REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA

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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Claudia Squassoni
- Presidente -
6C
oco _ 11/02/2014
Mario Gentile
Aldo Aceto
Sent. n. sez.
- Relatore -
R.G.N. 32255/2013
Andrea Gentili
Alessio Scarcella
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Bragalone Luigi, nato a Vico nel Lazio il 15 marzo 4352;
avverso l'ordinanza del 2 maggio 2013 del Tribunale di Frosinone;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l'imputato l'avv. Antonio Gentile, che ha concluso chiedendo
l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. Bragalone Luigi è persona sottoposta a indagine in ordine agli
ipotizzati reati di cui agli artt. 44, lett. b, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo A);
artt. 81 cpv., cod. pen. 64, 71 e 72, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo B); artt.
81 cpv., cod. pen., 93, 94 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo C), commessi
in Vico del Lazio.
Si sostiene che, in assenza di permesso di costruire, senza averne fatto
denunzia, né dato avviso agli organi ed uffici competenti, in zona sismica e con
opere in cemento armato, abbia abusivamente ampliato un preesistente
fabbricato agricolo (aumentandolo di mc. 188,57), realizzato inoltre una scala
esterna ed elevato un muro di contenimento.
Sulla base di questa imputazione provvisoria, con decreto del 2 gennaio
2013, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Frosinone aveva
sottoposto a sequestro preventivo le opere edilizie in questione.
Con istanza del 27 marzo 2013 l'interessato aveva chiesto la revoca, anche
parziale, del sequestro adducendo il sopravvenuto venir meno delle esigenze
cautelari a causa dell'accoglimento, da parte del Comune di Vico nel Lazio,
dell'istanza di cui all'art. 34, comma 2, d.P.R. 30 giugno 2001, n. 380, e del
pagamento della sanzione pecuniaria ivi prevista.
Con ordinanza del 4 aprile 2013, il giudice aveva rigettato la richiesta sul
rilievo che: 1) sul provvedimento si era ormai formato il cd. giudicato cautelare;
2) in ogni caso, il procedimento di cui all'art. 34 d.P.R. 380/2001, cit. non
determinava l'estinzione del reato ma riguardava esclusivamente il procedimento
sanzionatorio amministrativo; 3) non era possibile il dissequestro parziale perché
l'ampliamento costituiva corpo unico con l'intero preesistente fabbricato.
Con ordinanza del 2 maggio 2013, il Tribunale di Frosinone, in funzione di
giudice del riesame, rigettava l'appello proposto dall'odierno ricorrente.
Premessa la considerazione che il giudicato cautelare (testualmente) «si
forma anche a seguito della omessa impugnazione di un'ordinanza impositiva>>,
il tribunale osservava che, in ogni caso, non potevano considerarsi fatti nuovi: 1)
la nota del Comune del 9 aprile 2013 con la quale si dava atto che l'immobile in
sequestro era da considerarsi ultimato; 2) la presentazione della richiesta di
permesso di costruire in sanatoria; 3) l'accoglimento dell'istanza di cui all'art. 34
d.P.R. 380/2001.
Quest'ultimo fatto, evidenziava l'impugnata ordinanza, non era suscettibile
di produrre effetti penalmente rilevanti. Allo stesso modo, proseguiva, non
poteva averne la mera presentazione della richiesta di permesso di costruire in
sanatoria che, peraltro, in caso di positivo accoglimento, non avrebbe comunque
estinto (e non estinguerebbe) gli ulteriori reati contravvenzionali di cui ai capi B
e C dell'imputazione provvisoria. Dai rilievi fotografici eseguiti in occasione del
sequestro, proseguiva, si evinceva che la parte di annesso agricolo realizzata in
ampliamento, pur completa nelle strutture, mancava delle rifiniture (veniva
citato, a titolo di esempio, il balcone del primo piano); né poteva dirsi completata
l'opera per il sol fatto che la stessa fosse utilizzata, coincidendo l'ultimazione dei
lavori con la definitiva rifinitura degli interni e degli esterni, quali intonaci ed
infissi. L'immobile, dunque, «nella sua parte abusiva non [poteva] ritenersi del
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tutto completato, in quanto necessita[va] di, seppur limitati, lavori di finitura che
inevitabilmente aggravano il reato».
Ad abundantiam,
il tribunale evidenziava che, giusta giurisprudenza di
questa Corte, il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere
effettuato anche su immobili abusivi già ultimati e rifiniti laddove la loro libera
disponibilità possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione
del territorio ed incidere sul cd. carico urbanistico.
