edilizia&restauri ALLOGGIO SOCIALE Crescono le domande ma la risposta dell’ente pubblico è sempre più insufficiente Dare una casa qualche volta non basta La crisi economica ha portato il bisogno di una casa anche a quel ceto medio che finora vi aveva provveduto da solo. Spesso le famiglie in stato di necessità sono portatrici di altre fragilità: si rende necessario supportarle non solo con la casa, ma con un vero accompagnamento sociale Assegnati a Padova negli ultimi anni solo 175 alloggi Erp a fronte di duemila domande. L’assessore Brunetti lancia la proposta di un tavolo di welfare generativo. 왘 Una questione sociale di cui i comuni non posso- no più farsi carico da soli: è il problema della casa, cresciuto in questi ultimi anni a causa della crisi economica. Per affrontarlo le vecchie politiche abitative non sono più sufficienti: non è solo il numero di alloggi pubblici disponibili a essere troppo esiguo, modi e strumenti andrebbero ripensati, i criteri di assegnazione e gestione sono inadeguati e le esigenze dei nuclei familiari sono cambiate. Questo è, in sintesi, il pensiero dell’assessore alle politiche abitative e al sociale del comune di Padova, Alessandra Brunetti, che lancia la proposta di un tavolo di welfare generativo per affrontare la questione sociale e della casa. «Le richieste di alloggio – spiega l’assessore – sono in aumento. E non si tratta solo di famiglie straniere, ma appartenenti a quella classe media padovana che non ce la fa più, è collassata a causa della crisi, ha perso il lavoro e non riesce più a pagare i canoni di affitto o il mutuo». A fronte di questo, la risposta dell’ente pubblico segna il passo. «Con l’ultimo bando Erp, quello 2010 (solo nel giugno scorso è stata pub- blicata la graduatoria del bando 2012) su duemila domande è stato possibile assegnare solo 175 alloggi: una risposta esigua per una città di 210 mila abitanti». Le richieste potrebbero essere addirittura molte di più se si introducessero criteri come quello della residenza, ciò che l’attuale amministrazione intende fare. «Questo permetterebbe – continua la Brunetti – di tenere conto di tutte quelle famiglie del ceto medio che finora non hanno avuto accesso alle graduatorie perché non sono in situazioni di prole numerosa, emarginazione grave, alloggi in condizioni igieniche fatiscenti e così via. Famiglie con un reddito che prima era sufficiente a sopravvivere, ma che ora non basta più». Una priorità, per il comune, è liberare gli alloggi pubblici da chi vi abita senza diritto. Sono numerosi gli alloggi occupati in modo abusivo o senza titolo, ad esempio quando dopo il decesso dell’assegnatario figli o familiari continuano a risiedervi. Durante l’estate è stata poi denunciata la situazione del progetto Casa buona, nato come soluzione temporanea al problema casa (in sintesi, sono 217 appartamenti per lo più di privati per i quali il comune funge da garante), in cui l’altissima morosità ha portato a un buco di quasi due milioni di euro. I problemi di queste famiglie, ammette però l’assessore Brunetti, spesso non si fermano alla casa. «Si è riscontrato che, anche se aiutati, molti di questi nuclei non riescono a rialzarsi perché sono portatori di altre fragilità e della mancanza di una rete di supporto. Non basta dare loro la casa, andrebbero seguiti e sostenuti in altro modo. Per questo serve un’azione diversa, complessiva, di cui un comune non può farsi carico da solo: il mio progetto è quello di avviare al più presto un tavolo di welfare generativo, un vero laboratorio dove l’ente pubblico assuma il ruolo di cabina di regia e che coinvolga tutti i soggetti titolati, ridisegnando il sociale per i prossimi anni ma in maniera condivisa, applicando realmente il principio di sussidiarietà, trovando nuove soluzioni. Questo è il luogo dove andrebbe affrontata in modo complessivo anche la questione dell’emergenza abitativa». 왘 pagine a cura di Emanuele Cenghiaro RESTAURI Le chiese della cittadina euganea sono state quest’anno un cantiere aperto Si concludono a Este i restauri di ben tre chiese per qualche tempo un grande cantiere la 왘 Ècittàstato di Este, dove ben tre chiese importanti sono state oggetto di restauri che si stanno avviando alla conclusione. A partire dal monumento principale, il duomo di Santa Tecla, che ha visto un importante restauro. Un altro cantiere importante è quello della chiesa della Madonna del Carmine: in questo caso si è trattato di salvare, in tutti i sensi, un monumento che era a rischio crollo. Fatti gli interventi più urgenti, la facciata era avviata a ribaltarsi verso la strada e dal campanile si erano già dovute fare scendere le campane. In que- sto caso si dovranno trovare le risorse per passare, ora, al recupero degli interni, tra cui il prezioso soffitto a cassettoni: ma intanto la chiesa è salva. Non lontano, è stata eseguita la ristrutturazione e il rinnovo della scuola dell’Infanzia di Santa Maria delle Grazie, ora più funzionale e energeticamente efficiente. Infine, un terzo intervento è quello sulla chiesa dele Consolazioni, o degli Zoccoli, di proprietà comunale: messa finalmente in sicurezza, necessita ora del recupero del campanile e della navata laterale, e poi del restauro delle opere d’arte. 왘servizio alle pagine VIII-XI Si è lavorato al duomo, alla Madonna del Carmine e nella chiesa delle Consolazioni. II housingsociale edilizia & restauri L’Ater di Padova ha avviato un piano per l’acquisto di alloggi invenduti posti sul mercato immobiliare. LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 ATER Forniscono la maggiore risposta alle richieste di abitare sociale Nuove case, ma troppe tasse Le Ater venete gestiscono 40 mila alloggi, un patrimonio ormai stabilizzato. Le vendite vengono reinvestite in nuove acquisizioni e costruzioni, ma le tasse sono alte e la regione è in arretrato con il saldo degli stanziamenti Sono quasi 40 mila gli alloggi gestiti dalle Ater del Veneto. L’80 per cento sono case di proprietà: un patrimonio importante, anche se un terzo del patrimonio ha più di cinquant’anni. Cifre alla mano la risposta al disagio abitativo da parte di questi enti, presenti in tutte le province del Veneto, è di gran lunga la più importante. «Nella nostra provincia siamo presenti in 85 comuni su 104 – spiega Flavio Frasson, presidente dell’Ater di Padova – e non possiamo dire di essere quel carrozzone che qualcuno vorrebbe far credere. La regione non eroga alle Ater alcuna forma contributiva di natura continuativa o periodica per il loro funzionamento, come avviene per altri enti, ma solo finanziamenti per interventi costruttivi e di ristrutturazione. In questi ultimi tre anni, a seguito della parziale sospensione di fondi pur deliberati, le Ater sono anzi state costrette ad anticipare con fondi propri e con i proventi delle vendite i finanziamenti regionali: per la sola Padova i fondi anticipati ammontano oggi a 11 milioni di euro». Non aiuta la tassazione: «Le Ater sono sottoposte a un regime fiscale del tutto uguale a una società di capitali che non tiene conto del fine sociale dell’azienda. Il ricavo è sottoposto a una tassazione Ires penalizzante, i contributi statali e regionali vengono in parte restituiti sotto forma di Irap e, se finalmente siamo riusciti a ottenere l’esenzione Imu, rimane presente una parte della tassa patrimoniale, la Tasi sulle abitazioni principali, come sono definiti gli alloggi delle Ater. Sono fondi che potrebbero essere fruttuosamente destinati a costruire nuovi alloggi o riqualificare gli esistenti». Nel 2013, tuttavia, Ater Padova ha avuto un utile di 5,7 milioni di euro. «Sono stati tutti reinvestiti – chiarisce Frasson – nei quattro settori nei quali ci muoviamo: l’acquisto di immobili all’esterno, soprattutto tra l’invenduto dei costruttori; l’esecuzione di nuovi interventi, come gli stralci finali di quelli previsti dai contratti di quartiere a Montagnana e al Portello di Padova; la riqualificazione del patrimonio esistente, come quella energetica dei progetti Programmi operativi regionali (Por), e le manutenzioni». Il piano interventi dell’Ater di Padova per quest’anno prevedeva interventi per quasi 27 milioni di euro, 9 dei quali derivanti da fondi propri e gli altri da contributi della Regione Veneto. «A titolo di esempio, si possono citare gli interventi per 24 alloggi di nuova costruzione a Battaglia Terme e 12 a Peraga di Vigonza, le ristrutturazioni di 7 a Monselice e 6 nell’ex scuola di Albignasego, l’acquisto di 16 al Peep di Altichiero, 12 a Monselice e 16 a Este. «Abbiamo lanciato un bando – contina Frasson – per l’acquisto di immobili realizzati ma invenduti: ne abbiamo acquisiti quattro, mentre altri 12 alloggi saranno presi a Vigodarzere con fondi destinati a via Anelli e a rischio di essere perduti. Sono tutti appartamenti che verranno messi a disposizione dell’ente locale: l’Ater infatti si occupa della gestione, ma le assegna- housingSociale 왗 LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 zioni