WILBUR SMITH. L'UCCELLO DEL SOLE. Gli indigeni le chiamavano le colline del Sangue e raccontavano storie di oscure maledizioni. Ma il professor Benjamin Kazin era sicuro che in quell'angolo d'Africa, tra quelle rocce brulle e inesplorate, si trovassero le rovine di un'antica città cartaginese. I1 sogno di tutta la sua vita di scienziato si traduce infatti in realtà e una nutrita spedizione di studiosi, fi= nanziata dal ricco industriale Louren Sturvesant, si installa fra le colline del Sangue per portare alla luce i resti di quell'antica civiltà. Ma, sullo sfondo di questa affascinante avventura archeologica, avvolta in un'atmosfera carica di presagi e di mistero, si svolge un drammatico conflitto di personalità: la violenza fanatica di un assistente negro, Timothy Mageba, rischia di far fallire la spedizione, mentre l'incantevole presenza di Sally Benator compromette i rapporti fra il professor Kazin, innamorato di lei, e l'amico e finanziatore Louren Sturvesant. A1 culmine dell'impresa, circondato dai tesori e dai sarcofaghi dei mitici re di quell'antico popolo, Kazin si ritrova inerme e indifeso alle soglie stesse dell'al di là e inizia un lungo viaggio a ritroso nel tempo, rivivendo gli ultimi, tragici avvenimenti della città scomparsa, i drammi e le glorie di un passato, che sembra inesplicabilmente legato al presente. L'IMMAGINE attraversò come una lama il buio della sala di proiezione e si delineò silenziosa sullo schermo... e io non la riconobbi. Attendevo da quindici anni una fotografia del genere e, ora che l'avevo sotto gli occhi, non sapevo trarne alcun significato. Mi aspettavo qualche piccolo oggetto, un teschio, forse... non certo quello schema grigio e surreale. Fu la voce di Louren, vibrante per l'emozione, a mettermi sulla strada giusta. « Presa da diecimila metri, alle sei e trentasette pomeridiane del quattro settembre... Esattamente otto giorni fa. Una fotografia aerea, dunque. Misi a fuoco gli occhi e il cervello e anch'io, quasi istantaneamente, awertii un senso di eccitazione. « Ho mandato un aereo della società a fare una ricognizione su tutti i terreni delle mie concessioni » continuò Louren. « Questa fotografia è soltanto una fra le tante, forse duecentomila... Il pilota non sapeva nemmeno che cosa stesse fotografando. Per fortuna, quelli delle analisi minerarie l'hanno individuata e me l'hanno passata. Girò il viso verso di me, pallido nel raggio di luce del proiettore. « Dimmi tu se hai mai visto una formazione geologica di questo tipo! Ma guarda, Ben! lo schema classico. Doppia cinta di mura e torri falliche... Esagerava. La sagoma ricordava senza dubbio le controverse rovine di Zimbabwe, nella Rhodesia del Sud, ma il disegno era confuso. Rifiutavo di accettare l'idea di una clamorosa scoperta. Non volevo che la speranza mi rendesse di nuovo vulnerabile. « Potrebbe g essere qualsiasi cosa, Lo :D protestai. « Un gioco di luce. E anche ammettendo che fosse opera dell'uomo, potrebbe trattarsi di agricoltura... « A centocinquanta chilometri dalla piú vicina sorgente d'acqua? Non dirlo nemmeno per scherzo, Ben! Sei proprio il peggior pessimista che ci sia in tutta l'Africa. Sai benissimo, come lo so io, che si tratta... » « Non dirlo! :urlai. « Po...porta male! Mi capita talvolta di balbettare, quando sono eccitato, ma questo è il minore dei miei difetti fisici e non me ne preoccupo. « Spiegami soltanto dove si trova. Louren rise, mentre riaccendeva la luce. Fu un piacere, perché non accadeva spesso di udirlo ridere, in quel periodo. « Il mio piccolo gnomo ebreo! » disse in tono scherzoso. « Ho da dirti un'altra cosa, ma prima voglio che tu riconosca l'importanza della mia scoperta. :~ « E va bene! » Distolsi lo sguardo scegliendo con cura le parole. « A quanto sembra... potresti aver trovato ciò che cercavamo. « Grazie, amico! » esclamò lui. « Mio carissimo amico! :~ Da anni non lo vedevo cosí, lontano le mille miglia dalle preoccupazioni della Compagnia mineraria Sturvesant. « Allora » ripresi, « dov'è? » « Vieni qui » disse, e ci avvicinammo al tavolo sul quale era distesa una carta del Botswana e della Rhodesia occidentale. Era un tavolo abbastanza alto e io mi arrampicai svelto su una seggiola, per arrivare all'incirca all'altezza di Louren, in piedi accanto a me. Il suo dito si spostò lentamente sulla carta, poi si fermò bruscamente... e il mio cuore parve arrestarsi con esso. La latitudine era esattamente quella: tutti i dati che avevo raccolto con tanta fatica indicavano quella zona. « Qui spiegò Louren. « Trecentoquaranta chilometri a sud-ovest di Maun, novanta chilometri dalla torre di segnalazione sud-occidentale della riserva di Wankie, all'ombra di basse colline... « Quando possiamo partire? :domandai. « Ehi! » Louren scosse la testa. « Ci credi, allora! Ci credi! Purtroppo, io non posso muovermi prima di martedí della settimana prossima. » « La settimana prossima! :gemetti deluso. « Ben, venerdí ho la riunione generale annuale della Anglo-Sturvesant e sabato devo trovarmi a Zurigo. « Lascia perdere Zurigo » lo supplicai. « Mandaci unv dei tuoi brillanti giovani funzionari. » « Quando trovi uno che ti presta venticinque milioni di dollari, la piú elementare cortesia impone di andare personalmente a ritirare 10 I'assegno. Non puoi mandare il fattorino! :~ « Maledizione, Lo, quello è soltanto denaro... ma questo, questo è importantissimo. Louren mi fissò con occhi pensierosi. « Venticinque milioni di dollari, per te, sono soltanto denaro? Scosse la testa, stupito, come se avesse udito una inattesa verità. « Forse hai ragione. Sorrise, un sorriso affettuoso rivolto a un amico carissimo. « Dolente, Ben. Martedí. A Maun, abb,iamo appena costruito una pista dove può atterrare anche un aereo a reazione del tipo Lear. Arriveremo a Maun in aereo e, di là, proseguiremo veloci e leggeri. Ci serviremo di una Land Rover e di un paio di autocarri da tre tonnellate. Mentre parlava, Louren mi accompagnò fuori della sala di proiezione, nella lunga galleria dove le opere di artisti sudafricani si alternavano a quelle di autori antichi e moderni di fama internazionale. Louren, come i suoi antenati, sapeva impiegare bene il proprio denaro. Si avviò a gran passi sulla fila di folti tappeti orientali che attutivano ogni rumore, e io l'accompagnai alla stessa andatura. Le mie gambe sono lunghe come le sue, e altrettanto robuste. « Se poi troverai ciò che entrambi speriamo proseguí Louren, « potrai fare le cose in grande stile, con tutto l'equipaggiamento che vorrai. « Ti rendi conto di quanto potrebbe costare? Potremmo arrivare anche a duecentomila dollari! « soltanto denaro... come disse il saggio! Proruppe in quella sua stentorea risata, alla quale non so resistere. Sostammo nell'atrio l'uno di fronte all'altro, guardandoci con un sorrisetto d'intesa, come due cospiratori. Vieni a prendermi al volo da Zurigo, lunedí sera alle sette e mezzo, se puoi. E, nel frattempo, organizza i preparativi... > « Mi servirebbe una copia di quella fotografia. « Ne ho già fatto mandare un ingrandimento all'Istituto. » Diede un'occhiata al suo orologio d'oro. « Accidenti! Sono già in ritardo... Si girò verso la porta nell'attimo in cui entrava Hilary Sturvesant, proveniente dal patio. Il cortissimo costume da tennis lasciava scoperte le gambe, cosí belle da mozzare il fiato. Era una donna alta, con soffici, lucenti capelli biondo scuro, lunghi fino alle spalle. « Tesoro, te ne vai? « Mi dispiace Hil. Volevo avvertirti che non posso restare a pranzo, ma Ben ha bisogno di qualcuno che lo tenga calmo. « Gliel'hai mostrata? :Si chinò a darmi un bacio sulle labbra, senza ombra di ripugnanza. Ogni volta che lo fa, mi rende suo schiavo per altri cent'anni. « Che te ne pare Ben? possibile? :~ Prima che potessi rispondere, Louren le aveva passato un braccio attorno alla vita, e tutti e due mi guardarono sorridendo. « Sta dando i numeri! Vuole correre subito nel deserto! Poi, Louren strinse a sé Hilary e la baciò. Vedevo in quella coppia la sintesi della perfetta bellezza maschile e femminile. Hilary aveva venticinque anni - dodici meno del marito - ed era la quarta moglie di Louren; soltanto il minore dei sette piccoli~Sturvesant era suo. « Offri qualcosa da mangiare a Ben, tesoro. Io tornerò molto tardi. )> « Sentirò la tua mancanza » mormorò lei, mentre il marito si allontanava. « E io la tua. Ci vediamo lunedí, Ben. Ciao socio. » Hilary mi accompagnò nel vasto patio lastricato. Due ettari di prato e di aiuole fiorite declinavano verso il fiume e verso un laghetto artificiale. Entrambi i campi da tennis erano occupati, e un'urlante masnada di piccoli corpi agitava l'acqua della piscina, mentre due camerieri stavano apparecchiando il tavolo del patio per un pranzo freddo. Vidi cinque o sei giovani signore in costume da tennis distese sulle sedie a sdraio e mi raddrizzai il piú possibile, cercando di aggiungere qualche centimetro alla mia statura. « Ragazze annunciò Hilary, « abbiamo un uomo a tenerci compagnia. Vi presento il professor Benjamin Kazin, direttore dell'lstituto di Antropologia e Preistoria africane. Ben, questa è Marjory Phelps... Ricambiai i saluti un po' troppo calorosi, usando sapientemente gli occhi e la voce, che sono le uniche cose che ho di buono. La situazione per loro, era altrettanto imbarazzante quanto lo era per me: nessuno si aspetta che la padrona di casa gli presenti un gobbo, insieme con gli aperitivi. La salvezza mi venne dai bambini. Bobby mi vide e si precipitò correndo verso di me. « Zio Ben! Zio Ben! » Mi gettò al collo le braccia fredde e bagnate e mi trascinò lontano. Il resto della banda mi sommerse Mi trovo molto piú a mio agio con i bambini: o non notano niente, o se la sbrigano con due parole: « Ma perché diavolo stai tutto piegato a questo modo? » Una volta tanto, tuttavia, non fui alla mia solita altezza. Avevo troppi pensieri per poter dedicarmi con vero impegno ai miei piccoli amici. Hilary mi riportò ben presto in seno al consorzio delle giovani madri e, questa volta, riuscii a essere piú brillante. La tredicenne Bobby Sturvesant ha la mano un po' pesante col whisky di marca, come versasse Coca-Cola, cosicché, quando tornai a veleggiare verso il mio Istituto, le tre erano passate da un pezzo. La busta, con l'annotazione PERSONALE -- RISERVATA", era sulla mia scrivania e, a un angolo, era appuntato un foglietto: "arrivata per te all'ora di pranzo. Ha un aspetto elettrizzante! Sal". Controllai la chiusura della busta, in preda a un subitaneo guizzo di gelosia. Era intatta. Sally non l'aveva aperta e questo doveva avere messo a dura prova la sua capacità di autocontrollo, visto che soffriva di una curiosità morbosa, quasi nevrotica. Lei la chiamava una sottile mente scientifica e indagatrice. Mi aspettavo che sarebbe arrivata nel giro di cinque minuti, perciò cercai il mio pacchetto di pasticche alla menta, nel primo cas- setto della scrivania, e me ne ficcai una in bocca per attenuare il ~5 sentore di whisky, poi estrassi dalla busta la lucente copia della fox tografia e la misi sotto la lente d'ingrandimento. « Che cosa stai guardando? » indagò Sally, dalla soglia, facendomi sobbalzare sulla sedia. Stava appoggiata allo stipite, con le mani affondate nelle tasche del sudicio camice bianco. Capelli scuri fermati da un nastro per lasciare scoperta la fronte spaziosa, grandi occhi verdi ben distanziati sopra il naso aquilino, zigomi alti, bocca sensuale: una ragazzona dalle lunghe gambe fasciate in un paio di blue-jeans. "Ma perché mi debbono sempre piacere alte?" pensai. « Buono il pranzo? » domandò ancora lei, iniziando la manovra di avvicinamento alla mia scrivania per scoprire le ultime novità. Era bravissima a leggere fogli capovolti, I'avevo imparato a mie spese. « Splendido » risposi, nascondendo deliberatamente la fotografia sotto la busta. « Un'anatra deliziosa e tartufi in gelatina. :~ A cinque passi da me, annusò l'aria. « Con whisky aromatizzato alla menta. Ubriacone! :Venne ad appollaiarsi sull'orlo della mia scrivania. « Coraggio, Ben! Non sto piú nella pelle da quando è arrivata. L'avrei aperta col vapore, se il bollitore elettrico funzionasse. La dottoressa Sally Benator era divenuta mia assistente due anni prima, ed esattamente da allora ero innamorato di lei. Le feci posto dietro lascrivania e le mostrai la fotografia. « E va bene. Vediamo che cosa ci capisci tu. » Si strinse vicino a me, col braccio che mi toccava la spalla... un contatto che mi fece scorrere un brivido in tutto il corpo. In quei due anni, aveva imparato ad accettare con la massima naturalezza, come i bambini, la mia gobba. Dovevo andarci piano, per non allarmarla, ma in capo ad altri due anni l'avrei abituata a vedere in me l'innamorato e il marito. Sally scrutò attraverso la lente d'ingrandimento. Quando tornò a guardarmi, i suoi occhi verdi scintillavano. « Ben! Oh Ben, sono cosí felice per te! Chissà perché, quel suo facile entusiasmo m'infastidí. « Stai met- 13 tendo il carro davanti ai buoi » ribattei seccamente. « Vi possono essere almeno dieci spiegazioni perfettamente naturali. No. Sempre sorridendo, Sally si avvicinò a uno scaffale, prese uno dei dodici volumi che recavano il mio nome come autore, lo aprí e lesse: O~r. Indagine su una civiltà preistorica dell'Africa centrale conoscitrice dell'arte orafa e sulla scomparsa città del Kalahari. molto interessante. Lo hai mai letto? Be', potrebbe anche essere ammisi. « Potrebbe essere, però... « Dove si trova? m'interruppe lei. « Nella fascia dell'oro? :~ Annuii « Esatto, proprio cosí. Con un sorriso di trionfo, Sally si chinò di nuovo sulla lente e sfiorò con la punta di un dito la freccia che, in un angolo della fotografia, indicava il nord. « Tutta la città... Se è una città :D l'interruppi. « Tutta la città ripeté lei calcando le parole, « è orientata verso il sole. Il Sole e la Luna, le due divinità... Le torri falliche... « Sal, quelle non sono torri, sono soltanto macchie scure su una fotografia presa da diecimila metri di quota! « Diecimila metri? Sal rialzò la testa di scatto. « Ma allora è enorme! Nella cerchia di queste mura, Zimbabwe c'entrerebbe sei volte... Però, mi domando perché mai sia disposta cosí a mezzaluna... » Si raddrizzò e, per la prima volta, per la prima meravigliosa volta, mi gettò di slancio le braccia al collo e mi abbracciò. « Oh, sono eccitata da morire! Quando partiamo? Quando andiamo a cercare la tua città scomparsa? Be'... :Soppesai accuratamente le parole. a Louren Sturvesant e io partiamo martedí. Non ha parlato di assistenti, perciò non credo che verrai anche tu. Si scostò di un passo e mi domandò, con ingannevole dolcezza: « Ci vuoi scommettere? Mi piace avere almeno qualche probabilità di vincere, quando scommetto, perciò le dissi di preparare le valigie. Ventiquattr'ore dopo, eravamo pronti. Sally era una scienziata e i suoi effetti personali stavano tutti in una valigetta; ma, in compenso, i suoi album da disegno e i colori occupavano uno spazio non indifferente, cosicché, con il mio equipaggiamento, le sacche e le casse per i campioni, e la mia valigia di tela, ci ritrovammo con un bagaglio enorme. Per i sei giorni successivi, ammazzammo il tempo litigando a proposito di quella fotografia. Quando la tensione dei nostri nervi stava per raggiungere il limite di rottura, Sally si chiudeva a chiave nel suo ufficio e si metteva a lavorare alla interpretazione delle incisioni ru14 pestri del Driekoppen o delle pitture simboliche del Witteberg. Pitture rupestri, epigrafi, deciframento e traduzione di antiche scritture erano la sua specialità. L UCCELLO DEL SOLE Il giorno in cui Louren doveva tornare, Sally fu cosí agitata all'idea che lui potesse proibirle di venire con noi, da diventare addirittura insopportabile. Per stare lontano da lei, mi rifugiai per un'oretta nel reparto Lingue africane, con il mio gigantesco e arcigno collaboratore di pelle nera, Timothy Mageba. Timothy era venuto all'Istituto dodici anni prima, come uomo delle pulizie. Mi ci erano voluti sei mesi per scoprire che, oltre al sotho meridionale, sua lingua nativa, conosceva altri sedici dialetti africani. In un anno e mezzo, ero riuscito a insegnargli a parlare correntemente l'inglese, e in capo ad altri sei mesi a scriverlo. Cinque anni dopo, si era laureato in Lettere, ed era l'unica persona che conoscessi in grado di esprimersi, come me, sia nei dialetti del nord sia in quelli dei misteriosi boscimani pigmei del Kalahari. Per essere un linguista, era straordinariamente taciturno. Alto un metro e novantacinque e muscoloso come un pugile professionista, sapeva tuttavia muoversi con la grazia di un danzatore. Mi affascinava e, al tempo stesso, mi faceva un po' paura, con quella sua testa senza un capello, rapata e lucida d'unguento, che sembrava una nera palla di cannone. Nemmeno la camicia bianca e il professionale abito scuro riuscivano ad annullare una certa aura satanica che aleggiava intorno a lui e che io non avevo mai osato sondare Sotto la mia sorveglianza, per altro assai elastica, Timothy dirigeva il reparto linguistico dell'Istituto. Aveva pubblicato due libri di storia africana, che gli avevano attirato una bufera di contumelie da parte di studiosi e di critici di pelle bianca. Da piccolo, Timothy era stato allievo del nonno, stregone e custode delle tradizioni della sua tribú e, nel corso dell'addestramento, il vecchio lo aveva sottoposto a ipnosi, imprimendogli nel cervello, come su un nastro, l'intera storia della tribú. Timothy era tuttora capace di cadere in trance e di richiamarsi alla mente una quantità enorme di cognizioni, di fatti storici non documentati per iscritto e di dottrine magiche. Io stesso avevo attinto largamente a quel materiale, soprattutto durante la stesura di Ofir, che tratta dell~antica leggenda dei guerrieri dalla pelle bianca venuti d'oltremare, che scavarono miniere d'oro, ridussero in schiavltú le tribú locali, costruirono città circondate da mura e prosperarono per secoli, prima di svanire quasi senza lasciare tracce. Benché mi rendessi conto che Timothy controllava le ;nformazioni che mi passava - alcune erano di natura troppo segreta - non avevo mai rinunciatO ai tentativi di strappargli altre notizie. Quel lunedí mattina, Mageba si alzò in piedi rivolgendomi il suo abituale benvenuto. << Machane! Benedetto! :Secondo la credenza bantu, chi abbia un difetto fisico quale i piedi deformi, la pigmentaL UCCELLO DEL SOLE zione albina, gli occhi strabici o la gobba, è benedetto dagli spiriti e dotato di particolari poteri medianici Quella credenza era per me fonte di un segreto piacere, e il saluto di Timothmi tirava sempre su di morale. Ci mettemmo a chiacchierare, saltando da un argomento all'altro, finché non osservai:: Mi farà un certo effetto non averti con noi in questo viaggio. Timothy divenne subito circospetto. Sapeva che avrei ricominciato a parlare della città scomparsa: gli avevo mostrato la fotografia e, da cinque giorni, stavo facendogli una testa cosí sull'argomento. Del resto proseguii, « può anche darsi che tu non perda niente. Se soltanto sapessi con esattezza che cosa cercare... Mi interruppi. Gli occhi di Timothy s'erano fatti vitrei. Era proprio un fenomeno fisico, come se una sorta di pellicola opaca e bluastra gli ricoprisse gli occhi. Affondò la testa nelle spalle e le labbra gli si contrassero. Sentii la pelle accapponarmisi: benché lo avessi visto tante volte, non riuscivo mai a sottrarmi a un brivido superstizioso, quando lo guardavo cadere in trance. Aspettai con, ansia, ben sapendo che, se vi fosse stato di mezzo qualche tabú, nel giro di pochi secondi Timothy avrebbe spezzato l'incantesimo con un risoluto sforzo di volontà. « Un male... :cominciò con la voce tremula del nonno, « che deve essere spazzato dal mondo e dalla mente degli uomini, per sempre. La testa gli sussultò: era intervenuta la parte cosciente del suo cervello Gli occhi si rifecero limpidi. « Mi dispiace :disse Timothy. « Vuole un caffè, professore? Hanno finalmente riparato il bollitore elettrico. Il momento magico era passato. Per quel giorno, non avrei ricavato nient'altro. No, grazie, Timothy. Guardai l'orologio. « Ho ancora qualcosa da sistemare. :~ « Vada in pace, machane, e che gli spiriti guidino i suoi passi. LOUREN STURVESANT fu il primo a uscire dall'aerostazione, all'arrivo del volo da Zurigo, dopo essere passato attraverso i controlli della dogana e dell'ufficio immigrazione. A un passo di distanza, lo seguivano, uno per parte, due dei suoi "Brillanti Giovani Funzionari" (come io li chiamavo). Altri cinque B.G.F., che erano lí ad aspettarlo, gli si precipitarono incontro in ordine di anzianità per una rapida stretta di mano, poi si inquadrarono nello schieramento. Nel gruppo della Anglo-Sturvesant, che si apriva la strada in mezzo alla folla come una divisione di panzer, Louren faceva spicco per il biondo dorato dei capelli e l'espressione severa del viso abbr,onzatissimo, in contrasto con i sorrisi stereotipati del suo seguito. « Vieni! » dissi a Sally. Presi la mia assistente per mano e mi tuffai nel gruppo di giovani funzionari. Mi feci strada al livello delle loro gambe, e quella pressione inattesa li costrinse a dividersi come le acque del mar Rosso, mentre Sally avanzava nel solco, come gli ebrei. Per poco, non ci scontrammo con Louren. « Ben! » Vidi subito che era molto affaticato, ma un sorriso cordiale cancellò per un attimo i segni della stanchezza. Oh, Ben, mi dispiace! Avrei dovuto avvertirti. C'è stato un contrattempo e devo andare a una riunione. Notò l'espressione del mio viso. « No, non saltare a conclusioni sbagliate. Vale ancora tutto. Ci troviamo all'aeroporto domani mattina alle cinque. Ci scambiammo una rapida stretta di mano. Fino alla fine, socio? » « Fino alla fine, Lo confermai, sorridendo di quella sciocca formula infantile. Poi, tutti scomparvero di là dalle larghe porte a vetri. Eravamo a mezza strada da Johannesburg, quando Sally finalmente aprí bocca. « Gli hai parlato di me? :~ « Non ne ho avuto il tempo, Sally, hai visto anche tu. Aveva troppa fretta. Non scambiammo piú una parola fino a quando parcheggiai la Mercedes accanto alla piccola Alfa rossa di Sally, nel posteggio deserto dell'Istituto. « Vuoi una tazza di caffè? :domandai. « Tanto, non dormirai lo stesso, questa notte. Potremmo fare una partita a scacchi. Attraversammo l'atrio e le sale dell'Istituto e raggiungemmo il mio appartamentO. Sal accese il fuoco e preparò la scacchiera, mentre io facevo il caffè. Quando tornai dalla cucina, lei era seduta a gambe incrociate su un puf di pelle, intenta a studiare i pezzi. Indossava un poncio a scacchi dai colori molto vivaci, e la luce della lampada metteva in risalto la sua carnagione olivastra, appena appena scurita dal sole. Guardandola, credetti che stesse per scoppiarmi il cuore. Sal alzò gli occhi. « Tocca al bianco muovere. Se riuscivo a difendermi dai suoi primi fulminei attacchi, I'avrei poi battuta muovendo sapientemente le mie pedine: un gioco che lei chiamavamorte lenta~... Alla fine, rovesciò il re con un'esclamazione di stizza e balzò in piedi, mettendosi a passeggiare nervosamente per la stanza. All'improvviso, girò i tacchi e mi si piantò davanti. « Quel bastardo! esclamò con voce strozzata. « Lo odio. Il grand'uomo arrogante, il dio! Se seopriremo qualeosa... indovina ehi si prenderà tutto il merito? » Il suo tono mi sbalordí. « Ma si può sapere eon ehi ee l'hai? » « L'espressione, il modo di eamminare, quell'aria eondiseendente, piena di presunzione... » « Piantala, Sally! Non devi parlare eosí. « Ma li hai visti quei poveri funzionari spaventati? Ti sei visto tu? Uno degli uomini migliori ehe io abbia mai eonoseiuto, uno dei cervelli piú brillanti, lí ehe gli eorre incontro scodinzolando... :Era in preda a un attacco isterico, e aveva il volto rigato di lacrime. « L'ho odiato... e ho odiato anche te! Ti faceva sembrare una nullità. » La fissai allibito e il suo atteggiamento mutò di colpo. Si premette una mano sulla bocca. « Oh, devo essere pazza gemette. « Perché ho detto queste cose? Mi dispiace tanto, Ben, scusami! Si inginocchiò davanti a me, abbracciandomi stretto. Rimasi immobile come una statua, paralizzato dalla paura. Sebbene fosse qualcosa cui anelavo da, anni, mi era capitata cosí all'improvviso, che mi sentivo smarrito. Sally sollevò la testa e mi fissò in viso. « Perdonami, ti prego. » La baciai. La sua bocca era umida e salata. Le sue labbra si socchiusero sotto le mie e tutta la mia paura svaní. « Ben, facciamo l'amore, ti prego... » « La luce » susurrai. « Per favore, spegni la luce, Sally. « Lo so, tesoro. Capisco. » Spense la luce. DoPo, provai la sensazione che il mio cervello fosse staccato dal corpo e fluttuasse nella calda oscurità. Per la prima volta nella mia vita, mi sentivo completamente rilassato, soddisfatto e tranquillo. Quando finalmente Sally parlò, la sua voce mi fece sussultare: « Vuoi cantare per me, Ben? :~ Accese la luce e ci guardammo sbattendo le palpebre, come civette sorprese dal sole. Aveva il viso in fiamme, nel disordinato arruflfio scuro dei capelli. « Sí risposi. « Canterò. :~ Andai nello spogliatoio e presi la chitarra dall'armadio, poi balzai di nuovo sul divano dove Sally era rimasta distesa e mi accoccolai accanto a lei. « Una canzone triste, Ben, per favore mormorò. « Ma io sono felice, Sal! 18 « Una delle tue canzoni tristi insistette lei e chiuse gli occhi. Cantai e, dopo pochi istanti, una lacrima le rigò le guance. Qualche volta, le mie canzoni provocano lacrime sincere, o risate. Senza . aprire gli occhi, Sal girò il capo verso di me. Louren Sturvesant :disse. La richiesta mi colse di sorpresa, lasciandomi per un momento senza parole. Sal aprí gli occhi. « Scusami, Ben. Non sei obbligato a farlo. :9 « Ma lo faccio volentieri :9 ribattei in fretta. « Sei stata ingiusta verso di lui. Non puoi giudicare gli Sturvesant col metro comune. Mio padre lavorava per loro. Morí un anno dopo mia madre e io divenni uno dei molti "orfani Sturvesant". Il padre di Louren mi mandò alla stessa scuola del figlio. Un ebreo, e deforme per giunta, in una scuola diretta da religiosi... te lo immagini? I ragazzini sono cosí crudeli! Louren mi tirò fuori dagli orinatoi, dove quattro dei miei compagni stavano tentando di affogarmi. Diede loro una carica di botte e, da quel momento, divenni il suo protetto. Da principio, accettò di finanziare l'Istituto soltanto per fare un favore a me, ma poi, a poco a poco, esso è diventato il suo passatempo preferito. Saresti stupita di sapere quanto sia competente. Ama questo Paese proprio come l'amiamo tu e io... M'interruppi, perché Sal stava fissandomi come se volesse trapassarmi l'anima. « Tu gli vuoi un gran bene, Ben, non è vero? :9 Abbassai gli occhi. « stato il mio protettore, il mio benefattore... I'unico amico che abbia mai avuto. Sí, lo amo, nel senso biblico. Sal mi sfiorò affettuosamente una guancia. « Cercherò di volergli bene. Per amor tuo. » IL MATTINO dopo, quando oltrepassammo in auto i cancelli dell'aeroporto, era ancora buio. Sal se ne stava raggomitolata nel suo giaccone, chiusa in sé stessa e taciturna. L'aviorimessa privata della Sturvesant era inondata dalla luce dei riflettori e, mentre ci avvicinavamo, vidi la Ferrari di Louren parcheggiata nel suo posteggio riservato Poco distante, erano ferme altre cinque o sei grosse berline. « Oh Signore! :gemetti. « S'è portato dietro tutta la squadra. » Fermai l'auto accanto alla Ferrari e cominciammo a scaricare i bagagli Sal prese la sua valigia, la tavolozza e tutto il resto, e sparí oltre la porta dell'aviorimessa. Quando vi entrai a mia volta, era già troppo tardi. L'apprensione mi attanagliò lo stomaco non appena ebbi varcato la soglia Sullo sfondo del piccolo aereo a reazione Lear, dalla sagoma di pescecane, sette dei B.G.F. di Louren, in regolamentare abbigliamento da safari e giaccone sportivo foderato di montone, si stringevano in cerchio, allibiti, attorno ai due protagonisti. assai raro che Louren perda la calma e, se gli accade, vuol dire che l'hanno proprio tirato per i capelli, ma in meno di due minuti Sally gli aveva fatto perdere completamente le staffe. Accanto alle valigie posate per terra, lei e Louren stavano scambiandosi occhiate di fuoco. « Il professor Kazin ha detto che potevo venire. » « Non m'importa un corno. Anche se glielo avesse detto lo stramaledetto re d'Inghilterra, I'aereo è al completo e io non ho nessunissima intenzione di trascinarmi dietro una donna, proprio adesso che per la prima volta in sei mesi, mi si presenta un'occasione del genere. :~ « Non sapevo che si trattasse di un viaggio di piacere... » « Qualcuno vuole buttarmi fuori questa rompiscatole per favore? » I B.G.F. accennarono a muoversi, ma Sally afferrò ia sua pesante tavolozza, e le loro velleità si smorzarono di colpo. Mi precipitai nel varco libero e afferrai Louren per un braccio. « Lo, scusami. Posso dirti una parola? Lo trascinai quasi a forza verso l'ufficio in fondo all'aviorimessa. « Senti, mi dispiace tanto di tutta questa storia... Cinque minuti dopo, il mio amico si avviava a gran passi verso l'aereo, senza degnare di un'occhiata né Sal né gli allibiti funziona- ri e, poco dopo, lo si vide nella cabina di pilotaggio, accanto al pilota. Mi avvicinai al piú giovane in grado dei B.G.F. e gli trasmisi l'ordine. « Il signor Sturvesant vuole che lei noleggi un altro aereo per farsi portare a Gaberones. Poi, mi rivolsi agli altri: « Vi dispiace darci una mano coi bagagli? » Mentre la squadra di facchini meglio pagati di tutta l'Africa sistemava i bagagli di Sally, sul viso della mia assistente splendeva, mi duole dirlo, un'espressione di trionfo. « Mettiti in fondo » susurrai seccamente. « E cerca di renderti invisibile. Sei quasi riuscita a perdere il posto. Eravamo in volo da una decina di minuti, quando il pilota, Roger Van Deventer, venne in cabina passeggeri e si fermò davanti a noi, fissando Sally con aperta ammirazione. « Parola mia, signorina, una scena come quella valeva lo stipendio di un mese! » Sally, rimasta convenientemente abbacchiata dopo la mia ramanzina, si rianimò subito. Roger rise e si rivolse a me. « Il capo vuole parlarle, professore. Le cedo il mio posto. Louren, che stava parlando per radio con la torre di controllo, mi fece segno di sedermi al posto del pilota. Quand'ebbe finito, mi 20 passò una coscia di tacchino che aveva preso da un paniere. « Il caffè è nel termos. Serviti... Mi dispiace di dover fare una deviazione, ma devo portare i ragazzi a Gaberones a prendere accordi per una nuova concessione. Poi, proseguiremo da soli. Abbiamo a nostra disposizione una settimana, è tutto ciò che posso concedermi. Addentò un pezzo di tacchino e continuò a parlare con la bocca piena. « Buon Dio, Ben, quanto tempo è che non si fa un viaggio insieme? Devono essere almeno dieci anni. Era tranquillo e sereno, senza piú tracce della collera di poco prima. Soltanto dopo mezz'ora, accennò a Sally. « Quella tua assistente... quella specie di sergente in gonnella. Come si chiama? Glielo dissi. « 1la tua amante? :Lo domandò in tono cosí indifferente, che per un attimo non capii. Poi, la collera mi annebbiò la vista: lo avrei ucciso. Mentii, con voce strozzata e tremante. « No. « Meglio cosí borbottò lui. « una virago scatenata. Be', basta che non ci rovini il viaggio... Ah, se glielo avessi detto subito! Ma era una questione troppo personale, e il momento passò. C'era una spessa coltre di nubi a trecento metri d'altezza, quando atterrammo a Gaberones. Louren aveva dichiarato che saremmo ripartiti immediatamente, ma trovammo ad accoglierci un comitato di unzionari di grado elevato e dovemmo presenziare a un rinfresco con cibi e bevande nella sala da pranzo privata dell'aeroporto. Trascorsero tre ore prima che il Lear, con soltanto noi quattro a bordo, forasse di nuovo il denso strato di nubi per riemergere nel radioso splendore del sole. ~1 A MAUN, trovarnmo ad aspettarci Peter Larkin, che avrebbe provveduto ai servizi per la nostra spedizione: un anacronistico personaggio, completo di grosse cartucciere a tracolla sopra la sahariana, viso rubicondo e manone enormi, con l'indice della destra deformato dal rinculo dei fucili di grosso calibro. Il suo tono abituale di conversazione era a livello dell'urlo arrochito dal whisky. Viveva in Africa da sempre, ma non s'era mai dato la pena di imparare un dialetto indigeno. Le proprie ragioni le faceva valere con gli stivali o con i pugni, le sue cognizioni sugli animali cui dava la caccia si limitavano alle località dove trovarli e al punto dove colpirli. Mentre la sua squadra di portatori caricava sugli autocarri la nostra roba, lui urlava amabili sciocchezze a Louren. « Come vorrei venire anch'io, signor Sturvesant! Ma ho un gruppo di americani in arrivo. Andremo a caccia di antilopi camoscio. E di elefanti. E non mi stupirei se ci capitasse d'incontrare anche uno o due leoni. D « Viene con noi anche Ernest Hemingway? mi domandò Sally, osservando Larkin con palese disgusto. « Non avremo tanta fortuna la rassicurai. Stavo cercando di farmi un'idea di coloro che ci avrebbero accompagnáti, a cominciare dagli autisti dei due autocarri da tre tonnellate; la superiorità del loro stato sociale appariva evidente dalla camicia bianca, dai calzoni grigi e dai piedi calzati di scarpe. Appartenevano entrambi al gruppo etnico shangana. Il cuoco e i due portafucili, nodosi e canuti, erano matabele: facevano parte dell'aristocrazia tribale e non si mescolavano con gli indaffarati uomini di fatica del campo, che erano banangwato. Fui soddisfatto della mia breve indagine: avrei capito ogni parola che si fosse pronunciata nel corso della spedizione. Andai con Sally a salutare Roger. « Cerchi di non spaventare i leoni » raccomandò il pilota alla mia assistente. Era chiaro che Sally aveva fatto una conquista. Roger si arrampicò sull'aereo e noi restammo a guardarlo mentre decollava. « Bene, che cosa aspettiamo? » domandò Louren. « Me lo domando anch'io » convenni. Lui si mise al volante della Land Rover e io mi sedetti al suo fianco. Sally si accomodò sul sedile di dietro, mentre i due portafucili si sistemavano sulle panche posteriori. La strada si snodava attraverso una pianura disseminata di baobab, secca e riarsa dal sole. La Land Rover sollevava una nube biancastra di polvere turbinante, e i due autocarri ci seguivano a una certa distanza per evitare di venirne investiti. Ogni tanto, incontravamo un villaggio con capanne di fango e di paglia e file di negretti panciuti si schieravano ai lati della strada, come se passasse un corteo regale. Quando Sally cominciò a lanciare loro dal finestrino il nostro pranzo, io levai dalla custodia la chitarra, per distrarla. « Canta qualcosa di allegro, Ben :suggerí Sally. « ... e di osceno » aggiunse Louren, probabilmente per punzecchiarla. « Giusto aderí prontamente Sally. « Che sia volgare e allegro. Attaccai con la saga di Eskimo Nell, e Sal e Louren mi accompagnarono a voce spiegata nei passi di cui conoscevano le parole. Ci comportammo come ragazzini a una scampagnata, quel primo giorno, e il viaggio verso la nostra meta fu bellissimo. Il sole era un globo di fuoco all'orizzonte, quando ci fermammo ai margini della triste, scintillante pianura salata. Cronometrai diciassette minuti e mezzo esatti dal momento in cui gli autocarri si fermarono a quello in cui le tende furono rizzate e 22 noi ci sedemmo attorno al fuoco a bere whisky con ghiaccio. Larkin ci aveva procurato una squadra di gente in gamba e allegrissima e, quando gli uomini si radunarono intorno al fuoco, la notte si riempí della dolcezza delle loro antiche canzoni di caccia. Me ne stavo seduto ad ascoltare con un orecchio quel canto; con l'altro, seguivo la discussione che si era accesa fra Sally e Louren. Avrei potuto avvisare la mia assistente che Lo stava facendo la parte dell'avvocato del diavolo soltanto per punzecchiare lei, ma mi godevo troppo lo scontro di quei due brillanti cervelli. Sally difendeva strenuamente la tesi del mio libro O~r, dove prospettavo la teoria di un'invasione dell'Africa centro-meridionale da parte di colonizzatori fenici o cartaginesi che, sbarcati sulla costa atlantica intorno al 300 a. C., avrebbero creato in quei luoghi una civiltà che sarebbe fiorita fin verso la fine del terzo secolo d. C., per poi scomparire bruscamente. « A quell'epoca, non possedevano ancora i mezzi per un viaggio esplorativo di tale portata obiettò Louren. « Figuriamoci poi per colonizzare un Paese! « Signor Sturvesant, Erodoto racconta di una circumnavigazione dell'Africa compiuta da una spedizione fenicia, durante il regno di Necho, già nel seicento avanti Cristo o giú di lí. « Un viaggio singolo » fece notare Louren. « No, signor Sturvesant, non ci fu soltanto quel viaggio. Annone salpò da Gibilterra e raggiunse un punto della costa occidentale delI'Africa nel quattrocentosessanta avanti Cristo: una esplorazione dalla quale tornò con oro e avorio sufficienti a risvegliare gli appetiti di tutti i mercanti con un po' di spirito d'avventura... Con finta riluttanza, Louren cedette punto per punto di fronte ai risoluti attacchi di Sally, ma si abbarbicò alle proprie posizioni a proposito della mia teoria di un'invasione da Occidente invece che da Oriente, ripetendo tutti gli argomenti avanzati dai miei critici. Secondo la teoria universalmente accettata, la porta d'accesso alle regioni interne sarebbe stata la foce dello Zambesi, sulla costa orientale, mentre io, basandomi su antichissimi testi e su scavi effettuati in vaste zone, sostenevo che una popolazione mediterranea sarebbe scesa lungo la costa occidentale dell'Africa, fondando probabilmente colonie commerciali nella Costa d~Oro, nella Costa d'Avorio e in Nigeria, finché le sue esplorazioni non l'avevano portata in zone inospitali e disabitate. Pensavo alla foce di un fiume, che in seguito doveva essersi interrato o avere mutato corso. I colonizzatori avrebbero risalito il corso d~acqua, che poteva anche essere il Cunene o l'Orange, proseguendo poi per via terra fino a scoprire le miniere d'oro di Manica e forse, anche diamanti fra le sabbie dei laghi e dei fiumi. In ogni caso, ricchezze sufficienti a giustificare la costruzione di una fortezza cinta di mura e di un centro commerciale al limite della regione raggiungibile per via d'acqua' forse sulle sponde di un lago che si stendeva oltre i confini della attuale depressione salata. Improvvisamente, Louren smise di punzecchiare Sally e, un attimo dopo, tutti e tre ci abbandonavamo allegramente alle previsioni sulla prossima scoperta della nostra città scomparsa. « Il lago doveva estendersi per almeno ottanta chilometri oltre l'attuale depressione osservò Louren. « Solo un secolo fa, Burchell descriveva il lago Ngami come un mare interno: ora è ridotto a una pozzanghera. addirittura possibile che l'antico specchio d'acqua arrivasse a lambire i piedi delle colline sulle quali si trovano le nostre rovine. « Ben... :Sally mi strinse forte un braccio, « la disposizione a mezzaluna che abbiamo visto sulla fotografia potrebbe derivare dal fatto che la città sorgeva sulle sponde del lago! « Oh Signore! » sospirò Louren. « Come farò ad aspettare fino a domani! :D La bottiglia del whisky aveva subíto una batosta terribile, prima che lui e Sally se ne andassero a letto. Io, sapendo che non sarei riuscito a dormire, mi allontanai dal campo e mi spinsi fino alla depressione vera e propria. Quando tornai, una lampada ardeva ancora nella tenda di Sally, e la sua figura si stagliava ingrandita contro il telone chiaro, simile a un gigantesco ritratto in nero del mio amore. Stava leggendo, seduta a gambe incrociate sulla branda, ma dopo un attimo spense la luce. Aspettai un poco, poi mi avvicinai. « Posso entrare? « Vieni... ma per un minuto solo. :~ Nell'ombra, la sua camicia da notte formava una macchia pallida e confusa. « Sono venuto per dirti che ti amo susurrai La udii trattenere il respiro. « Oh Ben, tesoro! « Posso restare con te, stanotte? Mi parve di notare una sfumatura di rimpianto nella sua voce quando ribatté: « No, Ben. Se ne accorgerebbero tutti, e io non voglio ». IL MATTINO seguente, avevamo tutti il morale altissimo e, alle sette eravamo già in viaggio lungo il margine della depressione. Si viaggiava da circa un'ora, quando tre stupende antilopi camoscio balzarono da una macchia e si allontanarono da noi galoppando in fila indiana. Louren bloccò di colpo la Land Rover. Con la tempestività del professionista esperto, il vecchio portafucili matabele gli mise in mano il grosso Magnum Holland e Holland calibro .375, e Louren scattò all'inseguimento, correndo piegato in due lungo il margine erboso che orlava la depressione. « Ma perché vuole ucciderle? domandò Sally. « Ci si diverte :risposi. « E adesso che fa? domandò ancora lei, dopo un momento. Le antilopi si erano fermate, ma Louren continuava a correre. « Rispetta le regole :spiegai. « proibito sparare quando si è a meno di cinquecento metri da un veicolo. In un batter d'occhio, Sally era balzata dall'auto, si era arrampicata sul cofano e, tenendo le mani a coppa davanti alla bocca, stava gridando: « Scappate stupide! Via, via, maledizione! Poi, prese a roteare il cappello sopra la testa, ululando come una furia. Le antilopi camoscio fecero un balzo e fuggirono spaventate, mentre Louren prendeva la mira. Il fucile rinculò, e l'antilope che guidava il gruppo rotolò in una nube di polvere bianca. Louren sparò di nuovo e un secondo animale crollò a terra. Il terzo proseguí la corsa, da solo. Sally tornò a sedersi e io portai la Land Rover fino al punto in cui si trovava Louren. Restituí il Magnum al portafucili e, mentre io mi spostavo per lasciargli di nuovo il posto di guida, I'odore della cordite invase l'abitacolo Louren gettò un'occhiata a Sally. « Grazie » disse sarcastico. « Preferisco sparare a un animale in corsa. » « Perché non le ha ammazzate tutte e tre? rimbeccò lei con finta indifferenza. « La licenza di caccia consente di ucciderne soltanto due. « Oh, molto sportivo! Non capita spesso di imbattersi in un vero gentiluomc. Louren portò la Land Rover vicino alle antilopi uccise, e io scesi con lui a guardare i portafucili che le scuoiavano con la consumata perizia di abilissimi chirurghi. « Avresti potuto avvisarmi che avremmo avuto con noi una rompiscatole nel nostro viaggio :borbottò. « A ogni modo, è la tua assistente... bada tu a tenerla a freno. Me ne tornai all'auto, per lasciargli il tempo di ritrovare la calma, e distesi sopra il cofano una mappa della zona. Louren mi raggiunse quasi subito. Possiede un genio particolare per leggere mappe e stabilire itinerari e si considera una specie di padreterno in materia. « Arriveremo qui e indicò il letto asciutto di un fiume, « orientandoci con la bussola. Chiamò i due autisti e indicò il punto sulla carta. « Vogliamo andare qui, su queste colline. Ma non è indicato nessun nome. Com'è questa zona? I due uomini si scambiarono un'occhiata furtiva. Il loro contegno era mutato di colpo. « Non conosco quella regione borbottò Joseph. L UCCELLO DEL SOLE I'autista piú anziano. Poi, passò subito alle menzogne. « E, del resto, non c'è acqua. « Che cosa vanno a cercare i bianchi? :D domandò uno dei portafucili nel proprio dialetto a Joseph. Lui e il suo compagno avevano finito di scuoiare le antilopi. « Katuba Ngazi :spiegò l'autista, convinto che nessuno di noi capisse la loro lingua. Udivo allora per la prima volta quel nome: Katuba Ngazi, le colline del Sangue. « E tu che gli hai detto? domandarono i portafucili. « Che non conosciamo quel luogo. « Bene. :~ Louren interruppe i loro discorsi. « Oggi imparerete qualcosa di nuovo. Vedrete per la prima volta quelle colline. » Arrotolò la carta. « Ora caricate la carne e ripartiamo. :D Nel giro di cinque minuti, I'atmosfera della spedizione era completamente mutata. Sorrisi e allegria erano svaniti. Il ritmo di lavoro scese quasi a zero e ci volle mezz'ora per caricare le due antilopi. Nel frattempo, riferii a Louren la conversazione che s'era svolta fra gli indigeni. « Colline del Sangue? Magnifico! » si entusiasmò lui. « Vuol dire che devono sapere qualcosa delle rovine. Probabilmente, esiste qualche tabú. » « Ma faranno di tutto per sabotare il viaggio gli feci osservare. « Guardali, si muovono come lumache. Ci vorrà molto piú tempo di quanto ne abbiamo a disposizione. » Ci allontanammo di nuovo dalla depressione, spostandoci sul terreno sabbioso, ma solido, che orlava la piana, e viaggiammo per venti minuti buoni, prima di accorgerci che nessuno dei due autocarri ci aveva seguito. Tornati indietro, ne trovammo uno sospeso sopra un burrone, mezzo sprofondato nella sabbia e con due ruote nel vuoto. L'altro era fermo poco lontano, con quattordici uomini sparsi lí intorno, in vari atteggiamenti di riposo. « Bene, signori miei, vogliamo tirarlo su? li invitò Louren con pesante ironia. Ma, nonostante gli sforzi - in realtà, lievi - dei quattordici uomini e le ben piú vigorose manovre di Joseph col motore, dopo mezz'ora l'autocarro non si era spostato di un millimetro. Alla fine, si arresero tutti quanti. Louren si rivolse a me, mentre si toglieva la sahariana. « Cominciamo con la parte anteriore, Ben. D'accordo? :D 26 « D'accordo, Lo. » Calcolavo che il muso dell'autocarro dovesse pesare poco piú di nove quintali. Gli africani parevano sconcertati e uno si lasciò sfuggire una risatina. Perfino Sally scese dalla Land Rover per venire a guardarci, quando Louren e io ci piantammo davanti all'autocarro. « Fino alla fine, socio? » « Fino alla fine, Lo. :Ricambiai il suo sorriso e ci mettemmo alI'opera. Udivo il nostro respiro ansimante, mentre sollevavamo il muso del pesante autocarro riportandolo con le due ruote anteriori sul terreno. Poi, facemmo altrettanto con la parte posteriore. Terminato il lavoro, scoppiammo a ridere: una risata che, un po' esitante sulle prime, esplose alla fine fragorosa. Louren mi pose un braccio attorno alle spalle e mi condusse verso Joseph e gli altri. « Siete un branco di vecchiette fragili e di verginelle sciocche disse, sempre ridendo. « Traducilo ai tuoi compagni, Joseph. :~ Notai che l'autista traduceva correttamente. « Quanto a te, Joseph, sei uno stupido. » Louren fece un passo avanti e gli mollò un ceffone su un orecchio con tale forza, da farlo girare su sé stesso e rotolare nella polvere. « E notate che sto ridendo » fece osservare il mio amico, rivolgendosi ai suoi sbalorditi spettatori. « Vi lascio immaginare che cosa potrebbe accadere se fossi in collera. :~ L'autocarro fu ricaricato a velocità da primato e ripartimmo. « Bene osservò Sally, « come mai il grande buana bianco non ha adoperato la frusta, invece di insudiciarsi le mani? :~ « Diglielo, Ben :D rispose Louren, senza nemmeno girare il capo. « Louren non si è divertito affatto a picchiare quell'uomo, Sal. Ma Joseph aveva mandato fuori strada l'autocarro di proposito. Ci restano soltanto tre giorni e mezzo e non possiamo correre altri rischi. » Ma, nonostante tutto, fu ben presto evidente che, per quel giorno, non saremmo certo arrivati alle colline. Si procedeva su un terreno erboso, misto a sabbia, sul quale si avanzava a fatica, e almeno sei volte fummo costretti a disincagliare gli autocarri con la Land Rover, munita di quattro ruote motrici. Ogni volta, con le piú profonde scuse daarte degli autisti e dell'equipaggio. Il tramonto ci sorprese circa a venticinque chilometri dalle colline. Arrampicatomi sui rami piú alti dell'acacia sotto la quale ci accampammo, vidi le rocce all'orizzonte tingersi di rosso arancione sotto gli ultimi raggi del sole e rimasi a guardarle, finché non si fusero con l'oscurità del cielo. Un mistico senso di premonizione mi riempí il cuore di malinconia. Al campo, trovai Louren seduto da solo accanto al fuoco. « Dov'è Sally? :D m'informai. « andata a letto. Col muso. C'è stata una discussione a proposito di sport sanguinari e pestaggi di poveri negri. L UCCELLO DEL SOLE I'autista piú anziano. Poi, passò subito alle menzogne. « E, del resto, non c'è acqua. « Che cosa vanno a cercare i bianchi? » domandò uno dei portafucili nel proprio dialetto a Joseph. Lui e il suo compagno avevano finito di scuoiare le antilopi. « Katuba Ngazi » spiegò l'autista, convinto che nessuno di noi capisse la loro lingua. Udivo allora per la prima volta quel nome: Katuba Ngazi, le colline del Sangue. « E tu che gli hai detto? domandarono i portafucili. « Che non conosciamo quel luogo. :~ « Bene. :~ Louren interruppe i loro discorsi. « Oggi imparerete qualcosa di nuovo. Vedrete per la prima volta quelle colline. Arrotolò la carta. « Ora caricate la carne e ripartiamo. Nel giro di cinque minuti, I'atmosfera della spedizione era completamente mutata. Sorrisi e allegria erano svaniti. Il ritmo di lavoro scese quasi a zero e ci volle mezz'ora per caricare le due antilopi. Nel frattempo, riferii a Louren la conversazione che s'era svolta fra gli indigeni. « Colline del Sangue? Magnifico! si entusiasmò lui. « Vuol dire che devono sapere qualcosa delle rovine. Probabilmente, esiste qualche tabú. » « Ma faranno di tutto per sabotare il viaggio :gli feci osservare. « Guardali, si muovono come lumache. Ci vorrà molto piú tempo di quanto ne abbiamo a disposizione. » Ci allontanammo di nuovo dalla depressione, spostandoci sul terreno sabbioso, ma solido, che orlava la piana, e viaggiammo per venti minuti buoni, prima di accorgerci che nessuno dei due autocarri ci aveva seguito. Tornati indietro, ne trovammo uno sospeso sopra un burrone, mezzo sprofondato nella sabbia e con due ruote nel vuoto. L'altro era fermo poco lontano, con quattordici uomini sparsi lí intorno, in vari atteggiamenti di riposo. « Bene, signori miei, vogliamo tirarlo su? li invitò Louren con pesante ironia. Ma, nons~stante gli sforzi - in realtà, lievi - dei quattordici uomini e le ben piú vigorose manovre di Joseph col motore, dopo mezz'ora l'autocarro non si era spostato di un millimetro. Alla fine, si arresero tutti quanti. Louren si rivolse a me, mentre si toglieva la sahariana. « Cominciamo con la parte anteriore, Ben. D'accordo? 