2. Ricorre per Cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, il sig.
Bragalone chiedendo l'annullamento dell'impugnata ordinanza ed articolando, a
sostegno, tre motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo denunzia inosservanza ed erronea applicazione
dell'art. 321 cod. proc. pen. sotto il profilo della mancanza di attualità del
«periculum in mora»; mancanza assoluta di motivazione o motivazione
meramente apparente in relazione alla pretesa irrilevanza, nell'ambito di
valutazione delle esigenze cautelari, del provvedimento di cui all'art. 34 T.U. Ed.,
nonché del parere favorevole intervenuto sulla domanda di sanatoria relativa al
muro di contenimento in cemento armato.
Afferma il ricorrente che il provvedimento di cui all'art. 34 T.U. Ed., così
come il parere favorevole al rilascio del permesso di costruire, pur non avendo
incidenza sulla regolarizzazione dell'illecito, ciò nondimeno dimostra che le opere
sono «tollerate nello stato in cui si trovano in funzione della conservazione di
quelle realizzate legittimamente». Per cui, essendo a monte preclusa la
possibilità di procedere ad una parziale demolizione dell'opera e dovendosi
interpretare i citati atti e provvedimenti amministrativi come prova del venir
meno della concreta offensività della condotta, ne consegue che dovevano
ritenersi venute meno le esigenze cautelari.
2.2 Con il secondo motivo denunzia inosservanza ed erronea applicazione
dell'art. 321 cod. proc. pen. per mancanza del «periculum in mora» atteso
che le opere abusive alla data del sequestro erano già ultimate; mancanza
assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente nell'ambito di
valutazione delle esigenze cautelari, il relazione alla asserita non ultimazione
delle opere. Violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
La motivazione addotta dal tribunale a sostegno della decisione non tiene in
alcun conto, afferma il ricorrente, della nota con la quale l'ufficio tecnico del
Comune di Vico del Lazio aveva precisato che l'immobile, giusta la normativa
vigente, doveva considerarsi ultimato. Tale nota, prosegue, proveniva dallo
stesso organo che, unitamente al personale della Polizia Locale, aveva proceduto
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all'accertamento della notizia di reato mediante sopralluogo del 13 ottobre 2012.
Il balcone, cui si fa riferimento nell'ordinanza, in realtà appartiene alla parte di
immobile preesistente, legittimamente autorizzata con permesso di costruire del
27 maggio 2011 e successiva variante. La motivazione dunque è del tutto
apparente, risultando le opere in contestazione già completate.
2.3 L'ultimo motivo di ricorso denuncia mancanza assoluta di motivazione, o
motivazione meramente apparente, nell'ambito di valutazione delle esigenze
cautelari, in relazione all'asserito aggravio del c.d. «carico urbanistico».
Violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Il tribunale non aveva motivato sulla reale incidenza dell'abuso sul carico
urbanistico, essendosi limitato a richiamare genericamente l'insegnamento
giurisprudenziale senza però applicarlo alla concreta realtà, che vede un limitato
aumento di volumetria di un preesistente fabbricato rurale, la realizzazione di
una scala esterna e di un muro di contenimento, in un contesto nel quale
l'assenza di concreto danno urbanistico era avallata dagli atti e provvedimenti
amministrativi sopra citati.
3. Il 5 febbraio 2014 il difensore dell'imputato ha depositato in Cancelleria il
permesso di costruire in sanatoria rilasciato ai sensi dell'art. 36 T.U. Ed. avente
ad oggetto il solo muro di contenimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
5.Va preliminarmente ricordato che avverso le ordinanze emesse a norma
degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., il ricorso per Cassazione è ammesso
solo per violazione di legge.
Come già spiegato da questa Corte «in tema di riesame delle misure
cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere
proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen.,
rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme
processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di
legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell'art. 606 stesso codice>> (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano
anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U,
n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonchè, tra le più recenti, Sez. 5, n. 35532 del
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25/06/2010, Angelini; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816
del 28/02/2013, Buonocore).
Motivazione assente (o materiale) è quella che manca fisicamente (Sez. 5,
n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o
che è graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi);
motivazione apparente, invece è solo quella che «non risponda ai requisiti
minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è
fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in
relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del
10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o
moduli a stampa (Sez. 1, n. 1831 del 22/04/1994, Caldaras; Sez. 4, n. 520 del
18/02/1999, Reitano; Sez. 1, n. 43433 dell'8/11/2005, Costa; Sez. 3, n. 20843,
del 28/04/2011, Saitta) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del
13/03/1992, Bonati; Sez. 6, n. 25361 del 24/05/2012, Piscopo) e, più in
generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e
proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la
decisione.