sono fatte dai comuni». Però vi sono alloggi Ater in vendita e l’idea che passa è che la risposta dell’ente pubblico sia sempre meno efficace in tema di alloggio sociale. «L’Ater però, parlo per Padova ma anche per quasi tutte le Ater del Veneto, come dimostrano le cifre, non sta riducendo il suo intervento. Forse qualche anno fa era vero, ma ora no: tra acquisti, costruzioni e interventi vari, il saldo tra alloggi venduti e i nuovi messi a disposizione dei comuni è positivo. Il ricavo delle vendite viene subito reinvestito. Quest’anno a Padova abbiamo messo all’asta appena una trentina di alloggi: si tratta di ap- SICUREZZA IGIENE SALUTE partamenti che si erano liberati e la cui vendita era comunque prevista da vecchi piani della regione ai quali stiamo ancora ottemperando». Va notato che per chi acquista tali alloggi la condizione necessaria è che sia una prima casa, e che non possano essere venduti per dieci anni: non è possibile che vi siano particolari speculazioni. «Il vero problema casa oggi – secondo Frasson – c’è soprattutto per quella fascia che non è così povera da avere diritto a un alloggio di edilizia residenziale pubblica, ma nemmeno così benestante da poter accendere un mutuo. Proprio per agevolare queste famiglie abbiamo previsto la possibilità di acquisto a rate dei nosti immobili: gli acquirenti pagano subito il 1015 per cento e poi una sorta di canone con interesse al tasso di sconto, circa il 2 per cento. In questo modo non devono fare il mutuo, fungiamo noi da banca, è sufficiente una polizza fideiussoria. È una sorta di affitto con riscatto, solo che invece di diventare proprietario alla fine, qui l’acquirente lo diviene da subito». Quanto agli alloggi dati in locazione dai comuni, l’Ater ha poca voce in capitolo. «Come ho detto, le graduatorie competono ai comuni. Posso solo far notare che anche in questo caso servirebbe una revisione dei criteri di assegnazione, ma anche delle tipologie dei contratti e dei canoni di locazione per gli assegnatari», si limita a commentare Frasson. Cos’altro si potrebbe fare? «Stiamo cercando nuove soluzioni. Ad esempio – rivela Frasson – abbiamo molte aree che ci vengono messe a disposizione dai comuni, ma non possiamo realizzare interventi su tutte. Per ovviare a questo abbiamo provato a proporre una nuova formula a rischio misto, in cui l’Ater mette il terreno e la progettazione, i costruttori edili la realizzazione fisica dell’immobile. Alla fine si sarebbe provveduto a una vendita sul mercato, ma a prezzi calmierati: finora non abbiamo trovato nessuno disposto a rischiare. Abbiamo anche tentato di coinvolgere la Cassa depositi e prestiti per iniziative di questo tipo: ci hanno risposto che non possono, che agiscono solamente attraverso fondi per l’immobiliare». III THIENE Sono in crescita le richieste di persone sole In arrivo quaranta alloggi nuovi al 5 novembre è possibile 왘 Fino partecipare al bando 2014 per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica nel comune di Thiene. Possono partecipare i residenti o chi lavora nel territorio comunale, che devono richiedere apposito appuntamento. Ma qual è la situazione dell’edilizia popolare in un comune importante della provincia vicentina? «I nostri interventi vengono realizzati con l’Ater di Vicenza – spiega Maurizio Fanton, assessore ai servizi alla persona e alla famiglia del comune di Thiene – e a oggi abbiamo in graduatoria circa 200 domande. Si tratta di varie tipologie di famiglie, dai singoli ai nuclei di cinque o più persone». L’offerta non fa fronte alla domanda, ma a Thiene quest’anno vi sono degli alloggi in più. «L’Ater di Vicenza si è aggiudicato, a un’asta per fallimento, 40 appartamenti che a breve verranno assegnati. Nonostante questo, la risposta che si riesce a dare non è sufficiente, ma è un contributo importante. Di norma quello che possiamo fare è rilocare gli alloggi che via via si liberano». 왘 La crisi ha aumentato le richieste? «Sì, ma più che altro sono in previsione numerosi sfratti a cui non potremo dare risposta, anche perché chi è sfrattato alla fine non ha necessariamente un punteggio in più. Al contrario, chi ha uno sfratto per morosità viene penalizzato». 왘 Qualcosa sta cambiando rispetto alle richieste? «Abbiamo notato che sono molte le richieste da parte di singoli. Forse è un trend di cui dovremmo tenere conto. Questa è una fascia a cui facciamo più fatica a rispondere, perché gli alloggi che abbiamo erano stati costruiti pensando a nuclei familiari di più persone». 왘 Strade alternative? «Abbiamo cercato una collaborazione tra pubblico e privato, cercando proprietari di alloggi sfitti che li locassero a prezzo calmierato. Il comune poteva anche dare un contributo, almeno per un periodo. La Caritas di Vicenza ha avviato un progetto simile, qui per ora non se ne è fatto nulla». 왘 Investire maggiormente sulla casa potrebbe aiutare le famiglie in crisi a ricostruire il proprio futuro? «Il vero problema non è la casa ma il lavoro. Se non c’è quello la sola casa non è sufficiente». 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Uno dei motivi del successo di “Housing first” è infatti proprio l’avere dimostrato con i dati la sua efficacia in termini di costi-benefici e nel togliere dalla strada le persone. La disponibilità di un alloggio è ovviamente solo l’innesco del processo, altrettanto importante è l’accompagnamento, che in questo caso si svolge con un interessante modello misto di volontari e operatori professionisti come gli educatori. Servono le strutture, ma se dietro non ci fossero le persone si farebbe poca strada». 왘 Sono in numero crescente le persone che si rivolgono alla Caritas diocesana di Padova perché necessitano di un alloggio. «Il problema casa è in aumento – conferma il direttore, don Luca Facco – e solo in città intercettiamo ogni settimana almeno una famiglia a rischio. Sono situazioni di cui si fanno carico i comuni e nelle quali noi non possiamo fare che un piccolo pezzo in accordo con questi enti. Ma non è raro il caso in cui le nostre parrocchie intervengano con accoglienza temporanea, in particolare di donne con bambini». Un esempio di questo tipo di collaborazione si ha grazie alla par- rocchia di San Filippo Neri, che ha messo a disposizione del comune di Padova un appartamento per famiglie con disagio abitativo. Titolarità e accompagnamento è in carico all’ente pubblico. Gli sforzi di Caritas, invece, si concentrano maggiormente sulla fascia di persone più emarginate, vulnerabili, come ad esempio i senza dimora o a rischio di diventarlo. In questo senso va il progetto La strada verso casa, avviato proprio in ottobre in due appartamenti messi a disposizione dalla parrocchia del Carmine. L’iniziativa è realizzata grazie a una rete che coinvolge anche volontari, associazioni, educatori e l’università di Padova, mentre gli arredi sono stati forniti gratuitamente da Ikea. «Il progetto – continua don Facco – si ispira al modello Housing first (prima la casa), nato negli Stati Uniti, che vede nella disponibilità di una casa il primo passo per il reinserimento sociale di una persona. La novità è proprio questa: non viene proposto un percorso di reinserimento a tappe, come ora, in cui chi è sulla strada prima passa per il dormitorio, poi per una struttura di seconda accoglienza e solo alla fine per un alloggio cosiddetto di sgancio. La casa, unita a un accompagnamento a 360 gradi, diventa invece la prima condizione per mettere la persona in grado di riprendere in mano la propria vita». STORIE Piccoli esempi di come un alloggio può ridare speranza a una persona Vite risorte grazie anche all’alloggio si separa a 54 anni e 왘Francesco diventa alcolista, Alessandro esce dal carcere. Sono due storie vere, solo i nomi sono di fantasia. Due esempi di come un alloggio può ridare speranza a una persona. A raccontarle è Sara Ferrari, responsabile dell’area promozione umana di Caritas Padova. Francesco, divenuto alcolista, aggiunge una nuova vulnerabilità alla fragilità dovuta alle recenti sofferenze. presenta problemi fisici e cognitivi. Ha dovuto abbandonare la propria abitazione e, dopo aver esaurito il circuito di parenti e amici, viene invitato ad arrangiarsi. Sopravvive con lavoretti di fortuna. Si rivolge alla Caritas che lo indirizza ai servizi sociali, che lo accolgono nel dormitorio cittadino. Di giorno mangia alle Cucine popolari, è in cura al servizio per le dipendenze dell’Ulss. Vive così per oltre un anno. Alla fine, a seguito di una richiesta da parte dell’assistente sociale che lo ha in carico, viene inserito in un appartamento per l’accoglienza di persone in difficoltà che una parrocchia ha messo a disposizione della Caritas. Comincia un percorso di accompagna- Naturalmente la sola casa non è sufficiente ma è dimostrato, secondo quanto sottolinea Caritas, che anche la sola assistenza sociale, che ha costi elevati, non porta a risultati soddisfacenti nel togliere le persone dalla strada. Progetti come questo, che partono dalla