come ribadito tra gli altri in queste ore dal presidente della Bce Mario Draghi,
è però troppo importante per restare ostaggio delle divisioni. È sulla capacità di portare a termine entro la fine
dell'anno le nuove regole dell'impiego, infatti, che si gioca la credibilità della capacità riformista non tanto di
questo governo, ma dell'Italia nel suo complesso. Tanto più che dal 1° gennaio entrerà in vigore la
decontribuzione per chi assume a tempo indeterminato e saranno disponibili nuove risorse per chi perde il
posto di lavoro, così come è previsto nella Legge di stabilità.
Non è il momento perciò di stop o di inciampi. Nello stesso tempo va ribadito che non è una riforma
purchessia quella che serve. Già ai tempi del governo Monti si è sacrificata l'efficacia della riforma del lavoro
sull'altare della mediazione politica. La conseguenza sono stati tre anni di regole che hanno penalizzato e
non favorito la creazione di posti di lavoro. Rifare lo stesso errore sarebbe un delitto.
È presto per dire se l'accordo interno al Pd configuri appunto un passo indietro. Il testo sull'articolo 18 uscito
dalla direzione del Partito democratico, che riapriva al reintegro nel caso dei licenziamenti disciplinari, lo era
certamente rispetto all'impostazione originaria di Renzi. Ma la materia si presta a molte sfumature e a molte
interpretazioni. Perciò bisognerà aspettare la formulazione degli emendamenti del governo per capire quanto
l'esigenza di mediare con la sinistra del Pd possa comportare un effettivo indebolimento della riforma.
Le rassicurazioni che ieri sono arrivate dal premier, e dal suo delegato alla trattativa Filippo Taddei, fanno
ben sperare sulle reali intenzioni del governo. Nessuno dalle parti di Palazzo Chigi sembra intenzionato a
riallargare in modo ampio e pericoloso le tipologie per le quali ritorna il reintegro in caso di licenziamento.
Tanto che anche la posizione del Nuovo centrodestra, dopo il primo allarme, si è fatta in serata più prudente
e più ottimista sull'esito finale della trattativa.
Il Jobs act ha un suo equilibrio che non va snaturato. Poi toccherà ai decreti attuativi, che saranno il vero
cuore della riforma. E su questi il governo potrà avere le mani più libere. Purché, appunto, il Parlamento non
introduca in extremis vincoli in una direzione conservatrice.
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IN CIFRE 42,9%
La disoccupazione giovanile
Il tasso registrato dall'Istat a settembre, in aumento dell'1,9% rispetto a un anno prima. In tutto i disoccupati
tra i 15 e i 24 anni sono 698mila
3,2 milioni
I disoccupati
Il numero rilevato a settembre è aumenato dell'1,8% su base annua. Il tasso di disoccupazione, pari al
12,6% è rimasto sostanzialmente stabile con un incremento dello 0,1% nei 12 mesi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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L'URGENZA DELLA RIFORMA
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Il Sole 24 Ore
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Recessione, Europa svegliati dal torpore
Adriana Cerretelli
L'eurozona rischia la terza recessione nel breve spazio di cinque anni, accompagnata questa volta dalla
deflazione. Nella migliore delle ipotesi l'economia nel prossimo biennio registrerà una crescita compresa tra lo
0,5% e l'1%, mentre gli Stati Uniti correranno a un ritmo superiore al 3%.
L'avvertimento arriva dagli analisti di Standard & Poor's. Ma è solo la prima delle docce fredde regalate dalla
giornata di ieri. La Bce non vede altrettanto nero ma condivide l'analisi secondo cui la bilancia dei rischi
pende verso il basso, che si parli di inflazione o di crescita, corretta all'1,2% (dall'1,5%) per l'anno prossimo.
Grosso modo in linea (1,1%) con le ultime previsioni di Bruxelles che hanno dato una netta sforbiciata alle
cifre di sei mesi fa, senza escludere nuove correzioni all'ingiù e riconoscendo candidamente che l'area euro è
la zona del mondo che cresce meno di tutte.
In vista del G-20 che si riunisce domani a Brisbane, in Australia, si è fatto sentire anche l'Fmi parlando di
crescita graduale ma squilibrata, con la Spagna in ripresa ma Italia, Germania e Francia, le tre maggiori
economie dell'euro, in arretramento. Sullo sfondo, uno scenario dai rischi elevati: il calo dei prezzi fa lievitare i
tassi reali minacciando uno sviluppo già debole e insieme la sostenibilità del debito.
Evidentemente né la politica monetaria sempre più accomodante della Bce di Mario Draghi, né la previsione
di un prezzo del petrolio stabile intorno ai 90 dollari al barile, né la svalutazione dell'euro rispetto al dollaro,
che sostiene l'export, sono stimoli sufficienti a scuotere l'eurozona dal torpore in cui è caduta e dal quale non
riesce a uscire.
Ancora più delle cifre deprimenti che non cessano di susseguirsi giorno dopo giorno, allarma la beata
indifferenza, meglio, la placida inedia con cui l'Europa vive le proprie disgrazie economiche come se non
fossero le sue ma quelle di qualcun altro. Certo, si insiste di continuo e a ragione sulle riforme strutturali, che
sono l'arma vincente per aumentare il potenziale di crescita. Peccato che richiedano tempo non solo per
essere attuate ma anche e soprattutto per dare frutti.
Certo, si parla e straparla anche dell'ormai famosissimo piano Juncker da 300 miliardi in tre anni per dare
una decisa spinta agli investimenti, soprattutto privati. La proposta arriverà prima di Natale. Poi però andrà
discussa e negoziata dai ministri finanziari, approvata e chissà quando sarà pronta all'uso. Scetticismo
eccessivo? Speriamo. Purtroppo di piani Ue per la crescita pieni di parole ma vuoti di risorse e alla fine
incapaci di volare fuori dalla retorica se ne sono visti troppi.
Certo, anche il rigore diventa un po' più flessibile ma sempre senza esagerare per non indurre i governi
riluttanti a staccare la spina dimenticando gli impegni europei assunti.
I fatti e le cifre però hanno ampiamente dimostrato che si questo passo l'eurozona non va da nessuna parte:
vivacchia, sopravvive ma non ritrova dinamismo, non si mette al passo con i suoi grandi concorrenti globali.
Semplicemente li subisce. Anche la Germania, la superpotenza economica dell'eurozona, è in affanno con il
fiato sempre più corto.
Fuori nel mondo globale la Cina stringe accordi con Russia, Giappone e SudCorea, sbriciola inimicizie
secolari per farsi baricentro del nuovo potere economico e geo-strategico dell'Asia che contende la
supremazia all'Occidente. Ma la stessa Cina non esita poi a stringere patti tecnologici con l'America di Barack
Obama, da sempre attratta dalla frontiera del Pacifico, dalle sue complementarietà potenziali.
L'Europa invece appare del tutto assente dal grande gioco globale, addirittura incerta sulle promesse del
Ttip, il grande accordo economico transatlantico che pure, attraverso una maggiore integrazione e
complementarietà con l'economia Usa, potrebbe dare una sferzata salutare alle sue anemiche potenzialità di
crescita.
Per il momento preferisce trastullarsi appagata dal suo vecchio mondo: non importa se è ormai un cantiere in
fase di smobilitazione e di desertificazione industriale. Non importa se può permettersi soltanto uno stato
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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SCELTE PER CRESCERE
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Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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sociale a pezzi e assediato da 26 milioni di disoccupati, una tragedia umana e insieme uno scandaloso
sperpero di risorse. Non importa se le care regole di Maastricht sono nate e avevano un senso in un'altra
Europa, quella che 30 anni fa correva al ritmo medio del 3-4% annuo...
Quella di oggi è fatta da un club di Paesi sfiduciati e stanchi di stare insieme. Che pensano di potersi
concedere impunemente il lusso di flirtare con la recessione o di vivere a lungo con una crescita media sotto
l'1% nel prossimo decennio. Senza accorgersi che, così, lentamente organizzano il proprio suicidio politico,
economico e finanziario. Svegliati Europa, è ora di trovare il coraggio di cambiare strada. Altrimenti di questo
passo, senza crescita, si rischia di morire risanati. A che pro?
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14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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È l'eurozona l'anello debole
Alessandro Merli
Nel periodo di relativa calma dell'eurozona nell'ultimo anno e mezzo, ai rappresentanti europei negli incontri
internazionali piaceva ripetere: «Questa volta il problema non siamo noi». Al vertice del G-20 che inizia
domani a Brisbane, l'Europa riesce nell'impresa non facile di essere per l'economia mondiale al tempo stesso
problematica e irrilevante.
Non c'è dubbio che, guardando al quadro macroeconomico globale, il vero punto oscuro, e quindi la fonte di
maggior preoccupazione per i leader del G-20, sia l'Eurozona. Alla vigilia degli incontri, il segretario al Tesoro
americano, Jacob Lew, ha sollevato il rischio di un «decennio perduto» per il vecchio continente in termini di
crescita. Un'immagine forte, che evoca il Giappone, altro anello debole, che però negli ultimi tempi ha
mostrato di voler reagire vigorosamente, anche se non è chiaro con quanta efficacia. L'Fmi, nella sua nota
preparatoria dei lavori, ha rilevato che la ripresa dell'area euro sarà più lenta del previsto e chiede per
l'ennesima volta alla Bce, se necessario, un'azione di stimolo, anche con l'acquisto di titoli di Stato.
Nell'intervista che pubblichiamo a pagina 3, il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, sostiene che c'è il
pericolo che la stagnazione europea pesi sulla crescita del resto del mondo, il vero problema per i partner del
G-20, e sollecita riforme strutturali. Nelle discussioni preliminari fra gli sherpa, anche il solo inserimento della
parola «domanda» nel comunicato finale, ha incontrato obiezioni da parte della Germania e nella discussione
macroeconomica gli altri europei si sono schierati più spesso con gli Stati Uniti che con il proprio partner
continentale. Una situazione, quindi, fra le più difficili e una risposta di politica economica giudicata dagli altri
insufficiente.
I giorni precedenti al vertice sono stati però anche costellati da una serie di accordi che hanno
sistematicamente, anche se per ragioni decisamente diverse, tagliato fuori dal gioco l'Europa, mostrandone,
in un numero crescente di campi vitali anche per gli interessi europei, la progressiva perdita di rilevanza.
Costretta dalle sanzioni a cercarsi mercati alternativi all'Europa per il proprio gas, la Russia di Putin si è
rivolta alla Cina. La stessa Cina ha firmato con gli Stati Uniti di Obama due accordi a loro modo storici, sui
cambiamenti climatici e sulla fornitura di tecnologie. E, in una sorta di catena, l'America di Obama ha trovato,
dopo anni di dissensi, un'intesa con l'India di Modi, che ha il potenziale di sbloccare il negoziato di Bali per la
liberalizzazione del commercio internazionale. Tutto questo mentre al vertice Apec di Pechino l'atmosfera su
un patto commerciale attraverso il Pacifico è migliorata e mentre il clima del patto analogo fra le due sponde
dell'Atlantico resta tempestoso. Tutte questioni di lunga data, alle quale gli altri hanno iniziato a dare una
risposta senza l'Europa.
Non sarà facile imbarcarsi sul lungo volo di rientro da Brisbane dicendoci che il problema non siamo noi.
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L'ANALISI
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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«Dalla riforma una spinta per il rilancio»
Alessandro Merli
Alessandro Merli u pagina 3
BRISBANE. Dal nostro inviato
La riforma del mercato del lavoro e «un po' di flessibilità» da parte dell'Europa sui conti pubblici possono far
ritrovare la crescita all'Italia.
Angel Gurria, segretario generale dell'Ocse, non è pessimista sull'Italia, a patto che il Governo confermi la
determinazione a fare le riforme, e nonostante la settimana scorsa gli economisti dell'organizzazione parigina
dei Paesi industriali abbiano previsto che l'economia italiana continuerà a contrarsi dello 0,4% nel 2014 e
crescerà solo dello 0,2% nel 2015.
«Nel Jobs Act - dice Gurria in un'intervista al Sole 24 Ore alla vigilia del vertice del G-20 a Brisbane, in
Australia - il primo ministro Matteo Renzi ha impegnato un notevole capitale politico. Questo, al di là del
contenuto della legge, è un messaggio, un segnale forte. Senza la sua approvazione, tutta la spinta riformista
del Governo avrebbe perso credibilità. Invece, si è dimostrato che qualcosa si muove in Italia. La riforma del
mercato del lavoro e un po' di flessibilità da parte dell'Europa sui conti pubblici possono far ritrovare la
crescita».
La flessibilità del mercato del lavoro, secondo Gurria, è molto importante. «Guardiamo la Spagna - dice il
capo dell'Ocse - tre anni dopo l'avvio di riforme coerenti sta creando posti di lavoro anche in presenza di una
crescita modesta». Il Jobs Act, a suo avviso, non può però restare un episodio isolato. «Gli altri elementi
decisivi di un piano di riforme sono la maggior flessibilità del mercato dei prodotti e la riforma fiscale. Bisogna
scegliere se si vuole avere un sistema impositivo che incoraggia investimenti e lavoro, o un sistema che li
punisce».
Gurria è consapevole che la strada delle riforme strutturali, quando la politica monetaria ha portato i tassi
d'interesse a zero e non c'è spazio per uno stimolo fiscale, è «più difficile, più lenta», ma è convinto che in
Europa possa essere abituata dall'utilizzo dei margini già presenti nelle norme vigenti in materia di conti
pubblici. «Non dico di tornare indietro sulle regole - afferma - ma che, soprattutto in mondo a crescita
modesta un po' ovunque, diventa difficile raggiungere gli obiettivi».
Le riforme, comunque, sostiene il segretario generale dell'Ocse, danno risultati: «In Europa, i Paesi che
hanno fatto i compiti a casa, come Irlanda, Spagna, Portogallo, sono quelli che crescono di più e ricominciano
a produrre occupazione. E questo dipende dai tempi e dalla profondità delle riforme, dalla qualità delle
politiche pubbliche. Queste non sono parole, all'Ocse lo abbiamo misurato».
La crescita mondiale, dice Gurria, «ha bisogno di un'Europa forte. È chiaro che non sono problemi che si
risolvono da un giorno all'altro e l'Europa spesso assomiglia a un cantiere, con lavori in corso permanenti.
Magari alla fine i progressi arrivano, ma è importante che venga spiegato bene all'opinione pubblica cosa si
sta facendo, i risultati che si possono ottenere con le riforme. C'è bisogno di leadership». Il riferimento
trasparente è alla Germania. «Il Governo ha annunciato un aumento degli investimenti pubblici da 10 miliardi
di euro. Non sappiamo se sia sufficiente. C'è da un lato il vincolo della legge sul pareggio di bilancio, ma
dall'altro la necessità di spingere la crescita. Un Paese che ha un surplus dei conti con l'estero che si
espande dal 6 al 7% del prodotto interno lordo, invece di restringersi, può aumentare la spesa pubblica,
spingere la domanda interna e quindi anche le importazioni, aiutando gli altri».
L'ultima parola è per il ministro dell'Economia italiano, Pier Carlo Padoan, fino a pochi mesi fa suo vice
all'Ocse. «L'ho fatto anch'io il ministro delle Finanze in Messico - scherza - so attraverso cosa si deve
passare».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Intervista ANGEL GURRIA (OCSE)
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Foto: IMAGOECONOMICA Segretario generale. Angel Gurria
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14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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È il momento per le ragioni dell'industria
Carmine Fotina
Se l'economia reale si ferma davanti a concetti come «immobiliarità» degli impianti industriali o «medie
incrementali» degli investimenti in innovazione non è un buon segnale.
S e ad obiettivi ambiziosi e programmi in grande stile - come la redazione di un «Industrial compact»
europeo con genesi e firma italiana - si fanno seguire scelte fiscali e mancate coperture dal sapore antiindustrialista è evidente che qualcosa nelle priorità di politica economica non è ancora del tutto chiaro.
A questi legittimi quesiti si arriva ragionando su alcuni punti tuttora irrisolti della Legge di stabilità.
Considerare ai fini del calcolo della rendita catastale i cosiddetti "macchinari imbullonati", così come limitare
la deducibilità dell'Imu alle sole imposte dirette (peraltro solo al 20%) e non anche all'Irap, rischia di
trasformarsi in un accanimento fiscale su beni che vanno fatti rientrare a tutti gli effetti e tutelati come veri
fattori produttivi.
