Gli Stati e il ricorso alla forza armata Abolizione della libertà di ricorso alla forza armata Sul tema occorre riferirsi a 3 tappe fondamentali: 1. Patto (Convenant) della Società delle Nazioni 2. Patto Kellogg – Briand 3. Sentenza del Tribunale di Norimberga Situazione precedente: prima del Patto della Società delle Nazioni gli Stati godevano di un’ampia libertà di ricorso alla guerra (ius ad bellum). La guerra costituiva il mezzo di risoluzione della controversie internazionali ed era disciplinata nelle modalità dal cd. ius in bello. Per ricorrere alla guerra lo Stato non doveva necessariamente essere assistito da un titolo giuridico, mentre per esercitare mezzi diversi dalla guerra (rappresaglia, blocco pacifico, intervento) occorreva la dimostrazione di un titolo giuridico. Si aveva per tanto: - illimitato ricorso alla guerra - limitato ricorso a misure coercitive diverse Patto (Convenant) della Società delle Nazioni: al riguardo si rilevano i seguenti articoli: Art. 10 in base al quale gli Stati si obbligavano a rispettare e a proteggere contro ogni aggressioni esterna l’integrità territoriale e l’attuale indipendenza poltica. Gli Stati si impegnavano in dati casi a non ricorrere alle armi. Art. 12 sanciva una moratoria e due divieti assoluti: 1. moratoria: gli Stati che potevano in una data situazione arrivare alla guerra erano tenuti a rispettare 3 mesi dalla decisione arbitrale o giudiziale della Corte Permanente di Giustizia Internazionale o dalla relazione del Consiglio della Società delle Nazioni. 2. divieti assoluti: (a.) concerneva il divieto di muovere guerra allo Stato che si fosse conformato alla lodo o alla sentenza della Corte Permanente di Giustizia Internazionale; (b.) concerneva il divieto di muovere guerra allo Stato che si fosse conformato alla relazione del Consiglio della Società delle Nazioni presa all’unanimità. Per tanto la guerra era possibile tutte le volte in cui lo Stato non si fosse conformato alle decisioni (a.) o (b.). In oltre il Patto considerava solo la guerra tralasciando di disciplinare il ricorso a mezzi di autotutela diversi dalla guerra. Patto Kellogg – Briand: denominato anche Patto di Parigi consta di due soli articoli in cui si stabilisce: 1. la rinuncia e la condanna alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali 2. il proposito di risoluzione pacifica delle controversie Il Patto tuttavia non prendeva posizione sulle cd. measures short of war. Sentenza del Tribunale di Norimberga: il tribunale venne istituito nel 1945 con il Patto di Londra. In esso: 1. la guerra di aggressione è condannata come crimine internazionale 2. la norma che la vieta ha carattere imperativo Statuto delle Nazioni Unite: il punto centrale è rappresentato dalla definizione di forza che vuole ricomprendere anche le misure di autotutela diverse alla guerra. Fonti rilevanti: sono costituite da - disposizioni sull’uso della forza rivolte agli Stati: in particolare gli artt. 2, par. 4 (divieto); 51 (eccezioni per legittima difesa individuale e collettiva); 107 (eccezioni per azioni contro gli Stati ex nemici) - disposizioni sul sistema di sicurezza collettiva: in particolare ci si riferisce a quanto contenuto nel Capitolo VII - disposizioni sull’uso della forza riferite alle Organizzazioni Regionali: in particolare ci si riferisce a quanto contenuto nel Capitolo VIII e che possono ricondursi all’ampio schema del sistema di sicurezza collettiva - dichiarazioni di principi dell’Assemblea Generale ONU: tali sono espresso in forma di raccomandazioni (carattere non vincolante). Tra esse rilevano: (a.) risoluzione sulle relazioni amichevoli; (b.) risoluzione sulla definizione di aggressione; (c.) risoluzione sul rafforzamento dell’efficacia del principio del non ricorso alla forza nelle relazioni internazionali - disposizioni dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa): costituite in particolare da (a.) Atto Finale di Helsinki; (b.) dichiarazione finale della Conferenza di Stoccolma; (c.) Carta di Parigi per una Nuova Europa; (d.) Documento di Budapest. Divieto di ricorso alla forza (art. 2, par. 4) Secondo la lettera di tale disposizione: “I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza sia contro l’integirtà territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite” Sulla definizione di forza: Oggetto del divieto: è costituito tanto dall’uso quanto dalla minaccia. In tale concetto sembra escludersi la cd. coercizione economica secondo un’interpretazione sistematica della Carta ONU. Si noti come il Brasile propose di qualificare il termine di forza comprensivo anche della nozione di coercizione economica. Nella Risoluzione sulle Relazioni Amichevoli la coercizione economica non è considerata nell’ambito del divieto ex art. 2, par. 4, ma nell’ambito del principio di non intervento. Nella Risoluzione sul Rafforzamento dell’Efficacia del Principio del Non Ricorso alla Forza la coercizione economica è distinta dalla forza armata ancorché sia proibita. Circa il concetto di minaccia di uso della forza occorre individuare l’estensione dello stesso: mentre l’ultimatum configura una minaccia, così un notevole armamento bellico è escluso dalla ICJ che possa costituirla salvo avere rilevanza sul piano patrizio. Discorso a parte meritano le armi nucleari in quanto occorre distinguere tra mero possesso che non costituisce minaccia e dissuasione nucleare che la costituisce. In particolare l’ICJ ha precisato che la dissuasione intanto è lecita nella misura dell’uso della forza programmata. Si esclude possa costituire minaccia o uso della forza l’esercizio di un diritto: ad esempio l’attraversamento di una stretto internazionale da parte di navi da guerra. Ambito: non tutte le minacce o gli usi della forza sono illeciti, ma solo quelli che sono esercitate in ambito delle relazioni internazionali. Sarà così vietata la minaccia o l’uso della forza in territorio soggetto ala sovranità di altro Stato e in territorio non soggetto ad alcuna sovranità (alto mare e spazio aereo sovrastante). ● Quid sulla minaccia o uso della forza su beni di uno Stato estero in territorio proprio? Al riguardo occorre considerare la Risoluzione sulla Definizione di Aggressione che considera minaccia o uso della forza quando abbia ad oggetto corpi di truppa lecitamente stanziati nel proprio territorio. In caso di aggressione di diplomatici non si incorrerà nel divieto ex art. 2, par. 4, ma in altra violazione. ● Quid sulla minaccia o uso della forza per reprimere un’insurrezione? Al riguardo sebbene non costituisca illecito, occorre però considerare l’ipotesi in cui venga in rilievo il diritto all’autodeterminazione dei popoli che siano soggetti a dominazione coloniale o