Rassegna stampa del 09.02.2014

RASSEGNA STAMPA
Domenica,09.02.2014
Il Sole 24 Ore
1 Pagamenti telematici alle Pa: al via le regole
2 Innovazioni che nascono dalla voce dei pazienti
3 La sfida è la dialisi indossabile
4 Medicina narrativa e open access
Il Secolo XIX - Ed. Levante
1 Ringraziamento
09.02.2014
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PRIMO PIANO
In Gazzetta
Pagamenti telematici alle Pa: al via le regole
La Pa raggiunge un altra tappa nella sua corsa verso la digitalizzazione. Venerdì scorso sono state
pubblicate in Gazzetta Ufficiale le linee guida che scrivono le regole tecniche per effettuare i pagamenti elettronici a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei servizi pubblici. Per imprese e cittadini la promessa è quella di un nuovo passo verso la semplificazione con l'addio alle
code agli sportelli e un taglio a un po' di burocrazia.
Un'operazione, questa, di riduzione dell'uso del contante che insieme a quella della fattura elettronica – obbligatoria dal prossimo giugno per i pagamenti della Pa – dovrebbe portare a risparmi stimati
intorno allo 0,3% del Pil.
Le regole sono state scritte dall'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) e hanno incassato nei giorni scorsi anche l'ok della Banca d'Italia. Per tutte le Pa e i gestori di servizi c'è tempo fino al 31 dicembre
2015 per completare definitivamente la transizione verso i pagamenti elettronici che in sostanza dovrebbe consentire a imprese e cittadini di poter pagare tasse, multe, bollette e ticket sanitari in via
telematica. Per effettuare i pagamenti potranno infatti essere utilizzati il bonifico bancario via web o
si potranno utilizzare anche carte di debito, di credito e prepagate e altri strumenti di pagamento elettronico disponibili che consentono anche l'addebito in conto corrente. Tutti i passaggi del pagamento saranno fondati sull'identificativo unico di versamento (lo Iuv), che consentirà sia al debitore
di assolvere l'obbligazione sia all'intermediario finanziario di inoltrare all'ente il dovuto.
Mar.B.
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NOVA24
Innovazioni che nascono dalla voce dei pazienti
La strada per soddisfare i bisogni dei malati passa dalla partecipazione. Che va costruita attraverso una cultura della ricerca
Francesca Cerati e Alessia Maccaferri
Quando la sua bambina si è ammalata di tumore lui era un imprenditore con un business avviato, gli outlet.
Dopo la scomparsa della piccola a 10 anni, Bill Niada avrebbe potuto continuare le sue attività d'affari e limitarsi a donazioni di beneficenza. «Ma ho capito, nel mio vagare tra tanti ospedali e parlando con tante persone, che potevo fare qualcosa di utile con la mia creatività imprenditoriale», racconta Niada. Così ha convertito
la sua azienda in un business sociale: il 5% dei ricavi dalla vendita di capi di abbigliamento di marca vanno ad
associazioni non profit e il 50% degli utili viene reinvestito nella Fondazione Near Onlus (a cui hanno aderito
imprenditori come i Barilla) che finanzia progetti sociali rivolti a bambini e ragazzi. Non molti genitori hanno
le possibilità economiche o le competenze tecniche di Niada ma, di certo, sono tantissimi i pazienti e i familiari che ogni giorno portano progettualità, nuove cure, protocolli e tecnologie. Innovazioni significative e crescenti, perché lo stato e gli enti locali hanno poche risorse e talvolta fanno fatica anche mettere in rete i diversi stakeholder. E in ogni caso i pazienti e i loro familiari portano un punto di vista interno sui bisogni. A Milano Niada collabora con l'Istituto dei Tumori, dove è nato il Progetto Giovani. Diversi studi mostrano come un
adolescente abbia minori probabilità di guarigione di un bambino, a causa della rapidità della diagnosi, della
qualità della cura e dell'adozione dei protocolli. Il progetto, supportato da Niada e dall'associazione Bianca
Garavaglia, ha creato un nuovo modello di organizzazione medica e non solo: l'idea è prendersi cura non solo
della malattia, ma della vita dei ragazzi, della loro inclusione sociale. Con B.Live - che sta diventando una
startup - i ragazzi sono diventati stilisti, con l'aiuto dei professionisti del settore e hanno creato una collezione
di moda che ha il cobranding di importanti marche.
