Ars magna lucis et umbrae

Elogio d e l l ' o m b r a
a cura di Stefano Colmagro
Elogio d e l l ' o m b r a
a cura di Stefano Colmagro
Marsilio
INDICE
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Introduzione
ELOGIO
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DELL'OMBRA
Nella sala ombrosa
di Gioachino Chiarini
Le ombre della caverna
Fra Platone e Dùrrenmatt (e oltre)
di Dario Del Corno
«Trattando l'ombre come cosa salda»
Fisiologia, metafisica e poetica dell'ombra
di Piero Boitani
Terra d'ombra
Appunti per sette variazioni sul tema dell'ombra
di Antonio Prete
«L'atra face del ver»
di Stefano Colmagro
Oro in penombra
di Alberto Olivetti
Oro, azzurro e le loro ombre
di Manlio Brusatin
Dalla parte dell'ombra
di Ruggero Savinio
«Ars magna lucis et umbrae»
ovvero la scienza della luce e dell'ombra, e l'uomo
di Leonardo Magini
LEONARDO MAGINI
«ARS MAGNA LUCIS ET UMBRAE»
ovvero la scienza della luce e dell'ombra, e l'uomo
«Horas non numero nisi serenas»: è una delle espressioni
più belle tra quante accompagnano quel meraviglioso strumento che è la meridiana. «Io (meridiana) non conto le ore che non
sono serene», dice lo strumento, con un primo gioco di parole,
un gioco di parole - è il caso di dirlo - alla luce del sole: non le
conto, cioè non le posso contare, queste ore, perché se non sono serene, se manca il sole che risplende e che illumina, manca contemporaneamente anche l'ombra che il mio gnomone
proietta e che indica il tempo su un opportuno quadrante, e allora nemmeno le voglio contare.
Ma c'è un secondo gioco di parole, in quella stessa espressione, un gioco meno solare, più in ombra; il gioco tra il termine serena, che designa l'ora che si vorrebbe contare, e Y ombra,
indispensabile per condurre a buon fine l'operazione. Perché il
latino serènus, "secco, asciutto", va legato etimologicamente al
greco ksérós, "secco, asciutto", e al sanscrito ksàràh, "bruciante", mentre l'altro termine latino umbra, "ombra prodotta da
un corpo interposto tra la luce e la terra", - checché ne pensino i glottologi, imbarazzati dalla contemporanea presenza nella
lingua di imber, "pioggia" - andrà unito al greco ómbros,
"pioggia", al sanscrito abhra-, "nuvola, tempo nuvoloso", all'avestico awra-, "nuvola". Eccolo, allora, di nuovo il gioco, sempre lo stesso: «io (meridiana), se non è sereno / secco / asciutto, non conto, non posso e non voglio contare, le ombre / nu95
E L O G I O D E L L OMBRA
vole». E naturalmente anche altre, tra le iscrizioni che accompagnano lo scorrere del tempo sul quadrante, lavorano sullo
stesso registro: «lucem demonstrat umbra», «l'ombra indica la
luce», o «son pur figlia del sol sebben son ombra», o, o, o...
Perché - è ovvio - tutto il segreto di questo semplicissimo strumento, il primo e il più semplice tra gli strumenti inventati dall'uomo, sta in una stringente contraddizione: è l'ombra che dice dove sta la luce. E l'ombra avanza implacabile, inarrestabile.
Altro che Achille e la tartaruga; qui Achille lo gnomone non
raggiungerà mai la tartaruga ombra e, se appena la raggiungerà, questa gli sfuggirà di nuovo. Altro che Heisenberg e il principio di indeterminazione; qui più lo gnomone si sforzerà di essere preciso nelle sue indicazioni e meno ci riuscirà, più l'osservatore cercherà di leggere l'ora esatta e più questa muterà sotto
i suoi occhi. Così che il nome con cui noi conosciamo lo strumento - meridiana, "che segna il mezzogiorno" - è assai meno
realistico di quello con cui lo chiamavano i greci, tò skiotherikón Organon, "lo strumento che insegue l'ombra"; che l'insegue, che ne va a caccia, certo, ma che non la catturerà mai.
E visto che il tempo è vita e la vita è - anche - lo scorrere
del tempo, ecco che, parallelo al registro precedente, è presente, nelle espressioni, tutto un altro registro, morale e moraleggiante: «sic nostra labitur aetas» («così scorre la nostra vita»),
«hora fugit ne tardes» («il tempo passa, non indugiare»), «utere non reditura» («usa quel che non tornerà»), «vita similis
umbrae» («la vita è come l'ombra»), «sors haec tota viri solis ut
umbra cadit» («l'intero tuo destino, uomo, scorre come l'ombra del sole»), e via di questo passo, fino alla conclusiva, e alquanto depressiva, «omnes vulnerant ultima necat» («tutte (le
ore) feriscono, l'ultima uccide»).