razzista. In tal caso però la violazione non andrà riferita all’art. 2, par. 4 ma ad una norma ad hoc. La ICJ nella controversia USA – Nicaragua ha ritenuto che la forza usata per privare un popolo del diritto all’autodeterminazione sia da ricollegarsi al principio del non uso della forza nelle relazioni internazionali. Oggetto della forza: occorre che la forza sia rivolta contro 1. l’integrità territoriale 2. l’indipendenza politica 3. fini delle Nazioni Unite: tale precisazione consente di ampliare notevolmente l’oggetto anche quando la forza non interessi l’integrità territoriale o l’indipendenza politica. A. si è cercato di interpretare la congenza dell’art. 2, par. 4 in senso restrittivo affermando la legittimità della forza quando non interessi l’integrità territoriale o l’indipendenza politica. Tuttavia nella Risoluzione sulla Definizione di Aggressione l’integrità territoriale e l’indipendenza politica costituiscono un’endiadi che significa sovranità territoriale. Anche a voler supporre una loro mancata violazione si avrebbe comunque contrasto con i fini delle Nazioni Unite. B. altra opinione ricollega la cogenza dell’art. 2, par. 4 alla funzione del sistema di sicurezza collettiva, nel senso che gli Stati sarebbero liberi di ricorrere a forme di autotutela tutte le volte in cui manchi il sistema di sicurezza. Il divieto al ricorso della forza risulta acquisito al diritto internazionale consuetudinario. Tuttavia solo una parte del suo contenuto risulta essere ius cogens: in particolare ci si riferisce al divieto di aggressione. La precisazione è importante in quanto per tale nucleo non operano le eccezioni al divieto (cd. cause di esclusione del fatto illecito). Eccezioni al divieto ex art. 2, par. 4 dello Statuto ONU: 1. Legittima difesa: è prevista dall’art. 51, tuttavia risulta essa è norma di diritto internazionale generale. Secondo tale articolo nessuna disposizione dello Statuto ONU pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abba preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Interpretazioni: occorre rilevare come sulla prima parte dell’articolo insistano due diverse interpretazioni: (a.) Legittima difesa preventiva: si fonda sull’aggettivo naturale in quanto essendo tale diritto preesistente allo Statuto, quest’ultimo con la sua entrata in vigore l’ha lasciato impregiudicato. (b.) Legittima difesa successiva: si fonda sull’esistenza di un attacco armato che rappresenterebbe la condizione per l’esercizio del diritto. L’aggettivo naturale sarebbe solo una formula enfatica per indicare che tale diritto è connaturato all0esistenza dello Stato. Occorre osservare che il diiritto di legittima difesa preventiva era ammesso prima dello Statuto ONU e il suo contenuto era illimitato, a tutt’oggi esso risulta ristretto alla sola ipotesi di attacco armato. Derivandosi così che non già tutte le ipotesi di violazione ex art. 2, par. 4 implicano l’applicazione dell’art. 51. Nozione di attacco armato: esso è individuabile in base ai beni che esso colpisce: 1. territorio 2. beni che sono manifestazione di sovranità: sono ad esempio i corpi di truppa all’estero, le navi e gli aeromobili militari… 3. flotta mercantile o aerea civile: ciò in base a quanto è sancito dalla risoluzione sulla definizione di aggressione Non costituiscono beni verso i quali la forza esercitata configuri attacco armato: 1. cittadini all’estero 2. organi dello Stato 3. agenti diplomatici Carattere e modalità dell’attacco armato: l’attacco armato può essere condotto in forma diretta che indiretta. In quest’ultimo caso sarà condotto tramite gruppi armati che non sono rientrano nell’organizzazione politico – militare, ma che seguono le direttive dello Stato. La nozione di attacco armato indiretto è espressamente prevista nella risoluzione sulla definizione di aggressione. Non costituiscono tuttavia aggressione indiretta (a titolo esemplificativo): 1. gli incidenti di frontiera; 2. la fornitura d’armi e 3. l’assistenza logistica (NB che 2.; 3. costituiscono sempre violazione dell’art. 2, par. 4). Limiti della legittima difesa: sono costituiti da 1. necessità: sul punto si veda il caso Caroline per cui la forza è esercitabile quando sussista la necessità di legittima difesa urgente e irressistibile tale da non lasciare scelta sui mezzi e sul tempo per deliberare 2. proporzionalità: da apprezzarsi in termini non quantitativi, ma qualitativi, ossia non si richiede la perfetta simmetria tra azione e reazione. Fondamentalmente lo Stato che agisce in legittima difesa può agire al fine di indurre l’aggressore a cessare l’offesa. 3. immediatezza: tale concetto va inteso in senso elastico. Così, se uno Stato che sia sta occupato attacchi l’aggressore che nel frattempo si è ritirato eserciterà una rappresaglia. Quid in caso di Stato che reagisca contro l’occupante dopo che sia trascorso un abbondante lasso di tempo dall’occupazione? In tal caso occorre tenere in considerazione l’obbligo di risoluzione pacifica delle controversie. Per tanto lo Stato che abbia inutilmente tantato di risolvere pacificamente l’occupazione potrà agire in legittima difesa, e ciò anche per l’ovvia ragione che non si può premiare l’aggressore. Quando l’occupazione però si è consolidata nel tempo la reazione sarà carente dell’immediatezza. Al fine di stabilire il consolidamento si pensi al periodo in cui si è verificata l’occpuazione (potendosi questa essersi verificata quando la forza era ammessa) e alla posizione della comunità internazionale. Termine finale: la legittima difesa può esercitarsi fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia adottato le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, così come recita l’art. 51. Il semplice “cessate il fuoco” non integra però una misura per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Lo Stato che agisce in legittima difesa, prosegue l’articolo, è tenuto a informare il Consiglio di Sicurezza al fine di permettere un controllo da parte di questo della legittimità dell’azione. Si vuole in sostanza evitare aggressioni mascherate o di cd. secret wars. 2. Misure contro gli Stati ex nemici: è un’eccezione riservata in via individuale (art. 107) o collettiva (alle Organizzazioni Regionali art. 53). Quando è svolta dalle Organizzazioni Regionali non è necessaria l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Soggetti contro i quali tali misure possono essere intraprese sono gli Stati che furono nemici durante la II Guerra Mondiale dei firmatari dello Satuto ONU al fine di tutelarsi contro il ritorno di una politica aggressiva delle Potenze dell’Asse. Si ritiene che in forza dell’art. 2, par. 1 (principio di eguaglianza) le misure ex art. 107 non siano più