n.3 n. 15 Marzo 2014 Anno III Festival internazionale del cinema di Berlino Tra Beket e Kaspar Hauser, gli scenari dell’Asinara in bianco e nero riaccendono il cinema indipendente italiano 64° Berlinale Più di 20.000 addetti ai lavori, tra i quali 4.200 giornalisti da circa 120 nazioni Non sono mancati i grandi eventi alla 64° Berlinale. Da George Clooney che ha presentato il suo quinto film dietro la macchina da presa, “The Monuments Men”, allo scandalo annunciato della prima parte di Simone Emiliani “Nymphomaniac” di Lars von Trier che non si è presentato in conferenza stampa ma si è fatto vedere solo durante il photocall con una maglietta anti-Cannes dove sopra c’era scritto “Persona non grata”, termine con la quale il Festival aveva preso posizione dopo le sue dichiarazioni per la presentazione di “Melancholia”. Forse il film del regista danese è stato quello più applaudito durante le proiezioni per il pubblico, quello dove c’è stata maggiore attesa già da quando era stato annunciato nel programma. E al festival non sono mancati comunque gli eventi, dal film d’apertura “The Grand Budapest Hotel” che poi ha vinto il Gran Premio della giuria a “Boyhood” di Richard Linklater, la cui lavorazione è durata 12 anni dal 2002 al 2013 che ha visto tra i protagonisti Ethan Hawke e Patricia Arquette, che si è aggiudicato il Premio della regia. Quindi i due film statunitensi in competizione sono stati premiati dalla giuria presieduta dal produttore James Schamus (che è anche uno dei fedeli sceneggiatori di Ang Lee) e composta da MiUn regista che intimorisce i chel Gondry, Christoph Waltz, Tony Leung, Greta Gerwick, Trine Dyrholm, la produttrice produttori che non lo capiBarbara Broccoli e la regista e pittrice Mitra scono, spaventa la distribuFarahan. Danno però entrambi l’impressione di essere opere minori nella carriera dei due zione ma non il pubblico registi. Wes Anderson sembra ormai prigioil mio sogno è la fine di tutti i sogni. Questo gli uomini niero del suo stile riconoscibilissimo ma ha l’hanno chiamato: Dio. Tranne che qui all’isola. [sorridensegue a pag. 6 do] Perché tu pensi che questa sia l’isola? Questa non è un’isola. Non esistono isole. Mister 25 poltrone visto da Pierfrancesco Uva Non è mai troppo tardi La TV come magnifico strumento contro il nuovo analfabetismo Alberto Manzi e la TV per alfabetizzare il popolo italiano, lezioni di scuola serale andate in onda sulla televisione fra il 1959 e il 1968. Si calcola che un milione e mezzo di persone conseguirono la licenza elementare grazie a Angelo Tantaro queste lezioni. Tutto questo accadeva prima delle televisioni commerciali. In questi giorni è stata trasmessa una fiction diretta da Giacomo Campiotti di due Il cinema di Davide Manuli, il regista “alieno” sbarcato in Sardegna puntate su Rai Uno dedicata alla vita del maestro Manzi con lo stesso titolo della sua trasmissione, interpretata dal bravo Claudio Santamaria con Nicole Grimaudo senza dimenticare Giorgio Colangeli nella scontrosa/ amorosa parte del direttore del carcere. Un ricordo commosso e grato va dunque al Maestro Alberto Manzi e al suo programma il cui titolo ci ricorda che non è mai troppo tardi per dimenticare la nascita delle tv, inizio anni 70, del futuro ex presidente del Consiglio e della nefasta influenza sulle televisioni dello Stato. segue a pag. 22 Non luoghi, non personaggi, non dialoghi: sono gli elementi alla base del cinema di Davide Manuli, milanese cresciuto cinematograficamente e attorialmente a New York, vicino ad Al PaGiulia Marras cino e Abel Ferrara. Manuli ha all’attivo vari cortometraggi, ma soprattutto tre lungometraggi “Girotondo, giro attorno al mondo”, già finalista al Premio Solinas, “Beket” e “La leggenda di Kaspar Hauser” che gli hanno valso il riconoscimento dei maggiori critici e festival italiani e internazionali. Il suo è sempre stato definito un cinema alieno, lontano da quanto mai prodotto in Europa, distante anni luce da ciò che abbiamo mai visto in Italia. Il fatto veramente disturbante riguardo il cinema di Davide Manuli è innanzi tutto il modo in cui è stato prodotto, proprio nonostante il riconoscimento di qualità da gran parte degli addetti al settore: economicamente in balia di se stesso, alla continua ricerca di finanziamenti che non arrivano o al massimo bastano per riprese lunghe massimo una decina di giorni (come accaduto con “Beket”) per risultati che poi si confermano sempre essere di interesse culturale nazionale da parte del MiBAC. Manuli è lasciato solo con il suo talento, forse perchè fa un po’ paura ai registi più commercialmente apprezzati, intimorisce i produttori che non lo capiscono, spaventa la distribuzione; di certo però non spaventa il pubblico. Perchè il cinema di Manuli, nonostante sia linguisticasegue a pag. 4 [email protected] n. 15 Proseguiamo i nostri colloqui per capire cosa sono queste Film Commission. Dopo Davide Bracco (Film Commission Torino Piemonte) e Stefania Ippoliti (Toscana e presidente di Italian Film Commission) Nevina Satta direttrice della Sardegna Film Commission e vice presidente dell’Italian Film Commission Nevina Satta è diventa- girare in Sardegna e trovare maestranze locata direttrice della Film li competenti e con ambienti ricettivi di vario Commission sarda solo tipo (in quest’anno sono state avviate le conpoco più di un anno fa e venzioni con diverse strutture di tale settore), ha affrontato una situa- cercando, insomma, di comporre i vari tasselli zione non semplice di del puzzle che dovrebbe formare il progetto ci“confusione” istituzio- nematografico in Sardegna.” nale, caratterizzata da Secondo te, in che modo le istituzioni regioun budget inadeguato, nali hanno stimato il cinema prodotto e giraElisabetta Randaccio dalla mancanza di per- to nell’isola? sonale e da altri contorti problemi con una buona dose di ottimismo e passione, saldata alla sua competenza. Ma il “viaggio” attraverso questa istituzione non è stato facile; soprattutto la lotta con la burocrazia. A questo proposito, afferma “sono stata, forse, ingenua, ma non ho calcolato quanto i processi burocratici siano un freno incredibile per qualsiasi procedura…” Iniziamo, allora, a stilare un breve bilancio di quest’anno e mezzo di lavoro, che sicuramente non è stato semplice… “Lo definirei profondamente positivo, soprattutto se parto da queste ul- Nevina Satta time settimane, in cui è stato approvato il bilancio di previsione per il 2014, che “E’ stato trattato in maniera inadeguata. Al ammonta a 4,6 milioni: un risultato importan- mio arrivo alla direzione della Film Commiste, anche perché questi fondi sono stati raccol- sion non potevo avere né le risposte né gli ti grazie alla nostra capacità progettuale con strumenti giusti. Con grande fatica e volontà partner europei. Per cui passare da una Film abbiamo costruito, con varie azioni, una Film Commission praticamente priva di budget, Commission che si è proposta come obiettivo senza personale, a una che proporrà un fondo quello di promuovere, di dare voce al cinema di ospitalità a doppia chiamata nel 2014, alla di qualità.” richiesta immediata di personale, all’aver tro- Un problema molto criticato è stato il metodo vato delle risorse importanti sul tema della so- con cui sono stati finalizzati i fondi… stenibilità e delle energie rinnovabili, risorse “La destinazione dei capitali sono stati decisi economiche le quali ci permetteranno di met- dal CDA, nel recente passato, e soprattutto intere a bando degli audiovisivi - fuori formato dirizzati verso le produzioni. Quest’anno ci – che possano rimettere in gioco la macchina sarà una maggiore attenzione ai fondi di ospicinema in Sardegna, dalle piccole produzioni talità, alla formazione e educazione del pubfino all’interesse di quelle straniere per tale blico, allo sviluppo di strategie produttive. La progetto. Però, stiamo ancora “seminando” formazione, soprattutto, diventa un obiettivo per quanto riguarda altre questioni, per esem- importante, compresa quella riguardante i pio quella della digitalizzazione delle sale in nuovi esercenti.” Sardegna, in collaborazione con l’ANEC e l’A- Sei stata nominata, recentemente, Vice PreGIS.” sidente delle Associazioni Nazionali delle Sei stata a Berlino, un Festival, ma pure un Film Commission; come valuti questo nuovo mercato importante. Come è andata la parte- incarico? cipazione della Film Commission sarda? “E’ sicuramente una responsabilità, ma pure “A Berlino ho cercato di insistere sul filone un’occasione di visibilità per la Sardegna e per della coproduzione europea e di presentare i le piccole Film Commission, come la nostra, nostri progetti, visto che esiste una grande at- una possibilità maggiormente percorribile tenzione per la nostra isola. Dunque, si tratta per collaborazioni rilevanti.” di far capire come una troupe può venire a Elisabetta Randaccio 2 Dario Franceschini, Ministro della Cultura Il neo ministro dei Beni culturali, ha dichiarato “Un onore e un orgoglio guidare il Ministero della cultura e del turismo del paese con il piu’ grande patrimonio culturale del mondo. La storia e la bellezza italiana saranno finalmente al centro delle scelte del Governo per la crescita e lo sviluppo”. Dario Franceschini è il nuovo ministro dei Beni e attività culturali e turismo del Governo Renzi. Succede a Massimo Bray, il ministro del decreto “Valore Cultura” che si è congedato con un tweet “Questa storia come tutte le storie ha un fine. Grazie al personale del MIBACT e ai cittadini che, come me, ci hanno messo cuore e passione”. Noi di Diari di Cineclub auguriamo una continuità e sviluppo dell’’operato di Bray, decisamente il migliore degli ultimi 30 anni per un ministero notoriamente trascurato. Il neo ministro, come sua prima uscita ufficiale, ha scelto il Museo Storico della Liberazione, a Roma in via Tasso, ricordando di essere figlio di partigiano, un luogo importante per mantenere viva la memoria, per rievocare tutti gli uomini e le donne che furono torturati e uccisi per liberare il nostro Paese dall’occupante nazista. “L’importanza dei piccoli musei storici e a rischio chiusura: Quando le risorse sono limitate, bisogna scegliere dove tagliare e dove non si deve toccare nulla e dove investire” ha concluso Franceschini. Lo aspettiamo alle prossime azioni. Dario Franceschini (Ferrara, 1958) avvocato e scrittore italiano, Segretario del Partito Democratico nel 2009. Come scrittore pubblica il suo primo romanzo nel 2006 con il titolo “Nelle vene quell’acqua d’argento”, (Premio Opera Prima Città di Penne, Premio Bacchelli, Premier Roman di Chambery; L’anno seguente pubblica il romanzo “La follia improvvisa di Ignazio Rando” che diventa anche un’opera teatrale grazie alla compagnia “Giorni Dispari Teatro” di Varese. Infine nel 2011 licenzia alla stampa “Daccapo”, il cui protagonista è il figlio di un notaio di provincia – tal Ippolito Dalla Libera – che ha avuto ben cinquantatré figli da altrettante prostitute. Ha pubblicato anche saggi (Il Partito popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don Minzoni, Bologna, CLUEB, 1985 e In 10 parole. Sfidare la Destra sui valori, Milano, Bompiani, 2009). Diari di Cineclub [email protected] L’impegno trasversale, da parte di tutte le forze politiche, per promuovere il ruolo della cultura nel nostro Paese e la sua rilevanza economica e sociale. Prosegue lo spazio dedicato ai politici di buona volontà che vorranno impegnarsi su “La priorità dell’azione politica nell’ambito della cultura” La parola ai politici: Alessia Petraglia La cultura come una priorità e un fronte di impegno, settore chiave per il rilancio economico del nostro Paese E’ sempre più difficile per chi ha un incarico politico a qualsiasi livello riuscire a parlare di cultura senza banalizzare il tema. Slogan e frasi fatte come “la cultura è il nostro petrolio” nascondono un profondo ritardo e una Alessia Petraglia profonda inadeguatezza nel dare riposte appropriate ad un ambito della vita delle persone che trascende (o dovrebbe farlo) logiche meramente economiche, fino a ridursi nel famigerato “con la cultura non si mangia” che è la summa di un approccio sbagliato e fuorviante. Per chiunque rivesta incarichi o responsabilità politiche e non, la cultura rappresenta sempre – almeno nelle intenzioni – una priorità e un fronte di impegno; eppure, il bilancio che possiamo tracciare guardandoci intorno è quantomai misero, soprattutto quando si parla del patrimonio culturale diffuso, fatto di appassionati, associazioni, club, che mantengono in vita la vera cultura popolare, quella che vive nei territori. Per troppo tempo, i Governi che si sono succeduti hanno commesso e ancora oggi continuano a commettere l’errore di identificare l’impegno del pubblico verso la cultura con i grandi eventi, le grandi produzioni, gli interventi isolati e di portata ampia, secondo uno schema che si è sempre più consolidato via via che la scarsità di risorse ha reso indispensabile l’intervento economico dei privati, attratti, comprensibilmente, dalle iniziative maggiormente profittevoli. Questa dinamica, unita alla mancanza di una politica culturale di largo respiro, ha progressivamente deresponsabilizzato da una parte i decisori pubblici, ormai soliti muoversi nella prospettiva della cultura come costo da limitare, tagliare, evitare, dall’altra ha lasciato al solo associazionismo, col supporto di pochi amministratori illuminati, il compito di promuovere la cultura “di qualità”. Quando, ormai alcuni mesi fa, il Parlamento ha licenziato il Decreto Valore-Cultura, abbiamo dato atto al ministro Bray di essere riuscito a riportare al centro del dibattito politico un tema assente da troppo tempo, affrontato solo quando si è trattato di ridurre le risorse ad esso dedicate, contratte di quasi un terzo negli ultimi dieci anni. L’occasione offerta dal decreto è stata – purtroppo – colta solo in modo parziale, andando a tamponare situazioni di emergenza e rinunciando a dare una sistemazione complessiva e innovativa ad un settore chiave per il rilancio economico del nostro Paese. Iniziative come “500 giovani per la cultura” non sono certamente sufficienti a mettere in moto meccanismi virtuosi capaci di restituire un ritorno positivo negli anni a venire, se è vero, come dimostrano autorevoli studi, che ogni euro speso in cultura è capace di renderne fino a sei. La condizione fondamentale consiste nell’avere il coraggio di compiere scelte forti. Investire nel capitale umano, destinando risorse alla scuola, alla formazione e alla ricerca, alla produzione musicale, artistica, teatrale, cinematografica di qualità, è la via maestra per rendere l’intero settore competitivo. Si tratta di superare “quella concezione passiva della cultura, basata solo sulla conservazione dell’esistente e sulla difesa dell’antico (che pure sono fondamentali) che ci ha fatto smettere di produrre idee, convinti che, grazie al nostro passato glorioso, potevamo fare a meno di nuovi contenuti”. Di questo limite, il cinema rappresenta la più dolorosa dimostrazione. L’innalzamento a 90 milioni del fondo per il tax credit, chiesto da SEL durante la discussione del decreto del Fare, può essere certamente considerato un passo in avanti a sostegno di un settore che dà lavoro – giova ricordalo – a migliaia di persone. E il meccanismo stesso del tax credit, che sostiene la produzione ed è per sua natura estraneo a logiche “assistenziali”, può essere l’esempio di un rapporto virtuoso tra il pubblico e l’iniziativa privata nel settore culturale. Ma occorre fare di più. Arresi, anche urbanisticamente, al proliferare delle multisala monstre, al cinema come consumo mordi e fuggi, alla mera logica del botteghino, abbiamo lasciato che il cosiddetto cinema indipendente e le tante realtà, associative e non, che con grande sforzo e passione offrono programmazione di qualità, sperimentazione, contaminazione di linguaggi, si dovessero sostenere sulle sole proprie forze. Cinema d’essai, cineclub, sale indipendenti non possono essere lasciate a se stesse, né alla generosità dei privati. Intervenire con risorse pubbliche