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INTRODUZIONI
E COMMENTI AI LIBRI
NAZZARENO VENTURI
©
Proprietà letteraria di Nazzareno Venturi
Miscellanea di scritti di Nazzareno Venturi pubblicati dal 1980 al 2013 sul web e sul cartaceo
Disegni umoristici e copertina dell'autore.
Edizioni Centro Ricerche Psicopedagogiche e Psicosociali (Ebook 2014)
ISBN
9788890615436 (epub)
INDICE
Prefazione
Introduzione alla psicologia della fiaba
Ognuno è come si racconta
Il bene e il male nella fiaba
Commento al testo di Daniel Chamovitz "Quel che una pianta sa"
Commento al testo di Edwad O.Williams "La conquista sociale della terra"
Commento al testo di Enzo Soresi "Il cervello anarchico"
Commento al testo di Alan Weisman "Il mondo senza di noi"
Considerazioni su "Il Principe" di Machiavelli
Guida ai libri sui sogni
Una bibliografia ragionata sul sufismo
Introduzione ai detti di Al-Allaje di Gabriele Mandel (ed.Alkaest 1980)
Prefazione
La nostra vita è come contenuta in un libro su cui ogni giorno giriamo pagina. Non
possiamo fare a meno di ricordare le pagine precedenti in quanto ci danno il senso
dell'identità, nè ignorare quelle che verranno di cui possiamo solo prevedere o
immaginare le loro svariate soluzioni. Se non avessimo la percezione, o anche
l'illusione, che c'è anche un futuro, il nostro presente, così apparentemente solido,
crollerebbe. Una persona privata dei suoi ricordi per effetto di una malattia come
l'Alzheimer o da un trauma, non sa più chi è, ma allo stesso modo chi non riesce a
trovare più motivazioni, speranze e luci nel suo futuro cade nella depressione, nella
crisi di identità.
Senza pagine già lette, senza pagine da leggere non ci sarebbe il nostro libro della
vita.
In un certo senso riempiamo il tempo addivenire di aspettative, progetti,
speranze, ambizioni in quanto sappiamo che il nulla è la fine, ed è il nulla dei nostri
sentimenti, dei nostri pensieri, delle nostre azioni. E allora gettiamo avanti questo
nostro mondo interiore aspettando l'esistenza che sarà. Il presente è come un ponte
che si rinnova sempre tra le due rive del passato e del futuro. Sono i nostri passi che
costituiscono il presente, la loro sicurezza dipende da come abbiamo vissuto e da
come ci accingiamo a vivere quel che verrà. Ma prima o poi arriverà il momento in
cui non ci sarà più pagina da girare, da qui la paura del vuoto che incombe. Ma se
fosse il contrario?
E se finalmente il libro della nostra vita, una volta liberi
dall'involucro corporeo, si stagliasse alla consapevolezza in tutto il suo senso e in
tutti i dettagli anche sconosciuti? (quante cose importanti ci perdiamo costantemente
non solo perchè rimangono alle periferia visiva e di tutti gli altri sensi, ma perchè
impedite dalla nostra mancanza di coraggio, di lucidità, di attenzione e di
intuizione...).
L'analogia della vita col libro è così spontanea da rievocare un archetipo. Un
tempo ormai lontano una mia nipotina, avrà avuto nemmeno dieci anni, mi raccontò
che per lei la vita era un libro di cui solo Dio possiede il significato finale. Chissà
dove e come ha reperito l'immagine ma è certo che pur indotta dall'esterno, essa
risveglia un quadro interiore in cui tutti si riconoscono. Questa evidenza simbolica è
accettata sul piano poetico o dell'arte ma presagirla come una realtà spirituale è, nel
contesto materialistico in cui viviamo, roba da sognatori d'altri tempi. Che peccato!
Per costoro è solo una chimera, una illusione. Perchè non rassegnarsi a morire come
qualsiasi animale, indistinguibili nel gran pollaio dell'umanità? Si vive, si mangia, si
scorrazza un po' in giro e poi si crepa. E' il destino che accomuna quella zanzara che
ci ha ronzato intorno tutta una notte non lasciandoci dormire, quel cane che cercava
di notte tra i rifiuti un boccone per far tacere i morsi della fame, e ogni essere che
abbiamo incontrato nella vita. Morire, lasciare il nostro corpo alla terra, che polvere
eravamo e polvere si ritorna.
Certo è anche così, abbiamo un corpo come i tanti,
tantissimi altri che la natura sforna incessantemente e che se lasciato alla terra sarà
divorato dai vermi, come sempre accade e accadrà. Ma l'illusione di non essere solo
un pollo, quelli che vengono allevati in gabbie anguste e non hanno mai visto la luce
del sole e un prato verde, quelli sgozzati a milioni ogni mese per soddisfare le nostre
esigenze alimentari, c'è anche nel più ferreo materialista. E allora ci si illude che
esistano dei valori più grandi come la scienza, il progresso, la conoscenza, e
sicuramente ci sono ma prima o poi qualche cataclisma cosmico spazzerà via questa
specie umana dal pianeta terra, e il pianeta stesso con tutte le sue belle speranze
evolutive. Quasi certamente la durata della nostra specie sarà assai più breve di quella
dei dinosauri che per milioni di anni hanno calpestato il suolo. E dopo? Dopo c'è
l'universo che è sempre stato il quale sfornerà altri habitat ideali per la vita e il fiorire
di creature consapevoli. Ma il buon materialista imperterrito pensa già alla fine
dell'universo, nel trionfo del principio dell'entropia (quando la gravitazione universale
slaccerà la sua presa e ad una ad una le stelle, come lumini, si spegneranno divorati
da una notte gelida senza più alba...). Oh perché non esiste il nulla? Perché da sempre
non c'è niente, un eterno pacifico niente? E invece c'è qualcosa che dal nulla è
comparso per rompere un po' le balle, per poi scomparire di nuovo nel nulla!
No! Non funziona così. Almeno io non credo che le cose girino in questo modo
assurdo. Nessun funerale dell'universo che è sempre stato e sempre sarà, magari
riciclato da un altro universo nel "multiverso", un Tutto sostenuto dal suo Spirito che
noi chiamiamo Dio (che di per sè è solo una parola, il concetto di una realtà sottintesa
la cui profondità dipende dal grado evolutivo di ciascuno).
Qui entra ancora l'idea del libro. La Bibbia e il Corano concepiscono una sapienza
increata che governa il mondo dall'eternità. La Sapienza è appunto il Libro nascosto,
la matrice di ogni opera ispirata, di religiosità e conoscenza oltre le forme codificate.
Tutte le leggi del mondo e ogni suo arcano è qui presente. Quanto gli uomini colgono
frammento dopo frammento di fede e di conoscenza, di bellezza e di giustizia, lo
devono a questa realtà spirituale che anima il mondo.
Con bella sincerità dettata dalla fede Gabriele Mandel si domandava "Abbiamo
tutti un progetto esistenziale da compiere? Tutti lo abbiamo, sì: vivere. E per che
cosa si vive? Per realizzare il divino che è in noi e per adorare Dio quale nostro
creatore, colui che ci mette a disposizione tutto ciò che occorre per riuscire, ma
regalandoci il libero arbitrio chiede che si sia noi, liberamente, a realizzarlo. Poi
egli giudicherà le nostre azioni."
Quindi perché avere paura del vuoto, del buio quando in realtà non esiste? C'è
sempre qualcosa, e forse quanto noi chiamiamo esistenza, questo mondo fenomenico
in cui ci identifichiamo coi nostri corpi, questa realtà apparente così ingombrante che
basta niente per far succedere un incidente, è proprio quanto non ci permette di
cogliere l'Esistenza reale. Se riuscissimo a comprendere la sua realtà mutevole,
impermanente, la sua vacuità come l'aveva intuita il Buddha senza aver studiato la
teoria dei quanti, allora ritroveremmo l'essenza proprio nel vuoto che credevamo
pieno. Quanto credevamo pieno, la materia, il corporeo, quello che ci fa prendere
zuccate e sentiamo col mal di pancia, diventa vuoto, forme d'energia effimere come
onde sull'acqua. Finalmente il silenzio, la pace.
Nessuno ha paura di finire un libro, quindi anche quello della nostra esistenza
dovrà essere completato. Non si sa se fa parte di una saga e quindi bisogna aspettare
per l'uscita di un altro episodio. Se poi sono come le serie televisive darebbero alla
nausea.
Per quanto mi riguarda bypasserei qualsiasi funerale, ne sa troppo di
mortorio, di cimitero, di funerale appunto. Se ci fosse un clima diverso, per esempio
quello del Natale ci si potrebbe anche stare ma, in tutta onestà, chi oserebbe mettere
in un presepe un cadavere, seppur anche di un topolino sulla stradina dei pastori? E al
posto delle palline colorate dell'albero ci starebbero assai male delle piccole bare
seppur di cioccolato (io preferisco quello al latte). E poi cosa si lascia? Un pianeta
sempre più immerso nella spazzatura umana, inquinamento in aumento esponenziale,
veleni ovunque, cemento che copre la verde terra come un rigido lenzuolo di morte,
un pianeta sovrappopolato diviso in mille gruppi sempre pronti a farsi la guerra e a
odiarsi.
Per carità, lasciatemi andare in pace scherzando come i ragazzi quando sentono
suonare la campanella della fine delle lezioni, oppure dell'ultimo giorno di scuola. Se
ho fatto qualcosa di buono leggetene le pagine che non mi porto dietro. Spero almeno
allora di averne capito pienamente il senso, magari perché sarò edotto che nulla
valgono. Esiste infatti qualcosa che vale di per sè di fronte all'Assoluto? Nulla,
proprio nulla.
In ogni caso i libri fan parte della nostra vita. Siamo quanto abbiamo imparato a
essere anche attraverso i mille insegnamenti e ahimè, condizionamenti della vita,
quelli che non ci permettono di essere liberi, di agire davvero con le chiavi per
modificare noi stessi in modo evolutivo. Una volta, quando eravamo cavernicoli, le
storie si raccontavano e trasmettevano a voce, poi con l'invenzione della scrittura esse
hanno potuto rimanere in una realtà oggettiva, scolpite sul marmo o scritte su rotoli e
pelli. In questo modo si poteva far rimanere la cultura indipendentemente da una
persona viva che trasmettesse quanto sapeva. L'intelligenza per "leggere e capire" era
però sempre indispensabile: o con una oratore davanti o con un libro, capisci o non
capisci.
Chissà quanti libri sono stati scritti anche a cominciare da quando Gutenberg (ma
quel sistema a caratteri mobili era già praticato nell'Islam medievale e ancor prima, in
modo rudimentale in Cina) iniziò una vera e propria rivoluzione nel campo della
comunicazione. Se poi aggiungiamo i giornali ci troveremmo di fronte a cifre enormi:
miliardi di pagine tutte destinate, dopo aver svolto la loro funzione, a subire anch'esse
l'opera implacabile del tempo, a marcire sotto l'acqua, divorate dagli insetti o dai topi.
Sterminate foreste sono state abbattute per ricavare dal legname la cellulosa di cui è
fatta la carta, ora le memorie digitali potranno dar relativa tregua alla già malridotta
vegetazione del pianeta ma non c'è supporto plastico o metallico che sia perenne.
Dovrà insomma esserci sempre qualcuno che si prenda cura di copiare e ritrasmettere
le informazioni ricevute e nel miglior caso di farle evolvere nel passaggio (ma può
succedere il contrario che esse vengano alterate e ridotte di significato).
Comunque siamo tutti in questo flusso. Anche noi siamo stati acculturati in un
certo modo e accultureremo a nostra volta, in un modo o nell'altro, bene o male che
sia. Chi non si ricorda dei libri delle elementari con il loro odore, i loro colori, perfino
la loro sostanza al tatto (cose di cui un bambino sta più attento di un adulto). E quanti
libri ci hanno fatto studiare, alcuni dei quali erano mattoni impenetrabili, solo peso da
portare nello zaino. Sicuramente belli erano quelli che sono stati scelti da noi stessi,
le prime scoperte di una ricerca personale motivata dai nostri interessi. Forse oggi li
giudicheremmo superficiali o addirittura negativi ma tutti hanno contribuito alla
nostra formazione e a dirci chi siamo.
Considerando le montagne di carta stampata (e oggi di quella analoga in gigabyt
del digitale) chissà quanti pensieri genuini, nobili, elevati, quante preziose esperienze
di vita ancora si celano! (Ma bisogna cercare in mezzo a tanta spazzatura, dove non
mancano nomi famosi e di moda). In tale enormità di cose dette mi domando che
senso ha scrivere ancora. Ma è una domanda retorica. E' come dire perché si vive se
già ci sono miliardi di vite che vivono. Ogni vita, diciamo la verità, si sente un pò
speciale, pure quel ragnetto che è andato a finire giù nel lavandino avvaleva i suoi
diritti di farsi una decorosa ragnatela tra i piatti (per il lettore sensibile va detto che
potrebbe essersi salvato lungo la fogna e adesso oziare beatamente da qualche parte.)
Ogni creatura afferma di esistere e di essere unica nel suo genere. Non possiamo
farne a meno. E' l'istinto di sopravvivenza. Quindi l'artista continuerà a dipingere
come se non lo avesse mai fatto nessuno prima di lui (perfino quelli che
spudoratamente vanno avanti scopiazzando altri quadri e fotografie) e un insegnante
continuerà a far lezione come se tutto il sapere dipendesse da lui. Ed è bello e giusto
che sia così. Ciascun momento di ogni individuo può riscoprirsi sacro, meraviglioso e
irripetibile quando esprime la verità del proprio essere. Semplicemente è fare bene il
proprio mestiere, e questo serve a se stessi e può servire a qualcun altro. Ciò vale per
tutto, anche nello scrivere libri. Nelle cose vere c'è dell'energia che scorre.
Come ho avuto la fortuna di condividere il pensiero di un altro leggendolo, così ci
sarà chi si accorda con quanto scrivo. Non mi interessa la quantità ma la sintonia con
qualcuno. L'esperienza mi dice che si finisce sempre per incontrare "quella" persona,
"quelle" idee, anche indirettamente in un libro, nel momento giusto. Se l'astrologia
non fosse una bella favola (ma c'è anche una questione di inconscio collettivo, un
simbolismo che traduce una realtà più profonda) rappresenterebbe bene la situazione.
Questo vale anche per ogni avvenimento nella vita, tutto è il frutto di azioni e pensieri
precedenti che si sincronizzano nell'ambiente. Insomma, a mio parere, il caso è ben
ordinato.... Ed ecco che quel libro te lo trovi sotto gli occhi e uscirà dall'anonimia.
prenderà esistenza, diventerà parte di te secondo una intensità e importanza relativa a
quella presente nel libro stesso e nel tuo potenziale. Stessa cosa per un film, per
un'opera d'arte pittorica o architettonica. Ancor di più quando ci si relaziona con una
persona: essa esce dai "nessuno e centomila" di pirandelliana memoria e diventa
"uno". Anche un animaletto con il quale ci si trova in simpatia acquista una valore,
diventa "quell'animaletto", non uno tra i tanti, e a cui si può finire per volerci bene ed
essere contraccambiati come solo sa chi ci ha convissuto. Diventano così
condivisibili le esperienze
contenute nei libri sugli animali (splendidi quelli di
Giorgio Cerri e James Herriot).
L'importanza di un libro sta nella sua capacità comunicativa e qualitativa, il livello
mentale in cui opera. La fama e la tiratura non hanno di per sè relazione con la
qualità. Libri scadentissimi (come personaggi banali) possono dominare la scena e
arrivare a conquistare il pubblico, ma non per questo migliorano. La quantità e la
qualità viaggiano su sentieri diversi. Può capitare che le due realtà coincidano per una
somma di fattori anche casuali, o spinti da fattori esteriori, come la reclame del
prodotto, ma di per sè, le cose veramente di valore saranno comunque apprezzate da
pochi, anche se nelle mani di tutti.
Nello stesso periodo in cui scrivevo queste pagine avevo mandato via e-mail agli
amici una immagine di una persona a noi cara, ritratta in un gesto affettuoso con chi
gli era accanto. Poco dopo ricevevo da uno di essi questa risposta: " Se posso farle
una confidenza molto personale, la sensazione di un abbraccio come questo l’avevo
distintamente avvertita mentre leggevo, diversi anni fa, il primo libro di Gabriele
Mandel che mi era capitato sottomano (acquistato subito da una bancarella di libri
usati) : “. Un trattato sul Sufismo pubblicato da SugarCo, una presentazione storica,
eppure dalle righe scaturiva con una forza il dolcissimo entusiasmo dell’autore, e
insieme la sua capacità di amare. Con quel libro il Maestro mi aveva messo una
mano sulla spalla, e con l’altra mi aveva aperto una finestra su un panorama pieno
di luce. E’ tutto e soltanto merito di quell’iniziale “abbraccio” mentale che adesso
mi viene spontaneo cercare qualcosa di buono in ogni cosa, in ogni situazione, e
vedo nei fatti quanto migliore sia diventata la mia vita..."
In ogni rapporto c'è uno scambio, un dialogo conscio e inconscio. Un oratore che
parla ad una sala vuota non ha senso. C'è bisogno di un feedback, quello stesso che
gli attori di teatro percepiscono quasi sulla pelle. Ma cosa si comunica? La propria
erudizione per far sapere che si sanno delle cose? Per far vedere quanto si è bravi?
Tutta spocchia e stupidità, ed è come parlare al vento. Notizie tecniche sul tipo di un
libro del fai da te o sul giardinaggio o la cucina? Almeno questo è utile. Esperienza e
riflessione? Ecco, questo è importante, se poi c'è un'arte, un sapere da trasmettere,
ancor di più.
Ogni libro ha un filo conduttore, un tema. Qui ho raccolto varie introduzioni o
commenti a libri non miei, ma che poi, per lo meno alcuni, sono diventati parte di me.
Non sono i libri che ho trovato necessariamente più validi ma quelli che per una serie
di motivi ho voluto riproporre all'attenzione di altri.
Mi guardo intorno nel mio studio, circondato da centinaia e centinaia di libri
spesso addossati gli uni sugli altri. Probabilmente riuscirei a datare quando sono stati
letti o per lo meno consultati, spesso compagni di viaggio nel senso letterale, dentro
una tasca o in un borsello, nei miei trasferimenti da un luogo all'altro, sul treno e su
un autobus. Oppure nelle lunghe passeggiate tra i monti e i boschi quando mancava
un amico per conversare insieme. C'è anche qualche volumetto che porta i segni di
qualche improvvisa pioggia o insetto caduto tra le pagine.
Quanta ricchezza c'è in tanti di loro! In questo mondo che corre sempre più forte e
in superficie un libro riesce a creare un'oasi per rinfrescarsi e riprendere contatto con
se stessi. Ci sono certi luoghi religiosi, chiese, moschee o pagode, case abitate da
persone sagge che ci danno questo senso di "oasi". Un luogo materiale dove si può
fare il vuoto della materia per far entrare lo spirito. Un buon libro (ma anche un buon
film) ricrea, ovunque siamo, questa situazione, facendoci ricordare che la vera dimora
sta in noi stessi, nel nostro Sè.
Studio introduttivo sulla psicologia della fiaba (prefazione del libro
"Le fate dei sogni" di Gilberto Venturi.)
Chi ha comprato questo libro per leggere una fiaba al figlioletto, o per godersela lui
stesso, passi in fretta alla seconda parte. Chi vuole invece riflettere con me sul valore
psicologico della fiaba rimanga qui che qualcosa di interessante potrebbe trovare.
Sono stati pubblicati ottimi libri di indagine psicologica sulla fiaba come "Il Mondo
Incantato" di B.Bettlheim , "Il Linguaggio Dimenticato" di Erich Fromm e di
M.L.Von Franz "L'Individuazione nella Fiaba" e "Le Fiabe del Lieto Fine", ma oltre
allo specifico, tutti gli studi sui simboli fanno necessariamente rientrare nel discorso
la fiaba in quanto, per natura, essa è intessuta di simboli e di metafore. Gustav Jung, a
tal proposito, ha aperto una miniera inesauribile quanto lo è l'inconscio collettivo
umano. Di più. Tutta la psicoanalisi, in qualsiasi direzione di ricerca, da quella
freudiana classica a quella bioenergetica, ossia quella che apparentemente sembra più
lontana dall'analisi dell'inconscio, in realtà non può prescindere dal valore
psicologico della fiaba in quanto essa può agire interiormente in modo abreativo,
sciogliendo le energie somaticamente bloccate. Viceversa essa può essere stata la
causa (o una concausa) di questi blocchi in una sua introiezione sbagliata. Un tempo
si raccontavano anche fiabe orribili senza contare certi contenuti fantasiosi della
religione presentati ai bambini come verità. Racconti di demoni e punizioni infernali
hanno ossessionato generazioni per secoli e l'etnopsichiatria ha qui un suo tipico
terreno di indagine.
Per i bambini non v'è differenza tra religione e fiaba, ambedue parlano di un
mondo magico al di là del quotidiano. Questo non solo per loro: tutto il vissuto
religioso popolare è impregnato dal fantastico, basato com'è sugli interventi
prodigiosi delle madonne e dei santi, di angeli protettori e demoni malvagi pronti a
ghermire le loro prede. Ogni religione è inseparabile dall'immaginifico, da un mondo
simbolico che rappresenta l'eterna lotta del bene e del male, entità invisibili capaci di
proteggere e salvare o di causare le peggiori sofferenze. L'introiezione di questi
contenuti può diventare patologica causando ossessioni, sensi di colpa e incubi, per
cui quando si parla di religione e di fiaba si ha a che fare con un materiale psicologico
estremamente condizionante, basato com'è sulle suggestioni, da lavorare con estrema
cura.
La fiaba quasi sempre, per sua natura, comporta esagerazioni di ogni genere e di
alterazioni della realtà di cui bisogna informare il bambino. I suoi personaggi
onnipotenti sterminatori dei malvagi o l'approccio manicheo dove il bene e il male, i
buoni e i cattivi sono stereotipi ben definiti (anche una morbosa demagogia politica
tende a demonizzare l'avversario e a santificare la propria parte) hanno da essere
ridimensionati in una un'analisi critica da farsi, nei giusti modi scherzosi, col
bambino. La fiaba può essere un utilissimo strumento per aiutarlo a tracciare la
distinzione tra l'immaginario e il reale, senza per questo eliminare il mistero che
comunque rimane nei significati reconditi della realtà stessa.
Tutte le fiabe, vanno dunque filtrate col buon senso dai loro eccessi vuoi
moralistici o soprannaturali. Questo vale ovviamente anche per "le fate dei sogni",
con la sua fatina giustiziera. La cosa più divertente di questi racconti è proprio
l'intreccio tra religione e fiaba, quel che dovrebbero fare le madonne e i santi lo fanno
le fate al posto loro e per loro. Del resto la fiaba ricicla inconsciamente le religioni
precedenti allo stesso modo dell'arte, basti pensare alle raffigurazioni di Gesù dei
primi secoli: Apollo redivivo con tanto di bacchetta magica per fare i miracoli o le
stessa Madonna, new version di Iside o delle dee protettrici del mondo pagano.
Quindi nulla di strano in questi connubi fantastici giacchè come non esistono razze
pure non esistono religioni pure. La fiaba mette d'accordo tutti.
Il bambino ha un vissuto magico e rivive la mentalità primitiva "panpsichistica"
dove ogni oggetto ha un'anima ( effetti accentuati al massimo da favolisti come
L.Carrol con la sua Alice e da H.C.Andersen). La mancanza di conoscenza delle
cause dei fenomeni obbligava il primitivo a inventarsi spiegazioni fantasiose, ed è
così che, solo per dirne una, il sollevarsi dei fuochi fatui (derivati dalla combustione
del metano e del fosfano) dalla terra dove giacciono resti in decomposizione, sono
stati interpretatati come fantasmi o presenze arcane. Il bambino fa lo stesso ed è per
questo che bisogna offrirgli, per quanto possibile, una spiegazione scientifica delle
cose.
Ma non si creda che questa percezione magica del mondo finisca con l'età adulta e
un pensiero razionale. Molte persone si affezionano alla propria macchina, a un
oggetto, a una foto che gli ricorda qualcuno o qualcosa, perfino a un paio di scarpe e
talvolta questo investimento psichico sugli oggetti diventa feticismo vero e proprio.
Del resto la reclame ha la sua efficacia proprio in queste proiezione fantasiose: in
questo modo un attore bello e simpatico che diventa il mugnaio di un finto mulino, fa
salire alle stelle la vendita di un certo tipo di biscotti. Se la reclame fosse basata su
una adulta descrizione della realtà facendo vedere una industria dove gli operai si
muovono in un ambiente asettico con garze sul viso, essa perderebbe qualsiasi
attrattiva. La reclame deve rivolgersi all'io bambino per funzionare, deve creare un
mondo finto ma bello, che piace. Purtroppo l'informazione tecnica, che è quella
veramente importante, interessa a pochi. La stessa cosa succede nella politica, dove
sono le promesse e le illusioni a riscuotere voti, non l'analisi dei programmi e delle
competenze. Insomma la favola domina la vita di tutti i giorni, e per giunta una
cattiva favola dove dietro c'è l'interesse e spesso l'inganno, non un discorso educativo
e ricreativo dello spirito.
Per trovare il valore della fiaba dobbiamo riscoprire il mondo antico dove essa
assurge a mito: si pensi all'odissea di Omero, alla genesi biblica, al Mahbarata
indiano soprattutto, dove il fantastico lascia spazio a riflessioni metafisiche elevate.
Fedro ed Esopo sono i pilastri della favola propriamente detta, in cui i protagonisti
sono in genere animali: qui l'intento didattico è palese e riempie le brevi ma
coloratissime scene. Di tutt'altro genere, veri romanzi fantastici per adulti, le mille e
una notte, lasciano anche intravedere quell'erotismo che invece è assente nelle fiabe
pensate per i bambini. Ciononostante anch'esse fanno riflettere e nascondono un
intento morale. Rimanendo nel medio-oriente questo intento diventa "evolutivo",
ossia strumento per andar oltre l'ovvio e il consueto, nelle storie di Nasruddin, vere e
proprie palestre sufi. Ci si dirà che la fiaba ha bisogno di fate e folletti, ma questi
sono aggiunte fantastiche al racconto metaforico, quello stesso di cui si servivano
anche i maestri dell'umanità, da Confucio a Gesù. Il Corano dice espressamente che
le sue descrizioni dei paradisi sono allegorie fiabesche. Un frate, Bernardino da
Siena, diverrà famoso per le sue prediche, dove c'era sempre posto per qualche
gustosa storiella estremamente significativa. Andando ai nostri tempi autori come
H.Hesse (vedi "leggende e fiabe"), e ancora M.Hende, R.Piumini, J.R.Tolkien, T.