L'iniquità della "patrimoniale sui macchinari" è una delle più evidenti anomalie da sanare nel percorso
parlamentare. Ma anche altro necessita di un intervento urgente perché ci si possa mostrare davvero coerenti
con l'obiettivo di portare il peso della manifattura sul Pil italiano dal 16 al 20% entro il 2020 e di presentare al
prossimo Consiglio competitività Ue un piano per l'"Industrial compact". A questo documento lavora una task
force che ha già preparato le prime stime: investimenti industriali per 15 miliardi l'anno creerebbero, da qui al
2020, 900mila nuovi posti di lavoro. Ecco, di fronte a queste incoraggianti proiezioni ci si può attendere che
anche le prossime scelte siano "manufacturing oriented". Delle risorse promesse ma non inserite per la
"nuova Sabatini" (acquisto di beni strumentali) e per il piano made in Italy si è discusso anche mercoledì nel
vertice Renzi-Padoan e ci sono buone speranze di trovare adeguata copertura a misure che rappresentano
due moltiplicatori di investimenti interni e vendite all'estero. Altri aspetti critici meriteranno forse un ulteriore
approfondimento. Il credito d'imposta per la ricerca, ad esempio, rischia di penalizzare chi ha investito di più
in piena recessione se non verrà premiato l'intero investimento (almeno nel caso di contratti con università ed
enti di ricerca). E servirà coraggio anche su alcuni temi finora lasciati ai margini. Si pensi alla riduzione del
perimetro d'azione delle società partecipate dagli enti territoriali e da un allargamento, dal costo contenuto,
anche ai lavoratori stagionali della deducibilità dall'Irap della componente lavoro. A conti fatti un ventaglio di
poche misure potrà rivelarsi un endorsement per l'industria senza impatti dirompenti sulla finanza pubblica e
con risultati sicuri. La posta in palio è altissima come dimostra una quota di almeno l'80% di export ancora
espresso dall'industria, sebbene un decennio di scarsa attenzione alla manifattura abbia prodotto un calo di
quasi 100mila unità produttive e un milione di addetti.
Precedenti esperienze di governo, si pensi all'esecutivo Monti, nell'urgenza del rigore hanno
progressivamente deviato la marcia rispetto alle esigenze del mondo produttivo per rianimare i consumi
interni, supportare l'export, in altre parole aiutare la ripresa. La Legge di stabilità in discussione in Parlamento
rappresenta un nuovo decisivo bivio per non sbagliare direzione.
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LEGGE DI STABILITÀ
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Ferrari verserà a Fca cedola da 2,25 miliardi#
Andrea Malan
Andrea Malan u pagine 33 e 34 Fiat Chrysler Automobiles (Fca) vola in Borsa (+4,7%) sulla maxicedola in
arrivo da Ferrari: secondo un documento depositato dalla stessa Fca presso la Sec (l'autorità Usa di controllo
sui mercati) in vista del collocamento di azioni Fca a Wall Street, Fca riceverà dalla Ferrari 2,25 miliardi di
euro fra dividendi e trasferimenti di liquidità. «Prima della separazione da Ferrari intendiamo entrare in certe
altre transazioni, comprese distribuzioni e trasferimenti di fondi da Ferrari, attualmente stimati a 2,25 miliardi
di euro», è scritto nel Form F-1/A.
Lo stesso documento contiene una serie di altre informazioni sul collocamento e sul prestito convertendo.
Ecco le principali. Fiat Chrysler ha nominato JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Barclays e Ubs come joint
book-running manager dell'offerta di titoli Fca e come underwriters del prestito convertendo da 2,5 miliardi di
dollari (circa 2 miliardi di euro). Quest'ultimo avrà scadenza 2016, ovvero biennale, e pagherà cedole
semestrali; l'ultima di queste potrà essere pagata, a discrezione della società, anche in azioni.
La conferma della maxicedola da Ferrari - già preannunciata a fine ottobre da Sergio Marchionne, ad di Fiat
e presidente di Ferrari - ha fornito ulteriore benzina agli acquisti sul titolo Fca, già vivaci nelle sedute
precedenti. Le azioni hanno chiuso a Piazza Affari a 9,795 euro, con un balzo del 4,76 per cento. Continua da
pagina 33 Il rialzo di ieri di Fca ha portatoaoltreuneuroilguadagno della settimana; dall'annuncio dello
scorporo Ferrari, lo scorso 29 ottobre, il rialzo è stato del 28%. Per quanto riguardailcollocamentodiazionidella
stessaFca,ilnumerodi titolicheverràoffertononèancorastatodeterminato ;
secondoquantoannunciatoafineottobre, dovrebbetrattarsidi«finoa 100 milioni di azioni Fca».
L'offertadelprestitoconvertendo è condizionata al closing del collocamento di titoli Fca. I sottoscrittori
riceveranno alla conversione azioni Fiat, in base a un rapporto di conversione ancora da stabilire, e anche
azioni Ferrari. A questo proposito il prospetto depositato ieri contiene anche un'importante precisazione:
nelmomentoincuiFerrariverrà scorporata da Fca (attualmente previsto «nel secondo o terzo trimestre del
2015»), una quota dei bond verrà immediatamenteconvertitaintitoli Ferrari.Laquotarispettiva di titoli Ferrari e
Fiat che ogni obbligazionista riceverà, sarà calcolata in base al rapporto tra lequotazionideititoliFcae Ferrari
nei primi dieci giorni diquotazione di quest'ultima. Perquantoriguardalamaxicedola, ilpagamentodi2,25miliardi
di euro a Fiat dovrebbe corrispondereper Ferrari aun esborso complessivo di 2,5 miliardi, tenuto conto che
Fca controlla il 90% del Cavallino e che al vicepresidente Piero Ferrari, proprietario del restante 10%,
dovrebbero andare250milioni. Tempiemodalità dell'operazione - fanno sapere fonti vicine al Lingotto - non
sono ancora stati definiti. In parte dipenderanno anche dalla rapidità con cui le altre due mosse (collocamento
Fca econvertendo)potrannoessere finalizzate; l'obiettivo di Marchionne è di concluderle «entro Natale», con
un road show americano di circa una settimana ilmeseprossimo. La manovra su Ferrari ha l'obiettivodi
trasferirela liquiditàdalbusinesscheèingrado di generarne (la Ferrari) e che haunaposizionefinanziariaattiva, a
quello che attualmente ne brucia - ovvero il resto delle attività Fiat; una strategia non diversa da quella attuata
inoccasionedelloscorporoda Fiat di Fiat Industrial. Dopo il collocamento di azioni Fca e del prestito
convertendo, la maxicedola e la vendita sul mercato del 10% di Ferrari, Fca dovrebbe essere alleggerita di
circa4miliardi di euro di debiti. L'azienda di Maranello - che a fine giugno aveva una posizione finanziaria
attiva per 1,6 miliardi di euro - dovrebbe invece ritrovarsi con un debito netto di 900 milioni. Tenuto conto
cheilMolèstimatodaMediobanca a 650 milioni per il 2014 e a 750 l'anno prossimo, il mantenimentodelrating
i n v e s t m e n t g r a d e a s s i c u r a t o da M a r c h i o n n e n o n d o v r e b b e e s s e r e un p r o b l e m a .
L'annoprossimovedràilcollocamento da parte di Fca del 10% del capitale Ferrari, mentre il restante80%verrà
distribuito gratuitamente ai soci Fiat (compresi quelli nuovi che acquisiranno titoli Fca in
occasionedelsuocollocamento e convertendo i bond del convertendo). Alla fine del processo Fca e Ferrari
saranno due aziende separate con un unico azionistadicontrollo, laExordellafamiglia Agnelli. Exor, che
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FINANZA
14/11/2014
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controlla il 30% del capitale Fca, ha intanto annunciato la cancellazioneparziale, perunammontare nozionale
di 250 milioni di euro, della propria emissione obbligazionaria con cedola 5,375% e scadenza nel 2017. In
seguito a questa cancellazione (ed alla precedente, perfezionata in data 17 Dicembre2013perunammontare
nozionale pari a 60 milioni di euro) l'importo nominale incircolazione di taleemissioneè ora di440milioni di
euro.
IL TERZO TRIMESTRE DI FERRARI 90% EBIT Milioni di euro Ricavi netti Milioni di euro Consegne In unità
1.499 1.612 2013 2014 0 1.700 534 662 2013 2014 0 700 88 89 Mercato Exor Piero Ferrari 69% 31% 10%
ORA Exor Piero Ferrari Mercato Mercato 69% 31% 24% 10% 66%
Foto: Lo scorporo di Ferrari
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Le Borse europee tentano il rimbalzo
Seduta in altalena, Milano +0,4% - A segno l'asta dei BTp: quasi completata l'intera raccolta 2014
Maximilian Cellino Andrea Franceschi
Sui mercati azionari europei l'incertezza continua a condizionare le contrattazioni. Quella di ieri è stata una
seduta in cui i listini continentali hanno faticato a prendere una direzione chiara. Dopo un avvio in cui
sembravano ben orientati a recuperare le perdite della vigilia (Piazza Affari era reduce da un calo del 2,87%)
gli indici hanno invertito la rotta a metà seduta per poi concludere gli scambi in leggero rialzo. Milano ha
guadagnato lo 0,43%, Francoforte lo 0,41%, Parigi lo 0,19% e Londra lo 0,37 per cento. Un po' più indietro
Madrid (-0,17%), frenata dal calo dei titoli legati alle materie prime.
Vendite su energia e utility
In mancanza di dati macroeconomici di rilievo (dagli aggiornamenti sull'inflazione di ottobre non sono arrivate
grosse novità) le attenzioni degli operatori si sono concentrate sui risultati societari. Le notizie negative sono
arrivate dai settori energia e utilities. Ieri l'indice Stoxx Energia ha perso l'1,6%. Una performance segnata in
parte dalla debolezza del petrolio (ieri il Brent ha toccato un nuovo minimo da 4 anni) e in parte dal tracollo
della spagnola Abengoa che ieri ha perso il 18% a Madrid dopo aver tagliato le proprie stime sui ricavi 2014.
Il comparto utilities invece ha sofferto i conti peggiori del previsto di Gdf Suez ed Rwe.
La spinta al ribasso di questi settori, che ha portato gli indici europei in rosso a metà seduta, è stata tuttavia
controbilanciata dai segnali positivi in arrivo da oltreoceano. A Wall Street infatti sono prevalsi gli acquisti.
Anche in questo caso sulla scia di notizie in arrivo dal fronte societario: la trimestrale oltre le attese del
colosso della grande distribuzione Wall-Mart e l'accordo da 4,7 miliardi di dollari tra il finanziere Warren
Buffett e la Procter & Gamble per la cessione del business delle batterie Duracell. Piazza Affari, dal canto
suo, è stata sostenuta anche da alcuni bilanci societari oltre le attese: il titolo Salini Impregilo, per esempio,
ha guadagnato quasi il 12% dopo aver conseguito nei primi 9 mesi dell'anno un utile netto di 3,6 milioni e
ricavi in crescita del 7% a 3,1 miliardi
A segno l'asta BTp
Quella di ieri è stata tutto sommato una giornata tranquilla anche per i titoli di Stato: il rendimento del BTp
decennale si è confermato al 2,36% e anche la distanza nei confronti del Bund è rimasta più o meno sugli
stessi livelli della vigilia (157 punti base). In un clima del genere l'asta del Tesoro è filata via liscia senza
eccessivi intoppi come del resto era nelle attese. Sul mercato sono stati collocati titoli a 3, 7 e 15 anni per un
valore complessivo di 6 miliardi di euro a tassi sostanzialmente invariati rispetto alle emissioni precedenti.
L'attenzione degli operatori si è rivolta soprattutto alle scadenze più lunghe: un riflesso della maggiore
appetibilità dei rendimenti, ma anche della volontà di molti investitori di allungare la durata media dei
portafogli con l'approssimarsi della chiusura dell'anno. Sotto questo aspetto, il BTp a 15 anni dal rendimento
lordo del 2,97% è stato il titolo più gettonato con un rapporto «bid-to-cover» pari a 1,54 anche perché per
questa emissione si trattava dell'ultimo appuntamento del 2014 (se ne riparlerà probabilmente a febbraio).
Il Tesoro «vede» il traguardo
Buono anche l'interesse per il settennale che, come ha sottolineato un trader all'agenzia Radiocor «si
trovava in una posizione che rendeva vantaggioso uno "switch" rispetto ad altri titoli vicini sulla curva italiana»
e che quindi è stato assegnato all'1,74%, mentre il BTp a 3 anni è stato collocato allo 0,77 per cento. Con
l'asta di ieri il Tesoro ha quasi completato la provvista annuale a medio lungo termine, avendo raccolto in
totale 272 sui 283 miliardi stimati dagli analisti (ovvero il 96%). Anche per questo motivo è possibile che il
Tesoro decida di tagliare l'asta BTp prevista per metà dicembre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Bid to cover Bid to cover è un termine inglese che
indica il «tasso di copertura» di un'asta di titoli di Stato. In pratica è il rapporto tra domanda e offerta: più la
domanda degli investitori per un titolo è abbondante, più sale il bid to cover. Nell'asta di ieri dei BTp triennali
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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La lunga crisi LA GIORNATA DEI MERCATI
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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gli investitori hanno chiesto titoli per 3,82 miliardi a fronte di un'offerta da 2,5 miliardi: il bid to cover è stato
dunque di 1,53 volte. Questo indicatore mostra l'appetito per un titolo.
LE ULTIME ASTE Dati in milioni di euro Importo richiesto Importo assegnato Rendimento Ottobre 3 anni
0,70% 5.345 3.500 7 anni 1,71% 2.984 2.000 30 anni 3,66% 1.810 1.250 9/11/2011 LO SPREAD
Differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato decennali rispetto al Bund. In punti base 2012 2013 2014 Ieri
100 200 300 400 500 600 700 23 Italia Spagna 157 134 167 Italia 575 Spagna 408 Ieri 3 anni 0,77% 3.824
2.500 7 anni 1,74% 3.027 2.000 15 anni 2,97% 2.319 1.500 Settembre 3 anni 0,52% 4.078 2.457 7 anni
1,71% 3.659 2.500 15 anni 3,03% 3.284 2.000
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Il Sole 24 Ore
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Industria europea e italiana ancora in partita, l'eccellenza traina l'export
CLASSIFICHE DIVERSE Utilizzando parametri più legati al mercato tutti i Paesi europei mostrano risultati tra
i migliori di quelli delle economie avanzate
Marco Fortis
Il grande errore concettuale che sta all'origine del fallimento della politica economica europea ispirata dalla
Germania e dai Paesi del Nord Europa sta nel falso mito della competitività perduta. Se l'Europa non cresce questo è il dogma - non è perché essa sta distruggendo masochisticamente il proprio mercato interno con
una esasperata politica di rigore fiscale senza sviluppo, come dimostra ogni giorno con sempre maggiore
evidenza la realtà. La bassa crescita economica dipenderebbe invece principalmente da una inarrestabile
perdita di competitività delle nazioni europee, in particolare di quelle del Sud Europa, sui mercati
internazionali. Secondo i sostenitori di questa tesi, l'erosione di quote di mercato nell'export di molti Paesi Ue,
tra cui l'Italia, ne sarebbe la prova più evidente. Con ciò ignorando un fatto fondamentale: e cioè che da
quando è entrata in scena la Cina sullo scenario globale sono calate le quote di mercato di tutti i Paesi
avanzati. Ma le quote della Ue (incluse quelle dell'Italia e della Spagna) sono comunque scese meno di
quelle di Stati Uniti, Canada e Giappone. In particolare, ciò è stato vero per l'export di manufatti dalla nascita
dell'euro fino al 2013.
Gli errori di prospettiva
La Commissione europea e i dogmatici del rigore e della competitività (ma non della crescita, la "grande
dimenticata" nell'attuazione del Patto di stabilità e crescita) non sembrano essere sufficientemente
consapevoli di altri tre punti fondamentali. Il primo è che storicamente la dinamica del Pil dei Paesi Ue è stata
determinata negli ultimi 20 anni quasi totalmente, nel bene e nel male, dalla domanda interna e non
dall'export, fatta eccezione per la Germania. Quindi ciò che conta per far ripartire il Pil oggi è rilanciare
investimenti e consumi nell'Eurozona piuttosto che illudersi che se il Portogallo, la Spagna, la Grecia o l'Italia
esporteranno un po' di più tornerà per incanto la crescita nell'Eurozona.
Il secondo punto è che la competitività delle nazioni europee nel commercio internazionale andrebbe
misurata soprattutto sugli scambi extra-Ue. Si scoprirebbe allora che ben 21 Paesi Ue su 28 hanno
presentato nel 2013 un surplus commerciale manifatturiero con i Paesi extra-Ue. Infatti, lo scorso anno la
Germania ha fatto registrare un attivo manifatturiero extracomunitario di 229 miliardi di euro, l'Italia di 70, la
Francia di 44. Persino Spagna e Portogallo vantano surplus manifatturieri extra-Ue, rispettivamente di 16 e 5
miliardi. I deficit commerciali esistenti del Sud Europa sono casomai intra-Ue e quasi tutti con la Germania.
Proprio per questa ragione è ingeneroso e poco costruttivo che Berlino catechizzi continuamente sulla
competitività i Paesi partner nell'Uem che acquistano i prodotti tedeschi: è il risultato del mercato unico, lo
abbiamo costruito apposta. Ed i tedeschi sono quelli che ne hanno beneficiato di più trasformando il superapprezzabile marco nel tasso di cambio fisso dell'euro. Non è facendo ora diventare la Grecia una
improbabile esportatrice di Mercedes che si risolveranno i problemi dell'euro e della sua governance.