significa tutelare un patrimonio inestimabile e un lavoro fondamentale di promozione della cultura. Irrinunciabile, in questo senso, dovrebbe essere il sostegno alle associazioni nazionali di cultura cinematografica, attraverso le quali vivono centinaia di piccole sale sul territorio. Nonostante questo, negli ultimi tre anni abbiamo assistito quasi ad un dimezzamento dei contributi ad esse destinati, una scelta-non scelta che mette a rischio un patrimonio enorme e un serbatoio di stimoli, idee, di promozione della cultura cinematografica le cui ricadute trascendono ogni calcolo meramente economico. Proprio in questi mesi, Firenze ha rischiato di perdere per sempre la Cineteca Castello, esperienza che ha trovato spazio nel cinema della Casa del Popolo, punto di riferimento cittadino per il cinema d’autore e le programmazioni di qualità. Un luogo dove scoprire ciò che, purtroppo, i circuiti commerciali non ammettono, oppure riscoprire opere del passato in maniera critica, competente, appassionata. Un contributo “una tantum” della Regione Toscana e centinaia di contributi di minore entità da parte di singoli e associazioni hanno permesso a questa piccola sala di passare al digitale e proseguire la propria attività. Una storia a lieto fine, certo, ma paradigmatica di una situazione alla quale la politica ha il dovere di dare risposte, di essere interlocutrice e protagonista di un nuovo modo di vivere e far vivere la cultura, vista finalmente, come investimento sulle persone, sulla loro realizzazione materiale e spirituale e non come un costo, né un fatto secondario da lasciare alla mercè del privato. Alessia Petraglia E’ senatrice della Repubblica, membro della commissione Istruzione e Cultura di Palazzo Madama e della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. Ha iniziato la sua attività politica ai tempi dell’università, per poi impegnarsi, a partire dal 1994, nell’ARCI di Firenze, di cui è stata vicepresidente. Dal 2003 al 2010 è stata consigliere regionale della Toscana, prima per i DS e poi per Sinistra Democratica. Ricordiamo ai nostri lettori che sono già state presentate due interrogazioni parlamentari per chiarimenti sulla disparità di trattamento a discapito delle nove associazioni di cultura cinematografica per cui attendiamo ancora risposta dal Ministero: On. Nicola Fratoianni (SEL) membro Commissione Cultura, “Finanziamento alle associazioni nazionali di cultura cinematografica e del Fondo Unico dello Spettacolo” Dicembre 2013 (testo integrale, domanda, risposta e replica pubblicato su Diari di Cineclub n. 12 pag. 18/19/20); Sen. Andrea Marcucci (PD) presidente della Commissione Cultura del Senato, “Disparità di trattamento a scapito delle 9 associazioni nazionali di cultura cinematografica”. Interrogazione a risposta scritta in data 8 gennaio Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo On. Massimo Bray. Testo integrale pubblicato sul n. 13 di Diari di Cineclub 3 n. 15 Il ritorno delle cinepioniere - Rassegna a cura di Nadia Pizzuti Dive e non dive, tra Europa e Usa La presenza delle donne nei mestieri del cinema, dalla regia alla recitazione e dalla sceneggiatura al montaggio, fu massiccia e significativa fino al 1930, in Europa e negli Stati Uniti. Con l’avvento del sonoro, le donne furono per lungo tempo relegate in ruoli di “star” o di “femme fatale” e in posizioni subalterne. Archivia, la biblioteca che raccoglie una ricchissima produzione della teoria e della pratica del movimento femminista, sita nel cuore di Roma, ha proposto con successo, nel mese di febbraio, attraverso una rassegna cinematografica denominata “Il ritorno delle cinepioniere” di recuperare ed eventualmente colmare i vuoti di memoria con corti e spezzoni di film delle pioniere del cinema degli anni ‘10 e ‘20, dall’americana regista e attrice Lois Weber alla russa Olga Preobrazhenskaya, dalla francese Musidora, Mabel Normand, alla tedesca regista, animazione Lotte Reiniger, Asta Nielsen, Esfir Shub, Eleonora Duse, alla montatrice Yelizaveta Svilova moglie di Dziga Vertov a Dorothy Arzner una sfida a Hollywood. Ha organizzato Archivia e il caffè letterario Casa Internazionale delle donne – Via della Lungara, 19 - Roma tel. 06.68401720 www.casainternazionaledelledonne.org Nella foto a sx Dorothy Arzner, regista, montatrice e sceneggiatrice statunitense. 1897-1979 segue da pag. 1 mente spiazzante, teatralmente assurdo e filosoficamente pregno, è un cinema di corpi che vagano, si perdono, alla ricerca di un senso (universale, metafisico) e trovano la liberazione solo nella danza e nella potenza della musica elettronica, che sovrasta, come dovrebbe il Dio che non c’è e che i personaggi vanno cercando, le immagini. Non è quindi un cinema intellettualmente troppo lontano per essere capito e apprezzato, è invece lo specchio inconscio della mente di ogni spettatore, proprio come dichiarato da Manuli in un’intervista (uzak.it): “Gli spettatori arriveranno solo fino a dove glielo permetterà la propria mente.E in questi anni ne ho viste di tutti colori: ho visto analfabeti, carcerati, operai e scaricatori di porto andare molto lontano coi miei lavori, capendo letteralmente tutto e non chiedendo nessuna spiegazione che fosse una… mentre mi è capitato spesso vedere la gente più istruita e più borghese non capirci letteralmente niente e chiedermi milioni di spiegazioni”.“Girotondo, giro attorno al mondo”, “Beket” e “La leggenda di Kaspar Hauser” La Leggenda Di Kaspar Hauser - 2012 4 sono lo stesso film, come succede nei migliori casi delle filmografie dei maggiori cineasti di sempre. Se Girotondo costituisce la nascita sofferta della personalità registica di Manuli e l’esorcizzazione della malattia tossica nel cullare la solitudine dei suoi personaggi sbandati, Beket e Kaspar Hauser rappresentano un dittico sul non-sense del viaggio dell’uomo contemporaneo e della mancanza di comunicazione, attraverso uno sguardo nichilista beckettiano che guarda, e mostra, disilluso, l’attesa infinita di Godot. Entrambi girati Davide Manuli in Sardegna, in pellicola e in un bianco e nero che la rende terra geologica ed epica, in un tempo indefinito, gli ultimi due film di Manuli definiscono la poetica manuliana attraverso disgressioni linguistiche, le distorsioni temporali, la reiterazione dei movimenti e le epilessie musicali; la narrazione basata su personaggi archetipi, coi nomi delle loro funzioni cuciti addosso e una colonna sonora che vuole sovrastare la parola, che ormai sembra vuota di alcun valore. Ne “La leggenda di Kaspar Hauser” Godot sembra finalmente arrivare nella figura di Kaspar Hauser, il fantomatico “trovatello d’Europa” già narrato nell’Enigma di Werner Herzog, qua personaggio androgino rianimato soltanto dalla musica e interpretato secondo la concezione del filosofo Rudolf Steiner che lo immaginò come una reincarnazione del Cristo, un Messia. Ed è così accolto dagli abitanti dell’isola: Kaspar Hauser è un Su Re elettronico, anarchico, apocrifo, che infine diventa Dj, unico modo per riavvicinarsi a Dio, o ciò che di divino lo sostituisce. Per descrivere Manuli certi critici hanno nominato Kusturica, Ferrara, Cassavetes, Pasolini: la realtà è che il suo cinema non si può inquadrare in un genere, perché ne è molti, (western, fantascienza) e non ne è nessuno. Un cinema ripulito all’essenza, come si definisce lo stesso Kaspar Hauser; consapevole di esserci, tra gli altri tipi di cinema e registi; che non può essere dimenticato come unico sfogo creativo e sperimentale di un estro particolare. Il cinema italiano non può essere solo sinonimo di Grande Bellezza, di Roma, di Verdone, di Benigni o Sorrentino. Dopo, e oltre, qualcos’altro c’è. Basta che i sovvenzionamenti e le film commission diano peso equo e spazio a tutti; che valutino i progetti, e non solo i nomi. Giulia Marras [email protected] Sardinia Film Festival Tutto lo staff al lavoro per la IX Edizione Premio internazionale di cortometraggi Sassari, 2014 – Giugno 23/28 Deadline 15 Marzo Il Sardinia Film Festival ha già acceso i riflettori sulla nona edizione, che si terrà a Sassari alla fine del mese di giugno. Il bando di partecipazione è da poco online, ma i selezionatori sono già Carlo Dessì impegnati a guardare gli oltre 300 cortometraggi arrivati nei primi giorni. Anche quest’anno sono previste più di 1000 opere in concorso. Sarà un lavoro impegnativo per gli organizzatori, ma -come sempre- ricco di soddisfazioni e sorprese, soprattutto per gli spettatori, per i quali il festival rappresenta una finestra aperta sul mondo contemporaneo. Sono tante le novità della nona edizione, a partire dalla giuria, che quest’anno sarà internazionale, e dalle modalità di iscrizione. I corti, infatti, da quest’anno possono essere inviati in dvd, oppure linkati, via mail, attraverso WeTranfer o Dropbox. Le categorie in concorso restano fiction, documentario, ani- Sardinia Film Festival 2013. Al Centro Marco Asunis Presidente FICC, dietro è riconoscibile Pio Bruno Presidente del Cineclub Cagliari Fedic. (foto di Marco Dessì) mazione, videoarte e genere sperimentale. Un’attenzione particolare sarà riservata, come di consueto, ai film italiani, soprattutto a quelli in prima visione, secondo un’ottica di promozione del cinema nazionale, che caratterizza il premio fin dagli esordi. La nona edizione del Sardinia Film Festival sarà “spalmata” lungo tutto l’estate. Ad agosto, infatti, ci sarà la seconda edizione del “Premio Villanova Monteleone per il Documentario”. E poi, in data da definirsi, debutterà a Martis “Life after Oil”, una sezione distaccata del festival, nata da un’idea del regista Massimiliano Mazzotta e dedicata ai cortometraggi che raccontano alternative sostenibili al petrolio. Ma non finisce qui. Il motore del Sardinia Film Festival, una volta scaldato, non si ferma più e in cantiere ci sono anche due partnership per la produzione di un film e di una animazione. Il film -una rivisitazione dell’Odissea intitolata “From Ithaca with love”- sarà girato a Stintino e diretto dal regista inglese Malachi Bogdanov, con attori che dialogano in latino e in greco. L’animazione, una produzione spagnola, si intitola, invece, “Juan y la neve”, e il Sardinia Film Festival vi parteciperà sia come partner che come sponsor. L’organizzazione è in attesa di ricevere i patrocini delle varie autorità e in particolare quella del neo governatore della Sardegna Francesco Pigliaru, sul quale si ripongono le speranze di rilancio dell’intero comparto cinema. Il governatore ha infatti inserito la piattaforma “Moviementu” nel proprio programma di governo. Moviementu, ricordiamo, è l’associazione sarda formata da registi, sceneggiatori, attori, produttori, distributori e tutte le maestranze del cinema, riunitisi per la prima volta a Sassari lo scorso anno, durante il Sardiniafilmfestival, proprio per sollecitare una maggiore attenzione verso un settore, quello cinematografico, che ha importanti ricadute sul territorio in termini economici, lavorativi, culturali e turistici, ma che necessita di risorse certe e di una Sardegna Film Commission funzionante che, partendo dalla valorizzazione e sviluppo delle realtà locali, attiri produzioni nazionali e internazionali con lo scopo principale di favorire l’economia nell’isola. Ricordiamo che la deadline per l’iscrizione è fissata per il 15 marzo 2014. Per ulteriori informazioni e modalità d’iscrizione visitate il sito www.sardiniafilmfestival.it Carlo Dessì Direttore artistico IX International Short Film Award 2014 June 23-28 Sassari Sardinia Film festival Organizzato da Cineclub Sassari Fedic Via Bellini, 7 Tel. 079.242668 c.p. 58 - SUCC.7 07100 Sassari – Italy www.sardiniafilmfestival.it [email protected] Con la collaborazione della FICC (Federazione Italiana Circoli del Cinema) Sostenuto da Diari di Cineclub Direttore Artistico Carlo Dessì Presidente Angelo Tantaro SardiniaFF 2013, proiezione serale nel Quadrilatero dell’Università di Sassari. (foto di Marco Dessì) . 5 n. 15 segue da pag. 1 perso quella dinamicità di “I Tenenbaum” e “Fantastic Mr. Fox”. Linklater invece ha mostrato di anno in anno, il percorso di crescita del suo giovane protagonista, Mason. Il modo in cui è stata mostrata la sua infanzia aveva una spontaneità immediata mentre l’adolescenza è stata caratterizzata da una presenza eccessiva di una scrittura che ha mostrato come il film, da mockumentary familiare, sia invece stato segnato poi da una recitazione tradizionale. Nulla da eccepire sul verdetto. L’Orso d’oro è andato all’ottimo noir cinese “Black Coal, Thin Ice” di Diao Yinan, su un ex-poliziotto sospeso dal servizio che sta indagando su una serie di misteriosi delitti. Il protagonista Liao Fan ha vinto anche il premio come miglior attore. Al limite questo film se la poteva battere con il potentissimo melodramma raggelato “The Little House” del giapponese Yoji Yamada che guardava al cinema di Lubitsch nella geometrica triangolazione dei sentimenti dei protagonisti o alla sempre modernissima rappresentazione tra cinema e teatro di “Aimer, boire et chanter” di Alain Resnais. Al primo è andato comunque il premio per la miglior attrice (Haru Kuroki), al secondo l’Orso d’Argento. Premio Alfred Bauer. Il livello della competizione comunque da anni non decolla. Forse la Berlinale, malgrado qualche evento, resta legato a una visione troppo d’autore e porta in concorso alcuni film (come, per esempio, “Aloft” della peruviana Claudia Llosa che vinse l’Orso d’oro nel 2009 per “Il canto di Paloma” all’austriaco “Inbetween Worlds” di Feo Aladag) che negli altri festival si troverebbero probabilmente nelle sezioni collaterali. E, al contrario, da Panorama invece c’erano alcuni titoli che potevano essere tran- Conferenza stampa di Aloft. Da sx Melanie Laurent, Cillian Murphy,Jennifer quillamente in gara Connelly e la regista Claudia llosa (foto di Simone Emiliani) dall’italiano “In grazia di Dio” di Edoardo Winspeare, ai due francesi dal concorso il potentissimo “Welcome” di “Arrête ou je continue” di Sophie Fillières con Philippe Lioret. C’è la ricerca, c’è la sperimengli ottimi Mathieu Amalric ed Emmanuelle tazione, ma Berlino è indietro sia al Festival di Devos e “Dans la cour” di Pierre Salvadori Roma targato Müller sia a quello di Cannes. (questo nella sezione Berlinale Special con Quand’è che si vedranno in gara opere tipo Gustave Kevern e Catherine Deneuve) fino a “Dallas Buyers Club” o cartoon come “Shrek 2” Calvary di John Michael McDonagh con Bren- che sulla Croisette era tra i titoli in lotta per la dan Gleeson. Del resto già qualche anno fa, Palma d’Oro? esattamente nel 2009, era stato estromesso Simone Emiliani Berlinale 2014 Un ferrarese a Berlino Il cinema italiano è stato messo nel sottoscala Quando ancora in epoca pre-internet (cioè la preistoria per i ventenni d’oggi) pensavo a Berlino nella mia testa si creavano caleidoscopi di immagini che andavano dal più classico e truce “muro”, a una città coFederico Felloni perta di una neve perenne, fino a visioni stroboscopiche legate alla lettura adolescenziale di Christiane F. libro cult arrivato fra le mie mani con 10 anni di ritardo sulla sua uscita in Italia. Negli anni la fortuna di frequentare, con scadenza fissa, la Berlinale ha via via trasformato queste immagini. In più quest’anno sfruttando il fatto che il cinema italiano è stato messo nel sottoscala dagli organizzatori, forse come contrappasso alla, a mio avviso eccessiva, considerazione regalata a La Grande bellezza di Paolo Sorrentino in giro per il mondo, mi sono concesso fra un film e l’altro un tour di quei luoghi che tanto avevano innescato il mio immaginario. Evitato con cura l’Italian Pavillon e i suoi frequentatori che tanto mi basta vedere a Roma e per seguire Natural resistance che proprio italiano non è, regia di Jonathan Nossiter, anche se tratta argomento italianissimo: la lotta 6 di alcuni viticultori italiani contro le norme UE sulla vinificazione in difesa di storia e tradizioni locali e che consiglio vivamente (magari dopo aver bevuto un calice di vino rosso) entro a Potsdamer Platz e sbircio uno degli ultimi