Brooks e T.Pratchett, ( e cito solo quei pochi che conosco bene) hanno scritto veri e
propri capolavori. In alcuni di essi, come Pinocchio, la simbologia iniziatica è
evidente, quasi il promemoria massonico di Collodi. Insomma la letteratura del
racconto fantastico, da cui si può estrarre un tesoro di saggezza e di slanci interiori e
vitali, è praticamente inesauribile.
Io sono cresciuto con le fiabe di mio padre, una persona dotata di una fantasia
straordinaria: le inventava sul momento e mai erano banali. Il primo a divertirsi era lui
mentre le raccontava. Succedeva così che spesso, alla sera, andavo nell'azienda di
vetroartistica che guidava e mentre intagliava figure sui cartoni ( gli spazi vuoti
sarebbero stati poi smerigliati sul vetro) oppure con perizia pennellava finti marmi, o
ancora incideva cristalli sulle mole, ci usciva sempre una favola. Anche nella pausa di
mezzogiorno a pranzo c'era il tempo per un raccontino. A complicargli la vita un
giorno diedi inizio alla stagione delle mappe da me inventate, in cui l'eroe doveva
passare tra mille difficoltà per arrivare alla meta. Mio padre doveva risolvere i
problemi per sfuggire ai mostri e alle avversità ...disegnate sul campo.
Ritrovai la stessa struttura delle mie mappe disegnate da bambino in certi giochi di
strategia per computer o in quei giochi di ruolo dalle ambientazioni spettacolari, sul
tipo della serie Elder Scroll e Gothic. Anche da "grande" non me ne sono persa una,
costruendo altresì scenari aggiuntivi a centinaia come hobby. Ma c'è molto di più del
semplice divertimento. Le trame riprendono i motivi classici delle fiabe con tutti i loro
archetipi a cominciare dall'eroe, l'avatar in cui il giocatore si immedesima. Il bene e il
male, impersonificati da maghi e stregoni, esseri di luce e mostri, costituiscono la
classica scacchiera in cui si muovono le storie ed è evidente che, se il contenuto dei
dialoghi e delle azioni non è filtrato dal rispetto di certi principi etici, il gioco diventa
potenzialmente dannoso (questo succede quando il giocatore è costretto per
proseguire a riprodurre un comportamento psicopatico, insensibile alle sofferenze
altrui). Per quanto sia tutto virtuale i condizionamenti, soprattutto in un bambino o in
un adolescente, rimangono e non sono da sottovalutare. Alcune di queste trame invece
sono state costruite positivamente con estrema attenzione alle potenziali risposte
psicologiche del giocatore. A tal proposto rimando all'analisi di un videogioco "uscita
dal mondo dei sogni" inserita nel mio "rapportarsi con gli altri e con se stessi"
reperibile anche online come ebook. Riporto qui solo l'inizio del saggio:
“Dreams to reality”, così si chiama un videogioco assai interessante: il
protagonista impegnato in una ricerca sul mondo dei sogni "entra" in esso per
conoscerlo direttamente, il problema è uscirne. E' un viaggio iniziatico in cui l'eroe
deve superare molte prove facendo leva sull'abilità e sull'intelligenza nello
sconfiggere i "suoi" mostri dell'inconscio. Le paure, quella del vuoto e dei ragni,
degli insetti e dei luoghi angusti o vertiginosi devono essere affrontate e vinte. Ci
sono tutte le componenti della psicologia del profondo: il confronto con l'ombra,
l'eroe, il fanciullo divino, l'anima (che emerge sia nella figura androgina dello
sciamano sia nella fanciulla che si sacrificherà , gli istinti paranoici del male
rappresentati dai suoi servi che utilizzano la violenza e l’astuzia per fini di potere.
Una battaglia che si conclude superando le opposizioni (acqua e fuoco) ed
integrando l'io . Le parti positive come le intuizioni vincenti (i folletti guida) e quelle
negative come i mostri, in realtà sono parti dell'io. Una volta che ci si è conosciuti il
male è vinto dalla semplicità e non combattendo con la stessa violenza...
Prendiamo dunque spunto dal gioco per avventurarci nel mondo intrigante ed
affascinante della psicologia e fisiologia del sonno, lo faremo attraverso una serie di
concetti guida per formare un quadro generale di riferimento da cui si potrà partire
per gli approfondimenti. (...)
...E le fiabe ci fanno sognare, sono esse stesse sogni ben organizzati. Oggi la
tecnologia può rappresentarle in modo interattivo ma un tempo ci si doveva
accontentare della propria immaginazione stimolata da qualcuno che le raccontasse, e
non conoscendo altro, era già tantissimo. Io ho avuto questa fortuna. Fatto sta che
raccontandomi le fiabe mio padre ammorbidiva, senza alcuna costrizione, la mia
vivacità, sfogata sempre fuori con gli amici a giocare e a correre. Sicuramente le sue
fiabe avevano uno scopo educativo secondo una morale classica, ma non priva di
qualche eccesso, giacché la moralità non deve impedire al bambino che è in noi (e
ancora rimando al mio libro precedentemente citato sul linguaggio transazionale o
G.A.B, genitore, adulto, bambino) di godersi liberamente e legittimamente la vita e
anche i suoi istinti, senza far male a nessuno nei modi e nei tempi disciplinati dall'io.
Ed è per questo che una fiaba non va mai soltanto letta, ma anche commentata
insieme al bambino, appunto per ritrovare i significati e smorzare gli eventuali eccessi
del racconto. Questo vale anche guardando insieme a un bambino un film o giocando
con lui. Il genitore dovrebbe essere il custode del buon senso e della serenità, e
lasciare sempre quella speranza del "vissero tutti felici e contenti" che alimenta le
fiabe. Del resto ogni evoluzione non è frutto solo della necessità ma anche di un
sogno di trasformazione, oltre le violenze, le prevaricazioni, le sofferenze e le
distruzioni che l'uomo combina su questo pianeta. Finché qualcuno racconterà una
favola l'umanità andrà avanti.
Ognuno è come si racconta
(prefazione del libro "Un angelo sulla terra"
di Gilberto Venturi.)
Quando ripenso a mio padre mi rivedo attento e incuriosito ad ascoltare le sue
fiabe che inventava una dopo l'altra come la cosa più naturale di questo mondo.
Questo è tipico della creatività degli artisti, dalla poesia, all'arte, alla letteratura e,
perché no, alle scoperte scientifiche. Ricordo che questo libro è stato pubblicato nel
1970 e le diverse tecnologie descritte in esso nei fantastici viaggi interstellari,
anticipano quanto oggi è nei prototipi o addirittura nell'uso comune. Siamo ancor
prima di Star Trek, ossia la serie di film che ha coinvolto tutti gli appassionati di
fantascienza. Se non c'è immaginazione anche la scienza si ferma. E lui era un'artista
in tutto, e di ottimo livello, aveva suonato come primo violino con l'orchestra
Angelini della RAI, oltre a esser stato un tenore di valore. Come pittore e decoratore
sono innumerevoli le opere che ha lasciato nelle chiese, tra vetrate, affreschi, e
quadri. Infine uomo di ingegno, come lo è chi si è fatto da solo, imparando ad
aggiustarsi le scarpe fin da bambino.
Ma tutta quest'arte non gli procurava quattrini. La sua soddisfazione era esprimerla
in modo gratuito soprattutto per la chiesa, essendo una persona con un forte vissuto
religioso mitigato, in genere, dalla sensatezza e dall'equilibrio. Quando i conventi
erano pieni di frati alla Domenica, a pranzo, egli aveva sempre un posto d'onore
accanto al padre guardiano, pronto a tener alta la conversazione. Certo il suo mestiere
di decoratore in una vetroartistica gli permetteva momenti creativi ma, essendone a
capo, seppur come socio, era spesso impegnato in faticosi calcoli d'amministrazione
che io percepivo interminabili, visto che alla fine poteva uscirci una favoletta prima
di andare a dormire.
Già avevo accennato nell'introduzione a "le fate dei sogni" (riedizione in formato
ebook di quella cartacea pubblicata dalla E.I.S.) alla psicologia della fiaba.
Ovviamente ogni autore, pur rifacendosi a certi modelli che trova nella sua cultura, ha
il suo modo di raccontare e di veicolare i contenuti. Non sfugge nelle sue fiabe
l'insistenza ai valori della giustizia: il bene deve trionfare sul male, la verità sulla
menzogna! Se nelle fate dei sogni è la fata ad essere una "giustiziera" in quest'altro è
un angelo. Anche se non mi ricordo che mio padre avesse mai parlato di ingiustizie
subite nell'infanzia, il suo bisogno di rimettere tutto a posto sul piano immaginifico
dove il prevaricatore è immancabilmente castigato, mostra senz'altro un forte
coinvolgimento sul problema. Va comunque ricordato che questa esigenza non è solo
confinata nelle religioni ma trova conferme anche nella psicologia, soprattutto del
profondo che più volte finisce per allinearsi alle tesi del karma buddhista. La giustizia
esiste di per sè, come un ordine archetipico dell'universo: non è solo un bisogno
compensatorio, una illusione per sopportare i mali di questo mondo. In un modo o
nell'altro, prima o poi, tutto finisce per sincronizzarsi secondo giustizia nonostante le
apparenti incongruenze. E poi è proprio il senso civico (insieme a quello estetico o
dell'arte e della fede) a caratterizzare l'essere umano. Un fatto è certo, chi nella vita
continua ad accusare gli altri o le cose della propria infelicità non sarà mai realmente
felice, neppure per un attimo. Bisogna cominciare da sè a esser giusti e onesti senza
per questo perdere di vista le negatività di questo mondo ma anche la possibilità di
una loro risoluzione.
Da come una persona reagisce alle situazioni ambientali (ovviamente si parla di
ambiente umano, a cominciare da quello che viene assimilato in famiglia
nell'infanzia) si delinea la sua personalità, ecco perché anche due gemelli monovulari,
dotati dunque di un simile corredo genetico e quindi di uno stesso temperamento,
possono risultare assai diversi nel comportamento. Chi rinuncia a scegliere e finisce
per assecondare passivamente una fonte genitoriale avrà pure un "forte carattere" ma
una insignificante personalità. Mentre i primi hanno sempre bisogno di inquadrarsi da
qualche parte, fare il tifo per qualche squadra (per qualche religione o partito),
insomma per dirla in modo freudiano, stare sempre dalla parte del super-io, i secondi
non si alienano mai in qualcuno o in qualcosa, ragionano in ogni circostanza con la
propria testa. Credo che questa frase "ragiona con la tua testa" sia quella che ho più
sentito da mio padre, quanto dunque doveva essere per lui prezioso valutare
personalmente gli altri e le cose senza pregiudizi e schemi ideologici prefissati! Chi è
libero interiormente può frequentare chiunque, se vuole, senza esserne condizionato.
Mi ricordo che lui, pur essendo contrario a ogni forma di dittatura, era capace di
stare un giorno a chiacchierare con un conoscente nostalgico del duce, e passare il
successivo con un altro dalle idee del Peppone di Guareschi (ma non per parlare di
politica, c'era sempre di mezzo un'altro interesse, la pittura o la musica).
Se rivolgete questa domanda ad una persona con una forte personalità: "tu sei
peggio, meglio o come tuo padre?" (fermatevi prima di proseguire per interrogare voi
stessi) egli vi risponderà: "Io sono io. Mio padre era mio padre". E certamente lui
avrebbe risposto così anche per il fatto che il suo non era certo d'esempio, al contrario
della madre a cui era affezionatissimo. Si tratta quindi di "fare la propria vita"
indipendentemente dagli altri, a cominciare dalla propria famiglia.
Insomma nelle fiabe di Venturi Gilberto il protagonista (che è poi è l'avatar di chi
scrive, vuoi la fata, vuoi l'angelo o chicchessia) ha una forte personalità, quasi
onnipotente nel tessuto fantastico se non fosse temperata dalla consapevolezza di
compiere degli sbagli. E proprio in questo modo viene fuori che in realtà solo Dio è
grande.
Se nelle fate dei sogni c'era una commistione tra magia e religione con "un angelo
sulla terra" essa è risolta con un espediente: dietro a mago scherzetto in realtà si cela
un essere di luce angelico. Il magico comunque rimane, eccome! Lungi da me entrare
nel terreno minato di fare l'analisi di un parente (che non voglio mitizzare in quanto
nessuno è immune da errori e difetti, ma ben venga segnalarne le positività) ma certi
dati oggettivi servono per capire la "sua" fiaba.
Dovete sapere che il convento dei cappuccini che frequentava aveva un'estesa
libreria impregnata di quell'atmosfera ben dipinta da Umberto Eco nel romanzo " il
nome della rosa". C'era quell'odore inconfondibile di libri vecchi, quei raggi fiochi di
luce che entravano qui e là a illuminare i vecchi, corposi testi con le copertine di
cartone. Essi erano addossati gli uni sugli altri sugli scaffali e lasciavano spazio nel
centro dello stanzone a una grande scrivania. Nel suo interno essa conservava i libri
all'indice, quelli "sospetti" e "proibiti"... Alcuni di questi finivano nel comodino di
mio padre, non per strane alchimie ma perché regolarmente imprestati dal padre
guardiano per poter mettere materiale sul fuoco da discutere.
Mentre sul piano visibile del comodino della camera da letto di mio padre c'era un
libro in francese "metodo Lysle" (lettura immancabile per prendere sonno...) quello
interno conteneva appunto i libri segreti...c'era pure nel cassettino un preservativo
robusto, di quelli lasciati ai commilitoni dall'esercito: ignaro dell'utilizzo un giorno
lo tagliuzzai per farne piccoli elastici. Preservativo e punizione a parte, il possesso e
la lettura di certi libri non significa ovviamente adesione ai loro contenuti, ma
certamente le sue riflessioni sull'esoterismo hanno finito per ispirare anche i suoi
racconti e anche la vita di tutti i giorni.
La sua fede nell'Aldilà come nella Provvidenza era fortissima, ma mai dai toni
morbosi. Un giorno non distante da quello in cui morì mi disse che una prova di
qualcosa di ultraterreno poteva essere attuata proprio sul ...comodino. Se la sveglia
dopo la sua partenza terrena avesse continuato a rimanere carica senza l'intervento di
nessuno...Ovviamente me ne ricordai a tempo debito. Ma la fame dell'io bambino
verso il meraviglioso e anche certe verifiche oggettive, non devono confondere il
modo di accostarsi adulto, maturo e intimo della fede in un significato spirituale della
vita e dell'universo..
Personalmente ritengo che non ci siano argomenti tabù (tipici dei caratteri coatti)
ma che tutto possa essere esaminato e ragionato. La ricerca della verità è la cosa più
bella che esista ma si preclude ad essa chi ha inibizioni, chi nega la possibilità di
mettersi in discussione con se stesso. Si evolve anche attraverso gli errori e chi ritiene
di non sbagliare nai possiede la non augurabile rigidità di un morto.
Nell'immaginazione e quindi nella fiaba, si nascondono tante verità dello spirito
umano, ma si possono cogliere solo se la parola libertà non è ripetuta come uno
slogan politico, essa è una realtà da conquistare dentro di sè. Se la mente è sgombra
da condizionamenti, pregiudizi e quant'altro, l'intuizione può cogliere quanto è oltre
la forma. Come spiegarlo se non è un fatto solo di pensiero ma coinvolge il sentire,
l'esperienza, il vissuto? Per usare le parole di Gilberto Venturi con "l'ariosità dei
sogni", o forse ancor più con la "leggerezza dell'essere", quando ormai si sono
staccati i pesi dell'abitudine (che ci bloccano a non affrontare il nuovo, la scoperta
praticamente illimitata di conoscenze e esperienze), e delle devianze (che spargono
sofferenze per se stessi e per gli altri). Felicità e bontà insomma vanno sempre
d'accordo quando si sa essere anche giusti con se stessi e con gli altri.
Il bene e il male nella fiaba (prefazione del libro "Fagiolino" di Gilberto
Venturi.)
Fagiolino è una fiaba in poesia con tanto di rime baciate. Come spesso succede in
questi casi le licenze poetiche aiutano l'estetica della lirica ma comportano qualche
piccolo problema di comprensione. Giova dunque leggere prima il contenuto della
poesia in prosa per godersi dopo il ritmo poetico senza impedimenti. Intanto si sa
come va a finire: che vissero felici e contenti! La storia di Gilberto Venturi, come
ogni sua fiaba, contrappone i buoni e i cattivi, il bene ed il male ma con tante trovate
originali in mezzo. Con Fagiolino l'eroe del bene è un minuscolo personaggio, e qui
sta il bello: atto di fiducia che se si sta dalla parte del bene, anche partendo
svantaggiati e con infimi mezzi, si può vincere. Tutto inizia dalla nascita prodigiosa
di questo esserino, per volontà delle fate, da una lacrima di una donna che non poteva
aver figli. Questa "impotenza" viene riscattata nel finale dalla prolificità dello stesso
fagiolino, trasformato in un aitante cavaliere pieno di ormoni per ripopolare il regno
(che evidentemente non soffriva della devastante sovrappopolazione umana che c'è
invece sul pianeta terra). L'idea che l'orco e la strega mangiatrici di uomini
favorissero invece l'ecosistema (meno violento sarebbe stato un controllo delle
nascite a monte) ovviamente non è presa in considerazione. Ma, scherzi a parte, in
effetti quanto si definisce male ha una sua relatività così come il bene, non nel senso
che sono da appiattire sullo stesso piano, bensì perchè sono in relazione
(relativamente "a") a circostanze particolari e in mutamento. Se vediamo in un
documentario una leonessa che insegue la gazzella tenderemo a parteggiare per la
preda, ma se l'attacco non riesce i suoi cuccioli potrebbero morire di fame. Il bene
dell'uno è il male dell'altro. Nella fiaba comunque, appunto perchè rivolta ad un
pubblico infantile, è sempre opportuno che vi sia una chiara distinzione tra bene e
male, soprattutto se il riferimento è su un piano etico universale laddove i
prevaricatori, e chi causa ingiustizia e sofferenza, evidenziano da sé la propria
negatività. La presenza di uno sviluppo anche etico, di "responsabilità" del proprio
agire, è fondamentale in una narrativa capace di essere non solo educativa ma
"curativa" , come avvedutamente comprese Erik Erikson, una pietra miliare in
psicologia.
Ma da dove nasce l'idea del bene e del male che fa da sfondo non solo alla
letteratura fiabesca, ma a quella religiosa fino a quella politica ( dove le ideologie si
proclamano buone spesso in contrapposizione alle altre definite cattive) ? A che si
deve questa continua contrapposizione? Probabilmente, come afferma Hug Williams
nel suo "La conquista sociale della terra" (ottimo libro ma, a parer mio inficiato da
una visione neodarwinistica sulla selezione che è solo una componente evolutiva, di
un quadro ben più vasto e complesso) dalla fortissima tendenza umana al tribalismo
e alla continua conflittualità interna ed esterna. L'uomo fa la guerra a tutto, compreso
al cancro e alla miseria (quando sono questioni da risolvere razionalmente) dice
giustamente l'autore, come se non potesse fare a meno di contrapporsi a qualcosa o a
qualcuno. La frammentazione della società umana in molteplici religioni, squadre
sportive, stati, partiti, etnie, classi, eccetera, manifesta il bisogno dell'uomo di
individuarsi in una tribù e quindi di differenziarsi dagli altri. Come diversi
esperimenti psicologici hanno dimostrato anche la costituzione artificiale e casuale di
due gruppi sotto il segno di un colore diverso porta in poco tempo gli uni o gli altri
ad avere pregiudizi vicendevoli. Noi siamo i buoni e gli altri sono i cattivi. Da qui
una storia interminabile di guerre, dalla savana alle metropoli passando per incessanti
micromutazioni che continuano ancor oggi, ma ben saldi rimangono i geni
belligeranti. Anche le specie più prossime a noi come gli scimpanzè , con il 98,5 di
geni comuni, pure sotto questo aspetto sono identici a noi nel farsi la guerra
incessantemente, sia tra gruppi rivali sia all'interno del gruppo per problemi
gerarchici. Questa caratteristica abbinata al fatto che la specie umana non rimane in
equilibrio con l'ambiente ( in quanto preferisce portarlo alla morte per saccheggiarne
le risorse piuttosto di limitare la sua popolazione), l'ha fatta un vero e proprio pericolo
per l'ecosistema, e presumibilmente suggellerà la sua fine sul pianeta lasciandolo in
un cimitero di spazzatura e veleni.
Ma l'uomo non è solo questo. In lui c'è arte, fede e civismo che a mio parere non
sono illusioni o forme compensatorie come vuole la credenza materialistica e
meccanicistica, ma esigenze interiori che lo portano a connettersi con il significato
profondo dell'esistenza, alle Leggi intelligenti che governano il mondo. Non per
questo l'ateo e chi ha fede in un senso divino della vita e della natura (aldilà delle
forme religiose che tuttavia nascono dallo stesso impulso) sono destinati a
contrapporsi, sono due modi di esserci e di vedere il mondo che non escludono i
comuni intenti verso la verità. La ricerca scientifica dell'oggettività di per sè non
nega l'accettazione di un significato spirituale della realtà. Il fatto di credere che tutto
sia casuale e fortuito e quindi relegare il bene e il male alla sola convenzione umana,
è una credenza come un'altra. A mio parere è più ragionevole quanto diceva Einstein
: "mettete in un angar tutti i componenti di un aereo insieme agli strumenti per
assemblarlo e sotto un motore che agiti il tutto: anche dopo miliardi di anni senza un
progetto guidato da mani intelligenti tutto continuerà caoticamente a ballare". E la
vita biologica è estremamente più complessa di un aereo...
La fiaba ci rimette in un universo ordinato, dove la giustizia, il bene e la verità
trionfano sul caos, l'ingiustizia e il male. Seppur in modo semplicistico essa riflette
questo bisogno umano di partecipare a dei valori profondi, al di là di quelli egoistici
della sopravvivenza individuale e del branco di cui fa parte. In altre parole il bene è
universale, non un privilegio di qualcuno o di una parte. E' un conto la "coscienza"
determinata dalle ingiunzioni culturali del gruppo (il classico super-io di Freud) che
indirizza il senso del bene e del male, (coi conseguenti sensi di colpa e gratificazione)
in una direzione settaria di condizionamento, e un'altra quella derivata da un'etica
basata sulla ragione e da valutazioni obiettive oltre interessi di parte e
condizionamenti pregiudiziali. Ma siamo sicuri che il bene e il male non siano anche
valori oggettivi come aveva intuito Platone secoli prima di Cristo? Non idee di un
mondo astratto iperuranico ma essenze nella natura stessa.
Apparentemente in natura esiste solo l'utile, quello che serve alla conservazione
dell'individuo e della specie. Se in natura esiste l'altruismo e la solidarietà è perchè si
dimostrano utili. Si pensi a un formicaio o a un alveare, ma anche a un branco di lupi
dove ogni individuo collabora per l'insieme. Nell'evoluzione degli organismi le
cellule si uniscono e si specializzano per convivere in un essere pluricellulare. Ogni
animale, compreso l'uomo, è fatto da trilioni di cellule e nel DNA una percentuale è
fatta anche da tracce di virus che si sono incorporate specificando ulteriormente le
caratteristiche di quella specie. Tutto può essere amico o nemico in natura secondo le
circostanze, anche un virus e un batterio (nelle visceri umane c'è almeno un chilo e
mezzo di batteri che aiutano allo smaltimento delle scorie, che sintetizzano elementi
per il nostro fabbisogno e offrono un aiuto in caso di minacce patogene). Il nostro
corpo è un immenso universo biologico di cellule in cooperazione e tutta la natura
ripropone una impressionante varietà di alleanze tra gli organismi in strutture
sempre più complesse.
L'indubbia dura legge della sopravvivenza a cui dovette far fronte già la prima
cellula ha obbligato gli esseri a unirsi e collaborare tra loro alla ricerca degli elementi
base (l'energia) di cui il metabolismo ha necessità. Un processo che non segue solo la
selezione naturale ma dove il DNA viene mutato secondo le esigenze dell'ambiente
(attraverso la trascrittasi inversa). La vita insomma, detto in soldoni, sa il fatto suo,
"impara", è intelligente e di questa intelligenza siamo partecipi anche noi esseri
umani (non ce la siamo inventata). Ma il processo di "aggregazione" riproduce nel
vivente la stessa legge che spinge le particelle a unirsi e a dare forma a sistemi
sempre più articolati. Il processo creativo sta nell'aggregazione mentre quello
distruttivo (quindi la morte) nella disgregazione. In un organismo i due processi
convivono in un perfetto equilibrio (processo anabolico e catabolico).
Lo scenario che si apre, a mio avviso, fa coincidere le antiche visioni del mondo
sciamaniche con i dati scientifici più rigorosi. La realtà fisica e biologica si esprime
nell'intrecciarsi delle due fasi come su una scacchiera, un gioco di opposti che si
manifestano nell' espansione e nella contrazione, caldo e freddo, creazione e
distruzione, vita e morte, sembra col fine di una sempre più evoluta percezione
consapevole dell'universo attraverso le sue forme (il Grande Spirito degli indiani
d'America). Gli esseri evolutivamente sentono il mondo con le proprietà stesse
dell'universo, in altri termini esso conosce se stesso attraverso le sue forme. I due
processi fisici e biologici vengono percepirti come piacere e amore (l'attrazione) e in
dolore e odio ( la repulsione). Alla base ci sono le stesse leggi fisiche che spingono
due atomi a unirsi o a separarsi: la classificazione dei regni (minerale, vegetale,
animale, umano e spirituale) tende a far dimenticare che la Realtà non può che essere
UNA.
Quando i mistici parlano dello stato di estasi si riferiscono a una percezione di
ritorno nel tutto, di una fusione cosmica come se il fine dell'universo fosse proprio
questo. Ritornare all'Uno, a Dio, al Bene. Una illusione che può trovare spazio solo
nelle fiabe? Può darsi. Ma puntare tutto su un universo che sta lì per Caso è un atto
altrettanto irrazionale. Se non ci fosse niente, un bel nulla eterno ci metterebbe tutti
d'accordo ( anche perchè non ci sarebbe..."spazio" per i commenti), ma qualcosa c'è
(a chi non tornano in mente le cosmicomiche di Italo Calvino?) e anche bello
evidente (un universo di miliardi di galassie con miliardi di stelle, e forse rappresenta
solo una infinitesima parte di un multiverso indescrivibile) , sia per le dimensioni
immense sia per il suo tempo, probabilmente senza un inizio (il big bang sarebbe
solo uno dei tanti) e una fine (e anche qui le apocalissi cosmiche si riprodurrebbero in
eterno), ma soprattutto per la sua capacità di organizzare la vita e l'intelligenza
all'infinito su ogni pianeta adatto, per la facoltà di darsi consapevolezza...