26 « D'accordo, Lo. » Calcolavo che il muso dell'autocarro dovesse pesare poco piú di nove quintali. Gli africani parevano sconcertati e uno si lasciò sfuggire una risatina. Perfino Sally scese dalla Land Rover per venire a guardarci, quando Louren e io ei piantammo davanti all'autocarro. « Fino alla fine, socio? « Fino alla fine, Lo. :Ricambiai il suo sorriso e ci mettemmo alI'opera. Udivo il nostro respiro ansimante, mentre sollevavamo il muso del pesante autocarro, riportandolo con le due ruote anteriori sul terreno. Poi, facemmo altrettanto con la parte posteriore. Terminato il lavoro, scoppiammo a ridere: una risata che, un po' esitante sulle prime, esplose alla fine fragorosa. Louren mi pose un braccio attorno alle spalle e mi condusse verso Joseph e gli altri. « Siete un branco di vecchiette fragili e di verginelle sciocche disse, sempre ridendo. « Traducilo ai tuoi compagni, Joseph. :~ Notai che l'autista traduceva correttamente. « Quanto a te, Joseph, sei uno stupido. Louren fece un passo avanti e gli mollò un ceffone su un orecchio con tale forza, da farlo girare su sé stesso e rotolare nella polvere. « E notate che sto ridendo » fece osservare il mio amico, rivolgendosi ai suoi sbalorditi spettatori. « Vi lascio immaginare che cosa potrebbe accadere se fossi in collera. L'autocarro fu ricaricato a velocità da primato e ripartimmo. « Bene osservò Sally, « come mai il grande buana bianco non ha adoperato la frusta, invece di insudiciarsi le mani? « Diglielo, Ben :rispose Louren, senza nemmeno girare il capo. « Louren non si è divertito affatto a picchiare quell'uomo, Sal. Ma Joseph aveva mandato fuori strada l'autocarro di proposito. Ci restano soltanto tre giorni e mezzo e non possiamo correre altri rischi. Ma, nonostante tutto, fu ben presto evidente che, per quel giorno, non saremmo certo arrivati alle colline. Si procedeva su un terreno erboso, misto a sabbia, sul quale si avanzava a fatica, e almeno sei volte fummo costretti a disincagliare gli autocarri con la Land Rover, munita di quattro ruote motrici. Ogni volta, con le piú profonde scuse da Parte degli autisti e dell'equipaggio. Il tramonto ci sorprese circa a venticinque chilometri dalle colline. Arrampicatomi sui rami piú alti dell'acacia sotto la quale ci accampammo, vidi le rocce all'orizzonte tingersi di rosso arancione sotto gli ultimi raggi del sole e rimasi a guardarle, finché non si fusero con l'oscurità del cielo. Un mistico senso di premonizione mi riempí il cuore di malinconia. Al campo, trovai Louren seduto da solo accanto al fuoco. « Dov'è Sally? m'informai. « andata a letto. Col muso. C'è stata una discussione a proposito di sport sanguinari e pestaggi di poveri negri. :~ Quella sera, non vi furono canti attorno al fuoco degli indigeni mentre Louren e io cenavamo con fegato di antilope alla griglia e pancetta, il tutto innaffiato con vino rosso della provincia del Capo. Appena finito di cenare, Louren si alzò. « Sono a pezzi, Ben. Ci vediamo domattina. Irrequieto e ancora in preda a quella sensazione di sinistro presagio, mi avviai verso il fuoco degli indigeni. I miei passi non facevano rumore sulla sabbia e, mentre mi avvicinavo, udii la voce del vecchio portafucili. Stava dicendo qualcosa che giunse chiarissimo al mio orecchio, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena: «... un male che deve essere spazzato dal mondo e dalla mente degli uomini, per sempre. Le parole che aveva già pronunciato Timothy, le stesse parole, ma dette in una lingua diversa! Fissavo affascinato i tratti del vecchio matabele devastati dal tempo, e lui dovette avvertire il mio sguardo, perché riprese subito: « Fate attenzione. L'Uccello del Sole è qui intorno. Cosí, gli indigeni chiamano l'avvoltoio. E cosí mi avevano battezzato per la mia gobba. Tutti alzarono la testa, e io mi allontanai furtlvo per tornare nella mia tenda, ma le parole del vecchio portafucili continuarono a risuonarmi negli orecchi, finché non mi addormentai. IL MATTINO seguente, guidai io, mentre Louren studiava la carta indirizzandomi verso un gruppo di gigantesche euforbie dai rami a candelabro, che avevamo notato sulla fotografia ripresa dall'aereo. In quel punto, le colline erano rupi torreggianti alte da sessanta a novanta metri, rugose e corrose dai secoli e, ai piedi di una di esse, svettava il gruppo di euforbie. Doveva esserci acqua, nel sottosuolo, per nutrire giganti di quella sorta. Guidai la Land Rover in mezzo alle piante, in un silenzio che andava facendosi sempre piú pesante. Fu Sally a romperlo, finalmente traducendo in parole la nostra delusione. « Ben... dovremmo trovarci ormai dentro le mura della prima cerchia, ammesso che ne sia mai esistita una. Fermai l'auto ai piedi della rupe e scendemmo tutti e tre, coi nervi tesi, per dare un'occhiata in giro. Quella era boscaglia africana vergine, dove l'uomo non aveva mai messo piede. Non c'era traccia della nostra città e non si scorgeva il minimo indizio di mura o di torri. Gli autocarri ci raggiunsero. Gli uomini scesero e rimasero a scrutare le rupi, parlando sommessamente fra loro. « Bene! :esclamò Louren. « Mentre gli indigeni piantano l'accampamento, noi facciamo una breve ricognizione. Io vado da questa parte, voi due andate di là. Ci incamminammo lungo la base della rupe, attraverso la foresta silente. Spaventammo un minuscolo uccello che stava tuffando il lungo becco ricurvo dentro i fiori purpurei di una aloe selvatica e anche un piccolo branco di cercopiteci verdi, una varietà di scimmie, che si diedero alla fuga attraverso i rami piú alti, squittendo spaventati. Dopo cinque o sei chilometri, ci fermammo a riposare. « Piangerei per la rabbia » mormorò Sally. « Sul serio. « Ti credo. Piangerei io, figurati! « Ma quella fotografia, quei rilievi! » insistette lei. « Un'illusione ottica, evidentemente. Non dimenticare che la fotografia è stata scattata verso il tramonto, quando luci e ombre giocano brutti scherzi... :Sally sembrava davvero sul punto di scoppiare in lacrime. Le misi un braccio attorno alle spalle. « Mi dispiace mormorai, e lei mi diede un bacio. « Ah! » sospirò alla fine, liberandosi dall'abbraccio. Ci incamminammo sulla via del ritorno. V'erano fiori, in quel posto, e api indaffaratissime fra le corolle. Scoprimmo un punto dove piogge recenti avevano dilavato un piccolo burrone, anche se non era rimasta traccia di umidità. Scesi giú per il dirupo, per esaminare gli strati di terra e roccia rimasti allo scoperto e, un metro piú in basso, rinvenni alcuni ciottoli tondeggianti e levigati dall'acqua. « Avevi visto giusto, Sal. :Raccolsi una conchiglia bivalve incrostata di arenaria. « Qui, una volta, c'era un lago: guarda! Sal scivolò rapida accanto a me. « Che roba è? « Una varietà di mitilo africano d'acqua dolce. » « Speravo che fosse qualcosa un pochino piú eccitante! Risalimmo lungo il burrone e ce ne andammo senza nemmeno voltarci. Forse, fu la delusione troppo amara a ottundere la mia capacità di ragionare. Certo, non mi capita spesso di trascurare ben quattro indizi scientifici nel giro di un'ora. Il mio quoziente di intelligenza è centocinquantasei, perbacco! Dovrei essere un maledetto genio. « Trovato niente? s'informò Louren, quando lo raggiungemmo per il pranzo. Sally e io scuotemmo la testa. « Nemmeno io. Ho incaricato Larkin di mandarci un elicottero, domani, per un'ultima ricerca dalI'alto. Se non troviamo ancora nulla, bisognerà che io torni indietro. Temo che vi sarà soltanto un posto, a bordo dell'elicottero, perciò voi due dovrete sobbarcarvi a un altro viaggio un po' scomodo. S'interruppe per accendersi un sigaro. « Non so che programmi abbiate per oggi pomeriggio; io prendo la Land Rover e i portafucili. Ho visto tracce di elefante, stamattina. Sally alzò rapidamente la testa, ma si limitò a corrugare la fronte. Aspettai che Louren se ne fosse andato, poi le dissi: « Ho intenzione di eercare un sentiero per arrivare in cima alla rupe. Vieni con me? :~ Desideravo esplorare la zona dall'alto, col binocolo, per cercare eventuali tracee di rovine. « Lasciami stare qui, Ben. Vorrei fare qualche schizzo. » Joseph scelse proprio quel momento per venire ad avvertirei ehe qualehe disgraziato aveva laseiato aperti i rubinetti di quattro serbatoi dell'aequa. « Di eonseguenza concluse eon evidente sollievo, « dovremo andareene di qui entro domani. » Era palesemente un sabotag- gio ma, data la situazione, non riuseii ad arrabbiarmi. Mi limitai ad annuire e m'ineamminai lungo la base della rupe. Dopo sette o ottoeento metri, seoprii un sentiero battuto dalla selvaggina ehe si addentrava in uno dei canaloni tappezzati di cespugli che solcavano la rossastra parete rocciosa. Il pendio era ripidissimo e mi toccò arrancare per quaranta minuti prima di arrivare sulla cima, con le braccia graffiate dalle spine e la camicia inzuppata di sudore. Trovai un ottimo punto d'osservazione sul crinale della rupe, ma scrutai invano la vallata col mio binocolo. Poi, stranamente, I'amara delusione di quell'insuccesso lasciò il posto a una serena sensazione di pace. Mi sorpresi a desiderare di restare lí, fra quelle inquietanti colline; Sally e io, insieme, in quel mondo primitivo, dove avrei potuto insegnarle ad amarmi. "C'è qualcosa in questo posto" pensai, "qualcosa di strano e di inesplicabile." A cena, quella sera, mangiammo sottili fette di cuore d'elefante alla griglia, condite con una piccantissima salsa pepata e accompagnate da patate arrostite con la buccia. Era stata una buona giornata di caccia per Louren, e ciò l'aveva in parte consolato del mancato ritrovamento delle rovine. Reagí con un semplice sorriso al problema dell'acqua, sollevato da Joseph. Quand'era di buon umore, Louren diventava irresistibile. Sally cercò di mantenere un atteggiamento di aperta disapprovazione, ma dopo un poco cedette anche lei al suo fascino e rise con noi quando Louren fece un brindisi "alla città che non è mai esistita e al tesoro che non abbiamo trovato!" L'ELICOTTERO apparve da sud un'ora prima di mezzogiorno. LOUren s'arrampicò a fianco del giovane pilota e il goffo apparecchio cominciò subito a disegnare ampi cerchi sopra le colline. DOPO un po' di tempo atterrò di nuovo, e Louren ci venne incontro scuotendo la testa. « inutile! Non c'è niente. Mangio un boccone e me ne vado. :1 Venti minuti dopo, ci congedavamo. « Mi dispiace tanto di questo fiasco, Ben. Non so rendermene ragione. Be', tanto non sarà l'ultima delusione della nostra vita, dico bene? Ci vediamo a Johannesburg. Arrivederci. Fino alla fine, socio? « Fino alla fine, Lo. L'elicottero si sollevò da terra come una grossa ape ronzante e sparí oltre le cime degli alberi. Ape? Api... uccelli... scimmie! Per la prima volta nel giro di diversi giorni, il favoloso cervello di Ben Kazin riprese a marciare con tutti i cilindri. Afferrai Sally per un braccio e la mia eccitazione la sbalordí. « Sally... noi restiamo qui. Abbiamo trascurato una quantità di cose! :~ « Per esempio? » Rimase a guardarmi a bocca aperta. « Per esempio, api e uccelli. » « vero, vecchio brontolone! » DIVIDEMMO l'acqua rimasta, cosí da lasciarne agli uomini una riserva sufficiente per tornare fino a Maun, serbandone una quarantina di litri per noi due, quattro litri il giorno per dieci giorni. Tenni la Land Rover, la radio, due tende, le brande, un certo numero di arnesi, cibi in scatola e il fucile di Louren. Quando tutto il resto fu a bordo degli autocarri, insieme con il personale, trassi in disparte il vecchio portafucili matabele. « Mio vecchio e onoratissimo padre » gli dissi nella sua lingua, « ti ho udito parlare di un grande mistero che incombe su questa zona. Ora io ti domando come un figlio e un amico di parlarmi di questo mistero. » E aggiunsi un'invocazione segreta confidatami da Timothy. Il vecchio rimase senza fiato. Poi mormorò: « Figlio, se conosci queste parole, devi conoscere anche la leggenda. Quando le rocce erano morbide e l'aria brumosa » un'espressione indigena per indicare tempi remotissimi - « in questo posto esisteva qualcosa di abominevole. Una città lunare... Qualcuno dice che esiste ancora ». « Qui, vecchio padre? Potresti mostrarmela? L'anziano portafucili scosse la testa. « iuna città fantasma. Solo quando la luna è piena e scende il bianco Spirito, allora dicono che la città appaia nella piana sotto le colline. E al mattino è sparita. I nostri avi hanno gettato una maledizione mortale su queste colline e decretato che questo male sia spazzato dal mondo e dalla mente degli uomini, per sempre. Ancora quelle parole fatidiche. « tutta qui la leggenda? insistetti. « Non c'è altro? » « Non c'è altro. Capii che il vecchio diceva il vero. Tornammo agli autocarri in attesa e mi congedai da Joseph, poi mi rivolsi agli altri, nel loro dialetto. « L'Uccello del Sole vi saluta e vi augura pace. » A tutta prima, parvero costernati nell'udirmi usare il soprannome che mi avevano affibbiato, ma, quando se ne andarono, ridevano divertiti di quello scherzo. « Sai mormorò Sally, mentre gli autocarri scomparivano alla vista, « penso di essere stata stregata. Mi sono arenata qui con un uomo dalla morale quanto mai dubbia... Non è meraviglioso? La condussi prima di tutto al boschetto delle scimmie e, mentre ce ne stavamo lí seduti per terra, con la schiena appoggiata a un albero, le riferii le conclusioni cui ero arrivato con tanta fatica. « Ho sbattuto la testa per due giorni contro un sacco di indizi, prima di rendermi conto che, se qui intorno ci sono tanti uccelli e api e animali, bisogna pure che abbiano un rifornimento continuo di acqua. Se la troveremo, ovunque essa sia, sarà una scoperta oltremodo interessante: non dovrebbe esserci acqua in superficie per un centinaio di chilometri, da queste parti. Suggerii di tener d'occhio i cercopiteci verdi. Eravamo seduti lí da un bel pezzo, quando finalmente li vedemmo spostarsi dalla cima di un albero all'altra, avvicinandosi alle rupi: maschi, femmine coi piccoli e una banda di scimmiette giovani. Raggiunsero i rami piú alti di un gigantesco fico selvatico che affondava le radici nella parete verticale di roccia... e sparirono. Fu un fenomeno strabiliante: sessanta scimmie che si posano su un albero e svaniscono, cosí! « Ma dove sono andate? susurrò Sally. « Su per la rupe? » « No, non penso. Mi girai verso di lei, sorridendo felice. « Credo che abbiamo trovato l'acqua, Sal. Comunque, aspettiamo e vediamo come va a finire. Dopo una ventina di minuti, le scimmie cominciarono a riapparire. Aspettammo finché non si furono allontanate, prima di muoverci. Le radici contorte del fico selvatico formavano una serie di gradini irregolari, fino al punto in cui il tronco spuntava dalla roccia. Salimmo e andammo a esaminare il fusto gigantesco, deformato dal contatto con le asperità della roccia. E ]í, levigato dal passaggio di innumerevoli piedi nel corso dei secoli, scoprimmo un sentiero che si addentrava nella rupe. Gli occhi di Sally mandavano scintille, quando mi prese per mano e mi trascinò avanti. Il passaggio era formato da una lunga fessura verticale nella roccia bene illuminata dalla luce che pioveva dall'alto. Mentre avanzavamo fra due muraglie alte sei metri, fu subito evidente che altri uomini erano stati lí prima di noi. Le rosse pareti levigate erano infatti coperte di splendide, antiche pitture boscimane. « Ben! Oh Ben, guarda! 32 « Vieni avanti :D ribattei, trascinandola. « Avremo tempo dopo, per queste. Proseguimmo lungo il passaggio che declinava senza interruzione per una trentina di metri, finché la stretta V del soffitto si confuse con l'ombra sopra le nostre teste. Udimmo lo squittire dei pipistrelli. « C'è luce, là avanti osservai. Un attimo dopo, ci trovammo in un'incredibile sala rotonda, di circa cento metri di diametro, con pareti lisce che si alzavano a cono fino a una piccola apertura, dalla quale si vedeva un cerchio di cielo azzurro. Mi bastò un'occhiata per rendermi conto che si trattava di un'intrusione di calcare nell'arenaria rossa, con la formazione di un tipico impluvio, molto simile allo Sleeping Pool ("Stagno dormiente") di Sinoia, in Rhodesia. E, come a Sinoia, il suolo della caverna era un bacino in fondo al quale splendeva un lucente specchio d'acqua. Sally e io rimanemmo lí a guardare affascinati, paralizzati dall'incredibile bellezza di quella vasta caverna. Dal soffitto a volta pendevano stalattiti di un bianco scintillante e i raggi del sole, che penetravano dall'apertura come la luce di un riflettore, accendevano nella sala splendori di fiaba. Anche lí, le pareti erano decorate di incantevoli, antichissime pitture boscimane. Pensai che in quel posto meraviglioso Sally e io avremmo avuto da lavorare per due anni almeno. Sal liberò adagio la sua mano dalla mia e scese fino all'orlo del laghetto. Rimase un momento a scrutare l'acqua smeraldina e immobile, poi, con gesti lenti e decisi, cominciò a spogliarsi finché rimase completamente nuda in riva al lago e levò le braccia al cielo, come una sacerdotessa pagana. Fui scosso da uno strano brivido atavistico vedendo quel gesto, che mi parve far parte di un antico, dimenticato rituale. Avrei voluto gridare: una benedizione, forse, o un'invocazione. Sally si tuffò: una lunga, armoniosa curva, formata da un corpo bianco e da fluenti capelli neri. Vedevo nitidamente la sua aggraziata figura attraverso l'acqua cristallina. Finalmente, tornò a riva, mi fece un cenno con la mano e io scesi a mia volta verso la sponda del laghetto per aiutarla a uscire. Poi, cominciammo a ispezionare la grotta, sempre piú sbalorditi dalla impressionante profusione di pitture. Ma la luce del sole cominF- ciò a calare prima che avessimo completato il giro e ci toccò ritrovare a tastoni la strada lungo l'angusto passaggio. Tornati al campo, chiamai per radio Peter Larkin e lo pregai di trasmettere un messaggio a Louren. « Gli dica che abbiamo trovato una quantità di pitture rupestri e che resteremo qui in eterno. :~ « Come ve la cavate con l'acqua? :tuonò Larkin. « Bene. Ne abbiamo scoperto una riserva sufficiente. « Avete trovato l'acqua? Ma se non ce n'è da nessuna parte, lí! « Oh... un piccolo deposito rimasto in una specie di cavità naturale, dopo le ultime piogge. « Ah, eapiseo. Bene, allora. Tenetevi in eontatto. Passo e chiudo. :~ Sally mi guardò eon un sorriso malizioso, mentre giravo la manopola. « Sei un bell'impostore! » « Soltanto a fin di bene ribattei, rieambiando il sorriso. « BEN! Ben, vieni qui, per favore! » Nella voce di Sally vibrava una nota d'impazienza. Stavamo esplorando la parete oltre il laghetto verde smeraldo, dove la roccia formava una brusca e lunga rientranza. « Guarda » riprese Sal quando le fui vicino. Spostò in basso il raggio della sua lampada, mettendo in risalto una pittura che rappresentava una massiccia figura umana. « Buon Dio! :ansimai. « La Dama bianca del Brandberg (*)! » Sally abbassò ancora il raggio della lampada, fermandolo sopra un'impressionante, anche se stilizzata, ostentazione di organi sessuali maschili, che conferivano alla figura orgoglio e alterigia virili. « Questa non è davvero una donna » mormorò Sally. Alta un metro e ottanta, la figura aveva il petto coperto da una corazza giallo oro e, in capo, un elmo riccamente lavorato, con un alto cimiero arcuato. Sulla spalla sinistra, portava un grande scudo rotondo, ornato di borchie gialle disposte in cerchio; nella mano destra, stringeva arco e frecce; dalla cintola, gli pendevano una spada e una scure di guerra; gambali dello stesso colore giallo oro gli proteggevano le gambe; i piedi erano calzati di sandali leggeri. La pelle era di un bianco spettrale, in violento contrasto con la folta barba ross~ che gli scendeva fino al petto. « Bianco... » mormorai. « Corazza, scudo, scure... Si direbbe... » « Un re fenicio ,> finí Sally per me. « I fenici, di solito, avevano capelli neri. Doveva trattarsi di un tipo somatico piuttosto raro fra quella gente. A che epoca risale, Sal? :~ « Non posso ancora dirlo con certezza, ma... a duemila anni fa, credo. la pittura piú antica di tutta la caverna. :~ « Guarda, Sal! :Indicai un gruppo di armati che seguivano il re, figure legnose con spade ed elmi. « E guarda qui... Sally illuminò alcune figure paludate, effigiate (*) La Dama bianca del Brandberg (Africa sud-occidentale) è una delle piú famose pitture rupestri scoperte fino a oggi in Africa. Gli studiosi concordano nel farla risalire al primo o al secondo secolo d. C., ma è tuttora oggetto di molte controversie la figura in essa rappresentata. Il celebre abate Breuil la ritenne una donna, ma di recente è stata avanzata l'ipotesi che si tratti di un giovane di sorprendente bellezza, uno degli imperatori che ressero l'impero dei Ma-iti (fenici) per due secoli. (N. d. A.) ai piedi del re. « Sacerdoti, probabilmente, e... Oh Ben, guarda! :~ Fece scorrere il raggio della lampada su quell'affresco murale. A tutta prima, non riuscii a distinguere nulla, poi il cuore mi fece un balzo. A guisa di fregio, cancellato qua e là dall'umidità, si snodava sulla parete il disegno delle mura di una fortezza, costruite con grandi blocchi di pietra e sormontate dagli stessi decorativi merli a punta che abbellisconó il tempio principale delle rovine di Zimbabwe. E, oltre le mura, si scorgevano i profili delle torri falliche che ci eravamo aspettati di trovare. « la nostra città, Ben! La nostra città scomparsa. « Con il suo re, i suoi sacerdoti. E... Oh Signore! Guarda qui! « Elefanti! Elefanti da battaglia con arcieri in groppa, esattamente come quelli usati da Annibale contro i romani. Sicché, queste pitture devono per forza essere opera di fenici, se non addirittura di cartaginesi. Il resto della giornata trascorse in un continuo movimento, scrutando e saggiando la roccia, gridando di gioia e di ammirazione a ogni nuova meravigliosa scoperta. I dieci giorni che seguirono furono i piú felici della mia vita. Un elicottero ci portò tutto ciò di cui potevamo avere bisogno: un teodolite per i rilievi geodetici e topografici, gas per le lampade, indumenti, viveri e persino alcune bottiglie di whisky, rimedio infallibile per ogni male umano. Louren aveva aggiunto un biglietto col quale mi pregava di non lasciarlo all'oscuro per troppo tempo delle nostre scoperte. Risposi allegando ai ringraziamenti un rotolo di fotografie delle pitture piú recenti, e l'elicottero ripartí, lasciandoci al nostro idillio. Lavoravo dall'alba al tramonto a fotografare e a misurare la caverna, e Sally mi aiutava, oppure si dedicava al faticoso compito di scegliere sulle pareti le figure piú interessanti e di riprodurle fedelmente su carta paraffinata. Da principio, la nostra intrusione nella caverna sconvolse gravemente le abitudini della fauna locale, ma bastarono pochi giorni perché gli uccelli tornassero, piombando giú dall'apertura nella volta per venire a bere e a tuffarsi nel laghetto, come se non esistessimo nemmeno. Persino le scimmie ripresero a sgattaiolare attraverso l'angusto passaggio nella roccia per venire a ingollare un sorso d'acqua, spingendo ben presto la loro sfacciataggine fino a rubarci il pranzo o qualche strumento rimasto momentaneamente incustodito. Erano cosí buffe e divertenti, che finimmo col perdonare loro quelle piccole marachelle. 36 Furonoiornate meravigliose di lavoro pieno di soddisfazioni, di compagnia affettuosa, di pace profonda in un posto incantevole. Una sola volta, una casuale conversazione venne a turbare la mia felicità. Mentre sedevo con Sally ai piedi del nostro stupendo Re bianco, osservai: « I bastardi che non approvano le mie teorie ora saranno costretti a ricredersi, Sal. « Non ne sarei tanto sicura mi contraddisse lei. « Mi pare già di udirli. E, imitando l'atteggiamento di un pedante conferenziere, continuò: « Queste pitture possono essere state eseguite dai boscimani sulla base di conoscenze indirette, per sentito dire. Possono esservi stati successivi interventi di altre mani. Sono possibili diverse interpretazioni ». « Sí, certo » ammisi. « E quando mostreremo loro i disegni delle mura fortificate, diranno: "Ma le mura dove sono andate a finire?" Oh, come vorrei avere una prova inconfutabile... :D La prospettiva di comunicare le nostre scoperte ai miei colleghi archeologi era invitante quanto quella di calarsi dentro un pozzo pieno di serpenti velenosi. « Facciamo una nuotata, Sal. » Quando tornammo a sederci nel caldo cono di luce che penetrava dalla volta, cercai di alleviare la mia infelicità cambiando argomento. Con il tatto di un elefante, toccai un braccio di Sally e proruppi: « Vuoi sposarmi, Sal? Si girò verso di me, sconcertata, con le guance e le ciglia ancora imperlate di goccioline, e mi guardò fisso per dieci secondi buoni, prima di scoppiare a ridere. « Oh Ben, sei proprio un incorreggibile romantico! Solo perché mi hai indotta in peccato... non significa davvero che tu debba sposarmi! :E, prima che potessi protestare, s'era tuffata di nuovo nel laghetto smeraldino. Per tutto il resto della giornata fu cosí indaffarata con colori e pennelli, da non trovare nemmeno il tempo di girarsi dalla mia parte. Il messaggiO era chiaro e inequivocabile. Fu un brutto giorno, ma imparai bene la lezione: non avrei mai chiesto niente di piú di quanto avevo. L'ELICOTTERO tornò la settimana seguente portando altro materiale che avevo richiesto: un canotto di gomma, una corta canna da pesca in fibra di vetro, un mulinello e una robusta sagola, in fondo alla quale attaccai un piombo del peso di due chilogrammi. Sally portò il canotto fino al centro del lago e là gettai in acqua lo scandaglio lasciando scorrere la sagola, contrassegnata a intervalli di quindici metri, e contando ad alta voce, insieme con Sally, via via che i segni di cotone colorato sparivano nell'acqua verde e luminosa. « Undici... dodici... tredici. Buon Dio, Ben, ma è senza fondo. Anch'io ero sbalordito. Avevo pensato a una profondità di cento, centoventi metri, come nel caso dello Sleeping Pool di Sinoia, ma la sagola continuava a scorrere. Finalmente, il mulinello si fermò. « Quasi duecentosessanta metri dissi, un po' intimorito. « Fa persino paura... essere qui, sospesi sopra una buca che scende a tale profondità nel cuore della terra! :~ Fui d'accordo con lei. « Avevo progettato di esplorare il fondo con una attrezzatura per sommozzatori, ma non è piú il caso di parlarne. Qualunque cosa ci sia sul fondo, resterà dove si trova. Sally scrutò per qualche momento quelle verdi profondità con un'espressione che divenne a poco a poco incantata. Poi, si scosse bruscamente. « Mi sono sentita scorrere un brivido per le ossa, come se qualcuno avesse camminato sulla mia tomba...> Cominciai a riavvolgere la sagola, mentre Sally si sdraiava supina nel canotto, osservando l'alta volta rocciosa sopra di noi. « Ben! :~ proruppe a un tratto. « Guarda lassú! » Smisi di girare il mulinello e guardai in alto. « Quel blocco di roccia sporgente. » Sally accennò col dito. « 1 quadrato, troppo regolare per essere naturale, non ti sembra? » Osservai per qualche momento la roccia. « Forse. » « Andiamo a cercare sulla collina l'apertura della caverna, Ben :~ insistette lei, rimettendosi a sedere, eccitatissima. « Andiamo subito a vedere da vicino quella pietra. « Sono già le due, Sally. Non ce la faremo prima che faccia buio. Ma andiamo pure. Avevamo calcolato la posizione approssimativa del foro dalla pianura sottostante, ma girovagammo ugualmente per due ore nel sottoboscin cima alle colline, prima che io quasi cadessi dentro quella pau- rosa buca nera. Mi vennero i brividi e stetti bene attento a mantenermi a rispettosa distanza dall'orlo, mentre l'aggiravo per raggiungere il lastrone di pietra che si protendeva nel vuoto. Là in fondo, nella semioscurità dell'abisso, splendeva la superficie smeraldina del nostro laghetto. « Senza dubbio è troppo regolare, Sal. » M'inginocchiai per esaminare la pietra. « Ma non sento alcun segno di scalpello. :~ Quando alzai gli occhi, rimasi pietrificato dall'orrore. Sally mi aveva oltrepassato, spingendosi fino al margine del lastrone, quasi fosse un trampolino. Se ne stava lí, ritta, con gli alluci che sporgevano oltre l'orlo e, mentre la guardavo, alzò di nuovo le braccia al cielo, con quello stesso gesto ieratico che aveva compiuto sulla sponda del laghetto. 38 « Sally! » urlai. Lei vacillò e io balzai in piedi. « Sally, no! :urlai ancora, perché avevo capito che stava per tuffarsi. Mi precipitai di corsa sul lastrone, mentre lei si sporgeva lentamente in avanti; arrivai prima che perdesse l'eriuscii finalmente a tra- ! appena in tempo ad afferrarla per un braccio quilibrio. Lottammo per qualche secondo, poi scinarla indietro, in salvo. Sally si mise d'un tratto a tremare, piangendo istericamente. Mi aggrappai a lei, perché ero spaventato a morte anch'io. Era accaduto qualcosa che andava di là dalla mia comprensione. « Ma perché, Sal? » le domandai con molta dolcezza. « Non lo so. Ero stordita, sentivo un orribile tumulto nel cervello e... Oh, non lo so, Ben! Proprio non lo so! Prima che si fosse ripresa abbastanza da poter rimetterci in cammino verso il campo, il sole era già tramontato. Quando raggiungemmo il sentiero che scendeva dalla collina, era ormai buio pesto. « Fra qualche minuto sorgerà la luna, Sal. Aspettiamo qui. Non mi sorride per niente l'idea di affrontare la discesa al buio. Sedemmo sull'orlo della rupe, mentre la luna saliva tonda e gialla sopra gli alberi. Mi voltai a guardare Sally. Nel pallido chiarore, il suo viso sembrava una maschera argentea dall'espressione distaccata e infinitamente triste. « Andiamo, Sal? :domandai, stringendola leggermente a me. « Ancora un momento. cosí bello! :Mi voltai a guardare la pianura argentata dalla luna e sentii Sally sussultare lievemente. « Ben, guarda! » Aveva la voce strozzata dall'emozione, mentre accennava a un punto sotto di noi. « Guarda, Ben, eccola! Guardai, ma non vidi nulla. « La vedi, Ben? « No. » Ma a un tratto, simile alla figura di un gioco di pazienza, il disegno della città scomparsa prese improvvisamente forma. Era lí, come vi era sempre stata fin dal principio. Sally tremava. « 1la nostra città, Ben! » Il disegno era confuso, indistinto. Chiusi forte gli occhi, poi li riaprii pian piano. Era ancora lí. La doppia cerchia di mura attorno al gruppo di euforbie, un'ampia traccia simmetrica nella piana d'argento, con le impronte circolari che segnavano il punto dove un tempo sorgevano le torri falliche, e, oltre le mura, I'alveare della città bassa, a forma di mezzaluna, distesa sulle rive di un antichissimo lago scomparso. « La luna piena mormorai. « La luce radente ha l'angolazione necessaria per mettere in evidenza il profilo di fondamenta cosí livellate che ci siamo vissuti sopra per un mese senza accorgercene. « La fotografia! » « Sicuro. Scattata da diecimila metri di altezza, con il sole tanto basso da creare lo stesso effetto. Louren non ha visto nulla dall'elicottero, perché era mezzogiorno e non c'erano ombre. :Era cosí semplice, e io non ci avevo pensato. Bel genio... Dovevano aver fatto una gran confusione con quegli esami sul mio quoziente d'intelligenza! « Ma non è rimasto in piedi neanche un muro, soltanto fondamenta. Che cosa è accaduto alla nostra città, Ben? « Lo scopriremo, Sal » promisi. A mano a mano che la luna saliva nel cielo, la nostra città scompariva lentamente. Raccontai a Sal l'antica leggenda sulla città della Luna. « Questo sta a dimostrare che tutte le leggende sono basate su qualche fatto reale, anche se travisato » osservò lei. « A ogni modo, è un nome affascinante. La chiameremo cosí. :~ Rientrammo al campo, ma soltanto un bel po' dopo la mezzanotte smettemmo di fantasticare su quella meravigliosa scoperta, e Sally accennò al problema pratico della condotta da seguire. « Che cosa si fa, Ben? Lo diciamo subito a Louren Sturvesant? Mi versai lentamente da bere. « Non pensi, Sal, che dovremmo prima fare un buchetto in quelle fondamenta, tanto per essere certi che non abbiamo preso un granchio? Un buchetto piccolo piccolo... :~ Lei sorrise. « Piccolo piccolo, per non correre il rischio di distruggere qualcosa di valore? Era contro tutte le regole dell'archeologia. Ma era anche una tentazione irresistibile. La mattina seguente, di buon'ora, con Sally che prodigava consigli non richiesti, scelsi un punto nelle fondamenta delle mura esterne, dove speravo di fare il minor danno possibile. Delimitai uno spazio di un metro per sei con nastri contrassegnati di trenta in trenta centimetri, e Sally riportò il tracciato della zona sul suo taccuino. Poi, stesi sul terreno un'incerata per raccogliervi la terra che via via avrei rimosso scavando. mi sfilai la camicia, mi sputai sulle mani alzai il piccone e guardai Sa]ly, seduta sull'incerata con un largo cappellaccio in testa. « Pronti? » domandai sorridendo. « Fino alla fine, socio! Rimasi interdetto. Quelle parole erano soltanto mie e di Louren. Poi pensai: "Che importa?" Amavo anche lei. « Fino alla fine, donna! ribattei. E calai il piccone. Via via che la terra si ammucchiava sull'incerata, Sally la setacciava con cura. A mezzogiorno, eravamo entrambi abbastanza stanchi e affamati per mangiare qualcosa e fare un riposino. Dopo, lavorai per un'altra ora e, a un tratto, la lama del piccone venne su nera. L'af40 fondai di nuovo: ancora nera. Gettai il piccone e m'inginocchiai nella fossa. « Che c'è? Sally corse subito a vedere. « Cenere risposi. « Carbone di legna. « Un antico focolare? :azzardò lei. « Può darsi. Preleviamo qualche campione per stabilire l'epoca a cui risale. Proseguii il lavoro con attenzione anche maggiore, cercando di portare allo scoperto lo strato di cenere senza sconvolgerlo, e accertai che il suo spessore variava da mezzo centimetro a circa cinque centimetri, per tutta la lunghezza dello scavo. Sally annotò sul taccuino la profondità e l'esatta posizione di ciascun campione che prelevammo. « Troppo grande per essere un focolare » osservò Sally, e io annuii. « meglio non proseguire con lo scavo, Ben. Non cosí, con pala e piccone. « Lo so. Lasceremo la cenere dove si trova in una metà dello scavo, ma nell'altra metà niente mi impedirà di arrivare fino alla roccia sottostante. Tu comincia da quella parte: avanzeremo l'uno verso l'al- tra. » Subito sotto la cenere, scoprimmo uno strato di solida argilla, che ritenni fosse un'opera di muratura, un blocco riportato, e non un set dimento naturale. « Vacci piano » ammonii. « Ha parlato l'uomo con pala e piccone brontolò Sally sarcastica e, quasi nello stesso istante fece la prima sensazionale scoperta fra le rovine della città della Luna. Mentre scrivo, ho qui davanti a me il taccuino di Sally, con l'impronta delle sue dita insudiciate e la sua grafia da scolaretta: Scavo 1. Riferimento AC., 6-11-4. Profondità: cm. 126. Oggetto: una perlina di vetro. Blu. Ovale. Circonferenza: mm. 2,5. Forata. Lievemente deformata dal calore. Osservazioni: rinvenuta in uno strato di cenere al livello 1. Classificazione reperto: N° 1. Città della Luna. Questo laconico appunto, comunque, non serve a dare l'idea del nostro giubilo. Dopo un quarto d'ora, fui io a scoprire un piccolo frammento di osso carbonizzato. << :la testa di un femore umano, il resto è stato consumato dal fuoco. :~ « Cannibalismo? Cremazione? :arrischiò Sally. « Corri troppo osservai. « Tu come la vedi, allora? » mi sfidò lei. Rimasi in silenzio per qualche momento; poi avanzai la mia ipotesi. « Secondo me, la città della Luna è stata saccheggiata e incendiata, i suoi abitanti sono stati sterminati, le mura completamente rase al suolo e gli edifici distrutti fino alle fondamenta. L UCCELLO DEL SOLE Sally si lasciò sfuggire un fischio. « Avendo come prova una perlina di vetro e un pezzetto d'osso, questo è senza dubbio il piú audace volo di fantasia di tutti i tempi! IL GIORNO seguente, proseguii nello scavo e scoprii il primo di quattordici strati di mura a secco. I blocchi di pietra, ricavati dall'arenaria del posto, con la loro misura media di centimetri 120x60x60 facevano chiaramente intuire che erano serviti a sostenere un edificio di imponenti dimensioni. Quella sera, in risposta alle domande che Larkin mi urlava per radio, lo pregai di dire al signor Sturvesant che ci raggiungesse immediatamente. « Vuol dire piantare tutto quanto e venire lí di volata? Roba da ridere! « Lei glielo dica, per favore. :~ Alle tre del pomeriggio seguente, I'elicottero arrivò. « Che hai di bello per me, Ben? » fu la prima domanda di Louren. « Qualcosa che ti piacerà, spero. » Cinque ore dopo, mentre eravamo seduti tutti e tre attorno al fuoco Louren mi sorrise, portando alle labbra il suo bicchiere. « Avevi ragione, amico. Mi piace! Ci aveva seguiti dallo scavo alla caverna e poi in cima alla rupe ascoltando tutto senza fare commenti e, poco prima che il sole tramontasse, aveva insistito per tornare nella caverna a rivedere il Re bianco. La sua attenzione s'era concentrata sulla figura principale, ma mentre stavamo per andarcene, il suo sguardo s'era posato sulle figure effigiate ai piedi del re. « E questi chi sono? aveva domandato. « Sacerdoti, probabilmente. :~ « Ma questo... » La voce gli era uscita un po' strozzata, quasi allarmata, mentre il suo indice si appuntava sul sacerdote al centro del gruppo. « Questo, che fa? » « Forse si inchina davanti al re » aveva suggerito Sally. L'obiezione di Louren era stata immediata. << Ed è tanto piú alto degli altri, benché stia inchinandosi? « L'altezza era per l'artista boscimano un modo per rappresentare l'importanza di una persona » avevo spiegato io. « Il fatto che sia piú alto potrebbe significare che era il Gran Sacerdote. :~ « Ma, supposto che stia davvero inchinandosi piega soltanto la parte superiore del corpo, ed è il solo a farlo. Tutti gli altri sono in posizione eretta. :La sua voce si era affievolita. « Si direbbe... :A un tratto, era stato scosso da un brivido e io avevo notato che gli si era accapponata la pelle sulle braccia abbronzate. « Comincia a far freddo, qui aveva ripreso Louren. « Torniamo al campo. Soltanto quando il fuoco che avevo acceso cominciò a scoppiettare allegramente, Louren riprese a parlare. Allora, davanti a un buon whisky, affrontammo l'argomento dei costi. « Mi metterò in contatto col governo del Botswana dichiarò Louren. « Dobbiamo concludere un accordo ufficiale, che si farà probabilmente sulla base di una compartecipazione al cinquanta per cento in ogni nostra scoperta. Conoscendoti, Benjamin, sono certo che hai già pronto un elenco di tutto ciò che ti occorre. Sbaglio? Risi, mentre sbottonavo il taschino della camicia e gli tendevo tre fogli formato protocollo. « In effetti... Louren diede una scorsa all'elenco. « Assai spartano, Ben... Possiamo permetterci qualcosina in piú. Intanto, voglio una pista d'atterraggio, capace di ricevere almeno un Dakota. Poi, con il caldo, avremo bisogno di qualche comodità. Ci vorrà un generatore per l'aria condizionata, la luce, la pompa dell'acqua. :~ « Non si può davvero accusarti di fare le cose a metà, Lo osservai. Ero felice, quella sera e profondamente soddisfatto di me stesso, perciò "brindavo" ogni voita che Sally mi riempiva il bicchiere. E mi presi una sbronza solenne: ero beato, galleggiavo nell'aria. Con tutta la dignità che mi riuscí di trovare, mi avviai verso la tenda dove Sally mi aveva prudentemente sistemato con Louren, crollai vestito sul letto e mi addormentai. Ricordo vagamente di aver aperto un occhio quando Louren entrò, e di avere visto attraverso l'apertura della tenda l'ultimo chiarore della luna... o era il primo chiarore dell'alba? Al momento, la cosa non mi sembrò di alcuna importanza. UN PROBLEMA fondamentale, nel nostro progetto, era quello del personale, ma al proposito fui piuttosto fortunato. Peter Willcox delI'università di Città del Capo, era in procinto di partire per le vacanze annuali: lo raggiunsi con un aereo, e nel giro di sei ore riuscii a convincerlo che non avrebbe tratto alcun godimento dalle mollezze della vecchia Europa. Heather, sua moglie, fu un po' piú difficile da smuovere... finché non le mostrai le fotografie del Re bianco. Al pari di Sally era particolarmente appassionata di arte rupestre. Sapevo per esperienza che lei e il marito erano i compagni ideali per uno scavo: allegri, capaci, lavoratori, entrambi sulla trentina e senza figli. Inoltre, Peter suonava la fisarmonica e amava la musica jazz, mentre Heather possedeva una voce che si accordava meravigliosamente con la mia. Peter mi raccomandò uno studente che stava specializzandosi con lui e che mi lasciò molto perplesso quando lo vidi per la prima volta. Ral Davidson era un giovanotto sui ventun anni, ma il fatto che fosse un uomo non saltava subito agli occhi. Tuttavia, Peter mi assicurò che sotto tutti quei capelli si celava un promettente archeologo. Infine, il rauco e reboante Larkin mi scovò quarantasei manovali africani che non avevano mai sentito parlare né delle colline del Sangue, né di alcuna maledizione che le riguardasse. L'unica delusione mi venne da Timothy Mageba. Rimasi cinque giorni a Johannesburg per cercare di convincerlo che avevo assolutamente bisogno di lui, allo scavo. Gli spiegai che c'erano circa millequattrocento metri quadrati di pitture, costellate di simboli e di emblemi stilizzati, che soltanto lui avrebbe potuto interpretare. « Machane insistette lui, « qui c'è del lavoro che nessun altro è in grado di fare. :D Quelle parole mi sarebbero tornate alla mente molto tempo dopo. « Mi mandi le copie delle pitture, potrò interpretarle anche restando qui. :~ Ci fissammo negli occhi per qualche secondo. Avrei potuto ordinargli di venire con me, ma lessi nel suo sguardo una volontà ribelle e irremovibile e capii che doveva avere un motivo particolare per rifiutare. « per... Stavo per chiedergli se era per quell'antica maledizione. « Ci sono sempre dei motivi nei motivi m'interruppe lui. « Mi creda, la prego. Il mio lavoro qui si trova a un punto critico. » Cosí, la mattina dopo, raggiunsi i miei tre (anziché quattro) assistenti all'aviorimessa Sturvesant, dove ci aspettava un Dakota. Erano trascorse tre settimane da quando avevo lasciato le colline del Sangue e, mentre il Dakota compiva un giro sopra la nuovissima pista d'atterraggio, potei rendermi conto dei mutamenti avvenuti nel frattempo: notai un gruppo di casette prefabbricate, un serbatoio metallico per l'acqua della capacità di novemila litri e, piú lontano, I'accampamento per gli africani. All'arrivo, trovammo Sally ad aspettarci. Mi riferí che Louren era partito il giorno prima e ci fece orgogliosamente da guida nella visita alle nuove installazioni. Una baracca al centro del gruppo era stata adibita a sala di ritrovo, ufficio e deposito; attorno ve n'erano altre quattro destinate ad abitazione, fornite di aria condizionata, ma arredate piuttosto sommariamente. Sally ne aveva riservata una per Peter e Heather Willcox, una per Ral e me, una per sé e la quarta per Louren o per altri eventuali ospiti. « Vedrei di buon occhio qualche miglioria nella sistemazione notturna :brontolai in tono acido. « Povero Ben ribatté ]ei con un sorriso. « Ormai, la civiltà ci ha raggiunto. Non vi saranno piú nemmeno tuffi in costume adamitico nel laghetto. » Deprecai per un attimo la generosità di Louren. Il gruppo si organizzò rapidamente. Sally cominciò a lavorare nella caverna con un giovane assistente africano; agli altri tre, ognuno con una squadra di dieci indigeni, venne assegnata una zona di lavoro. Peter e sua moglie scelsero intelligentemente il settore fuori delle mura principali fra le rovine della città bassa, dove con ogni probabilità gli antichi abitanti avevano scaricato il loro ciarpame: vecchie armi, stoviglie, perline di vetro, tutti gli affascinanti rottami di una civiltà scomparsa. Ral, invece, impetuoso come tutti i giovani e forse inseguendo sogni di tesori, preferí correre l'alea degli scavi entro la cinta, un settore che gli antichi avevano tenuto certo scrupolosamente ordinato e dove, di conseguenza, sarebbe stato ben difficile fare scoperte interessanti. Io, in veste di sovrintendente, mi riservai di lavorare dovunque mi sarebbe sembrato opportuno. La nostra prima scoperta di una certa importanza fu che lo strato di cenere al livello I si estendeva nell'intera zona; col metodo del carL UCCELLO DEL SOLE bonio-14, che serve per stabilire l'età dei reperti archeologici o di strati geologici, fummo in grado di accertare che risaliva al 350 circa d. C. Ci trovammo pure d'accordo sul fatto che l'occupazione della caverna da parte dei boscimani doveva avere seguíto da vicino la partenza o la scomparsa degli antichi abitatori, chiunque fossero. Per scrupolo professionale, non osavamo indicarli come fenici, perché non avevamo ancora prove sicure della loro identità. Frammisti alla cenere, ritrovammo frammenti di resti umani insepolti, che sembravano confermare la mia teoria di una distruzione violenta della città, teoria rafforzata anche dalla totale e altrimenti incomprensibile scomparsa delle mura e delle torri che, come tutto ci induceva a credere, un tempo dovevano sorgere su quelle fondamenta. Ral azzardò timidamente l'ipotesi di nemici cosí accecati dall'odio, da aver voluto cancellare dalla faccia della terra ogni traccia della città. « E tutte quelle tonnellate di macerie, dove sarebbero andate a finire? :obiettò Sally. « Le avranno disseminate nella piana suggerí Ral. « La piana era un lago, a quel tempo. Avrebbero dovuto disperderle tra le colline e il lago, e non ve n'è la minima traccia. » Nessuno aveva altre idee in proposito, perciò passammo dalle teorie ai fatti. Dopo sei settimane, arrivò Louren, e i lavori furono sospesi per due giorni, durante i quali si tenne una riunione per presentargli i risultati delle nostre fatiche. Risultati veramente imponenti. Tanto per cominciare, l'elenco dei manufatti portati alla luce, cocci di vasellame di terracotta e altri frammenti, occupava centoventisette pagine dattiloscritte formato protocollo. Gli oggetti erano stati rinvenuti per la maggior parte da Peter e da Heather, perciò toccò a loro aprire la riunione. « Finora, gli scavi fuori delle mura sono stati limitati al lato nord, un'area che parrebbe essere stata occupata da un complesso di piccoli edifici, costruiti con mattoni cotti al sole e coperti da tetti di tronchi e di paglia. » Peter forní i particolari: le dimensioni delle stanze, l'esatta ubicazione di ogni oggetto scoperto e concluse: « Si direbbe pertanto che m quel punto si trovassero un vasto bazar e un mercato. Poi, ci accompagnò al deposito, per esaminare gli oggetti rinvenuti: borchie di bronzo che si pensava avessero decorato uno scudo di cuoio; una decina di chilogrammi di dischi di bronzo, oggetti a forma di stella o di sole, che erano ovviamente ornamenti; uno stupendo 46 piatto di bronzo; circa venti chilogrammi di frammenti e lamine dello stesso materiale. « La lavorazione è grossolana fece notare Peter a Louren, « ma non rapportabile a origini africane. imolto piú simile a ciò che conosciamo dell'artigianato fenicio, con i suoi oggetti massicci e lavorati in maniera alquanto primitiva. Un altro fatto interessante è la venerazione del sole da parte della comunità. E, come tutti sappiamo, Baal, la divinità maschile dei fenici, era la personificazione del sole. Temetti che Peter stesse per commettere l'errore di perdersi in qualche dissertazione gratuita, ma non mi intromisi. Poi, Willcox ci guido verso i tavoli dov'erano esposti manufatti di vetro e vasellame. « Circa sessanta chilogrammi di perline di vetro, per la maggior parte rosse e blu, i colori fenici. E la cosa è molto interessante, visto che probabilmente sono posteriori al cinquanta dopo Cristo, quando l'impero fenicio fu definitivamente assorbito dai romani. :~ « E assorbito cosí bene, che oggi non ne sappiamo quasi piú nulla osservai io. « vero :convenne Peter. Accennò agli oggetti esposti. « Di tutto questo vasellame, un pezzo solo porta scritto qualcosa. Prese uri frammento e lo porse a Louren. Benché ci fossimo già estasiati a lungo di fronte a quell'oggetto, ci stringemmo tutti attorno a Lo, mentre t lo esaminava. « Il simbolo potrebbe essere una T punica spiegò Peter. « Ma questo taglia la testa al toro, Ben! :proruppe Louren, posandomi una mano sulla spalla « Dovranno arrendersi all'evidenza, no? « Nemmeno per sogno, Lo. Scossi malinconicamente la testa. « Cominceranno a strillare: "Importato!" il vecchio trucco per screditare ciò che non si sa spiegare: si dice che lo hanno portato i mercanti. » « Sicché non riuscirai proprio a spuntarla, Ben? Sogghignai. « Per lo meno, non abbiamo trovato un vaso da notte col ritratto della regina Vittoria! :~ Ci spostammo ridendo verso l'esposizione degli oggetti di rame: spille e bracciali corrosi dal verderame, rotoli di cavo e, particolarmente significativi, lingotti di cinque chilogrammi a forma di croce di Sant'Andrea. « Questi non sono una novità » osservò Louren. Fui d'accordo con lui. « Infatti, se ne trovano in tutta l'Africa centrale e meridionale. Tuttavia, la forma è perfettamente uguale a quella dei lingotti che i fenici portavano dalle miniere di stagno di Cornwall... o dei lingotti di rame provenienti dalle antiche miniere di Cipro. :~ « Sicché, niente di conclusivo? » Scossi la testa e guidai Lo verso gli oggetti in ferro: frecce, lance e 47 spade, tutte divorate dalla ruggine. « A giudicare dalla quantità di armi :osservai, « gli antichi abitatori dovevano essere un popolo guerriero, oppure dovevano temere un attacco in forze e s'erano preparati a sostenerlo. Alle mie parole fece eco un generale mormorio di approvazione e tutti ci spostammo verso le fotografie che avevo scattato durante le varie fasi degli scavi. « Un ottimo lavoro convenne Louren. « tutto? « Il meglio deve ancora venire. » Non avevo saputo resistere alla tentazione di mettermi un po' in mostra. Avevo sistemato due tende divisorie in fondo al deposito; accompagnai Lo oltre la prima tenda, mentre tutta la squadra ci seguiva, aspettando ansiosamente la sua reazione. « Buon Dio! Louren si fermò di botto, fissando sbalordito le colonne falliche con il loro vertice ornamentale. Erano tre, alte un metro e mezzo circa, del diametro di settantacinque centimetri e, benché soltanto una fosse intatta, in cima a ognuna di esse era rimasto un fregio scolpito, rafligurante un uccello simile all'avvoltoio, col becco robusto, la schiena incurvata e gli artigli da predatore. « Gli uccelli di Zimbabwe! » esclamò Louren. In effetti, somigliavano moltissimo a quelli rinvenuti a Zimbabwe da Hall, MacIver e altri. « Non proprio gli stessi :corressi prontamente io. « Questi sono il modello dal quale gli uccelli di Zimbabwe sono stati copiati. Provengono dal tempio dentro la cerchia interna della mura :proseguii, rivolgendo un sorriso a Ral. « Guarda i simboli del sole, tutt'attorno al fusto delle colonne: è chiaro che si rifanno all'adorazione di Baal. « Li abbiamo battezzati "uccelli del sole" spiegò Sally. « A Ben sembrava che un nome come "uccelli di Ofir" fosse un po' presuntuoso. « Sono davvero molto interessanti, Ben. :Lo sguardo di Louren era fisso da un po' sulla seconda tenda, che celava la parete di fondo del deposito. « E adesso, vuoi smetterla di fare il misterioso? Che cosa ci tieni lí dietro? « Quello che fu il vero motivo dell'insediamento coloniale: oro! :~ In questo splendido, pastoso metallo c'è qualcosa che avvince l'immaginazione. Il gruppo azzittí di colpo, mentre tutti gli occhi si fissavano sugli oggetti esposti. Li avevamo puliti con molta cura, e la loro superficie aveva quello splendore morbido che soltanto l'oro possiede. La mostra comprendeva quindici verghe d'oro, lunghe e grosse quanto un dito, quarantotto pezzi di gioielleria di grossolana fattura e una statuetta femminile alta dodici centimetri. 