pezzi di muro rimasti e oramai da simbolo del terrore declassato a postazione per selfie, per utilizzare una parola tanto in voga oggi. La metro, quella, è sempre uguale e in poche fermate mi trovo ad Alexanderplatz, Federico Felloni davanti all’entrata della Berlinale una volta nel mio immaginario il centro di quel potere tanto temuto, nel continuare l’inseguimento delle pochissime tracce d’Italia ho acquistato un biglietto per I cavalieri della laguna questo sì italiano del regista Walter Bencini che tenta di dipingere sulla pellicola una serie di “personaggi”, pescatori nella laguna di Orbetello. Operazione difficile da far digerire a chi già non aveva apprezzato il pur pluripremiato Sacro GRA. All’uscita la piazza mi appare per quello che è, non più simbolo di un mondo oscuro ma luogo per godersi il primo sole dell’anno in questa inattesa primavera anticipata tedesca: a quanto pare la neve perenne si è sciolta. Citando Coelho: “Bisogna sempre sapere quando una fase giunge alla fine” ed io per farla terminare la lunga fase di innamoramento per Natja Brunckhorst, splendida protagonista della pellicola Christiane F. tratta dall’omonimo libro mi concedo, dopo la visione di Felice chi è diverso, finalmente un bel lavoro a firma Gianni Amelio su un tema, quello dell’omosessualità, quasi mai toccato nei tasti giusti, un giretto alla BHF Zoologisher Garten la stazione che regala il sottotitolo al film famoso. Sperare di incontrare una rediviva Natja era troppo, pensare che nulla fosse cambiato egoistico, capire che il tempo passa e nulla torna è forse crudele ma inevitabile. Oramai si è fatta sera è ora di tornare il biglietto lo trovo al chiosco di una simpatica ragazza, pago e me ne vado, le regalo il resto e lei, in cambio, un sorriso... Federico Felloni [email protected] Evento al Fedic scuola Se chiudo gli occhi non sono più qui La dispersione scolastica, lo sfruttamento del lavoro minorile, immigrazione clandestina, caporalato nel film di Vittorio Moroni Già in Lettere ad una Professoressa Don Milani denunciava quello che è un fenomeno sempre più in crescita negli ultimi anni in Italia: l’abbandono scolastico. Secondo i dati della Commissione europea nel 2013 hanno Serena Ricci abbandonato la scuola il 17,6% degli alunni mentre la media dei paesi europei è del 12,7%; le punte massime si rilevano nelle regioni del Sud, in particolare in Sicilia Sardegna e Campania. La fascia di età con il picco di abbandoni maggiore è quella dei quindicenni, nel biennio delle superiori. Fra questi giovani c’è Kiko (Mark Manaloto), adolescente che appartiene alla cosiddetta “seconda generazione” degli studenti stranieri in Italia e protagonista del film “Se chiudo gli occhi non sono più qui”, scritto da Vittorio Moroni, in collaborazione con Marco Piccareda e diretto dallo stesso Vittorio Moroni. La camera a spalla segue sorprendentemente le vicende del giovane, orfano di padre italiano e figlio di madre Filippina, Marilou (Hazel Morillo), costretto a vivere in un non - luogo come quello di un bar che il padre, “non aveva finito né di pagare né di ristrutturare”. Con loro abita Ennio (Giuseppe Fiorello), il nuovo compagno della madre, un “caporale” che sfrutta immigrati clandestini e che induce a lavorare il ragazzo nei suoi cantieri edili ogni giorno dopo la scuola. Siamo nel Nord Est, dove accanto alle imprese legali che ogni giorno chiudono o a malapena sopravvivono, stanno aumentando i fenomeni di sfruttamento che derivano dall’immigrazione clandestina. La vera casa di Kiko, in realtà, è un vecchio autobus abbandonato in una discarica, che il giovane riempie di oggetti appartenuti all’amato padre, creandovi un santuario-memoria, rifugio dal mondo della scuola e dalla famiglia, dove il giovane si sente “spento”. Con incredibile realismo e stile documentaristico il film restituisce le immagini girate a scuola, dove gli insegnanti, seppur competenti e sensibili, risultano schiacciati dall’istituzione, che ha fatto perdere loro il coraggio anche di contravvenire alle regole per aiutare dei casi di studenti svantaggiati. È così che, sfiduciato, Kiko comincia ad andare male nel rendimento fino ad abbandonare inesorabilmente i banchi per andare a lavorare a tempo pieno nel cantiere del patrigno. L’unica via di fuga da questa orribile realtà è l’autobus, tempio dei ricordi del padre, il quale gli ha lasciato in eredità l’amore per l’astronomia, attraverso la quale Kiko si illude di poter rivivere momenti indimenticabili con lui; questo legame indissolubile lo spinge a trasformare l’abitacolo del veicolo in una sorta di osservatorio astronomico. È qui, in questa dimensione magica e visionaria e con un registro filmico incantato e contemplativo, che si inserisce la figura di Ettore (Giorgio Colangeli), un insegnante che era stato amico del padre, che misteriosamente si insinua nella sua vita in maniera inquieta ed ambivalente, continuamente in sospeso in Beppe Fiorello visto da Pierfrancesco Uva un clima da romanzo di formazione e da sospetto di tradimento, esattamente come fa Clint Eastwood in Gran Torino. Non è un caso che il regista abbia scelto una passione per far collegare il mitico padre reale al padre “putativo”, proprio come Don Milani vorrebbe che accadesse ad ogni insegnante, cioè che incarnasse una figura capace empaticamente di cogliere gli interessi individuali dei ragazzi per farli accedere ad una dimensione conoscitiva e ad un approccio al sapere costruttivo di fronte alla vita ed al bisogno profondo di interrogarsi di fronte ad essa. I docenti dovrebbero essere capaci di accogliere, intuire e seminare negli animi degli studenti la curiosità per ciò che li circonda rispettando le loro individualità e le loro prerogative, proprio come fa Ettore con Kiko. L’insegnante, che rappresenta l’odissiaco Mentore precettore del figlio di Ulisse Telemaco, trasmette la propria conoscenza da persona esperta al giovane in formazione, incoraggiandolo, indirizzandolo e cercando di far venir fuori in lui le possibilità, i talenti, le passioni: “Sognavo che tu ti accendessi e invece sei uno stoppino bagnato”, dice il maestro in un momento di resistenza dell’allievo. In tutto il film l’alto si unisce al basso, l’Antica Grecia ai cantieri edili del Friuli, Platone all’immigrazione, la poesia alla matematica, la distanza esatta delle stelle alla difficoltà di adattamento del piccolo camaleonte appena uscito dal nascondiglio. Se chiudo gli occhi non sono più qui si interroga su alcuni temi fondamentali dell’esperienza umana, prendendo spunto da Platone e da Nietzsche e applicandoli alla vita reale del protagonista ed alle sue scelte. La massima più importante che Kiko apprende da Ettore è “Homo sum nihil humani a me alienum puto” (sono uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo) di Terenzio, che riassume la prospettiva con cui il maestro vorrebbe che Kiko guardasse tutti gli esseri umani, fra i quali il suo patrigno. Ettore insegna al ragazzo il valore della comprensione, che non significa accettazione passiva, ma la capacità del raggiungimento di una consapevolezza che nessun essere umano è totalmente “mostro” o “cattivo”; con il concetto di “humanitas” il commediografo latino ci insegna che talvolta un’azione miserabile proviene da un contesto avverso, ma può generare il desiderio di un riscatto e che spesso un comportamento spietato deriva dall’ignoranza e dalla miseria, condizione in cui non si possono percepire i confini del male. L’unico approccio evolutivo rispetto a ciò è considerare il nemico innanzitutto come un essere umano, con cui dobbiamo dialogare senza subire sopraffazione. È questo desiderio di riscoperta del valore dell’ “humanitas” che la scuola dovrebbe offrire agli studenti in modo tale da segue a pag. successiva 7 n. 15 segue da pag. precedente farli accedere spontaneamente alla salvaguardia della propria naturale e preziosa “dignitas”: è l’incontro tra Ettore e Kiko e la sete di conoscenza che da questo incontro scaturisce, che contrastano uno dei più diffusi luoghi comuni del nostro tempo, ovvero il fatto che gli adolescenti siano passivi, persi, senza ambizioni e senza desideri. Il film ci parla di una scuola “istituzionale” in difficoltà a relazionarsi alla complessità di un’età e di un tessuto sociale in veloce cambiamento, ma ci insegna anche che si può cambiare quest’attitudine con la capacità di suscitare speranze per il futuro nelle attuali generazioni “differenti” in senso etimologico di “separate” nella loro individuazione e per questo speciali: d’altronde anche Daniel Pennac, autodefinendosi “asino” in Diari di scuola si rivolge così “umanamente” agli studenti poco brillanti: “è sufficiente un professore, uno solo, per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri!”. Serena Ricci Responsabile Fedic Scuola del Valdarno Cinema Fedic Se chiudo gli occhi non sono piu’qui. Beppe Fiorello e Mark Manaloto in una foto di scena Al Valdarno Cinema Fedic, sezione Fedic Scuola si avrà la possibilità in esclusiva di poter vedere in anteprima dall’uscita nelle sale il film “Se chiudo gli occhi non sono più qui”. Saranno presenti in sala il regista Vittorio Moroni e parte del cast. L’evento è previsto durante la mattinata del festival Valdarno Cinema Fedic destinata alla scuole superiori, per il 9 Maggio 2014 alle ore 9.30 al Cinema Teatro Masaccio in Via Borsi - San Giovanni Valdarno, sede del Festival. A proposito di dispersione scolastica “Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una.Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa ...certo eguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte col pensiero fisso su lui a cercare un modo nuovo di far scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo a casa se non torna. Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola”. don Lorenzo Milani Don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi della scuola di Barbiana L’anno perduto da Gio’ Vi racconto una cosa, a mio avviso incredibile Un ragazzo figlio di migrante che frequenta il Centro di Formazione Professionale nel quale insegno, non è stato ammesso all’eCandido Coppetelli same perché la percentuale di assenze, aveva superato (di un paio di punti) la soglia prevista dalla legge. Ho scritto una lettera accorata e puntuale insieme al direttore del Centro al dirigente del settore della provincia (ente di riferimento per il finanziamento dei progetti di formazione) indicando le motivazioni che a nostro avviso dovevano poter operare una deroga. Di seguito un estratto della nota spedita. “Lo studente è stato valutato dal Collegio dei Docenti più che positivamente. Figlio di migrante in Italia per lavoro, ha dimostrato durante i due anni di corso, nonostante le ore di assenza rilevate, responsabilità e attenzione a quanto proposto nel percorso didattico. La serietà posta ai processi 8 formativi proposti lo pongono, come studente meritevole di attenzione, anche nella prospettiva di una continuità formativa alla propria istruzione, che lo studente stesso ha rappresentato di volere percorrere. Come specificato in precedenza la percentuale delle ore di assenza (dovuta ad una serie di malattie e di fragilità nella salute), pongono lo studente in una situazione di criticità per l’accesso agli esami finali. È per questo che chiediamo di valutare l’opportunità, sentito il parere del Collegio dei Docenti e del Coordinatore del Corso, di derogare, nello specifico caso, al limite di assenze previsto dal Regolamento. Sicuri in un attento esame e fiduciosi in un positivo riscontro, porgiamo. Cordiali Saluti” Voglio mettere in evidenza che i corsi di formazione “biennali” sono rivolti in modo specifico a recuperare, ai percorsi di istruzione, proprio quei ragazzi (che hanno 17 – 18 anni), che per motivi diversi non sono riusciti ad inserirsi nei percorsi convenzionali dell’Istruzione (leggi: non rendevano abbastanza, facevano casino, troppe assenze, insomma una sorta di zavorra per la classe). Voglio poi ricordare che nel corso del precedente biennio, buona parte dei ragazzi che hanno superato l’esame hanno poi iniziato di nuovo a studiare iscrivendosi ad un Istituto per conseguire il diploma. Hanno percorso la “passerella” e si sono reinseriti nei processi formativi! Una laconica risposta ha rigettato la nostra richiesta. Ho poi saputo che da quando la provincia è commissariata per le dimissioni di Zingaretti, l’attuale dirigente è “di passaggio una volta alla settimana” per firmare, in quanto ricopre diversi incarichi e quindi, la risposta (a mio avviso frettolosa) redatta da una solerte funzionaria (la legge per la legge), è stata siglata. Oggi iniziano gli esami! Gio’, il nostro ragazzo, perderà un anno ... Grazie burocrati! Farete un Paese migliore, anche senza di Gio’. O no? Giugno 2013. Candido Coppetelli [email protected] Giovanni Enriques. Dalla Olivetti alla Zanichelli Storia di un italiano perbene Nei giorni prenatalizi mi è capitato tra le mani – omaggio della casa editrice Zanichelli – un’accoppiata libro-DVD di quelle che non si dimenticano facilmenStefano Beccastrini te. Il libro, intitolato Giovanni Enriques. Dalla Olivetti alla Zanichelli, l’ha scritto Sandro Gerbi, eccellente storico e giornalista, di cui avevo già letto Tempi di malafede, dedicato alla lunga e tormentata amicizia tra Eugenio Colorni - una delle più belle figure della filosofia e della scienza, oltre che della riflessione politica, dell’Italia del 900 – e Guido Piovene, narratore di sicuro valore (personalmente amo molto il suo Viaggio in Italia) ma dalla coscienza politica e morale alquanto ondivaga. Il film l’ha girato Luigi Faccini, amico di vecchia data (dal 1966, per la precisione) nonché valente scrittore, illuminato cineasta e teorico del cinema, uomo che stimo, ammiro e studio – anche scrivendo su di lui – da tempo. Un’occasione ghiotta, dunque, sia per il valore del soggetto biografato che dei due biografi, quello narrativo e quello filmico. Sia il libro che il film sono tali da interessare, appassionare, anche commuovere. In maniera sobria, senza patetismo né retorica ma semplicemente prestando nitore letterario e rigore cinematografico a una storia esemplare: quella di un uomo che ha saputo, a un tempo, essere di pensiero e d’azione, d’impresa e di sentimento, di cultura aziendale e di coerenza civile. Una volta, quando usare simili espressioni aveva un senso (ormai, in tempi un cui si affibbia da più parti, ossia dalle parti del servilismo giornalistico, l’epiteto di “grande statista” persino a Berlusconi, non ne ha più molto), si sarebbe potuto dire di Giovanni Enriques che fu “un grande italiano”. Nacque nel 1905, a Bologna, ove il padre insegnava geometria descrittiva e proiettiva all’Università. Era il grande Federico Enriques, una delle più straordinarie menti matematiche e filosofiche del nostro 900, sommo geometra (conservo gelosamente una vecchia edizione dei suoi – con Ugo Amaldi – Elementi di geometria, una delle opere più durature del catalogo Zanichelli), studioso di storia della matematica, acerrimo nemico dell’antiscientifico pensiero neoidealista di Croce e Gentile (si dà il caso che, accanto al computer su cui sto scrivendo queste poche ma sentite righe, sia poggiato un volume di Ornella Pompeo Faracovi, intitolato appunto Il caso Enriques. Tradizione nazionale e cultura scientifica, in quanto con mia moglie proprio in questo periodo sto scrivendo una storia della matematica, destinata agli insegnanti della scuola primaria, nella quale si parla anche del grande matematico livornese che a suo tempo, in quanto ebreo, venne cacciato dalla cattedra dal razzismo fascista). Giovanni si trasferì poi, seguendo il padre, a Roma ove si laureò in ingegneria. Divenne amico, per esempio, dei “ragazzi di via Panisperna”, Enrico Fermi compreso, che di quei ragazzi fu insieme il fratello maggiore e il giovane padre. Entrò nel 1930, chiamato dal fondatore Camillo, all’Olivetti, diventandone presto dirigente e costruendosi una casa – bell’esempio di architettura razionalistica – sul Monte Navale, proprio sopra Ivrea. Poi, negli anni della