Sensazioni, intelligenza, memoria, emozioni sono in natura mescolate in uno stesso
calderone, non sono proprietà di qualcuno in particolare, si chiami pure essere
umano. E gli ingredienti sono i minerali di cui è fatto questo universo, pronti a
ritornare nell'energia di cui sono un aspetto materico e fenomenico. Tutto è
incessantemente in evoluzione in certe parti ed in involuzione in altre, stelle che
nascono e stelle che muoiono e non è difficile pensare a pianeti in cui la vita sta
nascendo e in altre che sta morendo, civiltà in un avanzamento non solo tecnologico
ma soprattutto di affinamento percettivo ed altre in caduta libera (la nostra dove sta?).
La fiaba che presentiamo non ha bisogno di illustrare milioni di micromutazioni per
tracciare l'evoluzione: qui si passa direttamente nell'arco di una generazione da un
fagiolo a un principe dotato di una prestanza fisica e di doti umane e di saggezza
straordinarie. Nella realtà ci vuole un po' più di pazienza ma la spinta evolutiva c'è
anche laddove tutto sembra pietrificato nel gelo siderale. Il nostro bene, il nostro
significato, sta nella nostra evoluzione, comunque si intenda, lasciando alle nostre
spalle gli aspetti via via più primitivi anche se ogni tanto può venire la nostalgia di
arrampicarsi e stare sugli alberi come facevano i nostri progenitori.
Io credo che la fede in questo significato spirituale della realtà sia non solo
ragionevole ma del tutto naturale. Per altri è una scommessa. Comunque sia lo
stupore di ogni bambino nel guardare il cielo stellato (almeno i più fortunati giacchè
l'inquinamento luminoso e dell'atmosfera ha tolto dalle città questa meraviglia) ci
riporta al mistero dell'esistenza a cui sentiamo di dar significato e valore . Anche una
fiaba ridipinge il mondo in modo ordinato, come esso fa per conto suo dal caos al
cosmos . Forse questo è il bene. Qualcuno in questi casi diceva "chi ha orecchie da
intendere intenda" per dire: mettici l'intuizione e vai avanti con la tua testa. E come in
una fiaba ognuno sceglie il suo sentiero nel bene e nel male, in un mondo che
prodigiosamente lascia spazio alla libertà di imparare e scegliere, scrivendolo fino
nelle pagine del DNA e chissà, nei campi stessi dell'energia, oltre il tempo, oltre lo
spazio. Tutto si origina dall'Uno e tutto ritorna all'Uno. Nel linguaggio della fiaba i
malvagi contribuiscono al disegno dove la sofferenza che causano finisce per
rovesciarsi su loro stessi. Ma alla fine "tutti vissero felici e contenti".
Commento al testo di Daniel Chamovitz : "Quel che una pianta sa"
E' un libro eccellente quello del biologo Daniel Chamovitz, direttore del Manna
Center for Plant Biosciences all’Università di Tel Aviv. In esso dimostra che pur
mantenendo un impeccabile rigore scientifico ci si può aprire a una visione che
supera il meccanicismo positivista, l'unica filosofia che secondo alcuni garantirebbe
un approccio realistico alla scienza. Indubbiamente il riduzionismo positivistico
ottocentesco ha fatto bene alla ricerca in quanto rivolgendo l'attenzione all'aspetto
meccanicistico del fenomeni e non inficiandolo di presupposti ideologici ha permesso
un avanzamento delle scoperte straordinario. Ma il mezzo si è confuso col fine per
cui la metodologia scientifica è stata inglobata con gli assunti della filosofia
positivistica. Il mondo e la vita sarebbero esclusivamente un meccanismo nato dalla
casualità. Anche la consapevolezza sarebbe il risultato di fortuite combinazioni
atomiche e molecolari. Fatto sta che essa risale ben oltre la specie umana, come
dimostra il libro di Chamovirz: anche una pianta ha il suo tipo di sensibilità, di
memoria e di consapevolezza (seppur arcaica, l'Es di Freud o biopsiche). Gli esseri
umani condividono coi vegetali diversi geni simili che hanno mantenuto la loro
funzione come nel mantenere il senso dell'orientamento, del movimento e della
percezione luminosa. Si può perfino rintracciare nei vegetali un'ancestrale rete
neuronale.
Il libro per quanto possa apparire a chi non è addentro alla biologia come ricco di
sorprendenti rivelazioni in realtà non si concede alcuna fantasticheria, anzi con
rigore tende a far pulizia della letteratura pseudiscientifica sull'argomento. Per
esempio Chamoviz, in un paragone con l'essere umano e i suoi sensi, si domanda se
una pianta ascolta. Dopo aver evidenziato la poca credibilità scientifica di chi
asserisce che le piante amano Mozart e non il rock conclude che allo stato attuale
della ricerca "l'ascolto delle piante" sembra ridursi all'effetto della vibrazione,
dannosa se eccessiva. L'autore comunque lascia aperto il discorso a ulteriori verifiche
giacchè non solo altri ricercatori ma l'esperienza di alcuni coltivatori invogliano
ulteriori indagini. In questo capitolo, però, come nel resto del libro, rimane da
esaminare un punto di vista che non è stato neppure preso in considerazione ed è
questo: mentre giustamente il ricercatore evita ogni interferenza soggettiva capace di
invalidare i risultati, paradossalmente si elimina chi ha determinato gli effetti in
esame ( nello specifico la risposta positiva delle piante a certe melodie e ritmi). In
altri termini la domanda è questa: la pianta può essere indotta a reagire in un certo
modo dalla sensibilità delle persone? Esattamente come l'empatia che può verificarsi
tra un uomo e un animale induce quest'ultimo a un comportamento ben diverso se
non ci fosse, questa potrebbe verificarsi con le piante. E' solo una ipotesi ma perchè
scartarla a priori? Del resto ci sono anche di mezzo gli umori chimici che l'uomo
emette sulla sua pelle e che potrebbero essere percepiti dalla pianta. Non è da
escludersi che l'effetto Mozart sia reale ma per via dell'osservatore.
Anche un altro punto di scetticismo dell'autore può essere discusso. Questo a
proposito della presunta impossibilità della pianta di stabilire una sorta di legame con
chi la cura Se la pianta ha una memoria e un sensibilità tattile come si può negare che
non ricordi anche gli umori e la stessa vibrazione della mano o della voce di chi
l'accudisce? E' una domanda non una affermazione. Resta il fatto che i suoni passano
il corpo materico e le vibrazioni possono incidere su di esso, animale, vegetale o
minerale che sia. Sarebbe un campo da esplorare tenendo anche conto delle ricerche
di Rupert Sheldrake, direttore emerito del dipartimento di biologia del cellulare del
Clare College di Cambridge. Del resto la teoria dei campi morfogenetici anche se
contrasta con gli antichi dogmi meccanicistici (ma nessuno esclude che non ci sia
"anche" un meccanicismo dietro i fenomeni), non vuole sottrarsi all'esperienza e
all'osservazione, anzi è proprio per i dati esperienziali che viene sostenuta.
Comunque sia ogni realtà, fisica o o biologica, è una manifestazione dell'energia e
ogni oggetto fa parte di un "campo di energia" con cui interagisce. E' solo una
traccia da seguire, per lo meno da parte del lettore, a completamento del libro.
Scrivendo queste cose mi sovviene un ricordo personale, quindi senza alcun valore
scientifico, ma la vita è fatta di esperienze che se custodite e memorizzate
correttamente, danno un senso anche affettivo ai propri studi. Io, da ragazzo, avevo
un "vecchio amico" di nome Antonio che spesso andavo a trovare nel suo magnifico
giardino abbinato a un orticello e ad un ordinatissimo pollaio . Una variegata serie di
piante da fiore genialmente disposte sul terreno o nei vasi su assi di legno fissate ai
muri (soprattutto gerani, dalie e begonie) coloravano e profumavano l'ambiente.
Spesso la gente si fermava a guardare quell'incanto oltre a far due risate con
quest'uomo simpaticissimo e bonario. Quando questo morì ultraottantenne, e tutti gli
abitanti locali se lo ricordavano tra loro, i suoi due fratelli continuarono a occuparsi
del giardino con le stesse mansioni (già lo facevano quando era in vita, in certe
occasioni) ma...passarono pochi giorni e tutto cominciò ad avvizzire. Volendo si può
ricercare qualche ragione come una pioggia acida, ma quel giardino con Antonio era
sempre stato un gioiellino fino al giorno della sua morte.
Comunque sia ritorniamo al nostro libro che nell'ultimo capitolo si apre a ottime
riflessioni dopo aver constato le ritrosie di certi ambienti scientifici legati alle
vecchie impostazioni. Pur non concedendo nulla a fantasie la vita ci appare una realtà
ben più profonda e complessa che un complesso di molecole avvitate dal caso.
L'epigenetica ha dimostrato che i viventi fanno esperienza e reagiscono in modo
intelligente trasmettendo l'informazione alle generazioni future. Il DNA è modificato
attivamente dall'interno, diremmo dal "vissuto". Lamarck aveva ragione almeno
quanto Darwin. Ecco che si dispiega un modo filosofico diverso da quello
positivista: "L'intelligenza o la consapevolezza potrebbe essere una proprietà del
vivente".
In un certo senso il positivismo condivide lo stesso dogma delle religioni nel loro
aspetto popolare: c'è voluto un colpo di bacchetta magica per dare l'inizio alla vita e
alla consapevolezza, si ricorre insomma a un dio esterno che si può chiamare anche
"Caso". Ecco che come Pinocchio prende vita e parola quell'animale diventa
cosciente. In realtà deve esserci una continuità che probabilmente supera anche il
confine tra minerale e vegetale: cosa c'è di strano se ipotizziamo che l'energia stessa
abbia in sè la consapevolezza in una forma che gli esseri hanno ricevuto ognuno in
modo "diverso"? Perchè l'energia e il suo derivato materico dovrebbero essere un
"qualcosa" di assente a se stesso, con lo stesso valore del nulla? Del resto non siamo
anche noi che la investighiamo parte di questa stessa energia? Non è invece più
strano ipotizzare che essa ha aspettato infinite mutazioni casuali del suo stato per
prendere in noi una imprevedibile consapevolezza? Quest'ultima poteva benissimo
non verificarsi mai lasciando l mondo inconsapevole, un mondo di "mattoncini lego"
nel caos. Ma il Dio Caso ha provveduto dando a qualcosa di incosciente nel nulla
una direzione, un senso, una domanda, quella stessa delle cosmicomiche di Italo
Calvino. Insomma un ateo, il credente del Caso, deve avere tanta fede, almeno
quanto quella di chi immagina il suo Dio come un papà onnipotente su qualche
nuvoletta. Apparentemente il riduzionismo positivista elimina tanti problemi,
sembra tutto più più facile: siamo solo corpo, tutto è un meccano, non c'è anima e
misteri. Mangia, bevi e goditi la vita. La responsabilità e l'etica sono solo un
optional. Ma non è pure questo un modo di illudersi?
Che filosofi come Parmenide, Plotino, Spinoza, Leibnitz e Rosmini avessero colto
nel segno quando pensavano ( ma è un "sentire" non un pensato astratto) l'Essere
come una realtà preesistente? Che la cosmogonia della Schakti, l'Energia primordiale
dell'Induismo o il concetto stesso di Logos indichino il giusto modo di rapportarsi
alla Realtà? Rimane il fatto che questa vita che l'uomo distrugge moltiplicandosi in
modo incontrollato (inquinamento, antropizzazione a danno degli ecosistemi) in
realtà è un tutto che sente e comunica. L'uomo col suo mondo di macchine e di realtà
virtuali se ne allontana sempre di più. Se le religioni hanno leggende e miti fantastici,
dottrine sovente in antagonismo tra loro, forse è anche vero che nella loro sostanza
ci comunicano quel mistero del Dio Vivente, del sacro la cui mancanza ci porta
lontano da noi stessi, a morire nella nostra stessa essenza. Così quanto sembrava un
eccesso ricordato dall'autore, "il rispetto degli alberi" voluto da una norma svizzera,
si traduce in un simbolo da cui sarebbe forse alienante tirarsi da parte.
Commento al testo di E.O.Williams "La conquista sociale della terra"
Può sembrare incoerente apprezzare un libro con cui non si è d'accordo sulle
premesse e sul metodo, ma non è così. Anche se c'è chi sviluppa il suo punto di vista
in modo diverso dal proprio si possono cogliere in esso diversi aspetti condivisibili.
Soprattutto in questo libro riconosco la competenza, l'autenticità del ricercatore, il
buon giudizio e per ultimo la capacità letteraria di comunicare. Quindi sottolineo qui
solo un modo diverso di pensare, non le tante cose che leggendo ho ammirato.
Williams entomologo, professore emerito all'università di Harvard, spiega
l'evoluzione della specie umana all'interno dell'eusocialità, in poche e semplici parole
quando diversi individui si mettono insieme formando dei gruppi. Mentre negli
insetti eusociali come le api e le formiche l'interesse individuale (soprattutto di
procreare lasciato solo alla regina) è stato cancellato in favore di quello dell'insieme,
nell'uomo le due tendenze (di fatto geneticamente egoistiche e altruistiche) si sono
mantenute in una dialettica evolutiva dove anche l'interesse egoistico può combinarsi
con quello collettivo. Per collettivo non si intende la specie ma "quel" gruppo (come
il singolo formicaio o alveare per gli insetti). ) I membri del gruppo si alleavano per
difendersi non solo dagli altri animali ma dagli altrui gruppi: la specie umana ha
ereditato la stessa caratteristica degli scimpanzè di essere continuamente in lotta
branco contro branco e tra loro, all'interno del gruppo, per la gerarchia. Una
evoluzione fondata sulla guerra insomma. Solo l'istinto di conservazione obbligava a
un ricambio "di sangue" tra i clan che così evitavano i rapporti incestuosi
degeneranti il genoma. Del resto questo avviene in tutti i gruppi animali, dai lupi ai
leoni, dove i giovani maschi (in genere) sono costrette a lasciare il branco. Per il resto
la bellicosità tribale umana è stata in bella evidenza dalla preistoria alla storia di oggi
(stati, religioni, partiti, associazioni, sempre in guerra per il predominio), l'uomo fa la
"lotta" anche contro il cancro e la miseria (per sottolineare l'aspetto emotivo verso le
cose come espresso da linguaggio) dice giustamente l'autore.
Laddove i geni "altruisti" davano maggiore forza alla tribù essa si avvantaggiava
sulle altre con maggiori possibilità di perpetrarsi. Il sacrificio dei singoli per il bene
dell'insieme sociale in fondo non era sprecato infatti essi avevano la possibilità di
perpetuare i propri geni condivisi col gruppo attraverso altri componenti del gruppo
stesso. L'alleanza garantiva maggiori possibilità di sopravvivenza. Sorvoliamo i
dettagli. Il tutto, e qui non sono d'accordo, è inquadrato sotto il dogma della selezione
naturale vista come unica e onnicomprensiva chiave per spiegare l'evoluzione. Anche
se diversi meccanismi evolutivi possono essere spiegati con la selezione naturale essi
possono essere collaterali e consequenziali ad altri che già Lamarck aveva intuito
senza poterlo dimostrare, ma ora sono molti i ricercatori che hanno ripreso la sua
teoria con una dimostrabilità almeno pari a quella del neodarwinismo. Anche
l'epigenetica presentata dall'autore è forzatamente ridotta a una sorta di tendenza
dovuta anch'essa a micromutazioni precedenti. E' un fatto invece che il DNA muta da
una generazione all'altra come adattamento dell'individuo all'ambiente, anche nel
singolo organismo soprattutto nei primi anni di vita. La plasticità del DNA è dovuta
al continuo scambio DNA-RNA e quello di ritorno (trascrittasi inversa) dove il DNA
è informato e spinto a cambiare secondo quanto la cellula ( o l'organismo) ha appreso
dall'ambiente. Il cambiamento casuale, in questo caso sarebbe scelto dal vivente
dando ad esso una direzione. Spiegare tutto con le mutazioni casuali (selezionate
dall'ambiente) nel processo evolutivo equivale allo stesso tipo di fede infantile, che
l'autore critica continuamente, verso un papà onnipotente che plasma il mondo.
L'evoluzione è una fatto ma il come rimane ancora su piani ipotetici relativamente
dimostrabili. Possiamo spiegare certi meccanismi senza la pretesa, a mio avviso, di
aver in mano la chiave interpretativa assoluta. Troppo facile!
E' condivisibile quel che l'autore dice sull'origine delle pulsioni terziarie fede, arte
e civismo, ma tutto non si conclude lì. Le religioni non sono solo ideologie tribali che
affermano la loro superiorità sulle altre. E' vero che i burocrati delle religioni le
hanno fissate in modo tribale ma se andiamo a vedere l'origine delle grandi religioni e
la mistica di ogni tempo esse si distinguono proprio per la loro apertura
all'universalità ( alla specie umana e a Madre Natura senza distinzione).
Gesù non intendeva costruire una religione per i soli ebrei e il vangelo
continuamente mostra questo disinteresse per la tribù. Gli uomini di buona volontà
sono dappertutto anche se non cristiani mentre gli ipocriti possono annidarsi nel
proprio gruppo (si legga la vicenda dell'esorcista estraneo). In seguito, lungo la storia,
certamente l'aspetto tribale ha preso piede ma l'esigenza universale è sempre rimasta
se si legge la letteratura del cristianesimo, a cominciare da san Francesco, san
Bonaventura e maestro Eckart. Il "noi abbiamo la verità e gli altri sono in torto,
ammazziamoli o convertiamoli" è una caratteristica solo dei rappresentanti
istituzionali delle religioni, e nemmeno di tutti.
Il Corano insiste per ben tre volte dicendo che uomini e donne, cristiani, ebrei,
sabei, musulmani e chiunque prega nel divino e compia il bene quegli avrà il suo
paradiso. L'apertura del Buddhismo "a tutti gli esseri senzienti" (umani e delle altre
specie) e non per convertirli, è nota. L'induismo con la sua mitologia
onnicomprensivo ingloba qualsiasi atteggiamento religioso. Tutto è nell'Atman,
l'anima universale e nel samsara (divenire cosmico) c'è posto per qualsiasi
rappresentazione illusoria di Dio. Lo scintoismo si fonda su una religiosità naturale
che richiama quella sciamanica dove Il grande spirito" dà vita a tutta la natura e non
solo a qualche specie e tribù particolare. L'Ebraismo pur nascendo come religione
tribale dove Yahweh è il Dio degli Ebrei, via via si universalizza col concetto della
Sapienza che pervade l'universo e i saggi oltre ogni luogo e ogni tempo, il resto è
vanità tribale, nient'altro che vanità...
L'auspicato illuminismo ateo dell'autore che farebbe progredire l'uomo era già stato
auspicato da Comte (finìto pazzo credendosi il nuovo papa della scienza che tutto
comprende), e attuato in Unione Sovietica con Stalin, ma questo paradiso in terra non
si è mai visto oltre i gulag e i manicomi in cui erano rinchiusi i credenti.
Quindi l'autore ha messo in evidenza l'aspetto negativo ed infantile della religione,
della sua nascita e sviluppo totemico, che pur non deve essere dimenticato. Altruismo
ed egoismo a livello evolutivo sono, dice Williams, legati alla tendenza di spendersi
per il gruppo (il bene) o di avvantaggiarsi a spese degli altri (il male). Così come una
cellula cancerogena prende forza dall'organismo, il male è parassitismo, non
cooperare. E' vero ma si può andare oltre questa verità biologica.
Quando si parla di atomi che si aggregano in una molecola, e diverse molecole che
si organizzano per formare una cellula viva, che "sente", che si ritrae da un agente
tossico e cerca di alimentarsi e di duplicarsi, non si parla di un bel giocattolo
meccanico. Così quando trilioni di cellule si mettono insieme specializzando le
proprie funzioni fino a strutturare un organismo complesso come l' uomo, non ci si
trova necessariamente di fronte a un pupazzo frutto di milioni di aggiustamenti
casuali che hanno funzionato. Forse c'è qualcosa di più. La spinta all'organizzazione
della materia in vita e intelligenza consapevole ha le sue leggi: quando si parla di
"anima" ossia l'animazione di questo mondo che dal caos diventa un cosmos ordinato
( il DNA è un capolavoro geometrico) si dà un nome ad una realtà, non se ne inventa
una. Si può solo ridurla ancora una volta a "meccanica", a complicato sistema di dadi
e viti. Ma se è irrazionale affermare che la vita è qualcosa di più di un giocattolo lego,
altrettanto è negarlo. Questo di più (il di più è qualitativo, dato dall'insieme, per
come si "muove", come cavolo posso spiegarvelo?)
è evidente per gli uni e
inesistente per gli altri. E siamo al punto di prima. Si deve credere solo a questa
massa d'energia, presente anch'essa casualmente in eterno al posto del nulla, che ha
combinato (sempre casualmente) l'universo, la vita e noi? Ma questa Energia, come
afferma il biologo Seldrake (certamente un eretico per Willians, il quale rimane da
bravo nella pista dei più) può rivelare ben oltre di quanto si pensi.
Un mio amico aveva un gatto che quando aveva fame lo chiamava e fissandolo
negli occhi metteva la zampa nella ciotola vuota muovendola nervosamente. Si
faceva capire insomma. In natura tutti imparano qualcosa e lo comunicano agli altri.
Un uccellino africano, chiamato del miele, quando individua un alveare va in cerca di
un indigeno o di un tasso: comincia a danzargli davanti per poi spostarsi in una
direzione, quegli che ormai conosce il richiamo lo segue finchè non arrivano
all'alveare. L'uccellino avrà come premio le larve di cui è ghiotto.
Le api giapponesi hanno inventato un sofisticato stratagemma per difendersi dai
calabroni. Le vedette controllano che non si avvicini uno di loro (che lascerebbe un
avviso in fermoni agli altri per procedere all'attacco) e quando accade chiamano i
rinforzi: le altre operaie (non c'è tempo per le loro "danze" di informazione, tutto
avviene in pochi secondi) a mo' di ombrello avvolgono il malcapitato obbligandolo a
entrare nell'alveare, lì lo circondano coi loro corpi aumentando il calore fino a
soffocarlo, essendo questi incapace di resistere a quella temperatura.
E c'è da scrivere un libro su un mondo straordinario di tecniche che i viventi
adottano in natura e imparano talvolta nel giro di una sola generazione, per poi
trasferire l'informazione alle generazioni future per via genetica. Questa è
epigenetica, non solo quella più "soft" descritta nel libro. Ovviamente (per l'autore)
tutto, fisiologia e comportamento istintivo, è frutto del caso. Un gene casuale ha fatto
in modo che il piccione calcoli la picchiata del falco verso di lui per fermare il battito
d'ali, precipitare e mandare a vuoto l'attacco. Un'altro gene casuale ha determinato
che la madre di alce finga di avere una zampa spezzata per convogliare l'attenzione
dell'orso su di sè e allontanarlo dal suo piccolo. Lo stesso fortuito meccanismo ha
fatto cambiare la nidificazione in un paio di generazione ai pappagallini importati
dell'isola madre di Stresa, con l'apertura sotto per difendersi dalle continue piogge. Le
micromutazioni casuali hanno permesso la strategia mimetica del camaleonte e il suo
procedere furtivo, la rotazione a spirale dei pinguini del polo sud per difendersi dal
gelo (così solo pochi e per breve tempo rimangono allo scoperto) il passarsi l'uovo
sulle zampe affinchè non tocchi il ghiaccio mortale. E arriviamo grazie alle mutazioni
casuali alla Divina Commedia di Dante, ai preludi di Chopin e alla Gioconda di
Leonardo. Così si spiega tutto. Almeno per chi ci crede.
Commento al testo di Alan Weisman "Il mondo senza di noi"
Un tempo l'apocalittica era materia per religiosi fanatici e mitomani oggi ha
cambiato sede ed ha preso dignità scientifica. Ora l'apocalisse non si apprende più
tramite sogni e visioni ma nei laboratori che studiano il clima, l'avvelenamento e la
distruzione ambientale, il computer fa il resto e dopo aver frullato qualche milione di
dati esce con la scritta: "eh cari umani, non è colpa mia se ormai vi siete fregati da
soli".
Che le cose non vadano per il verso giusto è sotto gli occhi di tutti: la terra
produce sempre di meno e l'uomo richiede sempre più cibo, la terra ha sempre meno
risorse ma l'uomo ne ha sempre più bisogno. Aumenta la desertificazione,
l'avvelenamento ambientale, diminuisce l'ossigeno con la vegetazione che lo produce
e accrescono i gas nocivi come l'anidride carbonica. E' vero che abbondano anche le
chiacchiere per far qualcosa ma servirebbero fatti e i fatti richiedono di rinunciare a
certi stili di vita e a quello che consideriamo benessere. Si aggiungono 80.000.000 di
bocche da sfamare ogni anno ai sette miliardi di esseri umani che già siamo (2012) e
invece di parlare di controllo demografico anche un Piero Angela si mette a
predicare di prolificare spinto da amor patrio. L'uomo vive di illusioni che distorcono
il senso della realtà ed è utopistico pensare che rinunci ad esse, pertanto
immaginiamo già, dice l'autore, giornalista scientifico professore universitario a New
York, di vedere scomparire la specie umana e cosa accadrà conseguentemente. In
questo modo Weisman ci riporta alla storia devastante dell'uomo sulla terra. E' un
punto di vista che non si può ignorare in quanto il pianeta sta diventando una enorme
latrina, a cominciare dal centro dell'oceano pacifico, dove per migliaia e migliaia di
chilometri si viaggia su uno strato di sacchetti e bottiglie di plastica, turaccioli,
lattine, fili di nylon non biodegradabili e il peggio e quel che non si vede: noi
mangiamo in questo piatto.
E' vero che l'uomo ha fatto anche qualcosa di bello e di buono con la Divina
Commedia e la Gioconda, con la cura di molte malattie ed è perfino andato sulla
Luna, ma ha anche una storia di distruzioni, guerre ed egoismi. Il risultato è una
eredità di devastazione che insieme alle migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti
prodotti ogni giorno stanno preparando la sua tomba. Insomma, non guasta un po' di
sana apocalittica venata di umorismo, dove si finisce per tifare per la natura: nessun
disfattismo ma quasi un senso di liberazione. L'uomo ha voluto fare il padrone
quando, dicevano gli antichi saggi, poteva essere un buon custode. Ha scelto l'io che
comanda e ha perso di vista di essere parte di un insieme infinitamente più vasto...Va
bè, l'immenso universo continuerà a roteare sotto la luce divina anche senza immagini
televisive, macchine strombazzanti e sacchetti di plastica... e ci sarà sempre su
qualche pianetino sperduto chi avrà imparato che rispettare l'ambiente è una necessità
di sopravvivenza, che sorridere e amare fanno di una creatura un essere nobile e non
il bestiale istinto di dominio (...vi ricordate i terrestri?).