Dall'assistenza al progetto
«Negli ultimi dieci anni le associazioni hanno vissuto una straordinaria evoluzione - spiega Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento Nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzattiva-. Prima
erano poco strutturate e dedite all'assistenza. Oggi si affiancano altre attività come la pressione verso le istituzioni per orientare le policy verso le esigenze del paziente». Lo stesso coordinamento - che rappresenta un
centinaio di associazione - fa la sua parte in termini di progettualità. Per esempio, promuove una summer
school per le associazioni in materia di health technology assessment: vengono fornite le conoscenze idonee
per partecipare alla valutazione delle tecnologie sanitarie, che siano farmaci, medical device o servizi. E ancora, Cittadinanzattiva ha promosso la messa a punto di un percorso ideale (dalla diagnosi alla cura) per le patologie reumatiche e le malattie croniche dell'intestino (in collaborazione con Anmar e Amici), coinvolgendo il
ministero e le società scientifiche.
Telemedicina e servizi
Anche la Fiagop si sta muovendo da catalizzatore tra diverse istituzioni. Dopo aver supportato lo scambio diagnostico tra l'ospedale Pausilipon di Napoli e il Gaslini di Genova, sta portando avanti una raccolta fondi per
coinvolgere altri centri ospedalieri, cercando anche di organizzare i servizi sul territorio. «L'obiettivo è incentivare i consulti a distanza in modo da evitare lo spostamento i bambini, se non è estremamente necessario»
spiega Angelo Ricci, presidente della Federazione nazionale delle Associazioni di Genitori di bambini e adolescenti con tumori o leucemie. Un servizio di telemedicina che lo stato non è in grado di sostenere ma di cui i
familiari hanno intuito la necessità. A Torino i genitori hanno promosso la nascita di una scuola superiore interna all'ospedale Regina Margherita. «C'è un'equipe di docenti che lavora in collaborazione con gli insegnanti di provenienza. L'obiettivo è non far perdere gli studi ai ragazzi (circa 38 in media ogni anno ndr.) ed evitare l'isolamento sociale» spiega Emma Sarlo Postiglione, vicepresidente dell'Ugi.
La salute è un bene comune, a cui tutti devono partecipare. Così dopo anni di assistenza passiva, i pazienti
entrano nella "stanza dei bottoni" e sopperiscono alle carenze del sistema sanitario, anche in termini di politica sanitaria. Questo nuovo trend ha l'avvallo anche della Commissione europea che a questo scopo ha finanziato due progetti Ecran e Eupati, proprio per migliorare la conoscenza dei cittadini sulla ricerca clinica.
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«Perché se ben informati possono avere un ruolo chiave nell'implementazione di strategie di ricerca, nei
processi di approvazione nell'accesso ai trattamenti e nella loro ottimizzazione» dice Paola Mosconi, del
Laboratorio per il coinvolgimento dei cittadini in sanità dell'Istituto Mario Negri di Milano, che già nel
2003 anticipò i tempi con il progetto PartecipaSalute.
Un cambio di paradigma, che si ispira al modello di riferimento della democrazia partecipativa e che ha già
il supporto di due casi emblematici: da un lato All Trials, partendo dal fatto che quasi la metà dei trial pur
portato avanti non viene pubblicato, sta spingendo affinché tutti gli studi clinici vengano resi pubblici. Un
dibattito che sta a cuore anche a una tra le più prestigiose riviste scientifiche, il British medical journal, che
in un editoriale di Fiona Godlee cavalca il tema e dà vita a una vera e propria rivoluzione, introducendo una
rappresentanza di cittadini nella peer review. Creando un'alleanza forte che vuole stimolare i pazienti a scrivere i protocolli scientifici.
Ma la strada per soddisfare i bisogni dei pazienti deve essere costruita attraverso una cultura della ricerca,
quella che gli inglesi chiamano empowerment, ovvero "ti do il potere ma anche la conoscenza". «Purtroppo
in Italia abbiamo la cultura dell'esperto e del sospetto e non dei dati, e quindi siamo più facilmente manipolabili (vedi il caso Stamina, ndr)», chiosa Mosconi. I progetti di formazione, sono dunque diventati essenziali dal momento che per legge è obbligatorio che ci sia un rappresentante del volontariato nei comitati
etici. «In uno scenario generale dove è sempre più importante prendere parte ai processi decisionali – spiega Renza Barbon Galluppi, presidente di Uniamo (Federazione italiana malattie rare onlus) – il percorso
offerto da Determinazione Rara permetterà una presenza competente e un ruolo attivo dei pazienti e dei loro rappresentanti nei processi della ricerca scientifica che li coinvolgono direttamente: sarà un cantiere di
buone pratiche tra associazioni e professionisti della sperimentazione e della ricerca».