guerra, quando la famiglia Olivetti si rifugiò in Svizzera, fu nominato direttore generale dell’azienda. Perse, in quegli anni difficili, una piccola figlia e la moglie venticinquenne. Si impegnò nella Resistenza nel Canavese, rappresentando il Partito Liberale nella commissione economica del CNL del Piemonte. Nel dopoguerra, e precisamente nel 1952, lasciò l’Olivetti – per contrasti di vedute, con Adriano, sullo sviluppo aziendale: esse tuttavia non intaccarono il legame affettivo con l’azienda che tanto aveva contato nella sua vita - e si dedicò alla casa editrice Zanichelli (che aveva ereditato dallo zio assieme alla fabbrica di “penne a serbatoio” Aurora, quella il cui modello 888 fu la prima stilografica che, quando andai al Liceo, mi regalò mio padre, per il quale l’Aurora era un vero e proprio mi- to). Avrei voglia di parlare a lungo della Zanichelli, i cui libri, soprattutto quelli scientifici e scolastici, sono da tempo tra i migliori dell’editoria italiana (non a caso, con quello su Federico Enriques, accanto al mio computer c’è da settimane, per lo stesso motivo per cui c’’è l’altro, il bel Dizionario di matematica elementare di Stella Baruk) ma non vorrei farla troppo lunga. Di Giovanni ricorderò, ancora, solamente il fatto che nel 1954 abbandonò il PLI (“liberale di sinistra” e vicino al Mondo di Giovanni Enriques Mario Pannunzio, non si riconosceva più nella linea politica dettata da Giovanni Malagodi); che partecipò alla fondazione dell’IPSOA, istituto per la formazione dei futuri dirigenti aziendali di quella “nuova Italia” che gente come lui auspicava ma che probabilmente non è mai nata; ricoprì l’incarico di consulente dell’IMI (esso culminò nel progetto di costruzione, nei pressi di Alghero, dell’Hotel Capo Caccia - quello ove fu girata La scogliera dei desideri di Losey - nel quadro di una visione alquanto lungimirante di uno sviluppo economico del Meridione valorizzante l’ambiente, il territorio e dunque il turismo invece che l’industrializzazione siderurgica e petrolchimica che tanti danni ha inferto, nell’ultimo mezzo secolo, al destino di luoghi tra i più belli del mondo). Infine, la morte a Milano nel 1990 e la sepoltura nella “sua” Ivrea. Posto di fronte a un uomo simile, così attraente per la vena – etica come poetica, politica come cinematografica - che ha sempre ispirato il suo cinema, Luigi Faccini ha creato un’opera - fatta di interviste così come di paesaggi e di materiali fotografici e filmici d’archivio: alcuni, profondamente toccanti - davvero bella, che si guarda senza un attimo di distrazione e tanto meno di noia. Le corde consuete del cinema facciniano – l’umanesimo moderno, il culto per la memoria storica, l’antifascismo, l’amore per l’ebraismo laico, la passione scientifica ed educativa, l’indignazione di fronte ai soprusi, l’ammirazione verso chiunque faccia del rispetto degli altri una filosofia di vita sono tutte quante toccate e tutte quante chiamate a un’ennesima, solenne, orchestrazione filmica. Stefano Beccastrini 9 n. 15 Rassegne Passaggi d’Autore: intrecci mediterranei Un viaggio lungo dieci anni nelle culture del Mediterraneo La rassegna “Passaggi d’Autore: intrecci mediterranei”, nel 2014 compie dieci anni. Comincia la sua storia grazie al lavoro costante del Circolo del Cinema “Immagini” di Sant’Antioco, cittadina del sud Sardegna. Un laGianmarco Murru voro corale di passione e competenza, di intuizioni felici e volontà di creare cultura che fino ad oggi rappresenta un unicum nel panorama sardo. Una rassegna di cortometraggi che rappresentano uno spazio d’incontro tra culture, una pluralità di suoni e immagini che raccontano il Mediterraneo contemporaneo. Nata nel 2005 come rassegna di cortometraggi e documentari di autori sardi, a partire dalla seconda edizione, la manifestazione ha allargato il suo sguardo verso le cinematografie dei Paesi che si affacciano sul mare Mediterraneo. Nel corso delle varie edizioni numerosi sono stati i registi ospiti che hanno dialogato con il pubblico in sala. L’arte del cinema ha la capacità di creare memoria collettiva ancora più profondamente quando sono gli stessi autori a parlare dei loro film, instaurando un dialogo con un pubblico che ogni anno impara dall’altro qualcosa che in realtà era solo da riscoprire.L’edizione 2013 ha avuto in programma numerosi film di altissima qualità e tanti incontri con i registi provenienti da diversi Paesi del Mediterraneo. Cinque giorni in cui la cittadina sulcitana è diventata un importante centro di scambio culturale e confronto con le culture di altri Paesi.“Oltre le sbarre”, la serata di apertura, ha proposto un percorso di riflessione sul carcere e la detenzione con la proiezione dei tre documentari “A la limite…traces” di Kamel Regaya e Anne Toussaint, “Anche se non sono gigli” di Gianluca Nieddu e “Il riscatto” di Giovanna Taviani. I film hanno voluto rappresentare un cammino attraverso il quale partendo dall’interno del carcere, dallo scorrere della vita del carcerato come un susseguirsi di frammenti temporali ripetitivi, di gesti quotidiani comuni sia a chi sta dietro le sbarre che a chi sta dall’altra parte, ha poi mostrato il volto di alcuni detenuti che si interrogano sul proprio futuro, tra speranza e timore di non sapersi relazionare con la vita civile esterna. Fino al riscatto possibile, seguendo il percorso di Sal- vatore Striano da detenuto nel carcere di Rebibbia a protagonista del film dei fratelli Taviani “Cesare deve morire”, mostrandoci che la redenzione è possibile e l’arte è un mezzo straordinario perché ciò succeda.La serata dedicata al Paese ospite ci ha offerto uno spaccato della produzione di cortometraggi in Grecia. Organizzata in collaborazione con l’International Short Film Festival in Drama, la più importante manifestazione greca dedicata al cortometraggio, ha avuto come ospiti i registi: Vassilis Kalamakis, Spiros Charalambous, Jacqueline Lentzou, oltre a Sofia Georgiadou, in rappresentanza del Festival in Drama. I film proiettati ci hanno raccontato di una Grecia in crisi ma non vinta; anche se la crisi greca è assolutamente devastante, come spiega Sofia Georgiadou, “i giovani cineasti greci e ciprioti credono nel loro lavoro, si sacrificano e fanno dei lavori eccellenti”. Le tre serate finali di “Intrecci mediterranei”, il cuore della rassegna, sono state un contenitore di storie, uno spazio d’incontro tra culture, una pluralità di suoni e immagini che raccontano il Mediterraneo contemporaneo. Ancora una volta cortometraggi provenienti dalla Spagna, Francia, Tunisia, Egitto, Palestina, Israele, Libano, Kosovo, Croazia, Marocco, Algeria, Turchia, Italia sono sbarcati sull’isola sulcitana insieme ai loro registi, aprendo una finestra su questi Paesi, in un abbraccio fraterno tra culture e tradizioni differenti. Riproposto in questa edizione l’appuntamento col cinema ambientale con la sezione CortoAmbiente rivolta ai ragazzi delle scuole e organizzata in collaborazione con il Clorofilla Film Festival di Lega Ambiente. La rassegna cinematografica è stata preceduta da due laboratori di formazione nel campo delle attività cinematografiche. Il primo, “La traduzione audiovisiva: i sottotitoli per il cinema e la televisione”, ha permesso ad un gruppo di studenti universitari e liceali di cimentarsi nella traduzione del dialogo cinematografico e ha consentito al pubblico di poter vedere i film in lingua originale con i sottotitoli in italiano. Il secondo, “Critica il corto”, dedicato alla critica cinematografica, dopo un workshop tenuto in collaborazione con il Celcam dell’Università di Cagliari dal critico cinematografico Alessandro Stellino, ha dato l’opportunità ai partecipanti di cimentarsi nella recensione cinematografica dei cortometraggi proiettati nella rassegna. Gianmarco Murru Circolo del Cinema “Immagini” Sant’Antioco (CI) www.passaggidautore.it Premio “Franco Basaglia” a Valdarno Cinema Fedic Deadline 5 marzo Dalla 32° edizione di Valdarno Cinema Fedic, che si svolgerà a San Giovanni Valdarno (AR) dal 7 all’11 maggio, ci sarà un nuovo riconoscimento. Grazie alla collaborazione tra il Centro di promozione della salute Franco Basaglia di Arezzo e il festival verrà assegnato il “Premio Franco Basaglia”, del valore di 500 euro, “all’Opera che meglio rappresenti le tematiche della salute mentale nel nostro presente in Italia e nel mondo”. Ricordiamo che il bando per la partecipazione al Concorso scade mercoledì 5 marzo 2014. Il bando stesso, con tutte le indicazioni per iscrivere le opere e con la scheda di iscrizione, può essere reperito sul sito web della manifestazione, all’indirizzo www.cinemafedic.it. 10 [email protected] Essere donne nel cinema In viaggio con Cecilia Il divino amore della documentarista Cecilia Mangini nella bellezza e incoerenze della sua Puglia tra gli stabilimenti dell’Ilva e del bel mare, tra Brindisi e Taranto Un viaggio infinito, nel tempo e nello spazio. Cecilia Mangini, la prima nota documentarista Italiana, è ancora molto attiva e Adriano Silvestri porta bene i suoi 87 anni, che festeggia il prossimo 31 luglio. Il Metropolis Multicine di Mola di Bari, annuncia per lo scorso 24 febbraio la proiezione del documentario «In viaggio con Cecilia», con ospiti speciali le due registe Cecilia Mangini e Mariangela Barbanente, entrambe nate nella cittadina pugliese. È l’occasione per incontrarle, anche in vista della giornata internazionale della donna, celebrazione che solo in data 8 marzo 1946 è conosciuta in Italia, grazie all’idea di creare un simbolo, la mimosa, che fiorisce e colora questo periodo di fine inverno. Ma arriviamo all’estate del 1948, quando Duilio Coletti viene a girare a Cozze, frazione della stessa Mola di Bari, il film «Il Grido della Terra», con Andrea Checchi e Marina Berti e un cast internazionale, con Pietro Sharoff, Peter Trent e Andrea Bosic. Gli altri attori coinvolti portano i nomi di: Vittorio Duse, Carlo Ninchi, Elena Zareschi, Vivi Gioi, Nerio Bernardi, Filippo Scelzo, Cesare Fantoni, Renato Bossi, Wanda Capodaglio, Luigi Tosi, Alfredo Varelli, Alessandro Fersen. Due interpreti, Arnoldo Foà e Cesare Polacco, lavorano all’epoca a Radio Bari. Nella pellicola debuttano il barese Claudio Perone ed il leccese Nino Marchesini, marito di Italia Marchesini. Fanno da comparse alcuni ex profughi del campo clandestino, realmente allestito nelle campagne che, da Cozze e da Mola di Bari, salgono verso le colline di Conversano. Tutta la zona è coinvolta in quest’opera filmica. E, proprio nel primo dopoguerra, scorre la vicenda umana e professionale della filmaker pugliese: compie i suoi viaggi a Firenze e lascia la sua cittadina, dove il cinematografo “Orfeo” è l’unico in funzione, ma è adibito a sala di proiezione anche il piccolo teatro, aperto sin dal 1887, poi intestato al musicista Niccolò Van Westerhout, e - dopo ancora - visto in tv in «Tutta la musica del Cuore» (funge da teatro interno al Conservatorio musicale, in cui è allestita la miniserie trasmessa su Rai1 lo scorso anno). Poi il trasferimento a Roma nel 1952. Qui la vita è incentrata sull’incontro con molti intellettuali, che scrivevano i testi per il cinema, in particolare Vasco Pratolini e Pier Paolo Pasolini. «Il cinema documentario colma il vuoto lasciato dal neorealismo e ne raccoglie le istanze per indagare la realtà: questa deviazione coincide con lo sviluppo di nuovi linguaggi, in contemporanea alla nascita della televisione, che arriva direttamente al pubblico», come ricorda An- lunga esperienza e la divide in tre stagioni: la gela Bianca Saponari, che apre a Bari il ciclo di prima indaga sulle periferie e sugli aspetti incontri, riservati alla regista in questi giorni, marginali ed etnografici della società, sulla con una rassegna retrospettiva, mentre ricor- base della lezione del cinema sovietico; la sere il centenario della nascita di Vasco Pratoli- conda descrive il processo di industrializzani e, per l’occasione, la Mediateca di Bari pro- zione del sud negli anni del boom e l’impatto pone, tra i film dedicati all’autore, «La Firenze sulla sua terra, sulla vita degli uomini e anche di Pratolini» (1959). La grande regista torna a sui rapporti con le donne; l‘ultima è una fase dirigere un suo documentario, dopo «La bri- storica e politica, con la ricerca attenta di maglia sul collo» (1974), ed apre l’ultimo Festival teriali d’archivio in Francia. Ma scopriamo dei Popoli a Firenze con «In viaggio con Ceci- una ulteriore fase, quella dei viaggi infiniti, lia», realizzato con la Barbanente. Entrambe guardano all’industria che riscatta un territorio, che lo trascina fuori dalla sua dimensione arcaica, ma lo pone in un presente pieno di contraddizioni sociali. Raccontano com’è cambiata la terra d’origine, e contrappongono tempi e luoghi, con le tremanti immagini degli archivi in bianco e nero, che si alternano ad un presente, raffigurato a colori (foschi), mentre a Taranto esplode il caso dell’Ilva. Le due donne condividono la propria Città natale con un altro regista, Francesco Laudadio, scomparso nel 2005, fratello di Felice, il loro concittadino fondatore del Cecilia Mangini (foto di Valentina Durante) Bif&st. La Barbanente dichiara: «Il film è cambiato in corsa, perché che non finiscono mai: e allora ecco Cecilia la realtà ci ha sorpreso. Siamo partite con l’i- Mangini intraprendere un nuovo viaggio per dea di raccontare come un territorio è mutato girare il documentario con la giovane Barbain cinquanta anni – in un confronto tra due nente e poi, ancora, un altro viaggio, per presguardi diversi e grazie alla testimonianza dei sentare nelle sale della sua Regione quest’opedocumentari girati da Cecilia negli anni Ses- ra. Eccola a Bari, poi organizzare serate di santa – ma, quando siamo arrivate a Taranto, «Incontro con l’autore» a Brindisi, terra dei e poi a Brindisi, le due città, seppure in modo suoi primi documentari («Brindisi ’66 » e differente, si sono rivelate un laboratorio di «Tommaso» che Marco Bertozzi cita a lungo ciò che stava succedendo nell’intero Paese. E nei programmi di Rai Storia dedicati ai docucosì ci siamo buttate nella mischia: abbiamo mentari italiani), a Taranto (ricorda «Essere parlato con le persone che incontravamo, ci donne», 1965), a Calimera nel Salento di siamo confrontati con la loro storia. E il no- «Stendalì. Suonano ancora» (1960). E proprio stro viaggio da fisico è diventato emotivo. Un in questa parte della regione, la Festa del Civiaggio fatto di memorie passate, testimo- nema del Reale nelle sale del Castello Risolo a nianze presenti e riflessioni». Una delle figure Specchia la scorsa estate l’ha voluta celebrare più significative della storia del cinema italia- con la proiezione di «Divino Amore» (1961). no, la madre del documentario in Italia: ancora la professoressa Saponari inquadra la sua Adriano Silvestri 11 n. 15 Addio, cara vecchia pellicola Il ragazzino che, in quadrato al grande schermo “Cinemascope”; “Nuovo Cinema Pa- il dolby-surround, il 3D e così via…Tutti camradiso” di Peppuccio biamenti “visibili”, come si diceva: il passagTornatore, trasporta gio dalla pellicola al digitale, invece, è un camcon la bicicletta la biamento, per così dire, “nascosto”; ma fa “pizza” di un film da parte del progresso della tecnologia con cui un paese all’altro, da non può non fare i conti un’arte che è nata ed un cinema all’altro, è andata avanti grazie al collegamento stretrappresenta emble- tissimo con i mezzi tecnici (cinepresa, pellicomaticamente un ci- la, proiettore, schermo, diffusori acustici, Nino Genovese nema che, ormai, ecc.). Il problema più rilevante per la pellicola, non esiste più. Infatti, dal 1° gennaio 2014, le però, era la possibilità di bruciarsi. Nella stoproiezioni non dovrebbero più avvenire attra- ria del cinema si ricorda il famoso incendio verso la pellicola di celluloide, ma in digitale, e del Bazar della Charitè a Parigi, avvenuto il 4 i vari locali cinematografici hanno dovuto at- maggio 1897 (siamo proprio agli albori del citrezzarsi, andando incontro a un notevole di- nema), quando le attrezzature del proiezionispendio economico. Si