Ma torniamo a domandarci se c'è speranza per il pianeta terra e la specie umana.
Mi si dirà quindi che non è il caso di preoccuparsi più di tanto per la fine di un
pianeta e di una specie visto che nell'universo ce ne sono miliardi di miliardi in grado
di ospitare la vita e di far evolvere una civiltà intelligente (e si spera con più buon
senso della nostra), ma ahimè anche io soffro di spirito tribale, sono affezionato a
questo terra come un orso ai dintorni della sua tana e mi spiace vederla distrutta da
noi stessi. Quando ero giovane nelle mie zone dell'entroterra genovese, a maggio si
espandeva nell'aria l' aroma dolcissimo di acacia in fiore, poi arrivavano a frotte le
lucciole a punteggiare le notti, e il torrente era un gracidar di rane che almeno per me
era un rilassante preludio al riposo. Ora la cementificazione progressiva con sempre
più auto e le loro esalazioni nocive di carbonio hanno distrutto questo ben di Dio.
Sono solo aumentati i ratti e i veleni per distruggere i ratti.
Ratti ( coi quali condividiamo un progenitore comune, un roditore superstite
dall'età dei dinosauri) e uomini sono i soli ad aumentare di numero e probabilmente
nella terra senza di noi diventeranno completi padroni delle città, con le loro tane
nelle auto, quelle scatolette di metallo imbottite tanto amate dagli uomini.
Speranza forse non c'è. Nessun organismo internazionale può regolare le nascite
per rendere accettabile l'impatto distruttivo umano, nessuno ha il potere di far
cambiare la politica dello spreco convogliandola nella tesaurizzazione delle risorse,
nessuno può far cessare la produzione di sostanze nocive come il ddt (in certi paesi
africani) o l'estrazione dell'amianto (praticata tranquillamente in Cina) e il petrolio.
Chi può cambiare un'economia assurda, estranea a quella reale (ah, bei tempi quelli
del baratto!) coi suoi pil e le sue i rocambolesche leggi del mercato che distruggono
i beni per ricavarne profitti monetari, un sistema ormai alienato dalla realtà. Nessuno
ha il potere di cominciare un'opera di smaltimento globale di edifici e strade fino a
oggi considerati sacri ma invasivi sulla natura. Se essa non è libera e selvaggia in
vaste aree non può risanare ed equilibrare i danni provocati dalla nostra specie. Chi
può ridurre la presenza umana sul pianeta per limitare l'impatto ambientale quando
gli uomini per millenni hanno glorificato se stessi come esseri speciali, voluti da Dio
(nonostante i segni contrari di tutte le loro nefandezze)? Ora ritengono sia un diritto
riprodursi fino all'esaurimento delle risorse, fino a quando inevitabilmente si
scatenerà la barbarie fratricida. Chi può mettere d'accordo un'umanità composta da
una ragnatela di egoismi di gruppi e individuali? Quale religione accetterà di
considerare l'uomo alla pari di "fratello del Sole" e "sorella Luna" e degli altri animali
come voleva San Francesco e Jalaluddin Rumi?
Forse, come dice l'autore alla fine del libro citando un maestro sufi, gli sforzi fatti
per rimediare all'inevitabile estinzione hanno un senso ma su un altro livello,
quell'orizzonte dello spirito che ha terre dimensionate altrove. Il lavoro di chi ancora
nutre rispetto per l'esistenza, per la vita non è inutile. Forse, come vuole la teoria di
Gaia, la natura non dimentica chi la oltraggia e chi è rimasto in armonia con essa.
Tutto troverà giustizia in lei.
In un mondo in cui la natura è desacralizzata e Dio è rottamato come una inutile
favoletta c'è posto solo per la guerra degli egoismi, c'è solo il regno della propria
avidità. Bella evoluzione davvero di questa stupida creatura che poteva aver un
destino illimitato! Peccato!
Commento al testo di Enzo Soresi "Il cervello anarchico"
E' un libro scritto con passione questo di immunologia di Enzo Soresi. Stile
diretto, franco, di rigore scientifico ma anche colloquiale. Un cenno anche
all'introduzione di Galimberti, del quale ho apprezzato diversi altri saggi ma qui, in
certi punti, vola troppo nelle astrazioni filosofiche come quando afferma che l'uomo
non ha istinti ma una sorta di "spinte generiche" e fa l'esempio del sesso dove c'è chi
ama i tacchi a spillo e avanti. L'uomo in realtà condivide gli stessi istinti primari
(ossia per la sopravvivenza individuale, come il respirare e il mangiare) e secondari (
per la sussistenza della specie come il sesso), con tutti gli altri animali, rispetto a loro
li riveste e li filtra "culturalmente" di più: invece di avventarsi sul cibo e sul sesso,
fa di essi un rito, almeno quando si ricorda di rispettare un minimo di forma (ma le
ritualizzazioni sono presenti già in molti animali, soprattutto tra gli uccelli).
Mi
ricordo di un teologo che sulla stessa scia affermava che l'uomo non ha istinti e
citava il senso del pudore come caratteristica umana innata (quando è invece è
acquisito culturalmente, come innumerevoli documentazioni antropologiche hanno
ampiamente verificato) e ciò sta proprio a dimostrare la forza di condizionamento
della acculturazione (non sempre positiva e basata sulla ragione) capace di generare
nuove coazioni e deformare, inibire perfino, l'espressione naturale degli istinti. Più la
specie ha una intellligenza e una cultura complessa più questa si sovrappone
all'istinto diventando essa stessa necessaria. Gli elefanti hanno bisogno di esempi
genitoriali femminili e maschili e se questi non sono presenti (uccisi dai bracconieri)
il loro comportamento ne rimane alterato fino a trasformarli in killer. Si aggiunga
come concausa i traumi infantili subiti nell'assistere alle uccisioni (nat.geo.wild
"natura criminale" 2014). L'istinto in questo caso, non essendo più modulato da
modelli comportamentali appresi, si scatena durante l'estro dei giovani maschi i
quali arrivano a uccidere le femmine non ricettive (o addirittura altre specie, come i
rinoceronti). L'uomo ha necessità di una buona cultura e saggi esempi appunto perchè
estremamente complesso, senza di ciò, come vuole la saggezza popolare e religiosa"
"diventa peggio di una bestia" (Corano), in mano ad una brutale istintualità che ha
bisogno di essere mitigata e sublimata.
Torniamo a Soresi. Buona anche la sua rivisitazione esperenziale per calare i
contenuti scientifici di modo che nella trama del suo vissuto prendono tutt'altro
aspetto di una noiosa trattazione specialistica. Ma Prima di entrare ad analizzare
qualche aspetto fondamentale del libro qualche osservazione a latere. Quasi
preoccupato di fare apologia del fascismo egli riferisce dei
meriti
del regime
nell'ambito della situazione sanitaria. In effetti c'è da preoccuparsi in quanto in Italia
sembra contar di più stare in una squadra e fare il tifo per essa piuttosto che valutare
oggettivamente le cose. Ai miei allievi io dico sempre che quando uno ha ragione la
ha indipendentemente da chi è e da cosa fa. Anche gli individui più negativi della
storia, magari per sbaglio, hanno fatto e detto cose giuste e queste non diventano
sbagliate perchè le hanno fatte loro. Per esemplificare in modo più semplice
possibile, se Hitler, Pol Pot, Stalin, Caligola e qualsiasi altro criminale della storia
avessero detto che le strade devono essere fatte a regola d'arte per durare cent'anni,
non per questo bisogna invece farle in modo scadente e essere sempre lì, dopo pochi
anni, a pezzarne il manto. Il fascismo è stata una dittatura guerrafondaia e mitomane
i cui capi hanno commesso crimini efferati, ma a livello pubblico (anche per via
dell'estrazione socialista, mai abiurata, di Mussolini, un esempio di rivoluzionario
secondo Lenin) in diversi campi sociali tra cui quello sanitario e pensionistico ha
agito positivamente e senz'altro la corruzione e l'ingerenza mafiosa non erano così
eclatanti come lo sono diventati in seguito. Insomma la verità in ogni cosa è
indipendente da questioni di parte le quali, per motivi di interesse o per fanatismo
ideologico, cercano di nascondere o falsare. Un ricercatore per natura è libero da tutto
e da tutti. Purtroppo anche in campo medico il merito non è dato sovente al buon
ricercatore, a chi ha valori conoscitivi e umani di qualità da spendere, ma a mediocri
intrallazzatori con la politica, a persone che non agiscono mettendo in primo piano la
verità e il bene comune ma per barattare vantaggi personali.
Un altro punto del libro che rimane sospeso riguarda la psicoanalisi, da una parte
citazioni e riferimenti congrui, l'importanza data al vissuto anche fetale e registrato
nell'inconscio, dall'altra perplessità. Del resto la psicoanalisi non è una scienza esatta,
essa diventa valida ed efficace nelle mani di un operatore capace o fasulla se questo è
incompetente. Se esiste nella psicoanalisi un tracciato universalmente valido questo è
costituito da modelli comprensivi che si ritrovano fin dall'antichità, del resto la
mente non è stata inventata e il modo in cui agisce è stato osservato e studiato in
ogni luogo e in ogni tempo. Per esempio nel mito platonico dell'auriga ritroviamo l'io
(la ragione o l'adulto del transazionalismo), l'es (l'istintualità o il bambino) il super io
(il condizionamento ambientale, genitoriale) di Freud. A lungo ne abbiamo parlato.
I vari modelli che la psicoanalisi ha elaborato costituiscono una letteratura enorme
che rischia talvolta di perdersi nei filosofemi. Come ogni paziente reagisce alle
medicine a modo suo, sia da un punto di vista biologico che psicologico, così ci sono
tante variabili che non permettono un modello terapeutico fisso e valido per tutti. In
ogni caso ogni psicoterapia ha necessità di una base medica se no si rischia di
macinare a vuoto dimenticando le alterazioni prodotte da fattori biologici (cosa che
spesso è capitata). Gli stati psicotici possono essere causati da malattie cerebrali (la
differenza tra le malattie organiche e le devianze psichiche va sempre esaminata
tenendo presente che le une possono ingenerare le altre e viceversa), dalla mancanza
di certe vitamine o semplicemente dalla assenza di sonno. La relazionalità tra corpo e
mente per cui uno modifica l'altro (e qui l'importanza delle citochine, come tramite,
dovrebbe risultare sempre più fondamentale) obbliga dunque un approccio olistico in
cui ogni fattore (genetico, biologico, ambientale, relazionale...) deve essere tenuto
presente.
Certo è che il modo in cui la mente (che poi è un riflesso biologico) affronta il suo
ambiente finisce per innescare una serie di processi chimici vantaggiosi o meno per la
salute, entriamo così nella sostanza del libro. Anche un piccolo di rinoceronte che ha
perso la madre uccisa dai bracconieri, pur recuperato e allevato in recinto, se si sente
solo sviluppa uno stato di stress. La produzione di cortisolo eccessivo finirà per
causargli la morte per sviluppo di ulcere gastriche. Quindi capire le cause del disagio
sia esse nascoste nelle pieghe del passato (le cui vicende negative continuano a farsi
sentire) o agenti nel presente è fondamentale per rimediare alla salute del soggetto.
Anche se l'uomo ha una corteccia cerebrale, e soprattutto un'area del linguaggio
sviluppatissima (che gli consente di creare un universo simbolico astratto) vive gli
stessi istinti ed emozioni delle altre specie (precipuamente mammiferi) per cui i
traumi e i disagi e i condizionamenti di base sono pure gli stessi. Nonostante che i
miti e i teologi hanno fatto a gara per ritagliare uno spazio speciale alla specie
umana, fino a considerarla
il fine dell'universo, siamo tutti corpi biologici che
sentono ed esperiscono ma anche imparano ed evolvono attraverso gioie e dolori.
Il corpo e la mente in fondo sono la stessa cosa dice giustamente l'autore e
domandarsi se è nata prima l'una o l'altra significa riprendere la domandina dell'uovo
e della gallina. Qui non si può non richiamare tutto il discorso sull'evoluzionismo. Il
darwinismo meccanicistico classico non regge più, e riprende dignità il vecchio
Lamarck il quale, pur non potendo dimostrare le sue intuizioni aveva visto più
lontano del suo collega. E' stato pure coniato il termine "darwinismo dinamico" per
poter liberare la dottrina della selezione da quella rigidità che non permette di
spiegare
tutte
quelle
modificazioni
che
sono
indotte
dall'apprendimento
dell'organismo. Soresi cita anche lo studio di Kandel (pag.78) in cui si arriva alla
conclusione che "stimoli provenienti dall'ambiente (compresa la parola) possono
modificare la funzione dei geni (non certo la loro strutture)..." In realtà le modifiche,
secondo la trascrittasi inversa, possono anche riguardare la struttura con cambiamenti
trasmessi alle generazioni future. Insomma lo sforzo di adattamento dell'organismo è
uno dei motori dell'evoluzione insieme alla selezione naturale. Ed è questo sforzo
adattativo che ha permesso ad una cellula di unirsi ad altre costituendo organismi
sempre più complessi fondati sulla cooperazione. Questo processo in natura forma
una rete immensa di scambi di reciproci vantaggi che mette in second'ordine e in
superficie gli aspetti selettivi studiati da Darwin. Il mondo dove sopravvive non tanto
il più forte (dinosauri in giro non se ne vedono più) ma il meglio adattato all'ambiente
non funziona solo perchè questo è stato "selezionato" (chi non è adatto muore e non
propaga i suoi geni) ma perchè è il corpo stesso che cerca "attivamente" di trovare la
soluzione alle difficoltà ambientali. Questa plasticità degli
organismi
è
straordianaria, basti pensare che il genoma umano è anche formato da settori di virus
che sono entrati a far parte dell'insieme mentre altri, come quel chilo e mezzo di
batteri che ci portiamo nel canale digerente, vivono in simbiosi con noi trasformando
le sostanze per un reciproco vantaggio. E tutto questo non è nato di colpo ma, pezzo
dopo pezzo, in base a una migliore funzionalità. Ogni cellula ha rinunciato alle
prerogative della sua individualità
per mettersi a disposizione di un insieme
(aumentando però le possibilità della sua sopravvivenza). Altre volte la
collaborazione è esterna. Il sistema immunitario del neonato "viene" istruito dai
batteri amici su chi deve temere o meno...e ancora pensiamo a tutti gli animali che
vivono in simbiosi tra loro o coi vegetali, anch'essi organismi vivi con la loro
precipua sensibilità, come ha dimostrato Chamovitz Daniel dell'università di Tel
Aviv. Anche quest'ultimo autore si domanda come è possibile rimanere trincerati
sulle vecchie visioni meccanicistiche darwiniane quando l'epigenetica ha ampiamente
dimostrato scenari assai diversi e più realistici dell'evoluzione. E qui, con buona pace
di chi ha fatto del materialismo e dell'ateismo una religione coi suoi dogmi, diventa
appetibile da un punto di vista scientifico anche
il concetto che la mente,
l'intelligenza operi nella materia, o meglio nell'energia, insomma l'universo ha un
significato trascendentale, non è una roba inutile che sta lì al posto del nulla. Lo
spazio di una risposta è solo dato dell'interiorità di ognuno.
Anche di significati esistenziali, nel qui ed ora della vita di ciascuno, ce n'é
bisogno, in quanto la motivazione è la spinta alla vita e alla salute. Le difese sono più
forti se ci sono ragioni per vivere. Soresi tratta anche di questo attraverso vari casi. La
descrizione dei processi immunologici è precisa e documentata.
Mi viene in mente una intervista fatta ad un famoso oncologo in cui si chiedeva se
la mente avesse a che fare con i tumori, la risposta fu che non è da prendere in
considerazione il suo ruolo
in questi processi, lasciando quindi il discorso
psicosomatico come una cosa marginale. Ma alla domanda di come si potevano
spiegare le stimmate, la risposta contraddiceva la precedente, individuando nell'isteria
la causa di queste ulcerazioni. Insomma la coerenza in questo caso era un optional.
Soresi invece la mantiene senza timore di far dispiacere alle case farmaceutiche
evidenziando anche la dimensione dell'effetto placebo. Il ruolo che gioca la mente nel
decorso delle malattie è fondamentale. Si pensi che il semplice occuparsi di malattie
o andare a trovare gli ammalati attiva il sistema immunitario (Frederic Saldmann
2014). Chi insomma non scappa dal male ma cerca di risolverlo è più forte degli altri,
e a livello psicologico si potrebbe estendere questo fattore anche a chi cerca la
giustizia e la verità.
Ognuno può aver toccato con mano nella propria vita quanto sia importante la
mente nelle malattie. Io avevo un caro amico, Francesco, che è stato operato di un
cancro al fegato già in metastasi: sei mesi di vita, ad essere ottimisti, secondo i
medici. Eppure lui dopo pochi giorni l'operazione firmava per uscire dall'ospedale
con tutto il parere contrario dell'equipe che lo assisteva. In teoria doveva stare su un
letto a morire e invece eccolo tre settimane dopo al campo base del K2 (una
escursione a piedi di parecchi giorni nell'Himalaya, con tanto di zaino e sacco a pelo,
che aveva prenotato e a cui per nessuna cosa al mondo avrebbe rinunciato). Andò
avanti così, un'operazione dopo l'altra, per altri dodici anni. Nell'estate precedente la
sua fine si fece anche da solo il giro del monte bianco, pernottando con la sua tenda
sui crinali (e avrebbe dovuto stare a letto incapace di provvedere a se stesso, almeno
secondo i referti medici). Sono convinto che se fosse riuscito a superare un suo
blocco psicologico avrebbe pure aumentato le possibilità di guarigione (l'abreazione
libera un'energia straordinaria, tutti d'accordo da Jung a Lowen): lui si "rodeva il
fegato" per tante vicende negative che fin dall'infanzia lo riguardavano, e ne era
consapevole...L'ultima volta che andai a trovarlo era in ospedale. Avevo con me un
libro sulla cabala e per gioco gli dissi: " dimmi un numero di pagina da 1 a 200,
quante erano le pagine del libro, e il numero della riga da leggere". Aprii il libro e
c'era scritto: "non si può incolpare gli altri e le vicende esterne per la nostra
infelicità": Caso o sincronicità che sia erano anche le parole che sintetizzavano il suo
problema... Se prima forse non voleva lasciar a nessuno la soddisfazione di morire
(come credeva) forse, dopo, si era lasciato andare...
Un'altra persona a cui ero tanto legato, Marcella, in pochi mesi si lasciò spegnere,
come un uccellino nel nido...Ho ancora un pupazzetto che volevo portarle ma la sua
avventura in questa vita, doveva finire presto, chissà se un ultimo incontro, il
rinnovare la promessa che avremmo fatto una crociera insieme, le avrebbe dato
maggiori forze oppure le avrebbe allungato l'agonia. Chi può dirlo?
Nel libro di Soresi ho apprezzato il suo porsi come medico calato nelle vicende
umane dei suoi pazienti: la scienza è imprescindibile dalle componenti del vissuto, e
qualsiasi scienza, da chi coltiva piante in una serra a chi lavora in un osservatorio
astronomico sulle montagne andine, dall'umile fabbro e calzolaio di un tempo
all'ingegnere delle megacostruzioni, diventa arte quando è abbinata alla realtà
esisistenziale, a quanto si prova e ci anima. La componente emozionale interagisce
sempre e motiva la parte razionale. Non si guarisce solo grazie a quel prodigioso
farmaco ma perchè c'è stato un apporto umano di fiducia con quel medico e con
quell'infermiere, perchè da quella camera di quell'ospedale c'era una bella vista che
faceva sognare..."se il mondo è brutto e apatico perchè dovrei ancora vivere..." si dice
inconsciamente ogni malato.
L'excursus sull'arte e la creatività di Soresi merita qualche precisazione. Vero è che
l'arte contemporanea ha sciolto i suoi legami con i canoni (regole estetiche) e le
classicità (di una classe sociale) del passato diventando espressione soggettiva capace
di portare a galla simbolicamente i contenuti inconsci dell'artista. Da questo punto di
vista l'arte però sarebbe solo una forma compensatoria di devianze e frustrazioni pur
con tutta la creatività che innescherebbe. Esiste anche un'arte che pur non subendo la
rigidità di schemi estetici si ispira a valori simbolici universali, come intuì Jung, a
leggi di simmetria e proporzionalità, come la sezione aurea, che fanno sentire il bello
anche in modo biologico. Pure la femmina dello scarabeo stercorario sceglie il
maschio ben proporzionato. E così esiste una pittura ed una musica ricca di armonie,
benefica e positiva in quanto l'artista è andato oltre la sua soggettività, non compensa
i suoi squilibri ma mette a disposizione gli stati di benessere e armonia raggiunti.
Un' artista che esprime questi valori? Piero Crida e non lo dico per amicizia o per
fare una reclame di cui non ne ha bisogno e non cerca, ma perchè lui, come tanti altri
per fortuna, testimonia che esiste qualcosa che si può fare e si può dire oltre se stessi,
come patrimonio comune.
Se la creatività è connessa all'aprirsi di nuovi circuiti cerebrali, allo sperimentare il
potenziale che c'è in natura dentro di noi, l'artista e lo scienziato sono pionieri che
qualche volta pagano con la follia il prezzo di essere andati oltre la mediocrità.
Eccesso di dopamina, incapacità di arrivare ad una omeostasi, superando uno stato
condizionato dell'essere. Ne parlavano fin dal medioevo gli scienziati sufi ma
evitando il narcisismo eroico e le associazioni stereotipe come "genio e follia" .
Bisogna aver presente che il fine evolutivo, comunque interpretato, è un livello di
consapevolezza maggiore, un attingere più in profondità al Sè universale. E' una
saggezza ulteriore maturata dal vissuto, oltre le trappole dell'esistenza. Fa bene Soresi
a ricordare che in natura molti animali cercano istintivamente quelle droghe naturali
che gli permettono di sperimentare qualcosa oltre i confini del loro stato biologico
ordinario. Lo psichiatra Stanislav Groff è uno dei tanti che ha usato LSD a scopo
psicoterapeutico su di sè e sui suoi pazienti e che ha molto riflettuto su questo
"portarsi oltre" (ricordo il suo testo "quando accade l'impossibile"). Mi stupisco come
alla sua veneranda età abbia mantenuto il pieno possesso della lucidità mentale
nonostante i suoi cokteil micidiali. Forse, fa intendere il nostro autore, oltre a una
predisposizione biologica resistente a degenerazioni cerebrali e psicotiche è anche la
disposizione mentale a giocare un ruolo negli effetti
dell'uso delle sostanze
stupefacenti. Tuttavia la vera alchimia che lo stesso Duchamp additava, sta nel
ritrovare in sè quegli stati interiori e capacità di concentrazione cercata invano
all'esterno. Del resto già il cervello produce di suo le sue droghe (endorfine) e non c'è
il rischio che i recettori specifici, abituati dall'assunzione esterna, arrivino quasi ad
atrofizzarsi, creando una dipendenza sempre maggiore. Soresi stesso ammette che la
passione per il suo lavoro gli ha permesso di non aver bisogno di questi "appoggi
esterni" (in cui rientrano il tabacco e l'alcool). Il fine si è detto è portarsi oltre il
condizionamento ordinario, cogliere orizzonti nuovi dell'essere. C'è chi trova nel
fideismo religioso (ossia il contrario del misticismo dove la fede è vissuta
liberamente e spontaneamente) il sostegno per andare avanti, chi invece si regge
animato dai suoi stessi interessi, dalla sua ricerca interiore.
Viviamo in un mondo ammalato di arrivismo (ma si arriva tutti alla stessa fine) e
di soggettivismo. Aumenta quindi lo stress poichè ognuno sente frustrato il proprio
ego che il paese dei balocchi del consumismo addita come unica realtà. Ogni scienza
ed arte autentica porta il ricercatore oltre la sua individualità, non per diventare
"grande" ma per comunicare col Sè, quel Sè universale che è biologico e spirituale
insieme. Da questo nuovo punto di vista qualsiasi creatura diventa importante e
merita rispetto e, per chi può, amore, perchè fa parte di un universo infinito, e
nonostante tutti i suoi apparenti squilibri e negatività, meraviglioso, come una
avventura sempre nuova da scoprire. Soresi cita Jaluluddin Rumi: se la forma
scompare la sua radice è eterna". E non si può finire meglio di così.
Considerazioni su "Il principe" di Machiavelli... Ma il fine giustifica i
mezzi?
"Il fine giustifica i mezzi". Questa frase ha finito per sintetizzare grossolanamente il
pensiero di Machiavelli, che certo non è il primo filosofo ad aver cercato di capire la
politica in chiave razionale e scientifica. Il problema dell'organizzazione sociale ed in
definitiva dell'amministrazione e del mantenimento del potere è stato affrontato in
ogni epoca ed in ogni civiltà anche fuori da modelli precomprensivi di tipo morale.
Ma tra tutti i trattati quello rinascimentale de' "Il Principe" di Machiavelli ha
conquistato la fama di essere obiettivo, realistico fino a diventare paradigmatico per
molti individui desiderosi di arrivare al potere o di mantenerlo. Un "vangelo" dell'arte
politica dal quale non ci si può sottrarre come se contenesse verità incontrovertibili e
spassionate. Ma è veramente così?
Alla base del pensiero di Machiavelli c'è una lettura pessimistica dell'uomo di per
sé fuorviante come quella ottimistica. Un pregiudizio di fondo alla pari di quello di
Hobbes dove l'uomo è "lupo nei confronti degli altri uomini", teso alla affermazione
di se stesso, spontaneamente votato alla sopraffazione del suo simile. Questa sarebbe
la sua indole. La natura stessa, attraverso la legge selettiva, vuole che il più forte
emerga a discapito degli altri: l'uomo non potrebbe sottrarsi a questa regola. E' quel
desiderio di vivere di Schopenhauer e di Nietzche che suona come una condanna o
come un destino da esaltare, comunque da cui non ci si può sottrarre. Per quanto si
beli il contrario le cose stanno così (solo così?).
Nel suo bel libro su Machiavelli Gabriella Brusa Zappellini scrive:
"Un desiderio di pienezza e di affermazione caratterizza, infatti, i tratti più propri
e originari dell'indole umana, un appetito inestinguibile che affonda le sue radici
nella fisicità degli istinti e nella loro spinta vitale all'autoconservazione/ Ogni uomo,
infatti, avverte dentro di sé l'irruenza impetuosa e virile della vita come una energia
espansiva che naturalmente lo spinge a dilatare il proprio campo d'azione a scapito
di quello altrui. Di qui l'inevitabile prova di forza, la gioia della sopraffazione e la
mortificazione della rinuncia" (ed. Rusconi 96 pag.12).
