Copia € 1,00. Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO EDIZIONE SETTIMANALE IN LINGUA ITALIANA Unicuique suum Anno LXV, numero 7 (3.777) Non praevalebunt Città del Vaticano Giovedì 12 febbraio 2015 Visita in periferia Francesco assicura preghiera e solidarietà per le vittime del Mediterraneo Lunga catena di morte All’udienza generale paragona i figli alle dita della mano Di fronte alle tragiche notizie, provenienti dal Canale di Sicilia, dove non conosce tregua la lunga catena di morte legata all’immigrazione, Papa Francesco è tornato a lanciare un appello per fermare le quotidiane stragi. Durante l’udienza generale di mercoledì mattina, 11 febbraio, il Papa ha detto di seguire «con preoccupazione» le notizie che giungono da Lampedusa «dove si contano altri morti tra gli immigrati a causa del freddo lungo la traversata del Mediterraneo». Il Pontefice ha quindi assicurato la sua preghiera per le vittime, incoraggiando «nuovamente alla solidarietà, affinché a nessuno manchi il necessario soccorso». In precedenza il Pontefice, proseguendo nelle catechesi dedicate alla famiglia, si era soffermato sulla figura dei figli e aveva sottolineato in particolare il «legame stretto fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni». Una società «avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, è una società depressa», ha detto. PAGINE 2 opo il primo conflitto mondiale, in cui l’Italia fu coinvolta proprio cento anni fa, nella penisola molte cose non furono più come prima. Molte le novità dal punto di vista politico, giuridico, sociale, culturale, del costume; novità anche sul piano della questione cattolica, a cominciare dalla Questione romana. Anzi, come annotava con il consueto acume Arturo Carlo Jemolo nella sua fondamentale storia dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, già «dopo un anno di guerra (...) le cose erano mutate». Sul piano giuridico gli eventi bellici avevano collaudato, e non positivamente, la legge delle Guarentigie, mostrandone gli insuperabili limiti; sul piano politico le élite liberali al governo cominciavano a rendersi conto che l’unità del Paese, come comunità politica, non poteva prescindere dall’adesione delle masse cattoliche. I cattolici da parte loro, tramontate le interdizioni del non expedit, erano ormai maturi per l’impegno nella vita politica del Paese, andando oltre l’impegno culturale e sociale nel quale si erano rinserrati nei decenni precedenti. La costruzione della «casa comune» non poteva prescindere dal loro apporto. Molte le ragioni del mutamento appena accennato. Tra queste, certamente l’esempio concreto e fattivo di D E 3 11 febbraio collaborazione solidale dato dall’istituzione ecclesiastica e dai cattolici italiani nei tragici anni di quella che Benedetto XV aveva definito l’«inutile strage». L’opera della Santa Sede per i profughi, i rifugiati e i prigionieri, voluta proprio dal Papa; l’immane impegno caritativo delle associazioni cattoliche, per feriti ed invalidi, per vedove e orfani; l’aiuto formidabile e quotidiano, sul piano materiale e morale, oltre che spirituale, ai soldati al fronte, dato non solo dai cappellani militari, che a decine lasciarono la vita sui campi di battaglia, ma dai tanti sacerdoti e religiosi chiamati a condividere, sotto le armi, la durissima vita quotidiana della trincea: sono solo degli esempi, ma non secondari, che aiutano a comprendere il mutamento di clima accennato. Non è un caso che a Parigi, nel 1919, durante la Conferenza di pace, ebbero luogo i noti abboccamenti tra monsignor Bonaventura Cerretti e il presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando, nel corso dei quali vi furono concrete aperture per il superamento della Questione romana. In quella occasione si ebbero significative anticipazioni di quanto sarebbe avvenuto dieci anni dopo, a seguito della firma dei Patti lateranensi. Si trattò di anticipazioni non solo sul terreno delle garanzie da assicurarsi alla Santa Sede per l’esercizio della sua alta missione nel mondo, e che nel 1929 avrebbero dato luogo al Trattato del Laterano; ma anche sul terreno, diverso eppure al tempo stesso contiguo e solidale, della condizione giuridica della Chiesa in Italia, cui un decennio dopo si ovvierà con il Concordato lateranense. Che anche una prospettiva concordataria si era aperta lo avrebbe rivelato più tardi, nell’età dell’Assemblea costituente, lo stesso Orlando. L’odierna ricorrenza degli accordi stipulati l’11 febbraio 1929 nel Palazzo del Laterano suscita la memoria delle scaturigini lontane di un processo volto al superamento del doloroso dissidio tra Stato e Chiesa in terra italiana, i cui frutti sarebbero stati poi raccolti da altri, rispetto a quanti quel processo avevano attivato. Ciò che si vuole qui sottolineare però è che detto processo prende le mosse, nei dolenti anni di guerra, da concrete, molteplici e forti esperienze di solidarietà della Chiesa nei confronti di un Paese dilacerato dal conflitto; esperienze che portano a collaudare PAGINE 4 E 5 Cibo per tutti C’è cibo per tutti ma non tutti possono mangiare, mentre continuano lo spreco e lo scarto alimentare: è «il paradosso dell’abbondanza» denunciato dal Papa in un videomessaggio alla giornata di lavoro dedicata alle «Idee di Expo», svoltasi il 7 febbraio a Milano. PAGINA 8-9 paradigmi istituzionali di distinzione nella collaborazione. A ben vedere tutta la lunga storia dei Patti lateranensi può essere riletta, pur nelle varie sfaccettature che i diversi passaggi epocali portano con sé, sotto tale ottica, che dell’accordarsi svela il senso più vero e profondo: non quello di una insana compromissione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio; non quello di una sospettosa actio finium regundorum tra istituzioni che reciprocamente diffidano; non quello della ricerca del vicendevole interesse istituzionale; ma quello del servizio a vantaggio della persona umana, a diverso titolo e nel rispetto della indipendenza ed autonomia reciproche. Nell’articolo 1 dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, che ha portato alla revisione del Concordato lateranense, dopo il richiamo al principio di indipendenza e sovranità nell’ordine proprio di ciascuno, si afferma l’impegno della Chiesa e dello Stato alla «collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». Dunque il filo rosso della solidarietà, che nel profondo ha segnato l’esperienza di un secolo nei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, è finalmente emerso nell’Accordo del 1984, divenendo normativamente un programma vincolante per il futuro. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 All’udienza generale il Pontefice parla dell’importanza dei figli Come le dita della mano Sono tutti miei ma tutti differenti, diceva mia madre Una società che considera i figli «una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa»: lo ha detto Papa Francesco mercoledì 11 febbraio durante l’udienza generale in piazza San Pietro, nella quale ha continuato la sua catechesi sulla famiglia. I figli, ha sottolineato, «non sono un problema di biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono un possesso dei genitori. I figli sono un dono». Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Dopo aver riflettuto sulle figure della madre e del padre, in questa catechesi sulla famiglia vorrei parlare del figlio o, meglio, dei figli. Prendo spunto da una bella immagine di Isaia. Scrive il profeta: «I tuoi figli si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore» (60, 4-5a). È una splendida immagine, un’immagine della felicità che si realizza nel ricongiungimento tra i genitori e i figli, che camminano insieme verso un futuro di libertà e di pace, dopo un lungo tempo di privazioni e di separazione, quando il popolo ebraico si trovava lontano dalla patria. In effetti, c’è uno stretto legame fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni. Questo dobbiamo pensarlo bene. C’è un legame stretto fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni. La gioia dei figli fa palpitare i cuori dei genitori e riapre il futuro. I figli sono la gioia della famiglia e della società. Non sono un problema di biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono un possesso dei genitori... No. I figli sono un dono, sono un regalo: capito? I figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici. Essere figlio e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita di un altro essere umano, originale e nuovo. E per i genitori ogni figlio è se stesso, è differente, è diverso. Permettetemi un ricordo di famiglia. Io ricordo mia mamma, diceva di noi — eravamo cinque —: «Ma io ho cinque figli». Quando le chiedevano: «Qual è il tuo preferito», lei rispondeva: «Io ho cinque figli, come cinque dita. [Mostra le dita della mano] Se mi picchiano questo, mi fa male; se mi picchiano quest’altro, mi fa male. Mi fanno male tutti e cinque. Tutti sono figli miei, ma tutti differenti come le dita di una mano». E così è la famiglia! I figli sono differenti, ma tutti figli. Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché è bello, o perché è così o cosà; no, perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell’umanità intera. Di qui viene anche la profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. È la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino. Quante volte trovo le mamme in piazza che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione... questi bimbi sono amati prima di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima della nascita, come l’amore di Dio che ci ama sempre prima. Sono amati prima di aver fatto qualsiasi co- Nuove docce per i poveri sotto il colonnato di San Pietro Si sono conclusi sotto il colonnato di piazza San Pietro i lavori per la realizzazione di nuove docce a disposizione dei poveri della città. Tre docce e una piccola postazione per il barbiere sono stati inseriti, dalle maestranze del Governatorato della Città del Vaticano, nella ristrutturazione completa di una sezione dei bagni presenti sotto il colonnato di destra. «Il tutto — informa l’Elemosineria apostolica guidata dall’arcivescovo Konrad Krajewski — è stato fatto con grande sobrietà e dignità, utilizzando tecniche moderne». Le docce saranno funzionanti ogni giorno, tranne il mercoledì, a causa dell’udienza generale, e i giorni di celebrazioni in San Pietro o in piazza. Il lunedì, il giovedì e il sabato i servizi saranno gestiti dai volontari dell’Unitalsi di Roma. Grazie a donazioni di diverse ditte e di alcuni privati, i pellegrini bisognosi riceveranno un cambio completo per l’intimo e un kit con asciugamano, sapone, dentifricio, rasoio, schiuma da barba e deodorante. Il servizio di barbiere sarà invece disponibile il lunedì dalle 9 alle 15 grazie a diversi artigiani volontari che rinunceranno al consueto giorno di riposo e agli studenti della scuola per parrucchieri di Roma. L’OSSERVATORE ROMANO EDIZIONE SETTIMANALE Unicuique suum IN LINGUA ITALIANA Non praevalebunt GIOVANNI MARIA VIAN direttore Giuseppe Fiorentino Servizio fotografico telefono 06 698 84797 fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va vicedirettore Gianluca Biccini Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va sa per meritarlo, prima di saper parlare o pensare, addirittura prima di venire al mondo! Essere figli è la condizione fondamentale per conoscere l’amore di Dio, che è la fonte ultima di questo autentico miracolo. Nell’anima di ogni figlio, per quanto vulnerabile, Dio pone il siPablo gillo di questo amore, che è alla base della sua dignità personale, una dignità che niente e nessuno potrà distruggere. Oggi sembra più difficile per i figli immaginare il loro futuro. I padri — lo accennavo nelle precedenti catechesi — hanno forse fatto un passo indietro e i figli sono diventati più incerti nel fare i loro passi avanti. Possiamo imparare il buon rapporto fra le generazioni dal nostro Padre celeste, che lascia libero ciascuno di noi ma non ci lascia mai soli. E se sbagliamo, Lui continua a seguirci con pazienza senza diminuire il suo amore per noi. Il Padre celeste non fa passi indietro nel suo amore per noi, mai! Va sempre avanti e se non può andare avanti ci aspetta, ma non va mai indietro; vuole che i suoi figli siano coraggiosi e facciano i loro passi avanti. I figli, da parte loro, non devono aver paura dell’impegno di costruire un mondo nuovo: è giusto per loro desiderare che sia migliore di quello che hanno ricevuto! Ma questo va fatto senza arroganza, senza presunzione. Dei figli bisogna saper riconoscere il valore, e ai genitori si deve sempre rendere onore. Il quarto comandamento chiede ai figli — e tutti lo siamo! — di onorare il padre e la madre (cfr. Es 20, 12). Questo comandamento viene subito dopo quelli che riguardano Dio stesso. Infatti contiene qualcosa di sacro, qualcosa di divino, qualcosa che sta alla radice di ogni altro genere di rispetto fra gli uomini. E nella formulazione biblica del quarto comandamento si aggiunge: «perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore tuo Dio ti dà». Il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana. Una società di figli che non onorano i genitori è una società senza onore; quando non si onorano i genitori si perde il proprio onore! È una società destinata a riempirsi di giovani aridi e avidi. Però, anche una società avara di generazione, che non ama circondarsi di fi- coordinatore TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Redazione via del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano fax +39 06 698 83 675 don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Picasso «Madre e figlio» (1922) gli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa. Pensiamo a tante società che conosciamo qui in Europa: sono società depresse, perché non vogliono i figli, non hanno i figli, il livello di nascita non arriva all’uno percento. Perché? Ognuno di noi pensi e risponda. Se una famiglia generosa di figli viene guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va! La generazione dei figli dev’essere responsabile, come insegna anche l’Enciclica Humanae vitae del beato Papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non avere figli è una scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce! I figli imparano a farsi carico della loro famiglia, maturano nella condivisione dei suoi sacrifici, crescono nell’apprezzamento dei suoi doni. L’esperienza lieta della fraternità anima il rispetto e la cura dei genitori, ai quali è dovuta la nostra riconoscenza. Tanti di voi qui presenti hanno figli e tutti siamo figli. Facciamo una cosa, un minuto di silenzio. Ognuno di noi pensi nel suo cuore ai propri figli — se ne ha —; pensi in silenzio. E tutti noi pensiamo ai nostri genitori e ringraziamo Dio per il dono della vita. In silenzio, quelli che hanno figli pensino a loro, e tutti pensiamo ai nostri genitori. [Silenzio]. Il Signore benedica i nostri genitori e benedica i vostri figli. Gesù, il Figlio eterno, reso figlio nel tempo, ci aiuti a trovare la strada di una nuova irradiazione di questa esperienza umana così semplice e così grande che è l’essere figli. Nel moltiplicarsi della generazione c’è un mistero di arricchimento della vita di tutti, che viene da Dio stesso. Dobbiamo riscoprirlo, sfidando il pregiudizio; e viverlo, nella fede, in perfetta letizia. E vi dico: quanto è bello quando io passo in mezzo a voi e vedo i papà e le mamme che alzano i loro figli per essere benedetti; questo è un gesto quasi divino. Grazie perché lo fate! Abbonamenti: Italia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00); Europa: € 100,00 - $ 148.00 U.S.; America Latina, Africa, Asia: € 110,00 - $ 160.00 U.S.; America del Nord, Oceania: € 162,00 - $ 240.00 U.S. Per informazioni, sottoscrizioni e rinnovi: telefono 06 698 99 480; fax 06 698 85 164; [email protected] Pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02.30221/3003, fax 02.30223214 [email protected] numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 L’OSSERVATORE ROMANO Nei saluti ai gruppi anche l’invito a pregare per il concistoro Solidarietà per Lampedusa «Seguo con preoccupazione le notizie giunte da Lampedusa»: durante i saluti rivolti ai vari gruppi linguistici presenti all’udienza generale dell’11 febbraio, il Papa ha assicurato la preghiera per le vittime delle recenti tragedie dell’immigrazione e ha incoraggiato tutti «alla solidarietà, affinché a nessuno manchi il necessario soccorso». Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i sacerdoti della Società Jean-Marie Vianney, con Mons. Bagnard e il Seminario di Nantes. Saluto inoltre i numerosi giovani di Francia, in particolare quelli della Diocesi di Sens accompagnati da Mons. Patenôtre. In comunione con tutti i pellegrini di Lourdes, prego la Vergine Maria per tutte le vostre famiglie; che sappiano sempre accogliere la vita con generosità e fare l’esperienza gioiosa della fraternità. Che Dio vi benedica. Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Irlanda e Stati Uniti d’America. Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace nel Signore Gesù. Dio vi benedica! Sono lieto di accogliere i fedeli di lingua tedesca presenti a quest’udienza, in particolare i pellegrini della Diocesi di Eisenstadt con il Vescovo Mons. Zsifkovics. Grazie agli sbandieratori per il saluto dai colori vivaci. Assicuro la mia preghiera per i vostri cari, specialmente i malati. Pregate anche per me. Dio vi benedica. Saluto i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i fedeli di Maiorca, accompagnati dal loro vescovo, Monsignor Javier Salinas Viñals, così come i gruppi provenienti da Spagna, Colombia, Argentina, Messico e da altri Paesi dell’America Latina. Possa l’Immacolata Vergine Maria, Nostra Signora di Lourdes, concedere a tutti i suoi figli conforto e forza per crescere in amore e camminare insieme verso il traguardo del cielo. Grazie mille. Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti! Il mondo di oggi ha bisogno che i cristiani testimonino la loro fiducia in Dio attraverso una generosa e responsabile apertura alla vita. Auguro che le vostre comunità siano spazi dove le famiglie possano sentirsi appoggiate nella loro missione di collaborare al progetto divino nella creazione. Dio vi benedica! Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dalla Giordania, dalla Terra Santa e dal Medio Oriente. I figli sono un dono che merita di essere custodito, tutelato e protetto da parte dei genitori. Ma i figli, a loro turno, devono onorare, curare e rispettare i propri genitori. Non c’è più bello di una famiglia che si raduna intorno all’amore! Il Signore benedica tutti i figli buoni e converta i negligenti e vi protegga tutti dal maligno! Saluto cordialmente i pellegrini polacchi, e in modo particolare le ragazze del Centro Educativo Speciale di San Giuseppe a Częstochowa e il coro dell’Accademia di Musica di Katowice, in occasione del 90° anniversario dell’istituzione della Diocesi. Carissimi, tutti siamo figli di Dio, ma anche figli dei nostri genitori. Ringraziamo il Signore e i genitori per il dono della vita e preghiamo che tutte le mamme e tutti i papà riescano ad impegnarsi pienamente nell’educare i propri figli per farli crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (cfr. Lc 2, 51) e che i figli sempre dimostrino loro rispetto e amore. Dio vi benedica! Sia lodato Gesù Cristo! Seguo con preoccupazione le notizie giunte da Lampedusa, dove si contano altri morti tra gli immigrati a causa del freddo lungo la traversata del Mediterraneo. Desidero assicurare la mia preghiera per le vittime e incoraggiare nuovamente alla solidarietà, affinché a nessuno manchi il necessario soccorso. Invito infine a pregare per il Concistoro che avrà luogo nei prossimi giorni. Lo Spirito Santo assista i lavori del Collegio Cardinalizio e illumini i nuovi Cardinali e il loro servizio alla Chiesa. Porgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i partecipanti al convegno promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi e le scolaresche, specialmente i Licei di Ronciglione e Bassano Romano, l’Istituto Cesare Arici di Brescia e la Scuola Martiri d’Ungheria di Scafati. Saluto i membri delle Associazioni Genitori Oncologia Pediatrica; le piccole degenti dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe e i numerosi gruppi dell’Unitalsi. Incoraggio tutti a crescere nell’amore per il Signore, nella sapienza del cuore e nel servizio generoso al prossimo sofferente nel corpo e nello spirito. Rivolgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi ricorre la memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes e si celebra la Giornata Mondiale dell’ammalato. Cari giovani, disponetevi ad essere “occhi per il cieco e piedi per lo storpio”; cari ammalati, sentitevi sempre sostenuti dalla preghiera della Chiesa; e voi, cari sposi novelli, amate la vita che è sempre sacra, anche quando è segnata dalla fragilità e dalla malattia. Grazie. pagina 3 Speranze di pace in Terra santa Speranze e prospettive di pace in Terra santa sono state presentate al Papa dai sindaci di Betlemme, di Beit Jala e di Beit Sahour, che dopo l’udienza in piazza San Pietro hanno incontrato anche il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Ad accompagnarli il rappresentante dello Stato di Palestina presso la Santa Sede, Issa Kassissieh. E a raccontare a Francesco i problemi della vita quotidiana della gente in Terra santa c’era anche una delegazione del Caritas Baby Hospital di Betlemme. È proprio all’unico ospedale pediatrico della regione che l’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha donato un ventilatore artificiale, mantenendo così la promessa fatta direttamente al Papa nell’udienza del 5 aprile 2014. «Per noi questa è l’occasione di presentare a Francesco la nostra struttura» spiega la direttrice, suor Donatella Lessio. Con lei il direttore generale Issa Bondak e padre Paul Rutz e Sybille Oetliker, responsabili dell’associazione svizzera Children’s Relief Bethlehem che sostiene il nosocomio. «Non abbiamo finanziamenti pubblici» ricorda suor Lessio, «ma stiamo sperimentando quanto grande sia la Provvidenza». La religiosa ha poi informato Francesco della «straordinaria realtà di collaborazione e di convivenza tra i 238 dipendenti, per il sessanta per cento cristiani e per il quaranta musulmani». Al Caritas Baby Hospital di Betlemme «i posti letti per i piccoli sono ottantadue e ogni anno i ricoveri sono quattromila, mentre le visite ambulatoriali sono quarantamila». Per la festa dell’11 febbraio, sul sagrato è stata collocata la statua della Madonna di Lourdes che l’Unitalsi utilizza per le processioni. Francesco ha anche benedetto lo stendardo della sezione romanalaziale dell’associazione, con impressa l’immagine della Salus populi Romani. E in occasione della Giornata mondiale del malato, Yuki Hayashi ha parlato al Papa del progetto Africae munus «per favorire la formazione di medici specializzati e anche per realizzare un network tra le facoltà di medicina delle università cattoliche del continente». Con particolare affetto, poi, il Pontefice ha abbracciato tantissimi bambini ammalati di tumore o leucemia, accompagnati dai loro familiari e dai sanitari che li stanno curando. A organizzare questo particolare pellegrinaggio è stata la Fiagop, la Federazione italiana che riunisce trenta associazioni costituite proprio dai genitori dei bambini ricoverati nei reparti di oncologia pediatrica. Da Mallorca una delegazione ha presentato a Francesco le celebrazioni per i settecento anni della morte del beato Ramon Llull, «un mistico che seppe dialogare con ebrei e musulmani» spiega il vescovo Javier Salinas Viñals. Al Papa, inoltre, è stato donato il facsimile del manoscritto originale del libro El Divino Impaciente, scritto dallo spagnolo José María Pemán, autore a lui caro. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 Il Papa nella parrocchia romana di San Michele Arcangelo a Pietralata Su quale canale parla Gesù? Bisogna cercare la parola del Signore e lasciarsi guarire «“Su quale canale della tv parla Gesù?” Ti parla nel Vangelo!»: nella messa che nel pomeriggio di domenica 8 febbraio ha concluso la visita alla parrocchia romana di San Michele Arcangelo a Pietralata, Papa Francesco ha invitato tutti ad abituarsi ad «ascoltare la Parola di Gesù nel Vangelo» e a lasciarsi «guarire» da lui. Così era la vita di Gesù: «Andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni» (Mc 1, 39). Gesù che predica e Gesù che guarisce. Tutta la giornata era così: predica al popolo, insegna la Legge, insegna il Vangelo. E la gente lo cerca per ascoltarlo e anche perché guarisca gli ammalati. «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. ... Guarì molti che erano affetti da varie malattie. Scacciò molti demoni» (Mc 1, 32.34). E noi siamo davanti a Gesù in questa celebrazione: Gesù è quello che presiede questa celebrazione. Noi sacerdoti siamo nel nome di Gesù, ma Lui è il Presidente, Lui è il vero Sacerdote, che offre il sacrificio al Padre. Possiamo domandarci se io lascio che Gesù predichi a me. Ognuno di noi: «Io lascio che Gesù predichi a me, o io so tutto? Io ascolto Gesù o preferisco ascoltare qualsiasi altra cosa, forse le chiacchiere della gente, o storie...». Ascoltare Gesù. Ascoltare la predica di Gesù. «E come posso fare questo, padre? Su quale canale della tv parla Gesù?». Ti parla nel Vangelo! E questa è un’abitudine che noi ancora non abbiamo: di andare a cercare la parola di Gesù nel Vangelo. Portare sempre un Vangelo Un cappotto bianco tra le baracche di MAURIZIO FONTANA Dalla porta di lamiera spunta un cappotto bianco: «È il Papa! È il Papa!». Prima di arrivare alla parrocchia di Pietralata, nel pomeriggio di domenica 8 Francesco ha voluto fermarsi al campo Arcobaleno a Ponte Mammolo, una baraccopoli nei pressi del fiume Aniene. Accompagnato dal parroco don Aristide Sana, Francesco è arrivato al campo che ospita nomadi e profughi assistiti dai volontari della Comunità di Sant’Egidio. Famiglie intere, commosse e incredule spuntavano dalle casupole, bambini lo circondavano. Il Papa ha chiesto ¿Quién habla castellano? e a gran voce il gruppo di latinoamericani ha risposto ¡Todos! Francesco allora si è fermato a scambiare qualche parola con ognuno, a regalare carezze ai più piccoli, poi ha invitato a pregare insieme il Padre nostro e ha concluso con la benedizione. All’uscita il Pontefice ha incontrato una famiglia di ucraini e ha voluto fermarsi anche con loro. Confidando: «Prego ogni giorno per la pace nel vostro Paese». Successivamente ad aspettarlo in parrocchia c’era una folla assiepata da qualche ora dietro le transenne. Presenti anche il cardinale vicario Vallini e il vescovo Di Tora, ausilia- re per il settore Nord. Il primo incontro è stato con i malati. Lo attendevano nella piccola palestra. «Mai un padre lascia i figli da soli» ha detto il Papa. «Ci sono i giorni bui», difficili, dove «non si vede niente». Ma anche nel buio Dio «è il papà che ci ama tanto». E li ha invitati a essere coraggiosi, suggerendo di chiamare sempre Dio «padre» e di stare certi che lui «si avvicinerà». La cordialità di questo primo momento si è trasformata in una ventata di vitalità quando Francesco ha salito le scale e raggiunto la stanza dove lo attendevano una ventina di famiglie con i bambini piccoli, alcuni battezzati di recente. Come di consueto il Papa ha detto ai genitori di non preoccuarsi per il chiasso e il pianto dei fanciulli perché sono «una promessa di vita». Francesco li ha salutati uno a uno, non si è preoccupato di sporcarsi le mani con la tempera di un quadro che i più grandicelli avevano appena finito di dipingere e poi ha raccomandato ai papà e alle mamme di insegnare ai figli il segno della croce. Grande commozione, poi, c’è stata nell’incontro avuto con un gruppo di poveri senza fissa dimora, polacchi e romeni. Con gli occhi pieni di lacrime di riconoscenza hanno ascoltato le sue parole: «Grazie — ha detto loro Francesco — per la testimonianza di portare avanti la solitudine, la croce». Tante volte, ha continuato, «la gente non sa il vostro nome e vi chiama “i senzatetto”, e voi sopportate questo, è la vostra croce e la vostra pazienza. Ma c’è qualcosa nel cuore di tutti voi, di questo vi prego di essere sicuri: c’è lo Spirito Santo»; e ha spiegato utilizzando l’immagine del fuoco che sembra spento: «Vediamo cenere, e pensiamo che tutto è finito, che non c’è più niente; ma se viene un po’ di vento o noi facciamo un gesto per rimuovere quella cenere, troviamo che sotto arde ancora il fuoco», così «sotto tanta cenere di sofferenza, di solitudine sappiate che c’è il fuoco dello Spirito Santo, sotto, c’è l’abbraccio dell’amore di Dio». Anche Gesù ha vissuto la croce, perciò, ha concluso il Papa, «Gesù vi capisce bene. Anch’io vi capisco bene e vi sono vicino». E ai clochard del quartiere, come gesto concreto di vicinanza, il Papa ha fatto avere un centinaio di sacchi a pelo per difendersi dal freddo. Tornato nei locali vicino alla sagrestia, Francesco si è lasciato travolgere dall’entusiasmo di bambini e ragazzi delle comunioni, delle creCONTINUA A PAGINA 5 con noi, piccolino, o averlo alla mano. Cinque minuti, dieci minuti. Quando sono in viaggio, o quando devo aspettare..., prendo il Vangelo dalla tasca o dalla borsa e leggo qualcosa; o a casa. E Gesù mi parla, Gesù predica a me lì. È la Parola di Gesù. E dobbiamo abituarci a questo: sentire la Parola di Gesù, ascoltare la Parola di Gesù nel Vangelo. Leggere un passo, pensare un po’ che cosa dice, che cosa dice a me. Se non sento che mi parla, passo ad un altro. Ma avere questo contatto quotidiano col Vangelo, pregare col Vangelo; perché così Gesù predica a me, dice col Vangelo quello che vuole dirmi. Io conosco gente che sempre lo porta e quando ha un po’ di tempo lo apre, e così trova sempre la parola giusta, per il momento che sta vivendo. Questa è la prima cosa che voglio dirvi: lasciate che il Signore predichi a voi. Ascoltare il Signore. E Gesù guariva: lasciatevi guarire da Gesù. Tutti noi abbiamo ferite, tutti: ferite spirituali, peccati, inimicizie, gelosie; forse non salutiamo qualcuno: «Ah, mi ha fatto questo, non lo saluto più». Ma questo dev’essere guarito! «E come faccio?». Prega e chiedi a Gesù che lo guarisca. È triste quando in una famiglia i fratelli non si parlano per una stupidaggine; perché il diavolo prende una stupidaggine e ne fa un mondo. Poi le inimicizie vanno avanti, tante volte per anni, e si distrugge quella famiglia. I genitori soffrono perché i figli non si parlano, o la moglie di un figlio non parla all’altro, e così le gelosie, le invidie... Questo lo semina il diavolo. E l’unico che scaccia i demoni è Gesù. L’unico che guarisce queste cose è Gesù. Perciò ad ognuno di voi dico: lasciati guarire da Gesù. Ognuno sa dove ha la ferita. Ognuno di noi ne ha; ne ha non solo una: due, tre, quattro, venti. Ognuno sa! Che Gesù guarisca quelle ferite. Ma per questo devo aprire il cuore, perché Lui venga. E come apro il cuore? Pregando. «Ma, Signore, io non posso con quella gente di là, la odio, mi ha fatto questo, questo e questo...». «Guarisci questa piaga, Signore». Se noi chiediamo a Gesù questa grazia, Lui la farà. Lasciati guarire da Gesù. Lascia che Gesù ti guarisca. Lascia che Gesù predichi a te e lascia che ti guarisca. Così io posso anche predicare agli altri, insegnare le parole di Gesù, perché lascio che Lui predichi a me; e posso anche aiutare a guarire tante ferite, tante ferite che ci sono. Ma prima devo farlo io: lasciare che Lui predichi a me e che Lui mi guarisca. Quando viene il vescovo a fare una visita alle parrocchie, si fanno tante cose, si può fare anche un proposito bello, piccolino: il proposito di leggere ogni giorno un brano del Vangelo, un passo piccolo, per lasciare che Gesù predichi a me. E l’altro proposito: pregare perché io mi lasci guarire dalle piaghe che ho. D’accordo? Firmiamo? D’accordo? Ma facciamolo, perché farà bene a tutti. Grazie. numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 5 Francesco all’Angelus denuncia lo sfruttamento delle schiave e degli schiavi di oggi La tratta è una piaga vergognosa La tratta di persone è una «vergognosa piaga, indegna di una società civile». Lo ha ribadito Papa Francesco al termine dell’Angelus di domenica 8 febbraio, che le superiore e i superiori degli istituti religiosi hanno scelto come Giornata di riflessione su questo turpe fenomeno. Prima della preghiera mariana con i fedeli presenti in piazza San Pietro, commentando il vangelo del giorno, il Pontefice ha parlato del valore della sofferenza, ricordando la Giornata mondiale del malato di mercoledì 11. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo di oggi (cfr. Mc 1, 29-39) ci presenta Gesù che, dopo aver predicato di sabato nella sinagoga, guarisce tanti malati. Predicare e guarire: questa è l’attività principale di Gesù nella sua vita pubblica. Con la predicazione Egli annuncia il Regno di Dio e con le guarigioni dimostra che esso è vicino, che il Regno di Dio è in mezzo a noi. Entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù vede che sua suocera è a letto con la febbre; subito le prende la mano, la guarisce e la fa alzare. Dopo il tramonto, quando, terminato il sabato, la gente può uscire e portargli i malati, risana una moltitudine di persone afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche, spirituali. Venuto sulla terra per annunciare e realizzare la salvezza di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, Gesù mostra una particolare predilezione per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati, gli emarginati. Egli così si rivela medico sia delle anime sia dei corpi, buon Samaritano dell’uomo. È il vero Salvatore: Gesù salva, Gesù cura, Gesù guarisce. Tale realtà della guarigione dei malati da parte di Cristo, ci invita a riflettere sul senso e il valore della malattia. A questo ci richiama anche la Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo mercoledì prossimo 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes. Benedico le iniziative preparate per questa Giornata, in particolare la Veglia che avrà luogo a Roma la sera del 10 febbraio. Ricordiamo anche il presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della Salute, Mons. Zygmunt Zimowski, che è molto ammalato in Polonia. Una preghiera per lui, per la sua salute, perché è stato lui a preparare questa giornata e lui ci accompagna con la sua sofferenza in questa giornata. Una preghiera per Mons. Zimowski. L’opera salvifica di Cristo non si esaurisce con la sua persona e nell’arco della sua vita terrena; essa continua mediante la Chiesa, sacramento dell’amore e della tenerezza di Dio per gli uomini. Inviando in missione i suoi discepoli, Gesù conferisce loro un duplice mandato: annunziare il Vangelo della salvezza e guarire gli infermi (cfr. Mt 10, 7-8). Fedele a questo insegnamento, la Chiesa ha sempre considerato l’assistenza agli infermi parte integrante della sua missione. «I poveri e i sofferenti li avrete sempre con voi», ammonisce Gesù (cfr. Mt 26, 11), e la Chiesa continuamente li trova sulla sua strada, considerando le persone malate come una via privilegiata per incontrare Cristo, per accoglierlo e per servirlo. Curare un ammalato, accoglierlo, servirlo, è servire Cristo: il malato è la carne di Cristo. Questo avviene anche nel nostro tempo, quando, nonostante le molteplici acquisizioni della scienza, la sofferenza interiore e fisica delle persone suscita forti interrogativi sul senso della malattia e del dolore e sul perché della morte. Si tratta di domande esistenziali, alle quali l’azione pastorale della Chiesa deve rispondere alla luce della fede, avendo davanti agli occhi il Crocifisso, nel quale appare tutto il mistero salvifico di Dio Padre, che per amore degli uomini non ha risparmiato il proprio Figlio (cfr. Rm 8, 32). Pertanto, ciascuno di noi è chiamato a portare la luce della Parola di Dio e la forza della grazia a coloro che soffrono e a quanti li assistono, familiari, medici, infermieri, perché il servizio al malato sia compiuto sempre più con umanità, con dedizione generosa, con amore evangelico, con tenerezza. La Chiesa madre, tramite le nostre mani, accarezza le nostre sofferenze e cura le nostre ferite, e lo fa con tenerezza di madre. Preghiamo Maria, Salute dei malati, affinché ogni persona nella malattia possa sperimentare, grazie alla sollecitudine di chi le sta accanto, la potenza dell’amore di Dio e il conforto della sua tenerezza materna. Al termine della preghiera mariana il Pontefice ha lanciato l’appello per la Giornata contro la tratta di persone e salutato i vari gruppi presenti. Cari fratelli e sorelle, oggi, 8 febbraio, memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, la Suora sudanese che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima della tratta, le Unioni delle Superiore e dei Superiori Generali degli Istituti religiosi hanno promosso la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Incoraggio quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga, una piaga indegna di una società civile. Ognuno di noi si senta impegnato ad essere voce di questi nostri fratelli e sorelle, umiliati nella loro dignità. Preghiamo tutti insieme la Madonna, per loro e per i loro familiari [Ave Maria...]. Saluto tutti i pellegrini presenti, le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni. In particolare saluto i fedeli di Caravaca de la Cruz (Spagna), di Anagni, Marcon, Quartirolo e Corato; le corali dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, e i ragazzi di Buccinasco, come pure quelli provenienti dalla Lettonia e dal Brasile. A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! Nella parrocchia romana di Pietralata CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 4 sime e del gruppo scout Roma 65. Aurora, di 9 anni, ha letto una lettera: «Caro Papa Francesco, vorrei che tutte le guerre finissero. Conto su di te», e lui allora ha improvvisato una breve catechesi, fatta di domande e risposte: «Chi è il padre della guerra?». E i bambini in coro: «Il diavolo!»; «Giusto! Perché il diavolo è il padre dell’odio. D’accordo? È il padre delle bugie, il padre delle menzogne. Perché? Perché non vuole l’unità. Invece Dio vuole l’unità. E per Dio, che è il nostro padre, tutti siamo fratelli». E con parole semplici ha fatto capire ai piccoli come la pace si costruisca nella vita di ogni giorno: «Voi dove volete stare, nella guerra o nella pace?», risposta: «Nella pace!», e allora ha incalzato il Papa: «Perché litigate tra voi?». Rispondendo poi alla domanda di una ragazza della cresima che gli ha chiesto come ci si accorge del dono dello Spirito Santo, Francesco ha spiegato: «Io non sento la colomba che viene» ma «se ho voglia di fare il bene, di volere la pace, di volere bene a tutti, chi fa questo? Lo Spirito Santo dentro di noi». In pochi minuti il catechismo in pillole ha toccato i temi della preghiera, dell’Eucaristia e della partecipazione alla messa: «C’è chi dice: io non vado perché sono stanco», ma chi fa così non capisce: «Perché sei tu che perdi, perché se vai a messa ricevi Gesù e sei più forte per lottare nella vita». Di amore e scelte per la vita, poi, Francesco ha parlato con gli scout e le loro famiglie. Prima ha messo al collo il caratteristico fazzolettone, poi, dopo un po’ di immancabili selfie, ha ascoltato la domanda di Lucilla: «Come hai capito che la scelta che hai fatto, con le ri- nunce che ha comportato, era quella giusta?». Ancora una volta la risposta pesca nella vita di ogni giorno: «Si sente la stessa cosa che si sente quando un uomo e una donna si scelgono e si sposano», la sicurezza interiore viene dal fatto che «sono sicuri di amarsi». E le rinunce non ci sono solo nella vita consacrata, ma anche nel matrimonio, anche «la vita del matrimonio non è facile». L’importante è sentire la chiamata di Gesù che dice: «Vai tranquillo, non scoraggiarti, io sono con voi» e non dimenticare mai, anzi ravvivare sempre «quel primo amore» che ci si è promessi davanti a Dio. Dopo aver raccomandato a tutti, come già fatto in altre occasioni, di non lasciare che in famiglia finisca la giornata con il rancore e con il litigio, Francesco ha confessato cinque parrocchiani e poi ha celebrato in chiesa la messa. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 All’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i laici Città e anticittà Opportunità e rischi degli spazi urbani «Sembra proprio che ogni città, anche quella che appare più florida e ordinata, abbia la capacità di generare dentro di sé una oscura “anti-città”»: sabato 7 febbraio Papa Francesco, ricevendo nella Sala Clementina i membri del Pontificio Consiglio per i laici, si è soffermato sul tema della loro assemblea plenaria. «Di fronte a questi tristi scenari — ha detto — dobbiamo sempre ricordarci che Dio non ha abbandonato la città». Cari fratelli e sorelle, Con gioia accolgo il Pontificio Consiglio per i Laici riunito in Assemblea Plenaria. Ringrazio il Cardinale Presidente per le parole che mi ha rivolto. Il tempo trascorso dall’ultima vostra Plenaria è stato per voi un periodo di attività e di realizzazione di iniziative apostoliche. In esse avete adottato l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium come testo programmatico e come bussola per orientare la vostra riflessione e la vostra azione. L’anno da poco iniziato segnerà un importante ricorrenza: il 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. A tale proposito so che state opportunamente preparando un atto commemorativo della pubblicazione del Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem. Incoraggio questa iniziativa, che non guarda solo al passato, ma al presente e al futuro della Chiesa. Il tema che avete scelto per questa Assemblea Plenaria, Incontrare Dio nel cuore della città, si colloca nel solco dell’invito della Evangelii gaudium ad entrare nelle «sfide delle culture urbane» (nn. 71-75). Il fenomeno dell’urbanesimo ha assunto oramai dimensioni globali: più della metà degli uomini del pianeta vive nelle città. E il contesto urbano ha un forte impatto sulla mentalità, la cultura, gli stili di vita, le relazioni interpersonali, la religiosità delle persone. In tale contesto, così vario e complesso, la Chiesa non è più l’unica “promotrice di senso” e i cristiani si trovano ad assorbire «linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo» (ibid., 73). Le città presentano grandi opportunità e grandi rischi: possono essere magnifici spazi di libertà e di realizzazione umana, ma anche terribili spazi di disumanizzazione e di infelicità. Sembra proprio che ogni città, anche quella che appare più florida e ordinata, abbia la capacità di generare dentro di sé una oscura “anticittà”. Sembra che insieme ai cittadini esistano anche i non-cittadini: persone invisibili, povere di mezzi e di calore umano, che abitano “nonluoghi”, che vivono delle “non-relazioni”. Si tratta di individui a cui nessuno rivolge uno sguardo, un’attenzione, un interesse. Non sono solo gli “anonimi”; sono gli “anti-uomini”. E questo è terribile. Ma di fronte a questi tristi scenari dobbiamo sempre ricordarci che Dio non ha abbandonato la città; Lui abita nella città. Il titolo della vostra Plenaria vuole proprio sottolineare che è possibile incontrare Dio nel cuore della città. Questo è molto bello. Sì, Dio continua ad essere presente anche nelle nostre città così frenetiche e distratte! È perciò necessario non abbandonarsi mai al pessimismo e al disfattismo, ma avere uno sguardo di fede sulla città, uno sguardo contemplativo «che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze» (ibid., 71). E Dio non è mai assente dalla città perché non è mai assente dal cuore dell’uomo! Infatti, «la presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita» (ibid.). La Chiesa vuole essere al servizio di questa ricerca sincera che c’è in tanti cuori e che li rende aperti a Dio. I fedeli laici, soprattutto, sono chiamati ad uscire senza timore per andare incontro agli uomini delle città: nelle attività quotidiane, nel lavoro, come singoli o come famiglie, insieme alla parrocchia o nei movimenti ecclesiali di cui fan- Udienza ai prefetti d’Italia Autorità significa servizio Ai prefetti di diverse città d’Italia, ricevuti in udienza venerdì mattina, 6 febbraio, nella Sala Clementina, il Papa ha ricordato che lo «specifico esercizio dell’autorità» a cui sono chiamati è «radicato nell’obbedienza» e ha «l’unico nobile fine del servizio». Signor Ministro, Illustri Prefetti, accolgo con piacere tutti voi, che avete il delicato compito di rendere presente in modo capillare sul territorio dello Stato l’autorità del Governo centrale, in particolare per quanto riguarda la tutela dell’ordine e della pubblica sicurezza. Ringrazio il Signor Ministro dell’Interno per le gentili espressioni, che a nome vostro mi ha rivolto. La vostra istituzione, mediante le sue differenziate competenze, la sua ormai lunga esperienza storica e la diffusa presenza nelle comunità locali, rappresenta un importante fattore di coesione — come opportunamente ricordato dal Signor Ministro —, interpretando nelle varie realtà territoriali le istanze di coordinamento che provengono dal cen- tro, e si trova nel medesimo tempo nelle condizioni adatte a segnalare all’autorità centrale situazioni di particolare difficoltà o marginalità, facendo risuonare voci che diversamente rischierebbero di rimanere flebili e prive della dovuta attenzione. Si tratta di un lavoro che implica una tenace dedizione ai propri doveri, una conoscenza approfondita delle problematiche, unita alla dut- tilità necessaria per affrontare gli innumerevoli casi pratici che si presentano, ciascuno con le sue proprie peculiarità. In questi anni, caratterizzati dalla particolare incidenza del movimento migratorio, legata all’aumento nel mondo di violenti conflitti con le loro tragiche conseguenze sulle persone e sulle economie di tanti CONTINUA A PAGINA 7 no parte, possono infrangere il muro di anonimato e di indifferenza che spesso regna sovrano nelle città. Si tratta di trovare il coraggio di fare il primo passo di avvicinamento agli altri, per essere apostoli del quartiere. Diventando gioiosi annunciatori del Vangelo ai loro concittadini, i fedeli laici scoprono che ci sono molti cuori che lo Spirito Santo ha già preparato ad accogliere la loro testimonianza, la loro vicinanza, la loro attenzione. Nella città c’è spesso un terreno di apostolato molto più fertile di quello che tanti immaginano. È importante perciò curare la formazione dei laici: educarli ad avere quello sguardo di fede, pieno di speranza, che sappia vedere la città con gli occhi di Dio. Vedere la città con gli occhi di Dio. Incoraggiarli a vivere il Vangelo, sapendo che ogni vita cristianamente vissuta ha sempre un forte impatto sociale. Al tempo stesso, è necessario alimentare in loro il desiderio della testimonianza, affinché possano donare agli altri con amore il dono della fede che hanno ricevuto, accompagnando con affetto quei loro fratelli che muovono i primi passi nella vita di fede. In una parola: i laici sono chiamati a vivere un umile protagonismo nella Chiesa e diventare fermento di vita cristiana per tutta la città. È importante inoltre che, in questo rinnovato slancio missionario verso la città, i fedeli laici, in comunione con i loro Pastori, sappiano proporre il cuore del Vangelo, non le sue “appendici”. Anche l’allora arcivescovo Montini, alle persone coinvolte nella grande missione cittadina di Milano, parlava della «ricerca dell’essenziale», e invitava ad essere prima di tutto noi stessi “essenziali”, cioè veri, genuini, e a vivere di ciò che conta veramente (cfr. Discorsi e scritti milanesi 1954-1963, Istituto Paolo VI, Brescia-Roma, 1997-1998, p. 1483). Solo così si può proporre nella sua forza, nella sua bellezza, nella sua semplicità, l’annuncio liberante dell’amore di Dio e della salvezza che Cristo ci offre. Solo così si va con quell’atteggiamento di rispetto verso le persone; si offre l’essenziale del Vangelo. Affido il vostro lavoro e i vostri progetti alla materna protezione della Vergine Maria, pellegrina insieme con il suo Figlio nell’annuncio del Vangelo, di villaggio in villaggio, di città in città, e imparto di cuore a tutti voi e ai vostri cari la mia Benedizione. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie. numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 7 Visita «ad limina apostolorum» dei vescovi greci Solidarietà contro la crisi «Lo spirito di solidarietà, che ogni cristiano è chiamato a testimoniare nella concretezza della vita quotidiana, costituisce un lievito di speranza». Riferendosi al periodo di grave crisi economica e finanziaria che attanaglia la Grecia, il Papa si è rivolto così ai presuli della Conferenza episcopale del Paese, ricevuti nella mattina di giovedì 5 febbraio, in occasione della visita «ad limina Apostolorum». Cari Fratelli Vescovi, vi saluto tutti con affetto in occasione della vostra visita ad limina. Questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli è sempre occasione privilegiata per rafforzare i vincoli di comunione con il Successore di Pietro e con l’intero Collegio episcopale, sparso in tutto il mondo. Questa unità favorisce fra di voi la comunione fraterna: essa è indispensabile anche per la crescita della Chiesa in Grecia, così come per il progresso dell’intera società. Ciò è ancora più vero nel vostro Paese, che in questo momento ha più che mai bisogno di dialogo tra le sue diverse componenti politiche e culturali, per la salvaguardia e la promozione del bene comune. Non mancate pertanto di spronare le persone affidate alla vostra cura episcopale a rendere ovunque una coraggiosa testimonianza di fraternità. Tale diaconia della fraternità da una parte postula la custodia e il rafforzamento delle tradizioni culturali e delle radici cristiane della società elle- nica, dall’altra richiede apertura verso i valori culturali e spirituali di cui sono portatori i numerosi migranti, in spirito di sincera accoglienza verso questi fratelli e sorelle, senza distinzione di razza, di lingua o di credo religioso. Le vostre comunità cristiane, mostrandosi veramente unite fra di loro e al tempo stesso aperte all’incontro e all’accoglienza, specialmente verso i più disagiati, possono contribuire realmente a trasformare la società, al fine di renderla più conforme all’ideale evangelico. Mi rallegra sapere che siete già impegnati in questa azione pastorale e caritativa, soprattutto in favore degli immigrati, anche irregolari, molti dei quali sono catto- lici. Vi incoraggio di tutto cuore a proseguire con un rinnovato slancio evangelizzatore, coinvolgendo in questa opera specialmente i giovani: essi sono il futuro della Nazione. Di fronte al perdurare della crisi economico-finanziaria, che ha colpito in modo particolarmente duro anche il vostro Paese, non stancatevi di esortare tutti alla fiducia nel futuro, contrastando la cosiddetta cultura del pessimismo. Lo spirito di solidarietà, che ogni cristiano è chiamato a testimoniare nella concretezza della vita quotidiana, costituisce un lievito di speranza. È importante che manteniate relazioni costruttive con le Autorità del vostro Paese, come pure con le diverse componenti della società, in modo da diffondere questa prospettiva di solidarietà, in un atteggiamento di dialogo e di collaborazione anche con gli altri Paesi europei. In questo medesimo spirito, vi incoraggio a proseguire il dialogo interpersonale con i fratelli ortodossi, al fine di alimentare il necessario cammino ecumenico, imprescindibile prospettiva per un futuro di serenità Ai prefetti d’Italia CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 6 Paesi, rivestono una particolare delicatezza le competenze prefettizie in materia di immigrazione. Esse comportano l’esigenza di individuare nella quotidiana gestione delle situazioni, spesso d’emergenza, quella corretta applicazione delle norme, che garantisca, insieme con la fedeltà al dettato della legge e delle altre disposizioni vigenti, lo scrupoloso rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona umana. E qui, rifacendomi a quanto detto dal Signor Ministro, vorrei esprimere viva riconoscenza per l’impegno profuso da voi Prefetti nel coordinare l’accoglienza delle migliaia di uomini, donne e bambini giunti sulle coste italiane. Su questo tema, come su tanti altri, sono di notevole aiuto i rapporti di proficua collaborazione tra le Prefetture, le Diocesi e le parrocchie, collaborazione che, nel rispetto delle distinte competenze, merita di essere confermata, valorizzata e approfondita. La Chiesa, essendo una realtà divina e umana, opera nella società al servizio delle persone sulla base dell’insegnamento di Cristo e, desiderando svolgere la sua missione educativa e caritativa nella sincera collaborazione con le istituzioni dello Stato per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, è lieta di trovare nelle Prefetture uno degli ambiti in cui maggiormente si concretizza questa sinergia per il bene di tutti i cittadini. D’altra parte, per la piena efficacia del vostro compito di raccordo, di ascolto e di ricerca di soluzioni adatte alle circostanze, in sintonia con le altre istituzioni locali e quelle a livello centrale, si rende indispensabile uno specifico esercizio dell’autorità, radicato nell’obbedienza e avente l’unico nobile fine del servizio. L’obbedienza alla legge e ai criteri di umanità che la informano e la lealtà verso le istituzioni costituiscono l’indispensabile cornice in cui si svolge la vostra funzione. Tali atteggiamenti favoriscono l’acquisizione di quello specifico habitus che rende idonei all’assunzione di alte responsabilità. La crisi di autorità che la nostra società sperimenta in diversi ambiti, tanto pubblici quanto privati, con conseguenze di vasta portata, specie per l’educazione delle giovani generazioni, ha infatti tra le sue cause proprio la carenza di queste fondamentali disposizioni all’obbedienza, all’ascolto, alla pazienza. L’esercizio dell’autorità, inoltre, ha sempre come obiettivo il conseguimento del bene comune, trovando la sua più intima ragion d’essere e la possibilità stessa della sua efficacia nel porsi quotidianamente al servizio di coloro ai quali si indirizza la sua potestà, ad imitazione di quanto ha fatto il Signore Gesù, che è venuto in mezzo a noi come Colui che serve (cfr. Lc 22, 27). Quanto più i cittadini percepiranno che i poteri costituiti sono generosamente rivolti a cercare di offrire risposte ai loro bisogni e a tutelare i loro diritti, tanto più saranno disposti ad accoglierne le indicazioni e a disporsi ad un operoso e ordinato spirito di collaborazione e di rispetto. Siete dunque chiamati a mettere a disposizione la vostra professionalità e la vostra umanità, le vostre conoscenze e la vostra prudenza, senza scoraggiamenti o pessimismi, sapendo però che non vi confrontate con questioni astratte, ma con il volto concreto di uomini e di donne con i loro problemi e le loro speranze, che in questi anni di incertezza e di difficoltà economiche si sono fatte ancora più impellenti. Sono sicuro che il vostro senso del dovere e la consapevolezza dell’importanza del vostro ruolo vi aiuteranno ad affrontare nel modo migliore i futuri impegni, con dedizione e spirito di sacrificio. Con questi auspici, mentre invoco su di voi l’intercessione del vostro Patrono sant’Ambrogio, vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi benedico. Grazie. e di fecondità spirituale per l’intera vostra Nazione. Per portare avanti la missione di evangelizzazione e di promozione umana a cui è chiamata la Chiesa in Grecia, è irrinunciabile la presenza di un clero generoso e motivato. Pertanto, vi esorto ad incrementare, con adeguati strumenti, la pastorale vocazionale, per far fronte all’insufficienza numerica del clero. Al riguardo, vi chiedo di trasmettere ai sacerdoti delle vostre diocesi, molti dei quali sono anziani, tutto il mio affetto e il mio apprezzamento per il loro zelo apostolico, nonostante la ristrettezza dei mezzi. Un apporto necessario e prezioso all’annuncio del Vangelo lo offrono gli Istituti di vita consacrata, ai quali vi invito a prestare la giusta attenzione, perché proseguano, nonostante le tante difficoltà, la propria missione nel Paese. Penso soprattutto all’ambito dell’istruzione scolastica, nel quale essi svolgono un considerevole lavoro. Allo scopo di rivitalizzare le comunità cristiane, siete chiamati a valorizzare il ruolo dei fedeli laici. La loro cooperazione al ministero dei Vescovi e dei presbiteri è indispensabile per affrontare le odierne sfide e quelle del futuro. Si tratta di curare adeguatamente la loro formazione, anche incrementando la presenza dei movimenti e delle associazioni ecclesiali. Questi, là dove sono ben guidati dai Pastori, suscitano dovunque apprezzamento per il loro impegno missionario e per la gioia cristiana che diffondono, lavorando sempre in sintonia con le linee pastorali delle Chiese particolari e ben inseriti nelle diocesi e nelle parrocchie. L’indebolimento della famiglia, causato anche dal processo di secolarizzazione, richiede l’impegno della Chiesa a perseverare nei programmi di formazione al matrimonio, senza dimenticare il lavoro indispensabile con le nuove generazioni, per la loro formazione cristiana. Anche le persone anziane non siano assenti dalle vostre preoccupazioni; molte di loro si trovano oggi sole o abbandonate, perché la cultura dello scarto si sta purtroppo diffondendo un po’ dovunque. Non stancatevi di sottolineare con la parola e con le azioni che la presenza e la partecipazione degli anziani alla vita sociale è indispensabile per il buon cammino di un popolo. Cari Fratelli Vescovi, desidero esprimervi il mio apprezzamento per il lavoro di evangelizzazione che, nonostante molteplici difficoltà, portate avanti in Grecia. Il riconoscimento giuridico della Chiesa Cattolica da parte delle competenti Autorità è un evento di grande rilievo, che vi aiuta a guardare con maggiore serenità al futuro, impegnandovi nell’oggi con un fiducioso dinamismo e con l’entusiasmo di coloro che sono testimoni del Signore morto e risorto. Vi incoraggio a perseverare con letizia evangelica nella vostra missione. Affido voi, i sacerdoti, le persone consacrate e tutti i fedeli laici delle vostre diocesi all’intercessione della Vergine Santa e, mentre vi chiedo di pregare per me e per il mio ministero, di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica. L’OSSERVATORE ROMANO numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 pagina 8/9 Francesco denuncia lo spreco e invoca politiche coraggiose per superare l’inequità Il paradosso dell’abbondanza Nel discorso conclusivo ai partecipanti all’incontro di Scholas Occurrentes C’è cibo per tutti ma non tutti possono mangiare Armonia nelle differenze C’è cibo per tutti ma non tutti possono mangiare, mentre continuano lo spreco e lo scarto alimentare: è «il paradosso dell’abbondanza» denunciato da Papa Francesco in un videomessaggio inviato ai partecipanti alla giornata di lavoro dedicata alle «Idee di Expo», svoltasi sabato 7 febbraio a Milano. Non cambieremo il mondo se non cambiamo l’educazione Un invito ad accettare e valorizzare le differenze nell’armonia è stato rivolto da Papa Francesco ai partecipanti al quarto congresso mondiale di Scholas Occurrentes durante l’incontro svoltosi nel pomeriggio di giovedì 5 febbraio, nell’aula del Sinodo in Vaticano. Di seguito una traduzione italiana del discorso conclusivo del Pontefice. Innanzitutto vi ringrazio per lo sforzo che avete compiuto per partecipare a questo IV Congresso. Vi ringrazio per i contributi, che nascono dall’esperienza. Una cosa che mi preoccupa molto è ottenere armonie, che non è semplicemente raggiungere compromessi, accordi, comprensioni parziali. L’armonia, in qualche modo, è creare comprensione delle differenze, accettare le differenze, valorizzare le differenze e lasciare che si armonizzino, che non si frammentino. Il messaggio della Lumsa che abbiamo ascoltato ricordava una mia frase: «Non cambieremo il mondo, se non cambiamo l’educazione». E c’è qualcosa di totalmente disarmonico. Pensavo che fosse solo in America Latina o in alcuni Paesi dell’America Latina, che era ciò che conoscevo meglio. Ma è nel mondo. È il patto educativo, patto educativo che si crea tra la famiglia, la scuola, la patria, la cultura. Si è rotto, molto rotto, e non si può riattaccare. Il patto educativo rotto significa che sia la società, sia la famiglia, sia le diverse istituzioni, delegano l’educazione agli agenti educativi, ai docenti, che — generalmente mal pagati — hanno sulle proprie spalle questa responsabilità e, se non ottengono un successo, vengono rimproverati. Ma nessuno rimprovera le diverse istituzioni, che sono venute meno al patto educativo, lo hanno delegato alla professionalità di un docente. Voglio rendere omaggio ai docenti, perché si sono trovati con questa patata bollente tra le mani e hanno avuto il coraggio di andare avanti. Scholas vuole in qualche modo reintegrare lo sforzo di tutti per l’educazione, vuole rifare armonicamente il patto educativo, perché solo così, se tutti noi responsabili dell’educazione dei nostri ragazzi e giovani ci armonizzeremo, l’educazione potrà cambiare. Per questo Scholas cerca la cultura, lo sport, la scienza; per questo Scholas cerca i ponti, esce dal “piccolo” e va a cercarli più lontano. Oggi sta attuando in tutti i continenti questa interazione, questa conoscenza. Ma Scholas cerca inoltre di armonizzare la stessa educazione della persona del ragazzo, del giovane, dello studente. Non è solo cercare informazione, il linguaggio della testa. Non basta. Scholas vuole armonizzare il linguaggio della testa con il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Che una persona, che un bambino, che un ragazzo pensi quello che sente e Di seguito una traduzione italiana del messaggio rivolto dal Papa ai bambini. In tutti voi c’è uno scrigno, una scatola, e dentro c’è un tesoro. Il vostro lavoro è aprire lo scrigno, tirare fuori il tesoro, farlo crescere, darlo agli altri e ricevere il tesoro degli altri. Ognuno di noi ha un tesoro dentro. Se lo conserviamo chiuso, resta chiuso; se lo condividiamo con gli altri, il tesoro si moltiplica con i tesori che vengono dagli altri. Quello che voglio dirvi è di non nascondere il tesoro che ognuno ha. A volte si trova subito, a volte bisogna fare come nel gioco della caccia al tesoro, non si trova subito. Ma una volta che lo trovate, condividetelo! Perché, nel condividerlo, si riceve dall’altro e si moltiplica. È questo che voglio dirvi, ragazzi. Andate avanti! Quello che voi fate nel posto dove vi trovate aiuta anche tutti noi a capire che la vita è un bel tesoro, ma che ha senso solamente se la doniamo. Grazie! Il Libro della Sapienza dice che Dio giocava, la Sapienza di Dio giocava. Riscoprire il gioco come cammino educativo, come espressione educativa. Allora l’educazione non è più solo informazione, è creatività nel gioco. Quella dimensione ludica che ci fa crescere nella creatività e nel lavoro insieme. Infine, cercare in ciascuno di noi, nei nostri popoli, la bellezza, la bellezza che ci fonda, con la nostra arte, con la nostra musica, con la nostra pittura, con la nostra scultura, con la nostra letteratura. Il bello. Educare alla bellezza, perché armonia significa bellezza e non possiamo ottenere l’armonia del sistema educativo se non abbiamo questa percezione della bellezza. Vi ringrazio per tutto quello che fate e per come collaborate a questa sfida, che è creativa: creativa del patto educativo — ricrearlo perché così ricreiamo l’educazione —; creativa dell’armonia tra i tre linguaggi della persona: quello delle mani, quello del cuore e quello della mente; creativa nella dimensione ludica di una persona, quel sano perdere tempo nel lavoro congiunto del gioco; creativo nella bellezza, che abbiamo già incontrato nei fondamenti delle identità nazionali, tutti insieme. È questa la sfida. Chi ha inventato ciò? Non si sa, ma c’è. Ci sono problemi? Molti, e molti ancora da risolvere nell’organizzazione di tutto ciò. Siamo tentati? Sì. Ogni opera che inizia è tentata; tentata di fermarsi, di corrompersi, di deviare. Per questo sono necessari il lavoro congiunto e la vigilanza di tutti, affinché questa scintilla che è nata continui a estendersi in un fuoco che aiuti a ricostruire, ad armonizzare il patto educativo. A guadagnarci in tutto questo sono i ragazzi. Quindi vi ringrazio per quello che fate per il futuro, perché dire “ragazzi” è dire “futuro”. Grazie. Oltre la scuola c’è di più Videomessaggio ai bambini Lo scrigno e il tesoro quello che fa; senta quello che pensa e quello che fa; faccia quello che sente e quello che pensa. Armonia nella stessa persona, nell’educando, e armonia universale, di modo che tutti noi assumiamo il patto educativo e, così facendo, usciamo da questa crisi della civiltà in cui viviamo, e compiamo il passo che la civiltà stessa esige da noi. Ogni Paese in cui Scholas è presente deve cercare nella sua tradizione — nella sua tradizione storica, nella sua tradizione popolare — gli elementi fondanti, quali sono gli elementi che culturalmente sono fondanti della patria. E, partendo da ciò che ha dato senso a quella patria, a quella nazione, trarre l’universalità che armonizza. La cultura italiana, per esempio, non può rinnegare Dante come elemento fondante. La cultura argentina, che è quella che conosco, non può rinnegare il Martín Fierro, il nostro poema fondante. E mi viene voglia di chiedere, ma non lo farò, quanti argentini qui presenti hanno studiato, letto, meditato il Martín Fierro. Tornare alle cose culturali che ci hanno dato un senso, che ci hanno dato la prima unità della cultura nazionale dei popoli. Recuperare, ogni Paese, quel che gli è proprio per condividerlo con gli altri e armonizzare ciò che è più grande: è questo educare alla cultura. Inoltre, bisogna cercare ciò che fonda la persona, la salute fondante, la capacità ludica, la capacità creativa del gioco. Oltre la scuola c’è di più. Non è un semplice slogan, ma un programma per gettare ponti di dialogo, per integrare bambini di ogni religione, cultura e razza attraverso l’educazione. Questo è in sintesi il messaggio di Scholas Occurrentes — realtà di cui ormai fanno parte ben 400.000 istituti