Il terzo punto è che la Commissione Ue dovrebbe aggiornare i suoi indicatori di competitività. Non bastano
più le tabelline scolastiche della Macroeconomic imbalance procedure sulle quote di mercato (dati sui quali
l'Italia viene regolarmente "bacchettata" ingiustamente). Né può essere sufficiente, per impostare un'oculata
strategia di politica industriale europea, il continuo riferimento ad indici di competitività essenzialmente
qualitativi e basati su interviste, come quelli del World Economic Forum (Wef) o dell'Imd di Losanna, che
rischiano di fornire immagini fuorvianti della competitività del nostro continente e delle sue nazioni.
Soprattutto perché sono indici che si riferiscono principalmente ai fattori di efficienza dei sistemi-Paese, che
in un'economia come l'Italia sono indubbiamente carenti (da qui l'importanza delle riforme), ma che sono
quasi sempre ribaltati nei fatti dalla competitività delle imprese che operano in concreto sui mercati.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Politica economica. Secondo l'indice di competitività dell'International Trade Centre solo la Germania ha fatto
meglio negli scambi internazionali
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Indici di competitività reale
Come la Fondazione Edison illustrerà nell'imminente summit dell'Aspen Institute Italia di Torino su
"Manifatturiero e società nel XXI secolo", esistono indicatori di competitività dei sistemi industriali molto più
sofisticati, autorevoli e aderenti alla realtà che l'Ue dovrebbe utilizzare. Innanzitutto, c'è il Competitive
industrial performance index dell'Unido che, rispetto al Wef, posiziona nella classifica mondiale la Germania
prima e non quinta, l'Italia nona e non quarantanovesima (!), la Francia undicesima e non ventitreesima.
Ma, soprattutto, esiste un'agenzia dell'Unctad e dell'Organizzazione mondiale del commercio, l'International
Trade Centre, che elabora da alcuni anni un dettagliato quadro di indicatori di competitività di 189 Paesi nel
commercio mondiale in 14 settori: è il Trade performance index (Tpi), di cui anticipiamo qui i risultati appena
messi in rete riguardanti il 2013.
Si tratta di dati che ribaltano qualunque idea fuorviante ed autoflagellatoria di un'Europa e di un Italia poco
competitive sui mercati internazionali. Infatti, nel "medagliere" di primi, secondi e terzi posti per competitività
internazionale nei 14 settori analizzati, il Tpi assegna ben 30 medaglie sulle 42 disponibili a differenti Paesi
dell'Ue-28. Magro è invece il bottino degli altri maggiori competitor, con soltanto 3 medaglie alla Cina, una alla
Corea del Sud e nessuna a Stati Uniti e Giappone. Mentre Russia e Algeria primeggiano isolatamente nei
minerali e la Malaysia nell'elettronica di consumo.
In particolare, la Germania si è confermata nel 2013 prima per competitività nel commercio internazionale in
otto settori e seconda in un altro. Ma l'Italia viene subito dopo i tedeschi con tre primi posti in altrettanti settori
(tessile, cuoio-calzature, abbigliamento) e cinque secondi posti (manufatti di base tra cui metalli e ceramiche,
meccanica non elettronica, apparecchi elettrici, mezzi di trasporto e manufatti diversi tra cui articoli in plastica
e occhiali). In più, il nostro Paese presenta anche un significativo settimo posto (negli alimentari trasformati).
Nessun'altra nazione al mondo dopo la Germania può vantare una serie di posizionamenti di eccellenza
analoghi a quelli dell'Italia nelle graduatorie di competitività dell'International Trade Centre. I nove settori di
eccellenza in cui il made in Italy si colloca ai vertici mondiali nel 2013 hanno esportato beni per 376 miliardi di
dollari con un surplus verso l'estero gigantesco, pari a 152 miliardi di dollari.
L'Ue-28 presenta poi altri piazzamenti rilevanti di sue altre nazioni nelle graduatorie del Tpi. A parte i buoni
posizionamenti dell'Olanda, che mascherano per lo più attività di re-export di beni semplicemente transitati
nei suoi porti, spiccano il primo posto della Spagna negli alimentari freschi, il secondo della Finlandia nel
legno e carta, il terzo della Francia negli alimentari trasformati, i terzi posti della Svezia nella meccanica non
elettronica e nel legno e carta.
In definitiva, tutto si può dire da queste classifiche tranne che l'Ue e l'Italia non siano competitive sui mercati
mondiali. Forse più che della competitività delle imprese a Bruxelles e a Berlino farebbero meglio ad
occuparsi della "perdita di competitività" dei consumatori e dei risparmiatori europei, che le politiche di
austerità e le continue incertezze sulla governance dell'euro (su cui pesano i diktat della Bundesbank) hanno
fatto scendere ai minimi storici. Esportare un po' di più ed attrarre più investitori esteri non può che fare del
bene a tutti, nel Nord come nel Sud Europa e in Italia: quindi sono indispensabili le riforme su burocrazia,
mercato del lavoro, giustizia civile, concorrenza nei servizi. Ma la vita degli europei e degli italiani cambierà
davvero solo quando ripartiranno investimenti e consumi interni. Il film dell'economia reale che scorre sugli
schermi è questo, non quello della Macroeconomic imbalance procedure e del Fiscal compact.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LE AREE/NAZIONI PIÙ COMPETITIVE NEL COMMERCIO
INTERNAZIONALE Trade Performance Index Unctad/Wto 2013. Numero di migliori piazzamenti TOTALE
TOTALE UE-28 GERMANIA ITALIA CINA COREA DEL SUD GIAPPONE STATI UNITI 30 9 8 3 1 0 12 8 3
11 1 5 2 7 1 1 0 I PAESI PIÙ COMPETITIVI IN 13 DIFFERENTI SETTORI DEL COMMERCIO
INTERNAZIONALE Trade Performance Index Unctad/Wto 2013 Russia Algeria Malaysia Energia e minerali
non energetici Spagna Olanda Danimarca Alimentari freschi Germania Olanda Francia Alimentari trasformati
Germania Finlandia Svezia Legno e carta ITALIA Germania Cina Tessile ITALIA Cina VIetnam Pelli e
calzature ITALIA Cina Turchia Abbigliamento Germania ITALIA Taiwan Manufatti di base Germania ITALIA
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Svezia Meccanica non elettronica Germania ITALIA Olanda Apparecchi elettrici ed elettronici Germania
ITALIA Corea del Sud Mezzi di trasporto Malaysia Olanda Singapore IT ed elettronica di consumo Germania
ITALIA Olanda Altri manufatti diversi Primi posti Secondi posti Terzi posti I SETTORI PIÙ COMPETITIVI
DELL'ITALIA Posizione dell'Italia nelle classifiche mondiali secondo il Trade Performance Index Unctad/Wto;
Export e bilacia commerciale (in miliardi di dollari) Settore /Posizione Export Bilancia comm. Abbigliamento 1
23,7 8,0 Prodotti in pelle e cuoio 1 24,2 12,3 Tessili 1 13,5 4,9 Meccanica non elettrica 2 104,2 70,2 Mezzi di
trasporto 2 44,5 8,2 Manufatti di base 2 62,0 18,6 Altri manufatti base 2 49,1 21,3 Apparecchi elettrici ed
elettronici 2 23,2 2,7 Alimenti trasformati e bevande 7 32,0 5,5
Foto: - Fonte: elaborazioni Fondazione Edison su dati International Trade Centre e UNCTAD/WTO
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Il capitalismo familiare ha un volto giovane
Bernardo Bertoldi
In Italia ci capita di essere affetti da un particolare provincialismo: siamo così smaniosi nel voler applicare le
mode degli altri paesi che ogni tanto riusciamo a reimportare ciò che noi stessi abbiamo inventato, esportato
e insegnato. Esempi: le banche, il cinema e gli acceleratori di start up (oggi si chiamano così, sono i nostri
distretti industriali nella loro infanzia). Ci critichiamo l'ombelico, mentre il mondo ci guarda con ammirazione,
solo non capisce perché abbiamo sempre la testa bassa.
La scorsa settimana The Economist, sobrio, ultraliberale e noto per il suo sottile piacere a fustigare l'Italia, ha
scritto nei leaders un elogio alle imprese familiari: «Ci sono importanti lezioni da imparare dalla sorprendente
forza delle imprese familiari». Certo non manca una stoccata a Luxottica, ma nella sostanza viene
riconosciuto che il capitalismo familiare, su cui si basa il nostro sistema industriale, ha parecchio da
insegnare a un mondo «finanziarizzato». Il fatto che le grandi economie emergenti, Cina, Asia, Sud America,
siano permeate dello stesso tipo di capitalismo ne ha aiutato il prepotente ritorno nelle discussioni. Forse in
quei paesi c'è meno interesse per il proprio ombelico. In Italia il 60% delle imprese quotate e il 50% di quelle
con più di 50 milioni di fatturato sono possedute da famiglie imprenditoriali; questo è il nostro capitalismo.
Nei primi mesi di governo, Matteo Renzi non ha mancato di criticare una parte del nostro capitalismo
erigendosi a rottamatore del capitalismo di relazione. È possibile che un pezzo marcio di capitalismo abbia
fossilizzato alcuni settori, ma è il mutato contesto macroeconomico che lo spazzerà via: dall'euro alla
vigilanza bancaria europea. Intanto gli imprenditori che hanno portato i loro prodotti all'estero quando le
svalutazioni della lira li aiutavano, continuano a farlo in un «mondo piatto» dove i vantaggi li hanno altri. Il
capitalismo familiare ha già i suoi rottamatori: sono le nuove generazioni che si fanno spazio in azienda, che
adattano prodotti e organizzazioni al mutato contesto, che lottano per rompere con il passato e andare in giro
per il mondo a confrontarsi con i concorrenti. Sono processi lenti e silenziosi, ma fanno crescere gli alberi che
formano la foresta del nostro sistema industriale: certo fanno più rumore quei pochi alberi che cadono, ma
sarebbe sbagliato concentrarsi su ciò che fa più rumore. Il nostro Pil è formato da migliaia di imprese familiari
e le nuove generazioni che lottano per svilupparle sono la miglior garanzia del benessere futuro. La sfida
della continuità in queste imprese è la chiave per il futuro. La crescita nelle aziende di famiglia avviene
attraverso l'evoluzione dell'esistente, i prodotti che hanno avuto successo sono adattati ai mutati gusti del
consumatore e ai cambiamenti dell'arena competitiva. La Nutella è nata dalla Supercrema con cui il papà di
Michele Ferrero aveva costruito il successo dell'azienda; ci volle coraggio per «rottamare» la Supercrema.
Credo che qualcosa mancherebbe al nostro Paese se il signor Michele, invece di investire i denari della sua
famiglia e la sua vita in azienda, avesse chiesto a qualche investitore straniero di farlo. Oggi tanti giovani
hanno questo coraggio nelle loro aziende.
Come Renzi ha rottamato e avviato il cambiamento da dentro il suo partito così queste nuove generazioni di
imprenditori lavorano dentro le loro aziende di famiglia con passione e rispetto per l'esistente ma con la voglia
di cambiare, adattare, crescere. In entrambi i casi la forza dei principianti è chiave per il successo; perché i
principianti riescono a realizzare cose impossibili, perché non hanno ancora imparato che «sono impossibili».
Guardando solo agli alberi che cadono, si può marchiare la colonna vertebrale del nostro sistema industriale
come vecchia ed asfittica. La realtà è che quando andiamo all'estero siamo l'Italia e i nostri imprenditori,
anche (se non soprattutto) i giovani, sono rispettati dai concorrenti e dai mercati finanziari. Il bello del
capitalismo è che, se queste nuove generazioni non saranno all'altezza, non ci sarà bisogno della
rottamazione: la Distruzione Creatrice opera da prima che Schumpeter la scoprisse. A noi resta di decidere
se vogliamo affrontarla a testa alta o guardandoci l'ombelico.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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IL SISTEMA ITALIA
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Patto della finanza per la ripresa
Missione in Europa per indirizzare le politiche a favore dello sviluppo
Rossella Bocciarelli
Investimenti, crescita e lavoro: sono la priorità del governo italiano, il cuore della riflessione della nuova
commissione europea diretta da Jean-Claude Juncker, l'oggetto delle conversazioni fra capi di Stato e di
governo al vertice del G20 di Brisbane. Mai come in questo momento il tema dello sviluppo viene evocato a
tutti i livelli istituzionali. Di crescita l'Europa e l'Italia in modo particolare hanno un bisogno drammatico: non è
un mistero infatti che l'economia italiana, oppressa dal macigno del debito pubblico, deve cercare di ritrovare
al più presto il percorso dello sviluppo.
Per questo motivo lo stato maggiore dell'industria finanziaria italiana si è mobilitato per stabilire un dialogo
diretto, proprio sui temi del rilancio dell'economia attraverso un accesso migliore al credito e al mercato dei
capitali, con gli esponenti del nuovo Parlamento e della nuova Commissione europea.
Nei giorni scorsi, infatti, Luigi Abete, presidente della Febaf, l'associazione che riunisce banche e
assicurazioni insieme ai suoi colleghi Antonio Patuelli, presidente dell'Abi e Aldo Minucci, alla guida dell'Ania,
hanno discusso a Bruxelles un corposo dossier dedicato ai temi finanziari, visti in funzione dell'obiettivo di
indirizzare l'intera politica economica continentale verso gli investimenti, attraverso strumenti finanziari efficaci
e finalizzati a far affluire le risorse private in direzione degli investimenti di lungo termine.
Soprattutto, è stato sottolineato dai rappresentati dell'industria finanziaria, è vitale in questo momento
facilitare i finanziamenti verso le piccole e medie imprese, che sono tuttora la colonna portante dell'economia
continentale e contribuiscono alla creazione dell'85 per cento dei nuovi posti di lavoro. Abbiamo chiesto loro
di spiegare come pensano di promuovere gli interessi nazionali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Unione Germania Spagna Grecia Francia Italia Croazia Cipro Slovenia
Europea 3,1 2,4 1,3 1,3 1,2 0,6 0,3 -0,4 -0,7 -2,8
Foto: La Commissione Europea ha pubblicato l'outlook di autunno sui Paesi dell'Unione, ritoccando ancora
una volta le sue previsioni sul Pil reale. Variazione percentuale annua stimata nel 2014
Foto: - Fonte: Commissione Europea
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Bruxelles, Italia RICETTE PER L'ECONOMIA
14/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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Il re dei fondi "Punto sull'Italia"
FEDERICO FUBINI
ANDREW Balls, londinese di 40 anni, si è appena seduto su una delle poltrone più scomode e ambite nei
mercati globali: a Pimco ha preso il posto del fondatore Bill Gross come capo degli investimenti. Per lui non
sarà una passeggiata, in un fondo che gestisce quasi 2 mila miliardi di dollari in titoli a reddito fisso.
A PAGINA 10 ROMA. Andrew Balls, londinese di 40 anni, si è appena seduto su una delle poltrone più
scomode e ambite nei mercati globali: a Pimco ha preso il posto del mitico fondatore Bill Gross come chief
investment officer, capo degli investimenti. Per lui non sarà una passeggiata, in un fondo che gestisce quasi
duemila miliardi di dollari in titoli a reddito fisso. Lo potrà aiutare la passata esperienza come corrispondente
del Financial Times dagli Stati Uniti, non però l'attenzione che la stampa britannica gli riserva per una
parentela illustre: è fratello di Ed Balls, futuro ministro del Tesoro se il Labour vincerà le elezioni a primavera.
Nell'incertezza, almeno per ora, Andrew Balls sta puntando molto sull'Italia.
I mercati dei bond nei Paesi più indebitati vanno bene da anni. Non teme un'inversione di tendenza?
«Dipende dall'arco di tempo.
Per il prossimo anno prevediamo che la stabilità continui e stiamo investendo in bond sovrani italiani e
spagnoli. Questi due Paesi negli ultimi anni hanno superato una serie di prove di stress. Prevediamo un buon
andamento dei mercati nel 2015. Tuttavia, se tra circa un anno gli investitori vedono che l'Europa non riesce
a crescere, inizieranno a mettere in dubbio la sostenibilità del debito». Cosa si aspetta che farà la Banca
centrale europea nel 2015? «È improbabile che resti ferma. Prevediamo che lancerà il quantitative easing,
l'acquisto massiccio di titoli di Stato, tra sei mesi circa. Mario Draghi, il presidente della Bce, ha già gettato le
basi. Alla Bundesbank non piacerà, ma che io sappia non ha un diritto di veto».
Eppure, nella Bce Draghi incontra molte resistenze. Davvero può superarle? «L'opposizione al quantitative
easing non mi sorprende. Ma dobbiamo renderci conto che la Bce può sempre agire come prestatore di
ultima istanza, e lo farà. È una banca centrale che ha già dimostrato di saper essere di sostegno ai mercati.
Immagino che l'Italia e la Spagna continueranno ad andare bene, in termini di spread, e mi sento tranquillo a
investire dei loro titoli di Stato.