Al riguardo va osservato che, soggezione dei giudici soltanto alla legge (art.
101, comma 2, Cost.), esercizio della funzione giurisdizionale da parte di
magistrati autonomi e indipendenti (artt. 102, 104 e 106 Cost.), attuazione della
giurisdizione mediante il giusto processo regolato per legge (art. 111, comma 1,
Cost.), obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111,
comma 6, Cost.), controllo esercitabile dalla Corte di cassazione su tutte le
sentenze e su tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale
pronunciati dagli organi giurisdizionali (art. 111, comma 7, Cost.), sono valori
che qualificano, sul piano processuale, il quomodo della giurisdizione, e che sono
posti, sul piano sostanziale, a presidio e garanzia del principio di legalità e, con
specifico riferimento alla materia penale, del principio di riserva assoluta di legge
(art. 25, comma 2, Cost.), nonché dell'inviolabilità della libertà personale (art.
13 Cost.), del domicilio (art. 14 Cost.), della libertà e segretezza della
corrispondenza (art. 16 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
In questo contesto, la motivazione assolve all'onere di chiarire se, e come,
la regola generale e astratta (la legge, in senso lato) sia stata esattamente
applicata al caso concreto e di evitare, attraverso il controllo di merito e, infine,
di legittimità, che essa non affondi le sue radici in una volontà diversa da quella
della legge cui il giudice è soggetto; essa assolve all'onere di spiegare perché il
diritto inviolabile ha potuto esser compresso, se ed in che modo sia stato
rispettato il diritto di difesa, se ed in che modo l'esercizio di tale diritto abbia
potuto contribuire a confezionare la regola del caso concreto.
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In questo senso, la finta motivazione è l'abdicazione del giudice al suo
dovere principale, é la negazione della sua funzione di garanzia, connaturale alla
sua indispensabile terzietà, è una porta chiusa frapposta a ogni tipo di controllo,
che non consente di ripercorrere la via che collega la regola astratta al fatto
esaminato.
Alla luce di tale premessa, deve escludersi che l'ordinanza censurata, del cui
contenuto s'è dato sopra sommariamente atto, sia priva di motivazione, o si
articoli attraverso una motivazione che possa definirsi apparente.
Il Tribunale, infatti, ha spiegato, con motivazione certamente sufficiente e
adeguata, perché ha ritenuto irrilevanti, sotto il profilo della persistenza del
«periculum in mora», i fatti dedotti dal ricorrente a fondamento dell'appello
cautelare.
Tale giudizio di irrilevanza, peraltro, fonda sulla corretta applicazione della
legge e dei principi di diritto concretamente applicati dal tribunale in risposta ai
singoli motivi di ricorso.
5.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso, osserva preliminarmente la
Corte che, in via generale, «la mera presentazione della richiesta di permesso
di costruire in sanatoria non è, di per sé, idonea ad escludere il pericolo che la
libera disponibilità dell'immobile abusivamente realizzato possa aggravare o
protrarre le conseguenze dell'illecito ovvero agevolarne la commissione di
altri» (Sez. 3, n. 39731 del 28/09/2011, Rainone). In ogni caso, il permesso di
costruire in sanatoria di cui all'art. 36 d.P.R 6 giugno 2001, n. 380 non estingue i
reati edilizi in materia antisismica e in materia di opere in cemento armato, pure
ipotizzati ai capi B e C della rubrica (principio assolutamente consolidato; si
vedano, sul punto, Sez. 3, n. 11271 del 17/02/2011, Braccolino; Sez. 3, n.
20275 del 14/03/2008, Terracciano; Sez. 3, n. 19256 del 13/04/2005, Cupelli;
Sez. 3, n. 23287 del 22/04/2004, Petito).
Sicché, anche il rilascio del permesso di costruire in sanatoria relativo al
(solo) muro di contenimento (fatto successivo all'adozione dell'ordinanza
impugnata) è circostanza del tutto ininfluente ai fini del mantenimento del
vincolo reale, persistendo gli altri reati che pure sono stati consumati con la sua
costruzione.