Uno strumento semplicissimo. Certo: cosa c'è di più semplice di un ago fissato su una piccola superficie liscia, o di una
pietra infissa nel bel mezzo di un campo piano? Niente. Le
complicazioni, semmai, arrivano dopo, quando si tratta di cominciare a segnare, e a disegnare, il quadrante; quando, cioè, si
deve cominciare a calcolare e a tener conto della latitudine del
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luogo e della stagione, e a decidere come orientare il quadrante
e scegliere se lo si vuole orizzontale o lo si preferisce verticale o
magari inclinato. O ancora se, già che ci si è, non convenga
progettare e costruire un vero e proprio calendario solare, che
riporti non solo le ore per l'intero anno - e anche qui si dovrà
preventivamente stabilire se si vogliono usare le ore babiloniche, di un giorno diviso in ventiquattro parti, o le ore italiche,
con le ore del giorno che inizia al tramonto - ma, magari, anche il moto dello zodiaco e dei pianeti, così che lo si possa usare per leggere, insieme all'ora presente, il futuro, prossimo o
remoto che sia.
Uno strumento semplicissimo, si diceva; eppure il suo uso,
a quanto pare, non è cominciato nella più lontana preistoria,
non si perde nella notte dei tempi. E iniziato, invece, contemporaneamente, o quasi, alla Storia, con la S maiuscola. E iniziato nell'Egitto e nella Mesopotamia del Duemila a.C. e nella Cina del Mille; solo in Europa, o meglio nelle Isole Britanniche e
in Bretagna, le costruzioni megalitiche, la più famosa delle quali è quella di Stonehenge nel Wiltshire, hanno preceduto, e di
molto, la Storia. A Roma il primo orologio solare arrivò tardi,
nel 293 a.C; una trentina d'anni dopo ne arrivò un secondo,
portato pari pari da Catania, ma i romani - racconta Plinio ,
per nulla sorpreso dell'incompetenza dei suoi concittadini impiegarono novantanove anni per accorgersi che indicava ore
sbagliate. Del resto, ancora Plauto mostra tutto lo sdegno possibile, suo e dei romani, verso una simile diavoleria: «Che gli
dei fulminino chi ha inventato le ore e il primo che ha sistemato qui una meridiana! Misero me, mi ha ridotto la giornata a
pezzettini! Quand'ero piccolo, la pancia mi faceva da meridiana, e era molto meglio e più precisa di tutti questi aggeggi. A
un suo segnale si mangiava, se c'era qualcosa da mangiare;
adesso, se non piace al sole, anche quando c'è da mangiare non
si mangia. Oggi la città è piena di meridiane, e la maggior parte
della gente muore di fame». In compenso, i romani già da molto tempo conoscevano l'uso, forse di lontana origine etrusca,
forse ancora più antico, della meridiana per individuare, ap1
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ELOGIO
DELL'OMBRA
punto, il meridione, cioè il mezzogiorno e il sud, e da questo
dedurre nord, est e ovest; così essi potevano tracciare il cardo e
i decumani dei loro accampamenti e delle città. I l metodo è
spiegato da Igino Gromatico: «Prima disegneremo un circolo
su uno spazio piano, e nel suo centro metteremo uno gnomone
di meridiana, la cui ombra può cadere ora dentro ora fuori del
cerchio... Quando l'ombra raggiunge il circolo, segneremo il
punto sulle circonferenze, e faremo lo stesso quando lo lascia.
Avendo contrassegnato i due punti sulla circonferenza, tracceremo una linea retta attraverso questi due punti dividendo la
circonferenza in due parti. Per mezzo di questa linea retta
quindi tracceremo il nostro cardo e poi i decumani a angolo retto rispetto al cardo». E qui è meglio precisare: la linea retta che
unisce i due punti sarà uno dei decumani e la perpendicolare
sarà il cardo: questo indicherà il sud e il nord, e dunque l'asse
terrestre, e sarà il meridiano passante per lo gnomone, quelli
indicheranno l'est e l'ovest e saranno i paralleli.
Un ampliamento, anch'esso forse di origine etrusca, serviva
poi a realizzare prima la limitatio, la delimitazione delle terre
coltivabili, e quindi la loro centuriatio, la divisione in centurie,
ossia in cento appezzamenti di due iugeri ciascuno, da assegnare ai nuovi coloni, man mano che il dominio di Roma si estendeva su nuovi popoli e nuove terre. Il metodo appena descritto
è davvero molto antico, se lo si ritrova eguale identico in India,
nell'antica India, tanto da essere conosciuto col nome di cerchi
indù. Cerchi, e non cerchio, perché la procedura prevede la
ripetizione dell'operazione, al fine di raggiungere una buona
sicurezza.
Una sicurezza: l'uomo la chiedeva alle ombre e le ombre l'ombra della pietra infissa nel bel mezzo di un campo piano,
l'ombra dell'ago fissato su una piccola superficie liscia, l'ombra
dello gnomone - gliel'hanno data, aiutandolo a collocarsi, a
trovare una propria identità, un'identità per se stessi, per le
proprie case, per le proprie terre; e questo in due tappe successive, prima nello spazio - cerchi indù - e poi nel tempo meridiana.