Essere alla pari
Ciò che il paziente conosce è una parte che l'altro interlocutore non conosce. E le associazioni dei pazienti
sono diventate negli anni, e lo diventeranno sempre più, protagoniste nel percorso della ricerca, che ritengono strumento fondamentale per perseguire un determinato obiettivo, ma anche perché la sostengono economicamente. E gli esempi virtuosi su questo fronte non riguarda solo le fondazioni/associazioni più note come Telethon (che ha messo a punto 27 strategie terapeutiche per la cura di 25 malattie genetiche rare) e
Airc (che ha destinato nel 2012 oltre 100 milioni di euro alla ricerca sul cancro), ma anche realtà più piccole come la Fondazione Paracelso, che si occupa di emofilia, e la Parent Project, associazione di genitori di
bambini affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker e l'associazione italiana cistite interstiziale sono entrati in maniera attiva nei protocolli e nella sperimentazione di nuove strategie terapeutiche. O hanno
sviluppato banca dati online per colmare la mancanza di informazioni sui pazienti.
E poi c'è chi, genitore, porta avanti in autonomia la ricerca. È il caso di Fabio Gorrasi, papà di Roberta di 4
anni, affetta da Sma che ha progettato e realizzato tutto da solo un tutore, più leggero del 35% rispetto a
quello standard e modificabile in base a caratteristiche e necessità del paziente. «Grazie al mio datore di
lavoro ho avuto i fondi per due borse di studio, una all'Università di Pisa e l'altra a quella di Bari, atenei che
alla fine potranno valutare i risultati del prototipo su mia figlia e a quel punto dare la certificazione».
Nell'attesa, però, Roberta ha potuto realizzare il suo sogno: fare lezione di danza.
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Medical device |Ricerca|Industria |
La sfida è la dialisi indossabile
All'Ospedale di Vicenza le necessità dei pazienti diventano brevetti
A Vicenza c'è un Usl ospedaliera che va oltre la cura. Nel dipartimento di Nefrologia del San Bortolo - il Centro più grande d'Europa per
la dialisi peritoneale - le idee si trasformano in soluzioni innovative
per i pazienti grazie alla collaborazione tra il primario Claudio Ronco
e la sua èquipe, l'Associazione amici del rene di Vicenza (con donazioni di enti, banche e privati cittadini) e le Pmi. Un circolo virtuoso
che ha portato a un accordo tra il colosso giapponese Asahi Kasei e la
biotech Medica di Mirandola per produrre (la prima commessa è di
400 unità) la macchina salva-vita Kibou per malati di reni ricoverati
in condizioni critiche, nata sulle indicazioni cliniche di Ronco. «I nostri obiettivi – spiega il primario – sono l'assistenza medica, la didattica e la ricerca, ma anche la costruzione di un network con industriali,
artigiani, Pmi per sviluppare tra le altre cose device medicali e fare da
traino per nuovi brevetti e macchinari come già avviene con l'area
biotech di Mirandola. È il solo modo per dare sostanza alle nostre idee, che nascono dall'esperienza sul
campo e dalle necessità dei pazienti».
Fondato nel 1970 e famoso nel mondo come "Vicenza model" (che si basa sulla multidisciplinarietà tra
nefrologia, chirurgia, e terapia intensiva), il Centro ha avuto la scorsa estate una visibilità internazionale
per aver salvato per la prima volta al mondo una neonata colpita da un'emorragia che è mortale nel 98%
dei casi. Il successo è stato raggiunto grazie all'unica macchina in grado di curare bambini con insufficienza renale acuta che ha lavorato per 400 ore di fila. Carpediem (Cardio pediatric dyalisis emergency
machine), questo l'acronimo della macchina, è stata ideata a Vicenza e poi realizzata, in soli 12 mesi al
costo di 250mila euro, dalla Bellco di Mirandola. «Fossimo stati in America sarebbero stati spesi 2 milioni di dollari e qualche "mese" in più» commenta Ronco, che conosce bene la realtà statunitense, visto
che ci ha lavorato e ha una cattedra all'Università di New York. La macchina che funziona come un micro rene artificiale ha le dimensioni di una macchinetta del caffè espresso da casa e permette di trattare
neonati con insufficienza renale acuta proprio perché è tarata sulle loro dimensioni.