attuabili verso gli Stati ex nemici che siano divenuti parte dell’ONU. 3. Consenso dell’avente diritto: anch’esso acquisito al diritto internazionale generale sostanziandosi nel brocardo volenti non fit iniuria. Quando uno Stato entri nel territorio di un altro con il consenso del sovrano territoriale non commette alcun illecito. Il consenso può avere forma orale o scritta. Requisiti: (a.) il consenso deve provenire un ente la cui manifestazione di volontà sia imputabile allo Stato in cui l’intervento ha luogo. Potrà così derivare dal governo effettivamente rappresentante. In via pratica però le cose si complicano quando abbia luogo un colpo di Stato o quando il governo per un’insurrezione non sia in grado di manifestare la propria volontà, o ancora quando il consenso sia prestato da un “governo fantoccio” che sia stato insediato dallo Stato interveniente (si veda il caso dell’Afghanistan invaso dall’URSS). (b.) il consenso deve essere validamente manifestato. Ciò significa che non deve essere affetto dai vizi della volontà (errore, violenza o dolo), e deve essersi formato secondo le disposizioni del diritto interno del sovrano territoriale. (c.) l’azione dello Stato interveniente non deve violare le norme che lo obbligano a tenere un determinato comportamento anche verso altri membri della comunità internazionale. In tal caso pur non configurando illecito verso lo Stato consenziente, si avrà illecito verso le altre parti. (d.) il consenso non deve essere contrario a norme imperative. In caso contrario si avrebbe illiceità dell’intervento per nullità del consenso. Difficile è dirsi della liceità dell’intervento in territorio altrui in virtù di Trattati, Accordi, ecc…: si pensi (1.) al Trattato di amicizia tra Francia e Monaco, dove è previsto per la Francia di intervenire al fine di mantenere la sicurezza tra i due Paesi su richiesta del Principato salvo il caso di urgenza, ovvero (2.) al Trattato di garanzia di Cipro, dove Greci, UK e Turchia hanno un diritto di intervento collettivo per garantire il mantenimento delle disposizioni fondamentali della costituzione di Cipro. L’intervento può anche avvenire in forma individuale su autorizzazione degli altri due e dove l’intervento collettivo sia impossibile ciascuno si riserva il diritto di intervenire a prescindere dall’autorizzazione. (e.) l’intervento deve svolgersi secondo quanto stabilito dall’avente diritto e nei limiti di esso. Il consenso prestato posteriormente non esclude l’illiceità di intervento, ma varrà come rinuncia a far valere le conseguenze dell’illecito commesso. La rinuncia ex post non sarà possibile tutte le volte in cui sia stata violata una norma imperativa, quale ad esempio il divieto di aggressione. 4. Altre cause di esclusione: sono rappresentate da: (a.) rappresaglie armate; (b.) stato di necessità; (c.) forza maggiore; (d.) caso fortuito; (e.) stato di pericolo; (f.) intervento di umanità (dovere di ingerenza umanitaria). Rappresaglie armate: sono ammesse in via limitata nell’ambito del diritto dei conflitti armati (ius in bello). L’art. 2, par. 4 non fa esplicito riferimento alle rappresaglie, tuttavia altri documenti quali la risoluzione sulla dichiarazione delle relazioni amichevoli e l’Atto finale di Helsinki. ● La Corte Internazionale di Giustizia nel caso USA – Nicaragua ha sancito l’esistenza di una norma di diritto internazionale consuetudinario che vieta le rappresaglie, nel parere sulla liceità della minaccia e uso dell’arma nucleare ha sancito l’illiceità di queste in tempo di pace. Stato di necessità: consente l’intervento in territorio altrui per far fronte ad un pericolo grave ed imminente, per un interesse essenziale dello Stato. Lo Stato i cui diritti sono lesi non gli è imputabile alcun illecito internazionale. La rilevanza di tale causa è stata riconosciuta dalla Commissione del diritto internazionale e dalla Corte Internazionale di Giustizia. Lo stato di necessità non può operare come giustificazione di una violazione di una norma imperativa di diritto internazionale. Ad esempio, lo Stato potrà intervenire in territorio altrui per prestare aiuto alle popolazioni locali vittime di una catastrofe naturale e il sovrano territoriale non possa per l’urgenza dell’azione prestare anticipatamente il suo consenso. Forza maggiore: è costituita da un evento esterno che induce il soggetto a compiere un dato comportamento che viola una norma giuridica. Ad esempio è il caso del sommergibile che a causa di un’avaria sia trascinato dalla corrente nelle acque interne di un altro Stato. Il soggetto è in grado di rendersi conto della violazione della norma, tuttavia non può comportarsi diversamente poiché la forza è irresistibile, imprevista ed esterna. Caso fortuito: è costituito da un fattore esterno e imprevedibile che impedisce all’individuo di rendersi conto che la sua condotta non è conforme ad un obbligo internazionale. Ad esempio è il caso dell’aereo USA che in rotta per Belgrado sconfinò in spazio aereo ungherese perché il pilota fu tratto in inganno dalla forza del vento. Stato di pericolo: qui il soggetto è costretto a commettere l’illecito allo scopo di salvare sé od altri da un pericolo grave. Il bene in considerazione è la vita umana e non già un interesse essenziale dello Stato come nello stato di necessità. Ad esempio è il caso della nave che si rifugia in porto straniero per evitare le terribili conseguenze di una tempesta in mare aperto. A tale ipotesi si riconnette l’intervento per la protezione dei propri cittadini all’estero. Tale intervento era considerato lecito prima dello Statuto ONU quando la vita dei propri cittadini fosse in pericolo e lo Stato territoriale non fosse in grado o non volesse prendere le necessarie misure di protezione. Sulla sua ammissibilità a seguito dello Statuto ONU la comunità si divide: (1.) gli Stati occidentali affermano la liceità dell’uso della forza a protezione dei propri cittadini all’estero; (2.) i Paesi del Terzo Mondo ne negano la liceità. Intervento di umanità e dovere di ingerenza umanitaria: l’intervento di umanità è l’uso della forza per proteggere i cittadini dello Stato territoriale da trattamenti inumani e degradanti. Prima dello Statuto ONU l’intervento era già considerato illecito salvo questo non fosse assistito da un valido titolo giuridico. A seguito dello Statuto ONU l’intervento è stato definitivamente considerato illecito così come ribadisce la sentenza dell’ICJ sul caso USA – Nicaragua. L’intervento infatti presuppone la permanenza dello Stato interveniente in territorio altrui con il consecutivo mutamento di regime nello Stato territoriale. Di recente si è parlato di dovere d’ingerenza umanitaria intendendo questo come un’obbligo di