TO R I NO | AUDITORIUM RAI | CONCERTI 4° giovedì 6 novembre 2014 ore 21.00 venerdì 7 novembre 2014 ore 20.30 Corrado Rovaris | Direttore Silvia Chiesa | Violoncello Respighi Pizzetti Grieg Nielsen 4° giovedì 6 novembre 2014 ore 21.00 venerdì 7 novembre 2014 ore 20.30 Corrado Rovaris | Direttore Silvia Chiesa | Violoncello Ottorino Respighi (1879 - 1936) La boutique fantasque, suite dal balletto su musiche di Gioachino Rossini (1919) (adattamento di Malcolm Sargent) Ouverture - Tarantella e Tempo di mazurka - Danza cosacca Can can - Valzer lento – Notturno - Galop Durata: 19’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 30 aprile 1992, Reynald Giovaninetti. Ildebrando Pizzetti (1880 - 1968) Concerto in do per violoncello e orchestra (1934) Concitato Largo Allegro energico Durata: 39’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 18 maggio 1962, Carlo Maria Giulini, Enrico Mainardi. Redazione a cura di Irene Sala Edvard Grieg (1843 - 1907) Peer Gynt. Suite n. 1 op. 46 dalle musiche di scena per il dramma di Ibsen (1875/88) Mattino Morte di Åse Danza di Anitra Nel palazzo del Re della Montagna Durata: 17’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 24 novembre 2000, Kristjan Järvi (integrale delle musiche di scena). Carl Nielsen (1865 - 1931) Sinfonia n. 4 op. 29 L’inestinguibile (1914/16) Allegro [attacca] Poco allegretto [attacca] Poco adagio quasi andante [attacca] Allegro Claudio Romano e Maurizio Bianchini | Timpani Durata: 36’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 21 novembre 2008, Dima Slobodeniouk. Il concerto di giovedì 6 novembre è trasmesso in collegamento diretto su Radio3 per per il programma “Radio3 Suite”. Ottorino Respighi La boutique fantasque, suite dal balletto su musiche di Gioachino Rossini Fra i non pochi meriti acquisiti nei confronti della musica da Sergej Djagilev (18721929), il geniale impresario dei Ballets Russes, particolarmente significativo risulta, vista la ricorrenza bicentenaria [chi scrive si riferisce al 1992, ndr], l’impulso dato alla Rossini-renaissance commissionando a Respighi il delizioso balletto La boutique fantasque architettato su brani pianistici del Pesarese. Dopo la abbagliante fiammata franco-russa (da L’oiseau de feu a Daphnis et Chloé), Djagilev, sempre alla ricerca di nuove idee, si volse alla musica italiana del passato commissionando dapprima a Vincenzo Tommasini un’elaborazione orchestrale di sonate cembalistiche scarlattiane per il goldoniano soggetto Le donne di buon umore (1915), interessando Stravinskij a Pergolesi per realizzare lo sfavillante Pulcinella ed utilizzando il talento di strumentatore del quarantenne Respighi, fresco del successo internazionale di Fontane di Roma per un lavoro sui “péchés de vieillesse” pianistici rossiniani. Erano quelli in cui la fortuna di Rossini toccava il minimo storico, ridotta ad esecuzioni del Barbiere zeppe di alterazioni del testo musicale ed avvilite da pesanti lazzi scenici. Del tutto ignoto, a maggior ragione, era il Rossini non teatrale, quello specialmente dei singolari pezzi pianistici che formano il settore più nutrito dei numerosi lavori creati dall’apparentemente ozioso Gioachino negli ultimi dieci anni di vita e perciò da lui ironicamente definiti “péchés de vieillesse”. Pur se apparsi in una pionieristica scelta pubblicata a Parigi fra il 1880 e l’85 (35 brani fra cui la serie completa dei Quelques riens pour album) queste postume faville del maglio rossiniano non destarono particolare interesse perché troppo eccentriche rispetto a quello che allora veniva considerato l’autentico linguaggio del compositore (la stessa perplessa accoglienza era toccata, a suo tempo, alla profetica Petite Messe Solennelle) e rimasero confinate nell’ambito