VITA DI RICERCATORE Daniela Corda La donna dei segnali governa il golfo di Napoli A capo dell’Istituto di biochimica delle proteine del CNR di Napoli, Daniela Corda dirige un laboratorio che si occupa di segnali cellulari ma è anche una delle manager di punta della ricerca italiana In questo articolo: signaling donne e scienza ricercatore a cura di FABIO TURONE ono segnali quelli che Daniela Corda studia da anni, decifra e interpreta con l’impegno incessante della scienziata che coltiva l’eccellenza. E sono segnali quelli che invia a chi le lavora accanto, la ascolta a una conferenza o la trasporta in taxi: “Sono un’esperta del signaling, la scienza che studia i segnali” spiega parlando rilassata nel suo accogliente studio sulla collina del Vomero, con un’ampia finestratura affacciata sulla città e sul golfo di Napoli, da cui dirige l’Istituto di biochimica delle proteine del CNR. S Una storia di messaggi e messaggeri La lirica, e Verdi in particolare, è tra le passioni di Corda nel tempo libero 4 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2014 Se può dare una mano la dà, prima ancora di pensarci su: capta il segnale, si rimbocca le maniche e si mette in moto. Come quando un sabato mattina di tanti anni fa aprì la porta a un ragazzo, figlio dei vicini di casa nel campus dell’Istituto Weizmann, in Israele, dove ha svolto il suo dottorato di ricerca: il messaggio che il bambino timidamente ripeteva suonava a dir poco ermetico: “Il cibo va a male”. “Mi ci volle un po’ per capire” racconta divertita. “Il sorriso da orecchio a orecchio con cui annuì, sollevato, quando gli chiesi se era saltato il contatore della luce, mi confermò silenziosamente il mio sospetto: avevano bisogno di aiuto, ma essendo una famiglia religiosa ortodossa non potevano violare il riposo del sabato, né chiedere esplicitamente ad altri di farlo”. Per usare un’espressione tipica dei biologi che si occupano dei segnali che regolano il traffico attraverso la membrana della cellula, il ragazzo era un “secondo messaggero”, spedito dalla mamma che a sua volta doveva fare i conti con il blackout elettrico. In biologia, con questa espressione, ci si riferisce a un ampio gruppo di molecole che regolano l'attività biologica della cellula, in risposta a ciò che avviene sulla membrana cellulare. Quando si interrompe la reazione a catena di cui il secondo messaggero fa parte e il messaggio non arriva a destinazione, o per qualche motivo non viene interpretato nel modo giusto, la cellula smette di funzionare correttamente, aprendo la strada a malattie come il cancro. Tra Venezia Giulia e Ciociaria Ciociara cresciuta tra Santopadre, in provincia di Frosinone, e Trieste, Daniela Corda ha imparato fin da piccola a destreggiarsi tra lingue e culture diverse: “Ho sempre fatto la ciociara a Trieste e la triestina in Ciociaria”. Con una mamma maestra elementare e un papà ispettore del lavoro e sindacalista, Daniela e la sorellina Manuela acquisiscono un’idea molto chiara dell’etica del lavoro: “Sono cresciuta sapendo che ciascuno deve impegnarsi nel proprio lavoro, che per noi era lo studio”. Dopo le medie a Isola Liri si sposta per il liceo classico a Sora. È un anno avanti, ma non ha difficoltà a portare a casa ottimi voti, e a dare una mano ai compagni quando c’è bisogno: “Avevo tanti amici ed ero molto richiesta per i compiti in classe” racconta ammiccando. La materia che l’affascina di più è la storia, ma è in quegli anni che comincia ad appassionarsi alla fisica e alla matematica. “Ho deciso di iscrivermi a biologia, a Perugia, pensando che avrei cambiato probabilmente facoltà al secondo anno”. L’impatto con i manuali universitari di biologia, embriologia e biochimica produce però un segnale inequivocabile: “Ho capito subito che era quello che avrei fatto nella vita”. Tra gli esami