casa, hanno dato invece risultati notevolmente migliori, con circa l’80 per cento di esiti positivi. E, tutto sommato, a costi che alla fine risultano inferiori. «Queste persone sono inserite in un percorso di accompagnamento personalizzato – continua don Facco – e sono seguite da volontari e educatori professionali. Gli inquilini, quattro per alloggio e per ora solo maschi, sono scelti tra persone ben note ai servizi sociali perché sulla strada da molto tempo, o a rischio di finire sulla strada, come ad esempio alcuni padri separati». Tornando al bisogno di alloggio di chi invece non è in una fascia di emarginazione grave o ad alto rischio, Caritas interviene anche grazie al circuito del fondo straordinario di solidarietà per il lavoro e con il microcredito. IKEA In sostegno all’alloggio sociale La solidarietà con un arredo l’aiuto non passa attraverso i soldi. Ognuno 왘 Apuòvolte fare la propria parte con quello che ha: è il caso di mento condiviso con i servizi e con vari attori del territorio che conoscono Francesco e lo sostengono. Più tranquillo grazie alla sicurezza abitativa, riesce a dare continuità ai piccoli lavori che trova. Smette di bere e, oggi, è assegnatario di un alloggio popolare, ha un lavoro e una nuova rete amicale. Per Alessandro il percorso è più complesso. Ha circa la medesima età ma, perso il lavoro a causa della crisi economica, tenta la fortuna all’estero senza risultato. Quando torna scopre di dover scontare una piccola pendenza penale: si presenta spontaneamente in questura e passa un anno in carcere, dove scopre di essere affetto da una grave forma di malattia cronica. Inizia una terapia continuativa e necessita di frequenti esami diagnostici. Quando è scarcerato per lui va anche peggio: si ritrova per strada e il suo fisico peggiora per l’impossibilità di curarsi adeguatamente. Viene ricoverato più volte, ma la vita in strada causa continue ricadute che si potrebbero evitare. Quanto costa tutto ciò alla collettività? Anche Alessandro finisce, finalmente, all’albergo popolare, poi al dormitorio dell’associazione Elisabetta d’Ungheria e quindi viene segnalato per l’inserimento in uno degli alloggi della Caritas. Di nuovo, la situazione abitativa stabile e l’accompagnamento adeguato alle sue condizioni di salute lo aiutano a rimettersi in fretta. Dopo circa otto mesi in cui si mette a disposizione per piccoli lavori, anche gratuiti, a favore di altre persone svantaggiate, trova un impiego stabile e a tempo indeterminato, grazie al quale oggi ha potuto accedere a una sistemazione abitativa autonoma. «Sono due storie tra le molte possibili – conclude Sara Ferrari – che ci devono far capire quanto può fare la sicurezza di una casa: chi ce l’ha non se ne rende conto perché è abituato ad averla. I problemi, poi, ci sono lo stesso, ma questo è un grande aiuto per arrivare a superarli». Francesco e Alessandro, due nomi di fantasia per due storie vere di una vita rinata grazie alla fiducia di chi ha dato loro un vero alloggio e una sicurezza da cui ripartire. Oggi entrambi sono passati dalla strada a un lavoro e una casa propria. Ikea, la catena di arredo svedese presente da tempo anche in Italia, che destina ogni anno un budget consistente a progetti in cui interviene direttamente con i propri prodotti. Non si tratta di una semplice donazione ma quasi di un’adozione: a essere coinvolta è anche la struttura progettuale dell’azienda. «Ogni negozio ha a disposizione un budget che permette di rispondere a due o tre richieste all’anno da parte di enti non profit. Dal 2005, anno di apertura del negozio di Padova, abbiamo realizzato 18 progetti. Per noi si tratta di un privilegio poter intervenire in questi casi, renderci conto di queste realtà e contribuire a raggiungere gli obiettivi. In genere si tratta di progetti a sostegno di diversamente abili o della diversità in generale, oppure di strutture per i minori. In questo caso si è trattato di un progetto per i senza dimora», spiega Mario Barrile, coordinatore sociale ambientale per il negozio Ikea di Padova. Il progetto del Carmine è stato particolarmente impegnativo: si è trattato di arredare totalmente due appartamenti per quattro persone. «La procedura – prosegue Barrile – è stata quella consueta: approvato il progetto, assieme a un nostro progettista venuto da Milano si è deciso il tipo di arredamento in base alle esigenze di chi sarebbe andato ad abitare negli alloggi. In questo caso si sono scelti arredi funzionali, con piccole attenzioni che risultano importanti: trattandosi di alloggi in convivenza, ad esempio, scegliere dei comodini che possano essere chiusi contribuisce a creare spazi riservati all’interno della casa». Tra gli ultimi progetti realizzati da Ikea a Padova vi sono un appartamento in cui Lifeline Italia ospita bambini venuti per curarsi di tumore e leucemia, e due ludoteche per i bambini in visita ai padri detenuti nel carcere Due Palazzi. 왘Solidarmente 왘 V VI housingsociale FONDAZIONE LA CASA Nuova frontiera dell’abitare sociale Una casa in condivisione edilizia & restauri I comuni non hanno più risorse per l’edilizia popolare, i privati si devono scontrare con le troppe tasse sulla casa. Se non è più possibile permettersi una casa e l’edilizia residenziale pubblica segna il passo, una risposta può venire dal mettere assieme le risorse e dal condividere tanto l’alloggio quanto altri servizi essenziali La vera frontiera avanzata del- l’housing sociale è la «condivisione». Ne è più che convinto Maurizio Trabuio, direttore della Fondazione La Casa, che offre alloggio a circa 400 persone in cinque province del Veneto. «Oggi c’è un eccesso di offerta di alloggi – constata Trabuio – ma a canoni che, pur se tendenzialmente al ribasso, rimangono troppo elevati rispetto alla capacità di spesa delle persone. Fino a pochi anni fa si è investito prevedendo una crescita continua nel tenore di vita, nei redditi e quindi nei mezzi a disposizione. Si era sicuri anche che la rendita fondiaria fosse l’investimento più sicuro, nel lungo periodo avrebbe certamente reso. La casa era il valore per eccellenza. La crisi ci ha mostrato che anche la casa non è più una garanzia e sono crollati i fondamenti dell’edilizia sia pubblica che privata». Perché li ritiene crollati? «Perché il meccanismo della produzione e offerta è diventato inutile e persino dannoso. Quanto all’alloggio sociale, la fascia “popolare” oggi è talmente ampia che quello che può essere messo a di- sposizione dal pubblico è veramente poco significativo. Fino a pochi anni fa venivano costruite anche 50 mila case popolari all’anno in Italia, oggi siamo attorno alle 20 mila. Possiamo affermare senza problemi che l’edilizia pubblica in Italia non c’è più. Non a caso le Ater hanno avuto il mandato di vendere il patrimonio edilizio costruito prima del 1990: questo vuol dire i tre quarti del totale degli alloggi che possedevano. Se da 36 mila scenderanno a 10 mila alloggi, che risposte potranno dare al problema della casa per una regione grande come il Veneto?» Vi sono risposte alternative? «Il pubblico si è affidato al sistema integrato dei fondi immobiliari, ma anche questo riesce ad arrivare forse a 20 mila risposte. Quanto all’edilizia privata, anche a causa delle tasse, in Italia non è messa nelle condizioni di svolgere un ruolo sociale. Non si può trattare chi affitta a scopi sociali come un qualsiasi altro proprietario». Cosa rimane? «L’unica soluzione che vedo possibile per continuare a dare una risposta di housing sociale è quella della condivisione. Che significa non solo condividere la casa, ma anche ciò che serve, ad esempio la lavatrice. Molti altri beni ormai vanno verso la direzione della condivisione: si può pensare all’auto con il car sharing». Condividere in una società abituata all’individualismo non è un passo troppo forte? «Certo, per questo è necessario investire su una formazione alla condivisione. Pensiamo anche a come questo atteggiamento potrebbe essere un modo per aumentare la coesione sociale, proprio a partire dall’imparare a gestire beni in comune. Credo che i conti comincerebbero a tornare per le nostre comunità. Se si progettassero e gestissero progetti sociali, con ad esempio spazi verdi, gestione dei rifiuti, servizi per bambini e anziani, i comuni potrebbero pianificare importanti risparmi di spesa». Esempi ce ne sono già? «Certo. Senza pensare alle comuni di quarant’anni fa, che comunque non avevano questo scopo, esistono ormai molte esperienze di condomini solidali dove i proprietari si mettono assieme, oppure di ecovillaggi». Anche voi avete queste proposte? «Noi siamo in una situazione particolare, perché siamo una fondazione proprietaria di alloggi. Siamo noi il singolo proprietario dei EXPERIMENTDAYS Si è tenuta a Milano a metà del mese di ottobre Una fiera dedicata all’abitare collaborativo è l’abitare del futuro? Come si fa a risponde Qual re alle nuove esigenze di chi non vuole rinunciare alla vita urbana e desidera avere relazioni