delle curiosità erudite. L’operazione Djagilev-Respighi, coronata sin dal debutto (Londra, 5 giugno 1919) da vivissimo successo riuscì a mettere in circolazione un primo gruppo di pagine che la scaltra orchestrazione del maestro bolognese vestì di colori sgargianti, ben diversi dalla lucida sobrietà dell’originale; sul tenue canovaccio coreografato da Leonide Massine (una parata di giocattoli che nottetempo si animano per magia in una bottega dall’atmosfera un po’ bizzarra) Respighi ha accortamente disposto i vari momenti espressivi scegliendo tra il materiale disponibile vari ”riens” (tra cui la spassosa Danse sibérienne qui ribattezzata come cosaque), alcuni “péchés de vieillesse” ora affettuosi (Une caresse à ma femme) ora grotteschi (Petit caprice style Offenbach) e, unico brano universalmente noto, la vorticosa tarantella intitolata La danza che chiude il primo fascicolo delle Soirées musicales (1835), pagina di straripante genialità ma alquanto lontana nel tempo e nello spirito dal resto delle composizioni utilizzate. Il risultato d’insieme (non occorre sottolinearlo) è gradevolissimo ed anche Respighi dovette prenderci gusto tanto è vero che ritornò sull’argomento, ma con minore fortuna, allestendo nel 1925 una ulteriore Rossiniana. Roberto Cognazzo (dagli archivi Rai, 1992) Ildebrando Pizzetti Concerto in do per violoncello e orchestra Edvard Grieg Peer Gynt. Suite n. 1 op. 46 dalle musiche di scena per il dramma di Ibsen La fama di Ildebrando Pizzetti è universalmente legata soprattutto all’attività vasta, molteplice e personalissima da lui svolta nel campo della musica teatrale, campo verso cui, infatti, si orientano di preferenza, a giudicare dagli aspetti principali che offre il corso della sua lunga ed operosa carriera, gli ideali e la vocazione del compositore, il che riflette da una parte le inclinazioni eminentemente drammatiche del suo temperamento d’artista, dall’altra parte la fondamentale qualità vocalistica della specifica natura musicale di lui. La tendenza al canto, alla vocalità è infatti tipica in Pizzetti ed è una tendenza che, fuori delle forme simmetriche e strofiche di tradizione ottocentesca, suole manifestarsi nella libertà fluttuante e vagante della sillabazione e della melopea, rinnovando i modi antichi ed originali della melica, in senso meridionale e mediterraneo. Tali caratteristiche si estendono alle non poche e spesso assai importanti composizioni extrateatrali di Pizzetti. Perfino nel titolo, osserviamo, certi suoi lavori puramente strumentali accennano più o meno esplicitamente al loro carattere virtualmente vocalistico. Come, ad esempio, l’Aria per violino e pianoforte, oppure i Tre canti per violoncello e pianoforte e i Canti di ricordanza per pianoforte e ancora i Canti della stagione alta per pianoforte e orchestra. Ampiamente canoro, nei tipici aspetti pizzettiani, è, assai rimarchevole, anche questo Concerto in do per violoncello e orchestra, compiuto nel 1934 e lo stesso anno diretto in prima esecuzione al Festival di Venezia dall’autore che ne affidò la parte solistica ad Enrico Mainardi. L’opera comprende tre tempi concepiti e costruiti con grande varietà ed estro di forme e di atteggiamenti. Essi s’intitolano nella successione: Concitato, Largo, Allegro energico. Commentando il primo tempo, Guido M. Gatti osserva come nella gagliarda impostazione tematica e nel giuoco dei rapporti fra lo strumento solista e l’orchestra «tutto sia terna, sostanza, verbo». «Il violoncello tende al registro acuto, con una liberissima declamazione melodica in cui si ravvisano i caratteristici intervalli melodici pizzettiani, laddove l’orchestra impone la sua quadrata struttura, sin dall’inizio con il tema di tutti gli archi all’unisono». E il secondo