intervento per fronteggiare le gravi violazioni dei diritti dell’uomo. A seconda che si voglia o meno dare rilevanza alla facoltà di intervenire o meno. Occorre tuttavia osservare come il dovere di ingerenza non abbai alcuna base nell’ordinamento internazionale, così che per potersi ammettere un intervento occorre che sussistano sempre le cause di esclusione del fatto illecito. Così in caso di conflitto armato internazionale il soccorso prestato per la popolazione civile necessita del consenso dello Stato territoriale dove è effettuato. Indubbiamente l’emergenza umanitaria costituisce una minaccia alla pace e quindi le azioni possono avvenire in virtù del Capitolo VII dello Statuto ONU, gli Stati su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, ovvero lo stesso direttamente potranno intervenire per il compimento di quanto necessario. La legittima difesa collettiva L’art. 51 dello Statuto ONU attribuisce oltre al diritto di legittima difesa individuale anche un diritto di ordine collettivo. Ciò comporta che uno Stato che non sia oggetto di un attacco armato potrà intervenire in difesa dello Stato che lo subisce. Il diritto di legittima difesa collettiva trova le sue origini storiche nell’Atto di Chapultepec per opera degli Stati americani che stabilivano che qualunque aggressione contro un Stato membro sarebbe stata considerata un’aggressione contro tutte le altre Parti. Quid se l’attacco armato viene portato contro uno Stato non membro dell’ONU? Secondo la lettera dell’art. 51 che si riferisce all’attacco armato contro uno Stato membro si dovrebbe escludere l’applicazione della legittima difesa collettiva verso uno Stato non membro. ● La questione si pose in occasione dell’intervento USA in Vietnam non essendo il Vietnam del Sud membro dell’ONU. A parere di molti l’ert. 51 ha ricevuto un’integrazione nel senso di ricomprendere nel sistema di legittima difesa collettiva anche gli Stati non membri dell’ONU. ● Il diritto di legittima difesa collettiva ha ricevuto cittadinanza nel diritto consuetudinario internazionale nella senetenza della Corte Internazionale di Giustizia sul caso USA – Nicaragua. Affinché sia possibile l’esercizio di tale diritto occorre che ricorrano le medesime condizioni previste per la legittima difesa individuale: deve esserci stato un’attacco armato. Anche qui come per la legittima difesa individuale esistono due interpretazioni: - legittima difesa preventiva - legittima difesa successiva Oltre alla sussistenza dell’attacco armato occorre che: 1. lo Stato vittima si sia reso conto dell’attacco armato e valutare se agire in legittima difesa individuale o chiedere l’intervento di un terzo 2. lo Stato interveniente deve verificare la sussistenza dell’attacco armato al fine di non commettere un illecito internazionale Patti di sicurezza collettiva: occorre rilevare come le disposizioni del Capitolo VII dello Statuto ONU non abbiano trovato compiuta esecuzione e ciò ha portato gli Stati a mettersi al ripare mediante patti di sicurezza collettiva. ● Patto di Bruxelles Protocollo di Parigi (Unione dell’Europa Occidentale) il casus foederis è dato dall’art. V dove si stabilisce che “nel caso in cui una delle Alte Parti Contraenti dovesse essere oggetto di un’aggressione armata in Europa, le altre le presteranno, in conformità alle disposizioni dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro potere, militari o di altro genere”. L’articolo non pone un’obbligo di assistenza automatico, sebbene vi sia opinione contraria di alcuni. Membri dell’UEO: Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Regno Unito e Spagna. I membri possono esercitare il diritto di receso dopo 50 anni dall’entrata in vigore previo avviso al depositario di un anno. Forme attenuate: sono costituite da soggetti quali Islanda, Norvegia e Turchia che sono membri associati. Altri soggetti quali Austria, Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia hanno lo status di osservatori. Gran parte dei Paesi dell’Est hanno la qualifica di partners associati. Tutte queste forme attenuate non fruiscono della garanzia disposta dall’art. V. ● Trattato NATO: qui il casus foederis è rappresentato dall’art. 5 del patto dove si conviene che contro un’attacco armato contro una o più delle Parti in Europa o in America Settentrionale sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza si conviene che se tale attacco dovesse verificarsi ognuna di esse, nell’esercizio di legittima difesa collettiva o individuale riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre Parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’impiego della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella zona dell’Atalntico settentrionale. Secondo l’interpretazioni maggioritaria, l’obbligo di assistenza non è automatico stando nella facoltà dello Stato, sottolineata dal termine “giudicherà necessaria”, decidere se intervenire o meno. Il trattato in oltre definisce i beni oggetto dell’attacco armato. Questi sono: - il territorio - le forze armate - le navi militari - gli aeromobili militari Non vi sono ricomprese le navi e gli aeromobili civili. ● Patto di Varsavia: patto intervenuto tra gli Stati del blocco sovietico in contrapposizione alla NATO trovava il suo casus foederis nell’art. 4. Nella riunione di Budapest nel 1991 si convenne che il patto non avrebbe più ricevuto attuazione. Nel 1992 viene firmato un trattato di sicurezza collettiva tra sei degli Stati membri della Comunità degli Stati Indipendenti. Il casus foederis è qui dato dall’art. 4, par. 1 dove l’aggressione contro uno Stato membro viene considerata aggressione contro tutti gli altri. Le Parti sono tenute a prestare assistenza all’aggredito con mezzi anche di natura militare in conformità all’art. 51 della Carta ONU. ● Trattato di Rio e Protocollo di San José: in base a tale trattato e al suo successivo emendamento gli Stati dell’America del Sud considerano l’aggressione verso uno di essi equiparata all’aggressione contro tutti gli Stati americani e di conseguenza ogni Parte ha l’obbligo di assistere lo Stato aggredito. L’Organo di consultazione dovrà decidere le misure adeguate e nell’attesa su richiesta dello Stato aggredito ciascuno Stato potrà decidere le misure necessare per portare il soccorso. L’unico limite che si pone alla decisione delle misure in capo all’Organo è l’uso della forza, in quanto ogni Stato non può essere obbligato a farvi ricorso. In caso di attacco armato gli Stati avranno l’obbligo di intraprendere ogni misura ancor prima della decisione dell’Organo, mentre in caso di aggressione il dovere di assistenza non sorge se non prima della decisione dell’Organo stesso. Il Sistema di Sicurezza Collettiva delle