Quelli sono mercati liquidi e questo per noi conta molto. Se cambiamo idea, possiamo sempre uscire in
fretta. Pensiamo che i tassi spagnoli convergeranno su livelli quasi da nucleo duro d'Europa, tipo Francia o
Belgio. Probabilmente lo spread fra Spagna e Italia si allargherà, ma ugualmente troviamo i titoli di Stato
italiani attraenti per prendere rischio di credito».
In sostanza, lei punta su Italia e Spagna perché si aspetta che la Bce presto compri i loro bond.
«Non solo per quello, ma è un motivo in più di aver fiducia».
Non teme che la deflazione o un'inflazione bassissima rendano il debito troppo alto per poter essere
sopportato? «In deflazione c'è sempre un rischio di eventi catastrofici a bassa probabilità. La Bce dev'essere
incredibilmente distratta per permettere, senza far nulla, che l'inflazione sia allo 0,3% come oggi. Il punto è:
l'Eurotower prende sul serio il suo obiettivo d'inflazione vicino al 2% nel medio periodo? Capisco che possa
essere lenta nei movimenti. I Paesi del Sud devono riconquistare competitività grazie a dinamiche di prezzie
costi inferiori al Nord. Ma dato che l'inflazione in Germania è zero, sono costretti alla deflazione. È dura. In
Europa manca la domanda e le politiche economiche sono troppo restrittive.
In un quadro del genere, l'acquisto di bond privati annunciato per ora dalla Bce non è una cosa seria. È
troppo poco».
Le banche tedesche non la pensano come lei. La loro esposizione su Italiao Spagna è sotto i minimi toccati
all'apice della crisi, nel 2012.
«Ci sono vari modi di interpretare il loro conservatorismo. In termini di capitale, probabilmente non sono in
condizioni buone come le francesi. Nel complesso, gli stress test della Bce sono stati credibili. Ma quando
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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L'INTERVISTA
14/11/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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vediamo che tutte le banche tedesche li hanno superati, si può essere tentati di pensare che lì c'è un patto
implicito: un buon trattamento per le banche tedesche da parte della Bce, in cambio di più libertà di agire
contro la deflazione. Draghi fa un gran lavoro per tenere tutti a bordo, rappresenta un miglioramento rispetto
ai passati presidenti della Bce. Capisce sia i mercati che la diplomazia».
Foto: PROVE DI STRESS Roma e Madrid negli ultimi anni hanno superato una serie di prove di stress,
abbiamo fiducia in loro A CAPO DI PIMCO Andrew Balls, inglese, dirige gli investimenti di Pimco, il più
grande fondo al mondo con oltre 2 mila miliardi
14/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 10
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Via Nazionale preoccupata per la frenata del Pil e dei prezzi Inflazione allo 0,1% in Italia. Germania in
deflazione a ottobre
ELENA POLIDORI
ROMA. Aumentano i rischi per la stabilità finanziaria dell'Eurozona. Colpa della minor crescita e del pericolodeflazione, avverte la Banca d'Italia. E in qualche maniera i suoi timori fanno da sfondo all'analisi di S&P che
non esclude una terza recessione - "triple dip", in gergo - dopo quella del 2009 e del 2011. É un pericolo che
«non va sottovalutato» e che avrebbe conseguenze «deleterie» anche dal punto di vista socio-politico, se mai
si concretizzasse.
Eurolandia non riesce a crescere , l'inflazione continua a scendere, con il rischio di avvitarsi, appunto, in una
deflazione. Gli ultimi dati parlano per l'Italia di prezzi gelati, cresciuti ad ottobre dello 0,1% sia su base
mensile che annuale. La Francia è ferma a quota 0,5%. La Germaniaèa 0,8 ma rispettoa settembre registra
un meno 0,3%.
Ed è proprio questo segno meno che fa paura. La Bce, nel suo Bollettino, riduce ancora le stime per
l'inflazione di quest'anno (0,5% in calo dello 0,7% di tre mesi fa) e taglia quelle sul Pil (0,8 da più 1%).
Ribadisce che il consiglio è «unanime» nell'impegno a varare ulteriori misure non convenzionali, se
necessarie. Annuncia che uno staff ad hoc è già al lavoro. E come sempre chiede ai governi di «imprimere
slancio» alle riforme del mercato del lavoro e alle liberalizzazioni perché «progressi insufficienti» su questo
fronte rappresentano «un forte rischio al ribasso per le prospettive economiche".
Ed ecco riemergere di nuovo tutti i pericoli che minacciano Eurolandia. La Banca d'Italia avverte appunto che
«il protrarsi della fase di stagnazione avrebbe ripercussioni negative sul sistema finanziario e sui conti
pubblici. Valori eccessivamente ridotti dell'inflazione rendono più difficoltoso il processo di riassorbimento del
debito, pubblico e privato, e implicano un inasprimento delle condizioni monetarie, con effetti negativi su
investimenti e consumi». I prestiti alle imprese, aggiunge, saranno in calo per tutto il 2015; dovrebbe invece
«interrompersi» la contrazione dei mutui alle famiglie già nel primo trimestre del nuovo anno. S&P fa sapere
che questo terzo salto nella recessione, il suo scenario base non lo prevede.
Ma, «i rischi sono aumentati». «Come diciamo noi francesi», chiosa l'analista Jean-Michel Six, «il peggio
nonè mai sicuro». S6P prevede che «entro l'anno» o al massimo «all'inizio del prossimo» la Bce avvierà il
suo nuovo pacchetto di misure non convenzionali.
Lo stato di salute di Eurolandia preoccupa anche i Grandi del mondo. In un documento scritto per il prossimo
vertice del G20 a Brisbane, in Australia, il Fmi definisce debole e squilibrata la crescita Ue e invita la Bce ad
essere «pronta ad agire», anche comprando asset sovrani.
LE STIME TANDARD & POOR'S L'agenzia di rating americana vede crescere il rischio di una terza
recessione nell'Eurozona, dopo quelle del 2009 e del 2011 BANKITALIA L'Istituto di Via Nazionale sostiene
che sono cresciuti i rischi per la stabilità finanziaria dell'Eurozona, e ciò a causa della frenata del Pil e del
pericolo deflazione BCE Secondo la Banca centrale europea, l'economia dell'Eurozona si sta indebolendo. La
Bce è pronta a usare nuovi strumenti monetari, se necessario
Foto: L'INCONTRO Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto ieri al Quirinale Frans
Timmermans, primo vice presidente della Commissione
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Bankitalia: "Ora è a rischio la stabilità dell'Eurozona" S&P: verso la terza
recessione
14/11/2014
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"Nuova Sky punta sulle serie Tv Italia sarà Hollywood europea Più
abbonati in banda larga"
Parla l'ad Andrea Zappia: con il riassetto voluto da Murdoch 20 milioni di clienti in cinque Paesi e 5,7 miliardi
di investimenti Con Telecom porteremo a 8 milioni di famiglie i canali Pay per la prima volta attraverso la fibra
GIOVANNI PONS
MILANO. Con l'acquisizione da parte di BSkyb del 90% di Sky Deutschland e del 100% di Sky Italia si è
completato ieri il riassetto societario voluto da Rupert Murdoch raggruppando sotto un unico cappello le
attività televisive europee, con una potenza di fuoco mai vista prima. La supervisione del nuovo gruppo è
stata affidata a Jeremy Darroch ma Andrea Zappia continuerà a guidare le attività in Italia.
Dottor Zappia, con questo riassetto cosa cambia nel concreto per voi? «Saremo più forti e con maggiore
capacità di investimento. Unire le tre Sky significa creare una media company leader in Europa con 20 milioni
di clienti, 14 miliardi di ricavi, 31 mila dipendenti e 5,7 miliardi di investimenti in programmazione. Per noi è
un'operazione naturale, condividiamo già il marchio, il business model, i contenuti e la cultura e ora possiamo
marciare uniti per rendere sempre migliore e più ricca l'esperienza dei clienti». Per Sky Italia quali opportunità
si aprono? «Il gruppo Sky agirà da acceleratore per l'innovazione e la produzione di contenuti. L'Italia può
diventare la Hollywood europea grazie al capitale creativo e artistico del paese e noi vogliamo avere un ruolo
fondamentale. Il recente successo della serie TV Gomorra, venduta in 100 paesi nel mondo, ha permesso di
mobilitare risorsea vantaggio di tutta l'industria, dando lavoro a 3000 persone. Ora abbiamo in cantiere
Diabolik, già cofinanziato da BSkyb e Sky Deutschland, che si avvale del premio Oscar Dante Ferretti, e The
Young Pope da un'idea del regista premio Oscar Paolo Sorrentino, che sta già agendo da catalizzatore per
altri nomi importanti».
Voi acquistate grandi quantità di diritti tv, dal calcio, alla Moto Gp alla Formula 1. Esistono sinergie su questo
fronte tra le tre Sky europee? «Sarà un processo graduale e dipenderà dalla volontà dei venditori. Posso solo
dire che rafforzeremo le partnership con i fornitori principali e che ci muoveremo con grande disciplina
economica, e questo non varrà solo per lo sport».
Nel 2010 avevate raggiunto 5 milioni di clienti, adesso siete scesi a quota 4,7 milioni. Vi accontentate di
difendere questa posizione? «Torneremo a crescere. Il ciclo economico recessivo che certo non aiuta. Ma
soprattutto in Italia c'è una forte presenza della Tv "free to air", molto più alta che in altri paesi europei.
L'elevato numero di canali gratuiti frena non solo il progresso della PayTv ma anche lo sviluppo di piattaforme
alternative legate alla banda larga. Noi abbiamo resistito bene alla crisi concentrandoci sui clienti con più
capacità di spesae diversificandoci. Cielo e Sky online così come la partnership con Fastweb stanno
ottenendo ottimi risultati».
Avete anche siglato un accordo con Telecom per vendere pacchetti congiunti di banda larga e PayTv.
Quando comincerete e quanti clienti contate di acquisire? «Con Telecom per la prima volta porteremo tutti i
canali e le funzioni Sky non attraverso il satellite, ma via internet. L'offerta partirà in primavera e si rivolgerà
alle 8 milioni di famiglie che hanno già la banda larga Telecom ma non ancora Sky. In questi anni abbiamo
spinto molto per la diffusione e l'uso della banda larga con SkyOnDemand e SkyGo; l'accordo con Telecom
darà un importante contributo a questo sviluppo».
Avete intenzione di puntare maggiormente sulla Tv "free" per rosicchiare quote di mercato ai concorrenti?
«Siamo una media company con la stragrande maggioranza di ricavi che arriva dalla Pay Tv, quindi non
avrebbe nessun senso traslocare sul "free". Detto questo siamo già entrati nel business della Tv gratuita con
Cielo, il canale che più è cresciuto nel 2014, e potremmo aumentare la nostra presenza, ma senza mettere in
dubbio il cuore del nostro business».
C'è spazio per due operatori di Pay Tv nel lungo periodo? «Buona domanda. Il mercato oggi sembrerebbe
dire di no, visti i risultati economici. O la penetrazione della Pay Tv raggiungerà i livelli di Franciae Inghilterra
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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L'INTERVISTA
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o, alla lunga, si arriveràa un cambiamento di scenario com'è avvenuto in altri paesi. In questi 11 anni
abbiamo investito 16 miliardi nel sistema economico italiano. Abbiamo un concorrente forte e capace; ci
aspettiamo però che Mediaset continui ad aumentare i prezzi a causa dei maggiori costi per i contenuti.
Noi possiamo permetterci di non farlo, i nostri listini sono fermi da più di due anni e l'offerta si è allargata».
Temete lo sbarco in Italia di Netflix? «Vi sono già una dozzina di Over the top operanti in Italia, tra cui Sky
online, Infinity e TimVision.
Quando arriverà Netflix sarà quindi l'ultimo della lista e troverà una concorrenza agguerrita in un mercato
sovraffollato di Tv gratuita e in un ciclo economico avverso».
Sui diritti del calcio di serie A avete battagliato con Mediaset ma poi vi siete seduti al tavolo a trattare. Come
mai? «Ho letto molte bugie e stupidaggini a riguardo. Le nostre offerte erano al 100% compatibili con le
regole del bando e sono risultate le più elevate nei due pacchetti principali. Ma ci sono volute tre settimane
per concludere che non si capiva chi avesse vinto, tant'è che abbiamo dovuto comunque sederci al tavolo».
Chi esce sconfitto da questa vicenda? «La credibilità di un Paese in cui ci sono ancora troppi che faticanoa
rispettare le regole e fanno male al processo di cambiamento complessivo in atto. Comunque l'offerta
sportiva di Sky dal 2015 sarà superiore a quella degli anni precedenti. Avremo tutte le 380 partite di serie A,
con 132 match in esclusiva di 12 squadre. Non avremo la Champions ma avremo tutta l'Europa League in
esclusiva dove i team italiani sono più numerosi e più competitivi. Avremo la Premier League, la Bundesliga,
la MotoGP, la F1, il basket, il golf, il tennis: un'offerta di sport imbattibile». Tratterete con Mediaset anche la
spartizione dei diritti della Champions dal 2016? «Non credo che Mediaset voglia farlo. Detto questo,
nonostante sia una grande property, non si può aver sempre tutto e noi complessivamente avremo tanto».
A volte i concorrenti vi accusano di essere monopolisti della Pay Tv via satellite in Italia. Cosa rispondete?
«Che la Pay Tv via satellite non è un mercato.E nemmeno la Pay Tv lo è più. Si tratta di segmenti di un unico
mercato molto più ampio che comprende le altre modalità di distribuzione come il digitale terrestre e la rete.
Tutti lo sanno, ma alcuni fanno ancora finta di niente».
Foto: ANDREA ZAPPIA, AD SKY ITALIA IL MANAGER
Foto: LA SFIDA DEL FUTURO
Foto: "Nel lungo periodo se la Pay Tv non si diffonderà come in Francia e Germania, non ci sarà spazio per
due operatori
Foto: L'ASTA DEI DIRITTI
Foto: Le nostre offerte per i diritti della serie A erano le più elevate ma abbiamo dovuto comunque sederci al
tavolo a trattare
14/11/2014
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La controllata dell'Eni avvia l'iter per sciogliere gli intrecci con la casa madre su 5 miliardi di debiti Qualche
mese per il nuovo azionariato, il Tesoro pensa a un nocciolo con Cassa depositi, fondi sovrani e industriali
Credit Suisse e Lazard sul dossier. Descalzi non ha fretta, ma pesa la scarsità di capitale
ANDREA GRECO LUCA PAGNI
MILANO. Il tempo non è amico di Saipem. La Borsa punisce senza pietà l'incertezza strategica e l'azione ieri
ha perso il 4,32% a 12,3 euro (-35% in sei mesi), limando la capitalizzazione a 5,44 miliardi. Sempre più
vicina ai 5,13 miliardi di debiti netti della trimestrale, con un rapporto di leva 1 a 1 non sostenibile a lungo.
Serve nuovo capitale per far fronte agli alti rischi e investimenti tipici delle costruzioni petrolifere. Ma il
management guidato da Umberto Vergine e l'azionista Eni, che ha il 43% e da fine luglio è ufficialmente
venditore, non se la sentono di fare il blitz, magari con un aumento riservato, o comunque non seguito da Eni
per diluirla sopra la soglia Opa (30%). Sembra che l'ad tema il veto dei consiglieri di minoranza, espressione
del mercato: anche se guardando il grafico è difficile pensare che il mercato gradisca lo status quo. Dal canto
suo, il capo dell'Eni Claudio Descalzi il 5 novembre in Parlamento ha detto: «Non abbiamo fretta di vendere
Saipem, perché ora il mercato è un po' calante». È un fatto di soldi: oggi il pacchetto dell'Eni vale 2,33
miliardi, due anni e due allarmi utili fa, con l'azionea 39 euro, vendere fruttava almeno 7 miliardi.
La ristrutturazione di capitale, debito e azionariato Saipem si farà quindi l'anno prossimo. Solo che gli auspici
non sono buoni: come ha detto il management presentando i conti dei nove mesi (chiusi in utile ma riducendo
le stime per l'esercizio) «le condizioni avverse di mercato potrebbero continuare nel 2015». Sbrigliare la
matassa potrebbe diventare una grana, anche per il Tesoro che tramite Cassa depositi controlla l'Eni.
L'ufficializzazione del mandato a Lazard fa capire che dietro le quinte ci si prepara. «Eni non ha dato alcun
mandato a Lazard di studiare il debito Saipem: l'ha dato Saipem», così ieri Massimo Mondazzi, cfo di Eni, a
margine di un incontro di S&P sulle utilities. La capogruppo aveva già nominato Credit Suisse, per separarsi
da Saipem.