tempo si sviluppa «in un’atmosfera di dolcezza, tutto pieno di sussurri, di echi, di suggerimenti: ombre di sogni svaniti (come nel vaghissimo episodio in tempo di marcia, con il richiamo dei corni e il rullo dei tamburi), sino a sfociare nell’ampia melodia del violoncello, una delle più ariose ispirazioni del compositore». Ricco di slancio e di prorompente vitalità è, infine, l’ultimo tempo, avviato da certi capricciosi pizzicati degli archi e poi ben presto dominato da brillanti fantasie del violoncello, che si inseriscono nel luminoso corso sinfonico. [...] In una lettera da Dresda del 23 gennaio 1874 Ibsen chiese a Edvard Grieg, che aveva conosciuto personalmente a Roma nel 1866 e che a quell’epoca era il maggior compositore norvegese, di collaborare scrivendo le musiche di scena. A Ibsen sembrava infatti che la musica fosse un elemento essenziale e imprescindibile per una rappresentazione teatrale del Peer Gynt: non solo ne dava motivazioni estetiche, ma forniva anche suggerimenti precisi circa la sua funzione nel testo rielaborato per la scena. Non dubitava che altri importanti teatri avrebbero accolto con entusiasmo il progetto. Grieg, pur non essendo affatto entusiasta della proposta, accettò ugualmente, un po’ per vanità, un po’ perché lusingato dalla generosità di Ibsen, che gli aveva offerto la metà dell’intero onorario. Lavorando a intermittenza su quel dramma che riteneva «il meno musicale di tutti i soggetti», «un tema terribilmente intrattabile», giunse a terminare la partitura nell’agosto del 1875. L’opera, ridotta e potenziata soprattutto nei suoi aspetti lirico-popolari, con poche concessioni alla satira, andò in scena per la prima volta al Teatro di Christiania il 24 febbraio 1876 in un ricco allestimento, riscuotendo un notevole successo: 37 rappresentazioni fino al gennaio 1877, quando lo spettacolo fu bloccato a causa di un incendio. Grieg per parte sua non fu completamente soddisfatto del proprio lavoro, soprattutto per quanto riguardava l’orchestrazione, che vide sia in occasione di un nuovo allestimento a Copenaghen nel 1886 sia quando l’opera fu nuovamente rappresentata a Christiania nel 1892: revisioni della partitura dalle quali nacquero le due suites per orchestra op. 46 e op. 55 del Peer Gynt, pubblicate rispettivamente nel 1888 e nel 1893 e destinate ad avere vita autonoma nel repertorio concertistico, fino a staccarsi quasi completamente dalla destinazione originaria. Esse constano ognuna di quattro brani: in tutto otto pezzi ricavati dai 26 che costituivano l’intero lavoro. Oggi che il dramma di Ibsen ha a sua volta raggiunto una totale indipendenza dalla musica di Grieg, è per noi difficile giudicare fino a che punto, al di là della cornice storica, questa musica si armonizzi col dramma e lo valorizzi realmente. Se da un lato l’abitudine a provvedere di musiche di scena non solo i drammi del passato ma anche quelli contemporanei, secondo un’aurea tradizione che, per citare solo i massimi esempi, andava da Mozart a Beethoven a Mendelssohn a Schumann, faceva ancora parte del costume teatrale corrente, non bisogna dimenticare dall’altro lato che Grieg aveva scarsa esperienza di tal genere, e che forse, stante la sua fervente fede wagneriana (di lì a poco avrebbe partecipato al Massimo Bruni (dagli archivi Rai, 1962) battesimo del Ring wagneriano a Bayreuth), non vi era neppur troppo portato. Maestro nel pezzo lirico per pianoforte, sensibile al rapporto tra poesia e musica nel Lied, che apparteneva al suo bagaglio tecnico ed espressivo di musicista nazionale ma educato in Germania, non ebbe mai il coraggio di tentare l’avventura del teatro, consapevole com’era non tanto dei suoi limiti quanto della sua natura intimamente antidrammatica. Dall’altra