scolastici pubblici e privati di ogni ordine e grado sparsi per il mondo — che si è ritrovata davanti a Papa Francesco giovedì pomeriggio, 5 febbraio, in Vaticano. L’occasione è stato il quarto congresso mondiale sul tema «Responsabilità sociale e inclusione», che il Papa ha concluso collegandosi via web con vari Paesi del mondo e dialogando con alcuni ragazzi disabili che gli hanno raccontato la loro esperienza. La prima è stata Isabel, 13 anni, non vedente, che in collegamento da Madrid ha spiegato come riesce a leggere grazie a una tastiera forgiata sul metodo Braille. Il Papa le ha augurato di progredire nel cammino della vita utilizzando le tecnologie e dedicando tempo all’attività sportiva. Da San Paolo del Brasile ha parlato Pedro, 12 anni, affetto da una malformazione genetica. Amante del calcio, ha confessato di essere sempre contento quando gioca, anche se non vince, perché ha la possibilità di stare con gli amici. «Quello che importa non è vincere, quello che importa è giocare e stare insieme agli amici» ha commentato Francesco. Alicia, 17 anni, ha la sindrome di Down. Sempre da Madrid, ha chiesto al Pontefice se ama scattare foto con il tablet e scaricarle sul computer. Il Pontefice ha confessato di non avere dimistichezza con apparecchi fotografici ed elettronici. Ancora dalla capitale spagnola Elvira, 11 anni, anche lei con la sindrome di down, ha confidato di essere un’ammiratrice dell’argentina Violeta. Dal Papa l’incoraggiamento a coltivare la passione per il canto. Affetto da ipotiroidismo congenito, lo statunitense Isaiah, 17 anni, collegato dal Nebraska, ha parlato della sua esperienza di programmatore. Francesco gli ha raccomandato di non perdere la speranza di fronte alle difficoltà: «Noi — ha detto — siamo capaci di superarle tutte, abbiamo solo bisogno di tempo per capire; intelligenza per trovare la via e coraggio per andare avanti, per non spaventarsi mai». Manoj, 13 anni, sordo, ha dichiarato di essere un fan di Bruce Lee, spiegando come attraverso il computer e la tecnologia riesca a superare l’handicap. A lui il Pontefice ha ricordato l’importanza della comunicazione, spiegando che «quando non comunichiamo, restiamo soli con i nostri limiti e questo ci fa male. Quando comunichiamo, quello che è più importante è la comunicazione, il dare e il ricevere e questo ci fa bene e non restiamo mai soli. Quindi Scholas può aiutarvi in questo: nella comunicazione». Infine, Bautista, 14 anni, affetto da autismo, ha raccontato della sua passione per la fotografia coltivata grazie al tablet, che gli permette di comporre collage di immagini con programmi specifici. Il Papa gli ha confessato di non avere un tablet e gli ha fatto gli auguri per la sua attività Successivamente, i rappresentanti degli sponsor e delle aziende che sostengono Scholas Occurrentes hanno firmato davanti al Papa il loro impegno formale. Ultimo in ordine di tempo, l’accordo sottoscritto con il Football Club Barcelona, che provvederà a formare insegnanti in varie nazioni. Erano presenti anche rappresentanti di quotidiani di vari Paesi del mondo, soprattutto del centro e del sud America, che pubblicheranno un inserto di Scholas, ripetendo la stessa iniziativa avviata in Argentina con «Clarín». È stata poi data lettura del testo del “patto educativo”, al quale ha aderito la Libera università Maria Santissima Assunta (Lumsa). Quindi un nuovo collegamento via web con il Mozambico. L’incontro si è concluso con il messaggio ai bambini e l’intervento finale di Papa Francesco. (nicola gori) Buona sera a voi tutti, donne e uomini, che siete radunati oggi per riflettere sul tema: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. In occasione della mia visita alla FAO ricordavo come, oltre all’interesse «per la produzione, la disponibilità di cibo e l’accesso a esso, il cambiamento climatico, il commercio agricolo» che sono questioni ispiratrici cruciali, «la prima preoccupazione dev’essere la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, L’immagine di Elena Pinelli utilizzata per una campagna ai rapporti familiari e sociali, e spreco alimentare lottano solo per la sopravvivenza» (Discorso alla FAO, 24 il più forte ha la meglio sul più debonovembre 2014). Oggi, infatti, nonostante il molti- le. Attenzione: qui non siamo di fronplicarsi delle organizzazioni e i diffe- te solo alla logica dello sfruttamento, renti interventi della comunità inter- ma a quella dello scarto; infatti «gli nazionale sulla nutrizione, viviamo esclusi non sono solo esclusi o sfrutquello che il santo Papa Giovanni tati, ma rifiuti, sono avanzi» (ibid., Paolo II indicava come «paradosso 53). dell’abbondanza». Infatti, «c’è cibo È dunque necessario, se vogliamo per tutti, ma non tutti possono man- realmente risolvere i problemi e non giare, mentre lo spreco, lo scarto, il perderci nei sofismi, risolvere la radiconsumo eccessivo e l’uso di alimenti ce di tutti i mali che è l’inequità. Per per altri fini sono davanti ai nostri fare questo ci sono alcune scelte prioocchi. Questo è il paradosso! Pur- ritarie da compiere: rinunciare all’autroppo questo paradosso continua a tonomia assoluta dei mercati e della essere attuale. Ci sono pochi temi sui speculazione finanziaria e agire anziquali si sfoderano tanti sofismi come tutto sulle cause strutturali della inesu quello della fame; e pochi argo- quità. menti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dal2) Siate testimoni le esigenze di sicurezza nazionale, di carità dalla corruzione o da un richiamo «La politica, tanto denigrata, è una doloroso alla crisi economica» (ibid.). Per superare la tentazione dei sofi- vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità perché cerca smi — quel nominalismo del pensiero che va oltre, oltre, oltre, ma non toc- il bene comune». Dobbiamo convinca mai la realtà — per superare questa cerci che la carità «è il principio non tentazione, vi suggerisco tre atteggia- solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, menti concreti. ma anche delle macrorelazioni: rapporti sociali, economici, politici» 1) Andare dalle urgenze (ibid., 205). alle priorità Da dove dunque deve partire una Abbiate uno sguardo e un cuore sana politica economica? Su cosa si orientati non ad un pragmatismo impegna un politico autentico? Quali emergenziale che si rivela come pro- i pilastri di chi è chiamato ad ammiposta sempre provvisoria, ma ad un nistrare la cosa pubblica? La risposta orientamento deciso nel risolvere le è precisa: la dignità della persona cause strutturali della povertà. Ricor- umana e il bene comune. Purtroppo, diamoci che la radice di tutti i mali è però, questi due pilastri, che dovrebla inequità (cfr. Evangelii gaudium, bero strutturare la politica economica, 202). A voi desidero ripetere quanto spesso «sembrano appendici aggiunte ho scritto in Evangelii gaudium: «No, dall’esterno per completare un discora un’economia dell’esclusione e della so politico senza prospettive né proinequità. Questa economia uccide. grammi di vero sviluppo integrale» Non è possibile che non faccia noti- (ibid., 203). Per favore, siate coraggiozia il fatto che muoia assiderato un si e non abbiate timore di farvi interanziano ridotto a vivere per strada, rogare nei progetti politici ed economentre lo sia il ribasso di due punti mici da un significato più ampio delin borsa» (ibid., 53). Questo è il frut- la vita perché questo vi aiuta a «servito della legge di competitività per cui re veramente il bene comune» e vi darà forza nel «moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo» (ibid.). 3) Custodi e non padroni della terra Ricordo nuovamente, come già fatto alla FAO, una frase che ho sentito da un anziano contadino, molti anni fa: «Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai! Custodire la sorella terra, la madre terra, affinché non risponda con la distruzione» (Discorso alla FAO, 24 nov. 2014). Dinanzi ai beni della terra siamo chiamati a «non perdere mai di vista né l’origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale», così dice la dottrina sociale contro lo della Chiesa (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 174). La terra ci è stata affidata perché possa essere per noi madre, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere. Una volta, ho sentito una cosa bella: la Terra non è un’eredità che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma un prestito che fanno i nostri figli a noi, perché noi la custodiamo e la facciamo andare avanti e riportarla a loro. La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce. La terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o peggio ancora arroganza da padroni. Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita, perché è stato un prestito che loro hanno fatto a noi. L’atteggiamento della custodia non è un impegno esclusivo dei cristiani, riguarda tutti. Affido a voi quanto ho detto durante la Messa d’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma: «Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per custodire dobbiamo anche avere cura di noi stessi! [...] Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi della tenerezza». Custodire la terra non solo con bontà, ma anche con tenerezza. Ecco dunque tre atteggiamenti che vi offro per superare le tentazioni dei sofismi, dei nominalismi, di quelli che cercano di fare qualcosa ma senza la concretezza della vita. Scegliere a partire dalla priorità: la dignità della persona; essere uomini e donne testimoni di carità; non aver paura di custodire la terra che è madre di tutti. A voi tutti chiedo di pregare per me: ne ho bisogno. E su voi invoco la benedizione di Dio. Grazie. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 10 giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 Messe a Santa Marta Io avrò cura di te Giovedì 5 febbraio La vera missione della Chiesa non è mettere a punto un’efficiente macchina di aiuti, sul modello di una ong. Il profilo dell’apostolo — che annuncia in semplicità e povertà il Vangelo con l’unico vero potere che viene da Dio — si riconosce invece nella chiara espressione di Gesù ai discepoli rientrati felici dalla missione: «siamo servi inutili». E così il Papa — nella messa celebrata giovedì 5 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta — ha riaffermato che la vera «missione della Chiesa è guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, perdona tutto, è padre, Dio è tenero e ci aspetta sempre». Nel passo evangelico di Marco (6, 7-13) proposto dalla liturgia, ha esordito il Pontefice, «abbiamo ascoltato come Gesù chiama i suoi discepoli» e li invia a «portare il Vangelo: è lui che chiama». Il Vangelo dice «che chiamò a sé e mandava e dava loro poteri: nella vocazione dei discepoli, il Signore dà il potere: il potere per cacciare gli spiriti impuri per liberare, per guarire. Questo è il potere che dà Gesù». Egli infatti «non dà il potere di manovrare o fare grandi imprese»; ma «il potere, lo stesso potere che aveva lui, il potere che lui aveva ricevuto dal Padre, glielo consegna». E lo fa con un «consiglio chiaro: andate in comunità, ma per il viaggio non prenderete nient’altro che un bastone, né pane, né sacca, né denaro: in povertà!». «Il Vangelo — ha affermato Francesco — è così tanto ricco e tanto forte che non ha bisogno di fare grandi ditte, grandi imprese per essere annunciato». Perché il Vangelo «dev’essere annunciato in povertà, e il vero pastore è quello che va come Gesù: povero, ad annunciare il Vangelo, con quel potere». E «quando il Vangelo viene custodito con questa semplicità, con questa povertà, si vede chiaramente che la salvezza non è una teologia della prosperità» ma «è un dono, lo stesso dono che Gesù aveva ricevuto per darlo». Francesco ha riproposto «quella scena tanto bella della sinagoga, quando Gesù si presenta ai suoi: “Io sono stato inviato a portare salvezza, a portare il lieto annuncio ai poveri, ai carcerati la liberazione, ai ciechi il dono della vista. La liberazione a tutti quelli che sono oppressi e per annunziare l’anno di grazia, l’anno di gioia”». Proprio questo, ha detto, «è lo scopo dell’annunzio evangelico, senza tante cose strane, mondane». Gesù «manda così». E — si è chiesto — «cosa comanda di fare ai discepoli, qual è il suo programma pastorale?». Semplicemente quello di «curare, guarire, alzare, liberare, cacciare via i demoni: questo è il programma semplice». Che coincide, ha fatto notare Francesco, con «la missione della Chiesa: la Chiesa che guarisce, che cura». Tanto che, ha ricordato, «alcune volte io ho parlato della Chiesa come di un ospedale da campo: è vero! Quanti feriti ci sono, quanti feriti! Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite!». Dunque, ha proseguito il Papa, «questa è la missione della Chiesa: guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio è padre, che Dio è tenero, che Dio ci aspetta sempre». Dalla loro missione, ha rimarcato il Pontefice riferendosi al Vangelo di Luca (10, 17-20), «i discepoli sono tornati felici» perché «non credevano che ce l’avrebbero fatta». E «dicevano al Signore: “Ma, Signore, anche i demoni se ne andavano!”». Erano appunto «felici perché questo potere di Gesù, fatto con semplicità, con povertà, con amore, dava un buon risultato». Proprio la frase rivolta a Gesù dai discepoli felici, secondo quanto riporta il Vangelo, «ci spiega tutto». Essi raccontano: «Abbiamo fatto questo, e questo, e questo, e questo...». Così, dopo averli ascoltati, Gesù chiude gli occhi e dice: «Io ho visto satana cadere dal cielo». Una frase che rivela qual è «la guerra della Chiesa: è vero, noi dobbiamo prendere aiuto e fare organizzazioni che aiutino, perché il Signore ci dà i doni per questo»; ma, ha avvertito il Papa, «quando dimentichiamo questa missione, dimentichiamo la povertà, dimentichiamo lo zelo apostolico e mettiamo la speranza in questi mezzi, la Chiesa lentamente scivola in una ong e diviene una bella organizzazione: potente ma non evangelica, perché manca quello spirito, quella povertà, quella forza di guarire». C’è di più: al loro ritorno, Gesù porta con sé i discepoli «a riposarsi un po’, a fare una giornata in campagna, a mangiare panini con una bibita». Insomma il Signore vuole «passare insieme un po’ di tempo per festeggiare». E insieme parlano della missione appena compiuta. Ma Gesù non dice loro: «Voi siete grandi, eh! Alla prossima uscita, adesso, organizzate meglio le cose!». Si limita a raccomandare: «Quando avete fatto tutto questo Soichi Watanabe, «Per l’ultimo di questi» (2004) che dovete fare, dite a voi stessi: “servi inutili siamo”» (Luca, 17, 10). In queste parole del Signore, ha rimarcato Francesco, c’è il profilo dell’apostolo. E infatti, «quale sarebbe la lode più bella per un apostolo?». Ecco la risposta: «È stato un operaio del regno, un lavoratore del regno». Proprio «questa è la lode più grande, perché va su questa strada dell’annunzio di Gesù, va a guarire, a custodire, a proclamare questo lieto annunzio e questo anno di grazia. A fare che il popolo ritrovi il Padre, a fare la pace nei cuori della gente». In conclusione il Papa ha invitato a leggere questo passo del Vangelo, sottolineando «quali sono le cose più importanti per Gesù, per l’annuncio del Vangelo: sono queste, queste piccole virtù». E «poi è lui, è lo Spirito Santo che fa tutto». La notte buia del Battista Venerdì 6 febbraio Juan Fernández de Navarrete, «Giovanni Battista in carcere» (1565-1570) Un uomo, Giovanni, e una strada, che è quella di Gesù, indicata dal Battista, ma è anche la nostra, nella quale tutti siamo chiamati al momento della prova. Parte dalla figura di Giovanni, «il grande Giovanni: al dire di Gesù “l’uomo più grande nato da donna”» la riflessione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 6 febbraio. Il vangelo di Marco (6, 14-29) racconta della prigionia e del martirio di quest’«uomo fedele alla sua missione; l’uomo che ha sofferto tante tentazioni» e che «mai, mai ha tradito la sua vocazione». Un uomo «fedele» e «di grande autorità, rispettato da tutti: il grande di quel tempo». Papa Francesco si è soffermato ad analizzare la sua figura: «Quello che gli usciva dalla bocca era giusto. Il suo cuore era giusto». Era tanto grande che «Gesù dirà anche di lui che “è Elia che è tornato, per pulire la casa, per preparare il cammino”». E Giovanni «era cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare: annunziare la prossimità del Messia. Lui era cosciente, come ci fa riflettere sant’Agostino, che lui era la voce soltanto, la Parola era un altro». Anche quando «è stato tentato di “rapinare” questa verità, lui è rimasto giusto: “Io non sono, dietro di me viene, ma io non so- no: io sono il servo; io sono il servitore; io sono quello che apre le porte, perché lui venga». A questo punto il Pontefice ha introdotto il concetto di strada, perché, ha ricordato: «Giovanni è il precursore: precursore non solo della entrata del Signore nella vita pubblica, ma di tutta la vita del Signore». Il Battista «va avanti nel cammino del Signore; dà testimonianza del Signore non soltanto mostrandolo — “È questo!”