sociali e uno stile di vita piu sostenibile? Se lo chiedono gli organizzatori di Experimentdays, la prima fiera dell’abitare collaborativo che si è tenuta a Milano l’11 e 12 ottobre scorsi ispirandosi ad analoga iniziativa che esiste da un decennio a Berlino. Come risposta possibile vengono proposte, ovviamente, le abitazioni collaborative, dove per collaborare si intende il co-abitare, ma anche il coprogettare e il co-costruire. «Immaginiamo un nuovo modo di abitare la città – spiegano – dove condomini, vicini e abitanti dello stesso quartiere collaborano per migliorare la propria vita e agli spazi privati si uniscono luoghi e servizi per la condivisione, lo scambio e il consumo consapevole. Dove ci sono la lavanderia condivisa, i gruppi di acquisto solidale, il car sharing di condominio (ovvero auto condominiali in condivisione), l’orto di quartiere. Il tutto semplificato dalle piattaforme digitali». Le abitazioni collaborative sono quindi partecipative e accessibili, innovative e inclusive, sono la casa nell’era dell’economia collaborativa. Luoghi dove ci sia spazio e voglia di reinventarsi modi di vivere che possano essere conviviali e sociali. «La casa è l’opportunità di innovare e ripensare la città; proprio perché si e vicini, si possono condividere spazi, attività, tempo, energia». La domanda «come si fa?» ha trovato molte risposte tra gli stand della fiera, dove sono stati presentati progetti esistenti, ma anche tutti gli strumenti per la gestione condominiale e collaborativa, a partire dai facilitatori fino agli amministratori condominiali e gestori sociali. Spazio anche al co-progettare e agli aspetti di cocostruzione, che hanno interessato cooperative edilizie, imprese edili ma anche titolari di strumenti finanziari. Grande interesse anche per il tema della terza età, con la proposta di reti di servizi abitativi e sociali che accompagnino l'invecchiamento attivo, perché «nel 2050 si starà a casa ma senza stare a casa» con migliore salute e più partecipazione. Progettazione e realizzazione impianti GAS GPL per uso domestico, industriale, agricolo ... e con il contatore paghi solo quello che consumi! Sopralluoghi e preventivi gratuiti Dilazioni di pagamento personalizzate Servizio Clienti 199 105 106 Ordini GPL Clodiagas s.r.l. - Via G. Marconi 3/A - 35028 Piove di Sacco (PD) Tel. 049.9704251 - Fax 049.9714928 - [email protected] - www.clodiagas.it 800 110 431 housingsociale 왗 VII NUOVO VILLAGGIO L’amministrazione immobiliare sociale Duecento alloggi in tutto il Veneto oltre venti gli anni di esperien왘 Sono za nel settore dell’housing sociale del- condomini. Per noi la parte solidale è misurarci nella creazione di patrimonio da destinare a uso condiviso. Il patrimonio produce alloggi che sono in condivisione». 왘 Quanti vostri appartamenti sono «in condivisione»? «Circa il 30 per cento dei nostri alloggi, ormai un centinaio, vengono destinati al co-housing, la condivisione tra singoli non parenti. Un tempo erano soprattutto migranti, ora che siamo in fase di deflusso migratorio possiamo parlare in generale di persone senza risorse abitative, spesso anziani». 왘Gestire housing sociale quali problemi comporta? «Teniamo presente che noi rispondiamo comunque al bisogno di una fascia debole. Spesso sono persone sole, ma sappiamo che la solitudine, per ironia, non è mai sola: si porta dietro disagi a volte economici, oppure di salute, relazionali, professionali, fallimenti familiari, migrazioni... Un’altra cosa che ci mette in difficoltà è l’alta morosità, il 20 per cento». FONDI IMMOBILIARI Istituiti per legge, sono una nuova risposta all’esigenza abitativa Uno strumento in più per l’alloggio sociale legge 112 del 2008, 왘 Ilpoidecreto convertito nella legge 133 del- lo stesso anno, ha individuato nei fondi immobiliari uno strumento da promuovere per la realizzazione, nell’ambito del Piano casa, di progetti di housing sociale. Un fondo immobiliare appartiene alla categoria degli organismi di investimento collettivo del risparmio (regolamentati dal Testo unico della finanza) ed è un patrimonio autonomo, suddiviso in quote, aventi tutte lo stesso valore e gli stessi diritti, di pertinenza di una pluralità̀ di partecipanti (investitori), gestito in monte. La gestione di tale patrimonio è riservata a una apposita società di gestione del risparmio (Sgr), assoggettata al controllo della Consob e della Banca d’Italia. Questi fondi, ormai decine in Italia, si caratterizzano per il fatto di investire il patrimonio prevalentemente in beni immobili e sono stati individuati come uno dei principali strumenti per affrontare il tema dell’housing sociale, potendo favorire la collaborazione tra soggetti pubblici (dai comuni alle regioni), privati (investitori come le banche e i gruppi immobiliari) e enti non profit (soprattutto per la fase di gestione). Attraverso un fondo un ente locale può, ad esempio, reperire le risorse per ristrutturare il proprio patrimonio edilizio residenziale e tornarne proprietario dallo scioglimento del fondo, garantendo l’uso sociale degli immobili. Un esempio di fondo immobiliare etico è il fondo Veneto case della Beni stabili gestioni sgr, una società di Roma che opera in campo nazionale dove vanta una quindicina di fondi immobiliari, gestito dalla cooperativa Nuovo Villaggio. «Si tratta di condomini che vanno dai trenta alloggi in su – spiega Niccolò Gobbato di Nuovo Villaggio – per i quali abbiamo l’incarico di gestione e amministrazione. Siamo di fatto l’interfaccia tra gli inquilini finali e l’ente proprietario, che si avvale di un soggetto come il nostro, radicato nel territorio e con competenze tanto immobiliari che sociali. Gli inquilini entrano negli appartamenti tramite apposito bando, che prevede ad esempio limiti di reddito e privilegia anziani, nuclei familiari con soggetti portatori di disabilità, giovani coppie o con figli e così via». la cooperativa Nuovo Villaggio di Padova. Cuore della sua attività è la gestione di alloggi e servizi alla persona in campo abitativo, anche su richiesta di enti come i comuni. Si occupa oggi di circa 200 alloggi nelle province di Padova, Rovigo, Treviso, Venezia e Verona. «La cooperativa – spiega Niccolò Gobbato, responsabile dell’area servizi abitativi di Nuovo Villaggio – si occupa di tre distinti ambiti: le amministrazioni e gestioni immobiliari, i servizi alla persona limitati al settore dell’housing sociale, e i servizi al lavoro. Il primo settore è forse il principale, quello in cui, ad esempio, gestiamo alloggi per conto di vari enti pubblici e privati». Tra questi vanno citati il portierato sociale negli alloggi Riab di Limena o di alcune case per anziani a Rovolon, ma soprattutto gli alloggi del Fondo veneto case. Nuovo Villaggio non funge quindi solamente da classico amministratore di condominio, ma è un soggetto ibrido che garantisce una presenza fisica di qualità nelle strutture. «Non facciamo il classico portierato ma ci occupiamo della funzione sociale di contatto diretto con le persone e delle dinamiche che si possono generare tra gli inquilini, ovvero mediazione conflitto e dei rapporti di vicinato». Ma a chi vanno questi alloggi e gli altri gestiti dalla cooperativa, ad esempio quelli di proprietà di comuni o della Fondazione La Casa? «Dipende, anche se in genere non si tratta di alloggi indirizzati a soggetti delle fasce più deboli. I bandi, sia dei comuni che del Fondo veneto case, prevedono comunque dei criteri di selezione. È in- teressante, per il fondo, che alcuni appartamenti non siano dati solo in affitto ma con la possibilità di contratti che prevedono la futura vendita, dopo otto anni, agli stessi inquilini. È l’affitto con riscatto, in cui parte dell’affitto va in conto capitale e, al termine della locazione, si può negoziare la vendita detraendo la parte accantonata». I servizi di gestione socioimmobiliare della cooperativa sono oramai presenti in molti comuni del territorio padovano e veneto sotto l’acronimo Aisa (Agenzia di intermediazione sociale all’abitare), e prevedono anche servizi di accompagnamento all’abitare. Si tratta, in sintesi, di aiutare gli inquilini a limitare il loro disagio abitativo. «Non si tratta di una presa in carico totale della persona – conclude Gobbato – ma di accompagnarla, ad esempio, in una nuova soluzione abitativa, oppure di un aiuto a leggere il proprio progetto di vita o migratorio, sempre relativamente ai soli aspetti dell’abitare. In questo operiamo di norma a fianco di altri soggetti, come l’ente pubblico, che hanno il compito di prendere in carico la persona». I Fondi immobiliari si sono diffusi come nuovo strumento che permette di reperire risorse e unire le forse di enti locali, investitori privati e non profit. Così un ente pubblico può ad esempio trovare le risorse per recuperare un patrimonio esistente senza privarsene. VIII Esterestauri edilizia & restauri La chiesa, oggi di proprietà pubblica, è stata messa in sicurezza con il recupero in particolare del tetto. A breve