parte, Ibsen. Il quale, e la cosa non può mancare di suscitare meraviglia, proprio giudicando indispensabile il supporto di vaste musiche di scena sembrava non aver colto la portata rivoluzionaria del suo dramma, la sua assoluta modernità in quanto teatro dell’anima, refrattario proprio a un connubio così convenzionale. La lettera con la prima proposta a Grieg appare un caso raro di inconsapevolezza dell’artista nei confronti delle potenzialità della propria opera: ma ancor più singolare, a non volerla ritenere semplicemente uno stratagemma per ottenere consenso, suona quest’altra affermazione dell’autore stesso: che la musica dovesse «addolcire la pillola, così che il pubblico potesse inghiottirla». [...] Che si tratti di musica molto nobile oltre che a modo suo fortemente impegnata non è tuttavia da porre in dubbio. Grieg vi espande la sua genuina vena melodica fiorita di brevi illuminazioni appena increspate dall’ombra di un’armonia raffinata e funzionale, sempre tendente a denotare un clima: con risultati specialmente notevoli nei momenti di ripiegamento lirico, ossia quando nell’azione intervengono le figure femminili di Åse e Solvejg, o nei passi più introspettivi di Peer, o ancora nelle evocazioni di paesaggi naturali, accarezzati con finezza strumentale sottile. Ma anche gli episodi più sinfonici, nei quali Grieg mette in mostra una coraggiosa appropriazione della tecnica motivica wagneriana, sono costruiti con saldo senso formale e timbrico, e toccano nella rappresentazione del diabolico e del demoniaco vertici per lui inconsueti di ebbrezza sonora. Leggerezza e garbo connotano le scene di danza del quarto atto, nelle quali Grieg fa uso di un orientalismo esotico insieme estroso e pungente, con misurata ironia. Va da sé che il compositore si trova del tutto a suo agio nel mondo della musica contadina e popolare, che viene reinventato con perfetta adesione allo spirito nazionale più autentico sia nella melodia che nel ritmo: la scena delle nozze nel primo atto, che sembrerebbe una magnifica ghirlanda di citazioni ed è invece sostanziata di composizioni tutte originali, ne è l’esempio probante. [...] Le vicende di Peer Gynt Peer scende una collina, inseguito e rimproverato da Åse, che l’accusa di vivere “contando frottole”. A un certo punto il giovane posa la madre scalciante sul tetto d’un mulino e corre a una festa di nozze. Per via viene schernito come fanfarone. Alla festa incontra Solvejg, fanciulla “dagli occhi bassi e dalle trecce d’oro”. Intanto la sposa Ingrid non gradisce lo sposo e s’è rifugiata in granaio. Peer approfitta della confusione e la rapisce (I atto). Ingrid, sedotta da Peer, viene da lui scacciata perché affascinato da Solvejg, mentre Åse teme la vendetta dei parenti di Ingrid. Fuggendo in montagna, Peer incontra tre mandriane che lo seducono. Va con loro. Più tardi, stordito e sempre più fantasticante, trova una “donna in verde” alla quale racconta subito d’esser figlio d’un re. Ella gli risponde che è figlia del re di Dovre, detto il Vecchio, il quale lo accoglie nell’assemblea degli gnomi, in una caverna, e gli ingiunge, se vuol diventar gnomo, di non occuparsi di quanto accade fuori da quelle montagne e di far suo il motto “accontentati d’esser come sei”; e per prima cosa gli fa calare i calzoni. Peer alla fine fugge. La notte, all’aperto, ode la voce dell’invisibile, inafferrabile Gran Curvo che consiglia: «Fa’ il giro», perché non bisogna battersi ma vincere senza lotta. Anche a lui Peer sfugge, ritrova Solvejg e le chiede di non dimenticarlo (II atto). In un bosco vede un giovane che si mutila per non andar soldato. Quindi arriva a una capanna dove ritrova Solvejg, che aveva chiamato. Ma l’idillio è impedito dalla figlia del Vecchio di