complementari sceglie molti esami di chimica e, alla fine Daniela Corda con alcuni suoi collaboratori dei quattro anni, presenta una tesi inusuale e coraggiosa, per un biologo: “Fui la prima a dare la tesi in chimica-fisica, scienze ‘dure’ come si dice adesso”. L’argomento è la fotochimica, ovvero l’interazione tra la luce e la materia, che resterà al centro dei suoi interessi per un bel po’: “Mi affascinava in particolare la possibilità di studiare le membrane biologiche con l’aiuto di sonde fluorescenti di cui avevo letto sulle riviste scientifiche. Gli studi all’avanguardia venivano condotti all’Istituto Weizmann, in Israele, dove stava trasferendosi un compagno di università, Giovanni Levi. Scrissi all’autore di quelle ricerche, Meir Shinitzky, chiedendogli di trascorrere un periodo nel suo laboratorio. Nel 1977 in Italia non esistevano corsi post-laurea e l’idea di pazientare qualche anno per provare a seguire la carriera accademica non faceva per me”. Shinitzky, che fa parte di un dipartimento in cui lavorano i massimi esperti mondiali di membrane, le offre una borsa di studio di sei mesi: “Fresca di laurea e con un inglese traballante, mi ritrovai a 23 anni e mezzo in Israele, di cui non sapevo niente, in un campus verdeggiante. L’impatto fu incredibile, anche perché trovai tanti che erano proprio come me” racconta. “Non che in Italia mi sentissi diversa, ma ero l’unica che rimaneva in laboratorio fino a tardi e i miei amici non mi capivano. Al Weizmann trovai un posto talmente ideale da sembrare irreale, in cui la competizione è forte ma ispirata alla correttezza e alla lealtà, e tutti riconoscono il merito dei più bravi”. Il colpo di fulmine in laboratorio È in laboratorio che Levi, che era arrivato qualche settimana prima, le presenta un altro ricercatore italiano, anche lui “figlio di triestini”. Si chiama Alberto Luini e si occupa di neurobiologia. La “reazione biochimica” tra i due è immediata e inequivocabile: “Dopo due settimane abbiamo deciso di sposarci”. Per poter celebrare il matrimonio nell’abbazia benedettina di Casamari, devono presentare una lettera di raccomandazione del parroco: “Ci armammo di faccia tosta e cercammo la parrocchia più vicina, che era a Giaffa, nel quartiere arabo di Tel Aviv. Ci aprì la porta un frate col saio, anche lui ciociaro. Al pensiero che due giovani desiderosi di sposarsi in chiesa fossero ostacolati dalla burocrazia, ci scrisse una fantastica lettera” rievoca divertita. “Quando tornammo in Italia per il matrimonio erano passati appena quattro mesi dalla mia partenza”. Alla prima borsa di studio fa seguito quella che le permette di conseguire il PhD in quattro intensi anni; poi con il marito decide di puntare sugli USA, cercando un centro di ricerca che fosse interessato ad averli entrambi: “L’obiettivo numero uno erano i National Institutes of Health di Bethesda, vicino a Washington, dove Alberto ambiva a lavorare con il premio Nobel Julius Axelrod. Se fosse andata male avremmo tentato con la California”. Furono presi entrambi, grazie alla competenza non comune: “Io volevo oc- Una mamma maestra, un papà sindacalista OTTOBRE 2014 | FONDAMENTALE | 5 VITA DI RICERCATORE Una netta prevalenza femminile in questo laboratorio del CNR di Napoli cuparmi di recettori, per cui contattai Leonard Kohn, che era un esperto riconosciuto a livello internazionale nel campo della tiroide, e lui mi prese perché voleva capire meglio la fluidità di membrana, di cui mi occupavo io”. Con Alberto trova persino il modo di lavorare allo stesso progetto, nei weekend, scoprendo che anche il calcio ha un ruolo nella regolazione della tiroide da parte dell’ormone tiroideo TSH. L’entusiasmante ritorno in Italia Proprio quando diventa concreta la prospettiva della tenure, del posto di ricercatore a tempo indeterminato nel tempio