saranno di nuovo possibili le visite guidate LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 È ancora lungo il percorso per il completo recupero della chiesa di Santa Maria delle Consolazioni di Este, detta anche degli Zoccoli. Si è tuttavia concluso proprio a metà di ottobre il pezzo più importante, il consolidamento e la messa in sicurezza della struttura dell’edificio, che fu monastero ma anche sede ospedaliera (da cui il nome popolare, pare, proprio per le calzature di chi operava nel sanatorio). Il chiostro, restaurato nel 2005, ospita oggi la sede della Fondazione Accademia dell’Artigianato. Tra i vanti della chiesa vi è la Madonna con il Bambino di Giovanni Battista Cima da Conegliano, eseguita nel 1504, oggi ospitata nel Museo Nazionale Atestino (nel sito originale vi è ora una copia). I recenti lavori, diretti dall’architetto Giorgio Galeazzo, hanno riguardato in particolare il restauro della copertura, del tetto e delle capriate. In particolare, vi è stato un importante intervento per il recupero della funzionalità statica di quattro capriate in legno della navata maggiore mediante movimentazione manuale, assestamento della sede muraria di appoggio e ricollocazione in asse per il ripristino della corretta funzionalità del manufatto. Durante i lavori si sono resi necessari interventi straordinari che hanno riguardato gli apparati di fondazione di murature perimetrali e colonne, dovuti a situazioni di dissesto strutturale e lesione a vari livelli di profondità, che hanno imposto una maggiore estensione dell’opera di consolidamento, il rinforzo strutturale di alcune capriate della navata maggiore, l’integrale so- CONSOLAZIONI Ma un completo recupero sarà ancora lungo Di nuovo agibile l’antica chiesa stituzione di travi portanti in legno e struttura secondaria di ripartizione della copertura della navata laterale, il recupero funzionale e sistemazione della lanterna in copertura della Cappella della Concezione. Si è resa necessaria la cucitura localizzata di sicurezza di archi murari con inserimento di barre in acciaio inox di circa cinquanta centimetri, a raggiera, con perforazione, inserimento e solidarizzazione della cavità. Per la copertura del tetto si è provveduto alla rimozione, sabbiatura e ricollocazione delle tavelle laterizie esistenti, alla posa di nuovi coppi antigelivi per la parte inferiore della copertura (coppi canale) e al recupero, per quella superiore, dei coppi originari con cernita dei pezzi riutilizzabili e sostituzione di quelli troppo danneggiati con vecchi coppi “a mano”, analoghi a quelli esistenti, in accordo con le prescrizioni della Soprintendenza. L’importo finale dei lavori realizzati è stato di 860 mila euro. La chiesa è ora accessibile in sicurezza, ma sarà aperta solo per visite guidate. Restano da fare importanti interventi come il recupero del campanile e della navata laterale, nonché il restauro complessivo dell’apparato decorativo e degli altari, per i quali sono ancora da reperire le necessarie risorse. LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 Esterestauri 왗 IX DUOMO Verso la conclusione il primo stralcio dei lavori Il restauro di Santa Tecla 왘 Il duomo di Santa Tecla in Este eseguiti sono solo il primo stralcio sto. I lavori sono stati eseguiti dalè un complesso monumentale di un più ampio progetto di inter- l’impresa Edilrestauri di Brendola di eccezionale interesse reli- vento approvato fin dal 2008 per (Vicenza) e sono in via di ultimagioso e culturale, realizzato tra il contrastare il diffuso degrado delle zione. 1690 e il 1702 su progetto dell’ar- superfici, un dissesto strutturale che La grande importanza del mochitetto veneziano Antonio Gaspari tuttavia non era eclatante, con feno- numento ha richiesto un rigoroso (165-1723), già collaboratore di meni di umidità di risalita e migra- iter preliminare per approfondire la Baldassare Longhena e zione all’esterno dei conoscenza dell’intero complesso e ammiratore del Pallasali. dei comportamenti strutturali, nonL’importante dio e del Bernini. A lui All’esterno, gli ché di analisi e mappatura del demonumento si deve l’originale estesi paramenti lateri- grado, al fine di effettuare scelte religioso e culturale pianta a ellisse, con zi della facciata princi- progettuali efficaci e coerenti. fu eretto alla fine profondo presbiterio e pale risultavano sog- L’impegno dei progettisti è stato del Seicento orientamento centragetti a un deteriora- quello di operare per mantenere ausu progetto lizzato di tutte le capmento di superficie le- tentici i caratteri e la materialità pelle radiali. gato ai cicli gelo-di- delle architetture, senza alterarle o del veneziano L’edificio è coperto sgelo, e anche il batti- modificarle inutilmente tramite peAntonio Gaspari da una cupola ovale stero presentava super- ricolose interpretazioni dei “valori” sostenuta da travature e costoloni in fici esterne intonacate in avanzato storici, artistici o estetici, che sono legno, mentre il presbiterio si con- stato di degrado. All’interno, la ma- sempre soggettivi e quindi falsanti. clude con un’altra abside semiellit- nutenzione operata nel corso dei seIl progetto del primo stralcio di tica ed è coperto da una cupola in- coli, con la stesura di intonaci, ave- lavori, ormai in via di conclusione, nestata su un alto tamburo. Le cap- va modificato le origiha previsto interventi pelle radiali della navata sono otto, narie superfici. di restauro conservatiLe strutture le quattro centrali uguali e poco L’importo comvo del complesso del dell’edificio profonde, due con una sezione qua- plessivo del primo duomo di Santa Tecla risultavano affette drangolare più profonda, le due stralcio di lavori amcon opere sia interne da patologie simmetriche al presbiterio più ela- monta a 2 milioni di che esterne: per queste di degrado borate, con un’abside semiellittica euro, finanziati per ultime si è trattato in rilevanti di fondo, due absidiole parietali e metà dalla fondazione particolare del restauro cupola. Cassa di risparmio di delle facciate, esteso ma nella norma Le strutture dell’edificio risulta- Padova e Rovigo, per per un antico edificio anche all’adiacente vano affette da patologie di degra- 500 mila euro dalla retorre campanaria. Sodo piuttosto rilevanti, ma sostan- gione del Veneto e per 250 mila eu- no state effettuate opere di lavagzialmente riconducibili a normali ro ciascuno da provincia di Padova gio, applicazione biocida, ristilatura fenomeni degenerativi degli edifici e parrocchia di Santa Tecla. L’im- giunti e protezione finale. Quanto antichi. Un intervento di restauro porto complessivo è stato rispettato alla copertura, il progetto ha previera ormai non rinviabile e i lavori e non vi sono stati aumenti di co- sto un intervento di risanamento che ha interessato sia il manto in coppi che la struttura lignea del sottotetto. Internamente, le opere hanno riguardato sia il controsoffitto (con interventi tanto all’intradosso che all’estradosso) che il paramento murario di raccordo tra lo stesso e il primo cornicione. Relativamente alle vetrate il progetto prevede il recupero con interventi riguardanti sia la parte lignea (telai) che quella vetrata. Il primo stralcio dei lavori ha richiesto un rigoroso iter di studio al fine di compiere le migliori scelte progettuali. L’impegno è stato quello di mantenere autentici i caratteri e la materialità delle architetture del duomo. Sono state eseguite opere di restauro conservativo tanto esterne che all’interno, dalla pulizia dei muri al risanamento della copertura. Facciata restaurata Palazzo da Lesa sede della Canonica di Santa Croce in Corso Vittorio Emanuele II Padova. Rifacimento interno (prima e dopo) di parte di un tetto con travi a vista. Ricostruzione di tratto di mura di cinta perimetrale di Villa Pisani di Strà, danneggiata dalla caduta di un albero. PALLADIO RESTAURI SRL Via Palladio 11/2 - 35020 S. Angelo di Piove di Sacco (PD) - Tel. e fax 049.8024676 e-mail: [email protected] - www.palladiorestauri.it Attestazione n° 12782/04/00 del 25.06.12 Cat. OG1 class. II - OG2 class. III/bis - OS2 class. I Certificato norma UNI EN ISO 9001:2008 n. 3191/0 Esterestauri 왗 LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 CARMINE Si avviano alla conclusione i lavori di consolidamento La facciata era a rischio crollo edilizia & restauri IL PARROCO La chiesa per ora rimane chiusa al culto Nuova sfida: risanare l’interno fatto la prima parte, ora serve provvedere alla seconda 왘 «Abbiamo per la quale auspichiamo di trovare le risorse necessari», afferma il parroco mons. Lorenzo Mocellin, comunque soddisfatto dei lavori svolti, durante i quali si sono affrontate situazioni impreviste e sono state fatte indagini accurate e trovate soluzioni originali e ad hoc. «Abbiamo potuto beneficiare di un finanziamento pubblico di 266 mila euro con i quali abbiamo messo in sicurezza la facciata, che era a rischio di ribaltarsi verso la strada, e il campanile, dal quale avevamo dovuto tirare giù le campane ancora prima che il terremoto del 2012 ne aggravasse le condizioni. E abbiamo recuperato il tetto. Tutto restando all’interno del budget». La chiesa rimarrà probabilmente chiusa perché anche l’interno, con il pregevole pavimento in terrazzo alla veneziana a rombi alternati bianchi e rossi, i soffitti a cassettoni e i due altari, dovrà essere restaurato. 