tratta davvero di un sta presero fuoco, causando la morte di ben cambiamento epocale, di cui si sono accorti, però, solo i gestori dei cinema e i “proiezionisti”, dal momento che per lo spettatore non è cambiato assolutamente nulla: il digitale ha raggiunto una tale perfezione che ciò che si vede sullo schermo ha un livello qualitativo simile (se non addirittura superiore, in alcuni casi) a quello che si vedeva prima, quando le immagini si animavano attraverso il nastro di celluloide che l’abile proiezionista inseriva nel proiettore, dando vita a un rito rimasto sostanzialmente immutato ininterrottamente dalla Una vecchia cabina di proiezione nascita del cinema fino ad oggi. Infatti, la vecchia pellicola – mandata 126 persone: tragedia che fece parlare dei peadesso in soffitta – ha compiuto il suo dovere ricoli del cinema e, addirittura, della sua per oltre un secolo e, in ogni caso, non morirà “proibizione”. Ed anche in tempi più recenti del tutto, mentre il cinema è vissuto grazie a vi sono stati altri incendi, ma con danni semqueste “pizze” che venivano materialmente pre più esigui e limitati, soprattutto grazie trasportate da un posto all’altro. E sì che esso, all’invenzione della pellicola “ininfiammabinel corso della sua breve/lunga storia, di cam- le”: svolta fondamentale per far cessare un pebiamenti ne ha vissuto davvero tanti, tutti, ricolo incombente, emblematicamente rapper così dire, facilmente individuabili e “visi- presentato dall’incendio della pellicola nella cabina di proiezione di “Nuovo Cinema Paradiso”, che sfigura e rende cieco il vecchio proiezionista, ormai impresso nella memoria con le fattezze e l’espressività di Alfredo, interpretato da Philippe Noiret, mentre quello di Salvatore, interpretato da Totò Cascio, rappresenta tutti i bambini e i ragazzini attratti irresistibilmente dal mondo del cinema, con la sua mirabile commistione di realtà e fantasia, di verosimiglianza e di onirismo. Infatti, dal 1954 in poi, le pellicole non sono più di celProiettore digitale per cinema luloide, ossia di nitrato di cellulosa, ma di triabili”, oltre che di grande impatto sulla gente. cetato di cellulosa o poliestere, che, se viene Innanzitutto, il passaggio epocale dal muto al bruciato, fa un po’ di fiammella, ma si spegne sonoro; poi il passaggio graduale dal bianco e subito senza che il fuoco abbia la possibilità di nero al colore e dal tradizionale schermo propagarsi; ed è il poliestere ad essere usato 12 tuttora per la fabbricazione delle pellicole: solo che, dopo la chiusura della giapponese Fuji e della Technicolor, è rimasta, in pratica, solo la Kodak a produrre pellicole. Certo, il passaggio sta avvenendo gradualmente; ci sarà ancora un periodo di “interregno”, in cui pellicola e digitale convivranno, così come ci saranno i registi “puristi”, che continueranno a filmare in pellicola: finché sarà possibile. Ma è una lotta impari e il processo, ormai avviato (e sancito per legge) è ormai irreversibile!...Vantaggi e svantaggi esistono in tutte le cose di questo mondo; ma i vantaggi del digitale (a parte, forse, una minore resa cromatica) sono, indubbiamente superiori sia dal punto di vista economico che della praticità, della distribuzione e – soprattutto – della durata del supporto, nettamente superiore rispetto alla pellicola, anche se può capitare, talora, che il meccanismo si inceppi e non ne voglia sapere di andare avanti… Quindi, con un pizzico di tristezza e commozione, ma anche con razionale consapevolezza, non possiamo che salutare la nostra cara, vecchia pellicola. Addio a un cinema fatto di tante piccole cose; addio ai fotogrammi tagliati, che i ragazzini appassionati di cinema raccoglievano e collezionavano; addio alle rumorose e vissute proiezioni nei locali di seconda visione o nei pittoreschi “pidocchietti” di terza visione e oltre, con le scene che saltavano di punto in bianco, o con i tempi (quando capitava che i film venissero divisi in tre parti) montati in maniera sbagliata; addio alla pellicola che si bruciava di colpo con una vistosa macchia giallo-arancione che si espandeva sullo schermo (ma senza fare altri danni), oppure si rompeva, con un rapido incollaggio degli spezzoni da parte del proiezionista, sotto l’incalzante vocìo del pubblico impaziente; addio alle pellicole talmente rovinate e rigate che, in alcuni punti, sembrava piovesse a dirotto anche quando sulla scena splendeva il sole! Tutto ciò non esiste (e non esisterà) più; ma il cinema, sia pure in altre forme e con altre modalità, per fortuna sì, pronto ancora ad emozionarci, ad attrarci e a sedurci, come il melodioso canto delle Sirene fece con Ulisse alla ricerca costante di nuove avventure ed esperienze. Nino Genovese Critico e storico del cinema, giornalista pubblicista, saggista, già docente di “Storia e critica del cinema” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Messina; socio dell’ “Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema”, del “S.N.G.C.I.” e del “S.N.C.C.I.” di Roma, oltre che Socio “onorario” del Museo del Cinema di Torino. Si è occupato (e si occupa) di ricerche nell’ambito del cinema in Sicilia, di cinema muto, di rapporti fra letteratura, storia e cinema; è autore di un’infinità di articoli, di numerosissimi saggi e di diversi libri. È Presidente del Cineforum “Don Orione” di Messina aderente alla FICC. Collabora al quotidiano “Gazzetta del Sud”, alla rivista culturale “Moleskine” e alle riviste specialistiche “CinemaSud” e “Quaderni di CinemaSud”, “CinemaSessanta”, “Immagine” e altre. [email protected] Federazione Italiana dei Cineforum, Bergamo 19-20-21 settembre 2014 Verso il LXII Consiglio Federale della FIC Il cinema, l’organizzazione e i progetti di una delle nove associazioni di cultura cinematografica L’ultimo weekend di settembre, come oramai tradizione, la Federazione Italiana dei Cineforum si ritrova con i rappresentanti dei propri circoli ad approfondire le tematiche legate al cinema e alla propria vita interna. E’ questa l’ocEnrico Zaninetti casione per coniugare momenti di studio con spazi di confronto sulle iniziative dei cineforum e sulle proposte che provengono dalla segreteria. Per il secondo anno consecutivo tale consiglio si terrà a Bergamo spostando il tradizionale appuntamento dalla riviera romagnola per poi approdare a Firenze e quindi ritornare al luogo ove sono concentrate le maggiori attività della federazione. Lo studio del cinema è stato affidato per molti anni al Presidente Bruno Fornara che ha contribuito a fare di questo appuntamento un momento particolarmente atteso per chi, vuoi per lavoro nelle scuole o per diletto personale con gli associati, era alla ricerca di nuovi stimoli nell’affrontare una materia così vasta come la storia del cinema. Dallo scorso anno il tradizionale corso “vedere e studiare il cinema” si è focalizzato sulla figura dell’attore grazie alla collaborazione di alcuni docenti universitari coordinati da Nuccio Lodato. Per settembre la squadra dovrebbe allargarsi e inserirsi in un progetto che vede la partecipazione del Centro Ricerche Attore e Divismo del DAMS di Torino, del Museo Nazionale del Cinema, la Cineteca Nazionale, la Cineteca di Bologna, l’ Università di Firenze oltra a quella di Bergamo e Pavia. In particolare, ricorrendo il 90° anniversario della nascita, il progetto vorrebbe indagare sulla figura di Marcello Mastroianni e sulle influenze dello stesso durante una lunga stagione del cinema italiano e non solo. Ma, come si ricordava innanzi, il Consiglio federale è anche l’occasione per fare il punto su una Federazione che, come tutte le altre associazioni di cultura cinematografica, ha subito sostanziali tagli dei contributi da parte del Ministero dello Spettacolo con gravi ripercussioni sulla diffusione della cultura stessa attraverso l’operato dei circoli. La maggior parte del bilancio della Federazione è assorbita dalla rivista Cineforum, senz’altro la pubblicazione di critica cinematografica più importante e costante nel nostro paese. I tagli hanno costretto a una totale revisione dei costi e, grazie anche ai molteplici sacrifici, la rivista è stata editata con la consueta continuità. Ma, come tutte le riviste, ora si trova a confrontarsi con l’editoria elettronica e la distribuzione alternativa. Il formato pdf della rivista inizia a dare qualche risultato ma la vera sfida rimane la frequentazione del sito “Cineforum Web”, uno dei siti che, partito da pochi mesi, si è già affermato per numero di contatti e qualità della informazione critica, offerta sia in occasione dell’uscita dei film che in collegamento con i maggiori festival. Anche il sito della Federazione è a pieno regime e si pone l’obiettivo di diventare uno strumento utile per dare maggiore visibilità anche all’attività dei circoli. Rilevante è inoltre il lavoro del Lab 80 film sia sotto il profilo della organizzazione di eventi (basti citare un appuntamento importante e molto frequentato come il Bergamo Film Meeting) che della distribuzione di qualità. Da qualche anno si è passati dalla distribuzione di pellicole singole a “pacchetti” temporanei di film e una particolare attenzione è stata data alla rassegna “al cuore dei conflitti” organizzata dalla FIC in collaborazione con Lab 80. La rassegna, oramai giunta alla quinta edizione, è già stata ospitata in diverse città italiane e si caratterizza sia per la qualità delle opere presentate (quest’anno è il caso di tre lungometraggi e due documentari provenienti dai maggiori festival) che per il respiro internazionale delle tematiche. Insomma un Consiglio Federale che dovrà fare il punto sui risultati di una sfida costante tra il mantenere la qualità delle proposte e riuscire a non morire per strangolamento economico. Per questo la ripresa dell’iniziativa da parte delle 9 associazioni di cultura cinematografica che ha prodotto anche interrogazioni parlamentari viene salutata dalla FIC con grande interesse sperando che la stessa porti a risultati che permettano la continuazione del lavoro culturale della federazione e dei circoli. Enrico Zaninetti Segretario FIC FIC – Federazione Italiana Cineforum in collaborazione con Laboratorio 80 e Lab 80 film presentano Al cuore dei conflitti Rassegna cinematografica | V edizione Visioni e riflessioni sui conflitti geopolitici, ma anche urbani, razziali e di genere, che assillano numerose zone del pianeta. Film per scoprire storie poco conosciute, attraverso gli occhi di chi questi conflitti li ha vissuti o li vive tuttora sulla propria pelle. Protagonisti della V edizione della rassegna Irlanda del Nord, Palestina, Bosnia e Indonesia. “Per capire un conflitto o una rivalità geopolitica, non basta precisare e cartografare le poste in gioco, bisogna anche cercare, lo si è visto – soprattutto quando le cause sono complesse – di comprendere le ragioni, le idee dei suoi principali attori: capi di Stato, leader di movimenti regionalisti, autonomisti o indipendentisti, eccetera. Ciascuno di essi esprime e influenza a un tempo lo stato d’animo della parte di opinione pubblica che rappresenta. Il ruolo delle idee - anche se sbagliate – è capitale in geopolitica. Sono esse a spiegare i progetti e a determinare la scelta delle strategie, certo insieme ai dati materiali.” FIC Lab 80 film Via Pignolo, 123 - 24121 Bergamo Tel. +39 035 342239 // Fax +39 035 341255 [email protected] www.lab80.it // www.alcuoredeiconflitti.it 13 n. 15 Un circolo del cinema italiano all’estero Promozione e diffusione della cultura Italiana in Germania Presente a Monaco di Baviera da 34 anni il circolo Cento Fiori L’associazione culturale Circolo Cento Fiori (CCF) è ormai parte integrante della scena culturale della città Bavarese e punto di riferimento non solo per i connazionali ma anche per i molti simpaAmbra Sorrentino tizzanti tedeschi. Il cirBecker colo, nato nei primi anni ‘80 sull’onda del 68, con la volontà di incidere nella società tedesca, si prefisse fin dall’inizio varie attività più o meno impegnative che operavano in campo sociale e politico e coinvolgevano gli italiani che risiedevano a Monaco. Quasi subito nacque anche la squadra di calcio US. CCF. (Unione Sportiva Circolo Cento Fiori) che partecipò a tornei e campionati calcistici. Il cinema fu fin dall’inizio la sua attività principale, direi quasi „storica“. Allora i centofioristi andavano a prendere personalmente le pellicole sobbarcandosi spesso a lunghe attese al freddo e notevoli sacrifici finanziari pur di ottenere la pizza. Quindi anche allora, seppure in altri termini, c’erano enormi difficoltà. Era forse più facile contattare gli autori non ancora “famosi” che erano ben lieti di uscire dai confini nazionali. Oggi esiste un monopolio nella distribuzione, è diventata un’impresa complicatissima per associazioni piccole come la nostra procurarsi i film dall’italia. Non parliamo poi dei costi per il noleggio... Ma ritorniamo agli albori del circolo. Nel mare delle offerte della città Monacense riuscimmo a ricavarci una nicchia tutta nostra proiettando ogni domenica film in lingua italiana di registi impegnati. Con il passare degli anni l’attività cinematografica si é dilatata. La collaborazione con le istituzioni tedesche é aumentata. Nel 1991 il circolo Cento Fiori entrò a far parte della Federazione dei Circoli del Cinema della città di Monaco (Filmstadt Munchen e.V.) che proponeva rassegne di ciCollage di alcuni programmi CCF nema d’autore a sfondo storico, politico e sociale e nel 1994 si iscrisse al registro delle Associazioni della città di Monaco. Negli anni 2000 il circolo diventava membro anche della Federazione italiana dei Circoli del Cinema (FICC). Questo rinnovamento ha cause ben precise riconducibili sia a una 14 svolta dell’ Associazionismo italiano che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ‘90 ha vissuto un periodo di crisi, sia alle decisioni prese dalla città di Monaco che alla fine degli anni ’90, coordinò tutte le iniziative legate all’integrazione attraverso un ufficio unico (Stelle für interkulturelle Zusammenarbeit) e nel suo programma riconosceva e valorizzava la diversità culturale apportata dai migranti che era finalmente vista come una ricchezza propria delle città europee in un contesto globale. In questo modo il circolo, pur rimanendo ancorato nella comunità italiana, si aprì alla città cui offrì le proprie competenze e i propri servizi. In questo periodo la popolazone d’italiani a Monaco era costituita da 20.100 persone. Il Circolo Cento Fiori quindi diventò il principale organizzatore delle rassegne di cinema italiano a Monaco e partecipò insieme alle associazioni del cinema greche, turche, spagnole e francesi alla realizzazione delle “Giornate del cinema dei paesi del Mediterraneo”, evento ricorrente ogni due anni. Il cinema è stato ed é sicuramente la punta di diamante delle iniziative del circolo. Le sue rassegne spaziano in tutti i campi, dalle retrospettive, alla scoperta e circuitazione di opere cinematografiche che ci sembra meritino di essere conosciute, al cinema regionale. Ha però, continuato per tutti gli anni novanta e duemila a organizzare incontri e dibattiti su temi d’attualità quali: • Cittadini in Europa, la comunità italiana partecipa alle elezioni comunali di Monaco. Incontro con i candidati. • Facciamo la pace: un progetto interculturale e trasversale per promuovere iniziative di pace. • Incontri tematici sulla Globalizzazione, sulle Religioni nel XXI Secolo, sulla Cultura della Differenza, sulla Sinistra in Italia e in Europa. • La giustizia in Italia: intervista pubblica con il giudice Gian Carlo Caselli. • I Partigiani: Mostra fotografica. Collaborazione alle manifestazioni collaterali insieme a varie istituzioni tedesche. • Incontro con Francesco Guccini, cantautore, poeta, testimone di un’epoca. • Incontro con il giornalista Giulietto Chiesa sull’Informazione: il caso del rapporto del Congresso degi USA sugli attentati dell’11.9.2001. • Un’Altra Italia: iniziative e manifestazioni (concerti, film, conferenze) per sostenere e promuovere una cultura della legalità e pre- sentare alcuni suoi protagonisti. • Un’Altra Italia: presentazione dell’associazione Emergency. Incontro con la presidente Cecilia Strada e con il medico Marco Garatti sulle attività a favore delle vittime civili di guerre e della povertà nel mondo e in Italia. • Un’Altra Italia: L’immagine della donna in Italia: Incontro con la scrittrice Lorella Zanardo e con Serena Romano di Corrente Rosa e presentazione dell’organizzazione “Se non ora quando?