Ora la banca d'affari francese dovrebbe imbastire il rifinanziamento del debito Saipem, quasi integralmente
"girato" da Eni che ha un rating migliore (anche dell'Italia). Rendersi autonoma nei crediti costerà fino a 50
milioni di maggiori oneria Saipem, ma è un passo necessario per poi trovare nuovi soci. Lazard pensa, come
già in simili occasioni (Snam, per stare in casa Eni)a un pool nutrito, con una decina di banche tra cui
probabilmente Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Bnp Paribas, Goldman Sachs. Ma quello del debito è
un passaggio più tecnico: la mossa delicata è sul capitale, poiché getta le basi del futuro comando entro una
società con connotati strategici e che al Tesoro molti vorrebbero mantenere italiana. Per questo tra Roma e
San Donato si prepara una soluzione "domestica", che vedrebbe scendere in campo il Fondo strategico della
Cdp. Ma la Cassa non può fare un sol boccone di Saipem, perché a differenza di quanto accaduto con Snam
e Terna la sua attività non è regolata ed è anzi rischiosa (vedi le tangenti in Algeria, o il futuro di South
Stream) quindi senza remunerazione certa. Per questo il Fondo cerca compagnia: o un partner industriale o
qualche fondo sovrano di paesi produttori di idrocarburi. Tipo i fondi del Qatare del Kuwait, già partner di
investimenti dell'ad Maurizio Tamagnini. Volgendo gli occhi all'esterno, comunque, i compratori di Saipem
non mancano: benché ammaccata, la società resta leader mondiale nella posa dei tubi sottomarini e in altre
costruzioni ad alta tecnologia. Il colosso russo Rosneft si è smaccatamente candidato, ma difficilmente con le
sanzioni di Usa e Ue contro Mosca in piedi si potrà intavolare un negoziato. Anche la norvegese Subsea7 e
operatori cinesi sono alla finestra.
PER SAPERNE DI PIÙ www.eni.it www.unipolsai.it
Foto: IL FATTORE TEMPO Al gruppo di lavori petroliferi, che in due anni ha ridotto di oltre due terzi la
capitalizzazione, serve capitale Ma prima vanno sciolti i legami con l'Eni, socia al 43% e titolare del debito
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Saipem in vendita tra Fsi e soci stranieri
14/11/2014
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Amazon-Hachette la guerra dei libri adesso è finita
Il colosso online e il più "ribelle" dei grandi editori siglano l'intesa Incentivi per il prezzo degli ebook
STEFANIA PARMEGGIANI
AMAZON e Hachette hanno deposto le armi, mettendo fine a uno dei più lunghi e aspri conflitti nella storia
dell'editoria. Basta con la censura di autori commercialmente scomodi perché pubblicati da un editore ribelle,
basta con le lettere di denuncia e con gli appelli sui giornali: dopo sette mesi, il gigante dell'e-commerce e il
gruppo editoriale hanno firmato un contratto pluriennale per la vendita di libri ed ebook. La paceè stata
sancita ieri mattina con un comunicato stampa a doppia firma che, senza svelare i dettagli, ha ufficializzato
"l'accordo di Natale". Michael Pietsch, amministratore delegato di Hachette, ha commentato: «Questa è una
grande notizia per gli scrittori. Il nuovo accordo darà benefici agli autori del gruppo negli anni a venire». David
Naggar di Amazon ha aggiunto: «Siamo soddisfatti del fatto che il nuovo accordo includa specifici incentivi
finanziari per Hachette per spingere al ribassoi prezzi, cosa che riteniamo una vittoria per i lettori e per gli
scrittori».
Il contratto entrerà in vigore all'inizio del prossimo anno, ma qualcosa è già cambiato.
Quello che era stato un vero e proprio boicottaggio del distributore Amazon nei confronti di autori ed editori
sembra essere finito. Da ieri è di nuovo possibile fare un pre-ordine, assicurandosi ad esempio una copia
dell'autobiografia della superstar mondiale del cricket Kevin Pietersen o la nuova edizione di Cathy del
fotografo John Carder Bush. Anche le consegne dovrebbero tornare alla normalità sebbene ieri, qualche ora
dopo l'annuncio, continuavano a essere indicati ritardi su The Universal Tone di Carlos Santana, Nine stories
di JD Salinger e altre opere. Tutti i libri riappariranno nella lista dei consigli in tempo utile per diventare un
regalo di Natale: le vendite nel periodo migliore dell'anno sono assicurate. Una boccata di ossigeno per un
settore in crisi, che arriva dopo giorni durissimi.
La guerra era cominciata a maggio, in sordina, al chiuso delle stanze in cui i dirigenti delle due società
stavano rinegoziando i rapporti. Il punto più delicato della trattativa era quanto dovesse costare un ebook:
9,99 dollari al massimo secondo Amazon.
Durante l'estate la situazione è precipitata, il dialogo si è interrotto, l'azienda di Seattle ha reso difficile se non
impossibile l'acquisto sul suo sito di molti dei titoli di Hachette. Ad agosto quasi mille scrittori americani hanno
pubblicato una lettera aperta sul New York Times invitando i lettori a tempestare Jeff Bezos di email di
protesta perché la finisse di prendere in ostaggio i libri. Immediata la reazione delle star del self-publishing:
hanno fatto notare come Hachette sia stato uno dei cinque editori citati in giudizio nel 2012 dal Dipartimento
di Giustizia degli Stati Uniti con l'accusa di avere fatto cartello sul prezzo degli e-book. Da quel momento i toni
si sono fatti più accesi e Hachette ha trovato una sponda non solo in molti scrittori americani, ma anche in
tanti intellettuali europei.
Un secondo fronte si è infatti aperto in Europa quando i libri pubblicati dalla svedese Bonnier Group hanno
cominciato a essere boicottati con tecniche molto simili a quelle già sperimentate in America. In prima linea il
premio Nobel Elfriede Jelinek e romanzieri molto popolari nel Nord come gli autori di crime story Ingrid Noll e
Nele Neuhaus. La eco degli scontri è poi arrivata in Italia: sebbene nel nostro Paese il mercato degli ebook
sia ancora marginale, molti editori sono preoccupati della politica aggressiva di Bezos. E se alcuni scelgono
di stringere accordi - in questi giorni parte la collaborazione tra Giunti e Amazon - la maggior parte, da
Mondadori a Feltrinelli, dal gruppo Gems a Einaudi, si accontenta di un patto di non belligeranza. Dallo
scontro aperto tutti hanno da perdere. Lo si è capito seguendo la disputa americana: gli autori boicottati
hanno visto crollare le vendite, gli incassi di Hachette sono calati sensibilmente e nel frattempo l'immagine di
Amazon siè molto appannata. Dato che ci stavano perdendo tutti, era evidente che fosse arrivato il momento
di deporre le armi. Da settimane era nell'aria un accordo commerciale simile a quello firmato in ottobre da
Amazon con Simon & Schuster. Ed effettivamente la lettera che Pietsch ha inviato ai suoi scrittori e che
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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R2
14/11/2014
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subito è rimbalzata su Twitter contiene rassicurazioni simili a quelle a suo tempo firmate dall'amministratore
delegato di Simon & Schuster: gli ebook in teoria potranno costare anche più di 9,99 dollari e Hachette potrà
continuare a deciderne il prezzo accettandoo rifiutando di volta in volta gli incentivi economici di Amazon.
«Grazie al cielo»- ha commentato Douglas Preston, l'autore che ha guidato la rivolta degli scrittori e che per
questo è stato duramente boicottato - «Speriamo che se in futuro sorgeranno altri disaccordi con gli editori,
Amazon non faccia più leva sui librie sugli autori». Sollevati anche gli altri editori americani che devono
rinegoziare i propri accordi: è probabile che firmata la tregua con Hachette, anche la trattativa di
HarperCollins, Macmillan e Penguin Random House possa proseguire e concludersi senza colpi bassi.
La guerra del libro, al momento, è finita.
14/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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"Jobs Act, pronti alla fiducia"
Colloquio con Renzi: modifiche solo per ridurre le forme di lavoro precario Ad Alfano dico che il prossimo
vertice si farà a fine estate o nell'autunno 2017 Con la nuova legge elettorale smetteremo di pedalare in salita
col rapporto sbagliato
FEDERICO GEREMICCA
Presidente, c'è troppo rumore, si sente poco, dell'ultima frase ho capito soltanto «botta in testa»... Quattro del
pomeriggio, prima l'auto, poi la confusione, infine l'aereo: Matteo Renzi sta partendo per Bucarest. «Sì, ha
capito bene - dice -. Botta in testa. È quella che qualcuno voleva - anzi, vorrebbe - che io dessi a Berlusconi,
a proposito di legge elettorale e magari non solo. Ma onestamente non ne vedo la ragione, perché ormai
l'accordo c'è». CONTINUA A PAGINA 3 Il Presidente del Consiglio lascia l'Italia (tappa a Bucarest, poi balzo
verso l'Australia) ma ha voglia di mettere un po' di puntini sulle i a proposito di alcune questioni di strettissima
attualità. Elenchiamole: legge elettorale, prima di tutto; poi Jobs Act, naturalmente; e infine - ma molto, molto
malvolentieri - l'ipotesi di elezioni anticipate e la questione delle questioni ad essa assai legata: la
permanenza di Giorgio Napolitano lassù al Quirinale. Nel corso di questi mesi, a dispetto dell'abisso
generazionale e perfino di formazione, tra i due presidenti si è creata una corrente di simpatia e di stima che
Renzi - oggi - non fa nulla per nascondere. «Mi lasci dire una frase di rito - comincia - che per me, però, è
assolutamente vera: nessuno può permettersi di tirare per la giacca Giorgio Napolitano. E dunque - spiega spero che non sia inteso così quello che per me resta un grande sogno: e cioè che possa esser lui ad
inaugurare il prossimo Expo. Abbiamo fatto di tutto, come governo, per salvarlo e, con la nomina di Cantone,
arrestare i fenomeni di corruzione. È un appuntamento importantissimo per l'Italia e Napolitano sarebbe, se
mi si passa il termine, il migliore dei testimonial possibili per il nostro Paese di fronte al mondo». L'Expo, però,
prende il via il 1° maggio: forse un po' troppo in là rispetto ai tempi di abbandono che molti attribuiscono al
Capo dello Stato. «Io continuo a sperare che il Presidente resti ancora a lungo lì dov'è - dice -. Ma questa è,
appunto, una speranza: per il resto, come ha già ribadito, sarà Napolitano a decidere il come e il quando, in
assoluta e legittima libertà. Nessuno può aver dubbi che qualunque decisione sarà improntata, come sempre
da parte del Presidente, al rispetto delle istituzioni e delle attese del Paese». L'altro giorno Renzi ha chiamato
Romano Prodi: era un po' che non si sentivano, telefonata cordiale giusto a chiarire qualcosa (ammesso c h e
ci fosse qual cosa da chiarire) intorno alla già avviata gran baruffa sul Quirinale. La questione, per altro, è
ineludibilmente legata alle voci che vorrebbero il presidente del Consiglio tentato da elezioni anticipate in
primavera. Renzi smentisce, a modo suo, chiacchiere e dicerie. Non smentisce, invece, una mai nascosta e
anzi crescente insofferenza verso certi riti e certi andazzi: la minoranza Pd sempre di traverso, gli uomini di
Alfano a chiedere altri vertici di maggioranza, i numeri al Senato che sono quel che sono, esposti a dissensi,
ripensamenti e trasmigrazioni... Il premier prende queste questioni di petto e rispolvera la nettezza che ne ha
fatto, agli occhi di milioni di cittadini, un politico «diverso». Tanto per cominciare, la minoranza Pd minaccia di
non votare il Jobs Act e dintorni. Renzi la mette così: «Orfini e Speranza mi hanno chiesto di dare un segnale
distensivo, di disponibilità, e io l'ho dato: in commissione si lavorerà sul cosiddetto disboscamento, cioè sulla
riduzione delle troppe forme di lavoro a tempo e precario. A me preme che la legge sia in vigore dal 1°
gennaio: motivo per il quale - è bene saperlo - se si giocasse ad allungare i tempi, metteremo la fiducia sul
testo che uscirà dalla commissione...». L'ipotesi che la minoranza possa non votare o addirittura votare
contro non sembra preoccuparlo: «Sono sempre gli stessi, una decina, molto divisi, anzi ulteriormente divisi
al loro interno... Io vorrei tenere tutti dentro, naturalmente, e se per questo serve non votare in Direzione
perchè altrimenti vanno sotto o fare piccole modifiche al Jobs Act, volentieri. Il punto centrale è che la sinistra
italiana diventa democratica all'americana, e questo per me ha un valore storico». E dopo la minoranza Pd,
eccolo rispondere agli uomini del Nuovo Centrodestra, che chiedono - appunto sul Jobs Act un nuovo vertice
di maggioranza (dizione che a Renzi, lo ha detto più volte, fa addirittura venire l'orticaria). «Agli esponenti del
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Sui licenziamenti trovato l'accordo con la minoranza Pd. Protesta l'Ncd: serve un nuovo vertice. Boschi: no,
discutiamone in Parlamento
14/11/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Nuovo Centrodestra dico che il prossimo vertice di maggioranza si farà nella tarda estate o nell'autunno del
2017... Per loro, del resto, questo non può rappresentare una sorpresa. L'altra sera, quando sono venuti in
venti a Palazzo Chigi, gliel'ho detto: ragazzi, non ci prendete gusto, questo è il primo vertice che facciamo in
otto mesi, ed è anche il penultimo...». Non nasconde, naturalmente, che i nodi che vengono al pettine (li ha
definiti così l'altra sera di fronte alla Direzione Pd) stanno creando una situazione che Giorgio Squinzi ha
definito «di quelle tipiche che portano a votare». È così? «È in gioco un'idea di fondo alla quale io credo
molto: e cioè che si vota ogni cinque anni. Detto questo - aggiunge - è faticoso: e certe volte la fatica diventa
doppia. È come andare in salita in bicicletta con un rapporto sbagliato, poco agile, duro, dispendioso. Ed è
proprio per questo che dobbiamo varare la nuova legge elettorale. Se eleggeremo così il nuovo Parlamento,
io o chiunque altro ci sarà, potrà governare con più libertà e responsabilità. Non so se tutti lo hanno inteso,
ma siamo alla vigilia di una svolta che cambierà il nostro sistema politico-istituzionale, facendone uno tra i più
avanzati in Europa». È il prodotto del cosiddetto patto del Nazareno, pure contestato da più parti. E si torna,
così, alla «botta in testa» a Berlusconi con la quale, tra un'auto e un aereo, era iniziata questa lunga
conversazione. «Sul premio che passa dalla coalizione alla lista e sulla soglia d'ingresso al 3% c'è già
l'accordo della maggioranza di governo - dice -. Berlusconi resiste su entrambe le questioni e deciderà cosa
fare, ma la riforma noi possiamo approvarla lo stesso. È possibile che alla fine Forza Italia decida di votare no
all'emendamento che trasferisce il premio dalla coalizione al partito e che si astenga sulla legge, ma sono
dettagli. La svolta è a un passo, e vedrete: cambierà il Paese». L'auto si ferma, si passa all'aereo. Matteo
Renzi, ottimista e carico, decolla verso Bucarest, poi Australia, Turkmenistan e martedì di nuovo al lavoro in
Italia: un vero tour de force. L'ultimo sms è tutto un programma, rassicurante per chi crede in lui,
preoccupante - diremmo - per gli altri: «Io non mi faccio fermare dal pantano». Costi quel che costi non c'è
scritto. Magari era solo superfluo...
Agli esponenti del Ncd dico che il prossimo vertice di maggioranza si farà nell'autunno del 2017: e
sarà l'ultimo
Se il Parlamento sarà eletto con la nuova legge elettorale, io o chiunque altro ci sarà potrà governare
con più libertà e responsabilità
Non mi faccio fermare dal pantano Se qualcuno giocasse ad allungare i tempi sul Jobs Act metteremo
la fiducia sul testo della commissione
Continuo a sperare che il Presidente resti ancora a lungo lì dov'è Il mio sogno è che possa essere
Napolitano a inaugurare l'Expo Matteo Renzi Presidente del Consiglio
14/11/2014
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Bankitalia lancia l'allarme Credito giù anche nel 2015
La Bce rivede le aspettative d'inflazione e abbassa le stime di crescita Standard&Poor's teme una terza fase
di recessione per l'Eurozona
STEFANO LEPRI ROMA
I soldi le banche li avrebbero, ma trovano poche buone occasioni per prestarli. Così, prevede il secondo
numero del Rapporto sulla stabilità finanziaria, che la Banca d'Italia ha preso a pubblicare ogni sei mesi, i
prestiti alle imprese non finanziarie continueranno a diminuire anche nel 2015, «seppur con una intensità
progressivamente decrescente». Si spera invece in una ripresa degli acquisti di case: già dal primo trimestre
del prossimo anno potrebbe ricominciare a crescere il volume dei mutui concessi alle famiglie. Non c'è
nessuna fuga di capitali dall'Italia, al contrario di alcune voci allarmistiche delle settimane scorse; «le
condizioni di liquidità delle banche italiane si sono ulteriormente rafforzate», è l'economia a non tirare. Il
tempo è poco per trovare rimedi: «Nell'area dell'euro aumentano i rischi per la stabilità finanziaria derivanti
dalla perdita di vigore della crescita e dai persistenti bassi livelli di inflazione». Potrebbe danneggiarci ancor
più una accresciuta instabilit à d e i m e rc at i f i n a n z i a r i mondiali, se ne è avuta qualche avvisaglia in
ottobre. Rassicura un poco che in Italia sia le famiglie sia le imprese siano meno indebitate rispetto agli altri
Paesi. Il nostro settore assicurativo (al contrario di quello tedesco) è ben attrezzato per resistere a un
prolungato basso livello dei tassi di interesse. Altrove il denaro a basso prezzo sta gonfiando pericolosamente
i prezzi delle case; da noi no. Il danno grave per il nostro Paese può venire da un prolungarsi di questa fase
di inflazione troppo bassa. Poiché i tassi di interesse non possono scendere sotto zero, aspettative che i
prezzi scendano scoraggiano consumi e investimenti, rendono più oneroso ripagare i debiti. Qui la Banca
d'Italia non perde l'occasione di distinguersi dalla Bundesbank. Nell'ortodossia tedesca, non c'è bisogno di
contrastare la deflazione finché non la si vede nei numeri. Il Rapporto sulla stabilità finanziaria afferma invece
che «la formazione delle aspettative (di inflazione, ndr) è un processo non lineare: mutamenti anche forti
possono materializzarsi, in modo discontinuo e in tempi brevi, se non contrastati dall'azione della politica
monetaria». Occorre fare presto. Per l'appunto il Bollettino mensile della Bce, reso noto ieri a Francoforte,
contiene i risultati della periodica indagine tra i centri di previsione privati: le aspettative di inflazione sono
ancora scese. La media per l'intera area euro è ora 0,5% di aumento dei prezzi nel 2014 (contro 0,7%
precedente), 1% per il 2015 (da 1,2%) e 1,8% (da 1,9%) per il 2016. Poiché il principio -guida della Bce è
mantenere l'inflazione annua «sotto il 2%, ma vicina al 2%», si rafforzano i motivi per prendere nuove misure.