왘 È ormai in sicurezza la chiesa della Madonna del Carmine di Este, tra viale Fiume e via Molini. Sono infatti terminati i lavori più urgenti necessari alla messa in sicurezza dell’esterno, in particolare la facciata e il campanile, che erano a serio pericolo di crollo. L’edificio, risalente al Seicento (una lapide riporta la titolazione e una possibile data di costruzione, 1610), è di piccole dimensioni e presenta una pianta longitudinale a unica navata con un altare su ciascun lato. Pregevole è il controsoffitto ligneo a cassettoni, finemente decorato, anch’esso oggetto di restauro. Progettista e direttore dei lavori, che non sono ancora conclusi, per la parte architettonica è l’architetto Michele Brochin, mentre per la parte strutturale l’ingegner Roberto Boscolo, esecutrice la ditta Edilrestauri. «L’edificio è costruito con muratura mista – spiega Brochin – in pietra e laterizio, con prevalenza del primo, come ancora oggi si può vedere nelle pareti laterali conservate. Nel Settecento fu eseguito un ampliamento che comportò un nuovo prospetto, oltre al controsoffitto. È a seguito di questo intervento che sono venute a crearsi le condizioni di criticità dell’attuale struttura». L’intervento eseguito è stato di natura strettamente conservativa, volto alla messa in sicurezza del bene immobile, con riutilizzo di materiali e tecniche applicative conformi a quelli in opera e a suo tempo impiegati, in modo da non snaturarne la testimonianza storica. «Sono stati realizzati interventi mediante l’impiego di materiali e tecniche più attuali (acciaio, inghisaggi, iniezioni), solo ove strettamente necessario e applicati seguendo i principi della reversibilità senza alterare l’immobile», prosegue Brochin. Il prospetto rivelava la principale criticità. Costruito in mattoni pieni, era in fase di ribaltamento verso la strada (nelle pareti longitudinali erano presenti fessure diagonali dal livello di gronda fino alla base). Si è proceduto quindi all’ancoraggio con SANTA MARIA DELLE GRAZIE Rinnovati gli impianti, le strutture e le finiture La scuola dell’infanzia come nuova come nuova la scuola del왘 Torna l’infanzia Santa Maria delle Grazie, alle spalle dell’omonima basilica e santuario, per cui si sono ormai conclusi i lavori del primo e più importante stralcio di ristrutturazione, condotti in modo da non interrompere l’attività scolastica. L’edificio in cui è collocata la scuola si compone di due blocchi edilizi diversi per struttura, periodo di costruzione e altezza. La parte più recente risale agli anni ’60 del Novecento. Il complesso presentava evidenti segni di vetustà che hanno richiesto un intervento generale sia di adeguamento alle mutate normative, sia di natura edile, impiantistica, distributiva dei locali e di finitura. Tra gli ultimi “imprevisti” in ordine di tempo, il pavimento al piano terra si era alzato gonfiandosi verso l’alto e anche quello al piano primo si era sollevato in più punti per la perdita di consistenza e coesione del massetto di sottofondo. Poiché è apparso chiaro che tali interventi non si potevano condurre senza una revisione critica della struttura, si è dato seguito a una progettazione complessiva tesa a ricondurla all’interno degli standard di settore, riorganizzando e riarmonizzando gli spazi e gli assi distributivi. Progettista e di- le retrostanti pareti laterali e all’inserimento di catene di ferro nella parte sommitale di gronda. Quanto al tetto settecentesco, a capriate con un passo piuttosto fitto, era mancante di quella travatura lignea di ripartizione e collegamento che avrebbe consentito un sistema intelaiato completo e un’adeguato appoggio per l’orditura secondaria. Gravato dal peso di tavelle e coppi, era anch’esso in uno stato di criticità derivante dalla discontinuità della struttura fondazionale e pure della tessitura muraria. Si è proceduto quindi al rinforzo delle fondazioni, con un anello di contenimento sui tre lati seicenteschi a conferire resistenza anche alle spinte orizzontali. Nel tetto il risanamento e rafforzamento ha affiancato il restauro e la conservazione dell’orditura principale, riscontrata peraltro in buono stato di conservazione generale a seguito delle indagini specialistiche condotte. L’intervento ha anche riguardato la protezione di tutte le teste delle capriate e la sostituzione di parte della struttura secondaria ove erano presenti situazioni di degrado avanzato. LA FINITURA Il marmorino nel campanile di restauro della chiesa della Madonna 왘 L’intervento del Carmine ha provveduto a ripristinare anche la fini- rettore lavori è stato l’architetto Michele Brochin, assieme agli ingegneri Roberto Boscolo per la parte strutturale e Serena Stellin per il progetto dell’impianto elettrico, e Giovanni Michelotto per la parte termoidraulica. I primi interventi sono consistiti nella rimozione di pavimenti ormai fatiscenti, massetti, serramenti e intonaci impropri, della scala interna e di alcune pareti divisorie. Si è quindi proceduto a interventi di abbattimento di barriere architettoniche e adeguamento ai parametri energetici (rifacimento impianti obsoleti e isolamento termico dell’involucro edilizio per elevare la categoria energetica). Si è prestata molta attenzione al grado di confortevolezza degli ambienti con impianto di riscaldamento, a pavimento, fono assorbenza all’interno delle stanze, favorendo un’elevata illuminazione naturale e installando quella artificiale calibrandola sugli spazi in modo da garantire uniformità di intensità luminosa. Di grande impatto originale è l’avancorpo esterno, nuovo ingresso alla scuola, divenuto l’elemento caratte- rizzante dal punto di vista estetico con la sua parete curva, le superfici vetrate, l’area per l’intestazione dell’istituto e la funzione di cerniera tra i due corpi di fabbrica. All’interno contiene l’elevatore, prima mancante, e un ulteriore collegamento verticale tra i piani. Venendo alla ricollocazione degli spazi, va segnalato lo spostamento della zona refezione dal piano primo a quello terra con individuazione di un unico settore che comprende anche il blocco dei servizi igienici per gli allievi e dell’operatore della cucina nonché la dispensa. Adiacente all’ingresso è stato individuato un grande locale guardaroba (prima ripartito tra piano terra e superiore, lungo il corridoio), l’ufficio di direzione si trova ora al piano terra e le tre sezioni sono tutte al primo piano. La sezione «primavera» ha ora un suo ambito specifico ed è direttamente connessa con gli spazi collettivi della scuola dell’infanzia, ma è dotata di una propria autonomia funzionale e organizzativa. La separazione con la parte rimanente della scuola può essere, se serve, eseguita con una parete mobile. Un nuovo avancorpo esterno funge da rinnovato ingresso al plesso e raccorda i due blocchi di cui si compone la scuola. All’interno si è rivista la distribuzione dei locali: oggi c’è l’ascensore, nuove scale, una diversa area mensa, blocchi sanitari rinnovati, grande attenzione al confort. tura esterna della chiesa e del campanile. «Dopo accurate analisi e il prelievo di campioni in più punti ci si sente di affermare che la chiesa seicentesca era tutta di aspetto bianco – rivela l’architetto Michele Brochin – in parte con finiture a marmorino, ma per le parti più estese o prive di ornamenti con pittura a calce. Nel Settecento, con la nuova impostazione data alla chiesa, deve essere stata ripresa l’originaria finitura a marmorino bianco per la facciata principale. Si sono trovati infatti lacerti di marmorino al di sotto delle ogive del campanile, ma di diversa composizione e soprattutto su supporto completamente diverso, con tutta probabilità proprio quello originario della chiesa del Seicento. Tale supposizione è avvalorata dall’esame della fattura delle ogive: sono irregolari nella forma, non compatibili con l’esecuzione delle cornici dalla cella campanaria in su. Pertanto l’intervento settecentesco, oltre a riguardare la nuova facciata data alla chiesa e la revisione delle forometrie sui fianchi, ha modificato anche la parte terminale del campanile dalla cella campanaria in su». Con l’occasione del restauro si è anche rinnovato il sistema di controventamento delle statue sul frontone della chiesa, una delle cause di degrado degli elementi lignei della copertura perché aveva favorito infiltrazioni di acqua piovana, con bloccaggio di possibili cadute delle statue stesse verso la strada o la chiesa. A questo si è aggiunto l’intervento di pulizia e risanamento del materiale lapideo. 