48 « Astarte susurrò Sally. « Moglie di Baal e dea della luna e della terra. » Inoltre, c'erano decine di dischi raffiguranti il sole, una manciata di grani d'oro e una quantità di frammenti informi che era impossibile catalogare. Nell'insieme, piú di quanto bastava per tenerci chiusi a discutere fino alle ore piccole. Il giorno seguente, Sally, aiutata da Heather Willcox, presentò i disegni e le pitture che riproducevano le figure della caverna. Quando mostrò il Re bianco, una ruga si disegnò suila fronte di Louren, che si avvicinò per esaminarlo meglio. Alla fine, alzò lo sguardo sul viso di Sally. « Mi piacerebbe che ne facesse una copia per la mia collezione personale. Vuole? :~ « Con immenso piacere rispose lei sorridendogli felice. Come quasi tutte le donne belle, non era eccessivamente avversa alla luce dei riflettori. Sapeva di avere fatto un ottimo lavoro e le piaceva che venisse apprezzato. Dopo cena, quella sera, lavorai per un'ora nella mia camera oscura. Sviluppai tre rotoli di pellicole e. quand'ebbi finito, uscii a cercare Louren. Il mattino seguente, sarebbe partito per Londra e avevamo ancora tante cose da discutere. Ma non riuscii a trovarlo. « Credo che sia andato alla caverna, professore » mi disse Ral. a Ho visto che si faceva dare una lampada. :~ Andai a cercare la mia e m'incamminai a quella volta. Dall'ingresso del passaggio non si scorgeva alcuna luce. « Louren! chiamai. « Sei lí? » La mia voce rimbombo cupa nel buio ma niente altro ruppe il silenzio, quando l'eco morí. Facendo baienare nell'oscurità il raggio della lampada e abbassando la testa sotto il volo frusciante dei pipistrelli, percorsi il passaggio fino alla caverna. E, a un tratto, il raggio di una lampada piú potente della mia mi abbagliò. « Louren? domandai. « Sei tu? <Che cosa vuoi. Ben? » rispose lui di rimando. La sua voce, proveniente dalla zoná buia dietro la lampada, suonava irritata, persino vibrante di collera. « Volevo discutere con te i nuovi piani di lavoro. « Si può aspettare fino a domani. » « Ma domani te ne vai di buon'ora... Parliamone adesso. Mossi qualche passo verso di lui, cercando di proteggermi gli occhi dalla luce abbagliante. « Sei sordo, Ben? Ho detto domani, accidenti a te! :~ Mi fermai di colpo, interdetto. Non nli aveva mai parlato con quel tono. « Lo, ti senti bene? domandai preoccupato. « Ben! » La sua voce parve una schioppettata. « Vuoindartene sí o no? Ci vediamo domattina, ho detto. :~ Rimasi un attimo titubante, poi, ancora stordito, feci dietrofronL v tornai sui miei passi. L UCCELLO DEL SOLE La mattina dopo, tuttavia, Louren fu affascinante come soltanto lui sapeva esserlo. Si scusò con molto garbo per ciò che era accaduto la sera precedente. « Volevo soltanto restare solo, Ben. Mi dispiace. Qualche volta divento un po' strano. » Nel poco tempo che avemmo a disposizione prima della sua partenza, decidemmo di comune accordo di non rendere nota, per il momento, la nostra scoperta. Le prove che avvaloravano l'ipotesi di una occupazione fenicia erano incoraggianti, ma non conclusive. LE SETTIMANE successive furono un seguito di delusioni, per me. I lavori di scavo proseguivano alacremente, ma non si scoprí nulla che potesse aggiungere qualcosa a ciò che già sapevamo. Mi aggiravo irrequieto fra gli scavi, pregando che la prossima palata di terra portasse alla luce una tavoletta o una stele funeraria con qualche iscrizione. Contemporaneamente, i miei rapporti con Sally si erano via via deteriorati, senza che io riuscissi a capirne la ragione. Naturalmente, da quando erano arrivati gli altri, non c'era stata piú occasione per una qualsiasi intimità fisica, perché Sally non voleva nel modo piú assoluto che la nostra relazione diventasse di dominio pubblico. Lavorava con accanimento davanti alla tavolozza per tutta la giornata e, di solito, si ritirava nella sua baracca subito dopo cena. Mi angustiava vedere la mia Sally, di solito cosí allegra, tanto chiusa in sé stessa e, un giorno, mi decisi ad andare a trovarla mentre era al lavoro. « Devo parlarti, Sal dissi, dopo aver allontanato il giovane assistente africano. « Di che? :Mi guardò vagamente stupita, come se soltanto allora dopo tanti giorni, si accorgesse della mia presenza. « C'è qualcosa che non va, Sal? :~ « Buon Dio... e che cosa dovrebbe esserci? » Il suo tono sembrava insinuare che stavo ficcando il naso in affari che non mi riguardavano. Sentii il sangue montarmi alla testa. "Sono il tuo amante, maledizio- ne!" avrei voluto gridare. "Tutto ciò che fai mi riguarda!" Invece le presi una mano, mormorando: « Ti amo, Sally. Ricordalo. Se posso aiutarti... Forse, fu la cosa migliore che avessi potuto dire, perché la sua mano strinse forte la mia, e l'espressione del volto le si addolcí. « Sei tanto buono e caro, Ben. Non badare a me, per un po' di tempo. Sono di cattivo umore, ecco tutto... Mi passerà, se non vi farai caso. :~ Per un momento, ritrovai la mia ragazza di un tempo. « Fammelo sapere quando ti sarà passato, va bene? « Puoi contarci, professore. Sarai il primo saperlo. :~ LA SETTIMANA successiva dovetti partire. Dovevo partecipare alla riunione annuale del consiglio d'amministrazione dell'Istituto, a Johannesburg, e, poiché avevo avuto anche l'incarico di tenere una serie di conferenze alla facoltà di Architettura dell'università di Witwatersrand, sarei stato lontano dal campo undici giorni. La riunione del consiglio di amministrazione si svolse in una atmosfera festosa, come è logico quando i fondi sono illimitati e le prospettive ottime. Dal suo seggio presidenziale, Louren fu piú che mai affabile, mentre mi rinnovava il contratto di direttore dell'Istituto. Poi, per celebrare l'aumento del trenta per cento sul mio stipendio, mi invitò a una cena in mio onore a casa sua. Nell'immensa sala da pranzo erano riunite ben quaranta persone, ma Hilary, che portava i favolosi diamanti di casa Sturvesant, si dedicò esclusivamente a me e quando, alle due del mattino, lei e Louren mi accompagnarono alla mia auto, mi sentivo alto due metri. Quella sensazione di euforia mi accompagnò per tutta la serie di conferenze a Witwatersrand, dove venni invitato a tornare. Anzi, il vicerettore accennò persino alla possibilità che, I'anno successivo, si rendesse vacante la cattedra di Archeologia. Gli ultimi tre giorni li trascorsi ininterrottamente all'Istituto. Costatai con sollievo che i miei collaboratori avevano saputo mandare avanti le cose in modo egregio. La vigilia della partenza, parlai a Timothy delle pitture della caverna e del Re bianco e accennai anche a una strana sensazione che mi prendeva talvolta davanti a quei dipinti: la sensazione di poter andare con la mente in quei secoli tanto lontani. « Certo, machane, gliel'ho detto che io e lei siamo veggenti. Soltanto che lei non ha imparato a sviluppare in pieno questa dote. « Vuoi dire che sei segnato anche tu dagli spiriti, come me? ;~ Mi guardò in un modo che a tutta prima mi fece temere di averlo offeso con una domanda troppo impertinente, ma poi annuí, si alzò e andò a chiudere a chiave la porta dell'ufficio. Poi, si tolse la scarpa e la calza dal piede destro e lo tese verso di me. La sua deformità mi lasciò allibito, benché ne avessi già visto qualche esempio in fotografia. Si trattava del cosiddetto "piede di struzzo", cioè di una profonda divisione fra il metatarso dell'alluce e quello del secondo dito, cosicché il piede finiva per somigliare alla zampa di un uccello. Timothy era evidentemente sensibile alla sua disgrazia, poiché si affrettò a infilare di nuovo la calza e la scarpa. « Tutti e due i piedi? :domandai, e lui annuí. « Ti impaccia in qualche modo? :9 « No :ribatté brusco. « Chi ha i piedi cosí supera nella corsa anche l'antilope piú veloce. Mi sarebbe piaciuto saperne di piú su quell'argomento, ma l'espressione di Timothy mi fece cambiare idea. Chiacchierammo d'altro per una mezz'oretta, poi mi congedai. ALLE TRE del mattino, qualcuno mi svegliò bussando con insistenza alla porta. Mi infilai in fretta una veste da camera. « Chi è? domandai. I colpi cessarono. « Sono io, professore, Timothy. Pareva in preda a una grande agitazione. Andai ad aprire. Timothy indossava un paio di calzoni scuri e una camicia bianca macchiata di sangue. L'avambraccio sinistro era avvolto in un lurido straccio. « Buon Dio, Timothy... Che cosa ti sei fatto al braccio? :D « Nel buio, ho sbattuto contro il vetro della mia porta. « Sarà meglio che gli dia un'occhiata. » « No, professore, è soltanto un graffio. Sono venuto per dirle qualcosa di molto piú importante. « Vieni dentro e siediti, Timothy. Posso offrirti qualcosa da bere? :~ « Qualcosa di forte, grazie, machane. Come vede, sono addirittura sconvolto. Per questo mi sono fatto male al braccio Versai whisky per entrambi. « Di che si tratta, Timothy? » « un po' difficile cominciare, machane... Ieri sera abbiamo discusso della città della Luna e lei mi ha parlato di alcune cose misteriose che la lasciano perplesso... » « Infatti. Gli feci un cenno di incoraggiamento. « Da allora ho pensato intensamente a questa storia, mi sono richiamato alla mente tutte le leggende della mia gente... ma c'era qualcosa, un'ombra, un ricordo confuso che mi sfuggiva. Non riuscivo ad afferrarlo e il mio sonno è stato profondamente turbato dai demoni del sogno. Finché... :esitò, «... finché non mi è apparso mio nonno. So che lei non crede in queste cose, ma... » « Vai avanti, coraggio. La voce mi si era incrinata un poco. Il nonno di Timothy giaceva nella tomba da venticinque anni. « E mi ha detto, professore, mi ha detto: "Va' col benedetto alle colline del Sangue e io vi farò conoscere tutti i misteri". :~ Sentii accapponarmisi la pelle. Timothy aveva parlato delle "colline del Sangue", e nessuno aveva mai pronunciato quel nome in sua presenza. « Le colline del Sangue? ripetei. 5« Posso soltanto pensare che mio nonno si riferisse alla città della Luna rispose Timothy. « Allora vuoi venire con me, domani? :~ « Verrò. E forse riuscirò a scoprire ciò che 'ora partirà? Guardai l'orologio. « Fra meno di tre ore. Alle sei. « Allora devo correre a fare la valigia. lei sta cercando. A che LA SUA vecchia Chevrolet azzurra era già parcheggiata nel piazzale dell'aeroporto, quando arrivai, e lui era lí accanto all'auto, infagottato in una giacca a vento blu, la fronte solcata da profonde rughe, come se soffrisse. Mi sentii subito preoccupato. « Stai bene, Timothy? « Mi fa un po' male il braccio, professore, ma mi sono già fatto medicare. Infatti, portava il braccio al collo, con una fasciatura immacolata. « Sei certo d'essere in grado di sopportare il viaggio? « Certissimc, professore. « Bene, allora. Gli sorrisi. « Andiamo. Roger Van Deventer, il pilota, aveva già avviato i motori del Dakota, che giravano al minimo. Mentre percorrevo la pista, i tre meccanici negri addetti alla manutenzione si allontanarono inspiegabilmente dal loro posto accanto al carrello e si diressero a rapidi passi verso di me. La voce di Timothy mi echeggiò al!e spalle. « Professore! » Mi voltai di scatto, ma mi ci volle un buon secondo prima di accorgermi che mi puntava contro lo stomaco una pistola mitragliatrice a canna corta, di fabbricazione cínese. Lo guardai a bocca aperta. « Mi dispiace, professore » mormorò. « Ma è necessario. Due meccanici mi afferrarono per le braccia. « Venite gridò Timothy in dialetto venda, senza staccarmi gli occhi di dosso. Dalla porta dell'aviorimessa uscirono altre cinque persone: due uomini e due ragazze bantu - che riconobbi come assistenti dell'Istituto - armati anch'essi di tozze pistole mitragliatrici e, sorretto da loro, uno sconosciuto gravemente ferito. « Portatelo sull'aereo » ordinò Timothy con voce brusca. Per tutto quel tempo, ero rimasto lí come inebetito, paralizzato dalla sorpresa, ma finalrnente ritrovai la mia presenza di spirito. Puntandomi sulle gambe, mi chinai lievemente e diedi uno strappo violento. I due che mi tenevano le braccia andarono a gambe levate, come fossero stati catapultati, e finirono addosso a Timothy, scaraventandolo a terra. « Roger! urlai, sperando che la mia voce potesse superare il rombo dei motori. « La radio. Chieda aiuto! Il terzo meccanico negro mi strinse un braccio attorno alla gola, ma io lo afferrai al polso e al gomito e feci forza sull'articolazione. Il gomito si spezzò, e lui si mise a urlare di dolore. « Non sparate! gridò Timothy. « Non bisogna fare rumore! :~ « Aiuto! urlai ancora, ma la mia voce era soffocata dal rombo dei motori. Timothy stava rialzandosi. Gli balzai addosso, fuori di me per la rabbia, odiandolo a morte per il suo tradimento, ma una delle ragazze mi colpí sulla testa con il calcio d'acciaio della sua pistola. Sentii il cuoio capelluto spaccarsi sotto la botta, poi altri colpi mi grandinarono sulla testa e sulle spalle e crollai a terra arrotolandomi a palla per evitare un nugolo di piedi calzati di stivali. « Basta D ordinò la voce di Timothy. « Portatelo sull'aereo. :~ Mi trascinarono sul cemento gelido e chiazzato d'olio e mi scaraventarono come un sacco sul pavimento metallico dell'aeroplano. Strizzando gli occhi per liberarli dal sangue, vidi l'ingegnere bianco addetto alla manutenzione e i meccanici negri - quelli veri - distesi anch'essi sul pavimento, legati e imbavagliati. Erano stati spogliati delle tute, che la banda aveva indossato per poter prendere il loro posto. 3, Venni bruscamente spinto nel compartimento radio e legato cosí stretto che la corda mi si affondò dolorosamente nelle carni. Girai la `. testa per guardare nella cabina di pilotaggio. Seduto ai comandi, c'era , Roger, con una pistola puntata alla nuca. « Decolla intimò Timothy. « E bada bene a non fare scherzi. Roger annuí con gesti nervosi del capo e, dopo pochi minuti, eravamo in volo. « Prendi la rotta per il Botswana :ordinò ancora Timothy. « Quando saremo al confine, ti darò altre istruzioni. : 3 Le facce nere contratte per la tensione si rilassarono; si udí persino qualche risatina nervosa. Oltre coloro che mi avevano aggredito, c'erano altri cinque uomini, che dovevano avere sopraffatto Roger e i meccanici dell'assistenza a terra. L'uomo ferito e quello cui avevo spezzato il braccio furono sistemati sul pavimento del bagagliaio; gli altri si tolsero le tute infilando divise mimetiche da paracadutisti. M'ero già fatto un'idea abbastanza chiara dei motivi che li spingevano, ma la stella rossa che spiccava sulle loro spalline dissipò ogni dubbio. Timothy accese la radio accanto a me e subito l'attenzione di tutti si concentrò sulla voce del cronista. "Qui la stazione radiofonica sudafricana. Trasmettiamo il giornale radio delle ore sette. Un portavoce della Polizia sudafricana informa che alle due e un quarto di stamane un reparto delle forze di sicurezza ha fatto irruzione in una fattoria alla periferia di Randburg, un sobborgo di Johannesburg, dove ha avuto luogo uno scontro a fuoco con una banda di persone L UCCELLO DEL SOLE non identificate, in possesso di armi automatiche. Un certo numero di componenti della banda sono riusciti a fuggire a bordo di quattro automobili. Dai primi rapporti pare che otto banditi siano rimasti uccisi e quattro siano stati catturati. Tutta la Polizia è mobilitata per dare la caccia ai fuggiaschi. Purtroppo anche tra le forze dell'ordine si debbono lamentare tre morti..." Rauche grida di esultanza risuonarono in tutto l'aereo, mentre due o tre banditi alzavano il pugno chiuso, nel saluto comunista. « Congratulazioni » mormorai sarcasticamente a Timothy. Lui mi guardò dall'alto. « La morte è brutta, ma la schiavitú è ancora peggiore» ribatté con voce atona. « Professore, c'è un legame fra noi due... :~ Mi dibattei contro le corde che mi stringevano. « Piantala con queste storie! » lo interruppi. « Voi volete sprofondare il nostro Paese in un bagno di sangue. Non possono esserci legami fra noi. Uno della banda alzò il calcio della pistola mitragliatrice per colpirmi in viso. « No! urlò Timothy. « Di' a Mary di portare la morfina. Dovettero mettersi in cinque per tenermi fermo mentre mi facevano l'iniezione. L'ultimo mio ricordo fu quello della voce di Timothy che impartiva al pilota disposizioni per la nuova rotta. Ml SVEGLIARONO il dolore e la sete. Cercai di mettermi a sedere e mi sfuggí un gemito. « Si sente bene, professore? » Era la voce di Roger. Cercai di concentrare lo sguardo su di lui e sulla stanza spoglia, dalle pareti imbiancate a calce, e nella testa mi esplose un dolore accecante. Qualche panca di legno e un bugliolo formavano tutto l'arredamento; la porta era sbarrata. Su una panca sedevano, con aria smarrita, i tre meccanici negri. « Dove siamo? » susurrai. « Nella Zambia. In una specie di campo militare. Siamo atterrati un'ora fa. :~ E a terra restammo. Per cinque, penosi giorni, rimanemmo seduti in quella stanza senz'aria, rovente come un forno, con il bugliolo da cui emanava un fetore insopportabile. Il quinto giorno, i nostri guardiani vennero a prenderci. Fra urla e spintoni, mi fecero percorrere un corridoio ed entrare in un ufficio, abbellito da un grande ritratto del presidente Mao. Timothy Mageba si alzò dalla sua sedia dietro la scrivania. « Si accomodi, professore, prego. :Portava sulla divisa i filetti e le stel4 lette di colonnello dell'Esercito popolare cinese. L UCCELLO DEL SOLE Sopra un vassoio, c'erano cinque o sei bottiglie di birra. Timothy ne aprí una, imperlata di goccioline gelate, e me la offrí. Scossi la testa. « Non bevo con gli assassini. » « Capisco. :Chinò la testa in un cenno di assenso e vidi un'ombra di rammarico nei suoi occhi incupiti. Si portò la bottiglia alle labbra e bevve un sorso. « La prego, cerchi di capire riprese. « Quei poliziotti... Non volevo che andasse cosí. » « Continuerai a gridare "Non volevo che andasse cosí" anche quando il fetore dei cadaveri di tanti nostri connazionali raggiungerà persino la tua sorda coscienza? » Girò il capo verso la finestra, attraverso la quale si vedevano squadre di bantu in divisa intenti a perforare il terreno, sotto il sole a picco. « Sono riuscito a ottenere che vi lascino andare, professore. Vi riporteranno tutti a bordo del vostro Dakota. Si voltò a guardarmi. « Il mio cuore piange fino a spezzarsi, vedendola partire per sempre, machane, perché lei è un uomo buono. » Aveva parlato in venda. « Anche il mio euore piange risposi nella stessa lingua. « Per un uomo che fu un amico e che ora è come morto per me. :~ Mi resi conto di aver detto la verità. Oltre alla rabbia, in me sta- va facendosi strada un doloroso senso di privazione. Avevo avuto fede in Timothy, avevo visto in lui una speranza per il nostro Continente tormentato. Ci guardammo per un attimo con aperto rimpianto. « Addio, professore » mormorò finalmente Timothy. « La pace sia con lei, machane! DUE Mirages dell'Aviazione militare individuarono il nostro aereo un'ora dopo che avevamo sorvolato lo Zambesi e ci scortarono fino all'aeroporto militare di Voortrekker Hoogte. DOPO un'accurata medicazione dei tagli che avevo in testa, venni accompagnato davanti a quattro ufficiali dei Servizi segreti della Polizia e dell'Esercito, gentili ma bruschi, e dissi loro tutto ciò che sapevo. DOPO quella storia, Louren non volle lasciarmi tornare nel mio appartamento da scapolo all'Istituto. Venni sistemato in una camera per gli ospiti in casa Sturvesant e per dieci idilliaci giorni fui coccolato da Hilary e sommerso dal chiasso dei ragazzi, difeso contro i giornalisti assetati di notizie e protetto contro tutti i pericoli del mondo esterno. Nel corso di una sgradevolissima udienza durata un giorno intero, raccontai al magistrato inquirente la storia del dirottamento, poi affrontai la stampa. E finalmente potei riprendere l'aereo per la città della Luna, dove mi aspettavano accoglienze degne di un eroe. Avevano seguíto alla radio la mia avventura, perciò, aperta una cassa di birra, sedettero tutti in cerchio attorno a me e mi toccò raccontare di nuovo da cima a fondo tutta la storia. Il giorno dopo i1 mio ritorno, Ral e io facemmo una scoperta molto importante. Era ovvio che i blocchi di pietra necessari per costruire torri e mura dovevano provenire da qualche posto lí vicino. Proprio quella sera, mentre scendevamo lungo la spaccatura fra le rocce, durante una delle nostre regolari perlustrazioni sulle colline, Ral si mise a osservare da vicino le ripide pareti di quella specie di canalone ed esclamò: « Professore! Guardi! Ci rendemmo conto per la prima volta che ci trovavamo sopra una serie di gradini tagliati dagli antichi coloni e nascosti poi dal fitto sottobosco, che aveva ricoperto le regolari terrazze dove essi avevano segato la pietra rossa. Successive ricerche portarono alla scoperta di blocchi semilavorati ancora in situ, rimasti quasi intatti in fondo al burrone, al riparo dalle intemperie; i segni della sega erano ancora visibili, come se gli operai avessero posato i loro attrezzi la sera avanti, anziché duemila anni prima. La squadra al completo si diede da fare per sgombrare la cava dalla vegetazione. Eravamo tutti contenti, perché, per essere sinceri, da qualche tempo non si faceva alcun progresso e ci sentivamo piuttosto avviliti. Ral e io cercammo di calcolare con il teodolite il volume del materiale asportato dalla cava, e, benché lo scavo fosse troppo irregolare per poterlo misurare con esattezza, giungemmo alla conclusione che fossero stati rimossi all'incirca quattrocentocinquantamila metri cubi di blocchi squadrati. Potemmo cosí calcolare, approssimativamente, la grandezza della città. Partendo da quelle cifre sicure, quella sera, al campo, ci lanciammo in una serie di congetture. « Dammi... Iascia fare a me! » Sally, che stava seguendo da dieci minuti i miei sforzi per ricostruire la pianta completa della città, mi strappò il pennello dalle mani. « Secondo me, hai fatto le mura principali un po' troppo rastremate mormorò Peter. « Se fai il confronto con quelle del tempio di Zimbabwe... » Cosí, divenne un lavoro di gruppo. Una sera dopo l'altra, contribuend3 ognuno secondo la zona di scavi afl~datagli e secondo il proprio talento e i propri interessi, ricostruimmo una serie di vedute della nostra città. Massicce mura rosse, ornate di merli simili nel disegno alle onde del mare, che era sempre stato teatro delle grandi imprese dei fenici. Mura rosse che imprigionavano i raggi del sole al tramonto, la benedizione serotina del grande dio Baal. Alte torri, simboli di fertilità e di prosperità. E oltre le torri, lo squarcio verticale nella rupe che portava alla caverna misteriosa: un tempio consacrato ad Astarte, consorte del grande Baal e dea della terra e della luna? Sapevamo che i fenici offrivano vittime umane alle loro divinità. Domandandoci quali terribili riti fossero stati consumati sulle rive del nostro laghetto di smeraldo, dipingemmo la vittima abbigliata di vesti sontuose, ritta ai margini dello specchio d'acqua, mentre il Gran Sacerdote alzava su di lei il coltello sacrificale. Nelle mura esterne, Ral aveva scoperto una porta, I'unica esistente, che si apriva verso occidente. « Doveva esserci una strada che dalla porta arrivava al mare » osservò Sally e cominciò a dipingere sulla spiaggia grandi biremi, dalla prora a testa d'ariete ricoperta d'oro e di smalti. Mura e torri tornavano a svettare nelle nostre ricostruzioni e il porto e le taverne erano popolati di gente scesa nella tomba duemila anni prima. Guerrieri che incedevano superbi, schiavi che gemevano, nobili matrone in lettiga, carovane che affluivano dalle terre d'Oriente cariche d'oro e di merci preziose, e un Re bianco, alto e solenne, che usciva dalla grande porta di pietra, con uno scudo ornato di borchie appoggiato a una spalla e l'armatura scintillante nel sole. Stavamo apportando gli ultimi tocchi alla nostra ricostruzione, quando Peter scoprí il cantiere navale che le biremi di Sally suggerivano, con la chiglia di una nave ancora sullo scivolo. Lo scafo non finito era stato incendiato, e soltanto la fiducia e l'immaginazione potevano far vedere in quei resti una nave. Mi rendevo conto che gli scienziati miei oppositori avrebbero sollevato obiezioni a non finire, ma restava il fatto che l'indagine col metodo del carbonio-14 sul legno carbonizzato dello scafo ci riportava alla stessa data di quello che, in base allo strato di cenere, avevamo definito "11 grande incendio". Quel progetto collettivo mi aveva offerto l'occasione per trascorrere piú tempo vicino a Sally; ben presto rinacque fra noi la vecchia, allegra amicizia, con gli spuntini sulla sponda del laghetto e i bagni nelle sue acque verdi. Una sola volta, tuttavia, osai accennare ai nostri precedenti e piú intimi rapporti. « Sei ancora di cattivo umore, Sal? Mi guardò a lungo, prima di rispondere. « Mi ci vuole tempo, Ben. C'è qualcosa che devo mettere in chiaro con me stessa. Mi sforzai di sorridere e mi rassegnai ad aspettare. Cinque settimane dopo il mio ritorno, giunsi alla caverna con una buona notizia. « Larkin mi ha informato via radio che Louren arriva domani. :~ Lei alzò a malapena gli occhi dal suo lavoro e io rimasi deluso per quella fredda reazione. Avevo creduto che Louren fosse ormai diventato simpatico anche a lei. Andai a prenderlo alla pista d'atterraggio del campo. Aveva perduto almeno dieci chili, la pelle gli era diventata color della cenere e due profonde occhiaie gli contornavano gli occhi di un alone bluastro. « Buon Dio, Lo... hai un aspetto terribile! « Grazie tante. » Mi fece un sorrisetto ironico. « Sul serio, Lo. Sei malato, o c'è qualcosa che non va? :~ « Ho passato giornate molto difficili, Ben :mi confidò mentre saliva sulla Land Rover. « Quattro settimane di discussioni per ottenere una concessione mineraria. Trattative che non potevo affidare a nessun altro, mentre la controparte mandava a discutere squadre intere di persone, avvicendandole quando erano esauste. « Ma finirai per ammazzarti, a questo modo :lo rimproverai, col tono di una moglie bisbetica. Louren si chinò in avanti e mi diede un lieve colpo su un braccio, ridendo. « Hai ragione, socio. Mi sento un po' distrutto. Cosí, ho deciso di andarmene via per una settimana e tu verrai con me. :~ « Come sarebbe a dire? « Te lo spiegherò piú tardi. Ora, accompagnami alla caverna... La sua voce si fece piú dolce e riflessiva. « Quando la situazione diventava troppo difficile, là attorno a quel tavolo, mi rifugiavo col pensiero in questo posto, in questa pace immensa. S'interruppe, un po' confuso. Non accadeva spesso che Louren parlasse a quel modo. Sally stava lavorando davanti alla parete in fondo alla caverna, quando arrivammo. Indossava una camicetta di seta verde e attillati calzoni color sabbia, i lunghi capelli lucenti erano sciolti sulle spalle e, quando sollevò il viso che teneva chino sulla tavolozza, notai con stupore che aveva un po' di rossetto sulle labbra. Capii dal suo sguardo preoccupato che anche lei aveva notato il viso smagrito e sofferente di Louren, ma non fece alcun commento. Lo salutò con la piú assoluta indifferenza. Louren si avvicinò subito al ritratto del Re bianco e tutti e tre sedemmo in silenzio ad ammirare la misteriosa figura. « Non hai la sensazione che voglia dirti qualcosa, Ben? » doman- 59 dò Louren. « No, Lo... non direi. L UCCELLO DEL SOLE « Eppure c'è qualcosa qui dentro, Ben riprese lui, convinto. « Qualcosa che hai... che abbiamo trascurato. La chiave di tutto questo, dove si trova? Mi guardò fisso, come se fossi stato io a nascondere eventuali indizi. « Dove si trova, Ben? Il suolo? Le pareti? La volta?... Il laghetto aggiunsi io. « Giusto. Cominciamo dal laghetto. :D « troppo profondo, Lo. Non conosco alcun sommozzatore che... :~ « Oh, per l'amor di Dio, Ben! Chi è il miglior esperto in immersioni del mondo? « Cousteau, direi. « Allora farò chiamare Cousteau. E cosí, abbiamo liquidato il laghetto. :~ Avere a che fare con Louren era come essere presi nell'occhio di un ciclone. In capo a un'ora, aveva programmato uno schema di minuziose indagini in tutta la caverna. « Ecco fatto, Ben :concluse con aria indifferente. « Perché non te ne torni al campo? Vorrei restarmene qui un'oretta da solo. Mi alzai immediatamente, anche se controvoglia. « Vieni, Sal? :~ « Oh Ben, sono proprio in pieno... » « Non importa non mi dà alcun fastidio s'intromise Louren. Cosí, li lasciai soii. ERAVAMO tutti stufi della nostra dieta a base di cibi in scatola e, siccome Louren aveva portato un carico di viveri freschi, quella sera ci gustammo una meravigliosa porchetta dorata con contorno di croccanti patatine arrosto e di pisellini novelli e una gigantesca insalata mista. Si parlò poco durante il pasto, ma non appena la tavola fu sparecchiata e io ebbi riempito i bicchieri, ci riunimmo in cerchio attorno a Louren. Gli raccontai della scoperta della cava e delle deduzioni che ne avevamo tratto, mostrandogli le ricostruzioni della città fatte da Sally. Pensavo che nel migliore dei casi Louren avrebbe mostrato un blando, divertito interesse, e invece fu preso addirittura da una febbrile animazione, balzando in piedi per esaminare ogni nuovo bozzetto. « Ben! Aveva persino la voce roca. « Ma tutto ciò è formidabile! Fino a questa sera, si trattava soltanto di blocchi di pietra, per quan- to interessanti. Non avevo mai pensato veramente alla gente! A questi uomini che costruirono qualcosa di meraviglioso in mezzo a un deserto... :Scosse lentamente la testa, riflettendo sulla grandiosità, sulla magnificenza di quell'impresa. « Sembrano scene riprese dal vero, Ben! Dobbiamo assolutamente scoprire che fine hanno fatto la città e i suoi abitanti. Non m'importa niente del tempo che ci vorrà, né di quanto potrà costare. Il giorno seguente, mentre mangiavamo qualcosa sulle rive del laghetto, Louren mi parlò del viaggio che avremmo fatto insieme. Con il carboncino di Sally, disegnò una mappa sopra una roccia liscia. « Ora noi siamo qui. Circa a novantacinque chilometri, in direzione nord-est, ci sono le rovine di Domboshaba. Se la tua teoria è giusta, doveva esserci una strada carovaniera che collegava le due città, perciò adesso prendiamo la Land Rover e andiamo a cercarla. Ci volle buona parte del primo giorno di viaggio per trovare sulle colline del Sangue una pista dove la nostra auto potesse passare, ma al tramonto eravamo ormai in aperta savana, e ci accampammo ai bordi di quella che speravamo fosse la carovaniera di cui eravamo alla ricerca. All'alba, Louren emerse dal suo sacco a pelo, massaggiandosi la schiena. « Mi sono ricordato soltanto ora che ho passato da un pezzo i vent'anni! gemette. Ma, poco dopo, aveva proprio l'aspetto di un ventenne. Il sole gli restituí il suo bel colorito abbronzato, le borse sotto gli occhi sparirono, le sue risate si fecero sempre piú frequenti e sonore. Non avevamo fretta. Procedevamo lentamente, esplorando la zona con attenzione, godendoci ogni chilometro del nostro viaggio verso nord-est, attraverso un territorio le cui caratteristiche mutavano con la magica rapidità esclusiva dell'Africa. La terza sera, ci accampammo accanto a una pozza, rimasta nel letto asciutto di un corso d'acqua, in mezzo a un boschetto di masasa ammantati del loro straordinario fogliame primaverile, di un colore che non ha uguali sulla terra: un misto di rosa, delicato nocciola chiaro e rosso fiammante. Quel giorno, Louren aveva ucciso un giovane impala maschio; ne avvolse il filetto in fette di pancetta affumicata e l'arrostí in una pesante teglia di ferro, mentre io preparavo una salsa di pomodoro, cipolla e aglio. Mentre mangiavamo guardò a un tratto l'orologio, poi si awicinò alla Land Rover e aprí la radio. « Che ti prende? :domandai. Louren assunse un'aria colpevole di circostanza. « Tanto per sentire qualche notizia. Non possiamo isolarci completamente. » Cosí,iunsero fino a noi i sussulti di un mondo impazzito. In quel posto quieto e remoto, le vicende dell'umanità sembravano prive di qualsiasi importanza. Chiudilat Lo dissi. Che ci importa? > Allungò la mano verso la manopola, poi si fermò. "Radio Lusaka informa che il capo dei terroristi che ieri uccisero un poliziotto nel distretto di Wankie, in Rhodesia, ferendone altri due, è il 'colonnello' Timothy Mageba, che due mesi fa fu protagonista di un clamoroso e drammatico dirottamento aereo. Il governo ha promesso un compenso di diecimila dollari rhodesiani a chi..." Louren spense la radio con uno scatto nervoso. « Quel ribelle si trova a solo centocinquanta chilometri a nord di questa zona. Darei non so cosa per offrire una buona occasione a questo qui commentò, battendo una mano sul fucile mitragliatore Schmeisser, che ci eravamo portati dietro per precauzione. Verso le dieci del giorno seguente, mentre proseguivamo in direzione nord-est, scorgemmo uno stormo di avvoltoi, un ampio cerchio di macchie nere che roteavano lentamente sotto la volta del cielo di un azzurro metallico. Sono circa a tre chilometri da qui commentò Louren, osservandoli attraverso il parabrezza. Condividevo la sua curiosità. Quella di seguire il volo di quegli orrendi "spazzini" è una delle tentazioni piú forti che l'Africa possa offrire, perché immancabilmente essi portano sulla scena di qualche tragico incidente nell'eterno dramma del deserto. Quella volta, ci portarono a un villaggio boscimano: cinque rozze capanne dal tetto di erba e di foglie. Ma dei loro piccoli, timidi abitanti nemmeno l'ombra. Gruppi di avvoltoi stavano apollaiati in cima agli alberi; al nostro avvicinarsi, una trentina di essi si alzarono pesantemente in volo. Fermammo la Land Rover. Tutt'intorno, v'erano orme di stivali e bossoli di proiettili, di fattura scadente, con scritte in caratteri cinesi. Dentro le capanne, rinvenimmo donne e ragazze boscimane, violentate e uccise a colpi di baionetta, accanto ai loro uomini abbattuti con raffiche di armi automatiche. Per i bantu, le donne boscimane sono oggetto di particolare lussuria. Dappertutto, v'erano sciami di mosche, grosse mosche verdi e iridescenti che venivano a posarmisi sugli occhi e sulle labbra. Le scacciai con un gesto rabbioso. « Mio Dio! gemetti. « Ma perché hanno fatto una cosa simile? « iil loro stile :osservò Louren. « Frelimo, Mau Mau... Tutti questi ribelli colpiscono con maggiore crudeltà la propria gente. « Ma perché? ripetei. « Hanno avuto dei fucili e vogliono usarli. Ammazzare i loro simili è piú facile che andare ad assalire agricoltori bianchi o posti di polizia. Tornai alla Land Rover e, appoggiato a una portiera, vomitai. Louren mi venne vieino « Dovevano essere in molti disse. « me~lio 62 che torniamo indietro. Fui d'accordo con lui. In due soli, non avevamo molto da scegliere. Girammo la Land Rover e ripartimmo verso sud. Il viaggio si trasformò in un incubo. Il rombo del motore, sul terreno aspro e accidentato, preannunciava il nostro arrivo a grande distanza e ogni chilometro nascondeva un posto ideale per un'imboscata. Louren guidava in un cupo silenzio, mordicchiando nervosamente un mozzicone di sigaro che non si curava di accendere. I nostri occhi vagavano senza posa tutt'intorno, attenti al minimo particolare sospetto. Ci sembrò che fossero trascorse parecchie ore, quando finalmente ritrovammo la pozza d'acqua nel letto asciutto del fiume, dove ci eravamo accampati la notte precedente. Ci fermammo, e io, preso un contenitore per l'acqua, scesi fino alla pozza per riempirlo, mentre Louren, ritto accanto alla Land Rover con il suo fucile automatico, scartava un nuovo sigaro senza staccare lo sguardo dal boschetto circostante. A un tratto, la mia attenzione fu attratta da qualcosa di bianco ai margini dell'acqua. Pensai a una macchia di escrementi d'uccello e stavo per proseguire, quando notai qualcos'altro. Continuai a camminare con indifferenza lungo l'orlo della pozza, finché l'oggetto bianco non si trovò ai miei piedi. Allora, abbassai lo sguardo e il respiro mi restò strozzato in gola. Era un pezzo di sapone da bucato, ancora coperto da una ghirlanda di schiuma bagnata. E sulle rocce v'erano orme umide, che il sole non aveva ancora fatto in tempo ad asciugare, mentre lí, nel fango, accanto all'acqua, ela impressa una strana impronta semiumana, che faceva pensare a un gigantesco uccello. Con tutta l'indifferenza possibile, tornai accanto a Louren. « Lo :~ mormorai, « non fare gesti improvvisi. Comportati con la massima naturalezza. Mageba e la sua banda sono qui intorno, forse stanno osservandoci. » ; Louren accese con calma il sigaro e aspirò due o tre boccate. ` « Dove? » domandò. « Non lo so. Stavano lavandosi, quando ci hanno uditi arrivare. Devono aver pensato che fossimo in molti. Louren montò sulla Land Rover e avviò il motore. « Mi sento come le ochette meccaniche dei tiri al bersaglio :susurrai io, tentando di sorridere. Un sorriso sbilenco che mi si stampò sul viso come una maschera grottesca. In quell'istante, i banditi aprirono il fuoco, e le fucilate squarciarono l'aria intorno a me. Non erano in tanti, ma stavano allineati lungo la sponda dell'asciutto corso d'acqua, acquattati fra le canne 63 e i cespugli. Vedevo le fiammate allargarsi intorno alle bocche dei loro fucili, lampeggianti come spade. Al pensiero di Mageba, del traditore Mageba, un'ondata di collera furiosa mi squassò il cervello. Con un movimento fulmineo, presi il pesante fucile mitragliatore che era nella Land Rover e mi ficcai nella cintura un paio di caricatori di riserva, poi, con l'arma appoggiata al fianco, mi gettai verso di loro, correndo all'impazzata verso la sponda del fiume, proprio al centro del loro schieramento. Frammezzo ai sibili delle pallottole che mi fischiavano vicino udivo le mie urla e, mentre correvo, il mitra mi urtava contro il corpo come fosse il pugno di un gigante e i bossoli vuoti schizzavano dalI'arma in un rivolo scintillante. Cambiai il caricatore e vidi l'orlo della sponda disintegrarsi in nuvole di polvere, poi scorsi uno della banda cadere all'indietro. Udii la voce di Louren gridare: « Torna indietro, disgraziato! » ma non gli badai. Raggiunsi la riva del torrente e guardai giú, nel letto asciutto. I banditi stavano correndo atterriti verso la sponda opposta. Puntai il mitra su di loro. Quando ebbi scaricato tutti i colpi, lo scaraventai addosso ai fuggiaschi. Non avevo smesso di urlare. La rabbia mi aveva trascinato ben oltre i limiti della ragione e persino della paura. Ero lí, impavido e disarmato, e dalla sponda opposta Timothy Mageba si girò di scatto verso di me. Stringeva una pistola nella destra e stava puntandomela addosso. Sentii il proiettile passarmi rasente al capo, vidi il traditore fissarmi con quei suoi terribili occhi foschi. Poi, a un tratto, Louren mi fu vicino. Sparò un colpo mirando alla grossa testa nera e lucente come una palla di cannone, e io vidi Mageba sbattere le palpebre, vacillare leggermente... Un attimo dopo, era scomparso tra i folti cespugli. Louren mi fissava incredulo. « Non ti hanno preso » mormorò sbalordito. « Stupido sciocco. Stupidissimo pazzo temerario! Neanche un graffio... Mio Dio, Ben, mi hai quasi fatto morire di paura! » Mi circondò le spalle con un braccio e mi riaccompagnò fino alla Land Rover. « Dobbiamo andarcene subito ammoní. « Torneranno di sicuro. Esaminai l'auto: pareva tutto in ordine, salvo due gomme forate dai proiettili. Louren stava arrampicandosi pesantemente al posto di guida, quando la sparatoria ricominciò. Lo premette il pulsante delI'avviamento: il motorino girò a vuoto. Io chiusi gli occhi e rivolsi una preghiera a Dio. Una pallottola vagante mandò in pezzi il parabrezza. Il motore ebbe un sussulto partí, si spense. Poi, improvvisamente, prese vita, rombando. Louren si gettò dentro una macchia di cespugli spinosi, poi invertí bruscamente la marcia per tornare sulla pista. La sparatoria alle nostre spalle si spense a poco a poco. D'un tratto, mi misi a tremare come se avessi la febbre a quaranta. Arrancammo per tutta la notte verso sud, saltando e sobbalzando sul terreno accidentato, perdendo spesso la strada e faticando per ritrovarla, rabbrividendo nel gelo della notte africana ogni volta che il vento soffiava attraverso il parabrezza sfondato. Arrivammo alla città della Luna sei giorni dopo esserne partiti e, prima che potessimo riposare, Louren dovette perdere piú di un'ora alla radiOper fare un rapporto alla Polizia di Bulawayo. Mentre lo ascoltavomi domandavo perché Mageba, o chiunque altro, desiderasse distruggere la nostra società... E se ci fossero riusciti, con che cosa l'avrebbero sostituita? Mi venne in mente che lí, nella città della Lunaaveva avuto sede, un tempo, una grande civiltà, un popolo che aveva mandato le proprie navi a commerciare fino ai confini del mondO conosciuto. E ora non ne restava altro che qualche misera r°vina. Lo stesso Continente che l'aveva nutrita, I'aveva poi ineso- rabilnnente divorata Quella sera, chiacchierammo molto, cantammo persino, e bevemmo Whisky finché Louren non ordinò: A letto! Domattina devo tornare alle mie miniere di sale, e questo significa dover partire prestissimo. Si alzò per andarsene, poi si fermò. « Ben, mi avevi promesso qualche fotografia del Re bianco... "a certo, Lo. Barcollando un poco, andai a prendere nel mio Schedario un pacco di fotografie, formato ventidue per diciotto, e L°uren le scartabellò sotto la lampada. « Cosa è accaduto a questa, Ben? domandò a un tratto. « C'è un segno sul viso. La esaminai anch'io: in effetti, c'era una piccola ombra a forma di crOce che deturpava il bianco cadaverico del viso. «'è anche nelle altre foto? D domandai, non sapendo cosa pensare. «o. Soltanto in questa. :~ Gli restituii la fotografia. « Sarà un difetto di stampa osservai. « Evidentemente. Louren accettò