Nazioni Unite Il Consiglio di Sicurezza ha la competenza esclusiva in tema di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Ciò significa che nessun altro organo delle Nazioni Unite può arrogarsi le sue funzioni: Caso della Guerra in Corea: il Consiglio di Sicurezza si trovò allora nell’impossibilità di decidere a causa del veto dell’URSS. L’Assemblea Generale allora adottò una risoluzione cd. Unitine for Peace in base alla quale si sosteneva l’automatico trasferimento delle funzioni del Consiglio di Sicurezza in capo all’Assemblea Generale quando questo non fosse in grado di decidere. Tuttavia ciò non trova alcun fondamento nello Statuto ONU e si sollevarono diverse proteste dai Paesi dell’area socialista. Si può dunque dire solo che l’Assemblea Generale può esclusivamente adottare delle misure provvisorie (art. 40) secondo quanto stabilito dal Capitolo VI. Esso manifesta la propria volontà mediante delibere che possono assumere la duplice veste di: 1. raccomandazioni: non giuridicamente vincolanti 2. decisioni: giuridicamente vincolanti L’adozione delle delibere avviene mediante voto favorevole dei 9 dei 15 componenti del Consiglio di Sicurezza. Tale votazione comprende anche il voto favorevole dei 5 membri permanenti. Essi sono secondo quanto dispone l’art. 27, par. 3 dello Statuto ONU: - Cina - Federazione Russa - Francia - Regno Unito - USA I membri permanenti dispongono in particolare del cd. diritto di veto ossia mediante il loro voto negativo sono in grado di bloccare la delibera del Consiglio di Sicurezza. L’assenza di un membro permanente nel Consiglio comporta l’esercizio del veto, ma non così in caso di astensione. Le misure che il Consiglio di Sicurezza può adottare sono: a. Misure coercitive: esse sono prese in conformità dell’art. 39 dello Statuto ONU quando sia accertata l’esistenza di atti di aggressione, una minaccia o una rottura della pace. L’intervento quindi non è ristretto alle sole ipotesi di conflitto internazionale, ma anche a casi di guerra civile, genocidio o altre situazioni interne che minaccino la pace. L’applicazione delle misure coercitive non è ostacolato dal fatto che una questione ricada nel “dominio riservato” di uno Stato (art. 2, par. 7). All’interno della categoria delle misure coercitive si distinguono le misure: 1. comportanti l’uso della forza armata 2. non comportanti l’uso della forza armata: previste dall’art. 41 costituiscono un elenco non tassativo (interruzione parziale o totale della relazioni economiche, delle comunicazioni o delle relazioni diplomatiche). La loro obbligatoria comminazione da parte degli Stati dipenderà se siano o meno state adottate mediante la forma di decisioni ovvero di raccomandazioni. b. Misure provvisorie: riguardano misure adottate mediante raccomandazione ai termini dell’art. 40. Un esempio è costituito dal cessate il fuoco. Operazioni comportanti la dislocazione di truppe in territorio altrui: - Intervento armato del Consiglio di Sicurezza: sebbe tali misure non abbiano mai trovato attuazione, lo Statuto ONU le prevede all’art. 42 quando ciò sia richiesto dalla situazione ovvero quando le misure ex art. 41 (non comportanti l’uso della forza armata) siano inadeguate. In tal caso il Consiglio di Sicurezza può intraprendere delle operazioni militari cd. di polizia internazionale utilizzando forze aeree, navali o terrestri. Il ricorso a tali misure non ha come presupposto l’applicazione dell’art. 41 potendo il Consiglio di Sicurezza rilevare una situazione di urgenza che richede immediatamente l’impigo della forza armata. Dal punto di vista procedurale il Consiglio di Sicurezza avrebbe dovuto intraprendere direttamente tali azioni mediante truppe messe a disposizione degli Stati membri. Tali truppe sarebbero state coordinate da un Comitato di Stato Maggiore composto dai Capi di Stato Maggiore dei Membri permanenti (art. 47). Il Consiglio di Sicurezza avrebbe stabilito se impegnare le forze di tutti o solo di alcuni dei membri delle Nazioni Unite. Secondo l’art. 43 successivamente all’entrata in vigore della Carta ONU gli Stati avrebbero dovuto stipulare degli accordi ad hoc in cui veniva stabilito nel dettaglio i contingenti messi a disposizione e secondo l’art. 45 nei casi più urgenti gli Stati membri avrebbero dovuto tenere a disposizione contingenti di forze aeree. ● Tali accordi non sono mai stati stipulati e le operazioni di polizia internazionale hanno assunto una fisionomia diversa. Neppure l’art. 106 (disposizione transitoria) ha trovato attuazione in quanto prevedeva che i Mambri Permanenti nell’attesa che l’art. 43 ricevesse attuazione si sarebbero consultati tra loro per decidere sulle operazioni da intraprendersi. - Uso della forza autorizzato dal Consiglio di Sicurezza: nel 1950 il Consiglio di Sicurezza riuscì ad adottare una raccomandazione circa l’intervento a favore della Corea del Sud; in seguito fu autorizzato l’uso della bandiera ONU da parte di alcuni Stati che agivano sotto il comando degli USA. Tale delibera però non è inquadrabile sotto il profilo dell’art. 42 che attribuisce al Consiglio di Sicurezza il compito di condurre operazioni comportanti l’uso della forza armata. Essa è piuttosto inquadrabile nel sistema di legittima difesa collettiva ex art. 51 sebbene la Corea del Sud non fosse all’epoca membro dell’ONU. La mancata attuazione degli artt. 43 e ss. e la fine della guerra fredda ha portato il Consiglio di Sicurezza ad adottare delibere non propriamente conformi al testo dello Statuto ONU in cui si autorizzava l’uso della forza per conto dell’ONU. Il Consiglio di Sicurezza in sostanza delega le funzioni spettanti ex art. 42 agli Stati e questi potranno agire entro e non oltre i limiti della delega o dell’autorizzazione. La liceità di tali deleghe e autorizzazioni è implicitamente stabilita dall’art. 2 della Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite. Da queste occorre distinguere la diversa ipotesi in cui il Consiglio di Sicurezza “raccomandi” di intervenire in legittima difesa collettiva: è il caso della risoluzione adottata per il conflitto del Kuwait occupato e illegittimamente annesso all’Iraq nella quale si autorizzavano gli Stati a usare tutti i mezzi necessari per far rispettare la risoluzione ove si intimava il ritiro della truppe irachene. - Operazioni di mantenimento della pace (cd. peace keeping): tali operazioni hanno assunto particolare importanza al termine della Guerra Fredda e con il processo di decolonizzazione. Tali operazioni sono collocate dalla dottrina nella zona grigia tra il Capitolo VI (soluzione pacifica delle controversie) e il Capitolo VII (mantenimento della pace e della sicurezza internazionale). Si distinguono dalle misure