“ Soprattutto Un’Altra Italia (UAI) merita un approfondimento. Questo movimento nato nel 2009 nell’ambito del circolo Cento Fiori ed estesosi, grazie al sostegno di altre associazioni e singoli cittadini, esprime la consapevolezza degli associati del ruolo centrale non solo nei confronti della comunità italiana e della città di Monaco ma anche nel ritorno d’immagine giocato nei confronti dell’Italia attraverso le iniziative organizzate all’estero. Ne é espressione e portavoce, ancor più se si pensa che la comunità italiana dal 2009 ha ricominciato a crescere e il nuovo flusso migratorio che coinvolge tutte le categorie occupazionali, messo in moto dalla recente crisi economica e politica, ha fatto registrare nel 2013 la presenza di 23.500 italiani. Un’ Altra Italia è nata in un periodo in cui la stampa internazionale trasmetteva un’immagine dell’Italia alquanto negativa. Il Rubygate, la corruzione politica, gli abusi di potere, la strage di Duisburg che rese visibile la presenza della Ndrangheta in Germania, il problema dell’immondizia a Napoli, tutti questi temi ci avevano stimolato a prendere una posizione, a informare sulla criminalità organizzata ma anche e soprattutto a parlare dell’altra Italia, quella dei cittadini onesti. Così abbiamo invitato associazioni come Libera, Addiopizzo e Avviso Pubblico e personalità impegnate nella lotta contro la mafia come il sostituto procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri e la parlamentare europea Rita Borsellino. Abbiamo sostenuto il progetto Libera Terra di Don Ciotti e siamo riusciti ad aprire un punto vendita, qui a Monaco, dei prodotti di Libera Terra che é nella Balanstr. 25 e si chiama Trinacria. Il nostro prossimo progetto si concentrerà sul tema scottante dell’immigrazione in Italia e in Europa e cercherà di focalizzarlo nei suoi vari aspetti e fasi. È in progettazione e lo porteremo avanti per vari mesi. Il cinema sarà ancora una volta di supporto a questa iniziativa offrendo un punto di partenza e una solida struttura per suscitare emozioni, sensibilizzare, e stimolare discussioni. Ambra Sorrentino Becker Responsabile cinema del Circolo Cento Fiori e.V. www.centofiori.de Monaco di Baviera [email protected] 21-23 febbraio Montecatini Riunito il Direttivo e l’Assemblea dei Presidenti della Fedic Senso di appartenenza, giusto abbinamento tra momenti di svago e impegni istituzionali, serenità e amicizia ha contraddistinto la riunione annuale della Fedic Il 22 e 23 febbraio ha avuto luogo a Montecatini (PT) l’Assemblea Annuale dei Presidenti FEDIC, preceduta (il 21) da una Riunione del Consiglio Nazionale. Durante il viaggio di ritorno ho chiesto Roberto Merlino a mia moglie un parere su quanto avesse visto e la sua risposta è stata: “Gli altri anni c’era un incontro di Cineclub FEDIC; quest’anno ho visto una vera riunione FEDIC”. Poi, vedendomi perplesso, si è affrettata a “tradurre”: “Fino all’anno scorso c’erano i singoli Club, spesso in conflitto e senza una vera meta comune, in questi giorni ho visto un unico gruppo-FEDIC, con un chiaro senso di appartenenza, in un clima sereno, col piacere di ascoltarsi e gioire delle cose buone fatte dagli altri”. Domandandomi il “perché” di questa svolta, mi son tornate alla mente le parole del Vicepresidente Giorgio Ricci (“L’atmosfera costruttiva e propositiva è stata determinata dai fatti concreti che abbiamo realizzato e dai risultati raggiunti”) e della Segretaria Vivian Tullio (“Credo che l’ottima riuscita sia dovuta anche all’abbinamento tra momenti di svago ed impegni istituzionali”). Sulla riunione di Consiglio non c’è molto da dire, se non che si è protratta fino alle due di notte, per poter sviscerare i molti argomenti all’ordine del giorno e presentare in Assemblea dati chiari e proposte concrete. Il giorno successivo, sotto il coordinamento del Consigliere Pierantonio Leidi, è entrato in funzione un piccolo stand con programmi, bandi, riviste cinematografiche, ecc. Tra i responsabili dei vari Cineclub, che in quel contesto potevano pubblicizzare i loro “eventi”, si è distinto Ettore Di Gennaro che ha dato una dimostrazione pratica de “Il grande gioco dell’OsCArs”, realizzato dal suo Cineclub (3D di Parma) e messo a disposizione di tutti. Il clima caldo e amichevole ha coinvolto anche i nuovi arrivati e Mario Ciampolini, Presidente del Cineclub Fotovideo Genova (new-entry con 50 anni di attività alle spalle!), ha detto: “Mi aspettavo un ambiente austero e formale, invece ho trovato cordialità e familiarità”. Il passo successivo è stato quello della proiezione: nella sala (attrezzata dal Direttore Tecnico Antonio Tosi, con la fattiva collaborazione del Consigliere Alessandro Casola) sono stati presentati quattordici cortometraggi, provenienti da altrettanti Cineclub. Gli spettatori sono stati invitati, in una sorta di concorso interno, a redigere critiche dei film visti, nell’intento di realizzare una pubblicazione che le contenga. Dopo un coffee break, allietato con musiche da film eseguite al pianoforte dal Maestro Sergio Brunetti, è iniziata l’Assemblea vera e propria, con relazione del Presidente e, a seguire, di tutti i Responsabili dei diversi “settori” FEDIC. Ne è uscito un quadro realistico della gran mole di attività svolta. Il neo-Presidente del Cineclub “Giovanni e Mino Crocé” di Milano, Pino Ippolito, ha detto: “All’inizio ero un po’ scettico. Ora devo constatare che si lavora moltissimo e non si può che condividere quanto è stato fatto”. Marcello Zeppi, Presidente del neo-arrivato “Cineclub Firenze”, ha parlato di “una bella squadra in continua crescita”. Beppe Rizzo, Autore “storico” e Presidente del Cineclub di Alassio, ribadendo la Sabbatini, grazie ai contributi provenienti da vari Cineclub. Il lavoro è stato molto apprezzato, perché rappresenta una documentazione gradevole e variegata dell’attività svolta nelle nostre “periferie”. Non sono mancati momenti di coinvolgimento emotivo, specie in un “omaggio a Maddalena Beltramo” (che era “ospite d’onore”) e nella visione dei lavori con i bambini, realizzati da FEDIC Scuola, sotto la direzione della Responsabile Nazionale Laura Biggi. Tra i commenti finali, mi piace ricordare le parole di Pio Bruno, Presidente del Cineclub Cagliari, per la prima volta presente all’Assemblea dei Presidenti: “Ho notato una valida organizzazione, volta a mettere i partecipanti a proprio agio. Mi ha colpito la massima trasparenza sotto tutti i punti di vista. Vedo un rapporto che si annuncia fruttuoso”. Tavolo della presidenza, da sx Antonella Citi, tesoriera; Giorgio Ricci, vice presidente; Dopo la distribuzione Roberto Merlino, presidente; Vivian Tullio, segreteria. (foto di Simone Carozzo) delle compilation (particolarmente ricca!), è ribontà del lavoro svolto, ha auspicato “tanti an- preso il dibattito tra Presidenti. Fino all’ora di ni di buon cinema e sincera amicizia”. Al ter- pranzo. Al momento dei saluti… non sono mine delle relazioni c’è stata l’approvazione mancate le lacrime. E ritengo che questo sia il del bilancio, presentato dalla Tesoriera Anto- più bel commento conclusivo. nella Citi la quale ha poi dichiarato che “quello Roberto Merlino che è nato come un lavoro, sta diventando un Presidente FEDIC gioco appassionante, in piena serenità ed amicizia”. Dopo la pausa cena, è ripresa l’Assemblea con una serie di “aggiustamenti” al Regolamento Interno, volti a premiare i comportamenti “virtuosi” dei Soci e dei Cineclub. Tutto è stato approvato all’unanimità, tanto che il Revisore Pino Ippolito, tra il serio e il faceto, ha detto: “Se siamo d’accordo su tutto non c’è più gusto, non c’è contraddittorio!” Sempre nella parte serale dell’Assemblea, purtroppo, si è dovuto procedere alla “revoca di qualità di Socio a tre Cineclub”. Una decisione sofferta ma dovuta, nel rispetto della Federazione, del Consiglio e di tutti i Cineclub che rispettano le regole. Poi… ampio spazio alla voce dei Presidenti, con proposte, suggerimenti, richieste, ecc. La mattinata successiva è iniziata con l’attesa proiezione del “Videogiornale FEDIC 2013”, un filmato di 67’ minuti, mira- Il Maestro Sergio Brunetti al pianoforte (foto di Simone bilmente realizzato dal Consigliere Giorgio Carozzo) 15 n. 15 Le Grandi donne Alberto Giacometti e la scultura Dal 5 febbraio al 25 maggio 2014. Galleria Borghese, Roma La Villa Pinciana, nobile palcoscenico di celeberrime sculture del Rinascimento e del Barocco con sommi esempi dell’epoca greca e romana, accoglie in questo periodo la fascinosa interpretazione statuaria Giovanni Papi della figura umana di uno dei più grandi del ‘900: Alberto Giacometti nato all’inizio del secolo (1901) in Svizzera e figlio d’arte, il padre Giovanni (1868-1933) era un noto pittore post impressionista e farà del tutto per soddisfare le precoci e evidenti inclinazioni del figlio verso l’attività creativa. Alberto ebbe sempre parole d’amore verso tutta la sua famiglia: “Io non posso immaginare un’infanzia e una gioventù più felici di quelle che ho vissuto con mio padre e tutta la mia famiglia, mia madre, mia sorella e i miei fratelli”. Nulla della sua formazione compreso il suo viaggio in Italia nel 1920/21, che lo incantò profondamente, prima a Venezia, poi a Firenze, Assisi e Roma, mostrerà la sua indagine bruciante e vitale della figura umana, scavandone l’anima fino a lasciarne “impronte laviche”, fuse dalla forza tellurica, nelle superfici esteriori delle sue sculture: è la tragedia della modernità e il suo sentimento esistenziale. Il grande talento di Giacometti si manifestò a soli diciassette anni e dopo il viaggio in Italia decide di trasferirsi a Parigi subendo da subito l’influenza della scultura postcubista. Ogni artista come ogni uomo è legato inevitabilmente al proprio tempo e Giacometti visse il suo avvertendo come contemporanea tutta l’arte del passato, di tutte le epoche “come se il tempo prendesse il posto dello spazio”. La sua arte per molti aspetti ha delle forti caratteristiche “primordiali” ed è attualissima nello stesso tempo. In particolare le opere della fine degli anni venti si rifanno incredibilmente all’espressione formale degli idoli cicladici della grande madre. Certo ci sono millenni di differenza e questa analogia può far sobbalzare - la plasticità delle statuine primordiali ha una grande fisicità, quelle di Giacometti sono plasmate in “negativo” , come se fossero “disincarnate” - ma entrambe si rifanno all’essenza stessa della forma primaria del femminile. Basta guardare Donna sdraiata (Femme couchèe) del ’29 o Donna cucchiaio (Femme cuillère) del ‘27 e confrontarle con gli idoli femminili a forma di viola delle isole Cicladi del III millennio a.C. Anche Femme couchèe qui reve del ’29 che Giacometti riprende dall’amico Lipchitz Femme couchèe et guitare del ‘28 si rifanno entrambe a quelle figure arcaiche. Già nel titolo Donna cucchiaio si svela uno dei misteri del 16 femminile: quello del nutrimento. E l’altro Donna sdraiata e chitarra ne esprime la compenetrazione della forma atavica della donna “espressa” nella silouette della chitarra. Molta letteratura artistica del XX secolo, nella diversificazione delle tante espressioni, parla dell’influenza della forma “primitiva” nelle Avanguardie storiche, per via dell’arte africana raccolta nel museo parigino e frequentato nei primi anni del secolo da Matisse, Picasso, Derain. Nessuno però ha tenuto in evidenza l’influenza delle forme primordiali della Grande Madre che rielaborate “ritornano” nella scultura del Novecento. La figura femminile del tardo neolitico trovata nella Francia meridionale, la ritroviamo in modo impressionante, forse una copia, nella scultura la Couple che Giacometti realizza nel ‘27. Siamo d’accordo con il nostro scultore: tutta l’arte, fin dagli albori, deve essere intesa come contemporanea e bisogna ricordarlo ai nostri politici e amministratori dato che è attraverso il moderno che noi possiamo valorizzare tutta l’arte della nostra storia: il contemporaneo ne è solo l’ultima archeologia. La figura umana, per lo più isolata, domina i contenuti dell’artista “italiano”, occasionalmente limitata alla testa e al busto, rimanendo comunque sempre un artista figurativo. Evocativa è la scultura Tète che regarde segnata soltanto da due brevi incisioni scavate: una in verticale e l’al- Femme couchée qui rêve (1929) tra orizzontale; e la successiva Donna che cammina II del ’32-36 affusolata e levigata nel suo andamento diagonale è ancora figura mitica. La superficie scultorea è trattata sempre agli estremi o come pietra levigata dall’acqua da un tempo millenario o come materia esplosa davanti ai nostri occhi e raggrumata in piccoli crateri vulcanici. I bronzi filiformi a volte monumentali o i busti nel loro accentuato espressionismo materico ne svelano carni e ossatura. La sua ricerca materica è un processo interiore e mentale fino a raggiungere e a far vedere quello che egli “realmente vede”. Certo la plasticità di Giacometti è rimasta influenzata dagli idoli cicladici, dall’arte etrusca, dall’eternità delle sculture egizie - le prime che volutamente vogliono catturare nelle volumetrie statuarie la vita - dal non finito michelangiolesco, dall’impressionismo di Rodin. In questo ha saputo sintetizzare gli estremi dell’idea volumetrica: il solido di tra- Femme couchée 1929 Bronzo dizione egizia e il non necessariamente finito della modernità rinascimentale. Michelangelo per primo accetta nella storia come opera d’arte un frammento antico, rifiutandosi di “completarlo”: il famosissimo “Torso del Belvedere” che farà scuola per secoli. Anche la celebre scultura in bronzo di Rodin “L’uomo che cammina” esposta nel 1911 a Roma, rappresentato senza testa e senza mani influenzerà diversi scultori e quindi anche il nostro Giacometti nella sua Donna che cammina: anche questa frutto di quella visione archeologica del non finito statuario inaugurata dal Buonarroti. Credo che motivo ispiratore di tutta l’opera dell’artista rimane in buona parte la rappresentazione in forma plastica del mondo al femminile. Le forme degli idoli cicladici e quelli degli idoli dell’arte egizia predinastica, che ritroviamo sempre nelle infinite rappresentazioni della Grande Madre del Mediterraneo, rimangono al centro dell’ispirazione dell’opera giovanile e poi di quella matura delle Grandi donne a cui Alberto cercherà sempre di infondere quel carattere religioso e mitico come intensità trascendente. La sua visione non vuole catturare le forme esteriori che si snodano dinamiche davanti a una macchina da presa ma inchiodare lo sguardo a quell’immagine arcaica sovraccarica di vissuto e far scivolare via, come un vivere all’indietro, tutti i fotogrammi delle varie epoche che si sovrappongono e poi spariscono in primo piano. Come vivere simultaneamente tutte le vite che non abbiamo vissuto ingoiate nella lucente magia dalla macchina del tempo. Questo processo immortale guida lo sguardo delle sculture di Giacometti “perforate” negli occhi mobili, sensibili e instancabili in una perenne e continua registrazione della vita fino a catturare l’implacabile scena dell’ultima verità: la morte, il cui filo vitale si riannoda nel ventre-cucchiaio della madre terra. Giovanni Papi [email protected] 22/23 febbraio Roma Riunito il Direttivo Nazionale Ficc Due giornate intense di lavoro nella città di Roma hanno visto i massimi organismi della Federazione Italiana dei Circoli del Cinema (FICC) riunirsi nelle giornate di sabato 22 e domenica 23 Marco Asunis febbraio. In particolare, nell’incontro di domenica 23 il Direttivo nazionale e i rappresentanti dei Centri regionali hanno esaminato e deliberato sui diversi punti previsti nell’ordine del giorno. Ma già