Dovre, che gli porta il bambino avuto da lui. Peer la scaccia e chiede ancora a Solvejg d’aspettarlo. Va da sua madre in fin di vita, e le racconta favole. Cullata da quella voce, Åse gli muore fra le braccia, credendo d’andare in slitta in Paradiso (III atto). Anni dopo Peer, cinquantenne ricchissimo, ospita sulla costa africana tre viaggiatori europei, dice di aver fatto l’armatore, il negriero, il finanziatore di missioni, e di voler diventare imperatore del mondo. I tre lo derubano del suo panfilo e delle sue ricchezze e l’abbandonano. In seguito Peer dovrà anche farsi difendere dalle scimmie; e trova abiti e cavallo dell’imperatore, di cui s’impadronisce; e finisce per essere trattato da profeta. Incontra Anitra e la seduce, ma poi la ragazza lo lascia solo nel deserto. In Egitto, Peer ritrova uno dei tre viaggiatori che lo conduce nel manicomio del Cairo, dove Peer viene acclamato imperatore “dell’Io” cioè del nulla (IV atto). Tornando in Norvegia, la sua nave naufraga ma Peer si salva. Sbarcato, assiste al funerale del giovane autolesionista, che si dimostrò un buon padre di famiglia, e a un’asta dove si disperdono i sogni e i progetti della sua vita inconcludente. Il Fonditore di bottoni vuole rifonderlo nella massa, perché Peer non è riuscito né come peccatore né come uomo onesto. Peer ottiene dei rinvii, e cerca appoggio dal Vecchio di Dovre che lo tratta da “vero gnomo”, cioè da opportunista perfetto; mentre un altro gli dice che come peccatore è ridicolo. Infine Peer ritrova Solvejg, invecchiata aspettandolo, che lo accoglie con dolcezza. Senza rendersene conto, egli ha passato una vita: ma solo nel cuore di lei (V atto). Sergio Sablich (dagli archivi Rai, 2000) Carl Nielsen Sinfonia n. 4 op. 29 L’inestinguibile Scusi, lei si sente un compositore moderno? Una volta Béla Bartók chiese a Carl Nielsen se si sentisse un compositore moderno. Domanda apparentemente inoffensiva, venuta da un musicista che sapeva coniugare come nessun altro la tradizione all’avanguardia. Ma la risposta di Nielsen si impastò in un imbarazzato balbettio, proprio come se la parola ‘moderno’ irritasse la sua sensibilità. Del resto, lui veniva dalla Danimarca: i più illustri musicisti che poteva vantare la storia del suo paese, dopo Buxtehude, erano Friedrich Kuhlau e Niels Wilhelm Gade. Non c’era alcun bisogno di guardare alle avanguardie per sentirsi moderno. In un mondo in cui i teatri erano all’italiana, i balletti alla francese e le forme strumentali improntate alla tradizione viennese, un musicista nato dalle parti di Copenaghen non si sentiva certo schiacciato dal suo passato. Naturalmente Nielsen aveva viaggiato molto: dopo aver ottenuto una borsa di studio statale nel 1890, ebbe l’opportunità di conoscere Parigi, Vienna, Roma. Poi, però, ritornò nella sua amata Danimarca, dove per diventare il maggior compositore del suo tempo non aveva nessun bisogno di fare scelte rivoluzionarie. Il senso delle proporzioni di Brahms, la vena melodica di Grieg, la magniloquenza di Wagner: erano queste le luci proiettate sull’arte sinfonica di Nielsen. Poco più in là stava nascendo il Novecento: Debussy, Joyce e Picasso facevano presagire un secolo denso di conflitti con la tradizione; ma Nielsen doveva difendere un’identità culturale che rischiava di essere spazzata da un germanismo trito e ritrito. E l’unica soluzione era guardare ai propri simili, alla cultura nordica di Grieg, Svendsen e Gade, cercando di creare quel passato musicale che i paesi scandinavi non avevano mai vissuto. Bartók non lo poteva capire, ma l’unica risposta che poteva aspettarsi da quel «scusi, lei si sente un compositore moderno?» era un confuso balbettio; proprio perchè per Nielsen sentirsi moderno non era affatto una