— ma anche portando la vita fino alla fine come l’ha portata il Signore». E finendo la vita «col martirio» è stato «precursore della vita e della morte di Gesù Cristo». Il Papa ha continuato a riflettere su queste strade parallele lungo le quali «il grande» soffre «tante prove e diventa piccolo, piccolo, piccolo, piccolo fino al disprezzo». Giovanni, come Gesù, «si annienta, conosce la strada dell’annientamento. Giovanni con tutta quella autorità, pensando alla sua vita, comparandola con quella di Gesù, dice alla gente chi è lui, come sarà la sua vita: “Conviene che lui cresca, io invece debbo diminuire”». È questa, ha sottolineato il Papa, «la vita di Giovanni: diminuire davanti a Cristo, perché Cristo cresca». CONTINUA A PAGINA 11 L’OSSERVATORE ROMANO numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 Al lavoro con Dio ma, questo secondo lavoro è più meraviglioso». C’è poi, ha proseguito Francesco, «un altro lavoro: il lavoro della perseveranza nella fede, che Gesù dice che lo fa lo Spirito Santo: “Io vi invierò il Paraclito e Lui vi insegnerà e vi ricorderà, vi farà ricordare quello che ho detto”». È «il lavoro dello Spirito dentro di noi, per fare viva la parola di Gesù, per conservare la creazione, per garantire che questa creazione non venga meno». Dunque «la presenza dello Spirito lì, che fa viva la prima creazione e la seconda». Insomma «Dio lavora, continua a lavorare e noi possiamo domandarci come dobbiamo rispondere a questa creazione di Dio, che è nata dall’amore perché Lui lavora per amore». Così «alla “prima creazione” dobbiamo rispondere con la responsabilità che il Signore ci dà: “La terra è vostra, portatela avanti; fatela crescere!”». Perciò «anche per noi c’è la responsabilità di far crescere la terra, di far crescere il creato, di custodirlo e farlo crescere secondo le sue leggi: noi siamo signori del creato, non padroni». E non dobbiamo «impadronirci del creato, ma farlo andare avanti, fedeli alle sue leggi». Proprio «questa è la prima risposta al lavoro di Dio: lavorare per custodire il creato, per farlo fruttificare». In questa prospettiva, ha sostenuto il Papa, «quando noi sentiamo che la gente fa riunioni per pensare a come custodire il creato, possiamo dire: “Ma no, sono i verdi!”». Invece, ha rilanciato, «non sono i verdi: questo è cristiano!». Ed «è la nostra risposta alla “prima creazione” di Dio, è la nostra responsabilità!». Difatti «un cristiano che non custodisce il creato, che non lo fa crescere, è un cristiano cui non importa il lavoro di Dio, quel lavoro nato dall’amore di Dio per noi». E «questa è la prima risposta alla prima creazio- ne: custodire il creato, farlo crescere». Ma «alla “seconda creazione”, come rispondiamo?» ha domandato Francesco, rilevando che, in proposito, «l’apostolo Paolo ci dice una parola giusta, che è la vera risposta: “Lasciatevi riconciliare con Dio”». Si tratta, ha spiegato, di «quell’atteggiamento interiore aperto per andare continuamente sulla strada della riconciliazione interiore, della riconciliazione comunitaria, perché la riconciliazione è opera di Cristo». E Paolo dice ancora: «Dio ha riconciliato il mondo in Cristo». E «questa è la seconda risposta». Dunque «alla “seconda creazione” noi diciamo: “Sì, dobbiamo lasciarci riconciliare col Signore”». Francesco ha poi proposto un’altra questione: «E al lavoro che fa lo Spirito Santo in noi, di ricordarci le parole di Gesù, di spiegarci, di fare capire quello che Gesù ha detto, come rispondiamo?». È stato proprio «Paolo a dirci» di non rattristare «lo Spirito Santo che è in voi: state attenti, è il vostro ospite, è dentro di voi, lavora dentro di voi! Non rattristate lo Spirito Santo». E questo «perché noi crediamo in un Dio personale. Dio è persona: è persona Padre, persona Figlio e persona Spirito Santo». Del resto «tutti e tre sono coinvolti in questa creazione, in questa ricreazione, in questa perseveranza nella ri-creazione». Così «a tutti e tre noi rispondiamo: custodire e far crescere il creato, lasciarci riconciliare con Gesù, con Dio in Gesù, in Cristo, ogni giorno, e non rattristare lo Spirito Santo, non cacciarlo via: è l’ospite del nostro cuore, quello che ci accompagna, ci fa crescere». In conclusione il Papa ha pregato perché «il Signore ci dia la grazia di capire che Lui è all’opera; e ci dia la grazia di rispondere giustamente a questo lavoro di amore». Ottava riunione del Consiglio di cardinali L’ottava sessione del Consiglio di cardinali si è svolta dal 9 all’11 febbraio, con riunioni sia al mattino, sia al pomeriggio. Erano presenti tutti i membri del Consiglio — nove porporati e il vescovo segretario Semeraro — e Papa Francesco ha partecipato a tutti gli incontri, tranne il mercoledì mattina (come nelle precedenti circostanze) a motivo dell’udienza generale. La prima riunione di lunedì mattina è stata dedicata alla preparazione della Relazione sul lavoro svolto dal Consiglio e sul tema della riforma della Curia, che viene presentata giovedì 12 al concistoro del Collegio cardinalizio. Monsignor Semeraro ha illustrato il contributo da lui preparato. La riunione di lunedì pomeriggio è stata caratterizzata da un incontro con il cardinale Ravasi a proposito del Pontificio Consiglio della Cultura nel quadro della riforma della Curia. La mattina di martedì è stata dedicata per la maggior parte a un’audizione di monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e del comitato per la riforma dei media vaticani, che ha presentato un rapporto con le princi- Venerdì 6 febbraio CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 10 Lunedì 9 febbraio Dio è sempre all’opera per amore e sta a noi rispondergli con responsabilità e in spirito di riconciliazione, lasciando campo allo Spirito Santo. È l’invito rivolto dal Papa nella messa celebrata lunedì mattina, 9 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta. «La liturgia della Parola di oggi — ha spiegato subito Francesco riferendosi al passo della Genesi (1, 1-19) — ci porta a pensare, a meditare sui lavori di Dio: Dio lavora». Tanto che «Gesù stesso ha detto: “Mio Padre ancora lavora, ancora agisce, ancora opera; anche Io!”». E così, ha ricordato il Papa, «alcuni teologi medievali spiegavano: prima Dio, il Creatore, crea l’universo, crea i cieli, la terra, i viventi. Lui crea. Il lavoro di creazione». Però «la creazione non finisce: Lui continuamente sostiene quello che ha creato, opera per sostenere quello che ha creato perché vada avanti». Proprio nel vangelo di Marco (6, 53-56), ha fatto notare il Papa, «vediamo “l’altra creazione” di Dio» cioè «quella di Gesù che viene a “ri-creare” quello che era stato rovinato dal peccato». E «vediamo Gesù fra la gente». Scrive infatti Marco: «Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e accorrendo da tutta quella regione cominciò a portargli sulle barelle i malati, dovunque udiva Egli si trovasse; e quanti lo toccavano venivano salvati». È «la “ri-creazione”», appunto e «la liturgia esprime l’anima della Chiesa in questo, quando fa dire in una bella preghiera: “Oh Dio che Tu così meravigliosamente hai creato l’universo, ma più meravigliosamente lo hai ricreato nella redenzione”». Dunque «questa “seconda creazione” è più meravigliosa della pri- pagina 11 pali risultanze e proposte per la riorganizzazione del complesso dei media vaticani. Il Consiglio di cardinali ha manifestato apprezzamento per il lavoro svolto dal Comitato e ne ha confermato i principali orientamenti. Nel pomeriggio sono state riprese in considerazione questioni riguardanti la Segreteria e il Consiglio per l’economia in vista della finalizzazione degli Statuti di tali nuovi organismi. La prima parte della riunione di mercoledì mattina è stata nuovamente dedicata alla preparazione del Concistoro del giorno seguente, in particolare al contributo del coordinatore del Consiglio, cardinale Rodríguez Maradiaga, mentre nella seconda parte si è avuto un aggiornamento sull’organizzazione e le attività della Segreteria per l’economia. Nell’ultima riunione, mercoledì pomeriggio, sono state riprese le considerazioni della mattina insieme al Papa ed è stato ascoltato il cardinale O’Malley sulla recente plenaria della Commissione per la tutela dei minori. La prossima sessione del Consiglio di cardinali si svolgerà dal 13 al 15 aprile. È «la vita del servo che fa posto, fa strada perché venga il Signore». La vita di Giovanni «non è stata facile»: infatti, «quando Gesù ha incominciato la sua vita pubblica», egli era «vicino agli Esseni, cioè agli osservanti della legge, ma anche delle preghiere, delle penitenze». Così, a un certo punto, nel periodo in cui era in carcere, «ha sofferto la prova del buio, della notte nella sua anima». E quella scena, ha commentato Francesco, «commuove: il grande, il più grande manda da Gesù due discepoli per domandargli: “Ma Giovanni ti domanda: sei tu o ho sbagliato e dobbiamo aspettare un altro?”». Lungo la strada di Giovanni si è affacciato quindi «il buio dello sbaglio, il buio di una vita bruciata nell’errore. E questa per lui è stata una croce». Alla domanda di Giovanni «Gesù risponde con le parole di Isaia»: il Battista «capisce, ma il suo cuore rimane nel buio». Ciò nonostante si presta alle richieste del re, «al quale piaceva sentirlo, al quale piaceva portare avanti una vita adultera», e «quasi diventava un predicatore di corte, di questo re perplesso». Ma «lui si umiliava» perché «pensava di convertire quest’uomo». Infine, ha detto il Papa, «dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita». Quel re da perplesso «diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito»; piuttosto «perché il vino gli dà coraggio». E così Giovanni finisce la sua vita «sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera». Così «finisce il grande, l’uomo più grande nato da donna», ha commentato Francesco che ha confessato: «Quando io leggo questo brano, mi commuovo». E ha aggiunto una considerazione utile alla vita spirituale di ogni cristiano: «Penso a due cose: primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati». E questa, ha sottolineato, «non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo». Perciò «ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi, del 2015». Il Pontefice ha proseguito aggiungendo che questo brano lo spinge anche a riflettere su se stesso: «Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita “comprata”. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita». E ciò, ha detto, lo spinge «a pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento». Si chiude così il cerchio della meditazione di Francesco: «Giovanni, il grande, che diminuisce continuamente fino al nulla; i martiri, che diminuiscono oggi, nella nostra Chiesa di oggi, fino al nulla; e noi, che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo». In questo senso la preghiera finale del Papa: «Che il Signore ci illumini, ci faccia capire questa strada di Giovanni, il precursore della strada di Gesù; e la strada di Gesù, che ci insegna come deve essere la nostra». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 12 giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 Due carte d’identità Martedì 10 febbraio Per conoscere la nostra vera identità non possiamo essere «cristiani seduti» ma dobbiamo avere il «coraggio di metterci sempre in cammino per cercare il volto del Signore», perché noi siamo «immagine di Dio». Nella messa celebrata a Santa Marta martedì 10 febbraio, Papa Francesco, commentando la prima lettura liturgica — il racconto della creazione nel libro della Genesi (1, 20 - 2, 4) — ha riflettuto su una domanda essenziale per ogni persona: «Chi sono io?». La nostra «carta d’identità», ha detto il Papa, si ritrova nel fatto che gli uomini sono stati creati «all’immagine, secondo la somiglianza di Dio». Ma allora, ha aggiunto, «la domanda che noi possiamo farci è: Come conosco, io, l’immagine di Dio? Come so com’è lui per sapere come sono io? Dove trovo l’immagine di Dio?». La risposta si trova «certamente non sul computer, non nelle enciclopedie, non nei libri», perché «non c’è un catalogo dove c’è l’immagine di Dio». C’è solo un modo «per trovare l’immagine di Dio, che è la mia identità» ed è quello di mettersi in cammino: «Se non ci mettiamo in cammino, mai potremo conoscere il volto di Dio». Questo desiderio di conoscenza si ritrova anche nell’Antico testamento. I salmisti, ha fatto notare Francesco, «tante volte dicono: io voglio conoscere il tuo volto»; e «anche Mosè una volta l’ha detto al Signore». Ma in realtà «non è facile, perché mettersi in cammino significa lasciare tante sicurezze, tante opinioni di come è l’immagine di Dio, e cercarlo». Significa, in altri termini, «lasciare che Dio, la vita, ci metta alla prova», significa «rischiare», perché «soltanto così si può arrivare a conoscere il volto di Dio, l’immagine di Dio: mettendosi in cammino». Il Papa ha attinto ancora all’Antico testamento per ricordare che «così ha fatto il popolo di Dio, così hanno fatto i profeti». Per esempio «il grande Elia: dopo aver vinto e purificato la fede di Israele, lui sente la minaccia di quella regina e ha paura e non sa cosa fare. Si mette in cammino. E a un certo punto, preferisce morire». Ma Dio «lo chiama, gli dà da mangiare, da bere e dice: conti- nua a camminare». Così Elia «arriva al monte e lì trova Dio». Il suo è stato dunque «un lungo cammino, un cammino penoso, un cammino difficile», ma ci insegna che «chi non si mette in cammino, mai conoscerà l’immagine di Dio, mai troverà il volto di Dio». È una lezione per tutti noi: «i cristiani seduti, i cristiani quieti — ha affermato il Pontefice — non conosceranno il volto di Dio». Hanno la presunzione di dire: «Dio è così, così...», ma in realtà «non lo conoscono». Per camminare, invece, «è necessaria quella inquietudine che lo stesso Dio ha messo nel nostro cuore e che ti porta avanti a cercarlo». La stessa cosa, ha spiegato il Pontefice, è successa «a Giobbe che, con la sua prova, ha incominciato a pensare: ma come è Dio, che permette questo a me?». Anche i suoi amici «dopo un grande silenzio di giorni, hanno incominciato a parlare, a discutere con lui». Ma tutto ciò non è stato utile: «con questi argomenti, Giobbe non ha conosciuto Dio». Invece «quando lui si è lasciato interpellare dal Signore nella prova, ha incontrato Dio». E proprio da Giobbe si può ascoltare «quella parola che ci aiuterà tanto in questo cammino di ricerca della nostra identità: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”». È questo il cuore della questione secondo Francesco: «l’incontro con Dio» che può avvenire «soltanto mettendosi in cammino». Certo, ha continuato, «Giobbe si è messo in cammino con una maledizione», addirittura «ha avuto il coraggio di maledire la vita e la sua storia: “Maledetto il giorno che sono nato...”». In effetti, ha riflettuto il Papa, «a volte, nel cammino della vita, non troviamo un senso alle cose». La stessa esperienza è stata vissuta dal profeta Geremia, il quale «dopo essere stato sedotto dal Signore, sente quella maledizione: “Ma perché a me?”». Egli voleva «restarsene seduto tranquillo» e invece «il Signore voleva fargli vedere il suo volto». Questo vale per ognuno di noi: «per conoscere la nostra identità, conoscere l’immagine di Dio, bisogna mettersi in cammino», essere «inquieti, non quieti». Proprio questo «è cercare il volto di D io». Papa Francesco si è quindi riferito anche al passo del Vangelo di Marco (7, 1-13), nel quale «Gesù incontra gente che ha paura di mettersi in Udienza al presidente della Repubblica di Kiribati Nella mattina di giovedì 5 febbraio Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica di Kiribati, Anote Tong, che in seguito ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui ci si è soffermati, in particolare, sull’importanza della tutela dell’ambiente e sulla questione dei cambiamenti climatici, i cui effetti negativi sul Paese, come pure su altri Stati del Pacifico, sono preoccupanti. Al riguardo, si è formulato l’auspicio che in occasione della COP-21, prevista a Parigi nel mese di dicembre prossimo, la comunità internazionale possa adottare misure condivise ed efficaci per affrontare tale