Tanto più che anche le prospettive di crescita dell'area euro, secondo la stessa indagine, si abbassano:
+0,8% quest'anno invece di +1%, +1,2% il prossimo invece di +1,5%, +1,5% nel 2016 al posto di +1,7%. La
Bce renderà ufficiali le previsioni proprie alla prossima riunione del consiglio direttivo, il 4 dicembre. Secondo
Standard & Poor's, che teme una terza recessione nell'area euro, il momento del tanto atteso «quantitative
easing» (acquisto massiccio di titoli sull'esempio americano, britannico e giapponese) verrà all'inizio dell'anno
nuovo.
+0,5%
Inflazione '14 Secondo la nuova stima dell'Eurotower Quella precedente era +0,7%
+1%
Inflazione '15 Anche la stima per l'anno prossimo è tagliata rispetto alla precedente (+1,2%)
+0,8%
Pil '14 La crescita stimata dalla Bce per l'Eurozona nel 2014 La stima precedente era +1%
+1,2%
Pil '15
Foto: Poche richieste Le banche segnalano anche una frenata delle richieste di credito da parte delle imprese
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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LA CRISI LA SFIDA DEL RILANCIO
14/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Banche, la Borsa scommette sul risiko
Volano Carige e Bpm sulle indiscrezioni di un'aggregazione. Montepaschi, partner in primavera
SANDRA RICCIO MILANO
Il mercato torna a scommettere su possibili aggregazioni e fusioni tra le banche italiane e i titoli si infiammano
in Borsa. Ieri tutto il comparto ha vissuto una seduta positiva che ha fatto dimenticare il brutto calo del giorno
prima con Piazza Affari che poi ha chiuso in rialzo dello 0,43%. Ad accendersi sono state Banca Popolare di
Milano e Carige con le quotazioni che a fine seduta hanno guadagnato quasi il 4%. A tenere banco è stata
l'ipotesi di un matrimonio sull'asse Milano-Genova. Le due banche, interpellate in merito, hanno preso le
distanze da questo scenario. Sui mercati erano circolate indiscrezioni secondo cui Banca Popolare di Milano
potrebbe acquistare una quota di Carige attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale riservato nella
seconda metà del 2015. Si tratterebbe di un'operazione successiva all'aumento di capitale già previsto da
Carige (500 milioni di euro). L'attenzione si è accesa su questa ipotesi di operazione per una serie di elementi
che convergono a favore di un passo verso il matrimonio. Più che altro, in un panorama difficile per il settore,
le probabilità che questa partita vada in porta sembrano più concrete. Dalle sale operative spiegano che
l'operazione non sarà di dimensioni sproporzionate, l'aumento di capitale è pregarantito e poi Carige sta
portando avanti dei piani di ristrutturazione importanti che assegnano più fiducia all'istituto. A muoversi verso
un grande processo di consolidamento potrebbero essere però anche le popolari e in particolare quelle
medio-piccole. Visto il forte calo dei margini di profitto molti di questi istituti presto o tardi saranno spinti,
soprattutto dalle pressioni di Banca d'Italia e della Bce, a fondersi e introdurre importanti piani di cessione di
attività non-core. E poi c'è la grande partita Mps. Il titolo si muove con grande fragilità in Borsa.
L'appuntamento cruciale su cui si focalizzerà l'attenzione è quello dell'aumento di capitale da 2,5 miliardi. Per
Vincenzo Longo, Strategist di Ig, è ancora presto per operazioni di M&A. «Si cercherà prima di tutto di
ripianare la situazione di capitale e poi potrebbe arrivare lo spezzatino» dice l'esperto. Insomma per un
possibile acquirente un acquisto prima dell'importante operazione sul capitale, che avverrà in Primavera, non
avrebbe un grande senso economico perché l'aumento andrà a diluire le quote e poi occorrerà mettere altri
soldi. Come finirà? «Probabilmente il piano di aumento di capitale non andrà a buon fine - dice Longo -. Sarà
garantito da un pool di banche e non rivolto al pubblico. Le azioni invendute rimarranno alle grandi banche
che in un secondo momento cercheranno di collocarle a un investitore secondario, magari a sconto». Sul
nome sono circolate voci in questi giorni sui desk. L'ipotesi è che sia un istituto italiano e il ventaglio di
possibilità va dai grandi gruppi IntesaSanpaolo e Unicredit fino a Ubi. Poco probabile pare invece il
coinvolgimento di Bnp che è già presente in Italia con Bnl e dunque si troverebbe con un peso in eccesso nel
nostro Paese. Nei giorni scorsi proprio l'indiscrezione di un arrivo imminente di Bnp aveva fatto volare Mps in
Borsa. Dopo la smentita dei francesi, il mercato sembra puntare invece su Ubi, malgrado le prese di distanza
del management nei giorni scorsi. Tante sono gli scenari sui futuri passi delle banche. Di concreto non c'è
ancora nulla: sui tavoli degli amministratori delegati ci sono sicuramente dossier al vaglio ma è ancora troppo
presto perché il tema entri davvero nel vivo dicono gli esperti dalle sale operative. I movimenti dei money
maker non mancano ma per ora sembrano ancora distratti. «Il mercato è focalizzato su altre vicende che
devono trovare soluzioni come gli aumenti di capitale di Carige e Mps - dice Vincenzo Longo, Strategist di Ig . Non mi aspetto grandi mosse prima di questi eventi». Per l'esperto il tema delle aggregazioni e fusioni tra le
banche italiane sarà di sicuro dominante nel 2015. Gli ingredienti perché si vada incontro a un processo di
concentramento ci sono tutti. Anche Bankitalia ha di recente sollecitato a scelte in questa direzione e lo
stesso in qualche modo ha fatto Mario Draghi, Presidente della Bce, che ha detto che per i nostri istituti è
importante allargarsi e diventare più grandi. Per ora sembrano ancora tutti alla finestra a guardare.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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GENOVA E POPMILANO PRENDONO LE DISTANZE DALLO SCENARIO DI UNA FUSIONE TRA I DUE
ISTITUTI
14/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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+3,93%
Bpm La Popolare di Milano è stata spinta dalle voci su una possibile aggregazione con Carige
+3,95%
Carige
In Italia
Euro•Dollaro
Petrolio FTSE/MIB CAMBIO FTSEItaliaAllShare dollaro/barile 74,21
All'estero
SOro FTSE(Londra) NASDAQ(NewYork) DAX(Francoforte) DOWJONES(NewYork) euro/grammo 30,2447
Foto: LAPRESSE
Foto: Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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MF - Ed. nazionale
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Rai Way rompe il tabù delle ipo Va in borsa con offerta coperta per 2,1
volte
Andrea Montanari
(Montanari a pag. 20) Dopo sei rinunce (Sisal, Rottapharm, Intercos, Italiaonline, Fedrigoni e Favini) e tre
rinvii a data da destinarsi (Ovs, Sorgente Res e Massimo Zanetti Beverage Group), il listino milanese è
pronto ad accogliere l'unica del secondo semestre e ultima matricola del 2014. Toccherà a Rai Way l'onore e
l'onere del debutto in borsa: mercoledì 19 novembre è il giorno prefissato. Ieri, infatti, si è alzato il velo
sull'offerta di vendita che si è conclusa «con successo» come si legge sul comunicato del gruppo
infrastrutturale controllato dalla tv di Stato, presieduto da Camillo Rossotto e guidato dall'ad Stefano Ciccotto.
L'offerta è stata coperta 2,1 volte il quantitativo d'azioni (83,3 milioni) oggetto di vendita da parte della Rai.
Mentre il prezzo per ogni singolo titolo è stato fissato in 2,95 euro, ossia il minimo della forchetta
precedentemente fissata (2,95-3,5 euro). La capitalizzazione di Rai Way sulla base del prezzo di offerta è di
802 milioni. Il flottante che finirà complessivamente sul mercato, dopo l'esercizio della greenshoe da parte
delle banche collocatrici sarà del 34,93%. E come già a n n u n c i a t o dai vertici societari durante la
conferenza che ha avviato il roadshow saranno quattro i pilastri fondamentali su cui poggerà il futuro della
società che gestisce oltre 2.300 torri di trasmissione: espandere la posizione di leadership nei servizi
broadband con nuove offerte alla Rai; consolidare i flussi di ricavi nel tower hosting per gli operatori mobile e
per i broadcaster; espandere il portafoglio dei servizi, anche all'estero; focalizzarsi sull'efficienza, la redditività
e il flusso di cassa. Senza trascurare la possibilità di fare acquisizioni nel settore a partire dagli asset messi in
vendita da Wind. Agli investitori fa gola anche l'elevato potenziale di pay out per una azienda che ha un
ebitda margin del 51,8%. A gestire l'ipo sono i coordinatori Banca Imi, Credit Suisse e Mediobanca che
agiscono anche in qualità di joint bookrunner con Bnp e Citigroup. Imi è anche responsabile dell'offerta
pubblica e sponsor. Leonardo&Co è l'advisor. Gli studi legali sono Bonelli Erede Pappalardo, Squire Patton
Boogs e Clifford Chance. (riproduzione riservata)
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/raiway
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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A 2,95 EURO
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(diffusione:104189, tiratura:173386)
di Antonio Satta
Dopo il disgelo, la nuova gelata. La trattativa sul nuovo contratto dei bancari va avanti a singhiozzo. Se nella
precedente riunione si erano aperti spiragli su area contrattuale, recupero dell'inflazione e inquadramenti, ieri
la porta si è serrata di nuovo, visto che Alessandro Profumo, capo delegazione dell'Abi, ha posto sul tavolo
una pregiudiziale. O, meglio, ha ribadito che l'obiettivo irrinunciabile delle banche è la riduzione strutturale
della dinamica del costo del lavoro e il rafforzamento del secondo livello rispetto a quello nazionale, di
conseguenza solo accettando questi principi si potrà discutere nel merito e nel dettaglio. In altre parole,
quello che vogliono le imprese è il blocco strutturale e non temporaneo degli automatismi, degli scatti di
anzianità e del Tfr, lasciando tutta la trattativa sui possibili aumenti al rapporto diretto con le aziende nei
contratti integrativi. Il no dei sindacati è stato netto e infatti sono tornati a essere agitati i vessilli di un
possibile sciopero. Ma forse ieri era difficile per tutti evitare un irrigidimento. Sindacati e banche infatti sono
alla vigilia di riunioni importanti. Quasi tutte le organizzazioni sindacali nella prossima settimana riuniranno gli
stati generali. La Fabi, il principale sindacato di categoria, ha in programma a Roma per il 18 e il 19 novembre
il 120° consiglio nazionale, mentre la Uilca il 17 riunirà l'esecutivo nazionale. E sempre la prossima settimana,
il 19 novembre, si riunirà l'esecutivo dell'Abi e successivamente il comitato di presidenza. Appuntamenti che
serviranno a ognuna delle parti per fare chiarezza sui possibili punti di caduta di un accordo. L'impressione è
che i sindacati siano disponibili a portare a casa un contratto «magro» sulla parte economica, accettando che
nei prossimi tre anni la categoria si limiti più o meno a conservare l'attuale potere d'acquisto. Ma non vogliono
ipotecare il futuro, rinunciando per sempre ai meccanismi di adeguamento automatico che solo l'attuale
struttura del contratto nazionale può garantire. Se la pregiudiziale delle banche non è negoziabile si arriverà
probabilmente alla rottura. Altrimenti il ghiaccio tornerà a sciogliersi. L'appuntamento è per il 25 novembre a
Milano. Allora ognuno di coloro che si presenteranno avrà già sentito i suoi. A quel punto o partirà la trattativa
vera oppure salterà proprio il tavolo. (riproduzione riservata)
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Contratto dei bancari, la pregiudiziale dell'Abi gela la trattativa
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Pag. 3
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Luciano Mondellini
La quotazione di Ferrari servirà «per salvare il grande bidone che è Fiat». Ne è convinto il patron di Tod's,
Diego Della Valle, che ieri a Milano ha spiegato che «se Ferrari fosse stata sul mercato, l'uscita di Luca
Cordero di Montezemolo sarebbe stato un errore incredibile». Inoltre, ha continuato il patron di Tod's, il
«modo in cui è stato cacciato Montezemolo è vergognoso e il motivo è evidente: Ferrari ha salvato il grande
bidone», che è Fiat Chrysler. Secondo l'imprenditore marchigiano, infatti, la decisione di Fca di «quotare
Ferrari significa depauperare la Rossa». Della Valle, infatti, ha spiegato che «quando Ferrari sarà quotata in
borsa per cifre enormi servirà per ripianare i debiti e magari anche per fare macchine. Prima o poi ne farà una
Sergio, no?» ha ironizzato Della Valle, tirando in causa direttamente l'amministratore delegato di Fca Sergio
Marchionne. Della Valle ha infatti spiegato che ora Marchionne e il presidente di Fca John Elkann «quotano
un pezzettino di Ferrari per ripianare i debiti di Fiat mentre il resto se lo prendono i soci» principali, ovvero
l'Exor della famiglia Agnelli. Non bisogna dimenticare che l'affondo di ieri di Della Valle è l'ultimo di una lunga
serie. I rapporti tra l'imprenditore marchigiano ed Elkann sono infatti tesi da tempo e la battaglia
sull'azionariato Rcs non ha certo appianato i dissidi tra i due. (riproduzione riservata)
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Della Valle: ipo del Cavallino per salvare bidone Fca
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Angelo De Mattia
In questi giorni si cominciano a manifestare nei confronti della Bce quegli atteggiamenti che nella prima parte
dello scorso decennio si registrarono nei riguardi di Fmie Banca Mondiale, con durissime contestazioni, allora
ad opera dei no-global, espresse in occasione delle riunioni di queste istituzioni. Spesso con gravi
manifestazioni violente si contestavano le scelte del Fmi nell'imporre ai Paesi sotto la sua sorveglianza
pesanti, ma spesso inefficaci, ricette per il risanamento, mentre alla Banca Mondiale si rimproverava la
debolezza delle iniziative per la lotta alla povertà. Le posizioni estreme vedevano in questi deficit la longa
manus del capitalismo internazionale con l'assoggettamento degli organismi in questione alle strategie dello
stesso. Negli anni successivi molte contestazioni estremistiche si sono ridimensionate, ferma restando la
critica, manifestata non più in forme violente, alle politiche, in particolare, del Fondo. Si è fatto strada il
convincimento che queste istituzioni finanziarie non possono essere ritenute la sintesi di tutte le colpe e i
ritardi, che sono innanzitutto dei governi. In formato ridotto qualcosa che evoca quelle contestazione inizia
ora a manifestarsi verso la Bce, attribuendole, con manifestazioni tenute in occasione di riunioni dei propri
esponenti, la responsabilità di recessione e disoccupazione, ben al di là delle prerogative dell'Istituto, che
semmai potrebbe essere criticato per una certa indeterminatezza con la quale sta affrontando l'argomento del
Quantitative easing di titoli pubblici e privati, ma non si può dimenticare che nel 2012, salvando l'euro, la Bce
ha salvato dalla tragedia l'Unione Europea; allora i primi a patirne sarebbero stati proprio i lavoratori. L'ultimo
caso di contestazione, esterna al luogo (l'Università Roma 3) in cui Mario Draghi pronunciava un discorso, è
avvenuto mercoledì scorso. Molto più efficace sarebbe stata un'eventuale analisi critica delle posizioni dell'ex
governatore della Banca d'Italia; insomma, una controrelazione anziché una contestazione che poi ha dovuto
essere fermata dalla forza pubblica. Vediamo allora i principali temi affrontati. Draghi, parlando in un
convegno sui cento anni dalla nascita di Federico Caffè, ha confermato la possibilità dell'espansione del
bilancio della Bce fino al livello del 2012 e la disposizione a adottare altre misure non convenzionali se quelle
fin qui assunte si rivelassero insufficienti. Parole nette e dure ha avuto poi sulla disoccupazione, tema
centrale nell'elaborazione di Caffè, che egli giudica inaccettabile, contraria a ogni forma di equità, un grave
sperpero di risorse. Quanto alla politica economica, Draghi ha ripreso il tema dell'urgenza di meno tasse e più
investimenti, ma anche delle riforme. Una politica monetaria espansiva e una politica fiscale con maggiori
investimenti e minori tasse non genera una crescita solida e sostenibile, egli ha detto, senza riforme del
mercato del lavoro e dei prodotti. Bene. I contenuti riguardano in parte ciò che fa e deve fare la Bce e in parte
l'analisi economica dell'Istituto. Ma vediamo oggi la situazione concreta, anche perché il presidente Bce ha
detto, riferendosi alle riforme, che adesso è il momento in cui dalla riflessione si deve passare all'azione. Sul
«quartetto» indicato, espansione monetaria, riduzione fiscale, sviluppo degli investimenti e riforme, si può dire
che l'Italia è ancora in mezzo al guado. Nel primo caso, perché ormai si sta logorando la formula del ricorso
da parte della Bce alle misure straordinarie «se necessarie» e si avvicina il momento della completa
chiarezza sul Quantitative easing. Quanto alla riduzione fiscale, i provvedimenti adottati per ora sono limitati.