왘Brevemente 왘 XI XII restaurisaccisica edilizia & restauri I bombardamenti alleati avevano già costretto a rifare nel dopoguerra il controsoffitto. Grazie al sistema dei ponteggi, l’intervento è stato realizzato senza interrompere l’attività liturgica LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 PONTELONGO Restaurati i danni al tetto causati dal terremoto del maggio del 2012 Nuovo il controsoffitto dopo 50 anni La chiesa di Sant’Andrea Apo- stolo a Pontelongo, eretta sulla riva destra del Bacchiglione come nuova parrocchiale nell’anno 1902, fu benedetta nel 1911 assieme al campanile e alla canonica ora demolita. Consta di una sola navata ma di cinque altari e presenta uno stile di ispirazione tardorinascimentale di proporzioni serene e equilibrate, ben dialoganti con la volta che evidenzia il rimando allo stile barocco. L’evento sismico verificatosi nel maggio del 2012 aveva prodotto alcune lesioni strutturali particolarmente evidenti sul controsoffitto dell’edificio, costruito a suo tempo con una profusione di mezzi e di costi che oggi lascia stupiti. Così, a poco più di cento anni dalla costruzione della chiesa, il 17 febbraio scorso la benedizione del parroco, don Aldo Manfrin, aveva dato avvio al cantiere per la ricostruzione del controsoffitto. Si è trattato del secondo grande intervento subito dalla copertura della chiesa dopo quello realizzato in seguito ai danni causati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, finalizzati a colpire lo zuccherificio, la ferrovia e il ponte sul Bacchiglione. Dai riscontri realizzati si sono potuti comprendere oggi gli interventi di rinforzo realizzati allora sulle capriate della copertura e le modalità con cui era sta- to sostituito l’originario controsoffitto con dei pannelli di eraclit (pannelli in lana di legno) intonacati con calce. Quanto ai restauri attuali, «la predisposizione di un grande ponteggio interno – spiega l’architetto Roberto Martin, progettista e direttore dei lavori – ha consentito di realizzare un piano di posa a dieci metri dal pavimento, appena al di sopra della rete anti-caduta che era stata prontamente realizzata, pochi giorni dopo il terremoto, per garantire la sicurezza della sottostante navata permettendo l’agibilità dell’edificio. Proprio per rendere utilizzabile e senza interferenze di cantiere il sottostante spazio liturgico, si era provveduto anche alla costruzio- ne di un ponteggio esterno, realizzato sino alla sommità dell'edificio, che ha consentito uno specifico accesso al piano di lavoro interno». I lavori sono quindi proceduti con il lievo e lo smantellamento del controsoffitto esistente e la pulitura della struttura lignea della copertura e del controsoffitto stesso, con un trattamento antitarlo. «Le indagini e le verifiche tecniche – prosegue l’architetto Martin – hanno poi determinato le modalità e la qualità del progetto di rinforzo strutturale, operato sul vecchio controsoffitto, con l’obiettivo di conservare integralmente l’originale struttura lignea. Si è quindi proceduto a realizzare il nuovo controsoffitto con identica sagoma di quello originario. Si è trattato di posare in opera una controsoffittatura costituita da lastre prefabbricate predisposte e appositamente sagomate, in modo da ricostruire nella navata la volta a botte ribassata e le lunette in gesso alabastrino. Le lastre sono armate e sospese con tondini di acciaio zincato, fibrate e saldate con cardato di manila (canapa)». L’opera, completata con la finitura di tutta la superficie a vista con uno strato di apposito rasante, la stesura di una mano di fondo aggrappante e di due di pittura traspirante a base di calce, ha avuto un costo complessivo di circa 180 mila euro. restaurisaccisica 왗 XIII LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 SANTA MARGHERITA Terminati i lavori di risanamento delle parti esterne Riapre il museo delle idrovore 왘 Sono ormai conclusi i lavori di re- In seguito a questi ultimi avvenistauro che hanno riguardato la menti fu quindi deciso che, oltre al rigrande idrovora di Santa Marghe- pristino di quanto era stato danneggiato, rita, nell’omonima frazione di Codevi- si dovesse procedere a bonificare i tergo. Il potente impianto fu reni paludosi dell’area grarealizzato tra il 1886 e il zie a un progetto di deflusso L’impianto 1887 per contrastare i contidi Santa Margherita delle acque verso un bacino nui allagamenti all’area deldi raccolta: per la sua posidi Codevigo la Saccisica dovuti agli inzione ottimale fu scelta aprisale al 1886-87 terventi che avevano deviapunto la località di Santa e ancora oggi to il corso del Brenta. Le Margherita Calcinara, in cosono in funzione condizioni idrauliche e igiemune di Codevigo. Le acniche non erano più sopporque qui convogliate (canale alcune pompe tabili dalla popolazione, nel Schilla) dovevano essere degli anni Trenta 1882 il Brenta e il Bacchisollevate meccanicamente glione avevano rotto le arginature inva- per farle defluire nella laguna. In tale dendo tutto il territorio consorziale, al- modo si riuscì a recuperare quei terreni, lagandolo per parecchi mesi e danneg- in parte vallivi, soggetti a continui allagiando anche gran parte della rete dei gamenti che causavano tutti gli anni canali di scolo. perdita totale o parziale dei raccolti. Il complesso idraulico di Santa Margherita si componeva in origine di tre fabbricati: l’edificio principale che ospitava l’impianto di sollevamento idrico, l’alloggio per il macchinista e il fuochista, il deposito per il carbone o carbonaia. L’impianto di sollevamento idrico era composto da quattro caldaie, una motrice e una ruota idrovora a schiaffo del diametro di 11 metri e larga 2,8 metri, che all’epoca era considerata la più grande al mondo ed era in grado di sollevare cinque mila litri d’acqua al secondo. L’impianto originario, elettrificato nel 1917, fu demolito e sostituito nei successivi anni Trenta da più moderni gruppi pompa centrifuga mossi da motore diesel. Oggi l’impianto è ancora in funzione, conta cinque pompe centrifughe distribuite in tre diverse sale (in una sono ancora in funzione pompe e motori degli anni Trenta) ed è in grado di sollevare, a seguito degli ultimi recenti lavori, 13.500 litri d’acqua al secondo del canale Schilla. Restaurata nel 2002, l’ex carbonaia ospita il museo delle bonifiche. L’intervento che si sta concludendo ha previsto il risanamento delle facciate esterne del fabbricato principale ed è stato reso possibile dai fondi comunitari messi a disposizione dal Gal Antico Dogado (euro 100 mila, misura 323/a azione 3 - valorizzazione e riqualificazione del patrimonio rurale) e altri 28 mila del Consorzio di bonifica Bacchiglione. L’importanza dell’intervento de- riva anche dall’attenzione estetica con cui sono stati costruiti gli edifici dell’impianto, i quali appaiono molto curati nei dettagli e nelle finiture pur trattandosi di un sito industriale: un esempio è dato dalle finestre ad archi ribassati in mattoni faccia a vista, impostati su blocchi di pietra con davanzale anch’esso in pietra, e dalla presenza in tutti gli edifici di cornici, fasce marcapiano e intonaco ocra a fasce rosso, quest’ultimo elemento caratterizzante gli edifici originari. Con la chiusura ormai prossima del cantiere, prevista per la fine del mese di ottobre, l’impianto idrovoro con l’annesso museo della bonifica tornerà di nuovo a essere riaperto al pubblico per le visite. Per ulteriori informazioni: www.consorziobacchiglione.it tel. 0498751133. La grande idrovora fu costruita a seguito dell’alluvione del 1882 per preservare dalle acque un’ampia fetta di territorio che andava regolarmente sott’acqua, con gravi danni e perdita dei raccolti. Oggi ospita il museo della bonifica. EDILIZIA DE ZUANI PAOLO Palazzo Chiericati, Vicenza materiali edili - isolanti materiale per il recupero edilizio isolanti termoacustici coperture impermeabilizzanti materiali per il giardinaggio AUTOTRASPORTI CONTO TERZI CON MOTOCARRO E AUTOCARRO CON GRU Santuario di Caravaggio, Bergamo Basilica di San Pietro, Vaticano Tarsie di Giunio Basso, Roma Scuola di Santa Maria della Carità, Padova Cattedrale di Aosta Duomo di Montagnana Oltre venti anni di attività al servizio del Beni Culturali nel segno dello studio progettuale propedeutico, dell’aggiornamento tecnologico e della qualità operativa del restauro VERMICULITE ARGILLA ESPANSA Padova - Via Achille De Giovanni 7 Tel. 049.754280 www.ediliziadezuanipaolo.com Via Dell’Impresa 1 - 36040 Brendola (VI) - Tel. 0444.348180 - Fax 0444.348181 e-mail: [email protected] Via dei Polenta 2 - 00164 Roma - Tel. e Fax 06.66152547 www.edilrestaurisrl.it XIV restauri&cultura edilizia & restauri I lavori erano iniziati negli anni Novanta ma sono stati rallentati da alcuni imprevisti e altre lungaggini. Fiore all’occhiello della nuova biblioteca è il fornito e accogliente spazio per i bambini LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 BAGNOLI DI SOPRA Dopo lunghi restauri l’edificio, di proprietà comunale, torna agibile La biblioteca nel palazzo dei Gurian Ha una nuova e prestigiosa sede