coercitive per il fatto di essere attuate con il consenso dello Stato territoriale. Esse trovano attuazione sia in un conflitto internazionale che in un conflitto interno. In queste operazioni l’uso delle armi è limitato solo alla legittima difesa. Dal punto di vista procedurale le operazioni sono effettuate sotto la supervisione del Segretario generale su delega da parte del Consiglio di Sicurezza. La delega opera a tempo determinato, sebbene sia nella prassi stata prorogata diverse volte. Compito del Segretario generale è quello di costituire la forza individuando gli Stati membri che dovrebbero fornire i contingenti. Al fine di razionalizzare le operazioni il Segretario generale ha prodotto due documenti: (1.) Agenda per la pace; (2.) Supplemento. In tali documenti il Segretario ha stabilito che le operazioni di peace keeping devono svolgersi con: - il consenso delle parti interessate - imparzialità - il non uso della forza salvo la legittima difesa Il controllo politico spetta al Consiglio di Sicurezza che generalmente delega il Segretario generale. La direzione strategica che dovrebbe spettare al Consiglio di Sicurezza coadiuvato dal Comiato di Stato Maggioreè di fatto affidata sempre al Segretario generale su delega del Consiglio di Sicurezza. Il Segretario nomina in accordo con il Consiglio il comandante supremo il quale avrà discrezionalità nel comporre la catena di comando. Nella storia delle varie operazioni intraprese non mancano esempi in cui queste furono condotte mediante azioni di natura coercitiva (peace enforcement): è il caso del conflitto in ex – Jugoslavia dove operò la NATO. Particolari operazioni di mantenimento della pace sono: a. invio di osservatori militari: qui il personale utilizzato è di modesta entità numerica e la finalità è quella di supervisionare il rispetto delle condizioni armistiziali b. azioni di diplomazia preventiva: qui la finalità è quella di rassicurare le parti interessate circa una situazione che è potenzialmente pericolosa per la pace e la sicurezza internazionale Comando e controllo delle Forze delle Nazioni Unite: è sancito dagli artt. 44, 46 e 47. ● Art. 47, par 1 tratta della costituzione del Comitato di Stato Maggiore il quale ha il compito di consigliare e coadiuvare il Consiglio di Sicurezza per ciò che riguarda le questioni militari, l’impiego e il comando dei contingenti messi a disposizione. Art. 47, par. 3 stabilisce che il Comitato di Stato Maggiore ha la responsabilità della direzione strategica delle forze a disposizione del Consiglio di Sicurezza. Stando ad una successiva precisazione del Comitato di Stato Maggiore il comando dei contingenti nazionali è esercitato dagli stessi Stati fornitori mantenendo così il proprio carattere nazionale e rimanendo soggetti ai regolamenti dello Stato d’origine. ● Art. 46 tratta dei piani per l’impiego delle forze delle Nazioni Unite i quali sono elaborati dal Consiglio di Sicurezza coadiuvato dal Comitato di Stato Maggiore. ● Artt. sul rapporto tra Stati fornitori e contingenti ONU. In particolare sono disposizioni contenute nei diversi articoli che disciplinano le ipotesi di contingenti forniti da Stati che non sono membri permanenti. Art. 44 consente allo Stato fornitore di partecipare alle sedute del Consiglio di Sicurezza in cui si decide l’impiego dei mezzi messi a disposizione in base agli accordi ex art. 43 (mai stipulati). Art. 47, par. 2 consente allo Stato fornitore di partecipare alle sedute del Comitato di Stato Maggiore. In tal caso a parteciparvi poterò lo Stato fornitore che sia non membro ovvero non membro permanente. ● Art. 47, par. 4 consente di decentralizzare il Comitato di Stato Maggiore mediante l’istituzione di sottocomitati regionali. Occorre osservare come il Comitato di Stato Maggiore non abbia mai funzionato neppure successivamente alla fine della Guerra Fredda. Piuttosto è da rilevarsi un altro fenomeno: la concertazione dei 5 Membri Permanenti circa le operazioni di mantenimento della pace. In oltre in mancanza della stipulazione degli accordi previsti dall’art. 43 la prassi si è sviluppata nel senso di affidare i contingenti nazionali al Segretario generale delle Nazioni Unite. Tuttavia valgono le considerazioni svolte in tema di rapporto tra Stati fornitori e Consiglio di Sicurezza e Comitato di Stato Maggiore: gli Stati fornitori mantengono sempre il diritto di partecipare alle decisioni sull’impiego della proprie forze. Il Segretario generale nel Supplemento all’Agenda per la Pace ha sempre sostenuto di essere titolare del controllo politico e della direzione strategica delle forze poste sotto il suo comando senza interferenza degli Stati nazionali. In realtà deve osservarsi che l’azione del Segretario generale deve essere pur sempre conforme alle disposizioni della Carta (artt. 44, 46 e 47). Quid sulla liceità delle operazioni per il mantenimento della pace intraprese al di fuori delle Nazioni Unite? Si pensi al caso della MFO (Forza Multinazionale e Osservatori del Sinai) costituita per la supervisione e la garanzia del Trattato tra Egitto e Israele. Dal punto di vista politico: il Segretario generale ONU ha criticato la costituzione di forze multinazionali svincolate dal sistema dell’ONU in quanto è prerogativa di questo il mantenimento della pace e dalla sicurezza internazionali. Il proliferare di azioni al di fuori dell’ONU metterebbe in luce l’incapacità di questo di funzionare e ne minerebbe le basi istituzionali. Dal punto di vista giuridico: il compimento di azioni per il mantenimento della pace al di fuori della Nazioni Unite è lecito se condotto con il consenso del sovrano territoriale. Ciò infatti opera come causa di esclusione del fatto illecito Le organizzazioni regionali e l’uso della forza armata: ad esse è dedicato uno specifico Capitolo. Esse sono enti che nascono dalla conclusione di patti tra Stati appartenenti ad una determinata area geopolitica dotati di un apparato organizzativo complesso che li rende capaci di supportare funzioni di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale secondo quanto stabilisce il Capitolo VIII. ● In primo luogo si rileva come tali organizzazioni possano funzionare come accordi di legittima difesa collettiva. In tal caso come rilevato non è necessaria l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza in quanto agiscono in virtù dell’art. 51. ● In secondo luogo esse possono compiere operazioni coercitive su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza secondo quanto stabilisce l’art. 53. Il Consiglio ha infatti il potere di utilizzare l’organizzazione regionale per il compimento di azioni coercitive secondo quanto stabilito nel Capitolo VII. Quid in caso di impossibilità do