A proposito dello sviluppo degli investimenti, non si sa nulla di preciso sul piano comunitario di impegni per
300 miliardi, frequentemente strombazzato. Quanto alle riforme, siamo per ora in presenza del disegno di
legge sul Jobs act, ma non si è preso per le corna il toro della produttività totale dei fattori. Di un piano per il
debito pubblico non si parla più, al di là di qualche vago accenno sulle privatizzazioni, mentre sembra già
svanita l'ipotesi, giustamente prospettata da Renzi nonostante le contrarietà della Commissione Ue,
dell'introduzione della «golden rule» per gli investimenti. Ma, allora, a quale azione si passerebbe per quel
che sarebbe opportuno venisse fatto? Chi mai potrebbe negare la stigmatizzazione della disoccupazione o
contestare l'urgenza delle riforme? Chi potrebbe dire che non è fondata la tesi che fondamentale è che le
banche passino a famiglie e imprese i rifinanziamenti Bce? Si può essere d'accordo su tutte le dichiarazioni di
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Chi contesta Draghi ha ragione, ma sbaglia modi e bersagli
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principio, soprattutto se, poi, sono rese nel ricordare il pensiero di quell'indimenticabile personaggio, per
cultura, moralità, umanità, che è stato Caffè. Ma la realtà è ben diversa ed è in questa che debbono agire
banchieri centrali, policy makers e banche, non in un'accademia. Le manifestazioni di contestazione servono
a poco; sono invece le idee e le proposte che debbono essere prodotte.
14/11/2014
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Class Editori, ebitda in recupero del 38,8% nei 9 mesi
Il consiglio di amministrazione di Class Editori, riunitosi ieri, ha approvato i risultati consolidati relativi ai primi
nove mesi dell'anno. Il margine operativo lordo (ebitda) della casa editrice nei primi nove mesi del 2014
registra un recupero del 38,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso (-6,47 milioni contro i -10,57
milioni del 2013) nonostante una diminuzione dei ricavi del 3,4% (57,69 milioni di euro). I costi operativi dei
nove mesi sono diminuiti dell'8,7% (64,16 milioni di euro). Il risultato della gestione straordinaria al 30
settembre 2014 è positivo per 1,04 milioni di euro (-0,57 milioni di euro nel 2013), mentre gli oneri finanziari
netti sono saliti a 3,35 milioni (2,27 milioni nel 2013) sia per i maggiori debiti antecedenti l'aumento di capitale
di 40 milioni eseguito alla fine di luglio sia per l'aumento dei tassi di interesse bancari. In una logica di
prudenza, gli ammortamenti e le svalutazioni sono stati complessivamente pari a 5,94 milioni di euro contro i
2,93 milioni di euro dei primi nove mesi dello scorso esercizio. Per la crescita degli interessi e i maggiori
accantonamenti il risultato netto di gruppo dei nove mesi, dopo gli interessi di terzi, è negativo per 15,34
milioni di euro, comunque in miglioramento rispetto ai -16,79 milioni di euro dello stesso periodo dell'anno
precedente. Il risultato netto ante-imposte del solo terzo trimestre (-4,56 milioni) è sostanzialmente in linea
rispetto al trend registrato nei primi sei mesi, nonostante il terzo trimestre sia il periodo congiunturalmente più
negativo dell'anno per i ricavi. La posizione finanziaria netta della casa editrice presenta alla data del 30
settembre 2014 un indebitamento netto pari a 49,3 milioni di euro, contro i 65,6 milioni al 31 dicembre 2013 e
i 74,1 dell'ultima situazione contabile al 30 giugno 2014. La raccolta pubblicitaria del gruppo, che ha la quota
maggiore nei quotidiani, ha avuto un andamento generalmente migliore di quello del mercato. Per ciò che
concerne le diffusioni, MFMilano Finanza ha registrato nel periodo una diffusione media di circa 70 mila copie
(76 mila la media del 2013), Class di circa 60 mila copie (78 mila nel 2013), Capital di 60 mila copie (72 mila
nel 2013). I cali diffusionali complessivi si accompagnano anche a un mix di produzione e di vendita che si è
fortemente spostato dalle copie stampate alle copie digitali, con l'effetto da un lato di avere un prezzo medio
di vendita più basso (e di conseguenza minori ricavi diffusionali), ma dall'altro un più che proporzionale
risparmio di costi industriali e distributivi, con un effetto positivo sui margini industriali. In crescita invece sono
i ricavi ascrivibili alle aree della business information, trading online e all'agenzia di notizie. In merito ai fatti di
rilievo del trimestre in corso e alla prevedibile evoluzione della gestione, il gruppo segnala che il 27 ottobre ha
preso avvio la fase operativa della piattaforma cinese di e-commerce B2B, CCIGMall, di cui Class Editori e
CCeC sono agenti esclusivi e fornitori principali. Il 5 dicembre è prevista la presentazione della piattaforma a
Pechino davanti alle maggiori autorità cinesi. Nonostante il perdurare della crisi abbia inciso sulla possibilità
di raggiungere sinora i risultati previsti dal piano industriale, ma soprattutto in presenza di un forte e positivo
interesse manifestato da alcuni gruppi media internazionali per operazioni congiunte in alcuni campi di attività
della casa editrice, e alla luce delle forti potenzialità confermate del nuovo ramo di attività legato all'ecommerce in Cina, il consiglio ha dato mandato al vicepresidente e amministratore delegato e ai consiglieri
delegati di operare una revisione del piano industriale.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Nel periodo la casa editrice ha registrato 57,7 milioni di ricavi. Positivo l'avvio della piattaforma di e-commerce
CCIGMall
14/11/2014
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Pag. 14
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Francesca Chiarano (MF-DowJones)
Guidata dai cinesi di Fosun. Sebbene il prezzo al momento sia a vantaggio di Global Resorts, non è detto che
la saga di opa e contro-opa sia arrivata al termine. L'Autorità francese di vigilanza sui mercati finanziari (Amf)
ha infatti annunciato ieri che prolungherà al 1° dicembre il calendario di entrambe le offerte, prima in
scadenza il 20 novembre. Posticipo necessario per permettere eventualmente a Fosun di lanciare una
controfferta. L'Amf ha deciso infatti di applicare, per la prima volta, l'articolo 232-12 del regolamento generale
«per accelerare il confronto sulle offerte nel rispetto della loro alternanza». Una frase, però, che non chiude la
partita. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, infatti, se Fosun rilanciasse di nuovo, allora anche a
Global Resorts sarebbe data la possibilità di alzare ulteriormente la propria offerta, a meno di un intervento
Fosun già nell'estate 2013 aveva lanciato un'opa a 17,5 euro per azione in cordata con il fondo francese
Ardian e con il top management di Club Med, compreso il presidente e direttore generale, Henri Giscard
d'Estaing. L'opa era stata poi sospesa per il ricorso legale di alcuni azionisti di minoranza, sbloccata ma poi
successivamente superata dalla prima offerta di Bonomi a 21 euro e quindi ritirata. Fosun ha poi proposto
una nuova offerta a 22 euro, superata anch'essa dalle ultime mosse di Bonomi. Ieri il titolo a Parigi ha chiuso
a 23,56 euro (+0,45%). (riproduzione riservata) Caltagirone spa ha chiuso i nove mesi con un utile pre-tasse
di 72,8 milioni in aumento dell'80,9% rispetto ai 40,3 milioni dell'analogo periodo del 2013. I ricavi si sono
attestati a 976 milioni, in diminuzione del 4,2% rispetto all'anno scorso; il mol si è attestato a 126,8 milioni, in
aumento del 3,5% rispetto ai 122,5 milioni al 30 settembre 2013. La posizione finanziaria netta è passata da 120,4 milioni a -108,5 milioni per effetto della dinamica positiva del flusso di cassa operativo generato nel
periodo al netto della distribuzione di dividendi. Per il 2014, nel settore del cemento è attesa la positiva
prosecuzione delle attività delle società estere a fronte della debolezza del mercato italiano. Nel settore
editoriale proseguirà la politica di controllo dei costi e la strategia di valorizzazione delle versioni multimediali
al fine di incrementare nuovi flussi di pubblicità ed acquisire nuovi lettori. (riproduzione riservata)
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/clubmed
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/11/2014
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I profitti della Caltagirone spa balzano a 73 milioni
SCENARIO PMI
5 articoli
14/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Fondi e manager rilevano Agrimaster
IN TARGET L'ad Baroni: l'azienda bolognese è una Pmi , con forte connotazione italiana ed esporta l'80% del
suo fatturato
Emanuele Scarci
MILANO
Il fondo di private equity B4 Holding ha rilevato l'80% di Agrimaster, società bolognese specializzata nella
progettazione e costruzione di attrezzature agricole (trinciatrici, bracci decespugliatori, atomizzatori ed
elevatori a forche). L'offerta della società si rivolge a operatori del settore agricolo e privati/pubblici operanti
nella manutenzione di cigli strada, giardini e parchi.
«L'azienda bolognese - osserva Fabrizio Baroni, ad di B4 Investimenti che, attraverso B4 Holding e Augeo,
controlla Agrimaster - è perfettamente in target con l'obiettivo di investire in Pmi, ha una forte connotazione
italiana ed è internazionalizzata». Nelle logiche del private equity rientra anche la possibilità che «Agrimaster
- aggiunge Baroni - possa rientrare in qualche processo di aggregazione». Il mercato è molto frammentato.
Per il deal Agrimaster sono stati pagati 10 milioni, sei volte l'Ebitda. «Nel settore i multipli correnti - precisa
Baroni - arrivano fino a 9 o dieci volte».
Tecnicamente l'operazione è stato un buy-out con co-investimento dei soci attuali e di un manager esterno,
per esempio il super tecnico Luciano Paiola, nominato presidente. La famiglia fondatrice Martoni rimane però
alla guida della società. Nella B4 Investimenti spa figurano Baroni con il 51%, Francesco Schiavinato con il
29% e 21 Partners con il 20 per cento. Il fondo d'investimento è dotato di risorse per 30 milioni provenienti da
40 investitori privati. B4 Holding è arrivato ad Agrimaster dopo una selezione di 250 imprese.
Nel 2013 Agrimaster ha realizzato ricavi per 11 milioni (10,2 l'esercizio precedente) con un Ebitda di 1,78
milioni e un utile netto di circa un milione. «La quota export - sottolinea Baroni - quest'anno salirà dal 75
all'80%. In Italia si sente un po' la crisi ma tira il mercato internazionale. Infatti Agrimaster dovrebbe realizzare
una crescita importante», forse a due cifre.
Il mercato mondiale della produzione di macchinari e attrezzature agricole vale 95 miliardi di euro. Il driver
principale è l'andamento della produzione agricola con i grandi player presenti soprattutto nel segmento dei
trattori e delle macchine semoventi. Quelli di dimensioni più ridotte sono specializzati nella produzione di
attrezzature (soprattutto per trattori) e generalmente sono focalizzati su 1 o 2 prodotti. Nel prossimo futuro la
domanda mondiale è prevista in crescita, trainata soprattutto dai mercati emergenti (Cina, India, Indonesia,
Thailandia, Brasile e Russia), bisognosi di un processo di meccanizzazione crescente.
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Il caso. Il valore d'acquisto è sei volte l'Ebitda
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Il Sole 24 Ore - Moda24
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Il «back to Italy» stenta a decollare
Ricerca a campione tra le Pmi : rispetto a tre anni fa il numero di capi prodotti in Italia è lo stesso
Giulia Crivelli
a L'idea è buona e potrebbe essere un volano per l'economia del Paese, su questo sono tutti d'accordo. Ma
per ora nel tessile-moda si tratta, come dicono gli inglesi, di wishful thinking: parliamo del reshoring, la
tendenza a riportare in Italia produzioni delocalizzate all'estero, tema scelto dall'annuale convegno
Pambianco. I dati parlano chiaro: il 27% del campione di Pmi analizzato dalla società di consulenza (45
aziende con un fatturato medio di 102 milioni) dichiara di produrre tutto in Italia, il restante 73% dice di avere
un mix Italia-estero. Un risultato che conferma, nella sostanza, l'analisi fatta da Moda24 su dati Hermes Lab e
pubblicata venerdì scorso, da cui si evinceva che quattro capi su dieci sono prodotti all'estero. Quasi
impercettibile il cambiamento rispetto a tre anni fa: le aziende del campione Pambianco hanno dichiarato che
la percentuale di capi prodotti in Italia è passata dal 52% al 53%. Troppo poco per parlare di un'inversione di
tendenza rispetto alla delocalizzazione attuata negli scorsi anni.
made in italy come leva finanziaria
Francesca di Pasquantonio, head of global research di Deutsche Bank, ha parlato della correlazione tra
strategie produttive e andamento del mercato, concludendo che il "made in" concorre al posizionamento del
brand e alle valutazioni degli analisti, ma non è decisivo. «È interessante però notare come, ancor più del
mercato, siano stati i grandi gruppi stranieri che hanno fatto acquisizioni in Italia a considerare il "made in
Italy" un valore aggiunto - ha sottolineato Di Pasquantonio -. Le società acquisite hanno mantenuto o
addirittura rafforzato le strutture produttive anche dopo il passaggio di proprietà, perché proprio queste
strutture sono il grande vantaggio competitivo, insieme al marchio». Franco Valeri, country officer per l'Italia di
Deutsche Bank, ha ricordato che «il reshoring è comunque in atto nel manifatturiero italiano, con 90 aziende
che negli ultimi 6 anni lo hanno fatto, e che è «auspicabile» che la tendenza di rafforzi anche nel tessilemoda.
Uno scenario confermato da David Pambianco, che ha ricordato gli investimenti di Lvmh e Kering in Italia,
riassunti dalle parole di Sydney Toledano, ceo di Dior (gruppo Lvmh), che pochi mesi fa aveva detto: «Il vero
lusso si fa solo in Italia». «Nell'alto di gamma il made in Italy è strategico e giustificato dai tassi di crescita - ha
spiegato Pambianco -. Secondo l'analisi di Bloomberg negli ultimi cinque anni il fatturato del lusso è cresciuto
del 30%, passando da 173 miliardi di euro del 2009 a 226 del 2014. Le previsioni per i prossimi quattro anni
sono di un ulteriore balzo del 17%, per arrivare, nel 2018, a 265 miliardi». Morale: per le aziende del lusso
investire nel made in Italy è una necessità, oltre che una virtù. Il problema sono le piccole e medie aziende,
che spesso delocalizzano per sopravvivere, specie se operano nella fascia media.
le criticità della filiera
Partendo dalla constatazione che «l'Italia è l'unico Paese al mondo ad avere ancora una filiera completa del
tessile-moda-abbigliamento», come ha ricordato Claudio Marenzi, presidente di Smi e amministratore
delegato di Herno, Erika Andreetta di PwC ha parlato delle criticità di questa ricca filiera, «composta da oltre
50mila imprese, la maggior parte delle quali di piccole o medie dimensioni». Secondo la partner di PwC «la
filiera andrebbe intesa come un'unica impresa da rilanciare e occorre un piano strategico fatto di politiche
industriali con un respiro di lungo periodo».
il parere degli imprenditori
Sandro Veronesi, presidente di Calzedonia, ha invitato ad affrontare il tema della delocalizzazione con
«maggiore serietà», senza «demonizzare le aziende che producono all'estero». Il gruppo veneto è oggi uno
dei protagonisti mondiali del settore della calzetteria-intimo-costumi da bagno, con un fatturato 2013 di oltre
1,6 miliardi, in crescita a due cifre anche per il 2014. Molti stabilimenti si trovano all'estero, ma l'Italia resta
centrale: «Diamo lavoro a 3mila persone, soprattutto nel retail, e per certi prodotti, come la maglieria del
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convegno pambianco
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nostro marchio Falconeri, produciamo in Italia. Quando andiamo all'estero, gli standard sono gli stessi e
spesso creiamo filiere locali che migliorano la vita di tante persone - ha detto Veronesi -. Per riportare la
produzione in Italia servirebbero incentivi fiscali e un taglio del costo del lavoro, certo. Ma pure un
cambiamento culturale: non sento mai dire chiaramente una verità innegabile, che sono le aziende il motore
della crescita. In Italia si tende invece a demonizzare gli imprenditori e, in genere, la ricchezza».
le ricette per tornare a crescere
Adriano Aere di Imperial, azienda emiliana del fast fashion (154 milioni i ricavi 2013, previsti in forte crescita
anche per il 2014), ha spiegato che «produrre in Italia si può», ma che è altrettanto legittimo andare all'estero.