La stessa autrice ricorda come Freud vedesse dunque l'individuo in
contrapposizione alla civiltà, da una parte l'es, la forza vitale e dall'altra il suo
contenimento attraverso le leggi e la morale (super-io).
In estrema sintesi (non è facile ma ci provo) andando a fondo, i veri dominatori
sono nel DNA, i "geni": gli individui non sono altro che veicoli provvisori della
conservazione della specie e della vita. Lo stesso istinto di sopravvivenza che regola
autonomamente le specie animali ha spinto l'uomo (ormai dissociato dagli equilibri
naturali) a darsi strutture comportamentali per compensare quanto è venuto meno.
Due orsi bianchi in lotta per il possesso della femmina non usano gli artigli e le fauci
per dilaniarsi ma si limitano a spingersi per saggiare la propria forza, il perdente lo
riconosce e se ne va: la specie in questo modo impedisce vittime inutili. L'uomo deve
darsi dall'esterno una legge per evitare massacri. Prima ci pensava l'inconscio poi è
iniziato il casino del "fai da te". In altri termini la specie umana, complicata com'è,
ha dovuto creare una impalcatura organizzativa e normativa capace di sopperire alla
frattura creatasi tra istinto e mente. Sono insomma necessari nuovi equilibri che può
consentire solo una sovrastruttura morale, ma meglio, una etica ragionevole. Se
trionfasse l'egoismo la specie finirebbe. Il bene del singolo, quindi, deve coincidere o
almeno non contrastare quello degli altri se si vuole garantire la sopravvivenza.
L'etica è appunto la ricerca del modo più ragionevole per consentire una utilità
reciproca tra esigenze del singolo e della collettività, il giusto rapportarsi insomma tra
l'io e gli altri. In natura questo succede sempre, anche se con modalità talvolta brutali
che prescindono dai criteri morali umani. E' dalle basi biologiche, etologiche e poi
antropologiche che bisogna ripartire per vedere se è esatta, o meglio esauriente la
descrizione pessimistica dell'uomo di Machiavelli.
Ci sono specie in natura in cui l'individuo conta esclusivamente in quanto parte del
gruppo. Le formiche, le api, le termiti si sacrificano per il gruppo. L'istinto di
conservazione individuale è sottomesso a quello del mantenimento della vita del
formicaio, dell'alveare o del termitaio. Ma anche nelle specie superiori si può
verificare la precedenza dell'istinto di conservazione della specie su quello
individuale. Questo succede tra diversi mammiferi, erbivori e carnivori, e pure tra i
primati. La proliferazione non è fine a se stessa ma è vincolata all'ambiente nell'
adeguamento alle risorse altrimenti giocherebbe a sfavore della specie. Gli individui
vengono "frenati" assumendo un ruolo subordinato al mantenimento della specie, le
stesse lotte maschili per la supremazia avvengono in funzione di questa: l'individuo,
in un modo o nell'altro finisce per essere al suo servizio anche quando divora il suo
simile (come può succedere tra gli aracnidi) per legge selettiva.
L'uomo, come detto, si è dissociato dai meccanismi istintivi di regolazione
(individuo - gruppo - ambiente) e deve rimediare con forme complesse al cui apice
si trovano le norme comportamentali ma, nella sua base istintuale, rimane almeno in
parte a servizio del suo genere per cui la contrapposizione individuo e gruppo,
individuo ed individuo non è prioritaria. Essa diventa rilevante in condizioni
artificiose createsi in seno alla società o per situazioni ambientali, per esempio con
l'aumento della popolazione (importanti sono le indicazioni derivate dagli studi sugli
animali costretti a vivere in condizioni di sovrappopolazione) e non è detto che un
certo tipo di distruttività umana non dipenda anche da fattori di contenimento
(ammazzandosi a vicenda si riduce il numero) di questo tipo. Ciò significa che per
quanto l'uomo creda di essere sovrano del suo destino e della sua storia svariati fattori
inconsci biopsichici (al di là di quelli che stanno sotto la lente della psicoanalisi)
continuano a dirigerlo, o per lo meno, interagiscono nel suo cammino. In natura la
specie è più importante dell'individuo e la sua salvaguardia fa sempre da sfondo.
Dalle osservazioni sulla vita di tribù non civilizzate (dal tipo di civiltà come è
intesa dall'uomo moderno) si possono rintracciare gli schemi comportamentali
primitivi, quelli dei primi uomini insomma. L'individuo risulta generalmente "parte
inscindibile" del gruppo e non contrapposto ad esso. Il senso di solidarietà è
dominante come quello esistente in un branco di elefanti o di lupi. E tutto ciò
"naturalmente", evitando che il senso di affermazione individuale prevarichi sulle
esigenze conservative del gruppo. La visione dunque di un mondo umano fatto da
individui in lotta tra loro per la supremazia non corrisponde alla realtà: esiste anche
questo aspetto ma è subordinato alla conservazione della specie. Il senso del civismo
anziché una imposizione esterna od una costrizione si rivela invece come una
pulsione specificatamente umana per elevare il sociale . Ciò insieme ad altre pulsioni
terziarie verso il bello (avere un territorio pulito, attraente, manufatti apprezzati... ) e
la fede in una realtà trascendente. Solo per una deformazione il civismo si trasforma
in un sistema coatto in contrapposizione all'individuo e alla sua libertà. Abbiamo
dunque due tendenze: l'una positiva che si basa sulla collaborazione, sulla solidarietà,
sull'impegno liberamente scelto (nel caso migliore) da ogni singolo di realizzare
bene la sua funzione ed un'altra negativa in cui la competizione travalica in
sopraffazione: il civismo si trasforma in un sistema coercitivo di norme atte a
consolidare il potere. La vita si complica di artifici creati per mantenere il sistema
mettendo a rischio la stessa sopravvivenza del gruppo (infatti viene a mancare il fine
naturale che è la sua sopravvivenza nel modo migliore possibile).
La visione pessimistica di Machiavelli dell'uomo finisce per alterare il resto delle
sue diagnosi.
Dario Bernazza ("o si domina o si è dominati" ed. Messaggerie del
Libro 1980) evidenzia diversi punti deboli del "Principe" partendo proprio
dall'analisi storica. Non è vero che nella storia i temuti potenti hanno mantenuto il
potere, semmai è proprio il contrario. Sono pochi i dittatori morti di morte naturale e
nell'esercizio del loro potere. Ma sono diverse le contraddizioni e le debolezze del
pensiero di Machiavelli che, certamente ha il merito di aver tentato di superare
diversi pregiudizi con una disamina realistica, ma immettendo altri pregiudizi e
parzialità .
Vero invece che molti hanno cercato di rendere la storia machiavellica, ma è un
artificio che non corrisponde alle pulsioni umane più nobili. Certo esistono devianze
tra cui la paranoia, il sentirsi circondati di nemici, o quel senso di onnipotenza
infantile che lo sviluppo armonico dell'essere finisce normalmente per risolvere:
quando ciò non avviene la storia diventa una lotta di prevaricazioni, dove il fine
giustifica i mezzi. Anziché civiltà si è fatta molta barbarie basandosi sulle devianze
non sul lato sano dell'uomo.
Oggigiorno quando c'è un attentato non si sa se è veramente da attribuire a questo
o a quel gruppo di fanatici o allo stato stesso che l'ha subito. Storia vecchia: si fa un
attentato e si dà la colpa a certe fazioni, oppure esse vengono pilotate dall'interno
tramite i servizi segreti. Nerone che incendia Roma dando la colpa ai cristiani (a
latere: nulla di certo, anche qui probabilmente una mossa demagogica a posteriori)
non ha fatto che applicare con cinismo la regola che il fine giustifica i mezzi. E via
dicendo su vari accadimenti sociali e politici la cui convenienza è o sembra pilotata
ad arte.
Sentiamo il già citato Bernazza: "Moltissimi uomini, e Machiavelli per primo, sono
convinti che il delinquere si accompagna necessariamente all'esercizio del potere,
ossia che è impossibile governare onestamente (...). Ma riflettendo meglio, si scopre
che un uomo politico, il quale sa che accettando il potere dovrà poi esercitarlo
disonestamente, e tuttavia lo accetta, è un malfattore già prima dell'accettazione, e
quindi lo è in sé e per sé, e non a causa del potere. e' il principe disonesto, quindi,
che inquina il potere, e non viceversa" (pag 146 ,op. cit.).
Ancora il Bernazza evidenzia come il consiglio di Machiavelli al principe di farsi
temere (ma non odiare) evitando ogni amabilità vacilla: in realtà chi è soltanto
temuto finisce per farsi odiare. Solo l'ipocrisia lo circonda, avvoltoi che approfittano
della situazione pronti a divorare il leone appena in difficoltà. Anche il tiranno che
diventa mito in un clima di follia collettiva (il nazismo) per quanto crei strutture
informative ed educative, o meglio, di addestramento verso il culto del potere (la
messa in atto di un artificio) può reggersi. Le coscienze migliori si sottraggono alla
morte del branco poiché, vuoi la ragione vuoi l'istinto di sopravvivenza della specie,
incanalano in loro tutte le energie per capovolgere la situazione. Del resto, il detto "il
fine giustifica i mezzi" nella storia è stato applicato con pieno successo e
legittimamente proprio per liberare e non per dominare. Si pensi a Perlasca ed a
Schinderlist. Quante volte invece, usato a fini di dominio, si è rivelato un'arma che si
è rivoltata contro chi l'ha usata!
Machiavelli ha ben chiaro che la società deve procedere in modo virtuoso e quindi
che non si può permettere una libertà assoluta (ognuno fa quello che vuole) : in tal
caso si ritornerebbe nel caos e negli abusi, la libertà di uno a danno dell'altro. Ma la
morale del principe è diversa: lui può prevaricare, concedersi libertà non concesse
agli altri. Come è possibile mantenere sano e virtuoso il corpo della società sotto una
testa che delinque? Il principio culturale di tutti i mammiferi è solo uno: l'esempio.
La scimmia impara dalla madre a schiacciare le noci, impara come gestire le relazioni
col branco osservandola. Ognuno cerca di riprodurre l'esempio genitoriale (il principe
è una genitorialità) quindi tutto funziona bene se l'esempio è buono, tutto va a rotoli
se l'esempio è negativo.
Ecco cosa si può fare di peggio. Il "principe" deve usare tutti i modi per "plagiare"
il popolo utilizzando la menzogna come un'arma professionale. Una falsità ripetuta
mille volte diventa sempre più convincente fino a prendere il posto della verità". La
gente ingenua e credulona finirà per essere suggestionata: se "un notizia" gira
parecchio qualcosa di vero ci deve pur essere! Purtroppo la storia antica e recente
abbonda di questi "principi" che hanno avuto successo grazie alla propaganda di
promesse irrealizzabili e di sistematiche bugie. Abilissimi affabulatori dall'animo
meschino, uomini di successo e ricchezza quanto poveretti nel loro sè, ammesso che
qualcosa sia rimasto. Questo è lo scotto da pagare, l'avere al posto dell'essere. Una
vita spesa per ingannare e farsi largo senza scrupoli porta conseguenze inconsce
devastanti. Lo sanno bene gli psichiatri e gli psicoterapeuti. E poi la falsità oltre a
rendere negativa la propria vita (a meno che non sia consapevole e mirata, e
comunque non finalizzata a danneggiare il prossimo) non funziona mai
perfettamente. Qualche volta i proverbi ci azzeccano dicendo che il diavolo fa le
pentole ma non i coperchi. A tal proposito lo psichiatra Oliver Sacks in un saggio
neurologico (L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello) racconta di un gruppo
di pazienti che avevano perso l'uso della comprensione verbale a causa di tumori
nell'area di broca: essi un giorno, davanti ad una trasmissione televisiva in cui i
politici dibattevano tra loro, si misero a ridere
di gusto... In un certo senso
l'incapacità di capire le parole razionalmente aveva reso libero l'inconscio di capire
che non c'era fedeltà ai contenuti del discorso, come quando i comici giocano con i
loro paradossi e fraintendimenti. Qualcosa insomma rimane
nel nucleo della
personalità centrale, si mantiene quel principio di realtà che è la bussola di
orientamento del vivente e di una vita psicologicamente positiva.
Se anche la demagogia non funziona al principe ( a coloro che vogliono fare i
capi) rimane la carta della prevaricazione.
Solo per paura la gente fingerà il
consenso, ma per quanto tempo? Il malcontento finirà per danneggiare tutto il sistema
e far crollare anche le più rigide impalcature sociali. La ghigliottina è sempre pronta
anche per i re. In altri termini il modello del principe di Machiavelli si traduce in una
struttura artificiosa, ingannevole contro gli interessi naturali del gruppo e dei suoi
stessi capi-branco.
Ma il fine dell'uomo è il potere? Obiettivamente l'aspirazione ad esso è presente
dappertutto: in una famiglia, in una scuola, ospedale, banca, associazione...
quante liti per comandare, per ritagliarsi un po' di importanza! Fa parte del DNA che
condividiamo con gli scimpanzè, sempre in competizione tra loro. Ma il vero potere
non è questo.
Qui Machiavelli coglie nel segno: potere è avere dominio di se stessi, delle
proprie passioni. Su di esse la voglia di sentirsi i migliori, di comandare, di avere gli
altri sottomessi. In altri termini è
il potere sulle devianze,
sulla paranoia
mantenendo un'apertura positiva e costruttiva con gli altri, il potere sull'infantile
egocentrismo del tutto dovuto, quello che negli psicopatici sommerge quell'io adulto,
responsabile, attento ai rapporti secondo giustizia.
Un uomo che ha il potere su se stesso, il cui ragionamento arriva alla verità di ogni
umano problema, che non cede ai luoghi comuni, diventa una guida naturale, questo
perchè diventa un esempio positivo, a cui si riconosce la saggezza e le capacità. Del
resto egli non ha più idoli nè "capi" esterni, nè è vittima del culto di se, ma è in
armonia con se stesso. Persegue la verità, il bene, i sentimenti positivi.
La verità stessa si impone per chi non la teme ma ne fa motivo di vita. Per far
questo non può non essere onesti con se stessi: la verità premia infinitamente di più
che le menzogne e le illusioni di comodo (che anzi finiscono per mettere nei guai).
Potere è risolvere situazioni umane difficili sia nel campo psichico, medico,
educativo, economico... Trovare la soluzione giusta al momento giusto, agire per
rendere la propria ed altrui vita più dignitosa, serena, costruttiva. Potere è non essere
vittime degli inganni e smascherarli.
Io non credo che chi confida solo in questo mondo possa davvero fare qualcosa di
costruttivo ed evolutivo, credo che solo afferrandone il senso evolutivo in una ricerca
mai definitiva (il potere della ricerca in tutti campi) si possano trasferire naturalmente
le proprie conquiste spirituali anche nella vita ordinaria. La fede non è un'astrazione
nè una credenza, è una pulsione che dà i suoi frutti durante la propria ricerca: azioni
concrete, modificazioni non sul piano delle chiacchiere verbali o cartacee ma della
vita.
Un comico che fa ridere un bambino ha un potere, chi riesce a dare serenità con le
sue parole e la sua presenza ha un potere, chi guarisce devianze psichiche e malattie
ha un potere, chi sa fare l'amore con gioia ha un potere. Ma soltanto nella
consapevolezza dei propri limiti si rivela quanto si può realmente fare.
Una chiosa finale per riprendere alcune considerazioni condivisibili di Dario Fo. Il
tema sviluppato a Brera era dedicato a Leonardo da Vinci. Nel discorso viene citato
Machiavelli rovesciando tutta l'interpretazione classica: Machiavelli non si rivolgeva
al "principe" ma al "popolo" per istruirlo su cosa fa il potere, insomma voleva
apertamente denunciare il comportamento dei potenti nella storia. A sostegno di
questo Fo cita un brano in cui Machiavelli, in poche parole, dice: se la gente è
intelligente ed ama la libertà il potere non potrà prevaricare, bisognerebbe
ammazzarla tutta a tal fine ma non rimarrebbe nessuno da comandare. Quindi, dice al
Principe di evitare un territorio in cui le persone sono evolute, o meglio, alla gente:
siate avvedute e non troverete oppressori.
Forse ci sta anche questo, e certamente è così: una collettività di persone oneste
avrà rappresentanti onesti. Se ognuno fosse al posto giusto per la competenza e
qualità che ha, il mondo sarebbe quasi perfetto. Ciascuno avrebbe potere sul proprio
lavoro, su quello che fa e non sugli altri. E' un mondo ideale, senza dubbio, ma la
specie umana ne ha un bisogno impellente se non vuole distruggersi come già sta
devastando il suo ambiente. Chissà se la componente umana positiva riuscirà ad
emergere prima che sia troppo tardi, ammesso che non sia troppo tardi, ma perchè
non mantenere sempre acceso un lume di candela, una speranza, un sogno? L'umanità
è sopravvissuta grazie a chi non l'ha mai spenta.
Guida ai libri sui sogni
La prima cosa da mettere in chiaro è che non esiste nè mai potrà esistere un libro
che insegni a interpretare i sogni. L'interpretazione dei sogni è un'arte che si sviluppa
con l'esperienza, l'intuito e una conoscenza psicologica globale. Ci sono certamente
libri che aiutano a fornire strumenti interpretativi ma sono tutti insufficienti presi di
per sè per la semplice ragione appena detta. Ovviamente hanno valore solo
folkloristico i testi che abbinano i numeri agli eventi sognati, con la speranza di
vincere al lotto se si sogna il nonno in vena di rivelazioni. Ma anche lì il substrato
culturale di certe persone alle credenze popolari quali il "37 morto che parla" è da
tener presente quale fattore condizionante. E ciò vale per tutto: il mondo culturale e
del vissuto personale è fondamentale per capire i sogni. Ed è per questo che il più
famoso dei libri sui sogni, quello scritto da Sigmund Freud, "L'interpretazione dei
sogni" è sorpassato, non tanto per il criterio che comunque è da tenere in
considerazione, ma per l'epoca in cui è stato scritto, nell'Austria vittoriana con una
sensibilità assai lontana dalla nostra oltre a una miriade di quegli oggetti quotidiani
diversi che costituiscono il materiale di tanti sogni.
A far luce su cosa significhi la diversità culturale nelle nostre rappresentazioni
oniriche ma anche per quanto consideriamo "normalità" è il testo di C. Clement - S.
Kakar "La folle e il santo". Qui Vengono analizzate due figure a livello
psicologico: una poveretta rinchiusa nel manicomio di Saltpetre a Parigi sotto cura
dal celebre P.Janet e il santo hindu Ramakrischna, considerato dagli hindu una
incarnazione divina. La domanda è questa: se il contesto socioculturale intorno a
queste figure fosse stato diverso la povera Madalaine avrebbe potuto essere ricordata
come una mistica e Ramakrischna essere dimenticato come uno dei tanti matti
seppelliti da qualche parte? Rimane il fatto che è di importanza cruciale il contesto
ambientale in cui l'immaginifico è presentato. Se certe rappresentazioni non sono
assimilate vengono considerate estranee e assurde. Pensiamo agli impressionisti
giudicati nel loro tempo come degli imbrattatele e le cui opere non erano comprate
neppure per un soldo bucato. Oggigiorno un Manet e un Pizarro non solo farebbero la
fortuna del loro possessore ma verrebbero giudicate da chiunque almeno "belle" e
"interessanti". Alla domanda provocatoria se una figura può cambiare in base al
contesto in cui vive, da un esempio di virtù a reietto, si può rispondere certamente
con un sì, ma ci sono sempre di mezzo dei distinguo se non si vuol cadere nel
semplicismo. Il mistico intanto tiene presente proprio questo contesto socioculturale
di cui fa parte ed agisce in modo avveduto in esso, in altri termini è capace di
intendere e di volere, sa valutare il comportamento idoneo senza per questo
rinunciare alle sue intuizioni e ai suoi sentimenti. Va infine fatto presente che il
concetto di mistico usato dallo psicologo indiano Kakar è troppo limitato alle
categorie hindu e non si eleva all'universalità che gli compete.
Se il sogno è un fatto umano universale come la ragione e i sentimenti, esso si
forma col materiale che prende dall'ambiente culturale e fisico, dagli oggetti ai
paesaggi. Per questo non esiste una guida che possa spiegare, una volta per tutte, il
perchè di ogni azione e oggetto sognato.
Se il testo di Freud è obsoleto utili sono invece altri suoi studi, per esempio quelli
raccolti in "Psicoanalisi del genio". Qui troviamo le sue riflessioni sull'arte e la
letteratura in relazione a casi clinici. In questi saggi si può apprezzare la sua acutezza
di osservatore:
Deliri dei sogni nella Gradiva di Jednsen, Contributo ad una
questione sulla lettura, Il poeta ed i sogni ad occhi aperti, Un ricordo d'infanzia di
Leonardo da Vinci, Il motivo dei tre scrigni, Il Mosè di Michelangelo, Un ricordo
d'infanzia da "poesia e verità" di Goethe. In altre parole quel che conta è accostarsi
all'inconscio, il modo di comprenderlo, questo servirà anche a capire il significato dei
sogni".
La lettura dei testi antichi sui sogni, come quello di Artemidoro può avere un
interesse etnopsichiatrico, ma di scarsa utilità per l'oggi. Vero è che, a mio modo di
vedere, c'è sempre un substrato di archetipi e strutture ricorrenti ma queste cambiano
la forma secondo il linguaggio di "quel tempo" e di "quel luogo". Bisogna dunque
superare l'aspetto contingente per poter comprendere questi archetipi, e praticamente
ogni lettura di Jung serve a questo scopo ( e con essa la vasta e interessante letteratura
della psicologia del profondo). Nell'opera dedicata dallo psichiatra tedesco
all'alchimia,
"Psicologia ed alchimia", i sogni che emergono dalle sedute
psicoanalitiche esprimono l'antico linguaggio dell'inconscio, con gli stessi simboli
alchemici che operano nella mente umana. Ci si potrà chiedere chi potrebbe sognare
simboli così desueti come quelli rappresentati nel testo, ma non è necessario che
siano riprodotti allo stesso modo, esiste insomma una "traduzione" per ogni tempo e
luogo che la conoscenza e l'esperienza permette di rintracciare. Ma curiosamente
l'inconscio può "pescare" queste antiche figure. E' capitato anche a me: un sogno
lucido, coloratissimo (di quelli che non si possono dimenticare tanto sono vividi e
emotivamente intensi), dove ero a tu per ti con una pianta i cui fiori erano volti
umani. Ritrovai l'immagine proprio leggendo questo testo di Jung.
Se l'opera alchemica è un viaggio nel Sé, un cammino di guarigione dalla malattia
della vita (quella vissuta inconsapevolmente, come burattini in mano agli istinti
egoistici),
lo è anche tutta la dimensione onirica se si armonizza con la vita
cosciente, se la integra, se la accompagna fino alla fine in un'opera di trasformazione
di cui solo la morte è il sigillo. Mi viene in mente il sogno di Jung, espressione della
sua opera iniziatica, compiuto alla fine di un difficile momento psicologico in cui ha
sperimentato in sè momenti deliranti, questo sogno era come una visione liberatoria
all'uscita di un tunnel. Nel sogno aveva abbandonato la terra fino a perderla di vista,
entrò in un maniero senza tempo dove ebbe la sensazione di comprendere gli
avvenimenti della sua vita in un quadro unico. Ne parla nell'opera autobiografica
"Sogni e riflessioni". In effetti il sogno non ha il senso della durata dello stato di
veglia, una manciata di secondi o pochi minuti
possono contenere avventure
lunghissime. Chi è stato sul punto di morire ha avuto la sensazione di vedere la sua
vita in un flash, perfino il futuro, così almeno quanto riportato in buona fede.
Non tutti i sogni hanno lo stesso valore. E' una questione qualitativa. Si va da
quelli ordinari che combinano le vicende quotidiane a quelli estremamente
significativi per la vita di una persona, alcuni sembrano dilatarsi oltre la propria vita.
Quando ero bambino diverse volte mi sognavo adulto, parlavo con persone dall'abito
lungo e bianco e avevo a che fare con un giardino botanico. Rientravo con una
vecchia bicicletta a casa, e passavo attraverso una zona dove c'era un tempio hindu.
Una sera mi sdraiai in un prato e fui avvolto gioiosamente dalla luce del tramonto
fino a morire in essa. Non
voglio assolutamente parlare di reincarnazione,
preveggenza o qualcosa del genere, ma non so dove ho elaborato queste immagini e
sensazioni profonde. Comunque sia il mio interesse per le civiltà orientali crebbe ben
presto e in modo del tutto spontaneo. Il sogno insomma viaggia oltre i confini del
tempo e dello spazio. Quando da bambino mi chiedevo se i sogni ci portassero in una
dimensione più profonda di noi stessi rispetto alla nostra vita corporea senza saperlo
ero già nei concetti chiave dell'Induismo e del Buddhismo dove l'esistenza
è
considerata un'apparenza come una increspatura sul mare... Chissà quale circostanza
(un film, un libro, un racconto...) ha fatto lievitare queste impressioni?
Alcuni terapeuti come lo psichiatra Brian Weiss, che è un sostenitore della teoria
della reincarnazione, invogliano il paziente in stato di ipnosi a "ricordare le vite
precedenti": Il rischio è quello di condizionarlo a vedere trame che in realtà sono solo
congetture. Questa è stata la mia impressione leggendo i casi narrati. Comunque sia
l'inconscio si apre a possibilità straordinarie che queste teorie potrebbero invece
limitare.
Più terra terra è invece la "Teoria e pratica del sogno da svegli guidato" di
Robert Desoille. L'autore compie una felice sintesi tra comportamentismo e
psicoanalisi nell'approccio psicoterapeutico. Gli studi sui riflessi condizionati iniziati
da Pavlov hanno chiarito il perchè di certi comportamenti e la relazione tra
condizionamenti ambientali e coazione a ripetere. Per sviluppare nel paziente una
maggiore libertà dagli schemi ripetitivi (anzichè proporre il classico modello
freudiano delle associazioni libere e della spiegazione dei sogni) si può lasciargli
l'iniziativa di immaginare e sognare ad occhi aperti, proponendo nei momenti chiave
delle alternative. Si tratta insomma di guidare l'attività inconscia per capire dove si
annidano le difficoltà e dove si delineano le soluzioni. Libro di fondamentale
importanza anche perchè dimostra come un buon psicoterapeuta prende il buono da
ogni tecnica e teoria, interessato prima di tutto all'efficacia del suo lavoro.