la mia spiegazione. « Buona notte. Non pensai piú al segno sul viso del Re bianco. La mia unica sCusa per quella negligenza è che avevo bevuto un po' troppo. I DUE MESI successivi passarono veloci. Ral e io ci dedicammo a Scavare con cura il pavimento della caverna, ma i risultati furono S°rprendenti soltanto per la loro scarsità. A malincuore, decisi che fl prirno di agosto avrei chiuso bottega. .Una sera, Louren mi chiamò per radio. « Siamo finalmente riusclti a metterci in contatto con Cousteau, Ben. Pensa di poter esserCi Utile, ma ha già impegni per i prossimi otto mesi... :~ .DopO quella notizia, non avevo piú alcuna scusa per trattenerml ancora lí. Sally e io cominciammo a impacchettare le migliaia dl fotografie raccolte, soffermandoci di tanto in tanto a esaminarne una o a ridere sopra un'altra. Alla fine, arrivammo a quelle del Re blanCO, prese da tutte le angolazioni, con tutte le luci, con tutte le tecniche di stampa possibili. L UCCELLO DEL SOLE « Mio bel re misterioso :sospirò Sally, « non hai proprio niente altro da dirci? A un tratto, qualcosa attirò la mia attenzione. « Sal... :cominciai, ma non proseguii. « Che c'è, Ben? Aveva colto il mio improvviso trasalimento. « La luce! esclamai. « Ricordi come abbiamo scoperto la città alla luce della luna? L'importanza dell'angolazione e dell'intensità della luce? Lei annuí con decisione. « Guarda qui, Sal. Ricordi il segno sulla fotografia che ho dato a Lo? » Toccai il viso del Re bianco. Lo stesso segno era lí, tenue ma inequivocabile. « Che cos'è? domandò Sally. « Non lo so. Ma sta' pur certa che lo scoprirò. Presi due lampade dall'armadio. « Vieni, mio fedele aiutante. « Dove andiamo? » Mi avvicinai al piccolo frigorifero dove tenevo le pellicole. « Alla caverna. A fare qualche fotografia. Caricai la Rolleiflex con una pellicola a raggi infrarossi e montai sull'obiettivo un filtro speciale, mentre Sally mi subissava di domande. « Aspetta e vedrai le risposi. Portai anche due lampade ad arco. Arrivammo alla caverna poco dopo mezzanotte. Usando l'illuminazione frontale diretta, feci venti pose a velocità e ad aperture diverse. Sally non stava piú nella pelle per la curiosità e, alla fineebbi pietà di lei. « ila tecnica che si usa per fotografare i quadri e mettere in luce firme e particolari nascosti da successivi strati di colore e invisibili a occhio nudo. Il filtro assorbe tutti i raggi, esclusi gli infrarossi, ai quali la pellicola è sensibile; cosí, qualsiasi differenza di temperatura e di struttura del soggetto fotografato viene rivelata dalle diverse colorazioni delle foto. Dovetti lavorare un'altra ora in camera oscura, prima di essere pronto per proiettare le nuove immagini sullo schermo. I colori risultavano alterati: verde velenoso la faccia del re, purpurea la barba, con striature e puntolini strani; ma ciò che colpí la mia attenzione, accelerandomi i battiti del cuore, fu la rete di regolari sagome oblunghe che appariva sotto tutta l'immagine. « Dobbiamo chiamare immediatamente Louren proruppi. « Non capisco » mormorò Sally. « Che cosa significa? « Significa, mia cara, che dietro il nostro Re bianco esiste un varco nella parete che fu murato da un esperto capomastro. Il Re bianco è stato dipinto in seguito dai boscimani. PIANTATO davanti alla parete di roccia, Louren guardava infuriato il Re bianco. « Questa roba dichiarò, « è una delle piú grandi opere d'arte che esistano al mondo. Ha duemila anni, sarebbe una perdita irreparabile... » « Lo so :ribattei. Sally, Ral e i Willcox ci guardavano in silenzio. « Non appartiene a noi, ma ai posteri. « Lo so » ripetei. Ma sapevo anche qualcos'altro. Osservavo Louren da mesi e intuivo che quel ritratto aveva assunto per lui un significato particolare. « Però vorresti distruggerlo » rimbeccò lui, camminando avanti e indietro come un leone in gabbia. « Non si potrebbe... :D intervenne timidamente Heather, ma si fermò subito, perché Louren aveva fatto dietrofront lanciandole un'occhiata di fuoco. « Sí? domandò lui. « Be', volevo dire, non si potrebbe aggirarlo? Aprire un passaggio nella parete a una certa distanza e poi ripiegare ad angolo dietro la figura? :~ Provai l'impulso di gettarle le braccia al collo e darle un bacio. Louren fece venire in aereo dalla sua miniera d'oro piú vicina un esperto caposquadra con un gruppo specializzato di minatori mashona. Arrivarono con un compressore d'aria, perforatrici pneumatiche e tutto l'equipaggiamento del caso. Il caposquadra, Tinus Van Vuuren, un omone dai capelli rossicci, si entusiasmò subito a quel progetto. « Faccia l'apertura piú piccola che sia possibile :gli raccomandò Sally. « Non voglio che vengano danneggiate le altre pitture. » « Signora mia :ribatté Tinus, girandosi di scatto verso di lei, « le farò un buco non piú grande del... » si trattenne appena in tempo, « ...dell'orecchio di un topo! » Sally e io calcolammo le misure dell'apertura iniziale nel punto della parete dove Tinus avrebbe dovuto scavare la galleria, a circa nove metri dal Re bianco, per evitare che le vibrazioni delle perforatrici provocassero il distacco di scaglie di roccia o di pittura. Ma pur calcolando un varco di soli sessanta centimetri per un metro e venti, si sarebbe dovuto distruggere parte di un delizioso gruppo di giraffe. La sera prima che Tinus si mettesse al lavoro, lo invitammo con noi nella sala di ritrovo. L'atmosfera era piú o meno quella che potrebbe regnare fra i componenti di una squadriglia di caccia la vigilia di una missione pericolosa. Eravamo tutti loquaci e coi nervi tesi, e bevemmo un po' piú del necessario. Da principio, Tinus era 1. palesemente in soggezione per il fatto di trovarsi in compagnia del leggendario Louren Sturvesant, ma il brandy lo mise ben presto a proprio agio e anche lui si uní alla conversazione. « Ma a cosa le servono le maschere antigas, professore? :~ « Maschere antigas? » fece eco Louren, interrompendo la sua conversazione con Sally. « Chi ha ordinato maschere antigas? Mi affrettai a togliere dai pasticci il povero Tinus. « Io, Lo. Vedi, noi speriamo di trovare una... » Stavo per dire una "tomba", ma preferii non sfidare gli dèi. « Una specie di grotta, o qualcosa del genere, che però sarebbe rimasta sigillata, ermeticamente chiusa per circa duemila anni: perciò potrebbe esserci il pericolo di... « La maledizione dei faraoni! s'intromise Sally. « Ricordate ciò che accadde alle prime persone che entrarono nella tomba di Tutankhamon? Si mise un dito di traverso sulla gola e rovesciò orri- bilmente gli occhi. Ormai, aveva bevuto un po' troppo per badare alle mie occhiate ammonitrici. « Dovresti essere piú informata in proposito :dissi in tono severo. « La maledizione dei faraoni è una solenne frottola. Ma le condizioni all'interno della grotta potrebbero aver favorito lo sviluppo del cryptococcus neuromyces, un fungo le cui spore, trasportate dalI'aria, provocano gravissimi disturbi polmonari. Entrano col respiro nei polmoni e germinano quasi immediatamente... « Quali sono le conseguenze? :m'interruppe Louren. « Prima di tutto, lesioni al tessuto polmonare, con conseguenti emorragie e respirazione piú frequente e dolorosa. Poi, le colonie fungoidi cominciano a provocare disturbi che si estendono fino al sistema nervoso centrale. « Mio Dio! Tinus era atterrito. « E dopo che cosa succede? 3 « Le lesioni sono simili a quelle prodotte da una neurotossina o da un allucinogeno, tipo l'acido lisergico e la mescalina, e possono provocare gravissime disfunzioni cerebrali. D Mortali? domandò ancora Louren. « possibile. Dipende dalla resistenza dell'organismo. « Accidenti! » borbottò Tinus. « Non so se questa faccenda mi attira ancora tanto! Questo fungo o che so io... mi fa venire la pelle d'oca, una stramaledetta pelle d'oca, accidenti! « Quali precauzioni pensi di prendere, Ben? s'informò Louren. « I primi entreranno muniti di maschera, poi io preleverò alcuni campioni d'aria e di polvere per analizzarli. :~ Louren annuí e guardò sorridendo Tinus. « Soddisfatto? » Il gigantesco minatore trasse un profondo respiro. « Mi fido del professor Kazin :D rispose. L UCCELLO DEL SOLE G~l UOMINI aprirono rapidamente una galleria, puntellarono le pareti con grosse travi e installarono un impianto di illuminazione. A dieci metri dall'imbocco, Tinus e la sua squadra scavarono un ampio locale dal quale proseguirono con un'altra galleria ad angolo retto con la prima, in modo da arrivare alle spalle del Re bianco. Il terzo giorno, mentre i minatori mashona attaccavano quello che secondo i nostri calcoli doveva essere l'ultimo diaframma, Tinus e io andammo ad accoccolarci dietro a loro. Il frastuono ci spaccava i timpani e il caldo, nonostante i ventilatori, era spaventoso; il sudore mi colava a rivoli sotto la maschera. La tensione stava diventando quasi intollerabile, quando improvvisamente una perforatrice avanzò senza piú incontrare resistenza. Il minatore, sbilanciato da quel tuffo in avanti, fermò di colpo la macchina e, nel silenzio improwiso, I'unico rumore fu quello del nostro respiro ansante. "fatta" pensai. "Siamo arrivati, Dio solo sa dove." Notai la mia stessa eccitazione riflessa negli occhi azzurri di Tinus. Lo guardai annuendo, e lui licenziò gli uomini con un cenno del pollice. Con la massima cautela, estraemmo la perforatrice dal foro, dal quale uscí una nuvoletta di polvere finissima, simile a uno sbuffo di fumo, nella luce cruda delle lampade. Feci un cenno col capo a Tinus, e lui seguí i suoi uomini fuori della galleria. Continuai il lavoro da solo. Servendomi di una lunga canna di plastica con un tampone di garza sterile fissato a un'estremità, sondai il vuoto di là dal foro. La canna entrò per oltre quattro metri, prima di incontrare un ostacolo e quando la ritrassi, la garza era impregnata di una finissima polvere grigia. Ne raccolsi sei campioni, poi raggiunsi Tinus. Nel locale scavato fra le due gallerie, era stato preparato un banco con un microscopio. Un primo, rapido esame fu sufficiente, ma volli analizzare con cura tutti e sei i campioni, prima di togliermi la maschera. Infine, raggiunsi gli altri che mi aspettavano ansiosi nella caverna. « Siamo arrivati a una cavità gridai. « Ed è pulita! :~ LOUREN non permise a nessun altro di lavorare con noi al diaframma, benché Ral e Sally morissero palesemente dalla voglia di farlo. Noi due soli scalpellammo per tre giorni la roccia attorno al foro aperto dalla perforatrice, finché non mettemmo allo scoperto un massiccio lastrone verticale di arenaria rossa. Altri due lastroni identici erano incastrati ai lati, e sopra, a guisa di architrave, si scorgeva il lato di un altro lastrone di pietra ugualmente massiccio. Con un martinetto idraulico capace di sollevare cinquanta tonnellate, liberammo il lastrone verticale dal peso dell'architrave, poi lo f~rammo per applicarvi un bullone a occhio con anello, al quale agganciammo una robusta catena d'acciaio collegata a un grosso argano munito di nottolino, e cominciammo a manovrare per smuovere dalla sua sede il lastrone di arenaria. Inginocchiati a fianco a fianco, impegnandoci con tutte le nostre forze, facevamo girare l'argano un dente alla volta e, a ogni scatto del nottolino, la catena si accorciava di un millimetro e mezzo. « Fino alla fine, socio :D ansimò Louren accanto a me. « Fino alla fine, Lo. Inarcai il corpo, tanto che i muscoli della schiena quasi mi si strapparono. Finalmente, con un leggero stridore, il lastrone si spostò lentamente, poi crollò sul pavimento della galleria, rivelando un'apertura nera. Restammo per qualche istante immobili e ansimanti, con gli occhi fissi su quel sinistro riquadro, dal quale usciva a fiotti, diffondendo un rancido sentore di morte, I'aria rimasta imprigionata per venti secoli. « Andiamo! Louren afferrò una lampada racchiusa nella sua piccola gabbia di fil di ferro e si infilò carponi nell'apertura, con il cavo elettrico che gli si snodava dietro come una serpe. M'infilai a mia volta. C'era un salto di oltre un metro, per arrivare al vano oltre l'apertura. Ritti l'uno accanto all'altro, scrutammo l'oscurità attraverso il misterioso gioco di ombre creato dalla lampada che Louren reggeva alta sopra la testa. Ci trovammo in un lungo corridoio chiuso sul fondo da una nuda parete di pietra. Avremmo scoperto in seguito che era lungo quarantacinque metri, alto due e quaranta e largo tre. Nelle pareti erano scavate alcune nicchie, dieci per parte, larghe due metri, profonde un metro e mezzo e alte dal pavimento al soffitto, tutte provviste di ripiani di pietra sui quali si allineavano file e file di orci di terracotta. « una dispensa » mormorò Louren. Il cuore mi martellava nel petto. « Probabilmente gli orci sono pieni di vino o di grano. Annusai nell'aria l'odore della polvere che si sollevava pigra attorno alle nostre gambe, come bruma sul mare. Louren fece un passo avanti. « E questi cosa sono? Sparsi sul pavimento, isolati o in mucchio, si scorgevano ammassi informi, ricoperti da un denso strato di polvere. Dissi a Louren di tenere alta la lampada e mi chinai sopra uno di quei cumuli, ma mi ritrassi di colpo, lanciando un'involontaria esclamazione. Un viso mi fissava attraverso la polvere, un viso dove gli occhi erano soltanto due fessure nere e le labbra rinsecchite lasciavano scoperta una chiostra di denti gialli. « Cadaveri mormorò Louren. « Decine di cadaveri! Si direbbero i corpi di soldati uccisi in battaglia. « In tal caso, deve essersi trattato di una battaglia spaventosa :~ osservai, scosso da una sorta di religioso stupore. « stato proprio cosí susurrò Louren. Mi girai di scatto verso di lui, sbalordito. « Che significa stato proprio cosí?" Che ne sai tu? Gli occhi di Louren brillavano di una strana luce interiore. Per qualche istante, ebbi la sensazione che non mi vedesse. « Eh? » disse poi, confuso. « Perché hai parlato cosí... come se lo sapessi per certo? » « Io? Non so... volevo dire che probabilmente è stato cosí. » Avanzò lentamente, scavalcando i cadaveri, scrutando in ogni nicchia. Lo seguii, con la mente in subbuglio. Di una cosa sola ero certo: quella scoperta era cosí sensazionale, da uguagliare il rinvenimento di resti ossei da parte dell'antropologo Leakey alla gola di Olduvai, una cosa da far sbalordire i] mondo dell'archeologia. In fondo, il corridoio era chiuso da un altro lastrone di arenaria, decorato da una immagine stilizzata di un sole raggiante scolpito nella pietra, del diametro di circa un metro, che destò in me uno strano senso di timore reverenziale. Louren si girò a guardare il corridoio, alle nostre spalle. « tutto qui? » La sua voce vibrava di palese irritazione. « Possibile che non ci sia altro? :~ Fu un colpo, per me. Louren era veramente deluso, mentre io pensavo che non potesse esistere in tutto l'universo tesoro piú prezioso. « E che diavolo vorresti? » ribattei. « Oro e diamanti e un sarcofago d'avorio? Lo sai qual è il tuo guaio, Louren Sturvesant? Pretendi troppo dalla vita! :Capivo che era in collera. ma proseguii ugualmente. « Sono anni che lavoro per scoprire qualcosa del genere, e ora che l'ho trovato... tu ti lamenti. » « Ehi, Ben! » Vidi nei suoi occhi un improvviso lampo di comprensione. « Non intendevo ferire il tuo amor proprio. Non sto affatto sminuendo l'importanza de]la tua scoperta. Mi domandavo soltanto... Dovette faticare un bel po' per ammansirmi ma alla fine sorrisi, mio malgrado. Lui mi batté una mano sulla spalla. « Andiamo, Ben 72 vediamo che cosa c'è in questi orci. :~ « Non dovremmo toccarli, Lo. Non prima di averli inventariati... « Ma ce ne sono a migliaia! Ne sottrarremo uno solo! Non stava chiedendo il permesso, non era sua abitudine. S'era già avviato verso un orcio che giaceva accanto a un cadavere piegato su sé stesso e coperto di polvere, e io mi affrettai a seguirlo. Ero vigliaccamente soddisfatto che fosse stato qualcun altro a prendere una decisione illecita. Morivo anch'io di curiosità e di impazienza. L'ORCIO troneggiava al centro del banco da lavoro, nel nostro deposito prefabbricato. Era sera, tutte le luci erano accese e noi eravamo riuniti intorno al banco. Tutti, tranne Tinus, rimasto alla caverna. Louren aveva deciso di mettere una guardia armata, giorno e notte, all'ingresso della galleria e il compito era toccato a Tinus, finché non avessimo trovato qualcun altro. Proprio in quel momento, Louren stava chiedendo per radio che gli mandassero altri uomini, insieme con nuove attrezzature. Udivamo la sua voce che, nella stanza accanto, urlava nel microfono, ma nessuno badava a lui. L'attenzione di tutti era concentrata, come per un incantesimo, su quelI'orcio di terracotta rossa non verniciata, alto quarantacinque centimetri, con il coperchio sigillato da uno strato di cera vergine. « Speriamo che Louren si sbrighi in fretta! esclamò Sally con uno scatto d'impazienza. A un tratto, ebbi paura. Non ero piú curioso di sapere che cosa contenesse quell'orcio. Non volevo scoprire che era semplicemente pieno di grano africano. Temevo di udir echeggiare sulle labbra di tutti la domanda di Louren: "tutto qui?" Finalmente arrivò anche Louren, che venne subito a mettersi accanto a me. « Allora, Ben, che cosa hai scoperto di bello? Con molta caute~a, usando una lama sottilissima, rimossi lo strato di cera. Il coperchio venne via con facilità sorprendente e tutti allungarono il collo mentre inclinavo l'orcio per farne uscire il contenuto. Un oggetto cilindrico scivolò pian piano sul tavolo. Fra gli astanti si diffuse un mormorio di commenti. « Puzza! « avvolto in un panno. » « In ogni caso è tessuto. :D « Ci vorranno argomenti molto validi per spiegarlo con la cultura bantu! :~ Mentre posavo il rotolo sul tavolo, un sogno divenne a un tratto realtà. Sapevo che cos'era quel rotolo! Un tesoro che valeva ben piú dell'oro e dei diamanti... Guardai Sally e i suoi occhi incontrarono i miei. « Oh Ben! » Aveva capito al volo. « Aprilo, per l'amor di Dio! » Afferrai un paio di pinze, ma tremavo talmente, che Ral tese un braccio per prendermele. « Dia a me, faccio io. « No! :Ritirai la mano di scatto. Credo che lo avrei picchiato, se avesse insistito. Ritrovai ben presto il controllo di me stesso e fui in grado di cominciare a staccare l'involucro di fragile stoffa gialla. Udivo il lieve ansimare di Sally, ma non alzai lo sguardo finché non ebbi finito. « Ben :susurrò lei, « sono cosí contenta per te! » Mi accorsi che stava piangendo; calde lacrime le scivolavano lentamente giú per le guance. « Grazie, Sal. Avevo anch'io gli occhi lucidi. Era un rotolo di cuoio, con i margini corrosi dal tempo, ma per il resto miracolosamente intatto, con colonne di scrittura. Riconobbi immediatamente l'alfabeto fenicio. Non sapevo leggere quella lingua, ma Sally, a Oxford, aveva lavorato con Hamilton, un esperto in quel campo. « Sal, riesci a decifrarlo? scrittura punica? « Ma certo! cartaginese! » E cominciò a leggere, con voce strozzata dalle lacrime. «~Entrata a Opet in questo giorno una carovana proveniente dal..." » Sally esitò un attimo. « Qui c'è un passo oscuro, poi continua: "... in dita d'oro, centoventisette pezzi, la decima parte dei quali al Gry-Leone". « E che cosa sarebbe questo "gry-leone"? domandò Louren. « Gry, che si pronuncia "grai", è un superlativo :spiegò Sally. « Perciò gry-leone significa grande leone. Probabilmente il titolo del re e del governatore della città. « Ma tutto questo che diavolo significa? » domandò ancora Louren. Glielo spiegai io. « Significa che abbiamo trovato gli archivi della nostra città. Abbiamo scoperto tutta la sua storia scritta dai suoi stessi abitanti. ciò per cui ogni archeologo prega, Lo. Ora noi possediamo le prove inconfutabili della presenza in questa regione di un popolo che parlava l'antico cartaginese, che commerciava in oro, che aveva battezzato Opet la propria città, che... » « E tutto ciò è scritto in una sola riga m'interruppe Sally. « E là sotto vi sono migliaia di orci, ognuno col suo manoscritto. Conosceremo il nome e le imprese di tutti i loro re, le loro battaglie, il loro cerimoniale, sapremo di dove erano venuti, dove andarono e perché! « Buon Dio » mormorò finalmente Louren. « Ma questa è la chiave di tutto! « Esatto convenni. « Avremo le spiegazioni che cercavamo. :~ Il mio trionfo durò meno di un'ora. Poi, fu proprio la mia assistente Sally Benator a mettersi d'impegno per farmi crollare addosso tutto quanto. Eravamo ancora seduti attorno al nostro rotolo, la bot- 74 tiglia del whisky era vuota, e noi avevamo la lingua sciolta. Sally aveva tradotto parola per parola la parte di scritto che avevo messo allo scoperto, una cronaca dei traffici commerciali della città, quando ~lercoL~ul~A6/NeLL SOLi O~P~ro r~AL A l L~Gl~Lrro q O D~ Av~.ro VA10 S~ Schizzo degli arcl1il i di Opet eseguito dalla dottoressa Sally Benator Louren si lasciò trasportare di nuovo dall'impazienza. « Srotoliamone un altro pezzetto » suggerí. « Questo è un lavoro per esperti, Lo. Il cuoio è rimasto arrotolato per duemila anni; potrebbe andare in briciole. « Certo » approvò Sally. « Mi ci vorranno settimane per decifrarne uno! La sua presunzione mi lasciò allibito. Era stata per tre anni terza assistente di Hamilton e sapeva leggere il punico come un bambino è in grado di comprendere Shakespeare... eppure non metteva nemmeno in dubbio che sarebbe toccato a lei, a lei soltanto, il compito di esaminare la piú grossa mole di scritti antichi mai scoperta. Dovette leggermi sul viso ciò che pensavo, perché apparve a un tratto palesemente allarmata. « Lo farò io questo lavoro, vero, Ben? Cercai di addolcirle la pillola. « iun lavoro enorme e arduo, Sal. Credo proprio che dovremo chiedere la collaborazione di qualcuno 7s come Hamilton, o come Levy, di Tel Aviv. Il suo volto tradiva una cocente delusione, perciò mi affrettai ad aggiungere: « Ma soL UCCELLO DEL SOLE no certo che lavorerai come prima assistente di chiunque si assumerà questo incarico. Regnò per un attimo un silenzio di tomba, e, nel frattempo, la disperazione di Sally si trasformò in collera incontrollabile. « Benjamin Kazin, sei un mezzo uomo, di statura come di cervello, e io ti odio... ti odio! Quell'espressione mi feriva nel piú profondo dell'anima, e lei lo sapeva. Subito dopo, si rivolse a Louren. « Ordinagli di farlo fare a me quel lavoro! :gridò. « Diglielo! :~ Pur essendo in collera, ebbi paura per la povera Sally. Comportarsi a quel modo equivaleva a stuzzicare un mamba nero (*) con un bastoncino, e non potevo credere che Sally fosse cosí sciocca da aspettarsi una cosa simile dall'amicizia di Louren. Le due persone che amavo di piú erano sul punto di scontrarsi irreparabilmente. Gli occhi di Louren fiammeggiarono di una gelida luce azzurra e le sue labbra divennero due linee sottili e severe. « Tu! la rim- proverò con voce incrinata. « Tieni a freno la lingua. Tutta la spavalderia di Sally svaní di colpo, e lei sembrò farsi piccola piccola sotto la sferza della voce di Louren. « E adesso va' in camera tua e restaci finché non avrai imparato a comportarti da persona civile! L'ordine fu pronunciato con lo stesso tono di gelida collera. Sally si alzò e, a occhi bassi, uscí dalla stanza. Non riuscivo a crederlo: la mia ribelle Sally diventata mansueta come un bambino in castigo. Il resto della compagnia non sapeva come fare per nascondere il disagio. Finalmente, Louren ruppe il silenzio. Si alzò, posandomi una mano su una spalla, con gesto affettuoso. « Mi dispiace per questo incidente. Cerca di non prendertela. E uscí nel buio della notte. Quando anche gli altri se ne furono andati, rimasi lí seduto tutto solo, con un inutile rotolo di cuoio e il cuore in pezzi. "Ti odio... mezzo uomo!" La voce di Sally mi riecheggiava ostinatamente nel cervello. Tesi la mano verso la bottiglia del whisky. « BEN! Ben! Svegliati! Era la voce di Sally, mentre la sua mano mi scuoteva, gentile ma insistente. Aprii gli occhi che mi bruciavano. Era mattina, e Sally stava china su di me, con gli occhi gonfi e rossi, come se avesse pianto. « Sono venuta a chiederti scusa, Ben. Per le cose stupide e odio(*) Serpente velenoso dell'Africa tropicale, dotato di straordinaria aggressività e rapidità. (N. d. T.) se che ti ho detto e per il modo in cui mi sono comportata. NelI'udire quelle parole, parte dell'amarezza che la sera prima aveva invaso il mio animo si dileguò. Sally proseguí: « Avrai cambiato idea, immagino, e in ogni caso non me lo merito piú, ma sarei felice di poter lavorare come prima assistente. « Ti sei guadagnata il posto. Le sorrisi. « Giuro. Il nostro primo lavoro agli archivi fu quello di spazzare il cumulo di polvere grigia che ricopriva tutto quanto. Da principio, mi domandai perplesso come mai ci fosse tanta polvere in un vano ermeticamente chiuso, ma poi scoprii che le commettiture del soffitto non erano perfette come quelle delle pareti. Gli aspirapolvere speciali ordinati da Louren arrivarono in aereo quello stesso pomeriggio, insieme con alcuni agenti di guardia, che organizzarono subito una stretta sorveglianza all'ingresso della galleria. Soltanto sei persone avevano il permesso di entrare. Asportato lo strato di polvere, si poté finalmente valutare appieno l'importanza della nostra scoperta. Gli orci erano millecentoquarantatré, ma centoventisette, rovesciati dalle loro nicchie durante la battaglia, erano rotti o incrinati e il contatto con l'aria aveva gravemente danneggiato i rotoli in essi conservati. Fu necessario spruzzarvi sopra un velo di paraffina per evitare che si sbriciolassero. Poi, ci dedicammo a esaminare le testimonianze della sanguinosa battaglia infuriata negli archivi. Contammo trentotto cadaveri disseminati lungo il corridoio, in sorprendente stato di conservazione. Molti avevano riportato ferite orribili: membra mutilate, crani spaccati fino alle spalle, teste troncate di netto dal collo. Evidentemente, s'era scatenata in quel luogo una furia diabolica, una forza distruttrice quasi sovrumana. Tutte le vittime erano di tipo negroide e portavano acconciature di piume e perizomi di cuoio conciato e abbellito da guarnizioni di perline o di osso. Tutto intorno, erano sparse lance dalla punta di ferro grossolanamente lavorata e dall'asta di legno duro, oltre a centinaia di frecce ricavate dalle canne, che avevano scheggiato le pareti di tenera arenaria. Non fu difficile stabilire che erano state scagliate dall'imbocco della galleria, ma, poiché nessuno dei cadaveri ne era stato colpito, ne deducemmo che uno sbarramento di frecce avesse preceduto un attacco sferrato da quegli stessi uomini che giacevano lí, trucidati. Circa a cinque metri dall'imbocco ancora murato del corridoio, le pareti erano annerite per un ampio tratto, prova evidente che lí era stato acceso un grosso falò. Quella scoperta mi lasciò perplesso a lungo, finché Louren, passeggiando irrequieto su e giú per la galleria, non ricostruí le fasi della battaglia. « Furono gli ultimi soldati di Opet, un manipolo dei piú forti e coraggiosi, a uccidere i guerrieri che abbiamo trovato. Nella sua voce vibrava l'accento della verità, come se fosse un poeta che cantava le gesta di antichi eroi. « Il nemico lanciò all'attacco i suoi uomini migliori per portare a termine la strage, ma furono i nostri ad avere la meglio. Allora, gli assalitori schierarono gli arcieri, che lanciarono nugoli di frecce dall'ingresso della galleria. Poi, i nemici sferrarono un altro attacco, ma gli uomini di Opet erano ancora qui ad aspettarli e li sterminarono di nuovo. Percorse velocemente il corridoio e venne a fermarsi accanto a me. « Pensa, Ben! Di quanta gloria si coprirono i nostri eroi in quelI'ultimo fatale giorno! Il mio cuore batteva a ritmo accelerato. « E dopo? Che cosa accadde? * domandai. « Indeboliti da innumerevoli ferite, i nostri uomini erano ormai allo stremo delle forze. Schierati a spalla a spalla, si appoggiavano esausti alle loro armi, ma i nemici non osarono piú farsi avanti. Accesero invece un gran falò all'imbocco della galleria, per costringere gli uomini di Opet a uscire. Fallito anche quell'espediente, rinllnciarono all'attacco e murarono l'ingresso, trasformando la galle una tomba per i vivi e per i morti. La storia di Louren era logica, tranne in un particolare. « Ma che cosa accadde in seguito a quel manipolo d'eroi? x mandai. « Dove sono finiti? :~ Louren rise. « Hai forse un'idea migliore? mi sfidò. Non riuscimmo a trovare traccia degli eroi di quell'antica tragedia. Rinvenimmo solo un'arma, quella che senza dubbio aveva provocato la maggior parte delle orrende ferite visibili sui cadaveri. Giaceva sotto l'immagine del sole, ancora coperta di macchie che dovevano essere di sangue essiccato: una bipenne da guerra di sorprendente bellezza e potenza. Le sue due lame a mezzaluna, affilate come rasoi, misuravano lungo il margine almeno venticinque centimetri e, fra di esse, si protendeva un puntale liscio, lungo una trentina di centimetri. Le quattro facce della bipenne erano finemente lavorate: ognuna recava incisa la sagoma di un avvoltoio al centro di un sole sorgente. Quando sollevai quell'arma stupenda dal pavimento dov'era rimasta per duemila anni, la mia mano si chiuse agevolmente sull'impugnatura d'avorio: i solchi si adattavano alle mie dita come fossero stati modellati appositamente per me. Con quell'arma in mano, fui preso da un'improvvisa follia, della quale nemmeno mi resi conto, finché la bipenne non prese a roteare in ampi cerchi scintillanti sopra la mia testa. Udii un grido risuonare nell'aria, un urlo di esultanza che sembrava il naturale accompagnamento del micidiale sibilo della bipenne. Con uno sforzo di volontà, abbassai l'arma e soffocai un grido. Louren stava fissandomi sbalordito e, davanti a quello sguardo, mi sentii completamente idiota. « Stavo soltanto provandola * mormorai confuso. « Scusami. :~ RESTAMMO a riflettere sull'enigma di quell'archivio fino a notte inoltrata. Finalmente, Louren, che doveva ripartire la mattina dopo, mi accompagnò alla baracca. Ci fermammo sulla porta e lui accese un sigaro. « Quella bipenne, Ben... ha avuto uno strano effetto su di te, vero? Che cosa c'è in questo posto? Non avverti anche tu un oscuro senso di... predestinazione? » Annuii, e Louren si sentí confortato. « Non vedo l'ora di scoprire che cosa c'è in quei rotoli, Ben. Ieri notte leggevo un articolo sulla scoperta della tomba di Tutankhamon. Lord Carnarvon morí prima di poter vedere la mummia del faraone... :~ « Non lasciarti suggestionare da simili fantasie, Lo. « D'accordo. Ma non perdere troppo tempo, Ben. » « Tu pensa a convincere Hamilton * ribattei. « un tipo originale, da prendere con le molle, ma non possiamo fare a meno di lui per interpretare quei rotoli. « Io sarò a Londra venerdí. Andrò personalmente da lui. :Louren rimase un attimo in silenzio. « Dammi retta, Ben. Se scopri qualcosa, fammelo sapere immediatamente, capito? Voglio essere qui quando succede. * « Quando succede che cosa? * « Non lo so. C'è qualche mistero, qui, Ben. Lo sento. Mi batté una mano sulla spalla e si allontanò nel buio, verso la sua baracca. Il lunedí seguente, arrivò una squadra di carpentieri per costruire uno spazioso deposito per i rotoli di cuoio, con porte a tenuta stagna e un potente impianto per il condizionamento dell'aria. La nuova costruzione fu poi recintata, per motivi di sicurezza, con un'alta rete di filo spinato. Quello stesso giorno, tuttavia, i miei progetti ricevettero un colpo durissimo. "HAMILTON NON DlsPoNIslLE" telegrafò Louren. "PREGO SUGGERIRE ALTERNATIVA. Fui deluso, offeso e irritato: deluso perché Hamilton era il nume- 79 ro uno nel suo campo; offeso perché evidentemente non credeva a quanto asserivo; irritato perché il suo rifiuto avrebbe dissuaso altri dal collaborare con me. Era chiaro che Hamilton s'era lasciato influenzare dagli attacchi dei miei awersari. « ila piú grande autorità del mondo per quanto riguarda i manoscritti antichi * dissi amaramente a Sally. « E non ha nemmeno voluto ascoltarmi. * . . Rimanemmo seduti lí per un poco, silenziosi e avvihtl. Pol, Sally si riscosse. « Andiamo a prenderlo noi » suggerí. « Rifiuterà di riceverci. * « Oh, non rifiuterà certo di ricevere me :ribatté, convinta. « Non dimenticare che ho lavorato con lui. * Quelle parole mi fecero scorrere nelle vene una sconvolgente ondata di gelosia. SETTANTADUE ore dopo, ero seduto nell'atrio del ristorante "Bell", a Hurley, in Inghilterra, davanti a un boccale di ottima birra inglese, e tenevo d'occhio il posteggio. C'erano soltanto cinquanta minuti d'auto da lí a Oxford e mi domandavo perché Sally non fosse ancora tornata. Aveva telefonato a Hamilton dall'aeroporto ed era riuscita a combinare un incontro. « A pranzo? un'idea meravigliosa, professore! Ho noleggiato un'auto. Vengo a prenderla all'universita? * Mi aveva fatto un cenno col pollice alzato. « Al "Bell". Ma certo che ricordo... come potrei dimenticare? * Finalmente l'automobile s'infilò nel posteggio. Sally non aveva affatto l'aria di una donna che avesse appena trascorso quattordici ore a bordo di un aereo intercontinentale. Scivolò fuori del posto di guida e si avviò verso il ristorante, appesa al braccio di Hamilton e ridendo gaiamente. Eldridge Hamilton era sui cinquantacinque anm, alto e magro, con le spalle curve, infagottato in un abito di tweed con toppe di CUOjO ai gomiti, che gli pendeva addosso come un sacco. Col naso a becco e il cranio luccicante nella pallida luce del sole, non sembrava un rivale molto temibile, tuttavia, mentre si awicinavano al mio tavolo, i suoi occhietti scintillavano nel fissare Sally da dietro gli occhiali dalla grossa montatura di corno. Era a meno di due metri da me, quando mi vide. Si fermò di botto. Per un attimo, tutti i nostri progetti corsero il rischio di andare a rotoli. « Eldridge! * Balzai in piedi. « Che immenso piacere rivederti! Lo presi per un braccio. « Ti ho ordinato un gin doppio... è iI tuo veleno preferito, no? * Erano trascorsi cinque anni da quando ci eravamo vlsti l'ultlma volta e il fatto che io ricordassi i suoi gusti lo ammansí un poco. Mi permise di accompagnarlo a una sedia e di sistemargli opportunamente, a portata di mano, il bicchiere del gin. L UCCELLO DEL SOLE Sally e io lo tenemmo sotto il fuoco incrociato del nostro fascino, ma lui rimase chiuso in un sospettoso silenzio. Soltanto verso la metà del terzo gin cominciò a sgelarsi e, dopo un poco, divenne addirittura loquace e spiritoso. « Ma l'hai letta la replica di Snell al tuo libro, sul Jourr~l? :D mi domandò. Wilfred Snell era il piú accanito dei miei avversari. « Un vero spasso, no? » Nitrí come un focoso stallone e attanagliò una delle belle cosce abbronzate di Sally. Mi riuscí difficile vincere la tentazione di agguantarlo per i pochi capelli rimastigli e trascinarlo in giro per la sala. Con voce strozzata, suggerii di passare in sala da pranzo. Mentre ci dedicavamo con la dovuta attenzione al fagiano, Eldridge, con il tatto che lo distingueva, tirò in ballo Louren. « Ho visto un tuo amico, I'altro giorno. Un tipo piuttosto appanscente. Un incrocio tra il maschio irresistibile e il pugile professionista. Mi ha raccontato una storia fantasiosa a proposito di certi rotoli che tu avresti trovato in una caverna! * Nitrí di nuovo. « E ha avuto anche il coraggio di offrirmi del denaro, lo spudorato! Conosco il tipo: fanfaroni che non hanno neanche un soldo e si comportano come fossero padroni del mondo! L'ho mandato a farsi friggere, naturalmente. * Sally lo guardò sbalordita. « Louren Sturvesant era incluso nell'elenco dei trenta uomini piú ricchi del mondo pubblicato qualche giorno fa dal Time * mormorò « Esatto confermai. « lui che finanzia i miei scavi nel Botswa na. Duecentomila dollari, finora... e non ha posto alcun limite. Eldridge si girò verso di me con un'espressione sconvolta, come se si fosse improvvisamente reso conto di aver avuto a portata di mano uno straordinario mecenate e di esserselo lasciato scappare Provai un po' di compassione per lui, lo giuro, mentre prendevo dalla mia borsa un rotolo avvolto accuratamente in un pezzo di tela « Domani ho un appuntamento con Reuben Levy a Tel Aviv, El dridge. Aprii l'involto. « Abbiamo piú di mille rotoli come questo, cosicche Levy avrà il suo da fare per qualche annetto. E, naturalmente, in compenso Sturvesant farà una bella donazione alla sua facolta di Archeologia. Eldridge ingollava il suo fagiano come fosse farcito di pezzetti di vetro. Si asciugò la bocca e le dita nel tovagliolo, prima di chinarsi in avanti per esaminare il rotolo. Lesse lo scritto muovendo silenziosamente le labbra. Quando parlò, la voce gli tremava per l'emozione. « Punico nello stile del secondo secolo avanti Cristo. Vedi le legature che uniscono i tratti delle "M"? una caratteristica sicuramente anteriore al primo secolo. Guardi qui, Sally, vede il taglietto arcaico delle "A"? « Levy è in preda all'entusiasmo. Interruppi con una innocente bugia quel flusso di dati tecnici. Levy non sapeva neanche che quei rotoli esistessero. « Levy? Eldridge sbuffò. « Se lo si tira fuori dall'ebraico e dalI'egiziano, si trova sperduto come un bambino in mezzo a un bosco. * Mi afferrò per un polso. « Ben, permettimi di insistere. Devi assolutamente affidarmi questo lavoro! * « E con Snell come la mettiamo? Mi pareva che trovassi molto divertenti le sue critiche al mio lavoro... Te la senti dawero di lavorare con una persona dalle teorie cosí sballate come le mie? « Wilfred Snell è un perfetto somaro si affrettò a ribattere Eldridge. « Quando mai ha trovato mille manoscritti punici, lui? * ELDRIDGE arrivò una settimana dopo il nostro ritorno alla città della Luna e noi andammo a prenderlo alla pista di atterraggio del campo. Tutto il suo bagaglio consisteva di una modesta valigia contenente pochi effetti personali e di una decina di grandi astucci pieni di preparati chimici e di strumenti. Poche ore dopo il suo arrivo, era già al lavoro, tra vapori, strane misture e vernici speciali, in tutto simile a un alchimista del Medioevo. Il trattamento variava da rotolo a rotolo, a seconda dello stato di conservazione, della qualità del cuoio, e cosí via. Secondo quanto asseriva Sally, il profondo interesse per quel lavoro aveva ridotto gli istinti animaleschi di Eldridge al livello di qualche fortuito e distratto pizzicotto alle sue parti anatomiche piú appariscenti. L'uno dopo l'altro, i manoscritti risultarono essere o registri contabili degli scambi commerciali della città o proclami del sovrano ereditario, il Gry-Leone, e di un consiglio composto da nove famiglie dell'aristocrazia. Gli autori erano ignoti scrivani dallo stile vivace, ma conciso, e le loro cronache confermavano, per quel popolo, le abitudini di vita che avevamo ricostruito sulla scorta delle nostre altre scoperte: i cittadini di Opet erano mercanti e guerrieri, piú interessati all'acquisizione di ricchezza e di potere che non all'arte e alle mollezze della vita. « E noi africani bianchi siamo esattamente come loro :affermò Sally durante una delle nostre conversazioni notturne. « Se c'è l'oro su queste colline, le pitture rupestri non interesseranno piú a nes~2 suno. :~ I manoscritti parlavano di oro portato da località che si chiamavano Zimbao e Punt, che identificammo come regioni della RhodeL UCCELLO DEL SOLE sia del Nord; di avorio proveniente dalle fitte foreste che si trovavano lungo un grande fiume, evidentemente lo Zambesi, e di rame estratto dalle colline di Tuya, la ricca zona mineraria a nord della odierna Sinoia. Si accennava pure a sale e a pesci provenienti da laghi ormai scomparsi, e a grano, pelli, carni essiccate, pietre preziose... e a schiavi, migliaia di piccoli individui, dalla pelle gialla, detti "yuye", che supponemmo fossero gli antenati degli attuali boscimani e che venivano trattati come animali domestici. I manoscritti erano datati a partire da un certo anno, che immaginammo fosse quello della fondazione della città. Una volta appuratone il contenuto, feci osservare a Eldridge che, invece di esaminarli sistematicamente uno per uno, sarebbe forse stato meglio estrarne dei saggi e cercare di farci un'idea complessiva della storia della città. Lui fu subito d'accordo con me. Ne emerse il quadro di una vasta colonizzazione dell'Africa centrale e meridionale da parte di un popolo battagliero e operoso, che aveva la sua base a Opet. I decreti del Gry-Leone e dell'oligarchia costituita dalle nove famiglie nobili andavano dalle disposizioni per il dragaggio dei canali di derivazione dal lago, che era già in via di prosciugamento, alla scelta di "messaggeri" da inviare ad Astarte e a Baal, "messaggeri" che, sospettammo, dovevano essere probabilmente le vittime di sacrifici umani. A mano a mano che gli anni passavano, le cronache riferivano che il Gry-Leone incontrava sempre maggiori difficoltà nella ricerca degli schiavi. Le spedizioni che andavano a caccia di yuye erano costrette a spingersi sempre piú lontano. Poi, un giorno, vi furono grandi feste per il ritorno di una spedizione da una battuta al nord con cinquecento "nubiani selvaggi alti e forti", e il comandante dell'impresa venne ricompensato con dieci "dita" d'oro. Quella situazione di benessere, tuttavia, andò a poco a poco deteriorandosi negli anni seguenti, via via che una massa sempre piú imponente di popolazioni negre si concentrava a nord del grande fiume. Erano evidentemente cominciate le grandi trasmigrazioni dei bantu, e, ormai, la maggiore preoccupazione del Gry-Leone era quella di impedire che straripassero a sud, perciò le sue legioni pattugliavano senza interruzione il confine settentrionale. Come avremmo voluto trovare le opere di un Plinio o di un Tito Livio per rimpolpare quelle meticolose cronache dell'arricchimento della città! Ogni fatto ci proponeva invece centinaia di interrogativi destinati a rimanere senza risposta. Da dove erano venuti questi abitanti di Opet, e quando? Dove erano andati, e perché? Che fine avevano fatto i tesori da loro accumulati? Erano ancora lí, in qualche segreto nascondiglio scavato nel cuore delle colline del Sangue? Volli togliermi la soddisfazione di calcolare il valore approssimativo di quei tesori. Supponendo che un "dito" d'oro equivalesse a una di quelle piccole verghe del prezioso metallo da noi ritrovate tra le fondamenta della città, presi nota della quantità di oro arrivata complessivamente a Opet nel giro dl vent'anni. Risulto che iI metallo estratto dalle miniere in quel periodo doveva raggiungere come minimo le quattromila tonnellate, un decimo delle quali era regolarmente finito nel tesoro privato del Gry-Leone. Presumendo che una metà di quell'enorme quantitativo fosse stata spesa dai sovrani, restava sempre l'impressionante cifra di duecento tonnellate d'oro che poteva essere nascosto dentro o vicino alla città. Duecento tonnellate d'oro, cioè ottanta milioni di sterline! Quando mostrai quei calcoli a Louren, durante la sua successiva visita agli scavi, vidi accendersi nei SUOi occhi azzurro pallido la fiamma dell'avidità. « Sai, Ben, tu e Ral dovreste dedicare plU tempo agli scavi e meno agli archivi. Quei vecchi bastardi erano maledettamente abili nel nascondere la roba e, se ti capitasse di inciampare per caso nel tesoro regale, non ti odierei certo per questo. Dopo tutto, ottanta milioni di sterline sono una bella sommetta! Eldridge e Sally avevano materiale sufficiente per lavorare un paio di mesi, cosí, dopo aver fotografato di nuovo a raggi infrarossi tutta la caverna, andai con Ral a esplorare i dirupi. Era novembre, ormai, quello che in Africa si chiama "il mese SUicida". Il sole era un martello e la terra la sua incudine, ma, nonostante il caldo, perlustravamo ogni giorno un centinaio di metri di roccia rossa, esplorandola con le dita oltre che con gli occhi, procedendo a tastoni come ciechi. Ogni giorno portava con sé qualche piccola avventura. Una volta, fui assalito da un mamba nero - due metri e mezzo di irntabilita e di morte subitanea, con occhi simili a perline di vetro e lingua nera e saettante - offesissimo perché ero andato a frugare nella crepa che era la sua dimora e il suo dominio. Ral fu sbalordito dalla mia velocità nella corsa su terreno accidentato e mi suggeri di fare il centometrista. Una settimana dopo, potei ricambiare la spiritosaggine facendogli notare quanto avessero migliorato iI suo aspetto le punture di una ventina di vespe. Novembre passò, e noi continuammo a cercare, ma senza risultato. In compenso, Eldridge e Sally continuavano a ricavare una co84 spicua messe di materiale dai manoscritti. Venne il Natale e ci scambiammo i regali durante una festicciola al chiaro di luna, una luna grande come un gong d'argento. Io L UCCELLO DEL SOLE cantai White Christmas alla maniera di Bing Crosby, poi mi esibii con Hamilton in Jingle Bells. Eldridge non ricordava piú le parole, ma conosceva alla perfezione il tintinnio delle campane che faceva da sottofondo alla canzone. Sapeva farlo come nessun altro, specie dopo parecchie e abbondanti dosi di gin. Stava ancora eseguendo il suo allegro tintinnio, quando Ral e io lo portammo di peso nel suo letto. Al principio dell'anno nuovo, ricevemmo una visita che si sarebbe potuta definire regale. Hilary Sturvesant era finalmente riuscita a convincere Louren a portarla con sé agli scavi. Venne anche Bobby con loro, e io ero fuori di me per la felicità all'idea di avere riunite lí alla città della Luna, tutte le persone che amavo di piú Arrivarono in tempo per lo spuntino a base di carni fredde e insalate varie che avevo preparato con le mie mani. Ma la visita si annuncio subito burrascosa. Sally non si uní a noi per il pranzo. Mandò a dire che aveva un terribile mal di capo e che sarebbe rimasta a letto. Piú tardi, la vidi sgattaiolare verso il laghetto con il necessario per fare il bagno. Naturalmente Eldridge e Louren si guardavano ancora come cane e gatto: rammentai che Hamilton si era vantato di avere mandatc Louren a farsi friggere e, quando cominCiO a parlare di gente con "piú soldi che cervello ed educazione" temetti sul serio di avere bell'e perduto il mio esperto di manoscritti antichi. E, come se tutto ciò non bastasse, fu presto evidente che Hilary e Louren erano in piena baruffa coniugale. Comunicavano esclusivamente per mezzo di Bobby, tanto che anche Ral e i Willcox, palesemente a disagio, parevano avere perduto tutta la loro disinvoltura. Appena finito di mangiare, Eldridge tornò ai suoi manoscritti, mentre gli altri borbottarono qualche scusa e tagliarono la corda. Louren prese il fucile e se ne andò via a bordo della Land Rover, lasciando alle mie cure Hilary e Bobby, che accompagnai al nostro piccolo museo. Affascinata dagli oggetti esposti, Hilary scordò ben presto la propria tristezza. Chiacchierammo confidenzialmente, da vecchi amici affezionati quali eravamo, ma soltanto verso sera, mentre tornavamo insieme alla baracca degli ospiti, Hilary mi domandò all'improwiso: « Pensi che abbia trovato un'altra donna, Ben? :D Fui sbalordito. << Ma come diavolo ti è venuta in mente un'idea « Non so. Solo che... :S'interruppe con un sospiro. Dove mai potrebbe trovare piú di quanto ha ora? Lei mi strinse affettuosamente una mano. « Caro Ben! Che cosa faremmo senza di te? Poco dopo, mi awiai, pieno di timori, verso la sala di ritrovo, dove mi aspettavo di assistere alla replica dello spettacolo di mezzogiorno. Ma, arrivato sulla soglia, non credetti ai miei occhi. Louren, Eldridge e gli altri, riuniti in gruppo come vecchi amici, stavano amabilmente conversando sulla traduzione dei manoscritti. Con un sospiro di sollievo, m'incamminai verso il rudimentale bar. « Uno anche per me, Ben. Sally mi si awicinò. Sul suo viso, non notai tracce del dichiarato mal di testa. S'era raccolta i capelli sul capo e indossava un abito di seta che le lasciava scoperte la schiena e le spalle abbronzate. Di rado l'avevo vista cosí bella. Le versai da bere, poi ci