Il pagamento della sanzione di cui all'art. 34, comma 2, d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, inoltre, non ha alcuna efficacia sanante dei reati ipotizzati a carico
del ricorrente poiché si tratta di norma che si applica ai soli interventi eseguiti in
parziale difformità dal titolo edilizio, non anche a quelli (come nella specie)
eseguiti in assenza di permesso di costruire (o di titolo equipollente). Sicché,
oltre a non spiegare alcun effetto sostanziale, l'accettazione del pagamento da
parte dell'autorità comunale non può essere legittimamente intesa come
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manifestazione di «tolleranza» delle opere nello stato in cui si trovano, posto
che, per tali opere, l'art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevede
esclusivamente la demolizione e il ripristino dello status quo ante (comma 2) e,
in caso di inottemperanza, l'acquisizione del bene e dell'area di sedime al
patrimonio del Comune. Si tratta di conseguenze che possono essere evitate solo
con il permesso in sanatoria rilasciato all'esito del positivo accertamento di
conformità di cui all'art. 36, d.P.R. 380/2001 cit.. Ma anche tale accertamento
non sfugge al necessario controllo di legalità del giudice penale che, ove rilevi la
non conformità dell'opera alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della
domanda, deve comunque ritenere la sussistenza del reato, a prescindere dal
giudizio positivamente espresso dalla pubblica amministrazione (Sez. F, n. 33600
del 23/08/2012, Lo Vullo; Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Papa; Sez. 3, n.
41620 del 02/10/2007, Emelino; Sez. 3, n. 18764 del 26/02/2003, Demori; Sez.
3, n. 4877 del 18/12/2002, Tarini). L'accettazione del pagamento della somma di
cui all'art. 34 d.P.R. 380/2001, dunque, è circostanza che, ponendosi
completamente al di fuori dello schema legale tipico sopra delineato, non è
affatto suscettibile di essere valutata alla stregua di un giudizio di
«tolleranza» dell'opera, men che meno di assenza di concreta offensività
della condotta.
5.2. Con il secondo motivo vengono prospettate questioni di fatto, non
valutabili in questa sede.
Il ricorrente, infatti, sostiene che il tribunale ha affermato che l'opera «non
risulterebbe ultimata in quanto sarebbe mancante del balcone al primo piano»,
che, però, aggiunge il ricorrente, appartiene all'immobile preesistente.
Il tribunale, in realtà, ha affermato una cosa diversa; ha infatti sostenuto
che dalle fotografie si evince che «la parte di annesso agricolo realizzata in
ampliamento e non autorizzata, pur essendo completa nella struttura, manca di
rifiniture (ad esempio il balcone al primo piano)» ed ha proseguito affermando
che «l'immobile nella sua parte abusiva non [può] ritenersi del tutto
completato, in quanto necessita di seppur limitati lavori di rifinitura».
Nell'ottica ricostruttiva dei fatti, dunque, il balcone è citato solo quale
esempio della mancata rifinitura dell'opera, ma è evidente che è l'opera nel suo
complesso che viene in rilievo, non il solo balcone.
Così stando le cose, il tribunale ha fatto corretta applicazione del consolidato
principio affermato da questa Corte di cassazione secondo il quale, in tema di
reati edilizi, <<ai fini del concetto di ultimazione dei lavori, non basta che siano
portate a compimento le strutture essenziali della costruzione ma occorre,
altresì, che non si rendano necessari ulteriori lavori di completamento. L'attività
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criminosa permane anche in tal caso, realizzandosi lo scopo economico-sociale in
modo non conforme con la tutela degli interessi pubblici connessi alla disciplina
del territorio. La tecnica moderna consente, infatti, di poter realizzare in tempi
anche molto brevi le strutture essenziali di un manufatto (che in termini
economici rappresentano soltanto una parte del costo complessivo) lasciandosi
ad un momento successivo il completamento (pavimenti, servizi, intonacatura,
ecc.)» (Sez. 3, n. 908 del 6/12/1982, Guccione; si veda, più recentemente,
Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, citata anche nell'ordinanza
impugnata).
Si tratta di un giudizio che, riguardando il momento consumativo del reato,
è riservato esclusivamente al giudice penale ed è ancorato a dati di fatto, non a
valutazioni della pubblica amministrazione o di altri organi, fosse anche la stessa
polizia giudiziaria, i quali possono descrivere lo stato delle cose, ma non trarne le
relative conseguenze.
Bene dunque ha fatto il tribunale a negligere la nota con la quale l'ufficio
tecnico comunale avrebbe precisato (il 9 aprite 2013 e dunque in epoca
successiva al sequestro) che l'immobile doveva considerarsi ultimato «secondo
la normativa vigente».
5.3.Le considerazioni che precedono assorbono ed esauriscono ogni ulteriore
esame in ordine al terzo motivo di ricorso posto che le considerazioni in ordine
alla sussistenza del cd. «carico urbanistico» sono state svolte solo «ad
abundantiam>> dal tribunale e con richiami sostanziali alla mancata ultimazione
dell'opera.
6. Il ricorso deve dunque essere respinto, con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso 1'11/02/2014
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Aldo Aceto
Claudia Squassoni
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LA A IN CANCELLERIA
24 MAR 2014
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