americano della ricerca biomedica, arriva dall’Italia una prospettiva stimolante, quasi una scommessa: “Non ho mai pianificato con molto anticipo i miei passi e, persino oggi, non so dire che cosa farò nei prossimi anni. Allora la prospettiva di costruire un nuovo istituto mettendo la nostra esperienza internazionale al servizio dell’Istituto Mario Negri ci sembrò esaltante”. Fu così che tra il 1987 e il 1988 cominciarono a mettere in piedi in Abruzzo il Mario Negri Sud, con Giovanni Di Gaetano e il suo gruppo di ricerca in farmacologia delle piastrine. È in quegli anni che arrivano i primi 6 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2014 finanziamenti di AIRC (del cui Comitato scientifico Borse, Daniela Corda oggi fa parte), grazie ai quali, a partire da un’idea nata chiacchierando in corridoio, avrebbe scoperto, ancora insieme al marito Alberto, la proteina BARS, che svolge un ruolo importante nel regolare il traffico attraverso la membrana cellulare ed è coinvolta in alcuni tumori: “AIRC ha creduto nel mio progetto, sapendo che i progressi nella cura si possono fare solo se si scoprono nuovi meccanismi di base”. E arrivano le pubblicazioni su riviste di assoluta eccellenza come Nature, Science e PNAS: “Perseguire l’eccellenza in Italia è faticoso anche perché a volte finisci per sembrare spocchioso, ma è importante, anche per fornire ai giovani un modello di riferimento” spiega. plicano l’accesso alla carriera di ricercatore occorre mettere le ragazze in condizioni di competere davvero ad armi pari, anche grazie a un adeguato supporto sociale che aiuti la famiglia nella gestione dei bambini e degli anziani”. Al CNR di Napoli è approdata nel 2009, vincendo il concorso cui aveva partecipato anche il marito: “Fummo selezionati entrambi nella terna tra cui sarebbe stato scelto il direttore e Alberto preferì togliere la commissione dall’imbarazzo perché aveva un’altra opportunità interessante in un altro istituto di ricerca. La nostra scommessa si rivelò vincente, perché io fui preferita al terzo candidato”. Dopo un paio d’anni c’è stata l’opportunità di coinvolgere il CNR in un progetto europeo coordinato da Luini, che ora occupa un ufficio nello stesso corridoio della moglie. Lei nel tempo libero coltiva la passione per la lirica, Verdi in particolare: “Abbiamo l’abbonamento al teatro San Carlo e l’anno scorso ho girato vari teatri d’Italia per l’anniversario di Verdi”. Ora che ha assunto responsabilità sempre maggiori – fa anche parte della delegazione italiana per i finanziamenti europei per la ricerca Horizon 2020 – ha accettato di sacrificare un po’ il laboratorio: “Fino a qualche anno fa avrei saputo dire ogni giorno che cosa avevamo nelle provette, mentre oggi seguo tutti gli esperimenti un po’ più da lontano”. Anche se i problemi della ricerca italiana comportano nuovi segnali da raccogliere, interpretare e trasmettere, la visione etica e sociale è quella di sempre: “Se si perdono gli ideali è finita. Quello dello scienziato è il miglior mestiere del mondo, ma è un mestiere che ti assorbe molto, in cui non si è mai contenti di quel che si è fatto”. Lo sanno bene i 15 ricercatori del suo laboratorio – tra cui gli uomini sono appena tre – che hanno a che fare con un direttore che dopo gli anni trascorsi in Israele fu definita dal suo supervisore “a tough cookie”. Un biscottino sì, ma tosta. Rimuovere gli ostacoli che frenano le donne Una mano alle giovani Proprio ai giovani, e alle donne in particolare, ha dedicato molti sforzi da quando nel 1998 ha cominciato a occuparsi di politica della ricerca, in numerose istituzioni di ricerca italiane ed europee tra cui l’EMBO di Heidelberg: “Non mi sono mai definita una femminista, ma so bene che per rimuovere gli ostacoli che oggi com-
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