unimmo alla conversazione generale. « Il professor Hamilton ha fatto un lavoro davvero notevole, Ben osservò Louren. « Devo congratularmi con te per avere scelto un collega di tanto valore... Ormai, però, non possiamo piú mantenere il segreto sulle nostre scoperte. Hai qualche idea circa il modo di dare J.'annuncio? Be', per essere sincero... Esitai. « Avevo pensato a qualcosa in grande stile. Forse si potrebbe chiedere alla Reale Società Geografica inglese di indire un simposio speciale sulla preistoria africana. Eldridge fa parte del consiglio. Sono certo che potrebbe sistemare le cose in questo senso. Guardammo tutti Hamilton, che annuí con entusiasmo. « In tal caso, la Sturvesant potrebbe offrire il viaggio ai congressisti: trasportarli in aereo a Londra e pagare loro le spese, per essere certi che non mancheranno. Louren rise di gusto. « Il tuo piano è fin troppo chiaro, Ben. Tu vuoi arrivare a riunire tutti i tuoi critici per poi metterli, come si dice, con le spalle al muro. eosí, no? :~ Sogghignai. a Piú o meno, Lo. magnifieo! Sally batté le mani, entusiasta. « Bene, faremo le eose in grande stile promise Louren, poi si rivolse a Eldridge. « Quanto tempo ci vorrà per organizzare il simposio? « Be', si dovrà riunire il consiglio per l'approvazione. Direi che si potrebbe fissare per i primi di aprile. Il primo di aprile? suggerii. « Splendido! :esclamò Louren. Dobbiamo far venire anche Wilfred Snell si raccomandò Sally. « Lui è il primo dell'elenco la rassicurai. Stavamo ancora facendo progetti, quando arrivò Hilary e tutti ei sedemmo attorno al fagiano selvatieo eueinato eon una salsa al curry ehe, speravo, avrebbe fatto sembrare fresea, al eonfronto, I'afosa aria L UCCELLO DEL SOLE della sera. C'era birra ghiaeeiata in abbondanza per innaffiarlo, e la eena divenne ben presto una gaia festa. Poi, Sally si rivolse inaspettatamente a Hilary, che sedeva tranquilla aeeanto a me. « Il ealdo e le searse eomodità di questo posto devono essere una prova un po' dura per lei, vero, signora Sturvesant? Non è certo il clima adatto per giocare a tennis, no? Lo disse come se il tennis fosse lo sciocco passatempo di una vana farfalletta salottiera. Ne fui stupito. Ma Hilary non si lasciò prendere in contropiede. « Senza dubbio può essere un soggiorno poco igienico, dottoressa Benator, soprattutto se troppo prolungato. Il sole, a volte, riduce la carnagione in condizioni disastrose. E lei ha ancora l'aria un po' sbattuta dal mal di testa. Allora Sally cambiò tattiea. Dedieò la propria attenzione a Louren, ridendo gaiamente a tutto ciò che diceva, senza staeeargli mai gli occhi di dosso. Una tattica eontro la quale Hilary non aveva difesa. Ma, alla fine, anche lei suonò le sue trombe. Louren, caro, è stata una giornata cosí piena... Ti dispiacerebbe accompagnarmi a letto, per favore? Lasciò il campo di battaglia stretta al braceio del marito e dovetti ammettere ehe Sally aveva avuto quel ehe si meritava. Comineiavo a capire ciò che stava aeeadendo, ma non volevo ammetterlo nemmeno eon me stesso. DURANTE la eolazione, il giorno dopo, Louren annuneiò che sarebbe ripartito subito per Johannesburg con Hilary e Bobby, invece di fermarsi ancora un giorno come aveva programmato. Mi riuseí difficile nascondere la mia delusione e quando, piú tardi, domandai a Louren il motivo di quell'inattesa decisione, lui si strinse nelle spalle, esasperato. « Non sai quanto sei fortunato a non essere sposato, Ben. Buon Dio, le donne! La vita alla eittà della Luna riprese il suo ritmo tranquillo e operoso. Ral si dedicò con nuova energia alle ricerche sulle eolline, ma lo, ormai, lo accompagnavo di rado. Avevo cominciato a preparare la prolusione per la Reale Soeietà Geografiea, un lavoro ehe avrei dovuto fare eon entusiasmo e ehe invece mi riusciva tedioso. Inoltre, mi accorgevo di esprimermi in modo prolisso e eontorto. I particolari erano molti, ma tutti di scarsa importanza rispetto alla domanda fondamentaleche restava ancora senza risposta: da dove era venuta quella gente, e quando? Dov'era andata, e perché? Strappavo i fogli dalla macchina per serivere, I'uno dopo l'altro, li appallottolavo e li Scaraventavo contro la parete. Mi spaventava il fatto che emozioni incontrollabili mi impedissero di dominare i miei pensieri, ma il comportamento di Sally mi turbava troppo. Inoltre, nutrivo anche una certa apprensione per il prossimo confronto con i miei colleghi-nemici. Non so davvero fino a quando sarebbe durato quel mio scoraggiamento, se non avessimo fatto una scoperta che risolse molti misteri. In contrasto con la mia apatia, la squadra di Hamilton aveva lavorato alacremente intorno ai manoscritti e, una mattina, a colazione, Eldridge mi pregò di portare fuori altri orci dall'archivio perché era pronto per esaminare nuovi manoscritti. Fui ben contento di avere un'ottima scusa per non dover affrontare il muto rimprovero dei fogli bianchi e Ral fu altrettanto contento di avere un diversivo alle sue ricerche fra le rupi. Quella mattina, dunque, tornammo al nostro lavoro di un tempo, nella fresca penombra degli archivi. Verso sera, Ral spostò un orcio dal suo ripiano di pietra e si lasciò sfuggire un'esclamazione: « Ehi! E questo che cos'è? » Nella parete, dietro l'orcio, si apriva un piccolo vano quadrato. Provai uno strano presentimento, mentre fissavo una fila di orci piú piccoli e tozzi nascosti in quel vano. La mia apatia svaní d'incanto. Gli orci erano cinque, tutti con il coperchio fermato da un filo di metallo dorato e un sigillo d'argilla sul quale era impressa la figura di un avvoltoio appollaiato, il tipico uccello del sole della civiltà scoperta a Zimbabwe. Rammentai, con un brivido, il soprannome che i portatori indigeni mi avevano affibbiato. Cercai di sollevare il primo orcio: non riuscii nemmeno a smuoverlo. « attaccato » osservai. « Devono averlo fissato con una specie di bullone. » Anche gli altri erano saldamente ancorati. « Strano :mormorò Ral, con un commento del tutto inadeguato alla situazione. Tornai al mio vaso e cercai con tutte le mie forze di smuoverlo. I muscoli dell'avambraccio mi si accavallarono per lo sforzo prima che riuscissi a spostarlo di un paio di centimetri. Mi resi conto allora che, a tenerlo fermo, non erano degli ipotetici bulloni, ma il suo enorme peso. Non era piú grande di un bottiglione di vino, ma ci vollero gli sforzi congiunti miei e di Ral per spostarlo fino all'orlo del ripiano e calarlo nello speciale contenitore, imbottito di lana di vetro, che avevamo ideato per trasportare gli orci. Poi, afferrammo un manico per ciascuno e portammo il prezioso cimelio al deposito. Quando entrammo, nessuno ci degnò di uno sguardo. Strizzai l'occhio a Ral e, senza una parola, deponemmo l'orcio sopra il banco. « Eldridge dissi poi in tono indifferente, « ti dispiacerebbe dare una occhiata a questo, per favore? :~ « Un momento... Ral e io aspettammo pazientemente finché, come Dio volle, Eldridge mise da parte la lente d'ingrandimento e alzò gli occhi. La sua reazione fu immediata. a Dove l'avete trovato? domandò avvicinandosi di volata al banco. « Quanti ce ne sono? Il tono della sua voce riscosse anche gli altri, che si precipitarono attorno al tavolo. « Apritelo! esclamò Sally. « Bene, professor Hamilton, che cosa aspettiamo? :domandai. « Giusto, che cosa aspettiamo? Ci mettemmo subito all'opera, per rimuovere il sigillo. Il coperchio saltò via con estrema facilità rivelando all'interno del vaso il solito rotolo avvolto nella stoffa. Inclinai cautamente l'orcio su un fianco, e, mentre Eldridge lo teneva fermo, estrassi il pesante rotolo. La stoffa che lo avvolgeva venne via in un pezzo solo. Restammo a fissare incantati il nuovo cilindro. Si trattava di un manoscritto, ma il materiale usato, invece che cuoio, era un foglio d'oro purissimo. I caratteri erano incisi con estrema finezza, ma lo splendore abbagliante dell'oro confondeva la vista. Allora Eldridge mentre noi lo guardavamo incantati, sparse sulla superficie splendente uno strato di nerofumo, togliendone poi con cura il superfluo, cosicché i caratteri presero risalto, nettamente delineati in nero sullo sfondo dorato. Eldridge si sistemò gli occhiali sul naso e cominciò a leggere. Fu subito chiaro che avevamo scoperto il primo di una serie di rotoli; ciò che Eldridge stava leggendo, infatti, era una prefazione dell'autore. Va nella mia bottega, prendi cinquecento dita dell'oro piú fino che ci sia a Opet e fanne fogli incorruttibili, perché questi canti vivano in eterno, perché la gloria del nostro popolo viva in eterno nelle parole del nostro amato Uccello del Sole, Huy, figlio di Amon, Gran Sacerdote di Baal, difensore di tutti gli dèi. Che gli uomini leggano le sue parole e si rallegrino come io mi sono rallegrato, che gli uomini ascoltino i suoi canti e piangano come io ho pianto, che il suo riso riecheggi nei secoli a venire e la sua saggezza viva in eterno. Cosí parlò Lannon Hycanus, ventitreesimo Gry-Leone di Opet, re di Punt e dei Quattro Reami. Eldridge interruppe la lettura e osservò i nostri visi attenti. Nessuno parlò. Quello non era un registro contabile, era l'alito, I'essenza di un popolo e di una terra. « Continua D mormorai. « Va' avanti. Eldridge riprese a leggere. Le ore passavano veloci, mentre ascoltavamo affascinati i poemi di Huy Ben-Amon, declamati nuovamente dopo duemila anni. Era lui, dunque, il vero storico di Opet, il suo L UCCELLO DEL SOLE filosofo. Provavo una curiosa affinità con lui, capivo il suo orgoglio, cui si accompagnava un filo di vanità, ammiravo la sua straordinaria potenza evocativa, mi sentivo prigioniero della ragnatela di vicende storiche che andava intessendomi intorno. Il racconto di Huy Ben-Amon cominciava con Cartagine assediata dalle legioni romane di Scipione Emiliano e raccontava come Asdrubale avesse mandato una veloce nave a chiedere aiuto ad Amilcare, ultimo discendente dei Barca, che si trovava con una grande flotta da guerra cartaginese al largo di Ippona, sulla costa settentrionale dell'Africa; come il generale assediato attendesse i rinforzi e come invece una furiosa tempesta e i venti contrari avessero impedito all'imbarcazione inviata a chiedere soccorso di raggiungere Amilcare. Quando Eldridge fece una pausa, parlai io, per la prima volta nel giro di mezz'ora. « Questo ci offre finalmente una data: la terza guerra punica e la distruzione di Cartagine... Centoquarantasei avanti Cristo. :~ « E scopriremo probabilmente che questa è anche la data di inizio del calendario di Opet :aggiunse Eldridge. « Continui :lo esortò Sally. « Continui, la prego. Alcuni cartaginesi, a bordo di due biremi, riuscirono a sfuggire alla distruzione della città e, sospinti da venti favorevoli, raggiunsero Amilcare Barca sempre fermo al largo di Ippona. Quando gli raccontarono la fine di Cartagine, Amilcare pianse la sua città per venti giorni e venti notti, poi fece chiamare i nove comandanti della flotta: nessuno, però, seppe suggerire un rifugio sicuro contro la furia vendicativa di Roma, finché Habbakuk Lal, il piú esperto ufficiale di rotta, non ricordò il viaggio compiuto da Annone tre secoli prima. Oltrepassate con la sua nave le Colonne d'Ercole, Annone era arrivato a un grande lago dove le stagioni erano invertite, I'oro spuntava come i fiori sulle rocce e gli elefanti vivevano nella pianura in branchi sterminati. Cosí, anche Amilcare Barca portò la sua flotta verso occidente, sulla scia di Annone, veleggiando in un mare sconosciuto. Dopo due anni di navigazione, i cartaginesi entrarono nella foce di un immenso, placido fiume e lo risalirono per sei giorni, trascinando a braccia le loro navi quando il fondale era troppo basso, e alla fine raggiunsero il grande lago del quale aveva parlato Annone. Sbarcarono sulla sponda opposta, sotto alti dirupi rossi, e~lí Amilcare Barca morí di una febbre che aveva contratto al nord. Allora, fu eletto re suo figlio Lannon Amilcare, ancora bambino, e i nove comandanti della flotta diven9o nero i suoi consiglieri. La nuova colonia prese il nome di Opet, in ricordo della leggendaria terra dell'oro, e sulle sponde del lago venne iniziata la costruzione di una città. « Buon Dio, sono le quattro! :Ral spezzò finalmente l'incantesimo che ci aveva avvinti per tanta parte della notte e io mi resi conto di essere stanco morto: esausto di mente e di corpo, ma profondamente soddisfatto. Ormai, avevo tutti gli elementi per provare le mie teorie. La visita a Londra sarebbe stata un trionfo. I FOGLI d'oro misuravano quarantacinque centimetri di larghezza per otto metri e mezzo di lunghezza e pesavano circa sessanta chilogrammi, e il valore intrinseco di ciascuno di essi era di oltre trentaquattromila sterline. In complesso, quindi, i cinque rotoli ritrovati negli archivi valevano centosettantamila sterline: una somma insignificante, tuttavia, a paragone del loro valore effettivo. Il tempo volava, ora. La mia macchina per scrivere ticchettava ininterrottamente dall'alba a mezzogiorno; trascorrevo il resto delle giornate al deposito, ad ascoltare i canti di Huy. Poiché era da escludere che si potesse finire la traduzione per il primo di aprile e non v'era assolutamente modo di rinviare il simposio, mi affrettavo a raccogliere la maggior quantità di materiale possibile. Eravamo tutti affascinati dal racconto di Huy. Si trattava di un'avvincente, irresistibile cavalcata attraverso i secoli. E quante volte notai che la storia recente dell'Africa ricalcava in maniera stupefacente le vicende degli antichi abitanti di Opet! La colonia cominciò subito a prosperare. Gli abitanti di Opet strinsero rapporti commerciali con gli yuye, la popolazione dalla pelle gialla che viveva nella regione, e conclusero un trattato con il loro re. Soddisfatto dell'accordo raggiunto, Habbakuk Lal riprese il mare con cinque delle sue navi piú veloci e aprí una rotta lungo la quale i tesori dell'Africa meridionale potessero affluire sui mercati del mondo conosciuto, ma, sempre timoroso dell'occhio vendicativo di Roma, mascherò i traffici ricorrendo alla mediazione di agenti egiziani operanti nel porto di Cadice. Quell'alleanza segreta sfuggí per secoli alle spie di Roma e di conseguenza alla storia scritta. La colonia ebbe un enorme sviluppo. Poi, scoppiò una guerra con gli yuye, il loro re perí, e gli indigeni furono posti in schiavitú. Era, ed è, la legge dell'Africa: una terra che favorisce i forti, dove soltanto il leone può passeggiare indisturbato. Passarono i secoli. L~uno dopo l~altro, i re si succedettero sul trono. Dalle unioni fra gli abitanti di Opet e gli schiavi yuye nacque una nuova razza che ebbe diritto di cittadinanza, ma il governo della città continuò a rimanere prerogativa dei discendenti delle nove famiglie nobili, un'aristocrazia dalla quale germogliò una casta di sacerdotiguerrieri, figli di Amon. Per~me, Benjamin Kazin, fu particolarmente interessante venire a sapere che il capostipite di quella easta era stato un suddito dell'antichissimo regno di Sidone e di Tiro, al confine con la terra di Canaan: era pertanto probabile che quei sacerdoti avessero avuto sangue ebraico nelle vene. Quelle pagine auree ci diedero perfino, a un certo punto, I'eccitante sensazione del contatto fisico col passato. Huy descriveva minutamente la costruzione delle mura della città e delle torri di Baal, che corrispondevano esattamente alle fondamenta da noi scoperte. Quelle mura, riferiva il nostro storiografo, misuravano circa undici metri di altezza per quattro e mezzo di larghezza: come avevano potuto sparire cosí, dissolversi nel nulla? Dalle descrizioni di Huy, fu possibile riconoscere moltissimi degli animali e degli uccelli che popolavano il regno di Punt e dei Quattro Reami. Il sacro uccello del sole che recava le offerte di carne a Baal era chiaramente, allora come oggi, I'avvoltoio, e ciò valse a spiegarci il significato degli uccelli impressi sui sigilli dei rotoli d'oro. Huy, il sacerdote-guerriero, aveva posto su quegli orci il suo emblema personale. Ma altri animali descritti dal poeta dovevano appartenere a specie ormai estinte, primo fra tutti il gry-leone, dal quale prendeva nome il sovrano regnante. A protezione di quel grosso animale da preda erano state emanate delle leggi poiché esso aveva una parte importantissima nel rituale prescritto per mettere alla prova un nuovo re, cerimonia che Huy chiamava "cattura del gry-leone". Dalla descrizione dell'animale, pensai che doveva trattarsi di un gigantesco felino dai lunghi canini ricurvi. Nell'anno 250 dalla fondazione di Opet, il Paese era al culmine della ricchezza e della potenza. Ma il suo sviluppo era stato eccessivo, i suoi confini si erano estesi tanto, che gli schiavi non erano piú sufficienti per soddisfare il bisogno di manodopera. Ma a quel punto, alla fine del secondo libro d'oro di Huy Ben-Amon, fummo costretti, nostro malgrado, a interrompere la lettura. Eravamo alla fine di marzo e il nostro aereo era pronto per portarci a prendere un volo internazionale a Luanda. Affidato a Ral il compito di sovrintendere ai lavori, Eldridge, Sally e io partimmo per Londra. A LONDRA, Sally e io potemmo goderci una giornata di libertà, prima dell'inizio del simposio, una preziosa giornata tutta per noi, che io, come il solito, cercai di sfruttare al massimo. Rientrammo in albergo, al Dorchester, a mezzanotte passata, ma Sally era ancora emozionata dall'incontro con Londra. « Sono troppo eccitata per dormire, Ben. Che cosa possiamo fare? « Be', su nel mio appartamento c'è una bottiglia di champagne... Mi guardò con una scintilla maliziosa negli occhi. « Ben Kazin, il mio caro, giovane esploratore che non si lascia mai prendere alla sprovvista! Era champagne di marca, chiaro e molto secco. Quando la bottiglia fu a metà, facemmo l'amore per la prima volta in sei mesi. Poi, Sally prese le coppe vuote e andò in salotto. Tornò un attimo dopo con i bicchieri pieni fino all'orlo e si fermò accanto al letto. « Non so perché l'ho fatto mormorò. « Sei pentita? domandai, prendendo la coppa che mi porgeva. « No, Ben. Non mi sono mai pentita di quanto c'è stato fra di noi. Soltanto vorrei... :Ma, invece di finire la frase, sorseggiò il suo champagne e sedette accanto a me, sul letto. « Sai che ti amo mormorai. « E che ti amerò sempre. » « Nonostante tutto? « Nonostante tutto. « Ti credo, Ben. :Annuí, fissandomi con un'espressione che non riuscii a decifrare. « Ma devi avere pazienza, ti prego. « Sally... :cominciai, ma lei mi tappò la bocca con un bacio. IL MATTINO dopo, alle nove, accompagnai Sally a prendere un tassí che l'avrebbe portata da un famoso parrucchiere in Bond Street. Ero un po' preoccupato all'idea di ciò che avrebbero combinato a quei suoi bei capelli scuri e lucenti come la seta, ma dovevo restare in albergo ad aspettare gli Sturvesant. Quando arrivarono, scesi a incontrarli nell'atrio. Hilary era avvolta in una morbida pelliccia di visone e, accanto a lei torreggiava Louren, con i capelli schiariti dal sole e il viso dalla spiendida abbronzatura color mogano. « Ben, vecchio socio! :esclamò afferrandomi per le spalle. « Grazie al Cielo, sei qui. Vuoi occuparti tu di Hil, per favore? Io devo sbrigare UD paio di cosette; poi ci ritroviamo qui. :~ In ascensore osservai soddisfatto il viso raggiante di Hilary. Aveva quella luminosa espressione di felicità che nemmeno il trucco riesce a offuscare. « Siamo stati per dieci giorni alle isole Seychelles, Ben. Una vacanza meravigliosa. » Sembrò perdersi nel ricordo. « L'anniversario del nostro matrimonio... Guarda! :Tese la mano sinistra per farmi vedere uno splendido solitario che doveva pesare non meno di venticinque carati. « ibellissimo, Hilary. :Ma, senza ammetterne con me stesso il motivO, pensai: "Piú grave il peccato, piú grande il regalo". L UCCELLO DEL SOLE Appena entrammo nel lussuoso appartamento prenotato da Louren, Hilary rimase senza fiato davanti a quella sovrabbondanza barocca. « Non può essere vero, Ben! « Non ridere I'ammonii. « Ti costa un bel po' di soldini. Si abbandonò in una delle enormi poltrone. « Dammi qualcosa da bere, Ben, amore mio. Ne ho proprio bisogno. Mentre le riempivo il bicchiere, feci una domanda superflua. « Allora i tuoi problemi erano di carattere passeggero, Hil? « Non ricordo nemmeno piú di averli avuti. Non è mai stato cosí caro con me come in questo periodo. Quando Louren tornò, capii ciò che sua moglie aveva voluto dire. Era di ottimo umore facile al riso, pieno di energia. « Allora, Ben, fammi vedere. :Non appena gli ebbi versato una buona dose di whisky, ci immergemmo nella lettura della traduzione fatta da Hamilton. Louren lesse la prima riga della prima pagina. «"Va' nella mia bottega, prendi cinquecento dita dell'oro piú fino"... Ripeté la frase, poi mi guardò. « Questa è proprio degna del vecchio Hamilton, Ben.La mia bottega..." Quel somaro deve avere sbagliato a tradurre: il vocabolo esatto deve essere "sotterranei del tesoro". « Tutt'a un tratto sei diventato esperto di lingua punica, Lo. :~ « Ma, in nome del Cielo, Ben... quando mai qualcuno ha mandato a prendere dell'oro nella sua "bottega"? Tacque e sorseggiò il whisky. « Ammettiamo che la nostra città sia stata travolta da una catastrofe improvvisa. Però gli archivi sono rimasti intatti. Non ti sembra probabile che sia rimasto intatto anche il tesoro? Dobbiamo semplicemente trovarlo. :~ « Grandioso! :Feci una risatina sarcastica. « Sto cercandolo da sei mesi! :~ Louren non rise. « Dev'essere nella zona della caverna :osservò, serio. « Andiamo, Lo! L'ho ripassata centimetro per centimetro una cinquantina di volte. :~ « Alla centesima, ti renderai conto di essere stato cieco. « E va bene. Continuerò a cercare, purché tu continui a pagare. Ci separammO a metà pomeriggio. Louren fu trascinato da una ondata di B.G.F. fino a una Rolls-Royce nera in attesa davanti all'albergo, e io sgattaiolai da un'uscita secondaria per chiamare un tassí. Eldridge, venuto in automobile da Oxford, stava aspettandomi davanti alla sede della Reale Società Geografica. Passammo il pomeriggio con i membri del consiglio, per stabilire le modalità del simposio che si sarebbe aperto il giorno seguente, alle due e mezzo, dopo un pranzo ufficiale al nostro albergo. « Sua Grazia farà la prolusione d'apertura spiegò uno dei consiglieri. « Lo abbiamo pregato di limitarsi a quarantacinque minuti e di astenersi da qualsiasi riferimento alla coltivazione delle orchidee o alle corse ippiche... Poi, io avrei letto la mia relazione, che in un certo senso sarebbe stata il seguito di quella che avevo presentato sei anni prima: Prove dell'inl1~uenza dei popoli mediterranei nell'Africa meridionale dell'epoca precristiana, il famoso studio che aveva fatto divertire tanto Snell e la sua congrega. Mi furono riservate quattro ore, mentre Eldridge avrebbe avuto a disposizione la mattinata del giorno seguente per leggere la sua relazione. Aveva scelto di proposito un titolo un po' vago, Antichi scritti e simboli di origine africana sud-occidentale, per non scoprire le mie carte. Conclusa la riunione, Eldridge mi fece venire le convulsioni attraversando tutta Londra nell'ora di punta con la sua Mini per riaccompagnarmi in albergo. Ci toccò fare due volte il giro di Hyde Park Corner, con Eldridge che imprecava mentre io mi tenevo attaccato alla maniglia della portiera, pronto a gettarmi fuori, prima di riuscire a imboccare finalmente Park Lane. Lo portai al bar, gli feci ingollare un paio di gin doppi e lo piantai in asso. Avevo i miei piani per la serata ed erano già le sei passate... Mentre mi avvicinavo all'ascensore, Sally ne uscí. Mi scusai mentalmente con il parrucchiere: le aveva lasciato i capelli lisci, ma soffici e ariosi. Il lungo abito verde, che Sally indossava, si intonava perfettamente con il colore dei suoi occhi. « Ben! Mi venne incontro a passi rapidi. « Ti ho lasciato un biglietto, su in camera. Per questa sera. Ho proprio paura che non riuscirò a farcela. « Non ti preoccupare, Sal :ribattei, nascondendo la delusione. « Mi dispiace, Ben, ma sono arrivati da Brighton dei miei vecchi amici. :~ Salii nell'appartamento di Louren e mi misi a ciondolare per il salotto, aspettandolo, e chiacchierando con Hilary. Alle sette e mezzo, Louren telefonò e Hilary, dopo aver parlato con lui, me lo passò, « Speravo che si potesse cenare insieme, Ben, ma sono inchiodato qui non so fino a quando. Devo stendere da capo tutto un contratto. Perché non porti fuori Hilary? Ma lei disse di essere molto stanca e di voler andare a letto presto. Cosí, cenai da solo e trascorsi la serata facendo progetti per il giorno dopo. Louren mi svegliò alle otto, urlandomi al telefono: « Oggi è il gran giorno, Ben! Vieni a fare colazione da noi. L UCCELLO DEL SOLE Rinvigorito da una pantagruelica colazione a base di bistecche, pancetta, uova e rognone, trascorsi la mattinata sull'onda di una svagata eccitazione. Quando scendemmo incontro ai nostri ospiti, mi sentivo un leone. Louren e io entrammo insieme nella saletta riservata e il brusio delle conversazioni si spense. Una voce sola continuò a blaterare indisturbata. Torreggiante in mezzo al suo gruppo, Wilfred Snell sembrava uno scadente monumento di sé stesso. Il suo viso bianco e molliccio faceva pensare a un sacco di plastica pieno di latte rancido. Mi avvicinai a lui facendo dei giri viziosi, fermandomi a salutare gli amici e a scambiare qualche parola con i colleghi. Snell mi vide, ma continuò a ignorarmi. Anche quando il gruppo che l'attorniava si aprí, consentendomi di accedere alla sua augusta presenza, il suo sguardo continuò a fissare un punto imprecisato parecchie decine di centimetri sopra la mia testa. Aspettai pazientemente, ostentando il sorriso cui ricorro in simili circostanze, timido e impacciato. Finalmente, Snell abbassò gli occhi, s'interruppe a metà di una frase, e, con immenso diletto e stupore, si accorse del suo vecchio amico e collega Benjamin Kazin. « Benjamin, carissimo! Che piacere rivederti! Poi, commise un'imprudenza. Tese la mano e io l'ebbi in mio potere. « Wilfred... caro, carissimo amico! Siamo felici che tu sia potuto venire. » Le mie dita affondarono per tre o quattro centimetri, finché arrivai a sentire l'osso. Wilfred diede inizio a una sorta di tarantella, saltellando da un piede all'altro. « Dobbiamo proprio trovare il tempo per una chiacchieratina a quattr'occhi proseguii. Poi, improvvisamente disgustato dalla mia brutalità, lo lasciai andare. « Vieni ripresi con gentilezza. Permettimi di offrirti un altro aperitivo. :~ Ma Wilfred non era certo il tipo da perdersi d'animo. A un certo punto, durante il pranzo, notai che leggeva ad alta voce un passo del mio Ofir, con grande spasso dei suoi accoliti. Sospirai di sollievo, quando finalmente Louren diede un'occhiata all'orologio e fece un cenno al B.G.F. incaricato del protocollo. Il giovanotto balzò immediatamente in piedi e condusse fuori il gregge dei nostri ospiti, accompagnandoli fino a una lunga teoria di auto- mobili. Alcuni valletti in livrea montavano la guardia all'ingresso della Reale Società Geografica. Saliti nel salone delle assemblee, io raggiunsi i membri del consiglio sul palco, mentre la sala andava affollandosi fino all'inverosimile. Wilfred prese posto al centro della prima fila, affiancato dai suoi tirapiedi. Infine, fecero entrare Sua Grazia, fragrante di sigaro e di buon Porto, lo puntarono come un obice verso l'uditorio, e lo mollarono. In quarantacinque minuti, ci raccontò tutto sulle orchidee e sulla stagione ippica. Il presidente cominciò a tirarlo con garbo per un lembo della giacca, ma passarono altri venti minuti prima che potessi cominciare la mia relazione. « Sei anni or sono, ebbi già l'onore di presentarmi a questa Società, parlando sullo stesso argomento del quale parlerò oggi. Ma ora mi presento a voi armato di nuove prove... Ogni due minuti, Snell si girava sulla sedia e susurrava rumorosamente qualcosa al suo vicino. Ignorando la villania, proseguii imperterrito nella mia introduzione, un riassunto di tutte le prove già note, parlando senza alcuna enfasi per lasciar credere a Snell e soci di non avere niente di sostanzialmente nuovo da esporre per confortare le mie teorie. « ... Poi, nel marzo dell'anno scorso, il signor Louren Sturvesant mi mostrò una fotografia... » A quel punto, la voce cominciò a vibrarmi. Tutt'a un tratto, stavo raccontando loro un romanzo giallo. Snell rallentò il ritmo dei suoi cicalecci, mentre gli altri mi ascoltavano con il fiato sospeso. Al momento opportuno, le luci si spensero, e, sullo schermo alle mie spalleapparve la prima fotografia. Era quella del Re bianco. L'uditorio ascoltava muto e incantato, mentre altre immagini si susseguivano sullo schermo. Arrivai fino ai giorni che avevano preceduto la scoperta della galleria dietro il Re bianco, poi teci segno che riaccendessero le luci. Gli ascoltatori tornarono con un mormorio alla realtà del presente... tutti, meno Sua Grazia, che il Porto aveva sopraffatto senza possibilità di scampo. Dei duecen~o presend in sala, era il solo che fosse rimasto indifferente alle mie parole. Persino Snell sembrava scosso, ma dovetti ammirarlo mio malgrado: sapeva battersi fino alla fine. Si raddrizzò sulla sedia. « Tipica opera bantu su pietra del tredicesimo secolo avanti Cristo » disse al suo vicino in un udibilissimo susurro. « Tutto ciò non costituisce affatto una prova. » Mi rivolsi direttamente a lui. « Come ha appena fatto rilevare il professor Snell, niente di tutto questo costituiva una prova definitiva. Perciò, indagai piú a fondo... Poi, come il mio omonimo Huy, Uccello del Sole, difensore di tutti gli dèi, mi lanciai all'attacco, demolendo sistematicamente il mio avversarjO con la descrizione dei rotoli di cuoio, della bipenne con gli avvoltoi e dei cinque libri d'oro. Mentre parlavo, un valletto in livrea portò in sala un carrello ricoperto da un drappo di velluto verde. Al mio segnale, il valletto sollevò il panno, scoprendo la grande bipenne splendente e uno dei rotoli. Allora, lessi una frase dell'introduzione al primo libro d'oro di Huy: « ..."Che gli uomini leggano le sue parole e si rallegrino come io mi sono rallegrato, che gli uomini ascoltino i suoi canti e piangano come io ho pianto"... Infine, giunsi alla conclusione. « Il tempo a mia disposizione è terminato, ma la storia non è finita. Domani mattina, il professor Hamilton leggerà la sua relazione sui manoscritti. Vostra Grazia, signor presidente, signore e signori, grazie. » L'uditorio rimase in assoluto silenzio. Nessuno si mosse o aprí bocca per dieci secondi buoni. Poi, balzarono tutti in piedi, applaudendo fragorosamente. Era la prima volta, dalla fondazione della Società, che una relazione scientifica veniva acclamata come se si trattasse di uno spettacolo teatrale. Tutti i presenti lasciarono il proprio posto affollandosi intorno a me per stringermi la mano. Dall'alto del palco, vidi Snell avviarsi tutto solo verso la porta e, a un tratto, mi dispiacque per lui. Da nemico implacabile quale era stato fino a poco prima, era diventato soltanto una figura un po' ridicola. Avrei voluto richiamarlo, ma non avevamo piú niente da dirci. La mattina seguente, tutti i giornali parlavano dell'avvenimento. Louren aveva mandato a comprare tutti i quotidiani e, mentre sedevamo davanti a un'altra abbondante colazione, ci sprofondammo nella lettura. Cominciavo a sentirmi commosso per il fatto che Louren si mostrasse tanto orgoglioso del mio successo; ma, a un tratto, lui alzò gli occhi da un quotidiano scandalistico di sinistra, col viso stravolto dalla rabbia. « Che c'è, Lo? « Guarda qui! Quasi mi gettò addosso il giornale. <Leggilo da te, mentre termino di vestirmi. E se ne andò in camera da letto, sbattendo la porta. Trovai subito ciò che cercavo: una pagina intera di fotografie. Negri con mitra e carri armati. Colonne di negri in marcia. E, al centro, la fotografia di un uomo alto, dalle spalle larghe, con la testa calva e tonda come una palla di cannone, luccicante sotto il sole africano. La didascalia, a grandi lettere, spiegava: LA CROCIATA NERA. IL MAGGIOR GENERALE TIMOTHY MAGEBA, NUOVO COMANDANTE IN CAPO DELL'ESERCITO POPOLARE DI LIBERAZIONE. Provai un brivido di paura di fronte all'odio implacabile che traspariva da quel volto nero, di fronte alla forza risoluta di quelle spalle. Per qualche inesplicabile motivo, quell'uomo sminuiva il mio trionfo. Ciò che era accaduto duemila anni prima sembrava molto meno importante quando guardavo lui. Poi, riflettei che l'Africa aveva nuL UCCELLO DEL SOLE trito molti di quei rivoluzionari di colore. Timothy Mageba era soltanto l'ultimo di una lunga serie. Louren uscí dalla camera seguito da Hilary, che mi diede un bacio, congratulandosi ancora con me. Lasciai cadere il giornale, senza tuttavia poter cancellare dalla mente quelle immagini. « Mi dispiace, ma non posso venire ad ascoltare Eldridge stamattina, Ben disse Louren mentre scendevamo in ascensore. « Non sono riuscito a liberarmi da un impegno. Offri a Hil un pranzo coi fiocchi, d'accordo? » Eldridge, nel suo abito di tweed con toppe di cuoio sui gomiti, non sottrasse nulla alla mia gloria. Continuò a borbottare di "significati" e di "simboli", accompagnandosi di tanto in tanto con una di quelle sue risatine-nitrito che servivano almeno a svegliare l'uditorio. Dopo due ore e mezzo di quella solfa, Sally, che sedeva dietro di me, mi passò un bigliettino. "Non ne posso piú. Vado a fare spese." Le sorrisi, mentre sgattaiolava fuori. Dopo un'altra ora, Eldridge arrivò finalmente al termine del suo discorso, e guardò raggiante la sala quasi vuota. « Bene concluse « penso che questo spieghi tutto. A quelle parole, fece eco un frettoloso scalpiccio in direzionc dell'uscita. Eldridge, Hilary e io stavamo recandoci in tassí alla trattoria "Terrazza", quando Hilary gettò un grido: « Il mio anello! » Guardai il dito nudo. « Quando te lo sei messo l'ultima volta? Rifletté un attimo poi un'espressione di sollievo le illuminò il viso preoccupato. « Oh, adesso ricordo! Stavo dandomi lo smalto alle unghie, in salotto. L'ho messo nella scatola per le sigarette vicino alla sedia imbottita. « Eldridge, ti dispiace accompagnare Hilary al ristorante? Io prendo un altro tassí e faccio un salto in albergo. Lei frugò nella borsa e mi porse una chiave. « Sei un tesoro, Ben. Mi rincresce darti tanto fastidio! Dieci minuti piú tardi, aprivo la porta dell'appartamento con la chiave di Hilary e mi affrettavo lungo il corridoio verso il salotto, passando davanti alle stanze da letto. Con un borbottio di sollievo, ricuperai l'anello, lo legai a un angolo del fazzoletto e tornai in corridoio per andarmene. Di là dall'uscio della camera matrimoniale udii una voce femminile resa roca dall'emozione. E una voce maschile che le faceva eco. Mi fermai di colpo, pietrificato da quei bisbigli che mutavano d'intensità s~intrecciavano e si spegnevano insieme nell'impeto travolgente della passione. Mi riscossi, raggiunsi la porta come un sonnambulo e me la richiusi silenziosamente alle spalle. Come un automa, fui presente a un pranzo che non ricordo di avere consumato, attorniato da conversazioni che non ricordo di avere ascoltato. Non riuscivo a udire altro che quelle voci nella camera d'albergo: le voci di Sally e di Louren. Tornammo alla Reale Società Geografica; benché sedessi in prima fila, ricordo soltanto vagamente le relazioni conclusive e gli ultimi atti del cerimoniale. Me ne stavo seduto lí, fissando una crepa nel lucido pavimento di legno, mentre la mia mente tornava ostinatamente alla città della Luna, come un cane in caccia della preda. Ripensavo alla notte in cui Louren era rientrato nella tenda quando già l'alba rischiarava il cielo. Ripensavo alla mia visita alla caverna quando Louren mi aveva accecato eon il raggio della sua lampada e mi aveva mandato via. Ripensavo agli amici di Brighton venuti a trovare Sally, alle sue feroci frecciate a Hilary, ai suoi malumori, ai suoi silenzi... E mi meravigliavo della mia cecità. Udii il mio nome e, con uno sforzo di volontà, mi riscossi. Il presidente della Reale Società Geografica stava parlando e mi guardava con aria compiaciuta. « ... nominato membro a vita della Reale Società... :~ Intomo a me, tutti allungavano il collo, mi sorridevano... visi amichevoli, gentili. Poi, mani cortesi, ma insistenti, mi sospinsero verso il palco. « Discorso! Discorso! » Tutti ridevano, applaudivano. Ero lí davanti a loro e mi sentivo confuso, istupidito, la sala mi pareva avvolta nella nebbia. « Vostra Grazia balbettai, « sono onorato... » Non trovavo le parole, mi guardavo intorno disperatamente, cercando l'ispirazione. Sally Benator era ritta vicino all'ingresso laterale. Non sapevo da quanto tempo fosse lí. Mi sorrideva, i denti bianchissimi che risaltavano nel viso abbronzato, le guance colorite, gli occhi scintillanti. La guardai fisso. « Sono grato... » mormorai. Lei accennò di sí col capo, con un sorriso incoraggiante... e il cuore mi si spezzò. Fu proprio una sensazione fisica, un dolore strano, cosí intenso, da mozzarmi il respiro. Avevo perduto il mio solo amore e tutte quelle acclamazioni erano ormai prive di significato per me. Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi. Scesi a precipizio dal palco e fuggii, incespicando; non volevo che gli altri mi vedessero piangere. Gli applausi esplosero di nuovo e alcune voci giunsero fino a me. « Poveretto, è addirittura sconvolto! » « Una cosa commovente... Corsi in strada, come un animale ferito che cerca la solitudine per guarire. La pioggia fu un balsamo per i miei occhi arrossati. 100 ALLA città della Luna, trovai la solitudine che cercavo e un po' di sollievo al mio dolore. Eldridge era impegnato per un mese, in un giro di conferenze in Inghilterra, e Sally era scomparsa. Non avevo L UCCELLO DEL SOLE piú parlato con lei da quella sera, ma Louren mi aveva detto che si era presa due settimane di vacanza per fare un viaggio in Italia e nelle isole greche. Ne ebbi conferma da una lettera spedita per posta da Padova: Sally si congratulava ancora con me e si rammaricava di non aver potuto vedermi prima della mia partenza da Londra. Come era logico, del resto, visto che avevo preso il primo aereo per l'Africa. Sarebbe tornata alla città della Luna, concludeva, per la fine del mese. Quella lettera mi parve un messaggio dalla tomba. La bruciai. Louren venne a trovarci, ma si fermò soltanto per un giorno. Avvertí la frattura che esisteva ormai fra noi due, ne fu turbato e fece di tutto per eliminarla, ma io non ero in condizioni di assecondarlo. Eppure, non provavo alcun odio per lui. Quanto a Ral e ai Willcox, non si intromettevano nel mondo privato nel quale mi ero chiuso. Era il mondo di Huy Ben-Amon, guerriero e poeta. Ho sempre avuto una straordinaria predisposizione per le lingue, che imparo senza sforzo, e avevo seguito tutti i particolari della traduzione di Eldridge; cosí, mi ero messo d'impegno per imparare il punico, procurandomi la chiave per accedere ai rotoli d'oro. Il terzo libro, affascinante quanto i primi due, era la continuazione della storia di Opet fino alla morte del poeta, ma quelli che esercitarono su di me una sorta di magico incanto furono gli ultimi due, dov'erano raccolti i poemi e i canti di Huy. Il sacerdote-guerriero aveva dedicato un'ode all'ala lucente dell'Uccello del Sole: la bipenne. Raccontava com'era stata forgiata e modellata e, quando lessi dei quattro avvoltoi e dei quattro soli raffigurati su di essa, guardai stupito la bipenne appesa sopra la scrivania, convincendomi che proprio quella doveva essere l'arma descritta nel poema. Insieme con Huy, udivo la lama splendente sibilare nell'aria, udivo il rumore secco del ferro contro l'osso, vedevo con raccapriccio l'ascia insanguinata ritirarsi dalla carne viva. Poi, il tono mutava e Huy diventava il sacerdote che viveva in comunione con i suoi dèi, certo della loro presenza, custode dei loro misteri. Huy inginocchiato in silente, solitaria preghiera. Huy che alzava le braccia al cielo invocando Baal. Poi, eccolo di nuovo nelle vesti del compagno chiassoso, che brindava con un boccale di vino che rideva nel riflesso del fuoco. In una delle poesie piú sentite, diventava l'amico sincero, descriveva la gioia della compagnia di un altro uomo, il sapore del piacere condiviso, i pericoli affrontati e 101 superati insieme. E finiva con le parole: " Lannon Hycanus, tu sei piú che il re di Opet, tu sei il mio amico". Mentre leggevo quella frase, sentii che godere dell'amicizia di Huy significava possedere qualcosa di immenso valore. Poi, il tono del poeta mutava ancora ed egli era l'amante, stupefatto dalla bellezza della sua donna, Tanith, i cui occhi splendenti erano verdi come le acque profonde del laghetto nel tempio di Astarte. Improvvisamente, Tanith era morta e Huy piangeva il proprio dolore straziante. E il suo lamento era il mio, la sua voce era la mia, le sue angosce e i suoi trionfi diventavano i miei. Pareva che io fossi Huy e Huy fosse me. Bruscamente, la realtà mandò in frantumi il mio magico mondo incantato. Louren e Sally arrivarono con lo stesso aereo alla città della Luna. Cercai di nascondermi, trascorrendo l'intera giornata negli archivi per evitare di trovarmi a faccia a faccia con loro. Ma restavano sernpre i terribili pasti serali, durante i quali mi sforzavo di stare al gioco, di non notare il loro atteggiamento di intimità. Due volte, Louren venne a cercarmi. « Tu hai qualcosa, Ben. « No, Louren, no, te lo giuro. Ti sbagli. Mi rifugiavo nella tranquilla compagnia di Ral, nel consueto lavoro di catalogare, fotografare e imballare gli orci. Oltre a ciò, avevo trovato un'altra distrazione. Quando avevamo aperto la caverna, rimasta sigillata per duemila anni, non v'era in essa alcuna forma di vita, ma, piano piano, I'equilibrio naturale andava ristabilendosi. Dapprima i moscerini, poi le formiche, i ragni, le falene e, infine, i gechi - piccoli rettili - tornarono a popolare gli archivi. Mi divertivo a fotografare le fasi di quella nuova colonizzazione e fu proprio durante una di quelle osservazioni che feci un'im- portantissima scoperta. Ero solo negli archivi, quando un geco attraversò come una saetta il pavimento di pietra. Nel punto in cui avevamo trovato la grande bipenne, indugiava una falena bianca. Preparai in fretta la macchina fotografica e restai in attesa, mentre il geco si avvicinava alla preda con una serie di brevi corse fulminee. All'assalto finale, feci scattare il flash. Il geco si immobilizzò, con la falena fra le mandibole. Poi, partí come un razzo verso l'angolo fra il muro e il pavimento, SOtto l'immagine del sole, e scomparve. Perplesso, mi awicirlai al punto in cui l'avevo visto un attimo prima e scoprii una sottilissima fessura, piena di polvere, fra la parete e il pavimento. Il cuore cominciò a martellarmi in petto: le mani mi tremavano, mentre cercavo un temperino. L'infilai nella fessura, e la lama scivolò dentro per tutta la sua L UCCELLO DEL SOLE lunghezza. Seguii freneticamente la spaccatura lungo tutto il pavimento, fino al punto in cui, con un brusco angolo a novanta gradi, risaliva lungo la parete. Ma lí, i due blocchi erano perfettamente uniti a incastro, in modo da rendere quasi invisibile la fessura. Balzai in piedi, sentendomi di nuovo vivo, per la prima volta da quando ero tornato da Londra. Corsi alla baracca degli agenti di guardia, posta all'ingresso della galleria. « Vada a chiamare il signor Sturvesant ordinai a una delle guardie. « Gli dica di venire immediatamente qui. :~ ERO in ginocchio sotto l'immagine del sole, quando arrivò Louren. « Vieni qui, Lo. Voglio mostrarti una cosa. « Ehi, Ben! la prima volta che ti vedo sorridere dopo tante settimane. Cominciavo a preoccuparmi seriamente. Mi diede una pacca sulla spalla, ridendo. Ma, dopo dieci minuti, non rideva piú. Aveva il volto teso e contratto. Guardava fisso la parete come se ascoltasse una voce che io non potevo udire. Poi, si avvicinò lentamente all'immagine del sole, posò una mano al centro del disco e allargò le dita premendo. Per qualche istante non accadde nulla. Poi, a un tratto e senza il minimo rumore, I'intera parete prese a ruotare su un'asse centrale. Dietro, si apriva un altro passaggio immerso nell'oscurità. « Come ti è venuto in mente, Lo? :domandai in un susurro Con voce incerta, mi rispose « Lo sapevo, ecco tutto. Restammo entrambi silenziosi, fissando l'apertura. « Portami una lampada, Ben. » Andai a prendere una lampada portatile, e lui me la strappò dalle mani. Davanti a noi, una rampa di gradini di pietra in discesa si perdeva nel buio. Louren accennò a due grandi oggetti circolari che giacevano sui primi scalini. « Che cosa sono? » « Scudi risposi. « Scudi di guerra. « Qualcuno deve averli lasciati cadere di furia. Li scavalcammo e cominciammo a scendere « Non c'è un filo di polvere, qui » osservò Louren. « No, infatti. La porta era accuratamente sigillata. » Le nostre stesse parole avrebbero dovuto mettermi in guardia, ma avevo la mente ottenebrata da quella meravigliosa scoperta. In fondo alla rampa di gradini, si apriva una biforcazione a T. Sulla destra, un corridoio portava a un cancello sprangato con catenacci; sulla sinistra, si intravedeva una scala a chiocciola. « Vediamo prima che cosa c'è oltre il cancello :suggerii con voce strozzata dall'emozione. I catenacci erano aperti, ma il cancello era bloccato da un filo d'oro legato attorno ai battenti e chiuso da un grande sigillo di argilla, sul quale erano incise grossolanamente la figura di un animale e le parole: "Lannon Hycanus, Gry-Leone di Opet, re di Punt e dei Quattro Reami". « Dammi il temperino » disse Louren. « Lo, non possiamo... » « Dammi il temperino, maledizione! » La voce gli tremava. « Lo sai che cosa è questo? il tesoro... sono i sotterranei dell'oro di Opet! » « Non farlo, Lo » protestai, ma lui afferrò il sigillo con entrambe le mani e lo strappò via. Poi si gettò con tutto il peso del corpo contro le sbarre e il cancello si spalancò. Entrammo di corsa. Davanti a noi, giaceva intatto il tesoro di Opet, in tutta la sua favolosa ricchezza. Restammo a guardare attoniti e silenziosi, in preda a una sorta di timore reverenziale. Lungo una parete, era ammassata una quantità enorme di avorio, ormai disfatto e friabile come gesso, ma che tuttavia, duemila anni prima, doveva aver costituito un tesoro di immenso valore. Contro la parete opposta, erano ammassate tonnellate di rame, argento piombo e antimonite. Poco distante, c'era un gruppo di cofani di ebano dal coperchio intarsiato di avorio e di madreperla. « Lonon farlo, ti prego » supplicai ancora, mentre lui li apriva con impazicnza uno dopo l'altro. Erano colmi di pietre preziose e di gioielli un po' rozzi: collari, spille, anelli, collane, insieme con rc)toli di lino e di seta, che al primo tocco si disfacevano in polvere. « L'oro... mormorò Louren. « Dov'è l'oro? » Si precipitò a esplorare il resto del sotterraneo, poi si fermò di botto. In una grande nicchia chiusa da un altro cancello, c'era l'oro: le famose "dita" del prezioso metallo, accatastate in mucchi bene ordinati. Avremmo scoperto in seguito che il suo valore ammontava a oltre sessanta milioni di sterline. Accanto all'oro, v'erano due piccoli forzieri di legno colmi di diamanti, ventiseimila carati di diamanti d'ogni forma e valore, che aggiungevano altri due milioni al valore totale. Nessun tesoro antico poteva essere nemmeno paragonato a quella favolosa profusione di ricchezze. « Non deve trapelare una parola di questa nostra scoperta, Ben. Ti rendi conto di quello che potrebbe accadere? " Louren mi fissava soppesando in ciascuna mano un dito d'oro. « Ce n'è quanto basta per uccidere... persino per scatenare una guerra. » « Ma come vuoi che riesca a farcela da solo, Lo? Ho bisogno di aiuto. Ci vorranno settimane. Ral o Sally potrebbero...