nella giornata di sabato 22, l’Ufficio di Presidenza e, nello specifico, il Collegio dei Revisori dei Conti (composto dal Presidente Giovanni Figliolo, Raimondo Aleddu e Giuliano Della Nora), nell’esaminare il Bilancio Consuntivo 2013 avevano avuto modo di sottolineare il fatto che “il consueto ritardo nell’assegnazio- (FUS) e la ripartizione presentata dall’ormai ex Ministro Bray ed approvata dalla Consulta dello Spettacolo, il massimo organo consultivo del ministero. A seguito della proposta è stata innalzata l’aliquota dello scorso anno per il cinema, passando da 18,59% a 20,2% pari a 82.060.000,00 euro. La discussione ha fatto emergere la netta sensazione che le battaglie unitarie portate avanti dalle Associazioni in questi ultimissimi anni, abbiano raggiunto alcuni risultati positivi. Si tratta ora di attendere gli effettivi riscontri. E’ unanime in ogni caso la valutazione positiva sull’importanza strategica del lavoro unitario tra le 9 Associazioni, valutazione condivisa dagli stessi membri del coordinamento nazionale (Candido Coppetelli del CGS, Angelo Tantaro del circolo romano della FEDIC nonché direttore responsabile di Diari di Cineclub e Pia Soncini della UICC), sentiti in occasione di queste giornate di lavoro. Resta incerto però quel che potrà succedere a seguito del recente cambio Roma, sala riunioni Artdeco Via Palestro. Un momento dell’incontro ne della sovvenzione nazionale e nell’erogazione della stessa dell’acconto da parte del Ministero ha condizionato negativamente la programmazione delle attività della Federazione”, aggiungendo inoltre “come questa sia stata ridotta di oltre il 14% rispetto all’anno precedente e che per questa ragione è stato necessario rimodulare in negativo il bilancio preventivo del 2013”. Questa specifica considerazione sulle ultime scelte ministeriali ha alimentato un approfondito dibattito politico, per via delle conseguenti forti difficoltà che ha creato sul lavoro culturale della FICC e di tutte le altre Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica. Pur in una situazione pregressa di grave disagio, il dibattito ha valutato un confortante segnale di speranza l’innalzamento - da 380 milioni a 406 milioni di euro – del Fondo Unico per lo Spettacolo del governo e dello stesso Ministro dei Beni Culturali di nostro riferimento (cambio tra Bray e Franceschini), al quale, è auspicabile, - come è capitato sovente negli ultimi tempi quando è stato cambiato il Ministro – non sia necessario spiegare ancora una volta chi sono le Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica, cosa fanno, la storia che hanno dietro e da dove vengono, dove vogliono andare. In questo quadro, risulterà certamente utile l’incontro già programmato per i prossimi giorni teso a chiarire in termini positivi i rapporti di stretta collaborazione tra gli uffici ministeriali e le Associazioni, seppure vi sia ancora da parte di queste ultime una richiesta specifica rimasta ancora inevasa di incontro con il Direttore Generale Nicola Borrelli, al fine di poter acquisire direttamente da parte sua maggiori certezze sul futuro che incombe. Sulla base di queste persistenti incertezze, si è aperto durante la riunione un proficuo confronto finalizzato alla elaborazione del bilancio preventivo, imperniato sulla speranza di poter realizzare un programma generale che confidi sulla certezza di un finanziamento pubblico più consistente rispetto a quello dell’anno passato. L’esame ha riguardato inoltre lo stato organizzativo non del tutto soddisfacente di alcuni centri regionali e dei progetti di lavoro da loro proposti da inserire possibilmente nel programma generale 2014. Un programma in parte già in essere, visto il caso della proposta dell’associazione culturale ‘La Bellona’ di Polistena dal titolo “La violenza sulle donne: un segno dei tempi?”, che chiuderà una rassegna l’8 Marzo con la proiezione del film-denuncia Bordertown, su una serie di omicidi seriali di donne avvenuti in Messico. Altre proposte hanno riguardato un’idea del Centro Regionale della Sardegna di organizzare nella estesa rete dei circoli sardi proiezioni e dibattiti sui documentari delle registe Cecilia Mangini e Mariangela Barbanente, oltre che l’avvio di una riflessione sulle nuove tendenze del cinema del reale italiano, attraverso lo sguardo di cinque autori diversi per sensibilità e formazione culturale, quali effettivamente sono Alina Marazzi, Claudio Giovannesi, Michelangelo Frammartino, Costanza Quatriglio ed Enrico Pitzianti. Altre proposte prese in considerazione sono state quelle del Centro Regionale calabrese con la riproposizione dell’interessante lavoro di raccolta dei corti di memoria e del circolo ‘Casablanca’ di Ossi (Sassari) sulla IV edizione del Festival del Cortometraggio. L’esigenza di un maggior approfondimento ha riguardato infine una proposta di collaborazione strategica tra piccoli Distributori indipendenti (nello specifico il Cineclub Internazionale e Distribuzione Indipendente), la FICC e tutte le altre Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica. Il Direttivo si è inoltre soffermato per prendere positivamente atto che ben otto sono stati i nuovi circoli del cinema che si sono affiliati alla FICC nel corso del 2013. Nella parte conclusiva dell’incontro, è stata esaminata la questione centrale riferita alle scelte sulla organizzazione complessiva del Congresso FICC 2014. Le indicazioni finali del Direttivo sono state condizionate dal fatto di non avere le giuste garanzie sulla effettiva consistenza del finanziamento ministeriale e sui suoi tempi di elargizione. Elementi di conoscenza segua a pag. successiva 17 n. 15 segue da pag. precedente che devono essere assolutamente necessari, prima di far partire una organizzazione che muoverà almeno un centinaio di delegati congressisti provenienti da tutta Italia. Le ipotesi in campo al momento sono tre. Se ci sarà un sostegno finanziario da parte di alcuni Comuni dell’area torinese (vi è un accertamento in corso), il Congresso potrebbe svolgersi a Giugno in Piemonte. Nel caso fallisse questa possibilità, l’appuntamento congressuale slitterebbe a cavallo tra Ottobre e Novembre e si farebbe a Roma oppure in Sardegna. In qualsiasi caso, fino alla determinazione certa di tale appuntamento, tutto l’organismo dirigente si sente già impegnato ad affrontare una organizzazione complessa ma assolutamente necessaria per definire le linee principali di politica culturale cinematografica, che saranno alla base del lavoro della FICC per i prossimi anni. Marco Asunis Presidente FICC Un momento di relax notturno durante la passeggiata al Gianicolo per godere di uno dei panorami più suggestivi di Roma. Da sx Vincenzo Esposito, del circolo “Blackout” di Napoli e Vice Presidente FICC; Marco Asunis, Presidente FICC, Patrizia Masala del circolo “La macchina cinema” di Elmas (Ca) e componente del Consiglio Direttivo FICC. (foto di Angelo Tantaro) Teatro Mario Martone, sulle orme di Giacomo Leopardi Dal palcoscenico al set per raccontare con gli strumenti del cinema la storia di un’anima Sia a teatro sia al cinema un filo rosso lega da anni diverse realizzazioni del Martone autore, il riportare alla luce momenti . opere e figure del passato del nostro Paese in grado di dire qualcosa di significativo anche Giuseppe Barbanti agli odierni spettatori dei nostri teatri, delle nostre sale cinematografiche. Ad alcune stagioni la sua attenzione si è indirizzata alla figura di Giacomo Leopardi.La sua edizione per il palcoscenico di “Operette morali” è sicuramente uno degli spettacoli di maggior successo degli ultimi anni, riallestito in questa per la terza stagione consecutiva: con la collaborazione della drammaturga Ippolita di Majo, il regista napoletano conduce lo spettatore in un viaggio visionario, un percorso in cui, scelte le pagine più belle e intense di “Operette morali”, quadro dopo quadro ci si addentra in una sorta di sogno del grande poeta, calando i dialoghi in un contesto onirico in cui i singoli personaggi si travestono da spettri agitati da sorde inquietudini. I temi cardine dell’esistenza umana sono filtrate attraverso l’afflato di un inconscio in conflitto con sé stesso. Martone utilizza al meglio, nella prospettiva della trasposizione scenica, la vertiginosa frammentazione dei punti di vista, affidati dallo stesso Leopardi a diversi personaggi, in una atmosfera percorsa da vitalissimi lampi d’ironia. Nei due atti, a parte il prolisso Giove con la sua “Storia del genere umano”, spazio a una selezione di quanto di più vicino alla sensibilità dello spettatore odierno si possa ritrovare nelle “Operette Morali”: dall’attualissimo “Dialogo della terra e della Luna” all’”Elogio degli Uccelli”, 18 dal celebre “Dialogo della Natura e di un Islandese”, di fronte l’indifferenza di una Natura incastrata nella montagna alle rimostranze di un infelice viaggiatore, alla corale rappresentazione di “Federico Ruysch e delle sue mummie”, per arrivare allo struggente” Dialogo della Moda e della Morte” o a quello di un” Operette morali - Totò Onnis, Giovanni Ludeno (foto di Simona Cagnasso) Venditore di almanacchi e del suo passeggero” .Ne esce un testo teatrale, la cui struttura e lingua sono così vive e moderne, che Martone e di Majo non incontrano difficoltà a saltare l’’800 per trovare una convincente sintonia con esperienze fondamentali del teatro del ‘900. L’interpretazione degli attori fa il resto: magistrali i contributi di Renato Carpentieri, Barbara Valmorin, Roberto De Francesco, della temperamentosa Iaia Forte e delle volte troppo pacato Paolo Graziosi. Accanto a loro Giovanni Ludeno, Paolo Musio, Totò Onnis, e Victor Capello.Le scene sono di Mimmo Paladino, i costumi di Ursula Patzak, la musica per il coro è di Giorgio Battistelli ed è eseguita dal Coro del Teatro di San Carlo. Sulla scia di questo successo, Martone, sempre affiancato da Ippolita di Majo, ha maturato l’intenzione di realizzare un film sulla vita del poeta recanatese in uscita nel 2014. Si intitolerà “Il giovane favoloso” e vuol essere la storia di un’anima, da raccontare, con tutta libertà, con gli strumenti del cinema. Affrontare la vita di Leopardi significa svelare un uomo libero di pensiero, ironico e socialmente spregiudicato, un ribelle, per questa ragione spesso emarginato dalla società del suo tempo, un poeta che va sottratto una volta e per tutte alla visione retorica che lo dipinge afflitto e triste perché malato. Dei materiali girati nello scorso autunno, è in corso il montaggio. Nel cast del film troviamo alcuni degli interpreti dello spettacolo, ad impersonare Leopardi sarà Elio Germano. Massimo Popolizio sarà il padre Monaldo, Raffaella Giordano la madre, Isabella Ragonese la sorella Paolina, Edoardo Natoli il fratello Carlo; Sandro Lombardi il precettore di casa Leopardi; Valerio Binasco interpreta Pietro Giordani, Michele Riondino sarà Ranieri e Anna Mouglalis Fanny; Iaia Forte interpreterà il ruolo della proprietaria della casa dove abitò il poeta negli anni vissuti a Napoli. Giuseppe Barbanti Operette morali, da sx Renato Carpentieri, Totò Onnis (foto di Simona Cagnasso) [email protected] A propose de Alphaville! Un cineclub della FICC a Roma Tutta colpa di Von Trier A prima vista questo potrebbe sembrare un incipit di solo effetto, tanto per accaparrarsi velocemente qualche lettore in più tra i cinephile e gli amanti dei detour tragico/ erotici del nostro … Ed Patrizia Salvatori invece no, è proprio grazie al danese Lars se ancora oggi, a ben tredici anni di distanza, il Cineclub (qualcuno ancora distingue tra cineclub e cinecircolo, ma davvero è riflessione modesta…) Alphaville è ancora in campo con il suo/nostro/vostro baule di meraviglie fatto di immagini in movimento…Fine ’90. Al secondo anno di studi teorici sul cinema ed i suoi derivati, causa imminente esame di storia del suddetto, scorrendo la lista dei testi consigliati tra i facoltativi per la sessione d’esame, m’imbatto in una intervista fiume al regista danese Lars Von Trier, a quel tempo ancora fresco del furbissimo Manifesto programmatico DOGMA 95, sorta di decalogo simil NouvelleVague al contrario, in cui i primi nove punti-diktat sono caratteri della vague tout court ed il decimo, al contrario, non riconosce la figura dell’autore, anzi direi la disprezza… salvo poi riabilitarla a caratteri cubitali nei film immediatamente successivi al Manifesto! Ma all’epoca il progetto pubblicitario del nostro Lars per rilanciare il cinema danese ed il suo in particolare non era così evidente… tutti a scrivere, lodare, sottolineare la nuova, innovativa, audace corrente contemporanea, finalmente… Compresa me, che dalle personalità sui generis sono sempre stata attratta, con conseguenze spesso inimmaginabili… appunto. Poche in quegli anni le librerie specializzate, tra queste la mia preferita è in Campo de’ Fiori… a Roma al di là del nome truffautiano sottolineato all’entrata da un cartellone gigantesco che tra fuochi e fiamme mette in primo piano i libri e le loro storie, ci si entra ad occhi pieni, colmi di atmosfera alla romana, di banchi di frutta e di sole, di gente a crocicchi fuori dei bar , di negozi d’usato oggi definitivamente ‘vintage’…In una delle salette-labirinto, appena varcata la soglia, Lars mi chiama dal piccolo tavolo basso dell’entrata… è in formato grosso quaderno più che libro ed ha in copertina le maiuscole FICC … è in quel preciso istante che scopro un cinema altro. Non solo film ed autori e sale in centro e festival di settore, ma anche Federazioni… anzi la storica Federazione dei Cinecircoli Italiani… Scorro velocemente le domande e le risposte dell’intervista al dotato danese ed arrivo all’ultima pagina… E’ lì che nasce Alphaville, l’ho realizzato solo dopo. Sono subito attratta dalla facilità con cui viene descritta l’apertura di un Cinecircolo iscritto alla Federazione… basta fondare un’associazione culturale, adeguare lo Statuto ai suoi fini, indicare una sede (va bene anche una libreria… e questo è stato per me l’argomento davvero convincente possedendone una!), munirsi di codice fiscale ed…iniziare a programmare cinema, aprire al passato ed alla sua storia, proporre il contemporaneo che avanza, formare un nuovo pubblico, trovarsi tutti insieme in saletta a piangere e ridere e sospirare senza nemmeno conoscersi … lo facevano il teorico francese Bazin ed il grande Truffaut e dunque posso farlo anch’io, se solo passo una giornata tra scartoffie notarili e numeri a barre!!!!! Alphaville Cineclub, nome godardiano della città senza amore che il prode Eddie Constantine riporterà a partito nel lontano 1962, nasce a Roma una bella giornata di maggio, l’8 del 2001, dopo una lunga riflessione e tanto entusiasmo che da tempo accomunava cinque amici di età e studi diversi, L’entrata del Cineclub Alphaville tutti però decisi a diventare ‘grandi’ attraverso l’esperienza di un’associazione cinefila nel cuore di un quartiere, il Pigneto, che nel segno del neorealismo ha formato tanto cinema nel mondo. La prima sede di Alpha è in realtà nella parte ’nuova’ del quartiere PrenestinoLabicano, quella costruita dai palazzinari anni’60 a ridosso dei pratoni e dei fossi di memoria pasoliniana, quella che ancora a fine anni ’50 vedeva passare greggi di pecore simil intervallo RAI (sarà per questo che nel 2006 Alphaville ha realizzato il suo primo intervallo bric e brac!?!)