la biblioteca comunale di Bagnoli di Sopra, traslocata a villa Gurian, palazzetto ottocentesco da poco restaurato, che si affaccia sulla piazza del centro storico. «Lo stabile – spiega il sindaco Mario Rasi – era stato acquisito dal comune di Bagnoli ancora negli anni Ottanta del Novecento, con una prima ipotesi di recupero a uso residenziale. In seguito si è invece fatta strada l’idea di trasferirvi la biblioteca comunale, che si trovava sacrificata in alcuni stretti ambienti del municipio. Il cantiere si è quindi aperto nel decennio successivo, ma i lavori sono stati più volte rallentati da imprevisti e lungaggini. La soddisfazione per la recente inaugurazione dell’edificio è dunque oggi il frutto della grande costanza, dell’impegno e del sacrificio da parte di tutte le amministrazioni politiche e dei tecnici comunali che si sono succeduti in questo lungo ventennio». Il travagliato recupero del palazzetto si è potuto avvalere degli studi della ricercatrice Leda Borghero, protagonista di un puntuale lavoro d’archivio sull’architettura dell’edificio e sui suoi primi proprietari e autrice del volume La Famiglia Gurian a Bagnoli di Sopra. Storia di una comunità rurale nell’Ottocento veneto (collana Bagnoli di Sopra Storia e Arte, Brigo editore, dicembre 2013). Punto di partenza è stato Dal 1921 specializzata nella fornitura e lavorazione di pietre naturali adatte all’esterno in climi freddi e piovosi (in particolare la Trachite Grigia Classica di Montemerlo, che è dotata di un eccezionale potere antiscivolo), sia per pavimenti, sia per rivestimenti, CAVE PIETRA MONTEMERLO SRL utilizza le sue conoscenze per reperire e consigliare nuovi materiali (trachite gialla, grigia e bicolore, pietra naturale, granito, basalto, porfido...) e lavorazioni adatte a tali condizioni, che permettono di ben figurare nell’ambito dell’arredo urbano e dell’edilizia, coniugando qualità delle opere e benessere per cittadini-pedoni di città così più vivibili. un documento di inizio Ottocento, tratto dal censimento austriaco, che attesta l’attuale assetto di villa Gurian rispetto a spazi più modesti preesistenti dal secolo precedente. «Il restauro – conferma Antonio Zogno, l’architetto responsabile dei lavori – ha mantenuto l’ultimo impianto veneziano ottocentesco del palazzetto, che presenta il classico salone centrale, sul quale si aprono le stanze laterali, e un vano scala. Tutto il lavoro si è comunque articolato sulle tracce della prima vecchia casa, meno estesa in verticale e in profondità, senza annessioni laterali». Sono stati poi fatti risalire al primo dopo guerra altri ritrovamenti, come il pavimento del piano terra, resti di decori pittorici nello spazio centrale superiore, vari strati di intonaci e modifiche su aperture e camini. Si è scelto quindi di lasciare i soffitti a vista nei saloni, mantenendo e consolidando gli altri in legno. «Alle pareti abbiamo utilizzato intonaci traspiranti a base di calce – prosegue Zogno – rispetto a quelli cementizi del secolo scorso, mentre pavimenti, serramenti e altri rivestimenti sono stati completamente rifatti per contenere la dispersione termica. È stato inoltre riedificato un basso fabbricato originario, con tetto spiovente che segue l’andamento del muro di cinta sul fronte strada, da cui ora si accede alla biblioteca». L’atrio d’ingresso della biblioteca ospita oggi la tela materica dell’artista locale Gianni Turin e introduce alla reception, adiacente a una zona computer. I vani circostanti sono dedicati a varie sezioni di libri, tra cui spicca quella per i più piccoli, arredata a tinte vivaci e con sedute morbide, per ospitare anche laboratori e animazioni alla lettura. La sala al piano superiore può inoltre adattarsi a zona convegni, mentre un soppalco che vi si affaccia è destinato ad archivio e ad ospitare altre postazioni multimediali. Laura Bozza A lato Trachite di Montemerlo Chiostro Beato Luca Basilica del Santo Padova A sinistra Pavimento in trachite di Montemerlo Sala partenze Aeroporto Marco Polo VE Sopra - Vialetto in trachite di Montemerlo Chiostro interno Basilica di Santa Giustina, Padova Trachite, Granito ed altre Pietre Naturali Montemerlo di Cervarese Santa Croce - 35030 - PD T. 049.9900197 Fax 049.7985274 [email protected] www.cavepietra.it restauri&cultura 왗 XV LA DIFESA DEL POPOLO 26 OTTOBRE 2014 EREMITANI L’illuminazione che c’è ma che non si vede MONTAGNANA Restauri al duomo La chiesa di nuovo confortevole Un concerto celebra i nuovi restauri 왘 concerto in programma venerdì 24 otto왘 Un bre nel duomo di Santa Maria Assunta a Mon- Fino a qualche anno fa assistere alla messa invernale nella chiesa degli eremitani era come fare un tuffo indietro nel tempo: freddo e buio riportavano a epoche in cui il riscaldamento non esisteva e le lampade erano a olio. Un finanziamento regionale ha permesso di intervenire su questi due aspetti e da qualche tempo la chiesa ha un grado di comfort che ne ha permesso il completo utilizzo. «Sono stati spesi 600 mila euro, ne servirebbero quasi altrettanti per completare il progetto, ma ora possiamo utilizzare la chiesa con la sua grande navata. Solo le messe infrasettimanali continuiamo a celebrarle nell’antica sagrestia», spiega il parroco don Lucio Guizzo. La chiesa degli Eremitani, nota nel mondo soprattutto per la cappella Ovetari con gli affreschi del Mantegna in gran parte distrutti durante la seconda guerra mondiale, fu eretta verso il 1276. Tuttavia una cappella vi esisteva sicuramente prima (i frati Eremitani giunsero in città verso il 1220-30) e una lapide incastonata nel pilastro a destra dell’altare maggiore cita come anno di fondazione il primo maggio 1264, giorno a quel tempo dedicato ai santi Flippo e Giacomo ai quali la chiesa è, non a caso, intitolata. Si trattava probabilmente della prima chiesa in muratura, poi sostituita dall’attuale tempio: per questo nel 2014 la parrocchia ha festeggiato i 750 anni di fondazione della chiesa. Particolare interesse riveste la nuo- va illuminazione che ha permesso di valorizzare l’intero edificio. Del precedente impianto sono state conservate solo le lampade a parete lungo la navata e nelle cappelle, e il sistema di luci della cappella Ovetari. Il nuovo impianto invece è completamente a led e ha la particolarità di essere quasi invisibile a luci spente: si è riservata infatti molta cura a fare sì che le lampade fossero poco riconoscibili e integrate nella struttura. Un pannello computerizzato ha permesso di impostare tutta una serie di programmi di illuminazione diversificati a seconda delle ore del giorno e delle condizioni del tempo, nonché per le necessità delle celebrazioni. Molto suggestiva è l’illuminazione soffusa della parte centrale del soffitto che permette di apprezzarne la struttu- ra lignea a carena di nave. Anche le cappelle laterali ne hanno guadagnato sensibilmente, ma per completare il progetto manca l’illuminazione ad hoc dei monumenti della navata e il potenziamento dei fari del soffitto, nella zona verso l’uscita e ai lati. L’altro importante intervento è stato quello all’impianto di riscaldamento, ad aria, rifatto utilizzando però le vecchie canalette nel pavimento ai lati della navata. Ora è possibile regolare la temperatura e l’umidità, rilevate da appositi sensori, nei vari punti della chiesa. D’inverno non si scende sotto i 13 gradi, durante le celebrazioni si raggiungono almeno i 17. Per abbattere i consumi, tuttavia, servirebbe ora intervenire e raddoppiare le bocchette di aerazione. MELATO geom. francesco e ilario s.r.l. impresa edile tagnana celebra i nuovi restauri che hanno contribuito a recuperare e valorizzare uno dei più importanti edifici dell’area a sud degli Euganei. «Tra i lavori impegnativi eseguiti – racconta don Renzo Zecchin, arciprete del duomo – vi è il restauro di alcune opere, l’illuminazione totalmente nuova e il restauro delle sagrestie». I lavori sono stati realizzati con il contributo straordinario della Fondazione cassa di risparmio di Padova e Rovigo. Prima del concerto, alle ore 20.30, verrà fatta «memoria» degli interventi e del lavoro compiuto. Verrà anche scoperta una targa commemorativa degli avvenuti restauri. A suonare sarà invece, alle ore 21, l’orchestra Santo Stefano di Vicenza con la corale Martinelli Pertile di Montagnana, direttore il maestro Paola Barri. In programma l’esecuzione di musiche sacre di Verdi, Mozart, Businaro, Vivaldi e Haendel. COSTRUZIONI RISTRUTTURAZIONI RESTAURI PROGETTAZIONE Riqualificazione energetica degli edifici intervenendo su tetti, murature, serramenti, impianti, comprese pratiche per ottenimento sgravi fiscali Risanamento muratura con barriera chimica e intonaci deumidificanti contro l’umidità di risalita IMPRESA EDILE MELATO GEOM. FRANCESCO E ILARIO S.R.L. Via B. Bordone 14 - 35134 PADOVA - Tel. e Fax 049.8710894 Tel. 049.619854 - 336.668874 - [email protected] - www.impresaedilemelato.it L’alta facciata del duomo di Montagnana.
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