funzionamento del Consiglio di Sicurezza per l’autorizzazione ad azioni coercitive da parte di organizzazioni regionali? In materia la lettere dello Statuto ONU è chiara: la competenza in tema di azioni per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali spetta in via esclusiva al Consiglio di Sicurezza. ● In terzo luogo le organizzazioni regionali possono compiere operazioni di peace keeping senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza purché sussista il consenso del sovrano territoriale. Incomberà sull’ente però il dovere di informativa ai sensi dell’art. 54. Nell’Atto finale di Helsinki si è conferito all’OSCE il potere di compiere operazioni per il mantenimento della pace. In esso è stabilito che l’operazione è deliberata per consensus dal Consiglio dei Ministri e deve essere finanziata da tutti gli Stati membri. L’operazione deve avere il consenso delle parti e non può comportare l’uso della forza. L’uso della forza armata e la Costituzione Italiana Le norme che disciplinano la minaccia e l’uso della forza armata devono ricavarsi: - dall’art. 11 prima parte Cost.: secondo tale articolo l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Con tale disposizione viene condannata la guerra di aggressione e vengono vietate alleanze aggressive. L’articolo per altro fa riferimento alla guerra e non alla forza armata consentendo così la legittima difesa e altre forme di autotutela violenta diverse dalla guerra (rappresaglie, intervento, ecc…). - dall’art. 10, 1° comma Cost.: comportando un adeguamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale generale occorrerà considerare anche il divieto del ricorso a forme di autotutela diverse dalla guerra (rappresaglie armate, intervento, ecc…). - dalle norme di adeguamento allo Statuto ONU prodotte mediante l’ordine di esecuzione: attraverso esse è stato introdotto nell’ordinamento l’art. 2, par. 4 e dovrà per tanto ammettersi il ricorso alla forza armata in tutte le ipotesi in cui sia ammesso in quanto è escluso il fatto illecito. Dalle disposizioni esaminate si osserva la perfetta coincidenza tra ordinamento internazionale e ordinamento interno circa il ricorso alla forza. Controllo politico sull’uso della forza: concerne il problema di stabilire a chi spetti la titolarità del potere d’uso della forza. Tutte le volte in cui l’impiego della forza sia definibile come guerra secondo l’art. 87, 9° comma Cost., spetterà al Presidente della Repubblica la dichiarazione dello stato di guerra che è deliberato dalle Camere. Queste, secondo l’art. 78 Cost. una volta deliberato conferiscono i poteri necessari al Governo. La delibera delle Camere ha un effetto interno in quanto solo successivamente ad essa sarà applicabile la normativa vigente in tempo di guerra e un effetto esterno in quanto sempre solo successivamente il Presidente della Repubblica potrà adottare la dichiarazione di guerra. Occorre ricordare che l’unica guerra possibile è quella di legittima difesa. Nelle ipotesi in cui il ricorso alla forza non costituisca tecnicamente guerra (operazioni di peace keeping per conto dell’ONU, uso della forza autorizzato dall’ONU, ecc…) non si richiede alcuna autorizzazione parlamentare e rientra nelle competenze del potere esecutivo (Governo). Al Presidente della Repubblica in quanto titolare del comando delle Forze Armate (art. 87, 9° comma Cost.) spetta il diritto di informativa e il controllo affinché la forza sia impiegata nel rispetto dei dettami dell’art. 11 Cost. Il Governo mantiene la responsabilità nei confronti del Parlamento il quale eserciterà un controllo di ordine finanziario circa il reperimento dei fondi necessari a fronteggiare le spese per l’operazione. Neutralità permanente in tempo di pace La neutralità permanente rileva come status soggettivo concernente i soggetti internazionali in tempo di pace. Essa si sostanzia in un comportamento volto ad evitare di essere trascinati in un conflitto armato sebbene non sia riassumibile in un contenuto preciso. Tra gli obblighi di carattere strumentale rilevano ad esempio: - l’obbligo di non far parte di alleanze militari reciproche - il dovere a non concedare basi militari Il mancato contegno proprio dello status di neutralità permanente importa il compimento di un illecito. Tuttavia non sarà da considerarsi illecito l’uso della forza in legittima difesa. Fonti della neutralità permanente in tempo di pace: sono tali a. trattato multilaterale: tipico esempio è dato dalla Svizzera b. accordo bilaterale: tipico esempio è dato dalla Città del Vaticano c. impegno unilaterale: si potrebbe considerare (ma l’opinione non è unanime) come esempio l’Austria che deriva il proprio status da una disposizione della propria costituzione. Tale disposizione è stata notificata agli Stati della comunità internazionale. In tale fattispecie alcuni vi ravvisano una promessa altri invece sono incolini al ritenere che si tratti di una proposta a concludere un accordo (di neutralizzazione). Altri esempi tipici sono costituiti da Malta e Costa Rica. In ogni caso la neutralità assume contenuto erga omnes e lo Stato neutrale sarà tenuto ad osservare tale comportamento nei confronti di tutti gli Stati e questi potranno richiedere che siano osservati gli obblighi derivanti da tale status. Il riconoscimento dello status di neutralità da parte degli Stati membri della comunità internazionale contribuisce al consolidamento di tale condizione. ● Dalla neutralità permanente in tempo di pace occorre distinguere la neutralità in tempo di guerra per cui uno Stato di fronte ad un determinato conflitto non prende alcuna posizione, successivamente lo Stato potrà prendere parte allo stesso. ● Dalla neutralità permanente in tempo di pace occorre distinguere la similitarizzazione o neutralizzazione di territori che importano per uno Stato il dovere a non mantenere installazioni militari nel proprio territorio. Garanzia della neutralità permanente: essa differisce dai trattati di alleanza militare reciproca in quanto è a senso unico. Solo il garante sarà tenuto ad intervenire a favore dello Stato neutrale e non viceversa. Esempio: si consideri lo status di neutralità stabilito da Malta con l’Italia mediante scambio di note. Il sistema di garanzia si articola sulla base di 3 meccanismi: a.) meccanismo di consultazione per il quale l’Italia ha il dovere di consultarsi con Malta e gli altri Stati mediterranei vicini garanti. Presupposto per l’attivazione è la dichiarazione da parte di Malta o del Garante dell’esistenza di una minaccia di violazione / violazione della sovranità, indipendenza, neutralità, unità ed integrità territoriale di Malta b.) meccanismo di informazione per il quale l’Italia è obbligata a portare