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« A R S MAGNA LUCIS E T UMBRAE»
Mancava una terza tappa, una tappa che sarebbe stata raggiunta in tempi storici, e della quale si conosce l'autore: Eratostene. Che, per primo, misurò l'obliquità dell'eclittica, la lunghezza del meridiano terrestre, le distanze tra la Terra e il Sole
e tra la Terra e la Luna, e collocò l'uomo nel cosmo. Sempre
grazie alle ombre, e anche alla loro assenza.
Perché fu proprio la conoscenza di un luogo - Siene, oggi
Assuan, 5.000 stadi (= 785 km) a sud di Alessandria - in cui, a
mezzogiorno del solstizio d'estate, lo gnomone non fa più ombra e un pozzo, per quanto profondo, è illuminato completamente lungo tutte le pareti fino allo specchio dell'acqua sul
fondo, a consentire a Eratostene di misurare l'obliquità dell'eclittica, cioè l'angolo formato dall'asse terrestre con il piano su
cui ruota la Terra. E fu ancora un'ombra - quella della Luna al
primo quarto - a permettergli di misurare, con buona approssimazione, le distanze tra la Terra e il Sole e tra la Terra e la Luna. E fu una terza ombra - quella della Terra sulla Luna, durante un'eclissi totale di quest'ultima - a dargli una conferma
dei valori calcolati . Nel primo caso, egli usò, probabilmente,
due metodi diversi: prima misurò l'ombra prodotta dallo gnomone a mezzogiorno del solstizio d'inverno nello stesso luogo
(Siene) dove, a mezzogiorno del solstizio d'estate, lo stesso
gnomone non proiettava alcuna ombra, e ricavò l'angolo compreso tra i due tropici; poi ripetè la stessa operazione là dove
10 gnomone dava comunque un'ombra (Alessandria), misurò
l'angolo prodotto dalle due ombre, quella di mezzogiorno del
solstizio d'estate e quella di mezzogiorno del solstizio d'inverno, e la differenza dei due angoli gli fornì di nuovo l'angolo
compreso tra i due tropici.
Nel secondo caso, egli partì dalla considerazione che quando la Luna è al primo quarto, e viene illuminata per metà dai
raggi del Sole, si forma un triangolo rettangolo tra Terra, Luna
e Sole con angolo retto sulla Luna; basta allora misurare l'angolo formato sulla Terra dalle congiungenti con la Luna e con
11 Sole per ricavare, con una proporzione fra triangoli rettangoli simili, il rapporto tra le distanze fra Terra e Luna e fra Terra e
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ELOGIO
DELL'OMBRA
Sole. Nel terzo caso, egli misurò il tempo impiegato dalla Luna
a traversare l'ombra prodotta dalla Terra. Conoscendo il diametro apparente della Luna e il rapporto tra le distanze TerraLuna e Terra-Sole, determinò i valori assoluti delle distanze e le
dimensioni dei due corpi celesti.
Appare significativo - verrebbe da dire, illuminante - che
un genio tanto grande sia passato attraverso una serie di tappe
intellettuali che lo portarono a misurarsi proprio con i temi del
tempo e dello spazio. I suoi studi di cronografia, Chronographìai, fissavano «le date di tutti gli avvenimenti più importanti
nella storia politica e letteraria del mondo ellenico» , a partire dalla guerra di Troia, da lui datata al 1184-83 a.C, per finire con la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C, passando
per la prima Olimpiade del 776-75 a.C; così che egli fu anche
il primo a indicare con un numero d'ordine i quattro anni di
ogni Olimpiade. I suoi studi di geografia, Geographikà, fissarono un primo reticolo di coordinate terrestri centrate sull'isola
di Rodi; da lì si distaccavano i paralleli, che arrivavano a nord
fino alla foce del Boristene (Dniepr, sul Mar Nero) e a sud fino
a Meroe (Khartoum, in Sudan), e i meridiani, che arrivavano
a ovest fin oltre le Colonne d'Ercole e a est alla foce del
Gange.
In conclusione, si direbbe che, senza ombra, non si va lontani, né nel tempo né nello spazio, e neppure nel cosmo. L'ombra ci segue, ci accompagna e non ci lascia mai. Forse, bisognerà parafrasare l'antico detto, e scrivere su una meridiana un
non più esaltante: «Tu sei ombra...»
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Bibliografia
O.A.W. Dilke, Gli agrimensori di Roma antica, Bologna, Edagricole,
1979.
G. Dragoni, Eratostene e l'apogeo della scienza greca, Bologna, Coo-
perativa Libraria Universitaria Editrice, 1979.
R.R.J. Rohr, Meridiane, Torino, Ulissedizioni, 1988.
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