… Quei primi anni di ’formazione’ sono stati per tutti indimenticabili; pochi mezzi, poca credibilità, poche risorse, niente spazi, un’indipendenza a tratti sofferta … anni di cinema randagio degli schermi in resina portati a spalla da uno spiazzo polveroso ad un cortile, dal giardino della scuola alla biblioteca ’fuori porta’, tentando di risolvere i problemi (Pulp fiction docet! ) con pochi mezzi ma molta grinta e parecchio buon senso!!! E dunque sono stati e sono ancora gli anni della Mini Arena Pigneto, voluta a gran voce dai tanti che con noi sentivano la mancanza di cinema d’autore da troppo tempo, da quando l’avvento dei vhs prima e dei dvd poi avevano chiuso le tante sale dai nomi altisonanti per mancanza di pubblico a breve distanza e tutti insieme abbiamo dato vita al Festival delle scritture cinematografiche, un nuovo appuntamento annuale in luoghi e spazi ‘altri’, dove portare il cinema del passato e del presente con i suoi protagonisti ad un ventaglio di spettatori davvero trasversale, fatto di esperti ma anche di ‘passeggeri occasionali’…sempre tutti fortissimamente insieme, tra memoria e nuovissimi percorsi! E poi i corsi di cinema e fotografia e montaggio, i ‘Pigneto con Pippi’ dedicati ai bambini nelle scuole, le serate di letteratura ai villini della Città Giardino, le feste di cinema a Villa Gordiani o all’Acquedotto del Mandrione, i giorni pasoliniani (da sempre presenza costante della vita ad Alphaville …), le serate al fresco del Centro Anziani che da qualche anno ospita l’Arena, le rassegne a tema e monografiche protagoniste di tutte le settimane autunno/inverno da anni e sempre tra cinema vintage e selezioni ‘sul pezzo’…e ancora nuovi format, i Lunedì di Alpha, le gallerie d’arte digitali che tanto piacerebbero al Costantine di qualche riga fa, la serie dei Capolavori sconosciuti…e la futura Mediateca NEORE’, il grande progetto in fase di sviluppo dove si ritorna al neorealismo da cui, 13 anni fa, si è partiti! …Finora ci è sembrato di stare in un cinemontaggio caleidoscopico degno di Dziga Vertov e dunque pieno zeppo di sfarfallii e frame che non chiedono permesso a nessuno! Ma siano sempre entusiasti, contagiosi, poveri, illusi ma anche illusionisti … e tanti, siamo diventati tanti tanti! Se ancora non fate parte del Pianeta Alpha, veniteci a trovare e non spaventatevi delle piccole dimensioni di questo atollo siderale…la saletta, quella di sempre, è piccola, ma il cinema … quello si che è grande davvero! Patrizia Salvatori Cineclub Alphaville Via Pigneto 283 - 00176 ROMA 3393618216 - 3388639465 www.cineclubalphaville.it [email protected] Patrizia SalvatoriI nasce a Roma nell’agosto del 1961. E’ responsabile del Cineclub Alphaville dalla sua fondazione. Alla Federazione Circoli del Cinema ha ricoperto la carica di Vice Presidente ed è tuttora membro del Consiglio direttivo. Studiosa di cinema sin dall’adolescenza , ama da sempre condividere con i suoi associati le bellezze della settima arte e per questo si dedica anche all’insegnamento nel suo club ma anche nelle scuole. 19 n. 15 Casa Circondariale di Melfi Cinema fra i detenuti L’esperienza in Basilicata del CineClub “V. De Sica” Cinit Sarà una contraddizione e persino un ossimoro, ma quando si esce da quelle mura viene sempre da dire: Che brave persone! Qualche lacrima nascosta accompagna questa esperienza che diventa la più toccante e sentita. Di tanto Armando Lostaglio in tanto presentiamo dei film presso la Casa Circondariale di Melfi, e con molta attenzione vengono seguiti da una ottantina di “ospiti”; seguono e dibattono quindi con molta acutezza e spirito di osservazione. Una ventina almeno sono le domande: puntuali, precise, interessate. L’ultima volta abbiamo presentato il documentario “La strada meno battuta – A cavallo sulla Via Herculia” (scritto e diretto da chi scrive, prodotto da FamilyLifeTv con EquiturismoItalia e da CineClub “De Sica”), ebbene in molti hanno letto, oltre all’aspetto storico e naturalistico dell’attraversamento a cavallo, anche l’idea del viaggio, del pensiero interiore che diventa percorso nella memoria e in noi stessi. Rimpianti ed esperienze si addensano fra di loro (la fatica del cavallo, il rispetto per gli animali, la libertà e il vento sul viso quando presso l’Università di Basilicata. Il viaggio del documentario che si arricchisce di reminescenze kantiane, e lo spirito di ricerca di Saramago, la poetica del ritorno e la bellezza dei paesaggi: la storia e la geografia con varie angolazioni, nella condivisione di cinema pure come didattica. Quando li salutiamo, auguriamo sempre loro di uscire presto, perché “la società ha bisogno di loro, anche di loro”. Lo auspichiamo dal profondo del cuore. Armando Lostaglio È il carcere di Melfi l’istituto penitenziario con l’indice di affollamento più alto in Basilicata. CineClub “V. De Sica” Cinit si cavalca) e tutto appare come un nuovo altro film, la libertà che fa capolino e la pena da scontare, “più dura di quello che abbiamo commesso …” sussurra qualcuno. Ci siamo avvalsi del compendio didattico di Pasquale Tucciariello, docente di filosofia e storia, il quale, da qualche anno, volontariamente, conversa con gruppi di detenuti sulla filosofia dalle origini alla scienza moderna fino alle filosofie novecentesche e, per la storia, ha tenuto un altro corso di storia contemporanea. Il docente svolge anche ruolo di tutor ad un detenuto che si sta laureando in Beni Culturali Abbiamo ricevuto Backstage di Massimo Spiga e Francesco Acquaviva Edizioni FreeBooks - Città di Castello, PG pag. 128 a colori, cartonato, formato 20×27, fumetto. Euro 15,00 ISBN 9788863310900 E’ la televisione, bellezza! Dopo aver colmato i tabloid di anticipazioni e pettegolezzi, il varietà Lips è pronto ad approdare sugli schermi di milioni di telespettatori. La diretta ha inizio, si accendono le luci della ribalta. Ma, dietro le quinte, si intrecciano in maniera sorprendente le vite di sei persone, la cui vita cambierà per sempre durante la notte della prima. Nicole Agnes è una velina che insegue la celebrità ad ogni costo. Bill Barros è un comico che, dopo anni di esilio e censura, torna sul piccolo schermo per un ultimo esplosivo spettacolo. Damien Fitzroy è un produttore esecutivo senza scrupoli, autore dello show il cui fiore all’occhiello è una inedita intervista allo stupratore seriale Lee Harvey Miles. E, dalla sua scrivania, il direttore del network Thomas Quesada gioca con le vite dei suoi pupazzi, orchestrandole come un mastro burattinaio. Ma questa è la televisione: nulla è vero e tutto può succedere. Fin dall’inizio dello spettacolo, i sei personaggi si rendono conto che nulla andrà come previsto. Dopotutto, è vero: non c’è business come lo show-business. Backstage è un tour de force nei sogni e nella follia del piccolo schermo. Scritto da Massimo Spiga e disegnato da Francesco Acquaviva. 20 [email protected] Casa Circondariale di Iglesias (CI) Cineforum in carcere, proiezione e dibattito L’esperienza in Sardegna di un circolo della FICC Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sulla mia esperienza di proiettare e discutere film nella Casa Circondariale (penitenziario in cui i reclusi Marino Canzoneri hanno subito una condanna in via definitiva) di Iglesias sono rimasto veramente perplesso e non nascondo una difficoltà a raccontarvi cosa succede. Si può raccontare, condividere un’emozione? La risposta sembra ovvia e banale, certamente si può condividere anzi la comunicazione è proprio questo. Però… come ci insegna Charlot c’è sempre un però che intralcia i nostri progetti, per fortuna non è una tempesta di neve sulle montagne del Klondike, si tratta più semplicemente del fatto che certe scelte sono ‘naturali’ sono cioè così connaturate col nostro modo di intendere la vita che sembrano non necessitare di spiegazioni e appaiano a noi stessi come ‘ingiustificate’ sono il semplice modo in cui la nostra personalità si manifesta nel mondo con una individualità segnata dall’esperienza di tutta una vita (esperienza contrassegnata da scelte e valori etici, politici e sociali da momenti di felicità e dolore profondo e indescrivibile). Sono queste le scelte che ti appagano e ti restituiscono molto di più di quel che dai in termini di lavoro e sacrificio. Per me la proiezione e la discussione dei film coi detenuti è una di quelle scelte, ingiustificata e appagante. La Casa Circondariale di Iglesias è un piccolo carcere con circa 150 detenuti con reati passati in giudicato. Oltre al personale di sorveglianza e le guardie carcerarie vi sono educatori professionali, insegnanti che gestiscono una piccola scuola che prepara i detenuti agli esami scolastici e, in un caso anche all’Università, e inoltre volontari quasi tutti facenti capo alla locale Caritas Diocesana e un Cappellano Cattolico (benché vi siano detenuti anche di altre confessioni cristiane – soprattutto Ortodossi - e di altre religioni nonché un discreto numero di non credenti). Insomma la mia presenza non è legata a sopperire mancanze della amministrazione della giustizia in Italia è piuttosto una mia esigenza personale e devo dire che gli educatori professionali presenti danno un valido contributo e si sforzano con me per trovare modalità e forme di intervento più utili possibile e meno dannose in generale. Mi sembra quindi più utile raccontare l’iter con cui si svolge l’attività. Per prima cosa ho fatto una richiesta alla direzione del carcere che, sentito il parere favorevole degli educatori, ha inoltrato la richiesta al ministero di Grazia e Giustizia. Il ministero ha affidato ai carabinieri una indagine per constatare la mia idoneità o meno ad entrare in carcere quindi una volta espletate queste formalità con gli educatori si è deciso l’intervento. (questa fase preliminare è stata abbastanza lunga perché per le direzioni delle carceri vale un po’ il sistema di tipo scolastico, un dirigente ha più carceri da seguire con l’aggravante che, mentre le scuole che deve seguire un dirigente scolastico sono quasi sempre, nello stesso comune o almeno in zona le distanze fra le carceri sono molto più grandi e quindi non sempre è facile incontrare imme- proiettare e discutere? Il carcere è regolato con scadenze precise, sveglia, doccia, conta …e poi riconta, pranzo alle dodici etc… Abbiamo individuato nel martedì dalle 9 alle 11, 45 l’unico momento possibile per la realizzazione del progetto. Sono ormai passati molti mesi e abbiamo esaurito una prima serie di film (film di autori sardi) cito non in ordine “Disamistade”, “Il Figlio di Bakunin” e Passaggi di Tempo” di Gianfranco Cabiddu, “Delitto Impossibile” e “Caos Calmo” di Antonello Grimaldi “Dimmi che destino avrò” di Peter Marcias, “Tutto Torna” di Pitzianti, “Pesi Leggeri” diatamente il direttore e questo allunga inesorabilmente i tempi, e credo crei anche molta difficoltà al regolare funzionamento del sistema inoltre la carenza di personale non è limitata alla sola funzione di direttore ma riguarda un po’ tutti i ruoli e tutte le competenze dalla guardia semplice al direttore appunto, con inevitabile ricadute sugli orari, utilizzo delle ferie, gli straordinari da pagare e mai pagati con tutto ciò che questo comporta in termini di motivazioni ed efficienza. Subito dopo sono stati affrontati i termini logistici: quanti detenuti coinvolgere, dove e quando. Abbiamo optato per proiezioni riservate, su base strettamente volontaria, a piccoli gruppi (max 10 – 15 persone) per favorire la possibilità di discussione (questo significa che lo stesso film viene replicato per quattro o cinque gruppi). Il carcere di Iglesias, ma penso la maggior parte delle carceri non ha un luogo adatto alle proiezioni, direi proprio non ha luoghi per esperienze comuni se non qualche auletta per la scuola e una piccolissima biblioteca. Abbiamo scelto una piccola sala che, alcune volte al mese viene adibita a sala colloqui, e armati di scotch e bristol oscuriamo di volta in volta per proiettare a muro con un pc portatile e un proiettore. Altro problema gli orari. Come ritagliare due ore e mezza per e “Jimmy della Collina” di Enrico Pau “Arcipelaghi” di Giovanni Columbu. Ora si continua coi sardi ma aprendo un po’ lo spiraglio. Il nuovo ciclo è iniziato con “La Parte degli Angeli” di Ken Loach. Risultati? Varie, qualche film è stato perturbante altri interessanti comunque tutti hanno evidenziato esperienze che non avevano vissuto da liberi o da carcerati. Molto dipende dal detenuto e dalla sua cultura ma non c’è un detenuto modello vi sono persone colte e incolte poveracci e benestanti italiani e stranieri. In linea di massima una cosa molto lontana dal semplice svago o dal pomposo reinserimento. La mia ambizione è far provare il ‘divertimento’ nel senso etimologico del termine, uscire dall’orientamento precedente e prendere nuove vie. Sarebbe già molto che al posto di film solo commedia qualcuno possa dire…però sto Loach ho fatto male a vederlo per la prima volta solo in carcere. Risultati? Vari, anche da parte mia, sto un pochino meglio di quando non facevo questa attività volontaria. Marino Canzoneri P.S. La prima persona plurale è stata usata quando le scelte son state condivise con gli educatori 21 n.315 Segue da pag. 1 Riteniamo che la tv abbia gravi responsabilità nella “caduta” culturale del Paese. La televisione è responsabile, perché ha smesso di fare cultura. In un preciso momento, contemporaneamente, si è deciso di pensare al telespettatore come a un contenitore da riempire di “consigli perIIIgli acquisti” piuttosto che di penAnno siero. Come non citare, solo per un esempio, trasmissioni come il Maurizio Costanzo Show con i mostri che ha creato per ben 25 anni su emittente del cavaliere amante delle orgettine. Dopo il Costanzo prosegui la coniuge Maria de Filippi, inizio anni ‘90 con altri nuovi mostri. Non è mai troppo tardi appunto, per abbandonare una televisione circense alla deriva e scollacciata di pura evasione strutturata per sostenere il nulla. Un cambio di passo, come si dice ora, per nutrire il bello e la cultura. Angelo Tantaro n. 15 Marzo 2014 Il maestro Alberto Manzi Diari di Cineclub ORIZZONTI DEL NOVECENTO Storia dell’Arte e Storie del Novecento Il 24 gennaio è iniziata con successo la seconda edizione de “La materia e lo spirito nell’arte del XX secolo”. Conferenze, Comunicazioni, Testimonianze nel filone storico della Scultura Monumentale: potenza del divino e dell’umano, a cura di Roberto Cumbo, Laura Mocci, Giovanni Papi. Una serie di Giornate di incontri dedicate alle arti del XX secolo presso il prestigioso Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte in Piazza San Marco 49 a Roma. Gli incontri ORIZZONTI DEL NOVECENTO avranno una cadenza mensile fino a venerdì 7 giugno 2014. Saranno ad ingresso libero e gratuito. Roma Capitale – Dipartimento Sviluppo Economico e Attività produttive – Formazione Lavoro Scuola d’Arte e dei Mestieri Nicola Zabaglia INASA Istituto Nazionale Archeologia e Storia dell’Arte con il patrocinio di Diari di Cineclub – periodico indipendente di cultura e informazione cinematografica Storia dell’Arte e Storie del Novecento PROGRAMMA 2014 dal prossimo incontro Venerdì 21 marzo, ore 16,30 Titolo relazione: Arte Moda Spettacolo: dagli anni ’50 ad oggi. Culture dell’immaterialità Relatore: Francesco Gallo Mazzeo Conversazione con Graziella Pera e Valter Azzini: Stile, costume e sue trasfigurazioni Venerdì 11 aprile, ore 16,30 Titolo relazione: Costantino Nivola, la scultura tra astrazione e tradizione Relatore: Laura Mocci Conversazione con Roberto Almagno: Il cuore e l’anima del legno Venerdì 16 maggio, ore 16,30 Titolo relazione: Materia Scultura Ambiente: tra avanguardia e neo-avanguardia italiana Relatore: Lorenzo Canova Conversazione con Giovanni Papi: Tra materia e spirito. Venerdì 23 maggio, ore 16,30 Titolo relazione: Il tempo e i materiali nello spazio architettonico Relatore: Benedetto Todaro Conversazione con Luigi Prisco: E42-EUR, continuità delle arti negli anni’40 e ’50 Venerdì 6 giugno, ore 16,30 Titolo relazione: L’arte al tempo della crisi. La rivoluzione siamo noi Relatore: Cecilia Casorati Periodico indipendente di cultura e informazione cinematografica Responsabile Angelo Tantaro Via dei Fulvi 47 – 00174 Roma [email protected] a questo numero ha collaborato in redazione Maria Caprasecca Edicola virtuale dove trovare tutti i numeri: www.cineclubromafedic.it La testata è stata realizzata da Alessandro Scillitani Grafica e impaginazione Angelo Tantaro La responsabilità dei testi è imputabile esclusivamente agli autori. I nostri fondi neri: Il periodico è on line e tutti i collaboratori sono volontari. Il costo è zero e viene distribuito gratuitamente. Manda una mail a [email protected] per richiedere l’abbonamento gratuito on line. 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