w i t abbastanza diffusa la convinzione che le persone particolarmente religiose, che vivono una esistenza ricca di meditazione e di spiritualità , godano di una migliore salute. Ma esistono evidenze concrete, osservazioni scientifiche che permettano di sostenere questa impressione? E in particolare esiste una relazione tra religiosità e comparsa di malattie cardiovascolari? Ne parliamo con il professor Flavio Doni, direttore dell'Unità operativa di Cardiologia del policlinico «San Pietro» di Ponte San Pietro. Professor Doni, avere fede aiuta davvero a mantenere il cuore in salute? «Diversi studi, pubblicati in questi ultimi anni, hanno dato una soddisfacente risposta a questi interrogativi. È stato ad esempio verificato che i sacerdoti, indipendentemente dalla loro religione, muoiono meno per problemi cardiaci rispetto ai laici. E ancora che gli atei vanno più facilmente incontro ad ictus rispetto ai credenti. Tra questi ultimi poi è stata verificata una correlazione tra pratica religiosa e malattie cardiache: chi attende ad un elevato numero di uffici religiosi presenta meno infarti ed ictus rispetto a chi partecipa ad una funzione religiosa una volta alla settimana». E l'intensità della pratica meditativa c'entra qualcosa? «Un altro elemento molto importante nel condizionare la comparsa di malattie cardiovascolari è risultato essere la intensità della pratica meditativa. Chi ha una vita spirituale molto intensa, chi dedica molto tempo alla meditazione, chi percepisce con fiducia la presenza di Dio, chi si sente in profonda armonia con l'Universo, presenta una incidenza minore di infarti del cuore e ictus». E come si spiega questo rapporto virtuoso? «Esistono una serie di condizioni legate alla pratica religiosa, dirette e indirette, che permettono di giustificare queste osservazioni. Noi sappiamo da tempo che lo stress e la attiva- La meditazione fa bene al nostro cuore zione del sistema simpatico (la parte del nostro sistema nervoso che determina tra l'altro l'aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca) comportano effetti dannosi sul sistema cardiovascolare. Effetti che nel tempo possono portare all'infarto del cuore e all'ictus. La meditazione risulta contrastare questi effetti perché in grado di attivare quella parte del sistema nervoso, il parasimpatico, che ha un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare. E ancora la meditazione determina la liberazione di una serie di sostanze che preservano la pellicola che ricopre i nostri vasi, l'endotelio, la cui integrità è fondamentale per non avere problemi cardiovascolari. Oltre a questi effetti diretti, la pratica religiosa risulta benefica anche indirettamente sul rischio di eventi cardiovascolari, perché si correla in modo significativo ad una riduzione marcata della abitudine al fumo. Ed è ormai ampiamente dimostrato quanto il fumo sia dannoso per la nostra salute». Flavio Doni E vero che tutto ciò non ha riscontri nelle persone obese? «Un'ultima osservazione merita infatti di essere fatta proprio in relazione a questo punto. Non in tutte le persone con intensa religiosità è possibile osservare una riduzione delle malattie cardiovascolari. I vantaggi sin qui descritti si perdono infatti completamente nelle persone obese. Quello che si osserva è che tutti gli effetti positivi a livello cardiovascolare, indotti da una intensa pratica religiosa, vengono drammaticamente annullati dagli effetti negativi legati alla obesità. L'insegnamento che possiamo trarne è che una adeguata pratica religiosa, una intensa attività meditativa, risultano essere veramente utili in termini di salute cardiovascolare solo se associate ad uno stile di vita che eviti il sovrappeso. In conclusione possiamo affermare che pregare e meditare sono attività che fanno bene al nostro cuore, soprattutto se le facciamo camminando». â–
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