> r L UCCELLO DEL SOLE « No! » mi guardò inferocito. « Nessuno deve entrare qui dentro, tranne noi due. Darò disposizioni in questo senso alle guardie. Ti aiuterò io. » Esplorammo il sotterraneo fino alle sei di sera. « Vediamo dove porta l'altro braccio della galleria » suggerii. « No. » Louren mi fermò. « Non dobbiamo trattenerci qui oltre l'orario normale. Gli altri non devono nemmeno sospettare che abbiamo trovato qualcosa A cena, Louren spiegò che piú nessuno avrebbe avuto il permesso di andare negli archivi, perché lui e io stavamo tentando un esperimento. Fu una serata difficile. Sopraffatto dalle emozioni della giornata, mi scoprivo a ridere troppo forte, a bere senza ritegno. E il tormento della gelosia era piú acuto che mai. Ma, nonostante tutto, non riuscivo a odiarli: li amavo tutti e due, e, proprio per quel motiVO, la situazione era ancora piú dura da sopportare. Non avrei potuto dormire quella notte, perciò andai in cerca di qualche distrazione. Cercai di calmarmi come meglio potei e mi recai al deposito. Il guardiano notturno mi salutò con voce assonnata. Andai alla cassaforte e presi il quarto libro d'oro di Huy, ma, prima di immergermi nella lettura, mi misi accanto la bottiglia del whisky. I miei balsami preferiti: il whisky e le parole. Aplii il rotolo a caso e rilessi l'ode di Huy alla sua bipenne, alI ala splendente dell'Uccello del Sole. Come mai un oggetto cosí am.lto era stato abbandonatG con tanta noncuranza? Che ne era stato di Huy il guerriero, e del suo re, e della città di Opet? Continuai a leggere, scegliendo i passi che ancora non conoscevo. Il livello del whisky nella bottiglia scendeva lentamente... Poi, proprio mentre il nuovo giorno stava nascendo, mi imbattei in un toccante brano che scaturiva dal profondo dell'anima di Huy e che fece vibrare in me la corda di una nuova affinità. "Come nella terra vile giace nascosto l'oro" gemeva Huy, "cosí nella mia creta deforme si celano immensi tesori." L essi e rilessi il passo una mezza dozzina di volte, controllando la mia traduzione. Alla fine, dovetti convincermi che Huy Ben-Amon era come me: deforme. RIMIS1 a posto il libro d'oro e tornai lentamente verso la mia baracca Proprio in quel momento, Sally uscí dall'alloggio di Louren e avanzò verso di me. Nella primissima luce del giorno, la vestaglia chiara la faceva sembrare un'apparizione. Rimasi immobile dov'ero nascosto nell'ombra, sperando che non mi vedesse, ma dopo un attimo la udii trasalire dallo spavento. « Non temere, Sally. Sono soltanto io. « Ben? » Ci guardammo senza parlare. « Da quanto... « Da un bel po' » risposi. « Ma non ero qui per spiarti. » « Ti credo. » La sua voce era triste. « Ben, voglio spiegarti... » « Non devi spiegarmi niente. Non importa. :~ « Sí che importa. Non voglio che tu pensi... be', che io sia una donnaccia. Non ho potuto resistere, davvero. » Singhiozzava sommessamente. « Lo so » mormorai, e la accompagnai affettuosamente fin nella camera del suo alloggio. « Oh Ben ho tentato in tutti i modi, credimi... ma è stato piú forte di me. Mi ha come stregata, fino dal primo momento in cui l'ho visto Non volevo ferirti... Oh Ben, che cosa posso fare? « Louren che intenzioni ha, te l'ha detto? Pensa di lasciare Hilary per sposare te? » « No! No.., Per lui sono soltanto un'avventuretta qualsiasi. » Non feci commenti. Mi limitai a guardare in silenzio il suo bel viso angosciato, contento che finalmente avesse capito che Louren era il cacciatore e lei la selvaggina. V'erano già state tante Sally nella vita di Louren e ve ne sarebbero state altre ancora. « Se posso fare qualcosa per te, Sally dissi, avviandomi verso la porta, « dimmelo, ti prego. :~ « Ben:esclamò trattenendomi. « Ben, potrai amarmi ancora? Annuii senza esitare. « Certo. Ti amo e ti amerò sempre. » « Grazie. :Le sfuggí un lieve sospiro. « Credo che non avrei potuto sopportarlo, se tu mi avessi abbandonata. :~ « Questo non accadrà mai, Sal dichiarai, e uscii nella luce delI'alba. LOUREN e io scendemmo i gradini dietro l'immagine del sole. Mentre lui guardava avidamente i mucchi d'oro, io osservavo il suo viso sforzandomi di nutrire una scintilla d'odio per lui. Ma, quando si voltò verso di me sorridendo, non potei fare a meno di ricambiare il suo sorriso. « Diamo un'occhiata al resto, ora :disse Lo. Raggiungemmo il braccio sinistro della biforcazione, scendemmo la scala a chiocciola e ci inoltrammo per un breve corridoio delimitato da un lastrone di pietra, sul quale era incisa un'iscrizione che tradussi ad alta voce. «"Tu che vieni a turbare il sonno dei re di Opet, sappi che lo fai a tuo rischio e pericolo. Che la maledizione di Astarte e di Baal ti perseguiti fino alla morte!" Louren annuí con espressione grave, e si avvicinò al lastrone di r, f . pietra, cercando la molla che avrebbe fatto scattare il meccanismo di apertura. Ancora una volta il punto chiave era il simbolo del dio Sole, Baal. La porta si spaiancò girando su sé stessa e noi entrammo nella tomba dei re di Opet. Il silenzio nella piccola cripta dal soffitto a volta era opprimente; nell'aria ristagnava un pesante odore di muffa. I sarcofaghi dei re erano allineati lungo le pareti; ventitré bare di granito, sulle quali erano incisi i magici nomi che echeggiavano nei libri d'oro di Huy. L'ultima era vuota, con il coperchio appoggiato alla parete. Sul pavimento, ai piedi del sarcofago, giaceva supino un uomo. Non portava elmo e il viso dai lineamenti raggrinziti era incorniciato dalla morbida aureola della barba e dei capelli rosso-dorati. La piastra anteriore della corazza era stata rimossa e una freccia spezzata gli sporgeva dal lato sinistro del petto. Indossava ancora un gonnellino di cuoio ornato di borchie di bronzo e le gambe erano protette da gambali di bronzo. Le braccia tese lungo i fianchi e i talloni uniti stavano a testimoniare che il corpo era stato ricomposto con cura e mfinito amore. Sopra di lui, era china un'altra figura, inginocchiata in atteggiamento di preghiera. Portava un'armatura priva soltanto della piastra anteriore della corazza. Il viso era nascosto dai lunghi capelli neri rovesciati in avanti e le mani si stringevano sul petto, trafitto da una spada, la cui impugnatura era saldamente incastrata fra due lastre del pavimento: cosí, un uomo si era sottratto all'estrema vergogna della sconfitta. Di fronte a quell'antica tragedia, Louren e io restammo in religloso silenzio. Non c'erano dubbi circa l'identità di quei due resti umani. Sul gelido pavimento di pietra, giacevano le spoglie di Lannon Hycanus, ultimo re di Opet, e, accanto a lui, era inginocchiato il suo amico e Gran Sacerdote Huy Ben-Amon. Mi sentii stringere alla gola da una sensazione di fatalità, da un angosciosO brivido di paura. Huy Ben-Amon, il difensore degli dèi era gobbo! Dovevo vederlo in faccia. Mi inginocchiai accanto a lui e gli sfiorai la spalla scarna, ricoperta da una tunica di fragile lino giallo. Fu un tocco leggerissimo, quasi un sospiro, ma il cadavere di Huy Ben-Amon cadde in avanti, sopra il corpo del suo re. Il rumore del bronzo contro la pietra echeggiò sinistro nella piccola cripta e le due figure si dissolsero in una piccola, silenziosa esplosione di polvere giallastra Del re e del suo sacerdote non rimasero altro che il metallo delle armature, una spada e due scarmigliati ciuffi di capelli, uno rosso dorato e l'altro nero. Mi rialzai, mezzo soffocato dalla polvere, una polvere gialla che sapeva di muffa. Louren Sturvesant e io restammo a guardarci senza parlare. Eravamo stati testimoni di un evento che le parole non potevano descrivere. Ml DESTAI da un incubo allucinante fatto di sangue e di fumo, di volti neri e di corpi lucidi di sudore, in un bagliore di fiamme crepitanti. Accesi il lume accanto al letto e guardai l'ora. Era ancora presto, nemmeno le undici di sera. Buttai indietro le coperte e mi alzai, scoprendo con stupore di avere le gambe molli e il fiato grosso. Ogni respiro mi causava una fitta di dolore, provavo un senso di oppressione dietro gli occhi e il corpo mi scottava per la febbre. Mi avvicinai al lavandino e mandai giú tre aspirine. Il bruciore nei polmoni si accentuò. Tossii come se fossi abituato a fumare sessanta sigarette il giorno e lo sforzo mi lasciò sudato e tremante. Senza sapere bene perché, infilai la vestaglia e uscii. In cielo, splendeva una falce di luna giallastra. L'incubo notturno tornò a opprimermi con tutto il suo orrore, mentre correvo verso l'ufficio guar- dandomi intorno con occhiate nervose. Le ombre sotto gli alberi erano cupe e minacciose. Raggiunsi l'ufficio e, non appena ebbi richiuso la porta alle mie spalle, udii qualcosa graffiare il legno all'esterno, come gli artigli di un animale: un rumore che mi squassava i nervi. Mi allontanai dalla porta e mi accucciai dietro la scrivania, tremando. Il rumore ricominciò, ma questa volta sembrava provenire dalla parete accanto a me. Mi girai di scatto. Cercai disperatamente un'arma per difendermi e vidi la grande bipenne di Huy appesa alla parete sopra la scrivania. La strappai dal suo gancio e mi acquattai in un angolo impugnando la bipenne, pronto a colpire. Un'alta pila di fogli che stava sulla scrivania cominciò ad avanzare verso di me. Sentii la pelle accapponarmisi. La candida montagna di carta ondeggiò, strisciò lungo la scrivania e spiegò ali da pipistrello. Poi, l'animale spiccò il volo, puntando contro il mio viso. Vidi la bocca spalancata e la doppia fila di denti, udii le grida stridule con le quali accompagnava l'attacco. Urlando inorridito, abbattei quel mostro e ne vidi sprizzare un fiotto di sangue nero. Mi allontanai indietreggiando e caddi in ginocchio, esausto e atterrito. Un accesso di tosse convulsa mi squassò il corpo, finché non vidi danzarmi davanti agli occhi uno sciame di piccole luci. Mi sentii la bocca piena di saliva salata, e sputai sul pavimento un grumo di sangue. Allora, capii a un tratto che cosa stava accadendomi. L UCCELLO DEL SOLE Louren e io avevamo oltrepassato due porte sigillate, eravamo scesi nella profondità di una tomba che era rimasta ermeticamente chiusa per duemila anni e, là, avevamo respirato aria impregnata di spore di cryptococcus neuromyces. In preda all'entusiasmo, non avevo pensato al pericolo del micidiale fungo, nemmeno quando avevo sentito odore di muffa nella cripta dei re. E ora, il veleno stava aggredendomi il cervello. « Louren! :ansimai. « Devo trovare Louren! :~ Sempre stringendo la bipenne, uscii barcollando in una notte densa di fumo soffocante. Intorno a me, le fiamme awolgevano ogni cosa in un satanico bagliore, carico di ombre cupe e accompagnato da strani rumori. Mi misi a correre ed entrai a precipizio nella baracca del mio amico. « Louren! » urlai, ansimando e tossendo La luce si accese. Sally era sola nel letto di lui. Si alzò a sedere. « Ben, ma che cosa c'è? Sei tutto insanguinato! « Lo, dov'è Lo? « Non lo so. Era qui un attimo fa. Che cosa è accaduto:~ « Il neuromyces! Tossii e mi sentii di nuovo la bocca piena di sangue. « Louren e io abbiamo aperto una cripta segreta. piena di spore. Lui è certamente là, adesso. Devo andare a prenderlo... M'interruppi per respirare. Sally era già fuori del letto e stava infilandosi la vestaglia. « Prendi le maschere e seguimi » ansimai. « Puntellerò le porte per tenerle spalancate. Chiama anche Ral. » Corsi come un pazzo verso le rupi, in mezzo al fumo, alle fiamme, all'oscurità. Sopra di me, torreggiavano alte le mura del tempio, mura scomparse da secoli. Illuminate dalle fiamme che divoravano la città, le grandi torri di Baal svettavano verso la luna. Udivo le urla delle donne bruciate vive insieme con i loro bambini. La mia strada era disseminata di cadaveri dai volti orribilmente sfigurati. « Louren! urlai, attraversando di corsa il tempio. I nemici mi sbarravano la strada, neri e terribili. La possente bipenne prese a disegnare cerchi d'argento nel riverbero degli incendi e io passai in mezzo alla folla, correndo. Raggiunsi la caverna, la vidi illuminata da torce gocciolanti, disposte intorno al laghetto di smeraldo. Per un momento, con un sovrumano sforzo di volontà, costrinsi il mio cervello a bandire quelle fantasie e a riconoscere la realtà. Vidi la baracca di legno delle guardie all'ingresso della caverna. « Buon Dio, professore, si sente bene? » domandò l'agente. « Il signor Sturvesant... è nella galleria~ « Sí, è venuto poco fa. » Mi precipitai negli archivi, senza dargli spiegazioni. Ci avrebbero pensato gli altri a informarlo dell'accaduto. Continuavo a sentire odore di fumo e a udire i clamori di una città morente. Davanti alI'immagine del dio Sole, lasciai cadere la bipenne. Spinsi la grande porta di pietra e la fermai con uno degli scudi, poi mi precipitai giú per le scale. Fatti pochi gradini, vidi un raggio di luce proveniente dalla cripta. La porta della tomba, con la sua maledizione divina, era spalancata: il cavo della lampada portatile aveva bloccato il perno. Louren giaceva supino ai piedi del grande sarcofago di Lannon Hycanus, ultimo re di Opet: aveva il volto di un pallore mortale e gli angoli della bocca macchiati di sangue. Con l'ultimo brandello di forza rimastomi, mi trascinai fino a lui e caddi in ginocchio. Tentai di sollevarlo, ma la testa gli ricadde alI'indietro e un altro fiotto di sangue gli sgorgò dalla bocca. « Louren! gridai, stringendolo al petto. « Oh Dio, ti prego, aiutami! Lui socchiuse gli occhi, quei suoi occhi azzurro pallido, già incupiti dalle prime ombre della morte. « Ben? » susurrò con voce a malapena percettibile. « Fino alla fine, socio? » « Fino alla fine Lo! Lo tenni stretto a me come un bambino addormentato. Rimase tranquillo per qualche istante, poi ebbe un fremito improvviso e, quando parlò di nuovo, la sua voce echeggiò limpida e forte. « Vola! gridò. a Vola per me, Uccello del Sole! E, insieme con quelle parole, esalò l'ultimo respiro. Inginocchiato accanto a lui, mi sentii cadere in uno stato di incoscienza. Ebbi la sensazione che il mondo si rivoltasse sottosopra. Mi estraniai dalla realtà contingente per scivolare nella turbinante oscurità dei tempi, giú, giú, in una sorta di limbo fra la vita e la morte... E, nella mia agonia, feci un sogno. Nel malefico sonno della morte, che durò un attimo e milioni di anni, sognai di uomini morti da secoli, in un'epoca perduta da millenni PARTSECONDA QuANr)o Lannon Hycanus e la sua scorta giunsero finalmente alla baia del Piccolo Pesce, sull'estrema costa meridionale del Grande Lago, dei trenta giorni imposti dal rituale ne rimanevano soltanto due. Era già buio quando le navi gettarono l'ancora e le lampade di bordo tracciarono lunghi solchi di luce sulle acque nere. Mentre, dal ponte della nave, Lannon osservava la scura distesa dei campi di papiro, vi fu un rumore di passi alle sue spalle. Si voltò e vide la l L UCCELLO DEL SOLE sagoma inconfondibile del suo amico. « Huy! esclamò. « Sono tornati gli esploratori? :~ « Non ancora, ma arriveranno certo prima di domattina. » Il gobbo si avvicinò al suo principe. « Devi dormire, mio signore. Avrai bisogno di mano salda e di occhio sicuro, domani. :~ « A volte mi sembra di avere dieci mogli, invece di nove » rise Lannon, ma si pentí subito della battuta, vedendo il viso del compagno rabbuiarsi. « No, amico mio, stanotte darei inutilmente la caccia al sonno, come invano ho dato la caccia al gry-leone in questi ventotto giorni dopo le esequie di mio padre. » Si girò nuovamente verso il parapetto. Nove navi attorniavano la sua: le navi delle no- ve famiglie venute per vederlo uccidere il gry-leone, I'impresa che avrebbe consacrato il suo diritto al trono di Opet e dei Quattro Reami. « Guardali, Huy! Quando fu stabilito il sacro rituale, i loro avi avevano forse previsto il giorno in cui il gry-leone sarebbe scomparso da queste terre? Mio padre lo uccise al venticinquesimo giorno, e, già allora, si disse che la specie era ormai estinta. Ora noi gli abbiamo dato la caccia in tutti i covi dove è stato visto negli ultimi duecento anni. » Si mise a camminare su e giú per il ponte, soffermandosi a guardare le file di schiavi seminudi che dormivano incatenati ai loro banchi sottocoperta, prima di tornare vicino a Huy. « Questa distesa paludosa è l'ultimo posto in tutto il reame dove possa nascondersene uno. E se non lo troviamo... Non ho altro modo per provare il mio diritto al trono» « No, mio signore. » Huy scosse malinconicamente la testa. « Se il gry-leone non verrà catturato, Opet rimarrà senza re. « E chi governerà? « 11 consiglio dei nove. Ma non parliamo di cose tristi. Ti ho fatto preparare una brocca di vino caldo aromatizzato. Ti aiuterà a prendere sonno. » « Perché non interpreti l'oracolo per domani, Gran Sacerdote di Baal? :~ « E se gli auspicii fossero infausti... ciò ti aiuterebbe a dormire? :~ Lannon scoppiò in una fragorosa risata. « Hai ragione, come sempre! » S'era appena girato per andarsene, quando dal folto dei papiri una voce roca gridò: « Lasciatemi passare, sono un amico! » Una guardia sul ponte diede il chi va là, cui fece eco una sorta di muggito: « Mursil, maestro di caccia della famiglia Barca. Lannon tornò di corsa al parapetto. « arrivato! :esclamò. Una piccola canoa venne a fermarsi sotto lo scafo e, poco dopo, Mursil salí sul ponte. Il gigantesco uomo, dal viso rosso di sole e di vino, era seguito da un piccolo boscimano bruno, che si guardava intorno con un'espressione di sgomento negli occhi dal taglio obliquo, atterrito dalla novità di tutto ciò che vedeva. « Mio signore! » Mursil piegò un ginocchio a terra. « Ti porto buone nuove. Quest'uomo e indicò quella specie di pigmeo seminudo, « ha trovato un gry-leone. » Lannon si voltò verso Huy con un'espressione di trionfo. « Gh dèi hanno deciso. La famiglia Barca non è ancora finita! » ALL'ALBA, il boscimano guidò Lannon, Mursil e Huy lungo una pista di bufali, una verde galleria di canne, cui le foglie di papiro facevano da volta, che serpeggiava lungo il terreno paludoso. Dietro di loro, si snodava una processione di circa quattrocento uomini, poiché molti patrizi erano scesi a terra per snidare il gry-leone con una congrua scorta di armati. Finalmente, sbucarono in una specie di anfiteatro naturale, una spianata circolare di erba lussureggiante, chiusa su tre lati dalla folta distesa di papiri e larga sei o settecento metri. Al centro di quella radura, giacevano indefinibili forme scure. Mursil interrogò il pigmeo in un dialetto incomprensibile e Huy Ben-Amon si affrettò a prendere qualche appunto: gli sarehbe servito per studiare quella lingua, la sola di tutti e quattro i reami che non conoscesse alla perfezione. « Mio signore, dice che sono bufali uccisi dal gry-leone. » « Ma la belva dov'è? domandò Lannon, e il boscimano indicò un punto nella radura. « là » spiegò Mursil. « Dietro la seconda carcassa. Dice che vede la punta degli orecchi. » « A questa distanza? impossibile. » « Non tanto, signore. Quest'uomo ha occhi d'aquila. « Sarà peggio per te, se sbaglia. » Lannon si rivolse a Huy. « Pre- pariamoci, Uccello del Sole. » Mentre alcuni del seguito spogliavano Lannon lasciandogli soltanto un perizoma gli altri si sparpagliavano lungo il limitare della scura distesa di canne, sullo sfondo delle quali splendevano al sole le armi e gli sgargianti colori rosso, bianco e porpora delle vesti. Nel silenzio generale, Lannon si girò verso di loro. « Proclamo il mio diritto al trono di Opet e dei Quattro Reami » l 12 disse con semplicità, ma con voce forte e chiara che fu udita da tutti. Huy, che portava pettorale e bracciali di cuoio, sopra una corta tunica di lino e un gonnellino pure di cuoio con borchie di bronzo, porse al principe le armi: prima il grande scudo ovale di pelle di bufalo, alto come un uomo e largo quanto le sue spalle, sul quale erano dipinti due enormi occhi bianchi e gialli che, con la loro espressione aggressiva, avrebbero spinto l'animale a caricare. « Che questo scudo ti protegga da ogni male susurrò Huy. Poi, la lancia da caccia, con l'asta grossa quanto il polso di Lannon e lunga due volte la sua altezza, munita di una lama larga e affilata come un rasoio. « Che questa lama possa trovare il cuore della belva mormorò sommessamente Huy. Poi, aggiunse a voce alta: Ruggisci per me, Gry-Leone di Opet! Lannon batté una mano sulla spalla di Huy. « Vola per me, Uccello del Sole! Con lo scudo sulla schiena, per non mostrare gli occhi il giovane principe avanzò verso la belva in agguato. Ricordava ii consiglio del suo vecchio maestro di caccia: "Fa' in modo che si awicini esponendoti il fianco. Il gry-leone carica a testa bassa ed è vulnerabile in un punto solo, alla base del collo, fra la spalla e la spina dorsale". Poi, ricordò le parole del solo uomo da lui conosciuto che avesse affrontato la belva: suo padre, ventiduesimo Gry-Leone di Opet. "Quando le avrai piantato in corpo la lancia, restale attaccato con tutte le tue forze, figlio mio. Perché l'animale è ancora vivo e quelI'asta è tutto ciò che lo terrà lontano da te finché non sarà morto". Lannon avanzò con passo sicuro, osservando attentamente la carcassa nera del bufalo, senza tuttavia scorgere segno della belva. Nel grande silenzio, poteva udire i battiti del proprio cuore. A un tratto, percepí un rapido movimento, nient'altro che il fremito di due orecchi, ma tanto gli bastò per sapere che l'animale era in agguato. Si sentí i piedi appesantiti dalla paura e dovette fare uno sforzo per proseguire. Poi, il gry-leone balzò in piedi e Lannon soffocò un grido. Alta quanto un uomo e pesante quanto un cavallo, quella belva era il piú pericoloso animale da preda mai conosciuto. Tenendo eretta la testa, piatta come quella di un serpente, quasi a bilanciare il peso delle lunghe zanne candide, e sfenando l'aria con la coda terminante in un ciuffo di peli neri, il gry-leone osservava l'uomo che si avvicinava. Lannon era a un centinaio di passi, quando la fiera si accucciò, appiattendO gli orecchi contro la testa. Il giovane principe ne scorgeva gli occhi gialli nello spigoloso muso color marrone scuro. Con- 113 tinuò ad avanzare e la criniera bruna del gry-leone si drizzò. Cinquanta passi, e la belva ruggí, un ruggito sordo e spaventoso come il romho dei frangenti durante una tempesta. Lannon si fermò, impietrito. Esitò a lungo. Poi, con un movimento brusco che tradiva la paura, fece scivolare lo scudo dalle spalle e mostrò alla belva i grandi occhi dipinti. La coda dal ciuffo nero si sollevò e rimase rigida e immobile L'animale abbassò la testa e partí alla carica. Lannon si rizzò sulla punta dei piedi e, vinta la paura, balzò incontro alla fiera infuriata, poi deviò ad angolo retto, costringendola a girarsi verso di lui e a mostrare cosí il collo e il fianco. Mentre correva, la lama della lancia danzava nel sole davanti a lui. Il gry-leone si avvicinò velocemente, appiattendosi sul terreno, pron- to a scattare per il colpo mortale. Lannon aspettò fino all'ultimo, poi alzò leggermente l'estremità della lancia, mirando al punto vitale, alla base del collo: il gry-leone fece un balzo e andò a infilzarsi sull'arma, trascinato dal suo stesso peso. La lama si conficcò profondamente nel collo dell'animale e la violenza dell'impatto sbilanciò e spinse all'indietro Lannon, che cadde sulle ginocchia; ma il giovane principe continuò a tenere ben stretta L UCCELLO DEL SOLE I'impugnatura della lancia. La belva si agitava ruggendo negli spasimi dell'agonia e la lancia sobbalzava e sussultava fra le mani dell'assalitore, urtandogli contro le costole. Poi, a un tratto, I'animale fece un balzo all'indietro e Lannon fu scagliato verso il cielo. L'asta della lancia si spezzò come un ramoscello e il giovane venne scaraventato lontano, con l'inutile troncone dell'arma fra le mani. La pesante caduta gli mozzò il respiro. Lannon si mise faticosamente a sedere e si guardò intorno. A dieci passi da lui, il gry-leone si contorceva negli ultimi spasimi della morte. Finalmente, il dorso gli s'inarcò, le zampe si irrigidirono e, con le fauci spalancate in un ultimo ruggito di dolore, I'animale crollò a terra stecchito. Gli uomini del seguito acclamarono il loro re e si mossero lentamente verso la minuscola figura al centro della radura. Huy li precedette andando di corsa incontro al suo principe. Con quelle gambe troppo lunghe per il suo busto rattrappito, pareva danzasse sul terreno, i lunghi capelli neri fluttuanti dietro il capo e la bipenne con incisi gli avvoltoi posata su una spalla. Era a mezza strada da Lannon, quando un secondo gry-leone, rimasto in agguato dietro la carcassa di un bufalo, balzò improvvisamente allo scoperto. Huy fu il primo a vederlo. « Lannon! Attento! Dietro di te! » Il re si girò e vide l'animale, una femmina, piú bionda e piú snella del maschio, ma notoriamente piú feroce, che stava avanzando verso di lui con mortale determinazione. 'Baal, fammi volare!" pregò Huy, vedendo che il suo principe faticava a rialzarsi. La belva procedeva con passi furtivi alternati a brevi scatti. Huy corse verso la fiera, gridando: « Qui! Vieni qui! Soltanto allora l'animale lo vide. Alzò la testa e rimase a fissarlo con i lucenti occhi gialli. « Qui! urlò Ben-Amon. « Sono qui! » La belva partí alla carica. Huy si preparò ad affrontarla, la bipenne sulla spalla, lo sguardo fisso sulla macchia nera fra gli occhi del gry-leone. « Per Baal! » gridò mentre la belva percorreva l'ultimo breve tratto di terreno che li separava. La bipenne fischiò nell'aria. La grande lama spaccò il cranio delI'animale e il manico saltò immediatamente di mano a Huy, mentre il felino, morto sul colpo, gli rovinava addosso con tutto il suo peso. Quando Huy riaprí gli occhi, Lannon Hycanus, ventitreesimo re di Opet, era inginocchiato accanto a lui nello splendore del sole. « Sciocco :mormorò il re. « Piccolo sciocco temerario! « Temerario, forse » susurrò a fatica Huy. « Ma sciocco no di cer- l 15 to, mio signore e sovrano! :E vide un lampo di sollievo illuminare gli occhi di Lannon. 1 16 LE PELLI delle due belve vennero appese all'albero maestro, sotto il vessillo con le insegne dei Barca, e lí Lannon ricevette il giuramento di fedeltà dei capi delle nove famiglie nobili di Opet. Appena terminata la cerimonia, il nuovo sovrano diede ordine di salpare immediatamente verso la capitale. Quando le colline apparvero all'orizzonte, riverberanti la luce crepuscolare del sole al tramonto, Mursil, seguito dal piccolo boscimano, si presentò a Lannon. « Ci hai fatti chiamare, signore? « Ti devo una ricompensa, Mursil. Che cosa vuoi? :~ « Oro, se non ti dispiace, mio signore. « Huy, scrivi un ordine per cinque dita d'oro. « Che la benedizione di Baal ti protegga in eterno, mio signore! :~ Lannon accennò al pigmeo. « Come si chiama? :~ « Xhai, signore. « Domandagli che cosa vuole. La libertà? :~ Mursil e il boscimano parlarono a lungo, prima che il maestro di caccia si rivolgesse di nuovo al sovrano. « Chiede una cosa piuttosto strana. Vorrebbe poter cacciare sempre con colui che ha ucciso il gry-leone. convinto, mio signore... » Mursil appariva a disagio e sudava un poco, « è convinto che tu sia un dio e vuole essere il tuo schiavo. :~ Lannon rise. « Allora lo nominerò capocaccia del re, con relativa paga e privilegi. Portalo con te e insegnagli la nostra lingua. Mentre le navi di Lannon si avvicinavano alla città, la flotta da guerra di Opet uscí dal porto per andare loro incontro. Non appena gli equipaggi videro le due pelli appese all'albero maestro, una entusiastica ovazione si levò sulle acque del lago. Sul molo di pietra sotto la città, migliaia di persone vestite delle loro vesti piú belle e sgargianti erano in attesa di poter dare il benvenuto al re. Le prime a congratularsi con Lannon furono le sue mogli: nove, una per ogni famiglia nobile, giovani matrone d'alto lignaggio, bellissime e orgogliose, che s'inginocchiarono chiamandolo per la prima volta "sire". Huy osservò la scena avvertendo una profonda pena nel cuore. Quelle donne erano ben diverse dalle umili schiave, arrendevoli e sciocche, che erano sempre state la sua sola compagnia. Quelle erano donne nel vero senssdella parola. Lui aveva bisogno di una compagna del genere, ma, in tutte le grandi famiglie dove aveva presentato la sua richiesta, era stato sdegnosamente respinto. Non sapevano vedere altro che la sua gobba, e lui non poteva biasimarli. Sgattaiolò via e si awiò verso la sua casa, nel quartiere dei sacerdoti, fra le due cerchie di mura del tempio. Tutti i suoi vecchi servi vennero ad accoglierlo e si agitarono tremuli e scioccamente premurosi intorno a lui, con le teste canute e le gengive senza denti. Dopo essere stato lavato e rimpinzato di cibi, Huy si rifugiò nelle sue stanze per riposare un poco, ma s'era appena disteso sul letto quando una vociante masnada dei figli piú grandicelli di Lannon infranse le deboli difese dei suoi schiavi e invase la camera senza tanti complimenti. Con un sospiro, Huy rinunciò al riposo e mandò uno dei ragazzi a prendergli il liuto. Non appena cominciò a cantare, i servi si intrufolarono a uno a uno nella stanza e si accoccolarono silenziosi lungo una parete. Huy Ben-Amon era di nuovo a casa. NELLA primavera dell'anno 296 dalla fondazione della città di Opet, sei mesi dopo avere ucciso il gry-leone e avere proclamato il proprio diritto al trono dei Quattro Reami, Lannon Hycanus lasciò la capitale per andare a ispezionare i confini del regno. Aveva ventinove anni, uno piú del suo Gran Sacerdote Si mise in marcia con due legioni di arcieri e di uomini armati di scuri. Poiché tutti i tentativi di allevare cavalli portati dal nord erano falliti, al posto della cavalleria, aveva con sé venticinque elefanti che recavano sulla groppa torrette piene di arcieri. Dato che un elefante infuriato poteva seminare la strage nel suo stesso esercito, gli uomini che li guidavano erano muniti di una mazza e di un punteruolo, pronti a conficcario nel cervello degli animali in caso di necessità. Insieme con il re, partirono Huy Ben-Amon e un'altra decina di sacerdoti, oltre a costruttori, medici, fabbricanti di armature, cucinieri, schiavi, mercanti: tutto il seguito, insomma, di un esercito in marcia, che formava una colonna lenta e disordinata lunga piú di venti chilometri. « Con l'aiuto di Xhai, voglio fare una grandiosa battuta di caccia nel reame meridionale » confidò Lannon al suo Gran Sacerdote. « Una battuta senza precedenti. Quando torneremo verso nord, comunque, faremo tappa a Zeng e, da lí, proseguiremo in schieramento di battaglia con le nostre legioni e quelle di Zeng e andremo a fare una grossa retata di schiavi, per insegnare alle tribú negre del nord che un nuovo re è saiito sul trono di Opet. » Cinque mesi dopo la partenza da Opet, le legioni di Lannon raggiunsero la catena di montagne azzurre che segnava il confine del reame meridionale e lí si accamparono per barattare merci con i b~scimani. « Come si formano queste pietre del sole? » domandò Huy BenAmon al tesoriere Rid-Abbi, esaminando un diamante color paglieriL UCCELLO DEL SOLE no grosso come una nocciola, avuto in cambio di una manciata di perline di vetro. « Quando il sole e la luna appaiono insieme nel cielo, può accadere che i loro raggi si sovrappongano. Allora, si surriscaldano, si appesantiscono e cadono sulla terra; se finiscono nell'acqua si spengono e si solidificano trasformandosi in una di queste pietre, appunto le pietre del sole. La spiegazione parve oltremodo convincente al Gran Sacerdote, che osservò in tono riverente: « Una goccia dell'amore di Baal e di Astarte. Nessuna meraviglia che siano cosí splendide! » Alzò gli occhi e guardò Rid-Abbi. « E dove si trovano? :~ « Dicono che i pigmei vadano a cercarle fra la sabbia dei fiumi e in riva ai laghi spiegò il tesoriere. Nel giro di quattro giorni, il tesoro di Opet s'era arricchito di cinque grandi giare di terracotta colme di diamanti. Al seguito del re, s'erano aggiunti ottantasei bambini boscimani presi come schiavi. I boscimani erano ottimi cacciatori e i piccoli furono affidati alle cure di Xhai. Soltanto dieci o dodici di loro morirono di spavento o di crepacuore durante il viaggio. Finalmente, Lannon levò le tende e piegò verso nord, raggiungendo in breve il margine della fascia dell'oro, che attraversava il reame centrale. Da quella fascia proveniva la maggior parte delle ricchezze di Opet. I cacciatori d'oro del re avevano acquisito un'abilità quasi diabolica nel rintracciare i filoni del prezioso metallo celato tra le rocce, e il minerale veniva estratto da plotoni di schiavi negri che lavoravano nudi negli angusti cunicoli senz'aria. Lannon fece parecchie soste per ispezionare le miniere. In una, gli scavi avevano ormai raggiunto il livello delle acque sotterranee e poiché non si conosceva alcun sistema per farle defluire, la miniera doveva essere restituita ad Astarte, madre della luna e della terra: era stata concessa agli uomini dalla generosità della dea, e a lei doveva tornare. Com'era sua prerogativa, Lannon scelse le vittime sacrificali del rito, consigliandosi con i sorveglianti per decidere quali schiavi sarebbero stati una perdita meno grave per il lavoro. I prescelti, adorni delle simboliche catene del sacrificio, curvi, barcollanti, squassati dalla tosse contratta in miniera, furono condotti nelle gallerie per l'ultima volta. Huy incaricò uno dei suoi sacerdoti di sovrintendere alI'operazione e quando il suo emissario riemerse dalla galleria, intonò gli inni in lode di Astarte mentre gli altri schiavi cominciavano a interrare la miniera. Il rito aveva lo scopo di placare definitivamente la dea e di permettere che si formasse di nuovo altro oro. TRECENTO giorni dopo la partenza da Opet, la colonna di Lannon raggiunse le colline ai piedi dei monti Zeng: lavorate a terrazze e coltivate intensivamente, quelle colline costituivano la dispensa della capitale e la loro roccaforte era una piccola città costruita in vetta a un colle, che aveva preso il nome dal dodicesimo re di Opet: Zeng Annone. Vi erano templi dedicati a Baal e ad Astarte e Huy trascorse una ventina di giorni in sinodo con i sacerdoti e le sacerdotesse. Passò anche in rivista la sua legione di sacerdoti-guerrieri la Sesta Ben-Amon, una delle due di stanza a Zeng e la sola, delle otto legioni di Opet, composta esclusivamente da guerrieri di sangue nobile. Poiché si stavano organizzando i preparativi per la grande retata di schiavi progettata da Lannon, Huy ebbe lunghi colloqui con gli ufficiali della legione. Una sera, li invitò a cena nella sua splendida residenza all'interno della cerchia di mura del tempio, insieme con le sacerdotesse di Astarte, mentre Lannon fu l'ospite d'onore. Erano tutti inghirlandati di fiori e molto allegri per le abbondanti libagioni. A sera inoltrata, uno dei sacerdoti piú giovani accennò che una novizia del tempio aveva mostrato di possedere insospettate doti profetiche. La Gran Sacerdotessa levò sul giovane i suoi vecchi occhi colmi di saggezza. « Sí, è vero che una delle nostre novizie ha saputo guardare oltre il velo de] futuro » ammise in tono guardingo, « ma la congregazione non ha ancora deciso se mandarla dal Gran Sacerdote perché la metta alla prova. » « Non ne sapevo niente :osservò Huy con interesse, ma in tono leggermente accusatore Da due anni erano senza indovini o sibille e le offerte in denaro per divinazioni e profezie costituivano una parte notevole delle entrate del tempio. Inoltre, ragioni politiche rendevano Huy ansioso di scoprire un nuovo veggente. « Perdonami, Padre Santo. Era mia intenzione discuterne con te in privato. » La Gran Sacerdotessa aveva parlato sottovoce, ma il re aveva ottimi orecchi. « Mandate a chiamare la ragazza » ordinò. Le sacerdotesse si scandalizzarono per quell'appellativo cosí profano. « Che venga a divertircl con le sue profezie. :~ « Cosí comanda il re » mormorò Huy, con un'occhiata di scusa alla Gran Sacerdotessa. Quando la ragazza entrò, tutti i presenti tacquero e rimasero immobili a fissarla. Alta, con polsi e caviglie sottili, portava la lunga tunica verde delle novizie che le lasciava scoperte le braccia, e la sua pelle levigata splendeva nella luce delle torce. I capelli neri e soffici, che le ricadevano fluenti sulle spalle, mettevano in risalto la mezzaluna d'oro, simbolo di Astarte, che le adornava la fronte e gli orecchini con piccole pietre del solc che le brillavano agli orecchi. I suoi occhi verdi, pensò Huy, ricordavano le acque del laghetto di Astarte, nel tempio di Opet. La giovane novizia si inchinò davanti a lui. « Prega per me, Padre Santo. « Rendi omaggio al tuo re, bambina mia mormorò Huy e la ragazza si girò verso Lannon inginocchiandosi in segno di deferenza. « Come ti chiami? :domandò Huy. « Tanith :D rispose lei. Era l'appellativo di Astarte usato dagli antichi cartaginesi. a Un bel nome, un nome che ho sempre amato. « Sei molto buono, Padre Santo mormorò la ragazza con un sorriso Aveva un sorriso caldo e rassicurante e Huy Ben-Amon si innamorò di colpo di lei. Rimase a guardarla, incapace di pronunziare una parola, sentendosi awampare in viso. Fu Lannon a spezzare l'incantesimo. «Fammi una profezia » ordinò alla novizia. « Ti farò una profezia, mio signore, ma prima bisogna stabilire il compenso. :~ « Compenso? Lannon non era avvezzo a tanta franchezza. « Padre Santo, vuoi stabilire il compenso? » domandò Tanith rivolgendosi al Gran Sacerdote. « Cento dita d'oro. » Huy aveva parlato senza rendersi conto delI'enormità della cifra e, vedendo lo scatto di collera di Lannon, si affrettò ad aggiungere: « Per tale compenso, il Gry-Leone avrà diritto a fare tante domande quante sono le dita della sua mano destra ». « Dubito che la sapienza di una bambina possa valere tanto... ma mi diverte metterla alla prova. » Lannon sembrava tutto meno che divertito. Prese la coppa del vino e bevve un lungo sorso, poi guardò Tanith. « Sto andando al nord per una missione. Dimmi quale sarà il suo esito. :~ Uno schiavo portò un cuscino e la novizia vi si accomodò, allargando intorno a sé le pieghe della tunica. Poi, abbassò il capo e i suoi occhi parvero scrutare dentro sé stessa. Nella sala, corse un mormorio d'attesa. « Vi sarà una grande messe mormorò Tanith con una voce stranamente innaturale e monotona. « Piú grande di quanto il Gry-Leone si aspetti. :~ Lannon si accigliò. « Intendi dire una messe di morte? » 120 « Porterai la morte, ma essa tornerà con te, in segreto e ignorata. Era una predizione infausta. Huy avrebbe voluto intromettersi... Quella faccenda cominciava a non piacergli per niente. « Che cosa mai dovrò temere? » domandò ancora il re, corrucciato. « Ciò che è nero. » « Come troverò la morte? » Lannon tremava visibilmente di collera: la voce gli si era arrochita e gli occhi azzurri mandavano lampi minacciosi. « Per mano di un amico. :~ « Chi regnerà sul trono di Opet dopo di me? » « Colui che ucciderà il gry-leone. » Con un gesto di stizza, Lannon fece cadere dalla tavola la coppa del vino, mandandola a frantumarsi sul pavimento di pietra. « Il gryleone è ormai estinto :urlò. « L'ultimo l'ho ucciso io. Osi forse profetizzare la fine dei Barca? » « Questa è la tua sesta domanda, mio signore. » Tanith rialzò la testa. « Non riesco a vedere la risposta. « Portate via questa strega! » ruggí Lannon. Huy fece un rapido cenno alla Gran Sacerdotessa perché accom- 121 pagnasse fuori la novizia e ordinò a uno schiavo di portargli il liuto. Soltanto dopo la terza canzone, Lannon tornò a sorridere. LA VIGILIA della partenza delle legioni da Zeng Annone, cinque giorni dopo quella cena, Huy fece chiamare Tanith. Gli ci era voluta tutta la sua forza di volontà per non farlo prima. La novizia gli apparve ancora piú graziosa di quanto non la ricordasse. Camminarono insieme sulle mura della città. « Ho dato disposizioni alla Gran Sacerdotessa perché ti mandi con la prima carovana a Opet. Farai parte delle vestali di Astarte... e aspetterai il mio ritorno. :~ « Come comandi, Padre Santo. Il suo tono di umiltà contrastava con l'espressione del volto. Huy scrutò i verdi occhi della ragazza. « Che cosa significavano le parole che hai detto al re, Tanith? » « Non lo so. Prendevano forma nella mia mente, fuori della mia volontà. :~ « Tu credi che io sia l'eletto dagli dèi, Tanith? :~ « Lo credo, Padre Santo. Rispondeva con schiettezza e rispetto cosí evidenti, che Huy non ebbe piú dubbi sulla sua sincerità. L'amava, ma vedeva in lei anche un utile strumento. « Quale sarà il tuo destino, Tanith? domandò a un tratto. Non lo vedo. Ma so che questo nostro incontro fa parte di esso. Huy sentí il cuore gonfiarglisi nel petto, ma la sua voce continuò a essere burbera. « Figliola, come sacerdotessa dovresti sapere che non puoi parlare cosí a un uomo. » « Padre Santo, mi hai fraintesa. Non intendevo in senso sacrilego. » « E come, allora? » insistette Huy, deluso da quelle parole. « Troveremo la risposta quando ci rivedremo a Opet, Padre Santo. :Huy avrebbe giurato di aver visto un lampo di furbesca malizia scintillare negli occhi verdi della ragazza. LANNON era ritto davanti a un plastico di argilla del bacino del Gran- de Fiume. A occidente, si trovavano le Nubi di Baal, una grandiosa cascata che mandava i suoi spruzzi fino al cielo; dopo il salto, il fiume proseguiva verso oriente lungo una profonda vallata e un'ampia pianura, per allargarsi poi a ventaglio nei numerosi bracci di un ampio delta che sfociava nel mare Orientale. Lannon indicò ai suoi venti ufficiali le caratteristiche principali della vallata, una zona afosa e malsana dove impervi bastioni rocciosi, ammantati di fitte foreste e popolati di elefanti, si ergevano sui due lati del fiume. « Le nostre spie hanno individuato i principali viliagg; dove le tribú negre sono ammassate. Si trovano, per lo piú, in posizione elevata, a una giornata di marcia oltre il fiume, ed è molto importante che tutti vengano attaccati nel medesimo giorno. Proseguí, assegnando a ognuno dei comandanti un obiettivo deterL UCCELLO DEL SOLE minato, un punto dove attraversare il fiume e una strada da seguire al ritorno. « Non correrete alcun pericolo di venire attaccati sulla via del ritorno, purché infliggiate loro un colpo decisivo al primo attacco. Ogni tribú è in guerra con le altre, perciò non riusciranno a trovare un accordo per allearsi contro di noi. » Spiegò loro la logistica dei rifornimenti e le direttrici di marcia quindi fissò la data dell'attacco. « Il dodicesimo giorno da oggi. Cosí, ognuna delle vostre legioni avrà il tempo necessario per raggiungere i villaggi dei barbari. » La legione di Huy doveva attaccare una delle tribú piú numerose e battagliere, quella dei venda, il cui villaggio sorgeva a monte della sponda settentrionale del Grande Fiume, nel punto in cui un affluente scendeva dall'altopiano. Il Gran Sacerdote fece accampare i suoi uomini attorno al presidio di Sett. I fuochi erano vietati durante il giorno e accuratamente schermati di notte, mentre i legionari erano occupati a costruire grandi zattere, poiché piogge torrenziali avevano gonfiato il fiume, rendendo impossibile il guado. Due sere prima che fosse sferrato l'attacco, una bireme sbarcò sulla sponda opposta arcieri e soldati armati di scuri, che, prima delI'alba, provvidero a tendere grosse funi attraverso il fiume; allora si misero in acqua le zattere, che vennero agganciate alle funi scorrevoli. I legionari salirono a bordo a scaglioni di cinquanta e gli elefanti guadarono il fiume seguendo le funi e trainando senza difficoltà le zattere sull'altra riva. L'intera operazione fu condotta a termine con assoluta disciplina e precisione: a metà pomeriggio, tutta la legione si trovava sull'altra sponda del Grande Fiume. Lannon raggiunse Huy e, lasciata una coorte a guardia del punto di traghetto, il re e il suo Gran Sacerdote si misero in marcia verso il villaggio barbarico di Kal, protetti da uno schermo di fanteria leggera. Qualche pastore o cacciatore, che ebbe la sventura di trovarsi sulla loro strada, fu liquidato con una silenziosa grandinata di frecce o con un ben assestato colpo di scure. Al tramonto, i legionari si fermarono a consumare un pasto frugale composto di carne fredda e di focacce di grano, mentre i vivandieri distribuivano il vino. « Guarda! » Huy batté una mano sulla spalla di Lannon e accennò alle colline verso nord. Il cielo era arrossato dal riverbero di migliaia di fuochi. I venda stavano preparando la cena. « Una ricca messe. » Lannon fece un cenno d'assenso. « Proprio come ha profetizzato quella strega. Le sue parole mi hanno turbato. Quella predizione di morte e di oscurità, di tradimento da parte di un amicO. ,> Il re si asciugò le labbra prima di accostarvi la coppa del vino. « Credo che sia una donna perversa. :~ « Mio signore! icosí giovane... e innocente... :Vedendo Lannon che lo scrutava con aria interrogativa, Huy si interruppe. « Che cosa è per te quella strega, mio Uccello del Sole? « Come donna, niente ribatté Huy, rinnegando il proprio amore. « Come potrebbe essere qualcosa? Tanith appartiene alla dea. :~ Lannon grugní, scettico. « Sei saggio in tutto, meno che in faccende di donne, amico mio. Lascia che ti dia un consiglio. Quella ragazza sarà per te soltanto fonte di dispiaceri. » Huy si schiarí la gola. « La sosta è durata abbastanza » disse. « tempo di rimettersi in marcia. » Dopo mezzanotte, raggiunsero la cima della prima ripida collina e si trovarono davanti a un ampio bacino attraverso il quale serpeggiava il fiume Kal. I fuochi s'erano ormai ridotti a macchie rosso cupo e le capanne del popoloso villaggio di Kal, fitte, ma disposte senza alcun ordine, erano avvolte nell'oscurità. « Avevamo calcolato circa cinquantamila abitanti » spiegò Huy, osservando la vallata che si stendeva sotto di loro. « Non abbiamo sbagliato di molto. » Accanto a lui, Lannon annuí. Il Gran Sacerdote ordinò che uno schermo di fanteria leggera e di arcieri coprisse lo schieramento sul fianco orientale. Durante il giorno, gli esploratori avevano rastrellato quattromila capi del piccolo, scarno bestiame appartenente ai venda. « Portatevi dietro la mandria. Ricordatevi l'astuzia di Annibale in Italia... Potrà servire allo stesso scopo anche a noi. » Senza fare rumore, Huy spostò verso ovest quattromilacinquecento soldati - fanteria pesante e uomini armati di scuri - e li fece disporre a mezzaluna attorno al villaggio. Lui e Lannon osservarono le capanne, i cui abitanti erano immersi nel sonno. Il silenzio era rotto soltanto dal solitario abbaiare di un cane randagio. « E il momento buono :bisbigliò il Gran Sacerdote. Lannon annuí. « Vola per me, Uccello del Sole! » « Ruggisci per me, Gry-Leone di Opet! » Huy si allacciò l'elmo e diede un ordine a un centurione. Il soldato si chinò sopra un braciere e, poco dopo, scagliò verso il cielo nero una freccia fiammeggiante. Da oriente, una mandria mugghiante di bestie impazzite si lanciò a precipizio lungo il pendio. Torce unte di pece e di grasso ardevano sopra le corna degli animali, che si trascinavano dietro fasci di rami incendiati, sospinti nella loro folle corsa dal terrore e da una schiera di guerrieri urlanti. Gli armenti piombarono sul villaggio, travolgendo le fragili capanne e calpestando i venda addormentati che trovavano sul proprio cammino. E, dietro di loro, i soldati di Huy Ben-Amon finivano a mazzate i superstiti. Il Gran Sacerdote udiva l'urlo crescente di migliaia di voci terrorizzate riempire il villaggio. « Serrate le fila » ordinò Huy ai suoi uomini. « Non lasciate falle nella rete, nessun pesce deve sfuggire! La notte era piena di movimento, di grida e di fiamme. I venda correvano da una parte all'altra senza meta, come folli, fra il dilagare degli incendi, incalzati dalle risolute schiere dei guerrieri di Opet. Poi, a poco a poco, il disordinato clamore della battaglia si spense. Le fiamme si consumarono e i capi degli schiavi cominciarono a inquadrare i prigionieri in file compatte. Sorse