a conoscenza del Consiglio di Sicurezza ogni minaccia di violazione / violazione della sovranità, indipendenza, neutralità, unità ed integrità territoriale di Malta c.) meccanismo di intervento per il quale l’Italia è obbligata ad adottare su richiesta di Malta ogni misura, non esclusa l’assistenza militare, per far fronte alla situazione. I casi in cui ciò è previto sono: (a.) minaccia di violazione / violazione della sovranità, indipendenza, neutralità, unità ed integrità territoriale; (b.) legittima difesa secondo quanto previsto dall’art. 51 Statuto ONU (caso di attacco armato). Il meccanismo di garanzia alla neutralità maltese è rappresentato da c.). Al riguardo occorre osservare che: 1. l’Italia non può adottare misure più incisive di quelle richieste da Malta 2. l’Italia dovrà adottare misure idonee a far fronte alla situazione. In particolare ove la Malta fosse oggetto di attacco armato difficilmente l’Italia potrà esimersi dal ricorso alla forza armata. L’interpretazione del termine “assistenza militare” non può intendersi in maniera restrittiva (ad esempio fornitura di materiale bellico) in quanto non soddisferebbe il requisito dell’idoneità richiesto. ► Quid sulla compatibilità dello status di neutralità permanente con lo status di membro ONU? Il problema è pertinente in quanto la Carta ONU contiene delle disposizioni che parrebbero contrastare con la neutralità permanente.Basti pensare a disposizioni come: - art. 41 sulle misure coercitive non implicanti l’uso della forza armata - art. 49 sul dovere di prestarsi mutua assistenza - art. 2, par. 5 sul dovere di assistenza alle misure intraprese dalle Nazioni Unite - art. 43 sul dovere di mettere a disposizione del Consiglio di Sicurezza i contingenti, ecc… - art. 45 sul dovere di tenere a disposizione contingenti di forze aeree per operazioni urgenti Nel caso della Svizzera il Consiglio di Sicurezza la esentò dagli obblighi comportanti misure militari ed economiche. Tuttavia ciò non fu più ripetuto per altri membri aventi lo status di neutralità permanente. Nella conferenza di San Francisco fu chiarito nel redigere l’art. 2. par 5 che uno Stato non avrebbe potuto invocare la neutralità per sottrarsi agli obblighi derivanti dalla Carta ONU. Infatti: a. l’art. 103 in oltre sancisce la prevalenza degli obblighi assunti dagli Stati membri rispetto ad ogni altro obbligo assunto in virtù di un altro trattato internazionale ancorché posteriore b. anche ammettendo un fondamento della neutralità nel diritto internazionale consuetudinario la Carta avrebbe comunque prevalenza a titolo di lex specialis Deve concludersi che lo status di neutralità permanente non comporta alcuna esclusione dagli obblighi imposti agli Stati in virtù dell’essere parti dello Statuto ONU. Al più il Consiglio di Sicurezza potrà decidere, se lo ritiene opportuno, esentare lo Stato neutrale dall’eseguire una sua decisione in quanto ciò è previsto ai sensi dell’art. 48 (le azioni per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale sono intraprese da tutti i membri o da alcuni di essi secondo quanto stabilisca il Consiglio di Sicurezza). L’esecuzione di misure adottate nel sistema di sicurezza collettiva non contrasta con lo status di neutralità pernamente e lo Stato contro cui sono adottate le misure non potrà agire contro lo Stato neutrale. Recentemente è stato previsto in alcuni strumenti istitutivi della neutralità – vd. Malta – che nessuna forza militare straniera potrà usare la insallazioni dell’isola, tranne, inter alia, che si debbano eseguire misure decise dalle Nazioni Unite o in caso di azioni da esse intraprese. ► Quid sulla compatibilità tra status di neutralità permanente e qualità di membro dell’Unione Europea? Il problema riguarda in nello specifico l’Austria la cui neutralità permanente è stabilita da una disposizione interna a carattere costituzionale, ma potrebbe anche riguardare Stati che successivamente vorrebbero unirsi all’UE come Malta. In occasione dell’Atto Unico Europeo l’Irlanda ha stabilito nella sua costituzione la non adesione ad alleanze militari; la Finlandia e la Svezia hanno stabilito una neutralità di ordine politico. Occorre considerare due ordini di disposizioni: - Trattato della Comunità Europea: 1. Art. 36 consente agli Stati membri di prendere misure restrittive all’importazione od esportazione giustificate da motivi di pubblica sicurezza. Sebbene l’ambito di applicazione sia riferito alla Comunità Europea essa ha trovato applicazione anche nei confronti di esportazioni provenienti da uno Stato membro, ma avviate da un altro diverso e destinate ad un Paese terzo. Il caso riguardava del materiale strategico da inviare all’Unione Sovietica da parte della Fracia imbarcandolo nell’aeroporto di Lussemburgo. La Corte di Giustiza Europea accolse l’applicazione dell’art. 36 intendendo che esso debba trovare attuazione quando possa compromettersi la neutralità dello Stato membro. 2. Art. 223 lascia fuori dal campo di azione della Comunità Europea il commercio di armi, munizioni e materiale bellico. Al riguardo ciascuno Stato può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza. Si avrà quindi che uno Stato neutrale potrà adottare misure conformi al proprio status di neutralità permanente. 3. Art. 113 e 228 A si riferiscono alle sanzioni economiche adottate dalla Comunità Europea verso uno Stato terzo. Art. 224 viene intesa come clausola di salvaguardia in quanto consente di prendere misure in caso di guerra o grave tensione internazionale che costituisca una miaccia di guerra ovvero per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Lo Stato neutrale potrebbe quindi dissociarsi dalle misure ex artt. 113 e 228 A. Come è specificato in un parere della Commissione però occorre considerare che lo Stato neutrale non può dissociarsi dalle misure sanzionatorie e la sua condotta sarà ritenuta conforme al diritto internazionale ove si ammetta che la neutralità non è pregiudicata nel caso di comminazione di sanzioni verso chi viola il diritto internazionale. - Titolo V del Trattato di Maastricht: qui l’opinione è nel senso di non vedere una incompatibilità in quanto non sono previsti obblighi comuni in campo di difesa. In particolare l’art. J.4, par. 4 contiene una clausola di salvaguardia dello status di neutralità in quanto non è pregiudicato il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. La medesima disposizione trova ingresso nell’art. J.7 Trattato di Amsterdam. Le decisioni e le azioni comuni in tema di difesa comune sono poste inessere nell’UE dall’UEO (Unione dell’Europa Occidentale) in cui gli Stati europei neutrali hanno lo status di osservatori.
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