«Ogni azienda ha il suo modello di business - ha detto Eraldo Poletto, ceo di Furla (228 milioni di ricavi e un
export del 78%) -. I nostri fornitori di materie prime per borse e accessori sono italiani, ma parte della
produzione è delocalizzata. In Italia abbiamo una cultura del prodotto che nessun altro ha, ma dobbiamo fare
passi avanti per quanto riguarda marketing, logistica, retail». Licia Mattioli, presidente di Federorafi e e
imprenditrice del settore, si è detta fiduciosa nella possibilità di «ricostruire» minidistretti specializzati, forte
dell'esperienza fatta prima con Marchisio (ceduta al gruppo Richemont nel 2013) e poi con la start up Mattioli.
«In due anni siamo arrivati a 25 milioni di ricavi e diamo lavoro a cento persone: ripartire dall'Italia si può,
aggiungendo know how industriale a quello artigianale». Antonio De Matteis, ceo di Kiton (104 milioni di
fatturato e una quota di export dell'84%), è tornato sulle difficoltà culturali che un'azienda ha, specie se opera
nel settore del lusso, come Kiton, specializzata in abbigliamento maschile. «Chi fa acquisti di lusso in Italia, si
tratti di abiti da migliaia di euro o di barche, deve combattere contro un pregiudizio ancora molto diffuso - ha
detto De Matteis -. Questo fa male alle aziende e al Paese in generale».
il ruolo della finanza
Sulla stessa linea di De Matteis e Veronesi si è espresso Diego Della Valle, che ha inoltre invitato a non
demonizzare gli imprenditore che vendono a gruppi stranieri, partendo dal caso Loro Piana (oggi di proprietà
di Lvmh). «I francesi si sono dimostrati, nei fatti, i più grandi sostenitori del made in Italy - ha detto il
presidente e ceo del gruppo Tod's -. Aziende come Fendi, Pucci o Bulgari non hanno perso un grammo di
italianità da quando sono entrate in Lvmh. Anzi, in tutti i casi le strutture produttive sono state rafforzate e
l'occupazione è cresciuta». Della Valle ha riconosciuto l'importanza della finanza, ma ha sottolineato che
«non bisogna essere schiavi delle reazioni della Borsa e avere sempre un orizzonte di lungo termine».
Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa Italiana, ha ricordato il successo del progetto Elite, lanciato proprio per aprirsi
alle Pmi, e Marco Palmieri di Piquadro ha raccontato che l'attuale espansione all'estero dell'azienda non
sarebbe stata possibile senza la quotazione.
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anticipazione
La cover di Moda24 di venerdì 7 novembre con l'elaborazione relativa alla produzione di abbigliamento,
maglieria e calzetteria attualmente delocalizzata in Paesi a minor costo della manodopera. Ma il reshoring,
cioè il rientro in Italia delle produzioni, è ancora agli albori nell'industria della moda
27%
AZIENDE CHE FANNO TUTTO IN ITALIA
Il restante 73% del campione Pambianco ha un mix produttivo Italia-estero. Diego Della Valle: Tod's e Roger
Vivier sono made in Italy al 100%, mentre per il marchio Hogan la percentuale scende al 60% perché il brand
ha un diverso posizionamento
90
AZIENDE «RIENTRATE»
Il numero citato da Flavio Valeri, country manager per l'Italia di Deutsche Bank, è riferito agli ultimi sei anni e
riguarda l'intero settore manifatturiero. Il manager ha auspicato che «la tendenza si estenda anche alle Pmi
della filiera della moda-tessile-abbigliamento»
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+30%
CRESCITA DEL MERCATO DEL LUSSO
Le aziende che operano nell'alto di gamma producono quasi tutto in Italia, anche se sono francesi, perché
considerano il «made in Italy» un valore aggiunto. Il colosso Lvmh, ad esempio, ha potenziato tutte le sue
strutture produttive italiane
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MF - Ed. nazionale
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Aqr, il credito svalutato dieci volte più dei derivati
Francesco Ninfole
Per le sole banche italiane aggiustamenti per 12 miliardi, ecco perché hanno pagato un conto salato (Ninfole
a pag. 7) L'asset quality review (Aqr) è stata dieci volte più pesante sul credito che su titoli illiquidi e derivati.
Lo dicono i dati pubblicati ieri dalla Banca d'Italia nel rapporto sulla stabilità finanziaria. Gli aggiustamenti di
valore per le banche dell'Eurozona a seguito dell'Aqr sono stati pari a 43 miliardi (51 punti base di capitale)
sui portafogli creditizi, mentre quelli legati a titoli illiquidi e derivati sono stati pari a 4,6 miliardi (5 punti base).
Le maggiori svalutazioni sono motivate soltanto in parte dal maggior peso del credito nei bilanci: i prestiti
verso clienti sono pari al 43% del totale attivo delle grandi banche europee, contro il 17% dei derivati (dati
R&S Mediobanca). In proporzione l'esame ha colpito di più l'attività creditizia che l'investimento in titoli
rischiosi, avvantaggiando le banche orientate alla finanza speculativa (un meccanismo già presente nella
regolamentazione finanziaria con le ponderazioni di Basilea). Si tratta peraltro di una linea in contraddizione
con la volontà della Bce di fornire alle banche tutta la liquidità necessaria per fare prestiti attraverso i
rifinanziamenti a lungo termine (Ltro e Tltro). Per le banche italiane l'impatto dell'Aqr sui portafogli di credito è
stato doppio rispetto alla media europea: gli aggiustamenti di valore sono stati di 100 punti base (contro 51).
Dei 43 miliardi di correzioni complessive, 11,8 miliardi sono state fatte per i gruppi italiani (27%). Sulla
differenza hanno influito i divari di crescita tra le economie: «Gli aggiustamenti di valore sono risultati
mediamente più elevati tra le banche dei Paesi che hanno registrato andamenti congiunturali peggiori
dall'avvio della crisi economica», ha osservato il rapporto. Una parte degli aggiustamenti di valore deriva dal
passaggio di prestiti in bonis alla categoria dei deteriorati. Sia in Italia che nell'Eurozona le riclassificazioni
hanno pesato per circa 200 punti base: per gli istituti europei ha pesato per 80 punti la nuova definizione di
crediti deteriorati, un fattore vicino allo zero per le banche italiane, che già utilizzavano criteri più stringenti e
quasi identici a quelli usati dalla Bce. Per i gruppi italiani ha invece pesato di più l'analisi dei singoli prestiti,
anche per effetto di indicatori di bilancio delle imprese più severi di quelli contabili: «L'applicazione di questi
criteri ha influenzato soprattutto la valutazione delle esposizioni verso le piccole e medie imprese italiane, i
cui bilanci mostrano in media bassa redditività e indebitamento elevato», ha rilevato il rapporto. Nonostante
questi fattori tutte le banche italiane hanno superato l'asset quality review con un eccesso di capitale di 28,5
miliardi (si veda anche MF-Milano Finanza del 29 ottobre), mentre Mps e Carige hanno fallito lo stress test. «I
dati confermano la complessiva tenuta del sistema bancario italiano, nonostante le forti tensioni a cui è stato
sottoposto negli ultimi anni: la crisi finanziaria mondiale, le tensioni sui debiti sovrani, la prolungata fase
recessiva dell'economia italiana», ha ribadito ieri Banca d'Italia. Via Nazionale ha ricordato che nello stress
test la caduta cumulata del pil ipotizzata tra il 2007 è stata pari in Italia a quasi il 12%, mentre in Germania e
Francia questo valore è stato attorno al 2%. Il rapporto ha inoltre sottolineato che in Italia gli indici di capitale
a fine 2013 erano inferiori alla media dell'1%, ma questo era dovuto alle ingenti ricapitalizzazioni pubbliche in
altri Paesi (250 miliardi in Germania, 60 in Spagna, 50 in Irlanda e Paesi Bassi, 40 in Grecia). Inoltre una
buona parte del rafforzamento patrimoniale delle banche italiane è avvenuto nel 2014. Infine Bankitalia ha
segnalato che la graduale rimozione del filtro prudenziale sui Btp disponibili per la vendita (Afs), i cui tassi
sono stati ipotizzati al 6%, ha determinato un impatto negativo sul capitale delle banche italiane per quasi 4
miliardi (di cui 1 per Mps). Lo scenario per il credito resta difficile, nonostante l'esame Bce sia ora alle spalle.
Le proiezioni di Bankitalia dicono che i prestiti alle imprese «continuerebbero a diminuire anche nel 2015,
seppure con un'intensità progressivamente decrescente», mentre «la contrazione dei mutui alle famiglie
dovrebbe invece interrompersi già nel primo trimestre del prossimo anno». (riproduzione riservata)
GLI AGGIUSTAMENTI DI VALORE DELL'ASSET QUALITY REVIEW
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BEN 43 MILIARDI DI CORREZIONI SUGLI AFFIDAMENTI CONTRO I SOLI 4,6 MILIARDI DI WRITE-OFF
SUI TITOLI ILLIQUIDI
14/11/2014
MF - Ed. nazionale
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Aggiustamenti di valore calcolati mediante: esame ispettivo di posizioni individuali proiezione alle posizioni
non esaminate challenger model Totale aggiustamenti calcolati con metodi statistici Totale aggiustamenti sui
portafogli creditizi Aggiustamenti dovuti esame attivi di livello 3 e Cva* Impatto lordo sul capitale Effetto
fiscale e fattori di mitigazione del rischio Impatto netto sul capitale -19 -12 -19 -31 -51 -5 -56 16 -41 -16,4 10,3 -16,2 -26,5 -43,0 -4,6 -47,5 13,7 -33,8 -37 -33 -30 -63 100 -2 102 33 -69 -4,4 -3,8 -3,6 -7,4 -11,8 -0,2 12,0 3,8 -8,2 Fonte: Banca d'Italia e Bce, risultati del comprehensive assessment * Le cifre in punti base sono
calcolate rapportando le corrispondenti cifre in miliardi agli attivi ponderati per il rischio rilevati alla fine del
2013. I credit valuation adjustment (CVA) sono aggiustamenti al valore di bilancio dei derivati per tener conto
della probabilità di inadempimento delle controparti punti base (Rwa) miliardi di euro punti base (Rwa) miliardi
di euro Banche Eurozona Banche italiane
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bankitalia
14/11/2014
MF - Ed. nazionale - fashion
Pag. 6
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Le pmi strizzano l'occhio al fenomeno del back to Italy
Sempre più aziende stanno iniziando ad attuare un piano di rientro della produzione. Per Diego Della Valle,
numero uno del gruppo Tod's: «Servirebbe uno sconto fiscale a chi realizza il 100% del prodotto in Italia».
Milena Bello
Riportare le produzioni in Italia per innalzare l'asticella della qualità a favore di un lusso ancora più coerente
dal punto di vista dell'eccellenza manifatturiera. Per i grandi poli della moda, da Kering a Lvmh, è già realtà.
Sono loro i testimonial ufficiosi di questa tendenza che però, pur lentamente, si sta estendendo a macchia di
leopardo tra le aziende italiane di media grandezza. Secondo un'indagine condotta da Pambianco strategie di
impresa tra 45 aziende dal fatturato medio di 100 milioni di euro (che rappresentano un giro d'affari
complessivo di 4,5 miliardi di euro) e presentato ieri in apertura del convegno Back to Italy promosso da
Pambianco in partnership con Deutsche Bank, i marchi che rientrano in questa categoria realizzano un terzo
dei loro prodotti in Italia e due terzi all'estero. «In termini di trend», ha aggiunto David Pambianco,
vicepresidente della società organizzatrice dell'incontro, «negli ultimi tre anni queste aziende hanno
aumentato la quota di produzione italiana, ma solo leggermente, passando dal 52 al 53%. E per il prossimo
triennio le imprese di fascia alta che producono già l'83% nel Belpaese hanno dichiarato che manterranno
stabile la loro quota nel 76% dei casi e solo una minoranza, il 24%, ha anticipato che la aumenterà. Per le
aziende di fascia media resterà stabile nel 39% dei casi, crescerà nel 35% e calerà nel 26%». Di certo,
sbandierare una produzione italiana è però non solo un motivo di vanto per le aziende ma anche una maggior
sicurezza di ritorno economico. Lo sostiene Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda
italiana secondo il quale durante la crisi del 2008 le aziende che hanno retto meglio sono state quelle full
made in Italy. Lo confermano anche due ricerche condotte da Deutsche Bank e da PwC. E allora perché le
imprese del segmento medio sono in ritardo su questo trend? Il motivo è principalmente legato ai costi di
produzione, che rimangono molto più alti rispetto ad altri paesi anche dell'area Paneuropea (oltre alla Cina le
principali aree produttive sono Romania, Turchia e Tunisia). Proprio su questo fronte Diego Della Valle,
patron del gruppo Tod's, ha lanciato la sua proposta: «uno sconto fiscale a tutti quelli che producono il 100%
made in Italy. Questo, insieme alla formazione delle giovani leve manifatturiere e a investitori impegnati a
restare nel capitale delle imprese almeno tre anni, stimolerebbe sicuramente il back reshoring». (riproduzione
riservata)
Foto: Il presidente di Tod's Diego Della Valle
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 14/11/2014
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Convegni /MF fashion
14/11/2014
La Repubblica - Album - 14 novembre 2014 - terra di
sicilia
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Caleca e Cartabellotta "L'Expo 2015 occasione irripetibile per l'Isola"
La sfida è fare del comparto agricolo uno degli elementi fondamentali di una nuova Sicilia la cui economia sia
basata sulle risorse ambientali. Per questo i punti chiave della nostra attività sono l'attenzione al passaggio
generazionale nelle imprese e l'aiuto ai giovani che tornano all'agricoltura, la banda larga internet in tutte le
zone rurali, massima attenzione alle produzioni biologiche. Il tutto con un imperativo di fondo, quello della
legalità». Sono le linee guida che elenca a pochi giorni dal suo insediamento il nuovo assessore regionale
all'Agricoltura Nino Caleca che di fronte a sé ha già una scadenza imminente da non sprecare: «La Sicilia conferma Calceca - è stata chiamata a coordinare gli 11 Paesi del cluster biomediterraneo di Expo 2015. Un
grande riconoscimento e soprattutto un'occasione irripetibile per mettere in vetrina proprio questo nuovo
disegno di Sicilia cui accennavo prima: una regione green attenta al biologico, alle imprese giovanili, al
turismo integrato e dove anche l'Eni ha deciso per un futuro "verde" a Gela». Responsabile del cluster è
Dario Cartabellotta, dirigente del dipartimento regionale Pesca mediterranea ed anche ex assessore:
«Gestiremo un area comune di circa 5 mila metri quadrati con due aree di ristorazione e un wine bar accanto
all'arena che ospita gli spettacoli e a due passi da palazzo Italia. Una posizione strategica per l'Expo che
prevede 20 milioni di visitatori, due milioni solo al cluster alla media 10 mila persone al giorno». Caleca e
Cartabellotta ricordano le dimensioni economiche del comparto: «L'agricoltura siciliana ha un giro d'affari di 4
miliardi di euro l'anno, più 500 milioni di euro della pesca. L'export verso l'estero è di 800 milioni l'anno e da
qualche tempo a conquistare nuovi mercati non sono solo le grandi aziende ma decine di piccole e medie
imprese agricole». I margini di sviluppo sono molto ampi: «L'esperienza della Toscana - sottolinea
Cartabellotta - è esemplare. Attraverso l'export dei vini ha conquistato grandi flussi turistici da Brasile, Stati
Uniti, Russia e Cina». Per questo la Regione ha stretto un accordo con il colosso milanese Uvet Viaggi e
Turismo per convogliare i visitatori da Expo alla Sicilia. «Una sfida che amo dire nasce da via Notarbartolo,
dall'albero Falcone - conclude Caleca - nell'operazione Expo ma in tutta la politica per l'agricoltura i valori
fondamentali saranno legalità, prodotti di qualità certificata, una vera "blindatura" etico-legale del settore».
g.a.
Foto: Nino Caleca. A destra, Dario Cartabellotta
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"La Regione punta su green e giovani"