priorità. “L’inestinguibile” Il sottotitolo della Sinfonia n. 4 di Carl Nielsen racchiude un messaggio ambizioso: «La musica è vita, e in quanto tale inestinguibile». Le parole dell’autore vanno riferite alla potenza invincibile dell’esperienza musicale, in grado di sopravvivere a qualsiasi traumatica catastrofe. Era il 1916, fuori soffiavano le tempeste della Grande Guerra. Il commento di Nielsen a quel periodo di grave crisi politicosociale sfoderava una fiducia ottimistica nei grandi valori estetici. Proprio mentre Schönberg o Bartók si appiattivano contro i muri dei loro microcosmi artistici, Nielsen, dall’alto della sua posizione periferica, sentiva la voglia di fare la voce grossa e di inneggiare alla gloria imperitura della scrittura musicale. Ecco perché l’esordio della Sinfonia n. 4 afferra l’ascoltatore con la violenza di un grido di battaglia: un sussulto che si scioglie, dopo una sinuosa trasformazione, in un rassicurante canto di vittoria dei legni. Alcuni nervosi interventi solistici cercano di realizzare un curioso effetto di dissolvenza incrociata; ma la struttura formale resta difficile da rintracciare e il discorso scorre senza tracciare una solida architettura. Tanto rumore per nulla: nel movimento successivo prende forma una musica per una corte di marionette, che scorre in punta di piedi con grazia posticcia. Proprio come se dietro quell’irreale gioco di cristalleria si nascondesse la vera natura della musica. Poi, la porta del teatrino si apre su un movimento tutto spazio: l’orchestra finalmente respira, lasciando scoperti alcuni dolenti interventi solistici. Una boccata d’aria sotto l’opaco sole del Nord, prima che la sinfonia esploda in un finale rabbioso, appiccato da un ruvido tessuto polifonico. Solo nella sezione centrale il clima si distende in un paesaggio bucolico, illuminato da un leggero tessuto contrappuntistico. Poi l’avanzata ottimistica procede in direzione di una coda che scopre i muscoli negli ‘inestinguibili’ interventi dei timpani. Timpani dal «carattere minaccioso» Nel finale della Sinfonia “L’inestinguibile”, Nielsen prevede l’utilizzo di due batterie di timpani, da collocare in aree diverse dell’orchestra. L’indicazione apposta dal compositore in partitura spiega la natura dell’ intervento percussionistico: «Di qui fino alla fine i timpani debbono - anche quando suonano piano - conservare un certo carattere minaccioso». Messaggio perfettamente esplicito: l’inestinguibile potenza espressiva della musica ha vinto su ogni sorta di catastrofe. Dietro resta solo la polvere e i timpani devono minacciare con violenza tutto ciò che ostacola la vittoria schiacciante dei valori estetici. Andrea Malvano (dagli archivi Rai) Silvia Chiesa © Ugo Dalla Porta Corrado Rovaris Corrado Rovaris è Direttore Musicale dell’Opera Philadelphia dal 2004, oltre a collaborare regolarmente con le maggiori istituzioni musicali italiane ed estere. All’inizio del 2011 è stato nominato Direttore Musicale e Direttore Principale di Artosphere, festival primaverile annuale presentato al Walton Arts Center di Arkansas, negli Stati Uniti. Dopo aver compiuto gli studi musicali al Conservatorio G. Verdi di Milano, inizia una carriera che lo porta a collaborare con diversi complessi tra cui la Filarmonica della Scala, l’OSN Rai, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, la Metropolitan Orchestra di New York, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, l’Orchestre de Chambre de Lausanne, la Danish Radio Sinfonietta di Copenhagen, l’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano, l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, l’Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano. Attivo anche in campo operistico ha diretto produzioni al Teatro