l'alba, rossa e infuocata. Huy si muoveva rapido nel villaggio devastato, per organizzare la ritirata. Due coorti s'erano già avviate verso il Grande Fiume, con il bestiame catturato. Si stavano incatenando gli schiavi, quando un centurione si avvicinò al Gran Sacerdote. « Mio signore, osserva quanto sono rari i giovani fra i prigionieri! » Un'occhiata bastò a Huy per rendersi conto della situazione. Si avvicinò a un giovinetto e gli domandò neila sua lingua: « Dove sono i vostri guerrieri? Il fanciullo abbassò lo sguardo senza rispondere. Il centurione fece l'atto di snudare la spada. Udendo lo stridio della lama, il ragazzo alzò gli occhi, atterrito. « Sono andati al nord, a cacciare i bufali. « Quando torneranno? » domandò ancora Huy. Nessuno lo sa. » Huy si rivolse al centurione. « Fa' muovere immediatamente gli schiavi. L'esercito dei venda è intatto e questo fumo li farà accorrere di volata, come avvoltoi attorno a una carogna. » I LA COLONNA di quasi ventiduemila schiavi si snodava per oltre sei chilometri procedendo faticosamente, come un millepiedi storpio, lungo i tornanti che scendevano verso il fondovalle. Il primo attacco venne sferrato dai venda poco dopo la mezzanotte: un attacco in grande stile, lanciato con l'intento di compiere una strage. Soltanto l'addestramento e la disciplina tennero unita la legione di Huy davanti a quel torrente ululante che le si rovesciò addosso, per sparire poi nel buio. Ma, verso l'alba, la tattica dei venda fu ben chiara: ogni metro di strada era conteso da arcieri e da astati, mentre i fianchi e la retroguardia della colonna venivano fatti segno a continue azioni di disturbo. « Non ho mai visto niente di simile osservò Lannon durante una sosta. « Agiscono da truppe esperte e ottimamente addestrate. » A un certo punto, la pista attraversava un modesto corso d'acqua per proseguire poi fra due colline tondeggianti e levigate. Accanto ai guado, erano state piantate nel terreno sedici lance, che portavano con125 L UCCELLO DEL SOLE ficcate sulla punta altrettante teste di legionari, appartenenti alle coorti partite con il bestiame. « La nostra avanguardia non è passata indenne :osservò Huy. « Sedici uomini su dodicimila non costituiscono una gran perdita :~ ribatté Lannon. « E poi, con questo orrido spettacolo, ci hanno rivelato la loro intenzione di difendere il guado... Un errore di strategia, Uccello del Sole! Come il re aveva previsto, i venda presidiavano il torrente e con forze che Huy giudicò almeno il doppio delle sue. Parecchie volte, fu costretto a ritirare i propri uomini dal fango insanguinato del guado per dare loro un momento di respiro e per ricostituire i ranghi. Frattanto, il caldo si era fatto insopportabile e i legionari cominciavano a essere stanchi. Lannon era stato ferito da un colpo di lancia che gli aveva squarciato una guancia. Un medico stava ricucendo il profondo taglio, quando Huy raggiunse il gruppo che attorniava il sovrano. Lannon rispose alle sue ansiose domande con una risatina. « Mi resterà una cicatrice oltremodo interessante » disse. Poi, senza muovere il capo, aggiunse: « Ho trovato la soluzione del mistero. E accennò alla sommità di una delle colline gemelle, oltre il torrente: era una cupola di roccia nuda, sulla quale si stagliava un gruppo di guerrieri negri raccolti intorno a un'imponente figura. Huy avrebbe ricordato per sempre quell'uomo come l'aveva visto in quel giorno fatale, là, sopra il colle: una figura possente, che sovrastava di tutta la testa e le spalle i compagni, con il petto e le braccia, nerissimi e muscolosi, rilucenti al sole, la testa incoronata da un'alta acconciatura di piume di airone azzurro, un gonnellino di code di leopardo legato intorno ai fianchi. « Avrei dovuto immaginarlo » mormorò. « Le tribú hanno trovato un condottiero. :~ « Catturalo » gli ordinò Lannon. « lui che dobbiamo eliminare. Cattura quell'uomo, Huy. » HUY predispose l'attacco per l'ultima ora del giorno, quando le ombre erano lunghe e la luce ingannevole. Scelti cinquanta dei suoi uomini migliori, li fece denudare e spalmare con fango nerastro del torrente per scurirne la pelle, quindi ordinò di incatenarli come schiavi. Ma invece che con chiodi di ferro, i collari delle catene vennero fissati con sottili aste di legno. Per ultimo, affinché potessero correre senza impacci furono legate loro sulla schiena le armi, spalmate anch'esse di fango per nascondere il luccichio del metallo « Non dimenticate che siete schiavi raccomandò Huy. Quando i finti schiavi sbucarono dal folto degli alberi e si lanciarono verso il fiume, inseguiti dai legionari, una pioggia di frecce ben dirette cadde su di loro e i "fuggiaschi" proruppero in urla di terrore perfettamente simulate. Raggiunsero la sponda cinquecento metri a monte del guado. Il re dei venda li vide e mandò immediatamente due plotoni di guerrieri a proteggere la traversata. Sulle rive del fiume, scoppiò una violenta scaramuccia e, approfittando della confusione Huy portò il suo gruppo al riparo nella foresta sulla sponda opposta, dove gli uomini si liberarono delle catene. Poi, sempre tenendosi nascosto fra gli alberi, il gruppo raggiunse la cima del colle aggirando lo schieramento nemico. Quando le sentinelle videro quelle strane figure nere, era ormai troppo tardi. Ai piedi della cupola di roccia nuda, Huy sostò ancora, aspettando l'attacco diversivo concordato con Lannon. Finalmente, udí un clamore di grida. « Ora » bisbigliò ai suoi uomini. « E tenetevi uniti. Huy era a venti passi dalla cima del colle, quando il re venda si accorse della sua presenza. Due guardie gli balzarono subito addosso, ma, con un solo colpo della bipenne, Huy ne uccise una e fece saltare l'arma di mano all'altra. Poi, si lanciò verso il re. Era l'uomo piú gigantesco che avesse mai visto, con la testa tonda come un ben levigato masso di fiume, rapata e lucida sotto il pennacchio di piume. Il negro avanzò a sua volta verso il Gran Sacerdote, muovendosi leggero sulle gambe poderose, con le code di leopardo che gli ondeggiavano attorno ai fianchi e la lama lucente della lancia minacciosamente puntata contro il ventre indifeso di Huy. Questi si spostò agilmente di fianco e il ferro gli passò accanto con un lieve sibilo. Il gigante nero grugní, poi urlò: la punta della bipenne di Huy gli aveva inciso un solco sul costato. Squarciando l'aria con la lancia, si avventò sulla figura che danzava davanti a lui. Velocissimo, Huy si spostò fuori della portata dell'arma e mirò con la punta della bipenne all'inguine dell'avversario, per recidergli l'arteria femorale. La mancò per un centimetro, ma il colpo fece piegare un ginocchio al re venda. La bipenne si librò alta nell'aria, mentre Huy scattava per il colpo mortale mirando al cranio tondo e nero. « Per Baal! » urlò. Poi, quand'era già lanciato, ebbe un ripensamento improvviso. Senza rendersi conto di che cosa lo spingesse a farlo, frenò l'impeto e, girando l'arma, colpí di piatto, anziché di taglio, cosí che il colpo, invece di uccidere il re, lo fece soltanto crollare privo di sensi a faccia in giú. Il terreno intorno al re caduto era disseminato dei cadaveri dei suoi fedeli Sudicio com'era, Huy, ritto sul culmine del colle, brandí alta sul capo la bipenne e i suoi compagni lo acclamarono agitando le armi. Dal guado, echeggiarono gli squilli di una tromba e Lannon fece avanzare le coorti. Visto cadere il loro re, gli uomini della tribú avevano perso tutto il proprio coraggio. Mentre il sole lambiva l'orizzonte in un trionfo di porpora e d'oro, le trombe di Lannon squillarono di nuovo. La strage e la cattura di schiavi durarono fino a notte inoltrata. LANNON era giubilante. « Mio Uccello del Sole, to ti avevo chiesto! Se avessimo lasciato libero forza ancora per un anno, soltanto gli dèi sanno avrebbe costituito per noi. « Baal si è mostrato benigno con me si schermí Huy. hai fatto piú di quanun nemico di quella quale mortale pericolo modestamente « E lo stesso farà Lannon Hycanus. A quanto ammonta la nostra messe in schiavi e bestiame, Uccello del Sole? Fa' chiamare Rid-Abbi. Il primo tesoriere del re si presentò con i suoi papiri, le dita macchiate d'inchiostro, gli occhi sospettosi di contabile, e lesse l'elenco del bestiame e degli schiavi catturati complessivamente. « E qual è la parte spettante come premio alla Sesta Ben-Amon? domandò Lannon. Rid-Abbi parve allarmato. « Posso dire soltanto una cifra approssimativa, mio signore. E allora dilla lo esortò il re. « Da un massimo di venticinquemila dita a un minimo... « Non venirP a narlarmi (li minimi Tll anml~Precti il letame anche in un vaso di profumol :D « Come piace al mio signore. Rid-Abbi fece un profondo inchino, mentre Lannon posava una mano sulla spalla di Huy. « La tua parte, che come d'uso è un centesimo di ciò che va alla legione, ammonta quindi a duecentocinquanta dita d'oro, Uccello del Sole. Che effetto ti fa essere ricco? « Be', non mi dà certo la nausea. Lannon rise. « Rid-Abbi, scrivi nel tuo libro che Lannon Hycanus cede metà della sua parte di bottino al comandante della legione, Huy Ben-Amon, come premio per l'abilità con la quale ha condotto le operazioni. :~ « Ma sono piú di mille dita! protestò il tesoriere. « So contare anch'io! lo rimbeccò aspramente il re. « Sarà fatto come comandi :brontolò il vecchio, e Huy si inginocchiò davanti al suo re in segno di gratitudine. « Alzati! gli ordinò Lannon. « Non devi umiliarti davanti a me, amico mio. Huy si rialzò, perdendosi in un estatico sogno di ricchezza, mentre il re premiava gli ufficiali che si erano distinti in battaglia. Era ricco! Poteva permettersi tutti i lussi ai quali aveva sempre aspirato: una villa a Zeng, una compartecipazione in uno dei galeoni mercantili di Habbakuk Lal, un seggio nell'amministrazione di qualche miniera d'oro. Una rendita sicura per il resto della vita. Forse, anche le damigelle delle famiglie aristocratiche avrebbero potuto chiudere un occhio sulla sua schiena, davanti a quell'abbacinante mucchio d'oro... Poi, gli venne in mente Tanith e il suo entusiasmo svaní di colpo. Una sacerdotessa di Astarte non poteva sposarsi. A un tratto, Huy non si sentí piú tanto ricco. « Non ascolti il tuo re quando ti parla? domandò brusco Lannon. 130 « Perdonami, mio signore. Sognavo. Cosa chiede il Gry-Leone? « Ho detto che si dovrebbe far portare qui quel re barbaro. Possiamo giudicarlo ora, davanti alle legioni riunite. « Come il Gry-Leone comanda. :~ Il prigioniero aveva pesanti catene ai polsi e alle caviglie e due sorveglianti lo trattenevano per il collare, come un cane al guinzaglio. Era piú giovane di quanto Huy avesse pensato: il piglio autoritario lo faceva apparire piú vecchio della sua età. Gli avevano medicato la ferita all'inguine con foglie e corteccia, ormai intrise di liquidi corporei, e le carni intorno alla piaga erano gonfie e illividite. Fissava i nemici con occhi carichi di un odio quasi tangibile. « Sei stato capace di catturare questo bestione nero, Huy? Lannon sostenne lo sguardo del gigante scuotendo la testa per lo stupore. Ma Huy non rispose. Stava osservando attentamente il condottiero venda. Come ti chiami? :domandò in tono sommesso. La grossa testa nera si girò di scatto e due occhi fieri si fissarono nei suoi. « Come mai conosci la lingua dei venda? :~ « Conosco molti dialetti. Dimmi chi sei. :~ <Manatassi, re dei venda. Huy tradusse. « Digli che non è piú re :ribatté seccamente Lannon. Manatassi alzò le spalle e sorrise. « Cinquantamila guerrieri venda continuano a chiamarmi re. « Re schiavo di un popolo schiavo :rise Lannon. « Che ne facciamo, Huy? Possiamo arrischiarci a lasciarlo vivo? Huy distolse lo sguardo da Manatassi e rifletté su quella domanda. Nutriva un profondo interesse per il re schiavo. Ne ammirava incondizionatamente la prestanza fisica e l'abilità militare e lo elettrizzava la prospettiva di poter civilizzare un uomo simile. « Penso proprio di no riprese Lannon rispondendo lui stesso alla propria domanda. « Ho capito subito, non appena l'ho visto, che è un uomo pericoloso. Lo invieremo a Baal quale messaggero della nostra gratitudine. « Mio signore! Huy abbassò la voce. « Penso di poter istruire quest'uomo. Una volta incivilito, potremmo restituirlo alla sua gente e... « Ti ha dato di volta il cervello? Lannon fissò Huy sbalordito. « Perché mai dovremmo restituirlo alla sua gente? :~ « Per servirci di lui come di un alleato. Per mezzo suo, potremmo concludere con le tribú un trattato a garanzia dei nostri confini settentrionali. « Trattare coi barbari? D Lannon era decisamente infuriato. Assurdo. C'è una cosa sola che può garantire la sicurezza dei nostri confini settentrionali: una bella spada affilata. « Signore, ascoltami, ti prego! :~ No, Huy. Basta cosí. Quest'uomo morirà oggi stesso, al tramonto. :Lannon balzò in piedi e se andò a gran passi. L UCCELLO DEL SOLE Huy fece segno ai sorveglianti di portare via il prigioniero. Ma Manatassi fece un passo avanti. « Nobile signore! Il Gran Sacerdote si voltò di scatto, stupito per quell'appellativo ossequioso. « le la morte? domandò il re prigioniero, e Huy annuí. « Ti ho visto batterti per me » insistette Manatassi. « Perché? Huy allargò le braccia, come a dire che non lo capiva neppure lui. « Prima hai girato la lama che avrebbe dovuto uccidermi. Ora parli in mio favore. Perché? » « Non lo so. Non so spiegarmelo. « Tu senti che esiste un legame fra noi due. La voce di Manatassi si fece sommessa. « Il legame dello spirito. Ecco ciò che ci unisce. « No! » urlò Huy, e corse a rifugiarsi nella sua tenda. AL TRAMONTO, Manatassi venne portato sulla sponda del fiume sotto le mura di Sett. Era avvolto in un mantello con i simboli di Baal e portava le auree catene del sacrificio. Quando le guardie lo spinsero avanti, gli occhi fiammeggianti del re prigioniero si fissarono in quelli di Huy come volessero strappargli l'anima, ma il Gran Sacerdote diede inizio al rituale, inchinandosi ripetutamente al dio Sole, rutilante poco sopra la linea dell'orizzonte. Huy, tuttavia, continuava ad avvertire su di sé quello sguardo che lo rodeva fin nelle viscere. Il suo aiutante gli porse la bipenne con gli avvoltoi e i sorveglianti tolsero il mantello dalle spalle della vittima, che rimase vestita soltanto delle catene sacrificali. A un segnale del Gran Sacerdote, il condannato sarebbe stato fatto distendere sul terreno, pronto per la cerimonia della decapitazione. Huy esitava, ipnotizzato da quegli occhi pieni di fierezza. Finalmente, facendo forza su sé stesso, riuscí a distogliere lo sguardo. Abbassò gli occhi e mosse la destra per dare il segnale, ma si fermò di colpo, lo sguardo fisso sui piedi di Manatassi. Intorno a lui, i presenti cominciarono ad agitarsi. Se il sole fosse tramontato, sarebbe stato troppo tardi. Ma Huy continuava a fissare impietrito i piedi del prigioniero. « Il sole sta scomparendo! Muoviti! gridò Lannon incollerito « Mio signore, c'è qualcosa che devi vedere. Guarda! :Huy puntò un dito. Lannon trattenne per un attimo il respiro, corrugando la fronte, e indietreggiò facendo un gesto rituale per scongiurare il male. Le dita dei piedi di Manatassi erano nettamente separate fra loro come gli artigli di un uccello gigantesco. I :l « Le dita del sacro Uccello del Sole :susurrò il Gran Sacerdote, e un mormorio corse fra gli astanti. Huy alzò la voce. « Dichiaro quest'uomo segnato dagli dèi. Non possiamo ucciderlo. :D Prima che avesse finito di parlare, il sole calò sotto l'orlo del mondo e nell'aria si diffuse un'ombra gelida. LANNON sedeva nella sua tenda in preda a un violento impeto di collera. « Tu hai osato sfidarmi, amico. Tu vuoi sottrarre quel barbaro al mio potere. Segnato dagli dèi, ma davvero! Sappiamo benissimo entrambi che molte decisioni degli dèi vengono prese soltanto da Huy Ben-Amon, nell'interesse di Huy Ben-Amon. « Mio signore! :esclamò Huy, sconvolto da quell'accusa sacrilega. « Tu ambisci a esercitare il potere politico. :~ « Non è vero. Non oserei mai. :~ « Oh, sí che oseresti, amico! Tu saresti anche capace di strappare i denti a un gry-leone, se te ne venisse il ghiribizzo. :~ « Mio signore, io sono il tuo sincero e leale... :~ « Vacci piano, Huy. Tu conti troppo sull'amicizia. Voli in alto soltanto grazie al mio favore. Ma io posso abbatterti in men che non si dica. » « Lo so benissimo, mio signore. « Allora consegnami quel barbaro. :~ « Non è in mio potere, sire. Egli appartiene agli dèi. Con un urlo di rabbia, Lannon afferrò una grossa anfora di vino e la scagliò contro la testa di Huy. Il Gran Sacerdote la scansò abilmente e l'anfora sbatté contro il lembo della tenda di cuoio, scivolando a terra senza rompersi. Con un lampo minaccioso negli occhi azzurri, il re si alzò e si avvicinò a Huy, agitandogli il pugno sotto il naso. « Vattene, prima che... :~ Huy non rimase ad aspettare che finisse la frase. IL MATTINO seguente, Lannon si mise in cammino verso Opet con la sua guardia del corpo e seguíto, come sempre, dal fedele boscimano Xhai. Dall'alto delle mura, Huy lo vide partire con un senso d'inquietudine nel cuore. Il re salutava sorridendo la folla che lo applaudiva ma, quando alzò gli occhi e vide il Gran Sacerdote, il sorriso si trasformò in un'espressione corrucciata. Huy, sentendosi solo e vulnerabile, tornò alla propria tenda, dove Manatassi giaceva agonizzante. Il re negro gemeva, mentre una vecchia schiava gli bagnava il corpo, cercando di calmare la febbre. AlI'ingresso di Huy, la donna alzò gli occhi, rispondendo con uno sconsolato cenno del capo al suo sguardo interrogativo. L UCCELLO DEL SOLE « Fa' chiamare un sorvegliante perché gli tolga queste catene ordinò in tono irritato il Gran Sacerdote. Era incredibile vedere come la febbre stesse rapidamente consumando quel corpo vigoroso, vedere la pelle nera assumere un colore grigio cenere e le ossa diventare visibili. Due giorni dopo, Huy salí in pieno meriggio su un'altura, dove la presenza del dio Sole pareva riempire la terra e il cielo. Cantò la preghiera introduttiva, ma lo fece in modo frettoloso, perché era in collera col suo dio e voleva che lui se ne accorgesse. « Grande Baal :mormorò venendo rapidamente al nocciolo della sua proposta, « io ho salvato l'uomo che porta il tuo segno rischiando molto. Ho indebolito la mia posizione di Gran Sacerdote. E con quale risultato? Hai forse deciso che quel barbaro segnato dagli dèi debba morire proprio ora? Fece una pausa. Avrebbe dovuto usare termini piú risoluti? No. Aveva già offeso il re... meglio non correre il rischio di offendere anche gli dèi. Tese le mani nel gesto rituale di saluto al sole e cantò le lodi di Baal con tutto l'ardore di eui era eapaee. Quando l'ultima, limpida nota si fu spenta, tornò al campo e, con un'affilatissima lama di bronzo, ineise il putrido gonfiore ehe s'era formato all'inguine del re sehiavo. Manatassi urlò nel delirio, mentre il venefieo pus, denso e giallastro, sprizzava dalla ferita. Poi, Huy applieò sulla piaga un ealdissimo impaceo di grano bollito, avvolto in tela di lino, per proseiugare la putrefazione. A sera, la febbre era seomparsa e Manatassi dormiva, esausto, ma tranquillo. La veeehia sehiava portò a Huy una eoppa di vino di Zeng, e lui brindò alla salute del gigante addormentato. « Gli dèi ti hanno dato a me. D~ora in poi vivrai sotto la mia protezione, te lo giuro. D E vuotò d'un fiato la eoppa. CHINO sopra un rotolo di cuoio, Huy era intento a serivere eon un inehiostro nero eome la pece. Dal lato opposto della tenda, il re schiavo, disteso su un giaciglio di paglia, osservava attentamente quello strano uomo che trascorreva tanto tempo in un'oceupazione per lui ineomprensibile. Alzò la testa e, guardando le bende di lino ehe ancora lo avvolgevano, sentí di odiare il proprio corpo che lo aveva tradito. Il suo primo pensiero era stato quello di fuggire, ma l'estrema debolezza lo aveva obbligato a rivedere i propri piani. Grazie al potere di cui quel gobbo pareva godere, per il momento era al sicuro, e aveva tanto da imparare! Appena Manatassi aveva mosso il capo, Huy era balzato in piedi. « Aia, porta da mangiare :gridò e sedette su un euseino aeeanto al giaeiglio di paglia. Mentre il re nero mangiava, Huy gli parlò della teoria del simbolismo, spiegandogli che la luna non era proprio la dea Astarte, ma soltanto il suo simbolo. I suoi sforzi per istruire il re barbaro non furono del tutto inutili. Manatassi accettò prontamente Astarte e Baal come dèi. Quando torneremo a Opet gli disse Huy, « verrai consacrato al loro servizio, perché porti il loro segno. Ho seelto per te un nome di fede. D'ora in poi, ti ehiamerai Timone, dal nome del saeerdote-guerriero del quinto Gry-Leone. Un grande uomo! « Timone... :Il re schiavo ne assaporò il suono senza capire, ma soddisfatto di avere il tempo e la possibilità di imparare. Nobile signore, quei segni che fai sopra il cuoio D domandò, a ehe cosa sono? Huy andò a prendere il rotolo di cuoio e spiegò pazientemente al prigioniero i segreti della serittura, soddisfatto della prontezza eon la quale Timone afferrava i prineipii dell'alfabeto fonetieo. Serisse "Timone" su un pezzetto di cuoio, poi ne scandí le sillabe ad alta voce insieme con il suo allievo, che rideva felice della propria bravura. SUL PLASTICO di argilla, il console romano premeva con le sue legioni eontro il punto debole dello schieramento di Annibale, quello eentrale, ehe infatti eedette: gli iberiei e i galli del generale eartaginese si ritirarono, seeondo gli ordini rieevuti. « Lo vedi, Timone? Vedi la genialità della mossa? :domandò Huy in lingua puniea, manovrando eon entusiasmo le opposte sehiere. « E Marhabel dov'era, in quel momento? ribatté nella stessa lin- gua Timone, non meno eecitato di lui. In quei due anni, aveva imparato a parlare eorrentemente il punieo. Era qui... disse Huy indieando la cavalleria, pronto a intervenire. Dopo aver lasciato penetrare i romani nel proprio schieramento, accerchiandoli, che cosa fa Annibale? « Lancia nella mischia le riserve? arrischiò Timone. Esatto! Le riserve composte di numidi e di africani. :Huy si agitava infervorato. « Con tempismo meraviglioso, le lancia contro i fianchi dei romani, chiudendoli in una morsa. E ora, Timone... ehe aeeade ora? « La eavalleria? Sieuro! La eavalleria... Marhabel, il fedele fratello, ehe è rimasto in attesa per tutta la giornata.Va'!" gli grida Annibale... Huy tese un braeeio in un ampio gesto. a E la eavalleria piomba addosso ai romani. Tempismo perfetto. L~azione giusta al momento giusto. « E il risult~to? domandò Timone. « Fu la vittoria? i Certo. La battaglia di Canne: otto legioni romane spazzate via fino all'ultimo uomo. Con un solo eolpo della mano, Huy roveseiò tutte le legioni romane. Eeeo, abbiamo finito i nostri studi sulle eampagne di Annibale. Timone gli porse il mantello e il Gran Sacerdote ne agganciò la fibbia mentre usciva dalla scuola annessa al tempio, seguito da Timone. Il re venda indossava la corta tunica azzurra della casa di Huy, stretta alla cintola da una leggera catena d'oro, alla quale erano appese una daga e una borsa, segno dell'alta fidueia di cui godeva come guardia del eorpo. Timone eamminava alla sinistra di Huy, a un passo di distanza dal suo padrone, per non intraleiarne i movimenti del braeeio ehe impugnava la spada. Appena uscirono dal cancello principale del muro di cinta del tempio, la folla li riconobbe e si accalcò intorno a loro, acclamando Huy, cercando di toccarlo, ridendo dei suoi motti di spirito e sperando che Timone distribuisse qualche moneta. Huy amava quella popolarità. Generale vittorioso - v'erano state altre due campagne dopo la grande tratta degli schiavi - sacerdote venerato, insigne sapiente e scrittore di inni, ricco filantropo, Huy Ben-Amon era adulato da tutta la città. Attraversata la piazza del mercato, affollatissima e odorosa di spezie, di pellami e di fogne a cielo aperto, i due proseguirono lungo l'argine di pietra che costeggiava il lago. Oltre la rumorosa zona del porto, si stendeva il quartiere dove sorgevano le case delle famiglie nobili e dei ricchi mercanti, protette da alti muri di cinta e da pesanti cancelli di legno scolpito. Lí, si trovava anche la nuova casa di Huy, cui si accedeva da un vialetto chiuso fra due muri. Raggiunto il cortile centrale lastricato, Huy porse a Timone la spada e il mantello. Ad attenderlo, c'erano quattordici giovanissimi principi e principesse, che gli sciamarono incontro, circondandolo. Huy si era assunto il compito dell'istruzione religiosa di tutti i bambini della famiglia Barca e, benché i rapporti fra lui e il re fossero andati progressivamente raffreddandosi, Lannon lo lasciava fare. Sellene, una delle bambinaie della casa reale, dopo che Huy fu entrato in casa con tutti i principini, andò incontro a Timone. Alta e forte, con la vita snella e i fianchi prosperosi, aveva i capelli lucenti d'olio e vestiva alla maniera delle donne venda, perché apparteneva anch'essa alla tribú di Timone. Catturata anche lei nel corso della grande tratta degli schiavi, aveva uno spirito fiero e indomito che l'accomunava al re negro. Timone le fece un cenno e lei lo seguí nella sua piccola stanza, nell'ala degli schiavi. Lo raggiunse sul giaciglio fatto di canne e di pelli e gli posò il capo sul petto. Quando ti stringo cosí, mi sento ancora il re dei venda susurrò Timone. Con quelle sue mani che avrebbero potuto stritolare senza fatica un uomo, slacciò delicatamente la tunica di Sellene. « Sarai la mia regina, la madre dei miei figli. « Quando avverrà? :La voce della donna tremava di commozione. « Presto promise lui. « Ho imparato tutto ciò che volevo sapere. Sarò il piú grande re che abbia mai regnato sulla nostra tribú! :~ « NOBILI principi e gentili matrone... :I bambini esplosero in clamorosi strilli di gioia: si divertivano un mondo quando Huy si rivolgeva loro chiamandoli in quel modo. « Oggi ho una straordinaria sorpresa per voi. Scoppiò un altro pandemonio. Le sorprese di Huy erano sempre straordinarie. « Stasera conoscerete la sibilla di Opet. :La gazzarra cessò di colpo. Anche i piú piccoli, non ancora in grado di capire, furono contagiati dall'aria di solenne serietà dei fratelli maggiori, che avevano udito parlare piú volte della sibilla: le loro bambinaie ricorrevano spesso al suo nome per ridurli all'obbedienza. E ora che stavano per vedere in carne e ossa quella mitica creatura, si sentivano addosso i brividi. Quando Tanith entrò, rovesciò indietro il cappuccio del mantello e sorrise. « Sono venuta per raccontarvi una storia esordí con dolcezza. Il suo sorriso incoraggiante e quella promessa allentarono la tensione. I bambini le si avvicinarono. « la storia del matrimonio fra il nostro grande dio Baal e la dea Astarte... » Tanith cominciò a narrare le vicende cui era ispirata la festa della Fertilità della Terra, che si celebrava ogni cinque anni, per la durata di dieci giorni. La celebrazione di quell'anno, il 300 dalla fondazione della città, era la sessantesima, e sarebbe cominciata il giorno seguente. I bambini ascoltavano affascinati il racconto di Tanith e Huy guardava la giovane sacerdotessa con tutta l'ammirazione dell'uomo perdutamente innamorato. In due anni, Tanith aveva raggiunto la serenità di mente e di corpo necessaria al suo ruolo di veggente e di occulta consigliera del regno. Anche se le sue predizioni erano ispirate da Huy, era pur sempre lei a pronunciarle, e in tono assai convincente. Molti dei recenti successi del Gran Sacerdote erano dovuti alle risposte di Tanith ai mercanti di Opet che avevano chiesto consigli. Per mezzo suo, Huy riusciva a tenere ancora una mano sul timone dello Stato, benché avesse perduto il favore del re. Lannon, infatti, andava regolarmente a consultare l'oracolo. La festa della Fertilità della Terra sarebbe cominciata appunto con la visita del re al santuario della profetessa, vicino al laghetto di Astarte. Quello era in realtà il vero motivo per cui Huy aveva invitato Tanith a casa sua: doveva istruirla sulle risposte da dare al sovrano. Lui conosceva in anticipo le domande grazie a certi informatori con i quali - Huy ne era certo - Lannon si era lasciato sfuggire di proposito il segreto, ben sapendo che, dalla bocca della sibilla, avrebbe ascoltato il parere del Gran Sacerdote. Da due anni, ormai, Huy non godeva piú delle confidenze e della compagnia di Lannon e il tempo, invece di lenire il suo rimpianto, lo aveva reso piú acuto. Doveva chiedere a estranei notizie dei banchetti ai quali lui non veniva piú invitato. Per il compleanno del re, aveva composto un'ode e l'aveva mandata a palazzo insieme con un regalo: nessuno lo aveva ringraziato per il dono, e l'ode, a quel che gli risultava, non era stata nemmeno letta. Huy, scuotendosi di dosso la malinconia che ogni volta provava pensando a Lannon, tornò a fissare lo sguardo sulla ragazza che amava. Il vederla lí con quei bambini, allegra e sorridente come fosse lei stessa una bambina, aggiungeva una nuova pena ai suoi affanni amorosi. Se gli ci erano voluti due lunghi anni e molta diplomazia per conquistare la sua fiducia, quanto tempo ci sarebbe voluto per conquistare il suo cuore? E quand'anche avesse raggiunto lo scopo, a cosa gli sarebbe servito? Tanith era consacrata alla dea, non avrebbe mai potuto appartenere a un uomo! Quando la sacerdotessa ebbe finito il suo racconto, Huy chiamò le bambinaie dei principini e la sua attenzione si fermò sulla giovane schiava alta e pensierosa, il cui sguardo cupo e impenetrabile gli dava sempre un senso di inquietudine. « Sellene :le disse, « comincia a far buio. Di' a Timone di accompagnarvi con una lampada fino al cancello del palazzo. :La schiava si limitò ad annuire con un lieve cenno del capo, senza mostrare né gratitudine né risentimento. Partiti i bambini, Huy cenò con Tanith e Aina, la vecchia sacerdotessa mezzo cieca e completamente sorda che lui stesso aveva scelto come compagna della giovane sibilla. Terminata la cena, salí con Tanith su per la scala esterna fino al tetto a terrazza, e, poiché il vento proveniente dal lago era piuttosto fresco, sedette con lei su stuoie di canne al riparo del parapetto. Poi, prese il suo liuto e cominciò a pizzicarne dolcemente le corde, strimpellando il motivo che la ragazza, inconsciamente, aveva imparato ad associare a uno stato di rapimento ipnotico. Mentre le dita scorrevano sullo strumento, Huy si mise a parlare con voce cantilenante e sommessa, che si insinuava suadente nella mente di Tanith, immobile sotto il chiarore delle stelle, con gli occhi fissi nel vuoto. IL PRIMO giorno della festa della Fertilità, Lannon Hyeanus andò in proeessione al tempio di Astarte per consultare l'oracolo. Raggiunta la spaccatura fra le rupi rosse, entrò nella stupenda grotta silenziosa. L UCCELLO DEL SOLE File di sedili di pietra erano allineate attorno al laghetto. Nella parete di fronte, sorgeva il santuario della dea, scavato in parte nella roccia viva, dove si trovavano le celle delle sacerdotesse e l'antro dell'oracolo. Oltre il santuario, si celava l'entrata agli archivi della città, e, ancora piú in là, protetti da una massiccia porta di pietra, v'erano i sotterranei del tesoro e le tombe dei re. Lannon sostò sulla sponda del laghetto e le saeerdotesse gli andarono ineontro per aiutarlo a spogliarsi. Il re rimase nudo, mentre la Gran Saeerdotessa invoeava su di lui il favore della dea, poi seese i gradini ehe portavano al lago e si immerse nelle saere aeque. Due giovani saeerdotesse lo aseiugarono e lo rivestirono di eandide vesti di lino, mentre Huy Ben-Amon eantava le lodi di Astarte. Conelusa quella prima fase della eerimonia, tutti alzarono lo sguardo al grande lastrone di pietra ehe sporgeva dall'apertura al centro della volta della eaverna e Lannon gridò a gran voee: « Astarte, madre della luna e della terra, degnati di aeeogliere il nostro messaggero e di aseoltare le nostre suppliehe! Tutte le persone riunite intorno al laghetto alzarono le mani nel gesto rituale e, a quel segnale, la vittima saerifieale fu gettata dal lastrone. Nella grotta, eeheggiò per un attimo l'urlo del eondannato, poi il suo eorpo urtò la superfieie dell'aequa e il peso delle eatene ehe portava lo traseinò rapidamente nelle verdi profondità. Lannon si voltò ed entrò nel santuario. La eella dell'oraeolo non era vasta. Aleune torce diffondevano una innaturale luce verde nelI'aria, resa densa dal fumo odoroso di erbe che bruciavano lentamente. La sibilla era seduta su un trono, minuseola figura awolta eompletamente in eandide vesti. Lannon si fermò, ammirando suo malgrado gli aeeorgimenti ehe mettevano l'interrogante in una posizione di netto svantaggio. Sealzo, vestito di indumenti insoliti, eostretto a guardare il trono dal basso e a respirare un'aria leggermente drogata, Lannon non poté fare a meno di sentirsi a disagio. In preda alla eollera, il re pose la prima domanda eon voee aspra. Huy osservava la seena attraverso lo spiraglio di una tenda, mentre Tanith rispondeva eon lo stesso tono eantilenante ehe lui aveva usato per istruirla. Quando Lannon aveva già girato le spalle per andarsene, la voee della saeerdotessa lo fermò. C'è dell'altro. Non awezzo a sentirsi dare eonsigli non riehiesti, il re si voltò stupito. Ma Tanith eontinuò a parlare. Il leone aveva un fedele sciacallo che lo awertiva dell'avvicinarsi del eaeeiatore, ma lo ha allontanato da sé. Il Sole aveva un Uccello ehe gli portava in alto la vitti- 139 ma saerifieale, ma ha distolto gli oechi da lui. Ah, orgoglioso leone! Ah, Sole senza fede! Huy trattenne il respiro. Gli erano sembrate parole molto abili, quando le aveva studiate, ma in quel momento, udendole pronunciare ad alta voce alla presenza del re, gli fecero l'effetto di un pugno nello stomaco. Lannon afferrò immediatamente il sottinteso. « Maledizione a te, strega! urlò. « Anche tu ti ci metti, adesso? Quel dannato sacerdote mi tormenta a ogni passo. Esco per la strada e, intorno a me, tutti cantano le sue canzoni I miei ospiti non fanno altro che ripetere le sue sciocche declamazioni, persino i miei bambini... Lannon s'interruppe e prese a passeggiare su e giú per la cella. Poi, con voce quasi impercettibile, sospirò: « Quanto mi manca quell'uomo terribile! Huy quasi dubitava di avere udito davvero quelle parole, perché il re riprese subito a urlare: « Ma ha osato sfidarmi! Mi ha tolto ciò che mi apparteneva... e questo non posso sopportarlo! Cosí dicendo, il re si girò di scatto e uscí a precipizio dal santuario. L'ULTIMO giorno di festa, Lannon Hycanus ricevette il rinnovato giuramento di fedeltà da parte dei sudditi. Alla cerimonia, partecipavano rappresentanti di ciascuna delle nove famiglie nobili, delle corporazioni artigiane e delle potentissime associazioni mercantili. Mentre un sacerdote prestava giuramento a nome di tutta la casta sacerdotale Lannon brontolò sottovoce: « E il Gran Sacerdote Ben-Amon dov'èi « Mio signore, giuro per lui e per tutti i sacerdoti di Baal. Era la risposta che Huy gli aveva suggerito; Lannon non insistette. Quella sera, la città di Opet si abbandonò alle gozzoviglie che sempre concludevano la festa della Fertilità. Lannon invitò i nobili a palazzo; la popolazione si riversò nelle strade, cantando e danzando; i venditori di vino cominciarono a girare tra la folla, e la baldoria ebbe inizio. Per una notte e un giorno, tutte le regole della convivenza civile sarebbero state messe al bando; né mogli, né mariti avrebbero potuto chiedere conto ai propri coniugi delle loro azioni. Molto prima di notte Lannon era già ubriaco fradicio, espansivo e felice come la maggior parte dei suoi ospiti. L'arte delle giovani danzatrici nude veniva messa a dura prova dal nutrito lancio di chicchi d'uva ben matura da parte dei giovani cavalieri. Tutto preso dal vino e dalle chiacchiere, il re non si rese conto che l'atmosfera era cambiata, finché nella sala non regnò un silenzio quasi assoluto. Allora, si guardò intorno, accigliato, e si accorse che i suonatori avevano smesso di suonare e le danzatrici di ballare. Il suo viso assunse un'espressione addirittura minacciosa, quando vide Huy Ben-Amon avanzare con passo sicuro nella sala. Con espressione solenne, il Gran Sacerdote s'inginocchiò davanti al sovrano e la sua voce risuonò limpida e chiara: « Mio signore, sono venuto a rinnovare il giuramento di fedeltà. Tutti sappiano che io ti onoro sopra ogni cosa e che ti sarò lealmente fedele fino alla morte e oltre. Con la mente offuscata dal vino, Lannon fu colto in contropiede, come Huy aveva calcolato. Prima che riuscisse a spiccicare una parola, il Gran Sacerdote si era rialzato. « E come segno della mia lealtà, ti offro un dono. Dietro di lui, entrò nella sala la figura imponente di Timone, che andò a prostrarsi ai piedi del re. « Ma appartiene agli dèi proruppe Lannon in tono brusco. « Lo hai detto tu stesso che era segnato dal dio! :~ Huy si fece forza. Aveva spiegato a Timone e a Baal che era necessario riguadagnare il favore del re e che quello era l'unico modo possibile, ma ciò nonostante si sentiva a disagio. Aveva chiesto a Baal il permesso di rinnegare il segno che marcava i piedi dello schiavo e la risposta del dio era stata un lontano rumoreggiare di tuono: una risposta non priva di ambiguità. « Mi ero sbagliato, mio signore >mormorò. « Attraverso la preghiera e i presagi celesti, gli dèi mi hanno fatto capire che questi se- gni non sono sacri. Lannon lo guardò stupefatto. « Vuoi dire che me lo consegni senza condizioni? Che posso spedirlo immediatamente come messaggero, se voglio? « Ho dichiarato il mio amore per il re » mormorò Huy. Con voce profonda e reboante, Timone recitò la sua battuta in perfetta lingua punica: «Vengo a te come prova vivente di questo amore. Lannon si abbandonò sui cuscini, riflettendo. « Tu stai cercando di prendermi al laccio. Porrai condizioni... « No, mio signore! Niente lacci, soltanto i serici legami dell'amicizia. Si fissarono a lungo negli occhi. Lannon aveva aperto la bocca per respingere il dono, ma, invece di urlare di collera, scoppiò in un'omerica risata. « Vola per me, Uccello del Sole! « Ruggisci per me, Gry-Leone di Opet! Huy sedette su un cuscino ai piedi del re e uno schiavo gli portò una coppa di vino. Ne bevve metà, poi porse la coppa a Lannon che la vuotò d'un fiato e la scaraventò sul pavimento. « Abbiamo sprecato troppo tempo, mio Uccello del Sole. Dobbiamo riguadagnarlo. Che cosa proponi, per prima cosa? L UCCELLO DEL SOLE a Una libagione! gridò Huy, scegliendo un'occupazione molto gradita al suo re. « Ben detto, una libagione gli fece eco Lannon. « Vino... Presto, si porti altro vino! HUY alzò gli occhi al cielo stellato, barcollando leggermente. Astarte, madre della terra, la tua bellezza si è moltiplicata fino a inondarmi l'anima... D Sopra la città in festa, vide brillare quattro lune argentee. Huy chiuse un occhio e tre lune svanirono... Io riaprí e le lune riapparvero « Astarte guida tu i passi del tuo servo fedele! Inciampò in un corpo disteso nell'ombra e si chinò barcollando per vedere se dava segni di vita. Lo sconosciuto russava ed emise un rutto odoroso di vino, mentre Huy lo girava pesantemente sulla schiena. Il Gran Sacerdote ripensò alle decine di convitati che aveva lasciato, nelle stesse condizioni, disseminati nella grande sala dei banchetti, primo fra tutti Lannon, che dormiva con un sorriso beato sulle labbra. « Stanotte siete in buona compagnia, cittadini di Opet mormorò con una risatina, mentre caracollava verso casa. A un certo punto, una figura avvolta in un mantello col cappuccio emerse senza far rumore dal vano di una porta e lo seguí, con passi furtivi, ma risoluti Il viottolo che portava alla casa di Huy era immerso nell'oscurità: soltanto una lampada ardeva tenuemente sopra il cancello, in segno di benvenuto al padrone che tornava. Non appena Huy allungò la mano verso il chiavistello, la figura che lo seguiva gli si awicinò di corsa e gli afferrò il polso. Il Gran Sacerdote si sentí spingere contro il muro di cinta. Il vino gli aveva intorpidito i riflessi: prima che potesse aprire bocca per chiamare aiuto, due labbra morbide si posarono sulle sue. Huy cercò di stringere la donna, ma lei s'era già allontanata, scomparendo rapida dentro la casa. Huy la rincorse. Nell'atrio, una sommessa risatina canzonatoria lo trascinò a passo di carica verso la sua stanza. Accanto alla lampada da notte, era ritta la donna del mantello, col viso completamente nascosto dal cappuccio. Huy avanzò verso di lei, e, nello stesso istante, la ragazza si chinò e spense il lume con un soffio. Nel buio, il Gran Sacerdote ritrovò una certa lucidità. Stava rapidamente riprendendosi dalla sbornia e il suo orecchio percepiva sommessi fruscii nell'aria. Fece un balzo e le sue dita sfiorarono una pelle morbida. Chiunque fosse, la donna si era liberata del mantello ed era lí, davanti a lui, nuda come un bimbo appena nato Huy le saltò addosso come un leopardo sulla preda, la afferrò alla vita e la portò di peso, scalciante, verso la montagna di pellicce che gli faceva da letto. Vi si lasciò cadere sopra, con la donna stretta fra le braccia. « Chi sei? domandò in un susurro. Ma le labbra di lei soffocarono la domanda e, dopo un momento, la risposta non gli sembrò piú tanto importante. QUANDO Huy si svegliò, il rosa tenero dell'aurora tingeva le pareti della camera. Si tirò su appoggiandosi a un gomito e guardò la donna che dormiva al suo fianco. Lei aprí gli occhi. « Che la benedizione di Baal scenda su di te, Padre Santo! « Tanith! esclamò sgomento e in preda a un terrore superstizioso. « Sí, mio signore :mormorò lei con un sorriso. « Abbiamo commesso un peccato contro la dea :susurrò Huy. « Rinnegare il mio amore per te sarebbe stato un peccato contro la natura. Tanith si rizzò a sedere e lo baciò senza rimorsi. « Amore? :Quella parola fugò per un attimo i timori del Gran Sacerdote. « Ma la mia persona... Ia mia schiena... come puoi amare uno come me? « La tua schiena è una parte di te, della tua bontà, della tua saggezza. Huy rimase a fissarla per un lungo momento, poi la strinse impacciato tra le braccia. « Oh Tanith! :ansimò. « Che cosa faremo ora? ERA il tramonto, e Huy, in vetta al colle appena fuori della città, osservava il suo dio che si congedava dalla terra. Aveva trascorso la giornata chino sui libri sacri, studiando a fondo le regole che guidavano la vita dei sacerdoti, analizzando i loro doveri verso gli dèi e verso gli altri componenti della casta sacerdotale. Pensando di avere finalmente trovato una giustificazione per il proprio comportamento, era venuto a perorare la propria causa. Non appena il sole saettò un ultimo strale d'oro sulla cresta del colle, Huy intonò l'inno di lode a Baal, con tutta la devozione e ]a bravura di cui era capace, poi pronunciò l'arringa, basando la propria difesa sul principio che quanto veniva considerato perfettamente naturale fra Baal e la sua compagna Astarte poteva essere giustificato anche fra i loro rappresentanti sulla terra. « Grande Baal e celeste Astarte :concluse, « se il mio ragionamento è errato, merito la vostra collera e, benché sia il vostro servo fedele, la piú severa delle punizioni. Fece una pausa. « Voi che avete amato, abbiate compassione di chi ama. Scese il colle, soddisfatto della propria autodifesa. Quando rientrò in città, il cielo luccicava di stelle e la brezza leggera che gli shorava il viso sembrava la carezza delle morbide trecce di Tanith. Percorse L UCCELLO DEL SOLE le strette strade di Opet crogiolandosi al calore della propria passione. « Tanith! susurrò. « Oh Tanith! » Mentre varcava il cancello del palazzo, notò con la coda dell'occhio una figura muoversi nell'ombra. La luce della lampada vicino alI'entrata illuminò il bel viso di Sellene, la bambinaia. Huy stava per proseguire, quando dall'oscurità emerse un uomo che si diresse verso la schiava, e il viso della ragazza si addolcí in un'espressione di sincero amore. Il Gran Sacerdote riconobbe subito Timone. I due schiavi si abbracciarono, e Huy sorrise intenerito, con tutta la comprensione dell'innamorato per altri innamorati. "Devo parlare con Lannon" pensò. "Potremmo farli sposare, quei due." Una volta nella sua camera, Huy prese un rotolo di cuoio e cominciò a scrivere una poesia dedicata a Tanith e, in breve tempo, si dimenticò completamente di Sellene e di Timone. Poco dopo mezzanotte, il Gran Sacerdote, sopraffatto dalla stanchezza, crollò addormentato con la testa sullo scrittoio. Venne svegliato da due mani che lo scuotevano bruscamente. Era Mursil, il maestro di caccia. « Il Gry-Leone ti vuole subito Padre Santo Due schiavi sono fuggiti. Il re ti invita a partecipare all'inseguimento. Benché non fosse ancora del tutto sveglio, Huy capí immediatamente chi fossero i due fuggiaschi e si sentí sconvolgere dalla nausea. Guardò Mursil. « No » mormorò. « Non posso venire. Di' al re che mi sento male. » FAVORITI dalla vivida luce della luna, Timone e Sellene avevano camminato in fretta. Ci sarebbero volute due settimane per raggiungere il Grande Fiume, perciò, in quelle prime ore di fuga, si erano preoccupati di mettere la maggiore distanza possibile fra loro e gli inseguitori. Fecero soltanto una breve sosta a un guado per bere e riposare un poco, poi proseguirono veloci. Ma, quando la luna tramontò, rimasero solo le stelle a illuminare il loro cammino e, in un tratto accidentato del sentiero, Sellene cadde pesantemente Timone si inginocchiò accanto a lei. « La caviglia! gemette la ragazza con voce arrochita dal dolore. La parte offesa scottava e cominciava già a gonfiarsi. Con la spada che aveva con sé, Timone tagliò alcune strisce dal suo mantello e legò stretta la caviglia di Sellene, come Huy gli aveva insegnato Cercò di fare il piú in fretta possibile, morso dalla paura, poi aiutò la ragazza ad alzarsi. « Ce la fai a camminare? :~ Sellene si aggrappò a lui e fece qualche passo, ansimando per il dolore. « Non ci riesco, Timone. Scappa senza di me. Lasciami qui. » Lui la aiutò a distendersi sul terreno, poi annodò i loro due mantelli facendone una specie di ampia fascia che awolse intorno al corpo della donna. Infine, ne legò insieme le estremità, se le passò sopra le spalle, sollevando Sellene, e si rimise in marcia. A mezza mattina, la stoffa aveva profondamente segnato il collo di Timone, il caldo s'era fatto insopportabile e le gambe dello schiavo avevano perso da un pezzo la loro elasticità. Al margine di una radura, Timone si fermò, appoggiandosi a un albero. Non osava metter giú la ragazza, per il timore di non avere piú la forza di sollevarla. « Lasciami qui, Timone susurrò lei, « o finiremo per morire entrambi. Lui le fece segno di tacere e rimase in ascolto, trattenendo il respiro. Allora, anche Sellene udí il lontano abbaiare della muta di cani. « Puoi ancora metterti in salvo insistette. Senza di te, non v'è salvezza. Timone la portò, attraverso la radura, fino ad alcune rocce sporgenti dal terreno, e la posò delicatamente a terra, con la schiena appoggiata a un lastrone, poi ripiegò un mantello per fargliene un cuscino e si accoccolò accanto a lei. « Ai fuggiaschi come noi è riservata una morte orribile :osservò Sellene e Timone le sfiorò lievemente una guancia, senza rispondere. « Non sarebbe meglio darci la morte con la tua spada, prima che arrivino? « Se quel piccolo sacerdote è con loro, abbiamo ancora qualche speranza. Ha molta influenza sul re... e fra lui e me esiste un legame. I cani, ormai, erano vicini. Timone sguainò la spada e andò a spiare fra le rocce. Trenta grossi cani con zanne da lupo stavano attraversando la radura, trascinandosi dietro gli uomini che li tenevano al guinzaglio e, dietro di loro, avanzavano cinque elefanti da guerra con le torrette affollate di cavalieri e di sorveglianti. Timone si arrotolò il mantello attorno all'avambraccio sinistro e strinse piú forte la spada. I cani di testa lo scorsero