Non solo. Nel laboratorio di bioingegneria è stato sviluppato il primo rene artificiale indossabile al mondo, una sorta di cinturone e ora, in collaborazione con l'azienda biomedicale Rand e la Dainese, si sta
pensando a un giubbino che contiene gli strumenti per la dialisi, che svincola il paziente da lunghe permanenze in ospedale e lo rende autonomo. «Carpediem è nato per arrivare alla dialisi indossabile. Facendo un gradino alla volta verso la miniaturizzazione. Prima di questo strumento l'insufficienza renale
acuta nei neonati era una malattia orfana e come tale non era economicamente interessante per le multinazionali di device medicali». La determinazione e la passione di Ronco hanno colmato il vuoto coinvolgendo associazioni, banche e Fondazioni (tra cui Veneto Banca), privati cittadini. E nel suo reparto
restaurato su misura per i malati con insufficienza renale ha creato un centro di ricerca, l'International
renal research institute (Irriv), braccio scientifico dell'Associazione amici del rene, che accoglie anche i
"cervelli" stranieri.
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Web |Strumenti|Policy |
Medicina narrativa e open access
I software semantici analizzano le storie Per ascoltare le esigenze
Alzi la mano chi, di fronte a una diagnosi, non abbia mai dato una sbirciata al web. Alimentando, nella
propria mente, scenari catastrofici. «Su internet c'è molta confusione. Noi stiamo lavorando in diversi modi. Innanzitutto con la revisione delle definizioni di Wikipedia, cercando di dare informazioni meno allarmistiche ai pazienti» spiega Maria Giulia Marini, direttore dell'area Sanità e salute dell'Istud. La business
school punta molto sulla medicina narrativa, scienza che studia le narrazioni delle persone ammalate.
«Raccogliamo le storie vere dei pazienti - aggiunge Marini - e ne analizziamo il linguaggio razionale, emozionale e valoriale usando software che ci aiutano nell'interpretazione. Lo scopo è ascoltare i bisogni
per poi orientare le policy sanitarie e sociali». Per esempio, analizzando le storie degli anziani la prima
parola per ricorrenza è «casa», da cui ne derivano una serie di necessità tra cui portare le cure a domicilio.
Allo stesso modo attraverso 150 storie di obesità raccolte sul sito (www.medicinanarrativa.eu) e in collaborazione con Onice è emerso che i pazienti si rivolgono spesso a decine di persone non competenti, prima di giungere a specialisti.
Il web è anche il luogo in cui si possono trovare informazioni accurate e condividere percorsi di cura e vissuti. Una recente indagine di Istud ha preso in esame 200 storie di malati di sclerosi multipla, in collaborazione con l'Aism. Emerge come l'utilizzo di internet sia preponderante per la ricerca di informazioni e la
condivisione tra le persone di aspetti legati alla componente clinica e fisiologica della sclerosi multipla,
che riguardano sintomi, farmaci, indicazioni terapeutiche e orientamenti di cura, reazioni del corpo ai diversi trattamenti e all'evoluzione della malattia in generale (il 77% dei termini ricorrenti su forum e blog).
«Il web si configura come uno spazio ideale per valorizzare e condividere il vissuto emotivo, relazionale e
sociale delle persone malate, ascrivibili alla sfera più intima dell'individuo (23% dei casi)» si legge nello
studio.
Un altro versante interessante è il fenomeno open access che nasce dalle esigenze della comunità sociale.
«Promosso dalla comunità scientifica per la condivisione dei risultati della ricerca - spiega Lucia Monaco,
direttore scientifico di Telethon - sottende la volontà di restituzione alla società civile dell'investimento
fatto in ricerca, a vantaggio di tutti». Telethon, tra le prime in Italia, pubblica in modalità open access i
risultati delle ricerche finanziate, sulla piattaforma Europe PubMed Central (http://europepmc.org/).
[email protected]
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