alla Scala, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, alla Fenice di Venezia, al Teatro Regio di Parma, al Teatro Regio di Torino, al Teatro Comunale di Bologna, all’ Opera di Francoforte, all’Opéra de Lyon, al Théâtre Municipal de Lausanne, alla Japan Opera Foundation, al Rossini Opera Festival, al Festival Pergolesi Spontini di Jesi, al Festival della Valle d’Itria, al Festival Monteverdi di Cremona, al Garsington Opera Festival, al Sante Fe Opera Festival e al Glimmerglass Opera Festival. Corrado Rovaris incide per Sony e Unitel Classica. La violoncellista milanese Silvia Chiesa ha al suo attivo una brillante carriera solistica internazionale che l’ha portata in tutti i principali paesi europei, ma anche in Stati Uniti, Cina, Australia, Africa e Russia. I suoi cd più recenti, Rota: Cello Concertos (Sony) con l’OSN Rai di Torino e Schubert e Brahms: Cello Sonatas (Decca) in duo con il pianista Maurizio Baglini, hanno ottenuto recensioni positive dalla critica nazionale e internazionale (Sole 24 Ore, Venerdì di Repubblica, D-Repubblica, Diapason, Classic Voice, Musica, Suonare News, American Record Guide). Il suo repertorio si caratterizza per l’ampiezza e l’originalità, oltre che per la costante attenzione al repertorio contemporaneo. Non a caso a lei sono dedicati un Concerto per violoncello e orchestra di Matteo D’Amico e, insieme a Baglini, una Suite per violoncello e pianoforte di Azio Corghi. Ha eseguito in “prima” italiana lavori di Nicola Campogrande, Aldo Clementi, Michele dall’Ongaro, Peter Maxwell Davies e Giovanni Sollima. Ha inciso vari concerti live per Radio3 Rai, France Musique, Rai Sat e France 3. Nel 2012 ha interpretato a Milano, con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, la prima italiana del Concerto per violoncello di Gil Shohat. Nel 2013 ha avuto importanti debutti in Australia e in Polonia. Nel 2014 è uscito un nuovo cd interamente solistico per Sony. E’ artista residente dell’Amiata Piano Festival e docente all’Istituto superiore di studi musicali “Monteverdi” di Cremona. Suona un violoncello Giovanni Grancino del 1697. | www.silviachiesa.com PARTECIPANO AL CONCERTO VIOLINI PRIMI *Alessandro Milani (di spalla), °Giuseppe Lercara, Antonio Bassi, Constantin Beschieru, Lorenzo Brufatto, Irene Cardo, Claudio Cavalli, Aldo Cicchini, Patricia Greer, Valerio Iaccio, Martina Mazzon, Sara Pastine, Fulvia Petruzzelli, Francesco Punturo, Matteo Ruffo, Lynn Westerberg. tuba Daryl Smith VIOLINI SECONDI *Roberto Righetti, Valentina Busso, Enrichetta Martellono, Roberto D’Auria, Michal Duris, Carmine Evangelista, Jeffrey Fabisiak, Rodolfo Girelli, Alessandro Mancuso, Antonello Molteni, Vincenzo Prota, Francesco Sanna, Elisa Schack, Isabella Tarchetti. percussioni Maurizio Bianchini, Carmelo Gullotto, Michele Camilloni, Flavia La Perna, Massimo Melillo. VIOLE *Ula Ulijona, Geri Brown, Matilde Scarponi, Giorgia Cervini, Rossana Dindo, Federico Maria Fabbris, Riccardo Freguglia, Alberto Giolo, Dezi Herber, Agostino Mattioni, Davide Ortalli, Giovanni Matteo Brasciolu. TIMPANI *Claudio Romano, Maurizio Bianchini. arpa *Nabila Chajai celeste Roberto Arosio VIOLONCELLI *Pierpaolo Toso, Giuseppe Ghisalberti, Giacomo Berutti, Stefano Blanc, Pietro Di Somma, Michelangiolo Mafucci, Carlo Pezzati, Stefano Pezzi, Fabio Storino, Livia Rotondi. CONTRABBASSI *Nicola Malagugini, Silvio Albesiano, Gabriele Carpani, Luigi Defonte, Antonello Labanca, Maurizio Pasculli, Francesco Platoni, Virgilio Sarro. FLAUTI *Marco Jorino, Fiorella Andriani, Paolo Fratini. ottavino Fiorella Andriani OBOI *Carlo Romano, Franco Tangari, Teresa Vicentini. corno inglese Franco Tangari clarinetti *Cesare Coggi, Franco Da Ronco, Graziano Mancini. FAGOTTI *Elvio Di Martino, Mauro