Di più ampio respiro, sulla linea Junghiana, è il "Manuale di interpretazione dei
sogni" di S.K.Williams. Diverse metodologie di lavoro onirico sono prese in esame
ma tutte hanno in comune il concetto di "viaggio" e di "alterazione", quest'ultimo
concetto caratteristico di una popolazione della Malesia che ha mantenuto una vera e
propria venerazione per la dimensione dei sogni e le tecniche per interagire
consapevolmente con essi.
Un'altro studio sul controllo dei propri sogni è quello di Malcolm Goldwin "Il
sognatore lucido". Effettivamente è possibile portare l'io nel sogno e guidare
consapevolmente il sogno stesso, attivando quell'immaginazione creatrice in cui tutto
è possibile con un realismo straordinario. Suoni e immagini riportano quella qualità
eidetica che sembra riservata a pochi geni come Mozart, ma non si tratta di ricordi ma
di creazioni immaginifiche. Quindi non si è solo passivi spettatori nel sogno ma
anche potenzialmente dei protagonisti che fanno scelte come un'artista quando esegue
un'opera.
E mentre la mente costruisce i suoi scenari immaginari il corpo non è immobile
come una statua ma segue dinamicamente le scene con lo sguardo e partecipa con
varie contrazioni muscolari. Le stesse posture assunte durante il sonno rivelano
l'identità psicologica come spiega il testo, facile ma tutt'altro che banale, di Dunkell
Samuel "Le posizioni del sonno".
Lo stato di veglia non è rigidamente staccato da quello onirico. Spesso ci troviamo
a immaginare, a fantasticare senza volerlo. Ne sanno qualcosa gli studenti quando
assistono a una lezione noiosa. La testa è altrove. Questo è anche il tema di "Sogni
del giorno e sogni della notte", una serie di riflessioni sul "sognare" di Giorgio
Abraham che aggancia diversi temi da quello della depressione a quello della
psicosomatica per ridare valore all'immaginario, a quella continuità (e intreccio) delle
due dimensioni esistenziali, veglia e sonno.
Sogniamo le nostre aspettative, le nostre paure, i nostri desideri focalizzando quel
"qualcosa" che in un dato momento convoglia l'attenzione psichica. Perfino gli
animaletti da laboratorio dopo aver provato invano a risolvere un problema, come
uscire da un labirinto, rinfrancati dal sonno, riescono a risolverlo. Dormire quindi non
solo rinnova l'energia ma è in continuità con l'attività della vita, con tutti i suoi
problemi, aiutandoci a risolverli.
Ogni tanto però il sogno si presenta con una intensità e ricchezza simbolica che
sembra portarci su un piano diverso dell'esistenza. E incredibile come la mente riesca
a elaborare scenografie che neppure il miglior staff di sviluppo di elaborazioni
digitali riesce a realizzare, soprattutto nei momenti in cui il cervello sta guarendo da
una patologia. La "rigenerazione" viene rappresentata da geometrie straordinarie e
simboli di vita. Chi li vive può legittimamente essere portato a credere che esiste un
mondo immaginale preesistente a quello fenomenico, divino insomma. Mi ricordo
che la notte dopo aver condiviso la sofferenza di un padre il cui figlio era stato
travolto da una auto pirata all'uscita di una banca, sognai di trovarmi in una caverna
in cui erano intessuti disegni in rilievo come in uno straordinario merletto. Erano
simboli silenziosi che indicavano una legge cosmica con cui noi possiamo convivere
in armonia. Una torre così finemente ornata saliva verso il cielo ed alla base un
sepolcro. Un tempio dello spirito in cui tutto era perfetto. La morte è essa stessa parte
di un ricamo che con la sola ragione non possiamo afferrare.
I sogni quindi possono evocare mondi meravigliosi, se sono "secrezioni del
cervello" come supponevano i positivisti del primo ottocento, la materia fa proprio
miracoli e merita di esser chiamata divina.
Non c'è come un buon "Dizionario dei simboli" (ottimo quello di Jean Chevalier
- Alain Gheerbran) a fornire tutto il materiale che si vuole per investigare sui
simboli. Quasi un dizionario se non avesse lo specifico intento di spiegare i sogni è il
testo di
Emil Gutheil "Manuale per l'Analisi del Sogno". Dettagliatissimo e
corposo, tiene conto dell'esperienza psicoanalitica complessiva seppur in una base
classica freudiana. Al suo cospetto gli altri sembrano poveri riassuntini. Evito quindi
di citarli.
Interessante è il testo di Klaus Thomas "Autoanalisi dei sogni" soprattutto per la
rivisitazione del sogno come vissuto nell'antichità. Anche la religione dell'Islam
nasce da un sogno, ricorda l'autore, citando lo stesso Maometto: "Mentre dormivo mi
apparve l'arcangelo Gabriele con una coperta di broccato di seta sulla quale c'era
scritto qualcosa. Disse: "non riesco a leggere (l'autore riporta "non so leggere" ma è
quasi impossibile che un capo carovaniere con la responsabilità di trattare mercanzie
non sapesse scrivere e far di calcolo, a meno che il "non so leggere" sia da intendersi
come una sensazione di impotenza di fronte a una lingua sconosciuta o divina...)...E
mi svegliai nel sonno, mi sembrava che quelle parole fossero state impresse nel mio
cuore con un ferro rovente..."
Nella storia delle religioni il sogno ha un'importanza fondamentale, anzi ogni
"rivelazione" o ritenuta tale, anche quando è presentata come un fatto oggettivo
svolto nella vita, presenta i contenuti dello stato onirico. Con questo non si minimizza
la sua realtà ma la si pone su un piano diverso non meno importante, quello
dell'inconscio. Nel mondo primitivo il sogno era il mezzo per accedere al mondo
degli spiriti e lo sciamano ne interpretava i segni. Nel sufismo le decisioni importanti
del maestro vengono prese dopo un sogno rivelatore e, così vuole la tradizione, gli
insegnamenti ai discepoli possono attuarsi attraverso i sogni con una intensità
superiore alla trasmissione ordinaria. Ma a prescindere dagli aspetti misterici il sogno
rimane il ponte per la comunicazione con l'inconscio.
Nel sogno finiscono per condensarsi i significati esistenziali di ciascuno, talvolta in
modo criptico altre volte in modo palese. Io mi sono abituato a trascrivere subito i
sogni che sentivo davvero importanti segnatamente con un contenuto da tradurre
nella vita. In uno di questi mi ritrovavo a camminare con mio padre in un ambiente
soffocato dalle case e dalle strade, ma salendo lungo certe vie, a poco a poco, il
cemento e l'asfalto lasciavano spazio a zone vive di piante e fiori. Andando sempre
oltre l'aria si faceva più tersa e sana e il paesaggio verde, fino a un punto in cui si
estendeva davanti una immensa prateria. Qui mio padre si fermò dicendomi che era
arrivato dove voleva, lasciandomi solo a proseguire in questo cammino. Poche notti
dopo ebbi un altro sogno che interpretai come un completamento del precedente.
Viaggiavo in un mondo eterico, pieno di felicità, luce e conoscenze insieme a chi
rappresentò per me un maestro ed un intimo amico. Se avvertivo il primo come un
purgatorio, comunque ascensionale, quasi in una ricerca della sostanza della vita
naturale in un mondo sempre più artefatto e avvelenato, il secondo rappresentava un
paradiso, il tesoro dei valori dello spirito.
E l'inferno? Quando non c'è una guida che sappia portarti oltre la miseria del
mondo la vita scende nel suo abisso devastante. Chi non l'ha vissuto a suo modo lo
vivrà, sempre a suo modo. Invece di essere guidati dalla ragionevolezza e dalle
pulsioni nobili della fede, della giustizia e della bellezza, ci si lascia trasportare dalle
illusioni, dagli istinti di predominio separandosi dagli altri e dalla bontà della vita. E
col vuoto interiore l'insonnia e gli incubi a occhi aperti. Ma nelle proprie profondità
c'è sempre il richiamo del Sè, di una saggezza che se accettata si libererà, velo dopo
velo, rimettendo in armonia il proprio essere. La notte sarà quindi un naturale e
sereno ritorno nelle proprie profondità.
Termino qui questa breve disamina col testo di Hillman "Il sogno e il mondo
infero". Qui il sogno è visto in una prospettiva corrispondente alla discesa nell'Ade
come vogliono le antiche mitologie. Ma per infero non si intende in necessariamente
una realtà negativa essendo potenziale preludio per la rinascita. Anche il sole
tramonta e scompare nella notte per poi ricomparire all'alba. In effetti, almeno
secondo la psicologia buddhista, il sogno ci porta vicino alla morte del corpo, e in un
certo senso in una condizione più libera dalle sue costrizioni spazio-temporali.
Liberati dal corpo, oltre i sogni c'è la chiara luce di cui il Bardo Thodol (libro dei
morti tibetano) è memore. E allora tutto è possibile, anche reincarnarsi come è
rappresentato nel film di "Al di là dei sogni" ottimamente interpretato da R.Williams.
L'inferno in senso negativo è quello che è sotto gli occhi di tutti nell'indifferenza ai
beni della vita, quelli veri degli affetti e della ragione,
non quelli illusori del
consumismo. Si muore e ci si distrugge nella rincorsa ad avere e potere sempre di più,
in un inferno materiale di balocchi. Questo scenario è stato magistralmente
rappresentato da Bruno Bozzetto nel film "Allegro ma non troppo" nel sogno del
serpente della genesi. Rinascere da questo inferno che ci circonda e sognare cose
nuove, vere, in quella Pace e in quel Bene a cui aspira ogni essere umano, è l'unica
via di salvezza possibile per il singolo e per tutta l'umanità.
Una bibliografia ragionata sul sufismo.
Chi per interesse personale e di lavoro tiene in casa dei libri sa quanto spazio
finiscono per occupare. E poi c'è bisogno di sistemarli secondo un certo criterio per
saperli trovare quando servono. Proprio malgrado, per chi come me tende a sorvolare
su tutto ciò che è meticolosamente ordinato, bisogna organizzarsi e archiviarli con
metodo. Tutto sommato è anche un allenamento mentale. Ed ecco su una parete ho
posto i libri di psicologia, su un'altra quelli di scienza in generale, di là ancora quelli
di carattere letterario. Qui dove sto scrivendo, alla mia destra cinque mensole sono
traboccanti di libri sull'Islam e sul sufismo in particolare. Per diversi anni mi sono
obbligato a scrivere per ognuno di essi, appena terminato, un breve commento
riassuntivo per por poter riprendere "il filo" anche dopo tanto tempo. Quasi tutti
contengono sottolineature con la matita (quelli segnati a penna sono i poco
importanti). Questo lavoro d'archivio ha finito per dimostrarsi utile e potrebbe servire
a qualcun altro per cui ho rimesso insieme gli appunti in una bibliografia ragionata
sul misticismo dell'Islam.
Dagli anni 1980 in poi in Italia c'è stato un riguardevole incremento di libri
riguardanti il sufismo, prima di allora rari e circoscritti a minute nicchie di studiosi.
Non mancava comunque la qualità. Rusconi per esempio aveva pubblicato tre opere
di Syyed Hossein Nasr tra cui l'ottimo "il Sufismo" nel 1975. Come tutti i filosofi
sufi, l'autore, nato a Teheran nel 1933 è un esperto in materie scientifiche anche
moderne, studiò infatti al Mit di Boston matematica e fisica e ad Harvard, storia
della scienza e filosofia. Un anno prima Rusconi aveva già fatto uscire "Ideali e
Realtà dell'Islam". L'approccio tradizionalista di Nasr è sano senza alcuna rigidità e
forma di fanatismo che anzi corregge. Eccellente anche l'opera "l'uomo e la Natura"
del 1977. Piacevole la sua lettura per via di un pensiero nitido ed equilibrato. Nasr qui
ci ricorda il ruolo dell'uomo nel creato in un mondo che mette sotto i piedi la natura
invece di essere in armonia con essa come da sempre i sufi raccomandano. Quanto
dovrà pagare l'uomo per essersi dissociato dall'ecosistema?
Feltrinelli, da parte sua, nel 1977 aveva pubblicato di Nasr "Scienza e civiltà
nell'Islam". L'introduzione di G. Santillana lascia perplessi. E' legittimo criticare ma
non sempre si ha la competenza per farlo. Merito di Nasr è aver individuato nella
figura del saggio (hakim) chi nell'Islam, ma in realtà nell'umanità, tesaurizza il
sapere. Il sapere insomma deve "vivere" in una persona che ricerca la verità ed in essa
percepisce il senso mistico, l'unità di ogni scienza. Un "Ricercatore" si interessa di
tutte le scienze ed in esse trova il filo conduttore che unisce la ricerca del Sè con
quella della verità oggettiva. Un hakim non è mai uno specialista, soltanto un
filosofo, solo un fisico, solo un medico, solo un uomo colto, ma una persona
dall'interiorità viva che cerca la Verità. Infine non si può con rigidità dividere le
scienze antiche da quelle moderne, semmai è il modo con cui viene intesa la ricerca
scientifica: oggi essa si rapporta solo alla tecnologia ed alla funzionalità se non
esclusivamente al tornaconto economico. Ma anche nel mondo moderno non sono
mancati scienziati "aperti" ad una ricerca evolutiva del sè, da Yung a Einstein. Anche
la constatazione dei meccanicismi delle mutazioni biologiche, della evoluzione delle
specie, può essere letta in una visione che riporta all'unità, alle leggi della natura che
sono come firme del divino. Insomma, se l'uomo perde il senso della bellezza, se non
sente questa terra, questo universo come effetti di una realtà infinita capace di stupire
e commuovere, non può evolvere nel sapere, sarà limitato all'aspetto esteriore delle
scienze. Queste ultime, del resto, senza sapienza ed etica, possono diventare
distruttive. In effetti l'uomo sta devastando e avvelenando il suo pianeta sotto il peso
del suo gigantesco sapere tecnico a fine di lucro.
Un altro autore fondamentale per la divulgazione del sufismo è stato Gabriele
Mandel (1954-2010) pubblicando dapprima con SugarCo (1977) "il sufismo vertice
della piramide esoterica", uno studio completo ed armonico, semplice e gradevole
alla lettura. Venne la volta nel 1980 dei "detti di AlAllaje" con le edizioni Alkaest e
"Un sufi e il potere" (edizioni fiore d'oro 1981), un'ampia introduzione all'opera di
Sa'adi. Saggezza da bere a piene mani. Furono poi numerose le opere di questo
autore dedicate al sufismo, attento a riportare la materia prima che ha ispirato i sufi.
E' sua infatti la traduzione integrale dal persiano del "Mathnawì" di Rumì, caposaldo
della letteratura sufi di ogni tempo (Edizione italiana, 6 volumi, Bompiani Bergamo
2006 con prefazione di Sua Eccellenza Halil Cin). Dell'autore mi capita spesso di
citare "Il Corano senza segreti" (Rusconi, Milano 1991) per me la migliore
introduzione alla lettura del Corano esistente dove rimane chiara la differenza tra una
lettura intelligente e illuminata (quella dei sufi) e quella fanatica ed ignorante. Il
Corano stesso è stato tradotto e commentato dall'autore (edizione economica U.T.E.T
2005) dove le note aiutano ad una ragionevole comprensione del testo. Con "la
Storia del Sufismo" (Rusconi, Milano 1995) Mandel aveva intrapreso un lavoro
documentato e puntuale del sufismo storico, base indispensabile per chi voglia
districarsi nella bolgia degli attuali ordini e confraternite dove sono comuni le
mistificazioni e le deviazioni. Seguiranno "I novantanove Nomi di Dio nel Corano"
(Edizioni San Paolo, Milano 1995) un validissimo testo che esamina gli attributi
divini, simboli ed espressioni della dialettica dell'Esistente. Sempre con la stessa casa
editrice pubblicò nello stesso anno "Saggezza islamica; le novelle dei sufi", storielle
evocative quanto gustose, del resto questo è il modo classico dell'insegnamento sufi
svolto attraverso l'anedottica. Anche il Vangelo così come il Corano, sono intrisi di
un linguaggio ricco di similitudini e racconti fantasiosi. Utilissimo perciò, per capire
queste modalità espressive, il testo di Mandel "Le Parabole nel Corano" ( Rusconi,
1999) in cui
le metafore
sono analizzate con cura, anche attraverso paragoni
evangelici . Si comprende come il veicolo della parabola sia privilegiato in tutte le
tradizioni per evocare significati che il concetto da solo non può esaurire. La
perennità del vero si ripropone così in un linguaggio allusivo ovunque e dovunque,
che tutto è simbolo per appetire alla Realtà. Nel 1999 esce ancora con con Rusconi
"La Saggezza dei sufi" in cui Mandel, dopo una sobria panoramica sul sufismo da un
punto di vista storico e speculativo, presenta al lettore diversi brani dai testi classici
del sufismo raccolti in aree tematiche . Con La via al Sufismo nella spiritualità e
nella pratica (Bompiani 2004) per la prima volta, a quanto mi risulta, un maestro
sufi (Mandel era stato anche khalifa dell'ordine Jerrahi Halveti) presenta al pubblico
un compendio di quanto viene trattato nelle riunioni sufi. Gli argomenti che
ciclicamente vengono approfonditi sono qui strutturati con la consueta chiarezza e
competenza.
Segnalo anche un prezioso volumetto tradotto e commentato da Mandel: La città
immersa nelle tenebre di Sadiq al Nakschbandy (Arcipelago 2005). L'opera del
XVIII secolo porta a fronte il manoscritto originale in turco ottomano, ed ha una nota
introduttiva
importante in quanto fa rivivere in termini attuali quanto descritto
nell'antico testo. Salto altre opere del sufismo e dell'Islam in generale dell'autore per
mantenere una traccia essenziale. Certo è che la produzione di Mandel da quando
scrisse le "Quattro novelle sufiche" nel "Il Corrierino dei Piccoli" del 1947 è stata
la più ricca nel settore. Dopo la sua dipartita terrena sono usciti postumi nel 2013
curati da me, la raccolta di saggi "Federico II, Il sufismo e la Massoneria" e
"l'Europa e l'Islam" ed. Tipheret e un libro sul suo insegnamento, sempre da
Tipheret "Conversazioni sul tappeto" scritto da me e da Rossano Vitali.
Prima del 1980 troviamo diverse opere di stile tradizionalista come quella di
Martin Lings (Mediterranee 1978) "che cosa è il sufismo" che ne evidenzia i temi
classici. Molto interessante è invece il suo lavoro "Un Santo Sufi del xx secolo"
(Mediterranee 1994). Ottimo libro che fa rivivere il pensiero, la figura dello sceicco
Ahmad Al 'Alawi. Di Titus Burckardt (Mediterranee 1979) ricordiamo la
"Introduzione alle Dottrine Esoteriche dell'Islam. Lo stesso autore con stessa casa
editrice, ha commentato e tradotto "l'uomo universale" di 'Abd al-Karim al-Jili e
con Marsilio nel 1993 "Il Giardino dei Fiori Odorosi "di A.Al-Yafi'i. Quest'ultimo
testo è del XIV secolo e presenta una serie di aneddoti, talvolta stile mille e una notte
altri di limpida saggezza sufi.
Nel filone tradizionalista si situa anche l'opera di F.Schuon, ma con una maggiore
propensione a una speculazione filosofica piuttosto che a razionalizzare i miti in una
dottrina metafisica compiuta. Le ed. Borla gli pubblicavano nel 1967 "L'Uomo e la
certezza" e le ed. Mediterranee "Sufismo: velo e quintessenza" (1982). Con questa
casa editrice troviamo diverso opere tra cui forse la più famosa "l'unità trascendente
delle religioni"(1997). Il titolo riporta un concetto classico dei sufi, da loro sempre
sostenuto già dai tempi di Allaje che con poche parole diceva: "Ho meditato sulle
religioni sforzandomi di capirle: Ed ho scoperto alla fine un tronco unico dalle molte
ramificazioni. Non pretendere che un essere abbracci questa o quella religione; ciò
impedirebbe ogni solida intesa. reclama piuttosto che arrivi ad un ceppo che esprima
per lui tutti i significati più alti: allora capirà"
L'approccio intellettuale tipico della corrente tradizionalista è assiomatico, verità
che cadono dall'alto di un sistema dottrinale presentato come indiscutibile. Ma gli
sviluppi, le interpretazioni, le sfumature sono tante anche in chi si è riconosciuto in
questa corrente. Già si è parlato subito in toni lusinghieri dell'approccio equilibrato,
saggio ma non pretenzioso
di S.H.Nasr. Valido è il testo di Alberto Ventura
(Atanor 1981) "L'Esoterismo Islamico" che non presenta rigidità fanatiche, lucido e
di valore. Citiamo ancora di Anton Kielce "Il Sufismo" (Sugarco 1985), una facile
introduzione al sufismo, niente di più, ma riccamente illustrata. Passo velocemente il
testo di W.Stoddart di "Il sufismo" ( Brancato 976) .
Tutt'altro spirito, in continuità con l'antico stile sufi, muove invece le opere di
Idries Shah. Di miliare importanza è stata la pubblicazione da parte di AstrolabioUbaldini deI testo "La strada del sufi" (1971) ed è anche la base per comprendere il
suo approccio al Sufismo, attuale, vivo, magistrale. La stessa casa editrice
pubblicherà altre opere di Shah tra cui nel 1988 "imparare ad Imparare". Imparare
non è accumulare nozioni. Il sufismo insegna il modo per vedere oltre l'apparenza,
pensare, ascoltare, esistere imparando dalla vita prima che dalle forme concettuali. E'
importante descrivere ma il descrivere è niente se non traduce il " sentire".
"Cercatore di Verità" (1995): Cosa lo distingue? Molti aspiranti al sufismo cercano
solo un padre, altri un mito, altri ancora dottrine e riti ma trovano sulla loro strada
solo imbroglioni, fanatici o mediocri ripetitori. Ognuno va dove i suoi passi lo
dirigono. "I Racconti dei Dervisci" (1997) sono uno stimolo all'intuizione ed alla
riflessione per andare oltre la semplice per quanto importante "morale della favola".
Ogni racconto finisce con una importante chiosa che offre il suggerimento
interpretativo e notizie storiche sul tasawwuf. "L'Io che Comanda" (1996) può far
ricordare quanto in psicoanalisi è definito il "bambino onnipotente", la parte infantile
ed animale che cerca di sopraffare gli altri, tutti a suo servizio. Chiamato anche il
"faraone", rappresenta il lato negativo che sta nell'uomo (ai confini della psicopatia e
della paranoia) con cui bisogna fare i conti, soprattutto in noi stessi. Le Mediterranee
nel 1990 pubblicheranno un'altra opera miliare di questo autore: "I Sufi". Un testo
per iniziare a studiare il sufismo, con grandi ampiezze tematiche ed aperture. A parte
certe considerazioni ipotetiche sul lato storico date come fatti scontati è importante il
taglio e il messaggio. Mondadori nel 1991 manderà alle stampe "Pensatori dell'Est".
Un libro di aneddoti dove, a mio parere, Idries Schah ha dato del suo meglio. Portare
ad una triplice attenzione sui fatti, sulle cose, sulle parole per capire la realtà oltre le
apparenze. Infine "Pensiero e Azione Sufi" (Psiche 1990). Un valido testo scritto in
collaborazione con i suoi allievi.
Dell'eminente filosofo sufi Al-Ghazali (1058-1111), sono state tradotte in Italia
diverse opere. Cominciamo con "Il concerto mistico e l'estasi" (Il Leone verde
1999). Il questo libro Ghazali evidenzia, pur con prudenza e grande equilibrio,
l'assurdità dei fanatici che osteggiano la musica, il canto e la poesia. Dal Corano alle
tradizioni del profeta si deduce invece quanto sia elevato e spirituale coltivare questa
sensibilità che guarisce il cuore. Certamente, diremmo oggi, un uso sconsiderato della
musica rompitimpani da discoteche, associato all'alcool ed alla droga finisce per
essere dannoso. Il solo buon senso permette di distinguere. Da notare la concretezza
di Ghazali in certe affermazioni : "il vino è proibito perchè un bicchiere tira l'altro,
diventa subito un vizio". Non ci si deve insomma drogare di nulla, comprese le cattive
musiche in ambienti negativi con persone inadatte. Ci vuole gusto e cura in tutto
poichè "Dio è bello e ama la bellezza", dice il Corano, ed è il cuore che sente la
bellezza derivante da tutti i sensi, sia sotto forma di un paesaggio o di una musica o
una poesia. Se uno è insensibile, inferiore ad un animale, dice Ghazali, troverà
stupida ogni forma d'arte. "Lettera ad un Discepolo" (Sellerio 1992) è un volumetto
semplice e squisito che avevo trovato in una libreria sull'isola dei pescatori sul lago
maggiore. Un buon libro preso al momento giusto nel posto giusto diventa una
preziosa compagnia, e per riflettere cosa c'è di meglio che aver intorno dei giardini
come quelli di villa Taranto o villa Pallavicini? Nel testo "Le Perle del Corano"
(BUR 2000) Ghazali già nell'XI secolo non teme di definire " tradizionalisti
imbecilli" coloro che si limitano a leggere il Corano superficialmente e letteralmente,
non distinguendo la qualità dei passi (da quelli contingenti e giuridici a quelli
universali ed essenziali). Occorre dunque capire il valore simbolico e metaforico per
arrivare alla perla superando il velo del favolistico e del convenzionale. Con un
cuore vivo ed una mente intelligente, senza condizionamenti e pregiudizi,
l'interpretazione si fa penetrante e diretta, gnostica, specchio a specchio (solo se Dio
vuole). Non manca l'autocritica d'aver speso troppo tempo in inutili disquisizioni
giuridiche e teologiche. "Il Libro della Meditazione" o kitab at-tafakkur (Testi
Islamici 1988) fa parte della ihya''ulum ad-din (rivivificazione delle scienze
religiose), un'opera monumentale pari alla summa teologica di Tommaso d'Aquino
(anche il filosofo cristiano, come Ghazali alla fine della sua vita, si rammamicherà di
aver buttato via la sua ricerca in modo intellettuale invece di calarsi nell'esperienza e
nella vita come gli aveva indicato il suo maestro Alberto magno, ma meglio tardi che
mai). Il testo prende in esame il valore del fikr (meditazione) superiore al semplice
zikr (rammentare), quando per zikr non si intende il ricordo di Dio compiuto dai sufi
nella loro rituale preghiera ma l'attività del rievocare immagini e concetti. Solo
quando ci si apre ad uno sviluppo meditavo creativo si arriva a nuovi concetti, a
quadri sempre nuovi e più vividi dell'oggetto in mente. La via per l'accrescimento
cognitivo viene bloccata solo dalla morte, oppure dagli ostacoli" (pag.37). La
riflessione è consigliata a più riprese nel Corano in quanto dallo studio di tutte le cose
si perviene a scoprire i segni di Dio. Ghazali è il primo a delineare un sistema
dell'arte di meditare. Se è impossibile riflettere su Dio, sull'infinito, è invece nelle
capacità umane ragionare su tutti i campi dello scibile . Ciò è un dovere che dà
dignità al'uomo poiché dalla scoperta delle leggi della natura si svela il segno del
Creatore ( pag. 98). Se l'uomo non riflette, dice Ghazali citando il Corano, rimane
negli armenti umani, come una bestia :"perciò elevati dal basso mondo delle bestie a
quello del supremo consesso dei cieli" (pag.96). Altrimenti come gli animali vivrà
solo di istinti e cercherà il potere e successo nel branco, ma con l'aggravante che
questo non è il suo fine. Lo distingue la capacità di riflettere e contemplare Dio.