sfida. Rembrandt, «Testa di Cristo» (1648, particolare) cammino» e che costruisce una sorta di «caricatura di Dio». Ma quella «è una falsa carta d’identità» perché, ha spiegato il Pontefice, «questi noninquieti hanno fatto tacere l’inquietudine del cuore: dipingono Dio con i comandamenti» ma così facendo «si dimenticano di Dio» per osservare solo «la tradizione degli uomini». E «quando hanno un’insicurezza, inventano o fanno un altro comandamento». Gesù dice a scribi e farisei che accumulano comandamenti: «Così voi annullate la Parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi, e di cose simili ne fate molte». Proprio questa «è la falsa carta d’identità, quella che possiamo avere senza metterci in cammino, quieti, senza l’inquietudine del cuore». In proposito il Papa ha messo in evidenza un particolare «curioso»: il Signore infatti «li loda ma li rimprovera dove c’è il punto più dolente. Li loda: “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione”», ma poi «li rimprovera lì dove è il punto più forte dei comandamenti con il prossimo». Gesù ricorda infatti che Mosè disse: «Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre o la madre sia messo a morte». E prosegue: «Voi invece dite: se uno dichiara al padre o alla madre che “ciò con cui dovrei aiutarti, cioè darti da mangiare, darti da vestire, darti per comprare le medicine, è Korbàn, offerta a Dio”, non consentite loro di fare più nulla per il padre e la madre». Così facendo «si lavano le mani con il comandamento più tenero, più forte, l’unico che ha una promessa di benedizione». E così «sono tranquilli, sono quieti, non si mettono in cammino». Questa dunque «è l’immagine di Dio che loro hanno». In realtà il loro è un cammino «fra virgolette»: ossia «un cammino che non cammina, un cammino quieto. Rinnegano i genitori, ma compiono le leggi della tradizione che loro hanno fatto». Concludendo la sua riflessione il vescovo di Roma ha riproposto il senso dei due testi liturgici come «due carte d’identità». La prima è «quella che tutti noi abbiamo, perché il Signore ci ha fatto così», ed è «quella che ci dice: mettiti in cammino e tu avrai conoscenza della tua identità, perché tu sei immagine di Dio, sei fatto a somiglianza di Dio. Mettiti in cammino e cerca Dio». L’altra invece ci rassicura: «No, stai tranquillo: compi tutti questi comandamenti e questo è Dio. Questo è il volto di Dio». Da qui l’auspicio che il Signore «dia a tutti la grazia del coraggio di metterci sempre in cammino, per cercare il volto del Signore, quel volto che un giorno vedremo ma che qui, sulla terra, dobbiamo cercare». L’OSSERVATORE ROMANO numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 pagina 13 Sadao Watanabe «Gesù e i bambini» (1977) Il Papa chiede collaborazione piena e attenta Per sradicare la piaga degli abusi «Fare tutto il possibile per sradicare dalla Chiesa la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di riconciliazione e di guarigione in favore di coloro che sono stati abusati»: lo chiede Papa Francesco ai vescovi e ai superiori degli ordini religiosi in una lettera inviata in occasione della plenaria della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, riunitasi in Vaticano dal 6 all’8 febbraio. Ai Presidenti delle Conferenze Episcopali e ai Superiori degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica Nel marzo dell’anno scorso ho istituito la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, annunciata già nel dicembre 2013, con lo scopo di offrire proposte e iniziative orientate a migliorare le norme e le procedure per la protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili, e ho chiamato a farne parte personalità altamente qualificate e note per il loro impegno in questo campo. Nel luglio successivo, l’incontro con alcune persone che hanno subito abusi sessuali da parte di sacerdoti mi ha offerto l’occasione di essere diretto e commosso testimone dell’intensità delle loro sofferenze e della solidità della loro fede. Ciò mi ha ulteriormente confermato nella convinzione che occorre continuare a fare tutto il possibile per sradicare dalla Chiesa la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di riconciliazione e di guarigione in favore di coloro che sono stati abusati. Per questi motivi, lo scorso dicembre ho aggiunto alla Commissione alcuni nuovi membri, in rappresentanza delle Chiese particolari di tutto il mondo. E fra pochi giorni, tutti i membri si incontreranno a Roma per la prima volta. In questo contesto, ritengo che la Commissione potrà essere un nuovo, valido ed efficace strumento per aiutarmi ad animare e a promuovere l’impegno dell’intera Chiesa — ai vari livelli: Conferenze Episcopali, Diocesi, Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, ecc. — a mettere in atto le azioni necessarie per garantire la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili e dare risposte di giustizia e di misericordia. Le famiglie devono sapere che la Chiesa non risparmia sforzi per tutelare i loro figli e hanno il diritto di rivolgersi ad essa con piena fiducia, perché è una casa sicura. Non potrà, pertanto, venire accordata priorità ad altro tipo di considerazioni, di qualunque natura esse siano, come ad esempio il desiderio di evitare lo scandalo, poiché non c’è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano dei minori. Occorre altresì vigilare con attenzione affinché si dia piena attuazione alla Lettera circolare emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 maggio 2011, per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare linee-guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici. È importante che le Conferenze Episcopali si dotino di uno strumento per la revisione periodica delle norme e per la verifica del loro adempimento. Al Vescovo diocesano e ai Superiori maggiori spetta il compito di verificare che nelle parrocchie e nelle Conclusa la plenaria della Pontificia commissione per la Tutela dei minori Una casa sicura I membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori si sono riuniti in assemblea plenaria a Roma dal 6 all’8 febbraio. L’incontro ha rappresentato la prima occasione per i 17 membri della Commissione, allargata di recente, di riunirsi e di far conoscere i progressi compiuti nel compito affidato loro dal Papa, ovvero di consigliarlo nella salvaguardia e nella protezione dei minori nella Chiesa. Durante gli incontri, i membri hanno presentato le relazioni dei loro gruppi di lavoro di esperti, preparate durante lo scorso anno. La Commissione ha poi completato le proprie raccomandazioni relative alla sua struttura formale e ha approvato diverse proposte da sottoporre all’attenzione del Papa. I gruppi di lavoro sono parte integrante della struttura operativa della Commissione. Tra una sessione plenaria e l’altra, essi promuovono ricerche e progetti in ambiti centrali alla missione di rendere la Chiesa una “casa sicura” per bambini, adolescenti e adulti vulnerabili. Tra questi vi sono: cura pastorale delle vittime e delle loro famiglie, educazione, linee guida di miglior pratica, formazione per i sacerdoti e i religiosi, norme ecclesiastiche e civili che regolano le accuse di abusi e responsabilità delle persone in posizioni di responsabilità nella Chiesa quando si tratta di accuse di abuso. La Commissione è consapevole che la questione della responsabilità riveste una grande importanza. Durante l’assemblea, i membri hanno approvato una proposta iniziale da presentare all’attenzione di Papa Francesco. Inoltre, la Commissione sta sviluppando processi per assicurare la responsabilità di tutti coloro che nella Chiesa — clero, religiosi e laici — lavorano con i minori. Per assicurare tale responsabilità, occorre suscitare consapevolezza e comprensione a tutti i livelli della Chiesa riguardo alla gravità e all’urgenza di attuare procedure di salvaguardia corrette. A tal fine, la Commissione ha anche concordato di elaborare seminari per educare le guide della Chiesa nell’ambito della protezione dei minori. In seguito alla lettera del Papa datata 2 febbraio, la Commissione attende con piacere di collaborare con le Chiese a livello locale, rendendo disponibili le competenze per assicurare le migliori pratiche nelle linee guida per la protezione dei minori. La Commissione sta inoltre preparando del materiale per una Giornata di preghiera per tutti coloro che sono stati feriti da abusi sessuali. Ciò sottolineerà la responsabilità dei membri della Commissione a operare per la guarigione spirituale e aiuterà a suscitare consapevolezza nella comunità cattolica circa la piaga degli abusi verso i minori. altre istituzioni della Chiesa venga garantita la sicurezza dei minori e degli adulti vulnerabili. Come espressione del dovere della Chiesa di manifestare la compassione di Gesù verso coloro che hanno subito abusi sessuali e verso le loro famiglie, le Diocesi e gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sono esortati ad individuare programmi di assistenza pastorale, che potranno avvalersi dell’apporto di servizi psicologici e spirituali. I Pastori e i responsabili delle comunità religiose siano disponibili all’incontro con le vittime e i loro cari: si tratta di occasioni preziose per ascoltare e per chiedere perdono a quanti hanno molto sofferto. Per tutti questi motivi, chiedo la vostra collaborazione piena e attenta con la Commissione per la Tutela dei Minori. Il lavoro che ho affidato loro comprende l’assistenza a voi e alle vostre Conferenze, attraverso il reciproco scambio di “prassi virtuose” e di programmi di educazione, formazione e istruzione per quanto riguarda la risposta da dare agli abusi sessuali. Il Signore Gesù infonda in ciascuno di noi, ministri della Chiesa, quell’amore e quella predilezione per i piccoli che ha caratterizzato la Sua presenza fra gli uomini e che si traduce in una speciale responsabilità per il bene dei minori e degli adulti vulnerabili. Ci aiuti Maria Santissima, Madre della tenerezza e della misericordia, a compiere con generosità e rigore il nostro dovere di riconoscere umilmente e di riparare le ingiustizie del passato e ad essere sempre fedeli al compito di proteggere coloro che Gesù predilige. Dal Vaticano, 2 Febbraio 2015 Festa della Presentazione del Signore L’OSSERVATORE ROMANO pagina 14 Per riflettere sulla Scrittura NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico nella Repubblica Araba d’Egitto e Delegato presso l’O rganizzazione della Lega degli Stati Arabi Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Bruno Musarò, Arcivescovo titolare di Abari, finora Nunzio Apostolico in Cuba. (5 febbraio 2015) Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Wewak (Papua Nuova Guinea) il Reverendo Padre Józef Roszyński, S.V.D., Missionario polacco nella medesima Diocesi. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Ausiliare dell’Arcidiocesi di Onitsha (Nigeria) il Reverendo Monsignore Denis Chidi Isizoh, del clero di Onitsha, Officiale presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, assegnandogli la Sede titolare vescovile di Legia. (6 febbraio 2015) Chris Cook, «Gesù tentato» 22 febbraio, I domenica di quaresima Stile di sobrietà di LEONARD O SAPIENZA Notizie dai giornali. — Un milione di persone frequenta scuole e corsi yoga (il 65 per cento sono donne) per raggiungere la serenità. — Diete, sport, amore: c’è il mental coach per allenare l’anima. Adesso in Italia sono 5.000; un fenomeno che non riguarda solo le star! — Consumismo: viviamo al di sopra delle nostre possibilità, come se avessimo a disposizione quattro pianeti. Consumiamo male e troppo! — Grazie alla medicina e agli stili di vita: più alti, più sani, più intelligenti. Così siamo cambiati in cento anni. — Industria del benessere: è record! Negli ultimi due anni gli italiani hanno speso sedici miliardi fra massaggi e maschere di bellezza, 275 euro a testa! Tutto questo per il benessere e la bellezza esteriore! E per la bellezza interiore? Saremo anche diventati più sani, più belli e più intelligenti. Ma saremo anche diventati migliori, più buoni, più cristiani, più santi? Un proverbio cinese recita: «La Genesi 9, 8-15: L’alleanza gente si rimette i capelli in ordine fra Dio e Noè liberato dalle acque del diluvio. ogni mattina. Perché non il cuore?». È tornata la Quaresima, a ricordar- Salmo 24: Tutti i sentieri ci i suoi antichi valori: il silenzio, del Signore sono amore l’ascolto, la preghiera, la rinuncia, la e fedeltà. penitenza, il digiuno, la lotta contro 1 Pietro 3, 18-22: le tentazioni, la conversione, la vigiQuest’acqua, come lanza, le opere di misericordia. Inimmagine del battesimo, somma: uno stile di vita più sobrio. Uno stile che ci ricorda che a nulla ora salva anche voi. servono le nostre operazioni di esteti- Marco 1, 12-15: Gesù, tentato ca di facciata, se non corrisponde an- da satana, è servito che un’operazione di conversione in- dagli angeli. teriore. A nulla serve una plastica facciale, se siamo incapaci di un sincero cambiamento. Non possiamo non cambiare: perché cambia la vita. L’abitudine è una rete che incatena mente, cuore, mani, rendendoci alla fine schiavi e inerti. Stesse abitudini, stessi percorsi, stessi ritmi, stesse persone: così la vita diventa grigia, e non siamo più capaci di rischiare, di migliorare, di cercare la novità, di diventare persone nuove. È facile cambiare faccia; adeguarsi alla moda; il difficile è cambiare mentalità, cambiare cuore. Ma è solo questa l’operazione da fare, se vogliamo vivere in pienezza la nostra vita cristiana, e risorgere a vita nuova con Cristo. Questa Quaresima ci viene offerta proprio per questo. giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 Il Santo Padre ha nominato l’Eminentissimo Cardinale Cormac Murphy-O’Connor, Arcivescovo emerito di Westminster, Suo Inviato Speciale alle solenni celebrazioni in onore di Saint John Ogilvie, S.I., nel IV centenario del martirio, previste a Glasgow il 9 e il 10 marzo 2015. Il Santo Padre ha nominato Membro della Congregazione delle Cause dei Santi l’Eccellentissimo Monsignore Luigi Marrucci, Vescovo di Civitavecchia-Tarquinia. Il Santo Padre ha nominato Comandante della Guardia Svizzera Pontificia, col grado di Colonnello, l’Illustrissimo Signor Tenente Colonnello Christoph Graf. Il provvedimento è stato reso noto in data 8 febbraio. Il Santo Padre ha accolto la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Díli (Timor Orientale), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Alberto Ricardo Da Silva, in conformità al Canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato vescovo della Diocesi di Lichinga (Mozambico) il Reverendo Atanasio Amisse Canira, Vicario Generale di Nacala e Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie. La nomina è stata resa nota in data 8 febbraio. (9 febbraio 2015) Nomina di Arcivescovo Coadiutore Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Coadiutore di Warmia (Polonia) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Józef Górzyński, trasferendolo dalla sede titolare di Lentini e dall’ufficio di Ausiliare di Warszawa. (10 febbraio 2015) Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Malabo (Guinea Equatoriale), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Ildefonso Obama Obono, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Lisala (Repubblica Democratica del Congo), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Louis Nkinga Bondala, C.I.C.M., in conformità al Canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Nomina di Vescovo Ausiliare Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Ljubljana (Slovenia) il Reverendo Monsignor Franc Šuštar, finora Rettore del Seminario Maggiore di Ljubljana, assegnandogli la Sede titolare di Ressiana. (7 febbraio 2015) Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Malabo (Guinea Equatoriale) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Juan Nsue Edjang Mayé, finora Vescovo di Ebebiyin. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Lichinga (Mozambico), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Elio Greselin, S.C.I., in conformità al Canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Lisala (Repubblica Democratica del Congo) il Reverendo Padre Ernest Ngboko Ngombe, C.I.C.M., Vicario Generale della Congregazione dei Missionari di Scheut. (11 febbraio 2015) Christoph Graf comandante della Guardia svizzera Christoph Graf è il trentacinquesimo comandante della Guardia Svizzera Pontificia. Finora ricopriva l’incarico di vice comandante e, come tale, era capo dello stato maggiore del Corpo e ufficiale di collegamento con le altre forze armate. Originario di Pfaffnau, nel cantone di Lucerna, dove è nato il 5 settembre 1961, ha iniziato il suo servizio come alabardiere il 2 marzo 1987. È stato poi istruttore e ha ricoperto anche il ruolo di sergente maggiore e responsabile della pianificazione e dell’organizzazione dei servizi. Da ufficiale ha guidato una delle tre sezioni del Corpo prima di divenire vice comandante. È sposato e ha due figli. numero 7, giovedì 12 febbraio 2015 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 15 Felice Casorati, «Le sorelle Pontorno» (1937, particolare) Occorre «studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale»: lo ha detto Papa Francesco ai membri del Pontificio Consiglio della cultura ricevuti sabato 7 febbraio, nella Sala del concistoro, al termine dell’assemblea plenaria che è stata dedicata al tema «Le culture femminili: uguaglianza e differenza». Cari fratelli e sorelle, vi accolgo con piacere al termine della vostra Assemblea Plenaria, che vi ha visti impegnati nella riflessione e nella ricerca sul tema Le culture femminili: uguaglianza e differenza. Ringrazio il Cardinale Ravasi per le parole rivolte anche a nome di tutti voi. Desidero esprimere la mia riconoscenza in particolare alle donne presenti, ma anche a tutte quelle — e so che sono tante — che hanno contribuito in diversi modi alla preparazione e alla realizzazione di questo lavoro. L’argomento che è stato da voi scelto mi sta molto a cuore, e già in diverse occasioni ho avuto modo di toccarlo e di invitare ad approfondirlo. Si tratta di studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale. La Chiesa è donna, è la Chiesa, non il Chiesa. Questa è una sfida non più rinviabile. Lo dico ai Pastori delle comunità cristiane, qui in rappresentanza della Chiesa universale, ma anche alle laiche e ai laici in diversi modi impegnati nella cultura, nell’educazione, nell’economia, nella politica, nel mondo del lavoro, nelle famiglie, nelle istituzioni religiose. L’ordine delle tematiche da voi programmato per lo sviluppo del lavoro di questi giorni — lavoro che certamente proseguirà anche in futuro — mi permette di indicarvi un itinerario, di offrirvi alcune linee-guida per sviluppare tale impegno in ogni parte della terra, nel cuore di tutte le culture, in dialogo con le varie appartenenze religiose. La prima tematica è: Tra uguaglianza e differenza: alla ricerca di un equilibrio. Ma un equilibrio che sia armonico, non solo bilanciato. Questo aspetto non va affrontato ideologicamente, perché la “lente” dell’ideologia impedisce di vedere bene la realtà. L’uguaglianza e la differenza delle donne — come del resto degli uomini — si percepiscono meglio nella prospettiva del con, della relazione, che in quella del contro. Da tempo ci siamo lasciati alle spalle, almeno nelle società occidentali, il modello della subordinazione sociale della donna all’uomo, un modello secolare che, però, non ha mai esaurito del tutto i suoi effetti negativi. Abbiamo superato anche un secondo modello, quello della pura e semplice parità, applicata meccanicamente, e dell’uguaglianza assoluta. Si è configurato così un nuovo paradigma, quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza. La relazione uomo-donna, dunque, dovrebbe riconoscere che entrambi sono neces- Le donne nella vita sociale ed ecclesiale secondo Francesco Non ospiti ma protagoniste sari in quanto posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità proprie. L’una è necessaria all’altro, e viceversa, perché si compia veramente la pienezza della persona. La seconda tematica: La “generatività” come codice simbolico. Essa rivolge uno sguardo intenso a tutte le mamme, e allarga l’orizzonte alla trasmissione e alla tutela della vita, non limitata alla sfera biologica, che potremmo sintetizzare attorno a quattro verbi: desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e lasciar andare. In questo ambito, ho presente e incoraggio il contributo di tante donne che operano nella famiglia, nel campo dell’educazione alla fede, nell’attività pastorale, nella formazione scolastica, ma anche nelle strutture sociali, culturali ed economiche. Voi donne sapete incarnare il volto tenero di Dio, la sua misericordia, che si traduce in disponibilità a do- Cordoglio del Papa È morto il cardinale Becker Il cardinale gesuita tedesco Karl Josef Becker, docente emerito della Pontificia Università Gregoriana, già consultore della Congregazione per la dottrina della fede, è morto nelle prime ore di martedì 10 febbraio, all’ospedale romano dei Fatebenefratelli. Aveva 86 anni. Nato il 18 aprile 1928 a Colonia, era stato ordinato sacerdote il 31 luglio 1958. Benedetto XVI lo aveva creato cardinale nel concistoro del 18 febbraio 2012, assegnandogli la diaconia di San Giuliano martire. Appresa la notizia Papa Francesco ha inviato al preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás Pachón, il seguente telegramma. La notizia della pia dipartita del venerato Cardinale Karl Joseph Becker suscita nel mio animo affettuoso rimpianto e desidero esprimere sentimenti di profondo cordoglio a Lei e all’intera Compagnia di Gesù, ricordando con profonda gratitudine l’intenso ed esemplare servizio svolto per molti anni dal compianto Porporato nell’insegnamento, nella formazione delle nuove generazioni, specialmente dei sacerdoti, nella ricerca teologica, come pure nel servizio alla Santa Sede. Innalzo fervide preghiere al Signore affinché, per intercessione della Vergine Santa e di Sant’Ignazio di Loyola, voglia donare al defunto Cardinale il premio eterno promesso ai suoi fedeli discepoli e di cuore invio a Lei e a quanti lo hanno conosciuto, apprezzandone le doti di mente e di cuore, la confortatrice Benedizione Apostolica. FRANCISCUS PP. Analogo telegramma è stato inviato dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato. nare tempo più che a occupare spazi, ad accogliere invece che ad escludere. In questo senso, mi piace descrivere la dimensione femminile della Chiesa come grembo accogliente che rigenera alla vita. La terza tematica: Il corpo femminile tra cultura e biologia, ci richiama la bellezza e l’armonia del corpo che Dio ha donato alla donna, ma anche le dolorose ferite inflitte, talvolta con efferata violenza, ad esse in quanto donne. Simbolo di vita, il corpo femminile viene, purtroppo non di rado, aggredito e deturpato anche da coloro che ne dovrebbero essere i custodi e compagni di vita. Le tante forme di schiavitù, di mercificazione, di mutilazione del corpo delle donne, ci impegnano dunque a lavorare per sconfiggere questa forma di degrado che lo riduce a puro oggetto da svendere sui vari mercati. Desidero richiamare l’attenzione, in questo contesto, sulla dolorosa situazione di tante donne povere, costrette a vivere in condizioni di pericolo, di sfruttamento, relegate ai margini delle società e rese vittime di una cultura dello scarto. Quarta tematica: Le donne e la religione: fuga o ricerca di partecipazione alla vita della Chiesa? Qui i credenti sono interpellati in modo particolare. Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi alle donne nella vita della Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. È auspicabile, pertanto, una presenza femminile più capillare ed incisiva nelle Comunità, così che possiamo vedere molte donne coinvolte nelle responsabilità pastorali, nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, così come nella riflessione teologica. Non si può dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia. Le doti di delicatezza, peculiare sensibilità e tenerezza, di cui è ricco l’animo femminile, rappresentano non solo una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma anche una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile. Si tratta, inoltre, di incoraggiare e promuovere la presenza efficace delle donne in tanti ambiti della sfera pubblica, nel mondo del lavoro e nei luoghi dove vengono adottate le decisioni più importanti, e al tempo stesso mantenere la loro presenza e attenzione preferenziale e del tutto speciale nella e per la famiglia. Non bisogna lasciare sole le donne a portare questo peso e a prendere decisioni, ma tutte le istituzioni, compresa la comunità ecclesiale, sono chiamate a garantire la libertà di scelta per le donne, affinché abbiano la possibilità di assumere responsabilità sociali ed ecclesiali, in un modo armonico con la vita familiare. Cari amici e care amiche, vi incoraggio a portare avanti questo impegno, che affido all’intercessione della Beata Vergine Maria, esempio concreto e sublime di donna e di madre. E per favore vi chiedo di pregare per me e di cuore vi benedico. Grazie. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 16 giovedì 12 febbraio 2015, numero 7 Tra uguaglianza e differenza di GIULIA GALEOTTI oco lontano da qui, Caterina da Siena prese la parola durante un sinodo: se lo ha fatto una donna sola nel Trecento, non si vede perché pensare di far parlare oggi le donne in un consesso ecclesiastico rilevante dovrebbe essere percepito come un gesto eretico». Così, nella mattinata «P Senza le donne non è possibile del 7 febbraio, Lucetta Scaraffia ha chiuso i lavori dell’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della cultura, dedicata a «Le culture femminili tra uguaglianza e differenza». Invitate e moderate dal cardinale Gianfranco Ravasi, a partire dal 4 febbraio sono intervenute ai lavori Consuelo Corradi, Ulla Gudmundson, Donna Orsuto, Laura Bastianelli, Micol Forti, suor Eugenia Bonetti, Fiona May, Anne-Marie Pelletier e suor Mary Melone. Di quest’ultima, rettore della Pontificia Università Antonianum, pubblichiamo in pagina parte dell’intervento. Nella relazione conclusiva alla plenaria, Lucetta Scaraffia ha innanzitutto compiuto un excursus storico — tra donne dei vangeli, significato autentico dell’incarnazione e implicazioni rivoluzionarie del matrimonio cristiano — che spiega perché l’emancipazione femminile sia avvenuta solo in quei Paesi che, sebbene ormai secolarizzati, hanno però alla loro origine una matrice cristiana. Oggi, del resto, al di fuori dell’occidente, la sola presenza che aiuta e affianca concretamente le donne umiliate, maltrattate, martoriate e schiavizzate in Africa e Asia è la Chiesa, attraverso le tante religiose e missionarie che vivono e lottano quotidianamente con le donne e per le donne. Perché — si è chiesta Scaraffia — la Chiesa non si accorge di questa presenza femminile così cruciale per le donne? Perché ignora questa meravigliosa testimonianza della capacità del cristianesimo di accogliere? Restituire alla donna il ruolo che le compete nella Chiesa — ha proseguito Scaraffia — è anche una que- stione teologica. Un punto, del resto, su cui Papa Francesco è tornato più volte. «Per sciogliere questo nodo e aprire la porta alla presenza femminile non basta nominare donne in posti autorevoli, è necessario un ripensamento complessivo del ruolo della donna nella storia della Chiesa, cioè un lavoro di approfondimento teologico serio, che permetta di rifondare la Chiesa sulle sue due anime, quella femminile e quella maschile, conducendole a una unità non più fondata sulla supremazia maschile. Un approfondimento necessario non solo per risolvere la questione femminile, ma anche per riformare la Chiesa nel senso che vuole il Papa, cioè per farne luogo di accoglienza, compassione e amore fraterno. Senza le donne questo non è possibile». E non dimentichiamo — ha proseguito Scaraffia — che quando nel libro della Genesi Dio crea l’uomo e la donna, li crea entrambi a sua immagine: «Questo non significa solo che maschio e femmina vengono creati con la stessa identica dignità, significa anche che in entrambi c’è l’immagine di Dio e che quindi Dio ha elementi dell’uno e dell’altra». La plenaria del Pontificio consiglio della cultura si è dunque conclusa. Ma il cammino da compiere è lontanissimo dall’essere esaurito. Lo ha ricordato il cardinale Gianfranco Ravasi nel suo intervento finale. E lo ha ribadito, poco dopo, lo stesso Papa Francesco ricevendo la plenaria in udienza: «Si tratta — ha detto il Pontefice — di studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale. Questa è una sfida non più rinviabile». Fuga o partecipazione? Alfredo Ramos Martínez, «Mexican Adam & Eve» (1933) di MARY MELONE Perché dare particolare risalto all’elezione di una donna a capo di un’università pontificia come rettore? I criteri per l’elezione dovrebbero essere accademici, legati alla competenza, al contributo scientifico, alla partecipazione alla vita dell’università eccetera, e pertanto dovrebbero prescindere dalla distinzione tra uomo e donna. La sorpresa per la mia nomina, invece, dice forse che non si ritiene sia questa la normalità delle università pontificie. Il paradosso esiste e ci pone la domanda su quali sono gli spazi proposti alle donne, su quale tipo di partecipazione viene offerta loro. La possibilità di una risposta a tali interrogativi passa anzitutto attraverso la consapevolezza che le donne nella Chiesa ci sono, ci sono sempre state. Ci sono e sono sempre state una presenza attiva, sempre, anche nelle epoche più buie. Credo che questo punto sia da enfatizzare. Noi donne nella Chiesa ci siamo non perché qualcuno ci ha concesso uno spazio o una partecipazione: ci siamo perché siamo Chiesa. Credo che per valorizzare la presenza delle donne nella Chiesa sia necessario operare un ripensamento profondo. E dove deve portare questo ripensamento? Al loro riconoscimento. Uso questo termine in una duplice accezione. In primo luogo, credo sia necessario riconoscere il valore della vita di fede delle donne, lavorando a livello ecclesiale per ridurre quella mentalità che considera questa vita di fede sempre di livello inferiore. Se le donne fanno teologia, è teologia femminile. Perché c’è bisogno di questo aggettivo? Forse perché si dà per scontato che la teologia per antonomasia, quella che non ha bisogno di aggettivi, è maschile? Se le donne chiedono di insegnare, normalmente si pensa subito che lo spazio più adatto per loro sia l’insegnamento della religione nelle scuole o il catechismo. Perché? Se le donne en- trano nelle istituzioni ecclesiali, o negli organismi diocesani, lo spazio che si ritiene naturale per loro è quello assistenziale o comunque il volontariato e la beneficenza. Perché? Queste e altre situazioni molto concrete e molto quotidiane dicono una cosa semplice: la vita di fede della donna non sempre è considerata autorevole. Credo inoltre che il riconoscimento di cui hanno bisogno le donne nella Chiesa debba tradursi in scelte concrete. Quando la Chiesa si interroga su se stessa, non dovrebbe farlo a una voce sola. I sinodi, le conferenze episcopali e gli altri momenti collegiali dovrebbero trovare modalità che riconoscano uno spazio maggiore di ascolto delle donne. Un ambito privilegiato per realizzare un vero riconoscimento della presenza delle donne nella Chiesa è quello della formazione, soprattutto dei futuri sacerdoti. Sostenere il contributo che le donne possono dare come insegnanti alla formazione dei seminaristi è molto importante, sia perché le donne hanno un approccio didattico e contenutistico peculiare, che può arricchire l’esperienza di apprendimento, sia perché questa esperienza abitua i seminaristi a riconoscere la serietà e la competenza delle donne, in vista di una futura collaborazione con loro. Bisognerebbe valorizzare in modo serio quell’enorme mole di lavoro pastorale affidata alle donne, religiose e non, che attraverso scuole, università, ospedali, case di accoglienza sono spesso in prima linea per difendere chi soffre rappresentando così il volto reale della Chiesa, che è a servizio dell’uomo e della sua dignità. Cosa pensano queste donne? Come vedono il futuro dell’evangelizzazione? Cosa significa la loro attività per le comunità cristiane? Dove è orientato il loro pensiero? Valorizzare significa, ancora una volta, dare importanza a questa esperienza, farla divenire significativa dove può tradursi in decisioni operative. Penso che ci sia anche un altro ambito che richieda riconoscimento: si tratta del mondo delle donne in quanto tale, della loro situazione, delle loro attese e sofferenze. Il rapporto donna e Chiesa non è solo una questione di ruoli decisionali da ricoprire: è anche saper affrontare le domande delle donne, ritenerle importanti. Quale Chiesa si mette in ascolto della donna? Molti progetti pastorali partono da obiettivi prestabiliti, da principi giustissimi e ineccepibili su matrimonio e famiglia, ad esempio, che però non tengono conto della concretezza del mondo delle donne.
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