Monguzzi, Bruno Giudice. CONTROFAGOTTO Bruno Giudice CORNI *Stefano Aprile, Valerio Maini, Emilio Mencoboni, Bruno Tornato. TROMBE *Marco Braito, Ercole Ceretta, Roberto Rivellini. TROMBONI *Joseph Burnam, Devid Ceste. *prime parti ° concertini TROMBONE BASSO Antonello Mazzucco Alessandro Milani suona un violino “Francesco Gobetti” del 1711, generosamente messo a disposizione dalla Fondazione Pro Canale di Milano. Ascoltare, conoscere, incontrare, ricevere inviti per concerti fuori abbonamento, scoprire pezzi d’archivio, seguire le tournée dell’Orchestra, avere sconti e facilitazioni. In una parola, diventare AMICI. Sono molti i vantaggi offerti dall’associazione Amici dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai: scegliete la quota associativa che preferite e iscrivetevi subito! Tutte le informazioni e gli appuntamenti sono disponibili sul sito www.amiciosnrai.it o scrivendo a [email protected]. La Segreteria degli AMICI dell’OSN Rai è attiva mezz’ora prima di ogni concerto presso la Biglietteria dell’Auditorium Rai, oppure dal martedì al venerdì dalle 11 alle 18, telefonando al 335 6944539. CONVENZIONE OSN RAI - VITTORIO PARK Tutti gli Abbonati, i possessori di Carnet e gli acquirenti dei singoli Concerti per la Stagione Sinfonica OSN Rai 2014/15 che utilizzeranno il VITTORIO PARK DI PIAZZA VITTORIO VENETO nelle serate previste dal cartellone, vidimando il biglietto di sosta nell’apposita macchinetta installata nel foyer dell’Auditorium Toscanini, avranno diritto allo sconto del 25% sulla tariffa oraria ordinaria. PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI AL PERSONALE DI SALA O IN BIGLIETTERIA. Le varie convenzioni sono consultabili sul sito www.osn.rai.it alla sezione "riduzioni". Le Domeniche dell' Auditorium ore 10.30 | conversazione con Paolo Gallarati a seguire | Quintetto di ottoni 6 conversazioni-concerto con Paolo Gallarati e i gruppi da camera dell’Orchestra Rai Roberto Rossi, Roberto Rivellini | Trombe Ettore Bongiovanni | Corno Devid Ceste | Trombone Gianfranco Marchesi | Trombone basso Poltrona numerata in ogni settore 5,00 euro Poltrona numerata giovani (dal 1985) in ogni settore 3,00 euro domenica 9 novembre 2014 Charpentier Byrd Bach Grieg Brahms Ravizza Williams Rota Autori vari La Tournée dell'Orchestra Rai sabato 15 novembre 2014 Philharmonie am Gasteig, Monaco Juraj Valčuha | Direttore Arcadi Volodos | Pianoforte domenica 16 novembre 2014 Kölner Philharmonie, Colonia Juraj Valčuha | Direttore Antoine Tamestit | Viola Lunedì 17 novembre 2014 Tonhalle, Zurigo Juraj Valčuha | Direttore Arcadi Volodos | Pianoforte martedì 18 novembre 2014 Stadtcasino, Basilea Juraj Valčuha | Direttore Arcadi Volodos | Pianoforte mercoledì 19 novembre 2014 Tonhalle, Düsseldorf In collaborazione con: Juraj Valčuha | Direttore Arcadi Volodos | Pianoforte VENERdì 21 novembre 2014 Teatro Comunale “Pavarotti”, Modena Juraj Valčuha | Direttore Arcadi Volodos | Pianoforte 5° giovedì 27 novembre 2014 ore 21.00 venerdì 28 novembre 2014 ore 20.30 Steven Mercurio | Direttore Lara St. John | Violino Steven Mercurio Mercurial Ouverture John Corigliano Concerto per violino e orchestra The Red Violin Aaron Copland Appalachian Spring. Suite dal balletto Leonard Bernstein On the Waterfront. Suite sinfonica dalle musiche per il film Fronte del porto CARNET da un minimo di 6 concerti scelti fra i due turni e in tutti i settori Adulti: 24,00 euro a concerto Giovani: 5,00 euro a concerto SINGOLO CONCERTO Poltrona numerata: da 30,00 a 15,00 euro (ridotto giovani) INGRESSO Posto non assegnato: da 20,00 a 9,00 euro (ridotto giovani) BIGLIETTERIA Tel. 011/8104653 - 8104961 - Fax 011/8170861 [email protected] - www.osn.rai.it
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