L'uomo diventa il più ammirabile degli animali (pag.89) attraverso la meditazione
delle proprie qualità e dei propri difetti, a quanto lo avvicina od allontana dalla
Presenza Divina. In questo modo si mette in condizione di saper osservare con
intelligenza il creato. Ogni dato della realtà biologica, fisica, chimica, astrofisica
finisce per essere letto in modo non solo meccanicistico, scoprendovi l'invisibile
disegno creativo di Dio. Ghazali compie questa dissertazione con le conoscenze
dell'epoca ma con la percezione di sempre dell'illuminato. "La nicchia delle Luci"
(Tea 1989) riflette sul significato della luce spiegando il versetto coranico omonimo.
E' tra quei suoi testi di metafisica che lo farà ricordare come chi ha conciliato il
sufismo con la teologia islamica.. Infine "L'unicità divina e l'abbandono fiducioso"
(il cerchio 1995). Questo lasciarsi andare all'Essere, nell'Essere è il significato più
profondo ed esoterico del termine "Islam" e del gesto del flettersi della preghiera
islamica.
Vari brani di Ghazali sono presenti anche nel testo "Esperienze mistiche
dell'Islam: l Niffari -Al Ghazali " (Ed.Missionaria 2000) di Scattolin Giuseppe.
Accademica l'introduzione di Scattolin ad Al Niffari con ripetizioni concettuali e
preoccupazioni teologiche nella nota finale, preoccupazioni rimarcate nella
prefazione di M.Vannini. Sono proprio queste che impediscono la comunione con
Dio ricorda insistentemente Al Niffari a se stesso. Teologie, gnosi, leggi, il sufismo
medesimo diventa impedimento evolutivo quando non permette l'esperienza diretta,
viva dell'assoluto. Quando ci si nasconde dietro le parole, gli intellettualismi si è in
preda ad una sorta di narcisismo che copre la realtà. Il linguaggio di Al-Niffari è
quello della rivelazione, nulla si interpone al Sè che si rivela a Se stesso. Purtroppo i
testi sufi non sempre sono tradotti e commentati da sufi.
Degli autori classici del sufismo, oltre quelli ricordati in precedenza, troviamo
opere che possono dare tanto a chi si mette nelle giuste condizioni interiori per
riceverne i valori. "Il Segreto dei Segreti" di al-Qadir al-Jilani (L'ottava 1994) è un
profondissimo compendio del Sufismo del XII secolo. Solo quando nasce il fanciullo
dello spirito (archetipo studiato da Jung) si risveglia anche un maestro: egli invita ed
attira l'uomo a cercare di scoprire la realtà fino a raggiungere l'essenza divina. E' la
capacità di contemplare Dio nella Creazione ed in Se Stesso: "Coloro che invocano
Allah in piedi, seduti e distesi sul loro fianco e che meditano sulla creazione dei cieli
e della terra. Il nostro Signore non ha creato ciò invano (Cor.III,191). La pregevole
introduzione è del khalifa americano Jerrahi Tosun Bayrak.
L'ottava pubblicherà nel 1995 di Ibn Al-'Arif le "Sedute mistiche". Il maestro
andaluso nato nel 1088 ci parla degli stati e delle stazioni del sufismo, del loro limite
o possibilità di avanzamento in rapporto a come sono vissute.
L' "Epistola di Hayy ibn Yaqzan"di Ibn Tufayl (Rusconi 1982) è un testo scritto
in Andalusia nel XII secolo di tipo filosofico e protoscientifico. Esso racconta di un
giovane che arriva al sapere partendo da zero essendo stato allevato da una gazzella
fin da neonato. In realtà in tali condizioni non si fa nessun passo culturale in quanto
l'apprendimento ambientale è fondamentale nella specie umana. Anche il linguaggio
del filosofare a volte è noioso e pesantuccio. Ma non è questo il senso che ci
interessa. Il giovane rappresenta la ricerca libera, autonoma della Verità fuori dai
condizionamenti e pregiudizi sociali, e questo è sufico.
Sultan Walad, il figlio di Rumi, nell'opera "La Parola Segreta" (psiche 1993)
racconta le vicende della sua tariqa ed espone l'insegnamento dell'Unione che unisce
oltre i tempi e i luoghi i maestri. L'Unione non è solo il fine della ricerca ma il suo
inizio, in Dio il viaggio è senza fine. Come può esserci una fine nell'Infinito?
L'immensa ricchezza del testo è ben presentata da Eva de Vitray-Meyrovitch e da
D.Mortazavi.
"L'angelo Purpureo" (Luni 2000) è un testo curato da S.Foti dello shaykh
Suhravardi, finito tragicamente nel 1191 con una condanna a morte. Esso propone
tre narrazioni evocative e metafisiche: "l'angelo Purpureo" "il fremito delle ali di
Gabriele" e "la lingua delle formiche".
Caterina Valdrè raccoglierà l'insegnamento di una santa sufi
coi "Detti di
Rabi'a " (Adelphi 1992). Non bisogna infatti dimenticare che le donne, nel sufismo,
hanno oggi come ieri la stessa dignità degli uomini, in certi casi si mescolano nelle
stesse attività e nelle riunioni, in altre agiscono a parte. Rabi'a è un polo di
riferimento per tutti.
Tra i "classici" del sufismo in Bompiani è presente pure la "Metafisica" di
Avicenna, con testo arabo e latino, a cura di Olga Lizzini e Pasquale Porro nel 2002.
Il grosso volume di 1614 pagine può essere importante per lo specialista.
"Il Libro dell'Estinzione nella Contemplazione" di Ibn Al-Arabi (Se 1996) è un
testo di metafisica riassumibile nel concetto che "Tu sei Quello..." Di lui Red ha
pubblicato anche il racconto "L'alchimia della felicità" (1996) in cui Asin Palacios
vide i tratti comuni con la mistica cristiana, i viaggi celesti che sono metafore
dell'opera di trasformazione interiore. Ancora del"sommo maestro", le edizioni "Il
leone verde" pubblicheranno "il mistero dei custodi del mondo" (2001), un testo che
ha fatto fantasticare occultisti, teosofi e tradizionalisti occidentali, pronti ad incastrare
i miti tra loro per vedervi spiegata la favola bella di un antico regno che sopravvive
alle varie epoche di decadenza, magari nascosto nelle viscere della terra, e i cui saggi
misteriosamente dirigono le fila degli eventi. Oltrepassare la sfera del meraviglioso,
di cui il nostro io bambino è naturalmente affascinato, non significa dimenticare i
valori dei simboli, anzi, a mio modo di vedere la strada giusta è proprio questa,
rintracciare il significato spirituale che si nasconde in essi. Tra tutti quello del "centro
unificante" da cui si irradia nell'universo la saggezza. In ogni civiltà le religioni
hanno costruito la loro gerarchia attraverso l'ispirazione, la saggezza, l'esperienza, le
virtù, le qualità interiori individuando in questi i fattori importanti (nell'immagine
classica del sufismo il valore è nascosto sotto un saio rappezzato, e talvolta un
maestro può celarsi come un mendicante) . Questo in via di principio, quando non si è
ridotta su un piano di formalità, di prestigio e di dominio, allora, e solo allora il
senso delle giuste misure è stato colto. La gerarchia non è un fatto di potere ma di
funzioni e di ruoli, non c'è nessuno che stia sopra o sotto qualcun altro come succede
nei gruppi di scimpanzè. Ognuno è in armonia col tutto se è se stesso, se sa rispettare
gli altri sapendo di condividere una vita, un sapere che nessuno si è creato da solo ma
è dato da Dio, quel centro supremo che sta dentro ogni essere. E' l'essenza. Le
comunità dei santi di cui parlano le religioni, dal Buddhismo, al Cristianesimo
all'Islam,
necessariamente superano l'ideologia, il gruppo, sono in armonia con
l'Essenza e per questo comunicano oltre il tempo e lo spazio (da cui il concetto di
intercessione, tanto amato dall'aspetto popolare delle religioni). "L'interprete delle
passioni" (ed. URRA 2007) è invece un canzoniere del maestro andaluso che segue il
motivo classico della poesia sufi, la metafora dell'amore terreno per risalire
all'attrazione mistica per il divino.
"Il Libro della Cavalleria"
(Atanor 1990) propone diverse sentenze etiche
commentate da As-Sulami ( 932-1021) con profonda saggezza. In esse è delineato un
degno stile di vita capace di condurre la persona oltre le bassezze mondane verso la
piena realizzazione del Sé. Da ricordare che i cavalieri musulmani bevevano in una
coppa, da qui forse l'origine del graal e della sua cerca.
"Il Poema Celeste" di Attar Farid al-din (Rizzoli 1990) è
composto da
centinaia di storie istruttive che un padre racconta ai figli perché non si lascino
travolgere dagli eventi e dalle passioni terrene. Alcune di esse, e varrebbe la pena di
farne un estratto, sono validissime ancor oggi nell'occidente, altre sarebbero da
adattare. Il prologo segue il consueto genere letterario delle lodi al profeta e può
sembrare retorico fuori dal contesto culturale dell'epoca, eppure ci sono "dritte"
significative. Così finisce: "E se la parola è principio di tutto, usala dunque: con essa
supplica, domanda cerca." Del 1964 pubblicato da Boringhieri è anche le "Parole di
sufi" dello stesso mistico persiano, un ampio compendio delle massime e della vita
degli antichi maestri "Ciò che per te è un precetto di assoluta necessità, non è fare la
salat in comune, ma cercare un cibo che sia legittimo" (pag.391). Questo è poi il
senso dei ricercatore della verità, l'onestà nei sentimenti, nel pensiero, nell'azione che
mai si affievolisce, permettendo una continua evoluzione.
Luni nel 1998 pubblicherà un altro poema classico della letteratura sufi "il libro del
coppiere" di Hafez dove ritorna l'onnipresente immagine della coppa e dell'ebbrezza,
a significare che solo uno spirito libero dai condizionamenti e dalle devianze
psichiche che affliggono i più, può attingere alla ricchezza interiore illimitata dello
spirito. Anche Goethe si ispirerà ad Hafiz tenuto conto che il romanticismo, l'epoca
da lui vissuta, ha tra le sue istanze questa ricerca di affrancamento, di tuffarsi nei
sentimenti più profondi dell'essere fino a sciogliersi nel tutto. Solo che nel sufismo
queste esigenze interiori sono dirette dalla regia sapiente dei suoi maestri, altrimenti
c'è da perdersi nella dissolutezza o nella tragedia come spesso accadeva ai romantici.
Un altro gioiellino è "Il Giardino Cintato della Verità" di Hakim Sana'i
(psiche 1992) con brani scelti e tradotti da David Pendlebury, con una ottima
introduzione. Sempre di Sana'i è il "Viaggio nel regno del ritorno" (pratiche 1993),
una "divina commedia" che precede di più di un secolo quella di Dante.
"Frammenti di Luce" di Jami (psiche 1998) è un compendio del pensiero sufi,
precipuamente nel taglio di Ibn Arabi, di cui il maestro Jami si fa umile interprete.
La cristallina chiarezza del testo è straordinaria: "...Nemmeno in più vite possiamo
uscire dal patto stretto dal Vero per un istante d'Amore.
Dello scienziato e poeta sufi Umar Khayyam F.Gabrieli ha tradotto "le
Quartine" (Newton 1991), con il coraggio di una persona intelligente e interiormente
libera quale lui era, faceva ben presente come il bigottismo è lo scuro piattume che
permette il contrasto con lo spirito splendente ed elevato: "Vedi questi due o tre
idioti? Tengono il mondo nelle loro mani,/ e non sanno nulla. Per la loro ignoranza si
credono superiori./ Segui il Sufismo e non curartene. Nella loro splendida sufficienza/
chiameranno "eretici" tutti quelli che non la pensano come loro."
Oltre alla traduzione di Mandel del Matnawi troviamo un compendio delle poesie
di Rumi curato da A.Bausani "Poesie Mistiche" (Rizzoli 1980) e "Racconti Sufi"
(RED 1995) Quest'ultimo volumetto offre qualche riassuntino elementare ed
inadeguato dei racconti presenti nel Mathnavi. "L'Essenza del Reale" è' l'unico
testo speculativo di Rumi. La densità concettuale, veicolo di simboli che indicano
all'uomo la sua essenza, può essere solo avvertita da chi si pone in sintonia col senso
di questa ricerca che non ha confini di religione. Leggendo certi capitoli mi
sovveniva la costruzione classica dell'arte figurativa islamica laddove una serie di
scene, che sembrano distinte le une dalle altre, in realtà costituiscono un discorso
unico chiarendosi vicendevolmente. Non può non essere colta anche la
consapevolezza dell'autore delle dinamiche psichiche a dimostrazione della globalità
del pensiero sufi dove è sempre presente il fine coi suoi mezzi realizzativi. L'altra
edizione del fihi-ma-fihi è intitolata: "Il libro delle profondità interiori" (Luni
editore), pregevolmente introdotta da Eva de Vitray-Meyerovitch.
Del filosofo sufi Al Farabi Rizzoli ha pubblicato "La città virtuosa"(1996). Il
testo è utopistico ma se non c'è la speranza, un punto di riferimento ideale di giustizia
e civiltà, l'umanità è destinata alla bancarotta. Se essere pratici significa pensare solo
in modo egoistico lasciando i propri istinti a briglia sciolta, l'umanità diventa un caos,
una topaia in cui ci si sbrana a vicenda. Avere dunque dei modelli politici intelligenti,
che richiamano all'ordine di giustizia divina dove è valorizzato chi fa il bene e chi è
onesto, indipendentemente da un gruppo in particolare, è essenziale per ridare qualità
alla specie umana.
Adelphi 1981 aveva pubblicato un volumetto "Sentenze e Colloquio Mistico" di
Ibn 'Ata'Allah, un mistico morto nel 1287 al Cairo. Una serie di sentenze, tante
goccie da meditare una ad una. Egli fu allievo di Al-Mursi della confraternita
Shadhilita. Prima di avvicinarsi al sufismo ebbe paura di dover rinunciare al suo
amore per le scienze ma fu tranquillizzato: "Noi quando diventa nostro adepto un
commerciante non gli diciamo:"lascia il tuo commercio e vieni".E a chi cerca la
scienza non diciamo:" Lascia la tua ricerca e vieni", ma poniamo ciascuno in ciò in
cui Dio - esaltato Egli sia - lo ha posto". Infatti il Sufismo è nel mondo anche se non
del mondo ed in esso opera offrendo pace, conoscenza e bellezza.
Di Kalabadi "il sufismo nelle parole degli antichi" (officina di studi
medievali 2002) è uno dei primi tentativi (IV secolo dall'egira) di dare una
visione organica del pensiero sufi, della sua "dottrina dinamica".
Dal Leone verde il volumetto "la domanda essenziale" (2001) raccoglie
una meditazione di Al-Qashani sulla verità suprema che in realtà sta
nell'essenza del Corano, formulata così da Ibn Arabi: "I icieli e la terra non mi
contengono ma solo il cuore del mio fedele".
Un discorso particolare va al "Il Libro della Guarigione Sufi" di S.H.M.Chisti
(Punto d'incontro 1995), l'argomento è pratico trattando i sistemi di cura. Il testo più
facilmente
potrà essere apprezzato dal lettore musulmano. Comunque anche lo
studioso troverà interessanti diverse sezioni da quella dedicata ai profumi ai rimedi
erboristici tradizionali, a taumaturgie come le targhette con scritte coraniche per
guarire dal male, (se è indubbiamente vero che entrano nel confine della
superstizione popolare è anche vero che, oltre al classico effetto placebo, hanno una
funzione di ricordo di Dio
e con la fede ogni miracolo è possibile.) Ed ancora
l'accurata descrizione della preghiera islamica, il valore del digiuno etc. Un libro
insomma ricco di argomenti che esprimono una cultura ai confini della magia. Oggi
si è riscoperto scientificamente il valore di antichi rimedi, dall'uso delle sanguisughe
nei tessuti necrotizzati, delle larve di mosca (opportunamente rese sterili) che
ripuliscono la carne da cancrene e marcescenze, al veleno delle api nella cura delle
immunodeficenze, dalla sindrome di stanchezza cronica alla sclerosi multipla.
Soprattutto si è presa consapevolezza della psicosomatica. Nel processo di guarigione
la barakha fa il resto.
Sui generis anche il testo di Sha'rani "Vite e detti di santi musulmani" (UTET
1979) curato da Virginia Vacca. Un lavoro agiografico, non dissimile da quelli
cristiani, dal forte richiamo al paradossale e al miracolistico. Qui troviamo descritti
personaggi che portano elmi da un quintale, immagini da "Brancaleone alle
crociate", ma anche aneddoti gustosi e istruttivi.
Se la letteratura che ha avuto secoli d'oro con vette come alHallaj (858-922)
Avicenna (980-1037), Khayyam (1048?- 1131 ?), Ghazali (1058-1111), Attar (11501229?) Suhrawardi (7/1155-1191), Ibn Arabi (1165-1240), Sa'di (1184-1291) , Rumi
(1207-1273) etc. , ciò non significa che il sufismo, oltre quel periodo, si sia celato.
Pur essendo indipendente dal bisogno di apparire nei secoli, o nell'arte o nella
scienza ed in altri modi d'operare, la sua impronta è continua e si è palesata anche con
figure come lo scheik Al Arabi al Darkavi, morto in Marocco nel 1823 d.c (1239
dall'egira). Possiamo riviverlo con "Lettere di un Maestro Sufi" (Se 1997) un
capolavoro della letteratura sufi.
Rusconi nel 1984 pubblicò un altro testo di elevatissimo valore con "Il Libro
delle Soste". L'autore Abd el-Kader (1808-1903) guidò come emiro la resistenza
algerina contro la colonizzazione francese, sconfitto con l'inganno entrò nell'ordine
sufi Jerrahy e si ispirò al pensiero di Ibn Arabi. Questo scritto è esemplare, esprime
una conoscenza metafisica diretta, straordinariamente limpida.
Un panorama dei temi del sufismo nella storia ed oltre la storia sta nei "I Mistici
dell'islam" di Eva de Vitray- Meyerovitch (Guanda 1991) Ottima l'introduzione
con una ricca scelta di testi. Buona scelta antologica è anche quella di M.M.Moreno
Laterza 1994 "Antologia della Mistica Arabo Persiana".
Le edizioni punto di incontro hanno pubblicato diverse opere sul sufismo, a parte
la già segnalata sulla guarigione di S.H.M.Chisti. "La Storia dei Quattro Dervisci"
(1992) è una storia sufi di Amir Khusru fantastica e godibile risalente almeno al
XIII secolo e rielaborata da Amina Shah. Il suo ascolto per chi sa sintonizzarsi col
senso profondo, secondo la tradizione, fa recuperare la salute. Le altre opere sono
avventure spirituali come quella di Irina Twidie con "L'Abisso di Fuoco" (1988). Il
testo autobiografico racconta gli incontri di una donna occidentale con un maestro
sufi indiano. L'autrice, oltre a riportare gli insegnamenti ricevuti, descrive i suoi stati
interiori. Proprio qui ho trovato interessante il quadro psicologico femminile che si
intreccia con i suoi incontri e dialoghi col maestro. Un libro al limite della narrativa,
ricco di buone intuizioni. Come un romanzo d'avventura si legge anche
"In
Viaggio Con un Maestro Sufi" di H.B.M.Dervisch (1991). Vivace, con scaglie
intuitive disseminate lungo il percorso. E' da collegare a Idries Shah. Ottimo libro,
sempre dal taglio narrativo, coinvolgente e sincero è "Tra i Dervisci " di Omar
M.Burke (1988). Finiamo questa carrellata di pubblicazioni del punto di incontro
con "Il Misticismo del Suono" di Hazrat Inayat Khan (1992), musicista sufi che
ha fondato in occidente il "movimento sufi". I suoi testi (tra cui si segnala anche "La
Divina Sinfonia" ed "In un Roseto d'Oriente" ed.Mediterranee ) ed il suo
"movimento", si ispirano allo spirito universalista sufi ed ai suoi motivi classici
costituendone
una esteriorizzazione divulgativa. Merita dunque una attenzione
diversa rispetto a movimenti analoghi pseudosufi sparsi in Occidente, spesso
improvvisate invenzioni di speculatori o mitomani, qualche volta veicolo di ideologie
politiche estranee. Il sufismo comunque è anche un'organizzazione storica islamica,
una struttura in cui ogni membro fa parte di una catena secolare riconosciuta. Fuori
da questo contesto ufficiale e retroterra religioso ci si può comunque ispirare al
sufismo.
Sul solco della narrazione delle proprie esperienze nel sufismo sono i tre saggi di
R.T.Feild pubblicati sa Amrita "Oltre l'Ultima Barriera" (1992) quindi "Sufi, la
strada invisibile" e "nati per guarire". In essi si legge un percorso interiore di
ricerca, da un pensiero fortemente impregnato di suggestioni magiche e mitologiche
cristiane ad una distillazione psicologica graduale dovuta agli incontri per lui
significativi che lo hanno portato al sufismo. La passionalità può coinvolgere nella
lettura. Ogni descrizione soggettiva della propria vita e delle proprie esperienze ha
un suo valore, è uno spaccato di umanità che fa riflettere.
Un viaggio di iniziazione alla realtà tra le illusioni e i trucchi è stato anche
quello di Tahir Schah (Piemme 1999) "Viaggio nell'India Magica". Un resoconto
di vissuto del figlio di Idries Schah.
Nel Sufismo, come in genere nel settore
"esoterico", gli impostori e gli imitatori (a milioni gli pseudosufi) utilizzano per
proprio tornaconto scuole disancorate dalla "organizzazione". Spesso inscenano
situazioni paranormali e misticheggianti. Certo un maestro sufi vive del suo lavoro,
semmai rimettendoci materialmente per le spese della scuola. Chi "mangia" sul
sufismo non è evidentemente un sufi. Sull'insegnamento dell'antica tradizione sufi di
Idries Shah si situa il percorso anche della figlia Saira Shah di cui Bompiani
pubblica nel
2002 "L'Albero delle Storie". Il Sufismo si vive, è esperienza,
irriducibile al compiacimento dottrinaro. Il libro di Saira Shah non è un romanzo
come scritto sulla copertina, ma un reportage sull'Afghanistan il cui filmato è stato
trasmesso anche in Italia. O meglio, un diario sincero della trasformazione che il
vissuto consapevole attua in se stessi. Tra l'altro la lettura è godibile in quanto,
nonostante la drammaticità degli eventi, quel filo umoristico che mai manca nei sufi,
accompagna il lettore dall'inizio alla fine: consapevolezza che tutto, in questo mondo
è transeunte.
Le edizioni Nur pubblicarono nel 1993 le opere di"Javad Nurbakhsc" (1926 –
2008) padre generale dell'ordine Nematollahi e stimatissimo uomo di scienza
(presidente emerito della società internazionale di psichiatra). Tutti questi libri
riportano in fondo un medesimo ampio capitolo dedicato all'ordine Nematollahi in
una discutibile scelta editoriale. Tra essi "Gesù Secondo i Sufi ". Gesù è un qutb, un
polo d'amore per i sufi. Questo libro evidenzia quanto egli sia stato venerato non solo
nella specificità del Sufismo ma nell'islam tutto, quanto sia educativa la sua figura.
Del resto il Corano testimonia la sua figura profetica. Il testo "Il Cuore e le
Passioni" è un'analisi del Nafs ricca di rimandi a sentenze sufi classiche. Liberare il
cuore dalle passioni mondane è un compito precipuo del sufi ma non si può fare
senza conoscersi, senza accettarsi, senza esperirsi. "Nella Taverna della Rovina" è
diviso in sette parti in cui è descritto il significato dell'essere sufi, delle invocazioni a
Dio (zikr), dei luoghi d'incontro e dell'organizzazione sufi. Il contesto del libro vale
anche per gli altri ordini, le differenze sono formali e secondarie (il tasawwuf è unico
pur essendovi diversi ordini ). Ecco tre riflessioni : "Tutti i cuori sono legati e tutti i
sufi sono una sola anima. Tutte le volte che un darvisch perde il posto nel cuore di
uno, lo perde anche nel cuore degli altri (pag.102) "lo shaick deve comportarsi verso
i dervisch in modo tale che questi non lo considerino superiore a loro per il fatto di
essere sheikh. Deve invece essere umile, poichè sa che la sua grandezza risiede nel
servizio e non nella sua posizione di riguardo" (pag.93). "Un sufi non dovrebbe
criticare il comportamento di un altro sufi o chiedersi il perchè delle sue azioni. La
libertà individuale di ciascun darvisc deve essere rispettata nel gruppo. Non si
dovrebbe intervenire negli affari degli altri, poichè ogni sufi detiene la sua vita, il
suo stato, la sua estasi e il suo universo" (pag.104). Nel libro "Il Paradiso dei Sufi"
si evidenzia quanto sia differente l'aspettativa, se così possiamo definirla, verso la
trascendenza di un sufi rispetto al credente ordinario. I sufi non sono distratti nè da
questo nè dall'altro mondo, paradisi terreni, artificiali e soprannaturali sono estranei
alla ricerca sufi. Nurbaksc attraverso una scelta antologica di brani sufi
adeguatamente commentati evidenzia il cammino dei sufi che è oltre ogni paradiso,
una ricerca che attraverso la riflessione (fikr) e il ricordo costante di Dio (zikr)
purifica lo specchio del cuore permettendo la percezione della Realtà. Eccellente
compendio. E ancora "donne sufi" storie di donne musulmane ed "Eblis, il grande
satana" quando il male per i sufi non sta in una personificazione mitologica ma nella
negatività psichica e in definitiva nell'ignoranza.
Di tipo accademico ma non con questo non degno di considerazione per
l'approccio sintetico è lo studio di R.Nicholson il "Sufismo e Mistica Islamica"
(Melita
1980). Eruditivi sono anche i testi di di A. Shimmel "Sufismo. Introduzione
alla mistica islamica" (Morcelliana 2000) e di C.Ernst "Il grande libro della
sapienza sufi" (Mondadori 2000). L'importante è non prendere per oro colato certe
affermazioni che dimostrano quanto sia facile, per chi mette in piedi informazioni
dall'esterno, prendere strafalcioni. Per l'ultimo autore citato le storielle di Nasruddin,
l'anedottica in generale, sarebbe solo una questione di folklore popolare. Non si può
essere più lontani dall'insegnamento sufi di così. Sempre per questo autore, Idries
Shah, che appunto con la novellistica lavorava, non farebbe parte di un ordine sufi ma
avrebbe creato con Bennet una scuola che sviluppa il pensiero di Ouspenski e
Gurdjeff (pag.236). Qualche tassello giusto non può
trasformare l'insieme in
qualcosa di vero, ma fa risaltare il resto come tutto inventato. Se Idries adattava
l'insegnamento in modo laico, chiaramente sovra-islamico, il fratello, Omar, invece
teneva ben presente la "piattaforma" originaria dell'Islam. Tra l'altro definiva
Gurdjeff "un medico a metà" come in effetti era. Ambedue comunque si rifacevano
alla Tradizione sufi appresa anche per via famigliare.
C'è però chi ha capito, almeno in parte, il valore segreto delle storie, anche
divertenti, che raccontano i sufi. Jean-Louis Maunoury ha raccolto in un libro molte
storielle che hanno come protagonista colui che nelle terre islamiche tutti conoscono
anche se in modi diversi, dai sufi più colti e raffinati ai bambini: "Sublimi Parole e
Facezie di Nasr Edin Hodja Nasruddin" (Luni 1994). Costui è una figura classica
degli aneddoti sufi. Le situazioni narrate, non permettendo spiegazioni intellettuali,
obbligano a trovare risorse intuitive con la stessa funzione dei koan. Il piano
meramente intellettuale, quello delle parole sotto cui spesso ci si nasconde, deve
essere trasceso nella via in favore di una penetrazione esperenziale della realtà
L. V. Arena con Mondadori ha pubblicato due raccolte di storielle sufi in
rielaborazioni ed adattamenti consapevoli: "Il Canto del Derviscio" (1993) e "Il
Bimbo e lo Scorpione " (1996). Sempre di lui, nello stesso anno e casa editrice esce
una presentazione del sufismo in chiave storica ed accademica: "Il Sufismo".
Anche Magi Gianluca ha fatto un buon lavoro sugli insegnamenti sufi attraverso
le storielle con "Il Dito e la Luna" (Punto d'incontro 2002)
Hanno cercato di approfondire la realtà del sufismo l'Islamista Marijam Molé col
libro "I mistici dell'Islam" (Adelphi 1973) così come G.Schweizert, con "I dervisci"
(Sugarco 1987), ben calato nelle vicende storiche. In ogni caso, quando si legge un
lavoro accademico spesso si ha la sensazione di vedere le cose dall'esterno, a
prescindere da certi svarioni sulle cose fondamentali. Prendiamo per esempio "Il
sufismo" (Elledici 2003) di Sedgwick Mark. Studio che cerca di essere serio,
equilibrato, accettabile ma comunque lascia perplessi soprattutto perchè rischia di
essere condizionato da una visione del sufismo africana spesso solo degenerata e
deviata. Per evidenziare che il sufismo non è una setta segreta estremamente elitaria,
inavvicinabile come l'idealismo tradizionalista ha fatto credere a molti, l'autore
rischia di ridurre il sufismo a un fatto popolare, ad una religiosità sui generis che si
mescola con quella islamica. Ci sono insomma diversi rischi di fraintendimento.
Viene citato pure Voltaire come elemento di scandalo per l'incontro tra sufismo ed
occidente (o anche qui fraintendiamo?) quando non solo Voltaire è amato dai sufi ma
nei punti chiave esprime concetti ritrovabili nel classici del sufismo. E poi il sufismo
ha agito fortemente e continuamente nell'occidente e non aspetta certo di scoprirlo. A
quale sufismo si riferisce? Forse solo alle degenerazioni africane? Allora il titolo
doveva essere diverso.
Si respira tutt'altra aria con "La Presenza Qui ed Ora" di K.E.Helminski
(Amrita 1998): Ottimo testo attuale, tra narrazioni e riflessioni metafisiche sviluppate
in modo che non si fermino sul piano intellettuale ma discendano nel senso
dell'essere, la vita "sub specie eternitatis" di cui già parlava Eckart.
Un ottimo testo del XX secolo è anche quello di Bahram Elahi Ubaldini 1981 "La
Via della Perfezione" La teosofia Sciita è un'altra cosa rispetto a quella conosciuta in
occidente sotto lo stesso nome. Con diversi elementi similari alla via sufi in questo
libro l'esperienza ed il vissuto interiore sono privilegiati.
Tra tutti quelli che pontificano sul sufismo c'è anche chi lo denigra apertamente.
"Gnosi e Sufismo" (Atanor 1992) di M.Mutahhari è un panorama storico,
schematico del sufismo. Nell'appendice si sostiene che il Sufismo non è Islam, vale a
dire che la panna non è del latte. Questa opinione nella storia islamica non è nuova.
Il misticismo e la scienza sono stati avversati anche in buona fede (vuoi per eccesso
di zelo, per fanatismo, per ignoranza o incapacità mentale) in ogni religione, ma in
minor misura nell'Islam. Il Corano infatti invoglia palesemente alla ricerca gnostica e
guidata dalla ragione contraddicendo questi gruppi avversi al sufismo, ma in genere
alla mistica e al sapere scientifico.
Bayatly Kassim, il regista e studioso di teatro iraniano, aveva pubblicato due testi
"Il Corpo Svelato"( Ananke 1996) dove si parla del significato e della tecnica della
danza nell'Islam con una appendice sul samà dei sufi, e la "La memoria del corpo
sotto i cieli dell'Islam" (ubulibri 2001) che è un completamento ed un
approfondimento di quello segnalato in precedenza. Se la danza dei sufi mevlevi
rappresenta il massimo dell'elevazione mistica del corpo il suo opposto sembrerebbe
stare nella danza del ventre (probabilmente originaria della civiltà della valle
dell'indo), se riferita all'eccitazione dei sensi. Ritroviamo invece in essa le
componenti tantriche e il simbolismo del risveglio dell'energia. Ma anche altri riti sufi
descritti fin dal medioevo da Ibn Battuta dimostrano procedure volte alla liberazione
dell'energia, al superamento dei blocchi coatti della libido di cui parlavano anche
Jung e Lowen. Solo così il simbolico serpente, la Kundalini, può rizzarsi ed elevarsi
dal mondo. Nell'insegnamento sufi l'attenzione verso il corpo è fondamentale. Il nafs
deve essere accettato, conosciuto e sublimato. Non è possibile la spiritualità se non
c'è una consapevolezza reale dell'animalità che condiziona tutta la vita biologica e
psicologica della specie umana: di essa vive questo scimpanzè tecnologico dalle
straordinarie possibilità a meno che non finisca per distruggere se stesso col suo
ambiente naturale attorno, come sta facendo.
Alterniamo a testi dove c'è solo ripetizione o imitazione (il "copia e incolla" è uno
strumento mentale tipico dei mammiferi ma conservativo e non evolutivo per la
specie) erudizione o rielaborazione di materiale di seconda mano, ad altri dove c'è un
coinvolgimento diretto, un materiale sufi originale (che quando c'è è sempre
originale, antico o attuale che sia, in quanto è frutto di una esperienza e ispirazione
diretta). "I Sufi mistici dell'Islam" di J.Chevalier (Xenia 1995) per esempio è un
ottimo testo che traduce un vivo e autentico essere nel sufismo. Questo vale anche,
seppur in tutt'altro stile, per "Il saggio di Bandiagara" (Neri Pozza 2001) di Amadu
Hampete Ba Il libro ricorda la vita e il pensiero di Tierno Bokar, maestro sufi
africano del primo novecento. L'inizio del libro riguarda il contesto storico, in
apparenza il groviglio di vicende narrate sembra superfluo e pesante da leggere ma in
realtà offre un quadro umano che permette di capire, oltreche la costante stupidaggine
umana, come l'insegnamento sia in relazione ai tempi e ai luoghi. In seguito la lettura
può gustare una saggistica importante piena di aneddoti e esempi ammirevoli.
Scorrendo la mia libreria trovo ancora da segnalare velocemente "La farfalla e la
fiamma" (Ananke 1997) che è un volumetto comprendente quattro studi sul sufismo
di F.Allam, P. Scarnecchia, Y.Tawfik, A.Ventura.
"Il tappeto del sufi" (città nuova 1998) è invece una cronaca snella e di facile
lettura di un viaggio in Iran dove c'è spazio per qualche dialogo e riflessione
filosofica sul sufismo.
Può essere utile allo studioso il lavoro di Marcello Perego che ha elaborato un
dizionario delle parole usate nel sufismo "Le parole del sufismo"(mimesis 1998). e
l'ampio studio di L.Massignon "parola data" (Adelphi 1995) dove non mancano
interessanti spunti di riflessione.
Finisco con una serie di studi sul sufismo di Omar Shah, fratello di Idries Schah,
anch'esso impegnato a diffondere il sufismo,
pubblicati dalle edizioni psiche.
Quando si parla di Tradizione i sufi non pensano a quella dottrina fantasiosa di
origine teosofica basata sul mito di un centro sotterraneo che regna oltre le epoche,
legittimando le varie credenze o tradizioni supposte come "ortodosse". I sufi
intendono invece un sapere secolare trasmesso da maestro a maestro. E' una via di
saggezza che può essere solo sperimentata, vissuta, e non studiata come un insieme di
concetti. E nemmeno discussa, non perchè si presenti in modo dogmatico obbligando
a una passiva accettazione e alla rinuncia del senso critico, ma per evitare quell'inutile
cavillare dialettico che è il trastullo di molti ma una perdita di tempo sottratta a cose
utili. E' come un programma di allenamento, non bisogna discuterlo ma si attua, non
c'è nulla di non ragionevole nel fine e nei mezzi per cui è solo da sperimentare (se si
hanno le qualità, e in un certo senso la vocazione). Il libro di Omar Shah "Regole e
segreti dell'ordine naqschbandi" (2002) descrive appunto questo lavoro interiore di
realizzazione. Gli altri testi sono "sufismo oggi" (2003) "la tradizione sufi in
occidente"(2002) in cui si marcano anche le distinzioni tra oriente e occidente, Islam
e Chiesa Cattolica (per esempio sulla figura di Gesù) ma senza spirito fazioso, di
antagonismo di gruppo, quale caratterizza le varie religioni, "la via del cercatore"
(2001), anch'esso, come gli altri, un compendio di conferenze e lezioni e "sufismo e
terapia" (2003), quest'ultima opera nasce da una ricerca comune con psicoterapeuti
di tutto il mondo, sono dunque atti di congressi, resoconti esperienziali, domande e
risposte.
Fin qui abbiamo commentato libri che parlano esplicitamente di sufismo ma ce ne
sono alcuni da definirsi sufi anche se non ne parlano. Contenuti sufi possono trovarsi
in libri di fantascienza come "Dune" o "Un luogo senza tempo" di Doris Lessing che
era allieva di Idries Shah, premio nobel per la letteratura, in testi di psicologia come
di Sheldon Kopp o A.Lowen, o anche eccezionalmente umoristici come "Mors" di
Terry Pratchett.
Ma non c'è neppure bisogno che un autore sia un sufi e abbia
conosciuto il sufismo per essere vicino al suo spirito, viceversa c'è gente che è
riuscita a spostare la propria esteriorità anche nel sufismo ricevendo iniziazioni e
perfino riconoscimenti, ma rimanendone del tutto impermeabile. Ci sono testi che ne
parlano esplicitamente e formalmente ma che rimangono estranei. E questo non
riguarda l'oggi ma anche i tempi passati. Pure tra gli scritti antichi si possono trovare
le stesse preoccupazioni burocratiche di sistemazione del pensiero, insomma la
differenza tra un quadro d'arte e la sua critica. Ci sono, è vero, critiche sapienti altre
invece sono spocchiose e insensibili alle realtà commentate. Mi viene in mente come
venivano bollati dai critici tanti artisti che ora sono degli emblemi della storia
dell'arte.... Vogliono far vedere di conoscere l'arte ma non sanno produrre neppure
uno scarabocchio. Similmente tra i sacerdoti di ogni religione ci sono molti burocrati
e funzionari ben lontani dallo spirito autentico della loro fede, pronti a polemizzare
contro chi invece ne è genuino portatore. Altri hanno paura di far valere le proprie
istanze sulle forme istituzionalizzate (o gli mancano gli strumenti per saperlo fare)
finendo per barcamenarsi nella mediocrità. Nel sufismo è lo stesso. Comunque tutto
può servire, fosse solo per evidenziare le differenze.
Finiamo qui questa rassegna in cui dei veri e propri gioielli si sono mescolati a
prodotti mediocri e scadenti. Ci sono altri titoli interessanti nella letteratura in
questione, che non ho avuto modo di leggere, non lo nascondo, ma sarebbe stato
disonesto citarli dando giudizi senza un adeguato approfondimento. Altri sono stati
volutamente omessi. Del resto non è importante collezionare libri di qualsiasi
argomento col condizionamento infantile della ricerca delle figurine...(ce l'ho, mi
manca!). Un libro può meritare di essere letto più volte ed ogni volta, in base ai
mutamenti della propria evoluzione, si ritrovano sfumature e idee prima neppure
intravisti. Quindi i libri vanno conservati con cura, non tutti, ce ne sono alcuni dei
quali è meglio sbarazzarsene o allontanarsi da essi dandoli a qualcun altro.
Sappia comunque il lettore che il sufismo non sarà mai riducibile ad un sapere
intellettuale, nè ad una pedissequa osservanza dottrinale, religiosa e rituale. Un buon
libro sufi può essere un mezzo di risveglio che si compie solo nella propria vita
quando la ricerca nasce dal Sè. E allora ogni incontro, ogni studio, ogni viaggio sarà
la scoperta, come in un tappeto, di un nodo che rimanda al disegno reale
dell'esistenza. Esso potrà rivelarsi solo quando si chiuderà la baracca della propria
vita e ... mi raccomando, niente manifesti funebri, lugubri messaggi riguardanti
questi angusti confini materiali a cui siamo tanto affezionati, ma che ci tengono
prigionieri da una Realtà infinitamente più vasta ed eterna. Dio piacendo.
Introduzione ai detti di Al-Allaje" di Gabriele Mandel (Ed.Alkaest
1980)
Sotto il simbolo della luce nascente dall'Oriente non c'è posto per motivazioni di
carattere razziale e geografico: intorno alla Terra l'Oriente è ovunque, così come
l'Occidente ove muore la "luce del Sole". Identicamente, nel microcosmo umano,
nella "nostra" Terra, l'Oriente segna il sorgere di ogni Bene e Illuminazione spirituale
mentre l'Occidente è simbolo dei momenti oscuri, nei quali è impossibile scorgere i
pensieri e i sentimenti alla luce della Totalità. Ciò corrisponde anche alle due età,
degli dei e degli uomini, del solstizio invernale dal quale il sole si eleverà sempre più
dall'orizzonte, e quello estivo, ove il sole incomincia la sua fase discendente
lasciando sempre più "spazio" alla notte.
Certamente il simbolismo dell'ex oriente lux attualmente può applicarsi su un
piano
geografico,
convenzionalmente
definito:
l'Occidente
moderno
in
contraddizione all'Oriente tradizionale. I valori interiori più profondi e le altezze
intellettuali e mistiche più elevate (che son tutt'uno nella Sapientia Cordis), trovano
ancor oggi una vivezza che il mondo moderno ha soffocato e cercato di spegnere,
sotto il dilagare dello scientismo, della tecnocrazia, della concupiscenza delle
immagini, della ideologizzazione esasperata su ogni contenuto del vivere quotidiano.
La sapienza Medioevale cristiana e ancor più quella umanistica ed ellenistica,
sopravvivono come all'ombra del presuntuoso edificio della modernità. L'Oriente
della sapienza Sufi, del Buddhismo, dell'Induismo e del Taoismo, ove il punto gravitazionale della vita è il divino (seppur nelle diverse modalità e accezioni di forma),
quando non prende una maschera caricaturale, l'esotismo, è attualmente la fonte più
ricca per gettar luce nell'Occidente, per far riprendere una consapevolezza
dell'Armonia della vita, nel volto illuminato dal "Cielo".
Il Cattolicesimo, nel rischio di esaurirsi in una macchina burocratica mondana e
senza spirito, da una parte, e l'Idea di Roma, svilita da forme aberranti di fanatismo e
di mitomania fondata sul culto della potenza e di una edonistica aristocrazia,
dall'altra, possono ritrovare ispirazione da questa "riflessione" orientale. Ma per far
questo è necessario disporsi a cogliere con immediatezza che la Verità è Una, e che è
solo da riscoprire nel punto più idoneo, non soltanto "fuori di sé" ma in interiore
nomine: ricerca questa che non ha confini in quanto la Terra è essa stessa Una. Se,
specie agli inizi di una autentica ricerca l'animo ha bisogno di appoggi, e forze
memori, all'esterno, noi crediamo che l'Oriente, se ben attinto, possa significare un
recupero dell'Oriente Interiore e con esso, la riscoperta dell'illusorietà dei "confini" su
ogni livello. Ramakrischna insegnava: "per apprendere a scrivere, un bambino
comincia a tracciare dei grandi caratteri prima di riuscire a formare una scrittura più
piccola. Parimenti noi dobbiamo acquisire il potere di concentrazione mentale
fissando dapprima il nostro spirito su delle forme, ma quando abbiamo raggiunto lo
scopo, possiamo fissarlo facilmente su ciò che è senza forma".
AlHallaj rappresenta la "rottura" di ogni confine umano, ed è per questo motivo
che gli uomini, per una sorta di conservazione dei propri limiti, hanno posto fine alla
sua esistenza terrena. Come chi, vedendo una luce troppo intensa, ne rimane
abbagliato, anche illustri teologi tradizionalisti (il contrario di Tradizione non è
progresso ma tradizionalismo, vuota ripetizione) hanno visto in al-Hallaj un
bestemmiatore della Verità, quando era il loro sguardo in difetto. E del resto egli è un
esempio tra i tanti sull'orma di Cristo, siano essi stati mistici dell'Islam che Cristiani.
Quando viene strappato il velo di ogni convenzione, valida su un piano exotérico, e
disciolto il quadro tradizionale fissato dai secoli (che è come una rappresentazione,
un'immagine della Verità, talvolta un "idolo") attraverso l'espressione della Verità in
tutta la sua pienezza è ovvia conseguenza che l'umano quietismo-tendente a fissarsi
nella consuetudine-cerchi di scongiurare il "pericolo" eliminandone la causa. Ed è
così che l'esoterismo , in ogni Tradizione, ha pulsato in vene nascoste e profonde, non
per timore dell'umano ma per non "sconvolgerlo". AlHallaj, se ci è concessa
l'espressione, ha come straripato da questi canali sotterranei che soprattutto "non
sono" altezzose e scolaresche trasmissioni di riti segreti-stereotipati e conoscenze
esteriori, concettuali, ma di intimo e trascendente risveglio. Come e perché alHallaj
rappresenti una eccezione seppure in modo relativo, in quanto la Verità e chi è stato
da Lei assunto possono solo irradiare ovunque sta nelle semplici parole sufiche: "Solo
Dio sa ciò che è Bene".
Come tutto ciò che nasce dalla Verità ispira la saggezza e condanna l'ignoranza,
così la vita e la morte di al-Hallaj testimoniano che la grandezza interiore sta nel semplice, in ciò che rifugge da ogni vanto intellettualistico e da ogni "modello" di santo e
di iniziato, ma nel completo abbandono fino all'identità con il Sé. Sarà invece quando
non si ispira alla Semplicità del Vero (secondo l'espressione di Ibn 'Arabi) che la
condannerà adducendo ogni sorta di giustificazione spesso dettata da quella falsa fede
che sta sotto il segno della "lettera che uccide". In alHallaj, come in ogni mistico (nel
senso proprio di mystes: mistero) la fede diventa certezza interiore e la certezza
diventa vita che fa dell'uomo non più un "io" ma un testimone. Se il dubbio rimane
sempre uno strumento evolutivo e panacea per ogni irrigidimento fanatico, la fede è
però uno slancio che non ha bisogno di sofisticate razionalizzazioni, anzi nei gineprai
intellettualistici qualcosa è spezzato rifrangendosi negli specchi dell'esteriorità: il
"Dio" diventerà qualcosa di esteriore al Sé, bloccato in dottrine e credenze
dogmatiche: l'idolatria è ben più "vicina" di quanto si possa immaginare ad ogni
istante della vita di un uomo e di una civiltà. Il mistico è un distruttore degli idoli,
non è dunque difficile capire perché gli uomini tendano ad odiarlo e a disprezzarlo,
pur nel fascino che esercita
Il commento, e la traduzione dei detti di alHallaj, che qui presentiamo, sono stati
svolti da un autore la cui ispirazione e capacità sono garanzia della bontà del testo.
Difficilmente infatti, sia per quanto riguarda i commenti e le traduzioni di testi
esoterici o mistici (specie di lingue non latine), ci si può trovare di fronte la sicurezza
della affidabilità, in quanto richiedono più un "vedere" che un leggere in chi svolge
l'opera, e (va da sé) ugualmente in chi la "riceve". Questa è una forma di Comunione:
senza lo spirito vivificatore, non c'è cosa che non rimanga muta, oscura, esteriore ed è
per questo che pochi si avvicinano alla Presenza dell'Essere in Sé. AlHallaj è una
testimonianza della "Unione", così come chi lo accusò o rimase indifferente, della
"Separazione". Accostarsi ad un'opera come questa senza l'atto dello spirito è come
aver davanti del cibo e far finta di nutrirsene. In certo modo quando il "simbolo" non
è trasformato in vita interiore, significa condannare sé stessi all'inedia spirituale.
Idries Shah, nel suo libro La strada del Sufi riporta di Khwaja Palud di Erivan, un
brano che sintetizza assai bene quanto indichiamo: "L'uomo è simbolo. Così anche un
oggetto oppure un disegno. Penetrate oltre il messaggio esteriore del simbolo,
altrimenti vi addormenterete. Dentro il simbolo c'è il disegno che lo muove; imparate
a conoscere questo disegno. Per farlo avete bisogno di una Guida. Ma prima ch'egli
possa aiutarvi dovete essere preparati, agendo con onestà nei confronti dell'obbiettivo
della vostra ricerca. Se andate in cerca di verità e conoscenza, la conquisterete. Se
cercate qualcosa per voi stessi soltanto, potrete conquistarlo e così perdere ogni altra
superiore possibilità".
DELLO STESSO AUTORE
Nazzareno Venturi. Professore in scienze psico-pedagogiche
e storico-religiose. Direttore emerito di collana e redattore
in diverse case editrici, ha lavorato in gruppi universitari di
ricerca, diretto corsi per insegnanti e svolto numerosi
seminari universitari e relazioni in tutta Italia. Fa parte del
comitato direttivo e scientifico del centro ricerche
psicopedagogiche e psicosociali. A decine le sue
pubblicazioni tra libri e saggi su riviste. Umorista grafico
premiato (dal "Lavoro") si diletta in campo pittorico,
musicale (tastiere) e televisivo come documentarista.
Per contattare l'autore scrivere a:
[email protected]
INTRODUZIONE NON ACCADEMICA ALLA FILOSOFIA
E ALLA SUA STORIA
Questo libro è la versione digitale di una dispensa
universitaria del prof. Nazzareno Venturi pubblicata dalle
ed. Bozzi nel 1993. Il suo fine è quello di ripresentare in
modo originale (meno accademico o astruso possibile) la
storia della filosofia, senza perdere nulla in profondità (del
resto diceva Einstein: "ti rendi conto di sapere una cosa
quando sei in grado a spiegarla a tua nonna". Tutto è rivisto
in un quadro ampio che riprende il contesto delle grandi
religioni anche con aforismi ed aneddoti.
•
IN DISTRIBUZIONE ANCHE SU AMAZON FORMATO
KINDLE
•
IN PDF ANCHE SU GOOGLE BOOKS, IBS E HOEPLI
RAPPORTARSI CON GLI ALTRI E CON SE STESSI
Edizione ebook del saggio di Nazzareno Venturi sulla
psicologia transazionale, pubblicato e ormai esaurito su
carta stampata dalle ed.Sufijerrahi nel 2010. Il testo spiega
non soltanto il transazionalismo ma situazioni ad esso
correlate dal senso di colpa alla paranoia con un linguaggio
libero da inutili tecnicismi.
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IN DISTRIBUZIONE ANCHE SU AMAZON FORMATO
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IN PDF SU GOOGLE BOOKS., IBS , HOEPLI,
IL RIFUGIO NEL TRIPLICE GIOIELLO
Una riedizione completamente rinnovata e ampliata
dell'omonimo titolo pubblicato nel 1980 dalle ed. Alkaest
con una originale documentazione fotografica. Il TRIPLICE
GIOIELLO (Buddha - Sangha - Dharma) è esaminato nel
quadro panoramico dei motivi sapienziali delle altre
religioni.
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KINDLE
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CONVERSAZIONI SUL TAPPETO
EDIZIONI TIPHERET (brossura, non disponibile come ebook,
in distribuzione anche con Mondadori e Feltrinelli in tutta
Italia)
Questo libro su Gabriele Mandel è un lavoro a due mani. La
prima parte, trattata da Nazzareno Venturi, racconta
l'uomo, il suo pensiero e la sua vita, partendo da vicende
personali e aneddoti. La seconda, di Rossano Vitali, ci dà un
quadro dell'insegnante sufi, come emergeva durante gli
incontri nella tekke di Milano. Due punti di vista, due stili
diversi che liberamente si incrociano, per dare vita a una
figura magistrale, non solamente del Sufismo, ma
soprattutto del mondo contemporaneo, quale Gabriele
Mandel è stato. Pag 232
IL SUFISMO NEI VIAGGI DI IBN BATTUTA
EDIZIONI TIPHERET (brossura, non disponibile nel formato
ebook in distribuzione anche con Mondadori e Feltrinelli in
tutta Italia)
288 pagine di avventure terrene e spirituali con Ibn Battuta, il
Marco Polo dell'Islam, uno dei personaggi più interessanti da
scoprire. Un viaggio per scoprire il sufismo reale di ieri e di
oggi, non solo quello ideale, tra patetiche meschinità e
eccelse virtù.