fra le rocce e il loro abbaiare si trasformò in un latrato frenetico. Il primo animale gli si avventò contro con le fauci spalancate, saltandogli al viso. Timone gli affondò la spada alla base della gola, ma, prima che riuscisse a ritrarre l'arma, un altro cane gli balzò addosso. Lo schiavo gli ficcò fra i denti il braccio pro- tetto dal mantello e colpí un terzo animale. Ma erano troppi. Quelle bestie inferocite lo fecero cadere sulle ginocchia, lo azzannarono alla schiena e alle cosce. Poi, all'improvviso, gli uomini che tenevano al guinzaglio gli animali allontanarono i cani a frustate. Timone si rialzò in piedi. Aveva perduto la spada e il sangue gli scorreva a rivoli lungo il corpo, mentre fissava senza poter far nulla l'elefante che torreggiava davanti a lui. La sua ultima speranza svaní, quando notò che fra gli inseguitori non c'era Huy Ben-Amon... e che Lannon Hycanus, il Gry-Leone di Opet, stava ridendo soddisfatto. « Sei stato in gamba, schiavo lo scherní Lannon. Ma la pagherai cara. Il re si rivolse a uno dei sorveglianti. « Non vale davvero la pena di riportarli indietro. Uccidili qui. Timone guardò in faccia il re e parlò con voce forte e chiara. « Io sono la prova vivente di quell'amore disse, ripetendo la frase insegnatagli da Huy Ben-Amon. Gli occhi di Lannon si fissarono in quelli dello schiavo. « Benissimo. :Il re fece un cenno al sorvegliante. « Ma giuro che ti farò maledire il momento in cui hai pronunciato quelle parole. Ti manderò a lavorare alla miniera d'oro di Hulya, legato con catene del peso di due talenti. :Piú di cinquanta chilogrammi di catene da trascinare dietro giorno e notte, durante il lavoro e durante il riposo. « Riporteremo indietro anche la donna. Marcerà incatenata alla torretta di uno degli elefanti. Solo allora, Timone parve scuotersi. Fece un passo avanti. « Signore, non può camminare. Ha... « Oh, camminerà! I'interruppe Lannon. « Altrimenti, la trascineremo. Puoi salire in groppa all'elefante e incoraggiarla, se vuoi! HUY si versò una coppa di vino da una delle sue anfore speciali, che teneva in serbo per le occasioni particolari. Canticchiava sommessamente fra sé e, di tanto in tanto, un lieve sorriso gli illuminava fugacemente il viso e gli faceva splendere gli occhi scurissimi. Per la prima volta dal giorno terribile in cui il cadavere straziato di Sellene era stato trascinato in città da un elefante, riusciva a distrarre la mente da quel ricordo e dall'immagine di Timone curvo sotto il peso delle catene, con lo sguardo fisso su di lui e i pugni levati in gesto di minaccia... o forse di supplica. Finalmente, era riuscito a bandire quella visione dalla propria mente. Quel giorno, tutto il suo essere era preso dal pensiero dell'amore per Tanith. Indossate le vesti piú belle, aveva mandato uno schiavo a prendere la giovane sacerdotessa. Con molta attenzione, increspando le labbra in un atteggiamento pensieroso, Huy versò da una fiala di vetro quattro gocce di un liquido trasparente dentro una coppa di vino, lo rimestò con l'indice, poi si succhiò il dito, arricciando il naso al lievissimo sapore di muffa del soporifero Aggiunse un poco di miele per mascherare quel gusto amarognolo e infine, soddisfatto, posò la coppa sopra uno sgabello di legno accanto a una pila di cuscini. Quindi, prese il liuto e salí sulla terrazza, pizzicò le corde per sciogliere le dita, provò la voce e rimase a fiss~re il vialetto d'accesso. Quando due figure, avvolte in mantelli col cappuccio, apparvero in fondo alla stradina, Huy trattenne il respiro. Una stava affrettando il passo e l'altra esclamò con voce senile: « Non correre cosí, mia signora! Ti prego! Huy sorrise. Uno schiavo andò ad aprire il cancello e, mentre le due donne attraversavano il cortile, il Gran Sacerdote trasse una nota dal suo strumento. Tanith si fermò di botto, ma la vecchia accompagnatrice, che non aveva udito nulla, proseguí ed entrò in casa, borbottando. Ií Huy cominciò a cantare la canzone che aveva composto per Tanith t e quando l'ultima nota svaní nell'aria della sera, Tanith scostò il cap- puccio dal viso e alzò gli occhi verso di lui: le labbra le tremavano. Sceso in cortile, Huy la guidò dolcemente dentro casa. La vecchia sacerdotessa s'era già accomodata sui cuscini e stava lamentandosi dei dolori che l'affliggevano. Huy prese la coppa del vino drogato. « Ha un fisico robusto? domandò a Tanith accennando col capo alla vecchia. « Piú di molti uomini. Perché? :~ « Le ho messo un po' di sonnifero nel vino, ma non vorrei che dormisse in eterno. « Oh Padre Santo, che idea brillante! » Tanith batté le mani, un gesto infantile che inteneriva sempre Huy. « Quanto gliene hai messo? « Quattro gocce. :~ « Forse qualcuna di piú non le farebbe male. . Mentre i due si scambiavano quelle battute, la vecchia sacerdotessa li guardava annuendo con comprensione, come se udisse tutto. Huy la osservò per un momento. « No dichiarò poi. « Quattro sono sufficienti. :~ Tese la coppa ad Aina, il cui viso grinzoso si aprí in un sorriso senza denti. « Hai un cuore gentile, Padre Santo. :9 Huy e Tanith si sedettero di fronte a lei, tenendola d'occhio mentre parlavano. L'anziana sacerdotessa sorseggiò il vino con gusto, finché la coppa ormai vuota non le sfuggii dalle dita e lei si piegò in avanti cadendo in un sonno profondo. Huy si affrettò a sostenerla e la fece sdraiare sui cuscini. Sistemata la vecchia, Huy e Tanith si abbracciarono, stringendosi l'uno all'altra con passione. « Oh, Tanith, ho tante cose da dirti! « Mio signore, la tua voce è la piú dolce che io abbia mai udito, la tua saggezza e il tuo spirito sono famosi in tutti e quattro i reami... Ma, ti prego, non parlare ora! E lo trascinò dolcemente fuori della stanza. Nei mesi che seguirono, I'accompagnatrice di Tanith mostrò una spiccata predilezione per il vino del Gran Sacerdote. Durante le feste al tempio, non perdeva occasione per lodarne la qualità e sempre aggiungeva una parola di elogio per il Gran Sacerdote. « Un uomo tanto, tanto caro » diceva alle altre sacerdotesse. « Non ha grilli per la testa come certi Padri Santi che corteggiavano le novizie quand'ero giovane io... :D E sorrideva, intenerita da quei lontani ricordi. IL GRY-LEONE era molto soddisfatto, ma cercava di non darlo a vedere. Ritto davanti alla finestra, osservava il porto, dove si stava scaricando della merce da cinque galee Nella stanza, alle sue spalle RidAbbi leggeva con voce impersonale: « Arrivate oggi a Opet daile savane meridionali cinquantotto grandi zanne di avorio, per un peso complessivo di sessantanove talenti. « Hai assistito personalmente alla pesatura? domandò Lannon. « Come sempre, mio signore. Lannon emise un lieve grugnito e, quando Rid-Abbi riprese a leggere, si perse dietro ai suoi pensieri. Pensò a Huy e un brivido scosse la sua sicurezza. C'era un'incrinatura nella loro amicizia: Huy non era piú lo stesso con lui, e il re si soffermò a cercarne i motivi. Quel deterioramento dei loro rapporti non era la conseguenza del lungo distacco: c'era qualcos'altro. Il Gran Sacerdote sembrava schivo, chiuso in sé... Lannon corrugò improvvisamente la fronte. Una parte del suo cervello aveva registrato ciò che Rid-Abbi stava dicendo. « Che cosa? Un calo nella produzione d'oro di Hulya? « Mio signore, c'è stata una grossa frana nel lato sud della miniera. :Rid-Abbi non finiva mai di stupirsi del fatto che, fra una caterva di cifre, il re riuscisse immediatamente a individuare il minimo calo nella produzione di una delle decine di piccole miniere. Lannon ordinò di sostituire subito il sorvegliante di Hulya. « Non ammetto negligenze... Si perde oro, si sprecano schiavi di valore. Mentre Rid-Abbi annotava l'ordine, i pensieri del re tornarono al Gran Sacerdote: la sua presenza era lo zenzero che rendeva piú gustoso ogni trionfo, la consolazione che rendeva piú accettabile ogni sconfitta. In uno dei suoi rari momenti di onestà, Lannon si rese conto che Huy Ben-Amon era il solo essere umano cui potesse guardare come a un amico. La sua posizione di re lo isolava da tutti. "Ho bisogno di lui molto piú di quanto lui non abbia bisogno di me" confessò a sé stesso. "Ma io distruggerò qualsiasi ostacolo che dovesse frapporsi tra noi due!" Pensò all'attuale assenza di Huy. Era proprio necessario che il Gran Sacerdote si sobbarcasse a un viaggio di seicentocinquanta chilometri, portandosi appresso due coorti della sua legione e la profetessa di Opet, soltanto per andare a consacrare un trascurabile santuario nel reame settentrionale? O aveva lasciato la capitale per qualche oscura ragione personale? Un frettoloso trepestio di piedi interruppe il corso dei suoi pensieri. Uno degli alti ufficiali del re irruppe nella stanza, seguito da un centurione vestito di un mantello impolverato e di un'armatura che aveva perduto ogni lucentezza. « Mio signore... pessime notizie. Un'insurrezione di schiavi a Hulya. « Quanti rivoltosi? » « Moltissimi. Non si sa con certezza. Ma quest'uomo era presente. Il re si rivolse al centurione esausto. « Parla. » « Facevo parte di una pattuglia in perlustrazione verso nord, mio signore. Abbiamo visto il fumo, ma, quando siamo arrivati alla miniera, era già troppo tardi. Gli schiavi avevano aperto i recinti e trucidato gli uomini di guardia. Fece una pausa, rammentando i suoi compagni con l'addome squarciato. « Erano già fuggiti, ma per qualche tempo li abbiamo seguiti verso settentrione. Procedevano lentamente, saccheggiando e incendiando tutto ciò che incontravano sul loro cammino. « Quanti erano? « Cinquemila da Hulya, ma hanno aperto una decina di altre miniere e anche gli schiavi delle campagne si sono uniti ai fuggiaschi. :~ « Devono essere almeno ventimila » arrischiò l'alto ufficiale. « Ventimila... :mormorò Lannon. « Per il sacro nome di Baal, quali forze abbiamo per contrastarli? « Due legioni a Zeng rispose l'ufficiale. « Un'altra qui a Opet, e altre due lungo il Grande Fiume. « Tutte troppo distanti. Abbiamo altre truppe disponibili? » « C'è il Gran Sacerdote a Sinal con due coorti :9 mormorò il centurione. Lannon lo guardò stupito. S'era completamente dimenticato di Huy. « Milleduecento uomini contro ventimila :osservò l'ufficiale. « Sarebbe una follia tentare la sorte in simili condizioni... e il mio signore Ben-Amon non è davvero un folle. Non darà battaglia. Lannon sorrise. « Sta' tranquillo, Ben-Amon darà battaglia. Quando e dove, lo sceglierà lui. Io mi metto subito in marcia per accorrere in suo aiuto. Fa' mobilitare immediatamente tutte le legioni di riserva... » « Cl SARA una battaglia? domandò Tanith, con gli occhi che sprizzavano scintille per l'emozione. « Come quelle delle tue canzoni? :~ Huy si limitò a grugnire, mentre scriveva al comandante del presidio di Sett: "Quali guadi sono transitabili? Ti raggiungerò fra sei giorni. Intendo impedire al nemico il passaggio del fiume a..." Tanith scivolò alle sue spalle e gli fece il solletico a un orecchio. « Mio signore... « Ti prego, Tanith! Devo pensare a cose molto piú urgenti. « Niente è piú urgente che rispondere alla mia domanda. Ci sarà una battaglia? « Ma sí che ci sarà rispose Huy, spazientito. « Oh, che bello! Tanith batté le mani. « Non ne ho mai vista una. «E non ne vedrai nemmeno adesso. Tornerai a Opet e ci resterai finché tutto non sarà finito. :~ Tanith fissò incollerita la nuca del Gran Sacerdote. « Questo, Padre Santo :susurrò con voce quasi impercettibile, « è soltanto ciò che tu hai deciso! Quella notte, la giovane sacerdotessa rimase sveglia ad ascoltare le voci provenienti dalla tenda di Huy, attigua alla sua. Per tutta la giornata, aveva udito storie di stupri e di stragi, raccontate dai profughi. Un grosso esercito di schiavi stava avanzando verso di loro e, per fermare quei selvaggi, c'erano soltanto Huy Ben-Amon e il suo manipolo di eroi, in proporzione di uno contro venti. Era come una leggenda, e Tanith non voleva perdersi lo spettacolo. La mezzanotte era passata da un pezzo, quando la profetessa, scossa da violenti brividi, scivolò nella tenda di Huy, steso sul suo giaciglio al buio. Il Gran Sacerdote domandò allarmato: « Cosa è accaduto, amore mio? « Oh mio signore, ho fatto un sogno! Un sogno di malaugurio. Gli gettò le braccia al collo. « Camminavo di notte in un campo illuminato soltanto da roghi funebri... Huy la strinse forte a sé. Era davvero un presagio funesto. « Io piangevo, mio signore. Poi, a un tratto, ho visto la nostra dea Astarte, che mi rimproverava aspramente. "Questo non sarebbe mai accaduto, Tanith, se tu mi fossi rimasta fedele!" :~ Huy fu subito assalito da un dubbio. Quella storia era troppo ben congegnata per essere vera, e lui sapeva perfettamente che Tanith 150 era capace di qualsiasi cosa, quando aveva uno scopo. « Tanith » I'ammoní severamente, scrutandola in viso, sai bene che è molto grave travisare le parole degli dèi! Lei annuí con convinzione. « Lo so, Padre Santo. Incapace di sostenere un minuto di piú quello sguardo indagatore, nascose il VlSO contro il collo di Huy, provando un brivido di piacere nel ripagarlo con la sua stessa moneta. Lo aveva visto fin troppo spesso servirsi delle sue sacre prerogative per i propri scopi. « E va bene :sbuffò lui. Resterai con me. :Tanith celò un sorriso di trionfo dietro la barba ricciuta del Gran Sacerdote. PER CINQUE giorni, Huy osservò l'imponente orda di schiavi che si spostava verso il Grande Fiume. Il Gran Sacerdote si ritirava davanti a essa, usando con intelligente parsimonia le proprie esigue forze. Il quinto giorno, raggiunse il presidio di Sett e il comandante, I'anziano Gaio, si mise ai suoi ordini con milleottocento tra fanti e arcieri, dodici elefanti addestrati alla guerra, due galee con cento remi e tutto il considerevole arsenale del presidio. Dalle mura della città, Huy e Gaio potevano vedere la gran moltitudine di schiavi che scendeva verso il guado. « Attraverseranno il fiume in quel punto, domani :disse il Gran Sacerdote. « E domani li distruggerò. » Gaio lo guardò di sottecchi. "Distruggere" gli sembrava un vocabolo un po' forte, per un generale che poteva disporre di tremila uomini contro trentamila. Huy, vedendo l'espressione sconcertata dell'anziano comandante, lo prese per un braccio. « Una coppa di vino? :suggerí. « Stare di vedetta e aspettare fa venire una gran sete. Quella sera, I'anith, Huy e i suoi ufficiali cenarono con Gaio, e, dopo avere mangiato, il Gran Sacerdote e la profetessa intrattennero i commensali con i loro canti. Infine, Huy parlò della battaglia imminente, ammonendo i suoi ufficiali a non sottovalutare il nemico. « Per poco, io stesso non ho pagato a caro prezzo un errore del genere :raccontò. « Due giorni fa, ho voluto saggiare la resistenza al centro del loro schieramento e l'ho trovata cedevole come burro, ma, sia lode a Baal proseguí, tendendo le mani nel gesto rituale alla divinità, « quando stavo per impartire l'ordine di sferrare un attacco frontale con tutte le mie forze, sono stato messo in guardia da un'i- spirazione degli dèi. Ho osservato le ali nemiche, che, naturalmente, sopravanzavano le mie e le ho viste attestate in uno schieramento saldissimo. Anzi, mi parve che le truppe migliori fossero disposte proprio sui fianchi e, improwisamente, mi ricordai di Canne, dello stratagemma col quale Annibale aveva intrappolato il console romano... Huy s'interruppe, mentre il viso gli si illuminava come se avesse fatto un'improwisa scoperta. « Canne! Annibale! Il plastico della battaglia, la propria voce L UCCELLO DEL SOLE che spiegava, Timone che ascoltava intento... Timone era stato mandato alla miniera di Hulya... E chi altri poteva avere trasformato un'orda cenciosa di schiavi in un vero esercito? « E Timone che li guida! esclamò. « Può essere soltanto lui! :D CON amorosa attenzione, Tanith gli intrecciò la barba, poi gliela ripiegò sotto il mento e all'indietro, in modo che non potesse restare impigliata nella corazza o offrire un appiglio a un nemico disperato. Infine, si inginocchiò a legargli i lacci dei gambali e gli sistemò le pieghe del mantello. Sorrideva, ma, nelle sue sommesse parole d'amore, Huy avvertiva il brivido della paura. La baciò. « Oh, Huy :D sospirò lei. « Amore mio! :~ Quand'ebbe finito, andò a prendere la bipenne con gli avvoltoi e avvicinò la lama alle labbra. « Non tradire il mio signore! supplicò. Nel buio che precede l'alba, gli ufficiali fecero una rapida colazione sui bastioni del forte, dai quali si poteva vedere l'esercito degli schiavi accampato lungo il fiume, piú a monte. Quando Huy li raggiunse, gli ufficiali lo accolsero con chiassoso buon umore. Il Gran Sacerdote osservò la fitta nebbia che copriva il fiume. Maledizione! Non si riesce a vedere se le prime linee hanno già attraversato il guado. Devo mandare una galea in perlustrazione? domandò Gaio. « No, non importa. Tanto lo sapremo presto. Non voglio attirare l'attenzione sulle galee. » Huy si versò una coppa di vino caldo e la sollevò all'indirizzo dei suoi compagni. « Che la fortuna guidi le vostre spade augurò sommessamente. Quando il sole apparve sopra l'orizzonte brumoso, Huy intonò il saluto a Baal. In piedi, a capo scoperto, chiese agli dèi il loro aiuto per giungere felicemente alla fine di quella giornata, poi si volse di scatto verso i suoi uomini. « Bene, tutti ai vostri posti! :D Infine, trasse in disparte Gaio. « Hai un uomo fidato per proteggere la sacerdotessa? Gaio chiamò con un cenno un anziano fante brizzolato. a Rimarrò io con lei dichiarò l'uomo. E se dovesse correre il pericolo di cadere in mano dei nemici, la... :~ « Bene I'interruppe Huy. « Se sarà necessario, fallo con un colpo rapido e sicuro. Si allontanò velocemente e scese verso il fiume, dove una piccola imbarcazione l'aspettava per portarlo a bordo della galea piú grande. Lí giunto, si mise a osservare lo svolgersi degli av152 venimenti e attese. Il sole aveva diradato la nebbia e l'esercito degli schiavi era impegnato a guadare il fiume. Venti funi erano state tese dalla sponda meridionale all'isolotto che emergeva in mezzo al corso d'acqua e altre funi stavano per essere lanciate da lí alla sponda settentrionale. Quindici o ventimila uomini erano già scesi in acqua e Huy rimase a osservarli, mentre i primi raggiungevano l'isola con evidente sollievo. Sollievo prematuro, pensò, perché c'era ancora il braccio di acqua settentrionale a frapporsi tra loro e la salvezza. Intanto, gli uomini rimasti sulla sponda meridionale andavano riducendosi di numero e, ben presto, le esigue forze di Gaio avrebbero potuto attaccarli con successo. Quando i primi schiavi cominciarono ad abbandonare l'isola per raggiungere la sponda settentrionale, Huy si trovò davanti a un grave dilemma: se avesse ritardato troppo l'attacco, molti nemici sarebbero arrivati a rifugiarsi tra le fitte foreste della sponda settentrionale, ma, se avesse attaccato troppo presto, Gaio si sarebbe trovato a dover affrontare forze largamente superiori alle sue. Finalmente, il Gran Sacerdote si rivolse al comandante della galea. « Fa' issare l'aureo stendardo di guerra ordinò. Mentre un'acclamazione si levava dai ponti dei rematori, il segnale di battaglia apparve anche sull'altra galea, ancorata a dritta della prima. I cavi dell'ancora vennero tagliati, le larghe pale dei remi si sollevarono nell'aria e le due navi si mossero veloci controcorrente, dirigendosi ognuna verso il braccio d'acqua in cui doveva dar battaglia. « Puntare al centro delle file nemiche ordinò Huy al comandante, e la galea si lanciò contro le funi cui erano aggrappati grappoli di uomini in lotta contro la corrente, le cui teste affioravano alla superficie simili a grosse perle nere. Un crescente tumulto di grida atterrite si levò ben presto al di sopra del rombo delle acque, degli scricchiolii e dei tonfi dei remi, mentre la nave speronava l'una dopo l'altra le corde sovraccariche e la corrente si portava via file di uomini impotenti, sui quali, come al tiro al bersaglio, si abbattevano le frecce degli arcieri di Huy Ben-Amon. Il Gran Sacerdote corse a poppa per osservare la scena. Il fiume pullulava di schiavi annegati o sul punto di annegare; I'isola era addirittura sommersa da una compatta folla di superstiti tremanti, mentre altri stavano lottando per raggiungere la riva. Quella massa brulicante faceva pensare a formiche, piuttosto che a esseri umani. Con quelI'immagine scolpita nella mente, Huy si apprestò a impartire l'ordine successivo. Il comandante della galea lo guardava impaziente. Benissimo, 153 è giunto il momento :D disse Huy. Le due galee si misero di traverso alla corrente e, un attimo dopo, gli uomini rovesciarono in acqua il cosiddetto "fuoco di Baal~. Un liquido denso e oleoso, maleodorante, sul quale il sole si rifrangeva in tanti piccoli arcobaleni, si allargò pian piano sul fiume; poi, come per magia, esplose in alte fiammate dal calore cosí intenso, che Huy fu costretto a indietreggiare. « Per il sacro nome di Baal mormorò, mentre la ruggente lingua di fuoco arancione si propagava sull'acqua, dilagando da una sponda all'altra del Grande Fiume, e investendo l'isola affollata. Huy osservava sbigottito l'orribile spettacolo, pensando a Timone. Se lui, che aveva ordinato quel flagello, ne era terrorizzato, che cosa doveva provare Timone? In quel momento, un fragore di armi lo fece voltare di scatto: le forze di Gaio stavano abbattendosi sulle retrovie nemiche, rimaste sulla sponda meridionale del fiume. Là, Huy ne era certo, doveva trovarsi Timone. Le galee avanzarono lentamente e, dall'alto delle loro postazioni, gli arcieri scaricarono nugoli di frecce sul nemico. In breve, il colore verdognolo dell'acqua si trasformò in rosso vivo. « Un fiume di sangue commentò in tono indifferente il comandante. Huy annuí senza parlare. Capiva che la battaglia era giunta a un punto critico. Le coorti di Gaio non riuscivano a far indietreggiare nemmeno di un metro il nemico e gli stessi uomini del Gran Sacerdote cominciavano a essere stanchi. Huy prese a camminare irrequieto su e giú per il ponte, sperando che Gaio effettuasse la mossa giusta. "Muoviti, Gaio, muoviti!" supplicò fra sé. Finalmente, emise un grugnito di sollievo vedendo gli elefanti da guerra avanzare contro gli schiavi. In un'esplosione di furiosi barriti, i pachidermi caricarono i superstiti, calpestandoli, sollevandoli con la proboscide e scagliandoli verso il cielo. « Avanti! » ordinò il Gran Sacerdote. Le galee si diressero insieme verso la riva e quattrocento uomini armati di scuri e guidati dallo stesso Huy Ben-Amon si riversarono a terra. « Per Baal! gridò il Gran Sacerdote incitando i soldati. Il ter- reno si trasformò ben presto in una fanghiglia rossastra, mentre la battaglia infuriava sanguinosa. Nel mezzo della mischia, Huy scorse Timone. « Timone! urlò. « Sono qui! Vieni a sfidarmi! In risposta, I'ex-schiavo gli scagliò contro la lancia. Huy si chinò e l'arma andò a conficcarsi nella gola di un soldato che si trovava dietro di lui. Rimasto disarmato, Timone si lanciò verso il fiume, saltò nell'acqua insanguinata e nuotò verso l'isola. Il Gran Sacerdote si levò di dosso l'armatura. Completamente nudo, tranne che per una cintura che reggeva la bipenne, si tuffò L'UCCELLO DEL SOLE a sua volta senza esitare. Sull'isola, il venda aveva trovato armi in abbondanza: le lance dei soldati carbonizzati. Mentre Huy posava il piede sulla riva, Timone gli scagliò contro la prima, ma Ben-Amon la deviò con un colpo della bipenne, allontanandola da sé come fosse un insetto molesto. Il negro ne lanciò un'altra, poi un'altra ancora, mentre il Gran Sacerdote avanzava verso di lui sul terreno ingombro di cadaveri, ma ogni volta, la bipenne le faceva volare lontano. Disperato, Timone afferrò una pietra, grossa come la testa di un uomo, e la scaraventò contro l'avversario. Il sasso colpí Huy a una spalla, facendolo cadere, e la bipenne gli sfuggí di mano. Reso incauto dalla collera e dall'odio, Timone gli si gettò sopra, ma Huy balzò in avanti come una molla e lo colpí con una violenta testata appena sotto le costole. Mentre il negro cadeva sulle ginocchia, Ben-Amon gli sferrò un pugno violento all'orecchio, e il gigante crollò privo di sensi sugli scogli. « NON POSSO ucciderti, Timone. La voce di Huy giunse fino a lui da un'immensa distanza, in mezzo a una nebbia grigia. « Meriti la morte come nessun altro, ma ho fatto un giuramento agli dèi. Il viso del Gran Sacerdote cominciava a delinearsi chiaramente, e Timone si rese conto di essere inchiodato al terreno con cinghie di cuoio, le braccia allargate tenute ferme da altre cinghie. Girò il capo quanto bastava per capire che si trovava sulla sponda settentrionale dell'isola, lontano da tutti, solo con Huy Ben-Amon. Sulle rocce, accanto a lui, la fiamma di un piccolo falò stava arroventando il ferro di una lancia. « Fra breve, i miei uomini verranno a cercarmi e ti toglieranno dalle mie mani » disse Huy, che stringeva nella destra la bipenne con gli avvoltoi. « Ho commesso un grave errore, con te. Nessuno al mondo riuscirà mai a domare il leopardo. Tu sei rimasto sempre Manatassi, non sei mai stato Timone. Il legame fra noi due è stato un'illusione. Tu sei nato per distrug~ere tutto ciò che per me è caro. Io sono nato per difenderlo. » Il Gran Sacerdote fece una pausa e il rimpianto nel suo cuore era sincero, quando aggiunse: « Non posso ucciderti, ma ho il dovere verso il mio re e verso il mio popolo di fare in modo che tu non possa mai piú impugnare la spada contro di noi :~. La bipenne con gli avvoltoi sibilò nell'aria. Timone lanciò un urlo, poi continuò a gemere sommessamente, mentre la sua mano destra, troncata di netto, tremava e sussultava come un animale agonizzante sulla terra bruciacchiata dell'isola. Huy prese dal fuoco la lancia arroventata e cauterizzò il moncone sanguinante, poi tagliò le cinghie che trattenevano Timone. « Vattene D disse. « Fuggi, prima che arrivino i miei. Cerca di salvarti a nuoto. HUY trovò Tanith nella sua stanza, il viso mortalmente pallido, gli occhi segnati da profonde occhiaie. « Il cuore mi scoppiava dentro il petto, signore, ma soltanto quando mi hanno detto che eri sano e salvo ho potuto piangere. Huy la strinse a sé. « Ed è stato un avvenimento glorioso ed eroico come cantano i vati? domandò. « stato orribile, mio signore, peggio dell'incubo piú spaventoso. Voi poeti non parlate mai del sangue, delle urla dei feriti... Padre Santo, tu che sei cosí buono, come hai potuto partecipare a una simile carneficina? Il Gran Sacerdote rifletté un istante. Era mio dovere mormorò finalmente. « La legge decreta la morte per gli schiavi ribelli. « La legge è ingiusta. No. La legge non è mai ingiusta. Le leggi sono tutto ciò che abbiamo per salvarci dal nulla. « Allora bisogna cambiare le leggi. « Ah! Huy sorrise. « Cambiarle, forse. Ma finché restano in vigore, dobbiamo rispettarle. IL MATTINO seguente, Lannon giunse a Sett con due legioni al completo e cinquanta elefanti da guerra. « Temo di essere stato troppo avido, mio signore si scusò Huy. « Non ho lasciato neppure uno schiavo per te. Lannon esplose in una delle sue fragorose risate e lo abbracciò. Quella sera, il Gran Sacerdote compose un'ode per commemorare la battaglia. Lannon pianse quando udí quel canto di vittoria, e Huy pianse con lui. Alla fine, il re si alzò. « Non ammetto che versi di tanta bellezza vengano scritti sulla semplice pelle di un animale! » esclamò. « Voglio un rotolo non di cuoio, ma di oro purissimo. Cosí, o mio Uccello del Sole, il tuo canto sopravviverà in eterno. Huy smise di piangere. Subito l'artista prevalse in lui, consapevole del fatto che, forse, il mattino dopo Lannon non avrebbe piú ricordato quella proposta. « Sono profondamente onorato, mio si~nore disse inginocchian~1osi davanti al re. « Vorresti redivere l'or156 dine per il tesoriere? « Scrivilo tu stesso e io lo firmerò subito. Poi, Lannon e Huy si ubriacarono insieme. UNA GOLA profonda spaccava la montagna; tanto profonda che il sentiero s'inerpicava al buio ed era ricoperto da uno strato di muschio sdrucciolevole. Dalle rupi sovrastanti, scendeva una cascatella argentea e il vento sospingeva una nuvola di gelide goccioline contro il viso di Manatassi, che s'arrampicava faticosamente. Il moncone gli doleva in modo atroce, ma il negro proseguiva senza badare al dolore. Piú in alto, sopra un masso che quasi ostruiva la gola, si stagliava la figura di un uomo, immobile, di un'immobilità minacciosa. Poi, altri guerrieri apparvero via via in punti dai quali era facile difendere il passaggio e rimasero a guardare l'uomo che saliva. Quando raggiunse il masso, Manatassi riconobbe nella figura immobile uno dei capi del suo vecchio esercito. Si fermò e lasciò cadere il lembo del mantello che gli nascondeva il viso. L'uomo non riconobbe il suo re in quel volto trasfigurato dalla sofferenza. "Sono cosí cambiato?" pensò Manatassi, amareggiato. "Nessuno mi riconoscerà piú?" I due uomini si fissarono a lungo, prima che Manatassi dicesse: « Cerco Zingala, il fabbro. Durante i pochi giorni trascorsi nel territorio dei venda, era venuto a sapere che il suo trono era stato usurpato dal fratellastro Khani, il quale aveva ucciso la maggior parte dei consiglieri e dei capi militari a lui fedeli. Altri suoi leali sudditi, come Zingala, erano fuggiti e si nascondevano lí, fra quelle montagne. L'uomo accennò con la mano a un punto oltre la gola e Manatassi si rimise in cammino. Non appena uscí dallo stretto passaggio, uomini armati e silenziosi gli si affiancarono e lo accompagnarono verso la colonna di fumo che s'alzava dalla fucina di Zingala. Il vecchio fabbro stava gettando palate di minerale ferroso dentro la bocca di una delle sue fornaci. Quando vide avvicinarsi quel gigantesco straniero con la sua scorta, si raddrizzò e lo fissò, corrugando la fronte. C'era qualcosa di familiare nel modo di camminare di quell'uomo, nel portamento del capo. E quegli occhi! Istintivamente, Zingala gli guardò i piedi. E cadde prostrato in ginocchio. « Comanda! gridò. « Comanda, Manatassi, Grande Bestia Nera! SECONDO gli ordini di Manatassi, Zingala forgiò una zampa di leone con cinque possenti artigli di ferro. La limò e la levigò, poi la arroventò di nuovo e la temprò tuffandola nel sangue di leopardo e nel grasso di ippopotamo. Un abile artigiano modellò quindi un robusto bracciale di pelle d'elefante per fissare l'arti~lio al moncone di Manatassi, creandogli cosí un terribile arto artificiale. L'usurpatore Khani stava spassandosela con una delle sue donne, quando l'artiglio di ferro gli scoperchiò il cranio. IN CAPO a un annO, Manatassi aveva concluso patti di alleanza con tre delle tribú confinanti e ne aveva sottomesso una quarta con una sola sanguinosa battaglia; invece di uccidere tutti i maschi, come era costume fra le tribú, si era limitato a strozzare i membri della famiglia reale. Poi, aveva radunato l'esercito sconfitto, che gli aveva giurato entusiasticamente fedeltà e obbedienza. L'anno seguente,anatassi fece una spedizione fino alla costa occidentale e, con lo stesso sistema, si procurò altri centomila guerrieri Una sola volta, i suoi luogotenenti lo videro tradire un'emozione. Quelli che gli erano piú vicini sapevano che dormiva molto di rado, come se fosse posseduto da una forza irresistibile che non gli consentiva né riposo né gioia alcuna. Un giorno, mentre gli ufficiali scrutavano l'orizzonte dau~alto di una duna gialla al margine della costa occidentale, una delle veloci galee di Opet emerse come una nave fantasma dai banchi di foschia che stagnavano sul mare, con le file compatte di remi che fendevano ritmicamente le onde. Uno dei capi dell'esercito accennò con la mano alle acque grigie. Manatassi se ne stava un po' in disparte, avvolto nella pelle di leopardo che era il segno della sovranità, le piume di airone azzurro dell'acconciatura regale ondeggianti nella lieve brezza che veniva dal mare. Gli ufficiali videro a un tratto il viso del re imperlarsi di sudore, mentre egli contraeva le mascelle, arrotando i denti con un rumore simile a quello di una macina. Un luogotenente accorse presso di lui, temendo che si sentisse male. <Signore... » Manatassi siirò di scat- HUY E TANITH erano amanti ormai da cinque anni, anche se non s~mbrava vero che fosse passato tanto tempo. Eppure era cosí, perché la festa della Fertilità della Terra era nuovamente vicina. Huy sorrise al ricordo della celebrazione precedente e di ciò che essa aveva portato con sé. Non vedeva Tanith da quattro giorni, da quando, cioè, era arrivato alle isole del lago per una partita di pesca con Lannon. Ritto a poppa, il Gran Sacerdote vogava con perizia riportando senza scosse l~imbarcazione verso l'isola sulla quale si erano accampati, in una vecchia capanna. Erano state giornate meravigliose, libere dalle preoccupazioni del governo, che affliggevano entrambi. Appena doppiata la punta dell'isola, videro una galea all'àncora nella piccola baia. Sull~albero maestro, era issato lo stendardo dei Barca. L'UCCELLO DEL SOLE to, infuriato, e gli sferzò il viso con l'artiglio di ferro. Là! urlò, accennando col moncone alla galea che stava scomparendo. « Quello è il vostro nemico. Ricordatevelo! chio ' « 11 mondo ci ha ritrovati, Huy. » Pochi minuti prima, ridevano insieme felici, come ragazzi; in quel momento, invece, la voce di Lannon tradiva un'improvvisa stanchezza. « Sei un ottimo compagno per me, amico mio. Non abbandonarmi mai! Huy arrossí, imbarazzato. « Sta' tranquillo, mio signore :rispose con voce un po' roca. « Sarò sempre al tuo fianco. Nella cabina di poppa della galea, sotto la lampada che oscillava disegnando ombre irreali sui loro volti, ascoltarono incupiti le ultime notizie. Disordini lungo i confini settentrionali, movimenti di grandi masse avvistati a distanza; spie che riferivano voci di uno strano, nuovo dio con artigli di leone, che avrebbe guidato le tribú fino a una terra di erba e di acqua. La tensione fra le popolazioni negre stava crescendo e manovre segrete erano in corso. Lannon rimase qualche istante in silenzio, poi si rivolse all'ammiraglio della flotta reale, Habbakuk Lal. « Dobbiamo tornare immediatamente a Opet. Ritti davanti al parapetto di poppa, Lannon e Huy videro scomparire nel buio la loro isola, mentre la galea si allontanava veloce. « Mi sembra di avere lasciato qualcosa, laggiú » mormorò il re. « Hai anche tu questa sensazione, Huy? « Forse, abbiamo lasciato laggiú la nostra giovinezza. Forse, questi quattro giorni ne hanno segnato la fine... » Rimasero a lungo silenziosi, seguendo il ritmico movimento impresso alla nave dai colpi dei remi. Soltanto quando l'isola fu scomparsa del tutto, Lannon parlò di nuovo. « Andrai al confine, Huy. Devi essere il mio occhio e il mio orec- « NON SARA per molto, amore si scusò Huy, benché Tanith non avesse aperto bocca, apparentemente occupatissima a divorare un enorme grappolo di uva. « D'altra parte, il re non poteva fidarsi di nessun altro, per una missione del genere. « Ne sono certa » mormorò Tanith, leccandosi le dita. « Cosí come nessun altro avrebbe potuto andare con lui a pescare. « Lannon e io siamo stati sempre insieme fin dall'infanzia, mia cara. Quando eravamo giovani, andavamo spesso alle isole. Questo è stato una specie di pellegrinaggio. In fondo, si è trattato soltanto di quattro giorni. :D « Soltanto quattro giorni! Tanith gli rifece il verso. Francamente, non ti capisco. Dici di amarmi alla follia... e poi, basta che 159 Lannon ti faccia un fischio, e corri da lui scodinzolando come un cagnolino e ti rotoli sulla schiena per farti grattare la pancia. L UCCELLO DEL SOLE « Tanith! :Huy scoppiò a ridere. « Sei gelosa! « Certo che lo sono. Lei balzò dal divano e gli si piantò davanti, bene in vista. « Dimmi, non noti niente di diverso in me? Huy scosse la testa, continuando a sorridere. « Guarda meglio :~ insistette lei e inarcò il ventre, facendolo sporgere in avanti e ridendo. « Mangi troppo » osservò Huy. « Stai ingrassando. Tanith scosse la testa. « Il mangiare non c'entra, Padre Santo. :~ Il sorriso si spense di colpo sulle labbra del Gran Sacerdote, mentre la fissava sbalordito. Aveva finalmente capito che cosa Tanith volesse dirgli e si rendeva conto che bisognava fare qualcosa. Il pensiero gli corse per un attimo, ma subito se ne ritrasse, alle sordide vecchie del porto che si occupavano di risolvere situazioni del genere. Forse, gli sarebbe riuscito di organizzare la consacrazione di un nuovo tempietto in qualche zona lontana, dove Tanith avrebbe potuto portare a termine la gravidanza al riparo da occhi indiscreti. Dopo, gli sarebbe stato facile scovare una nutrice fidata in qualcuno dei suoi possedimenti e loro due sarebbero potuti andare di tanto in tanto a trovare il bambino. A un tratto, immaginò la scena e presentí la felicità di vedere suo figlio scalciare e borbottare di gioia all'aria aperta. Tanith gli si accostò e lo abbracciò. « Sei in collera con me, mio signore? » « Ma no; anzi, sono felice. « Speravo che lo saresti stato. Lei sorrise soddisfatta e gli si rannicchiò contro. « Voglio dire, una volta che ti fossi abituato all'idea. Poco dopo, Huy sentí sul collo l'umido tepore delle sue lacrime. « Proprio non posso venire con te al nord? » Tanith fece un ultimo tentativo. « Te ne prego, Padre Santo, amore mio! Huy la strinse forte, carezzandole i capelli, e l'intensità del suo amore Per lei gli gonfiò il petto. Era commosso fino alle lacrime. « No. Dovrò marciare a tappe forzate... e tu devi pensare al bambino. :D Finalmente, Tanith si rassegnò, ma non riuscí a scrollarsi di dosso una sensazione di tristezza. Come talvolta accadeva, le cortine del tempo si erano aperte davanti a lei, lasciandole intravedere ombre oscure che l'atterrivano. Si aggrappò a Huy, che cercò di consolarla e di farle coraggio come meglio poteva. COMANDANTE delle legioni e delle fortificazioni lungo il confine set160 tentrionale era Marmon, vecchio amico di Huy, benché avesse trent'anni piú di lui. Il giorno dell'arrivo, il Gran Sacerdote cenò con Marmon sui bastioni per godere la fresca brezza della sera. I due uomini esaminarono la situazione su un plastico di argilla, perché Huy potesse rendersi conto di come stavano le cose. « Sto organizzando una rete di spie fidate gli spiegò l'amico. « 11 mio informatore piú sicuro è un certo Storch, un ex-schiavo venda. Dovrebbe essere qui fra un'ora. » Alto, agile e armonioso nei movimenti come moltissimi venda, Storch aveva le spalle segnate dalle frustate. Accortosi dell'occhiata del Gran Sacerdote, si affrettò a nascondere le cicatrici con il mantello. A Huy parve di notare un lampo di sfida nei suoi occhi. La spia lo fissò per un momento, poi disse a Marmon: « Eravamo d'accordo che nessun altro mi avrebbe visto in faccia ». « Ma questo è Huy Ben-Amon, Gran Sacerdote di Opet e generale del re. Storch annuí, mantenendo tuttavia un'espressione impassibile. Parlarono per un'ora, poi Huy si rivolse a Marmon. « Tutto ciò è in contrasto con quanto mi avevi detto tu. Quest'uomo non ha mai sentito parlare di un dio con gli artigli di leone. « Quelle voci provengono da una zona piú a est spiegò Marmon. « Allora mi recherò a est » annunciò il Gran Sacerdote. « Partirò domattina all'alba. » « Ti farò trovare pronta una scorta. » « No. Attirerò meno l'attenzione viaggiando da solo. Se quest'uomo è fidato come dici, mi farà lui da guida. » Quando Storch fu uscito, Huy domandò: « Quanto lo paghi? « Oh, assai poco ammise Marmon. « Sale, perline di vetro, qualche ornamento di rame... « Perché lo fa, allora? » mormorò Huy. « Come mai lavora per noi, quando ha ancora sulle spalle i segni delle nostre frustate? « Le azioni degli uomini non mi stupiscono piú! » ribatté l'altro. « Ho visto troppe stramberie per stare ancora a domandarmene il perché. » DURANTE il viaggio, Huy tentò invano di saperne di piú sul conto della sua guida-spia. Storch era un uomo di poche parole; parlava soltanto quando era interrogato e senza guardare mai direttamente negli occhi l'interlocutore. Inoltre, in due dei capisaldi fortificati di- sposti lungo la sponda meridionale del fiume, il Gran Sacerdote raccolse notizie di prima mano che contrastavano con le assicurazioni di Storch, secondo il quale tutto era tranquillo di là dal fiume. Il quarto giorno di viaggio, i due raggiunsero la sommità di un colle roccioso dal quale si dominava il fiume, che, in quel punto, formava un'ampia ansa protesa verso sud. Aggirare l'ansa significava 162 dover percorrere, secondo i calcoli di Huy, una quarantina di chilo,metri; invece, tagliando per la via piú breve, in territorio nemico, il percorso sarebbe stato sí e no di otto chilometri. « Storch » disse il Gran Sacerdote, « pensi sia meglio fare tutto il giro, o possiamo fidarci ad attraversare il fiume? Ci sono uomini delle tribú ribelli, da queste parti? » La spia evitò lo sguardo indagatore di Huy. « Vado a vedere. Tu aspettami qui. » Tornò un'ora prima del buio e condusse Huy fino alla riva del fiume. Nascosta fra le canne, v'era una piroga mezzo marcia, puzzolente di pesce, che destò subito i sospetti del Gran Sacerdote. « Dove l'hai trovata? « Ci sono dei pescatori accampati laggiú, lungo il fiume. » « Venda? « No. Altra gente. » « Hai parlato loro di me? « No. Huy fissò Storch negli occhi. « Ho cambiato idea )> disse finalmente. « Seguiremo la via piú lunga. Voleva mettere alla prova la sua guida, sapere se avrebbe cercato di persuaderlo ad attraversare il fiume. « Sei tu a decidere. » Storch cominciò a ricoprire la canoa con alcune canne. « E va bene. Portami di là tagliò corto il Gran Sacerdote. Raggiunta l'altra sponda l'uomo nascose la canoa, poi guidò Huy verso una radura, dove si affondava nell'erba alta fino alla cintola. Al centro dello spiazzo, la guida si fermò bruscamente, alzando la testa, e fece segno al compagno di non muoversi. Rimasero a lungo cosí, immobili, poi Storch riprese ad avanzare. Percorse un centinaio di passi, si girò a guardare Huy e il suo viso si illuminò di una luce di trionfo mentre gridava: « Eccolo! qui! Prendetelo! Prendetelo Dall'erba emersero una dopo l'altra file e file di guerrieri venda che avanzarono in cerchi concentrici fino a chiudersi in una morsa fatale sulla loro preda. Huy si guardò intorno freneticamente, cercando una via di scampo, ma non ne vide alcuna. Allora, roteò nell'aria la bipenne con gli avvoltoi. « Per Baal! » urlò, e si lanciò a capofitto contro le file dei nemici. COME voleva la tradizione, il primo giorno della festa della Fertilità della Terra, Lannon si recò al santuario presso il laghetto di Astarte. Alzando lo sguardo sulla profetessa seduta sul trono, gli tornarono alla mente le numerose occasioni in cui quella strega lo aveva contrariato e irritato. Detestava quegli incontri, e, quando cominciò a interrogare l'oracolo, la regaleIterigia del suo tono era accentuata dal malumore. Tanith era impaurita. Di solito, Huy si trovava dietro la tenda per darle coraggio, ma quel giorno era sola; sola e sconvolta dalla nausea. La notte era stata calda e afosa e il bambino le pesava come fosse di pietra nel grembo. S'era alzata di malavoglia e si era sforzata di mandar giú la leggera colazione preparata da Aina, ma l'aveva vomitata subito dopo e, in quel momento, si sentiva soffocare. Il re camminava avanti e indietro, formulando domande, ma lei non era preparata, le sue risposte erano parole vuote, proferite senza convinzione. « Avanti, è una domanda molto semplice! Rispondi! Il re s'era fermato con un piede sul primo gradino del trono; nella sua voce era vibrata una nota di scherno. Tanith cercò disperatamente le parole. Una nuova ondata di nausea la travolse: intorno a lei, tutto si fece buio e negli orecchi le risuonò un rombo simile a quello di una bufera in mezzo a una foresta. Poi, qualcuno parlò e Tanith si rese conto sbalordita che quella voce bassa e roca usciva dalla sua gola. « Lannon Hycanus, ultimo Gry-Leone di Opet, non indagare oltre il tuo futuro. Il futuro per te è soltanto oscurità e morte! » La sibilla vide il proprio turbamento riflettersi sul volto del re, che impallidí violentemente. Lannon tracciò nell'aria il gesto rituale del sole, come per allontanare da sé quelle parole che affondavano nel suo animo come frecce nella carne. « Lannon Hycanus, i tuoi dèi volano verso l'alto e ti lasciano nell'oscurità... » Il re indietreggiò alzando le mani a proteggersi il viso, ma la voce penetrò oltre quel fragile schermo. « Sappi che il futuro ti attende al varco, come un leone affamato attende il viaggiatore ignaro. » Il terrore del re esplose feroce e immediato. « Maledetta! » urlò Lannon, salendo di corsa i gradini del trono. « Strega! » Schiaffeggiò Tanith con tale violenza, che il cappuccio del mantello le cadde dal capo, spettinandole i capelli. « Arpia! sibilò il re, trascinandola giú per i gradini. Tanith crollò sul pavimento e il primo calcio la colse nel ventre, facendola piegare in due. Senza smettere di colpirla, Lannon si guardò intorno alla ricerca di un'arma per distruggere quella donna e, insieme con lei, le parole che aveva pronunciato. Numerose sacerdotesse accorsero subito nella cella dell'oracolo, e il re indietreggiò ansimando, gli occhi azzurri scintillanti di follia. « Signore! La Gran Sacerdotessa avanzò verso di lui e la rabbia di Lannon svaní di colpo. Si girò e uscí a gran passi, lasciando Tanith a gemere sul pavimento. L'UCCELLO DEL SOLE 164 IL SACRO consiglio di Astarte si riuní quella sera stessa nella stanza della Gran Sacerdotessa. Quando la convocarono, Tanith entrò sorretta da Aina: camminavano curve entrambe, l'una per l'età, l'altra per la sofferenza. Si tenevano strette l'una all'altra e l'anziana accompagnatrice susurrava parole di conforto alla giovane profetessa, che aveva il viso tumefatto e coperto di lividi. « La ragazza non si regge in piedi » squittí Aina rivolgendosi alle sacerdotesse. « Permettetele di sedersi. Sta male. « Nessuno può sedersi davanti al consiglio » ribatté la Gran Sacerdotessa. « In nome della dea... « Non bestemmiare, Aina! Vattene. Lascia qui Tanith. Il tono della Gran Sacerdotessa non ammetteva repliche e Aina si ritirò, lasciando Tanith sola davanti al consiglio. La ragazza si reggeva in piedi a fatica, sconvolta da ondate di sofferenza, e non riusciva a mettere bene a fuoco le domande che le venivano rivolte La Gran Sacerdotessa temeva che Tanith avesse danneggiato l~interb sodalizio inimicandosi il re e tornava insistentemente sulla domanda fondamentale: « Che cosa gli hai detto? » « Non riesco a ricordarlo, Madre Santa. Non erano parole mie. « E di chi allora? Di chi erano? Della dea? » « Non lo so. » Una fitta di dolore al basso ventre le mozzò il respiro. « Vuoi dire che la dea avrebbe parlato per bocca tua? » « Oh vi prego... :gemette Tanith, le mani strette contro l'addome. « Vi prego... sto male. » Le sacerdotesse, che la guardavano sbigottite, videro una macchia rosso scuro allargarsi sul davanti della tunica, poi Tanith si piegò in due e stramazzò sul pavimento. « NON risponderò. » Tanith era stata a letto due giorni e si sentiva ancora debolissima. « Non dirò mai il suo nome. « Bambina I'ammoní la Gran Sacerdotessa, « ne va della tua vita! » « Me l'avete già tolta la vita. E allora fatela finita. Prendetevi tutto. » Lo sguardo di Tanith si posò su Lannon Hycanus, ritto accanto alla finestra. « Qualsiasi cosa dica, non potrà cambiare la vostra decisione. Perciò, non rivelerò il nome, per me tanto caro, del padre del bambino. » « Sei stupida e testarda » la redarguí la Gran Sacerdotessa. « Sai che finiremo ugualmente per scoprirlo. :~ « Basta cosí » proruppe il re, allontanandosi dalla finestra. « Non ho altro tempo da perdere. Guardò la Gran Sacerdotessa. « Fa' chiamare la vecchia che accompagnava questa strega. » Quando Aina fu davanti a lui, tremante di paura, il re la guardò senza collera. « Hai doveri ai quali non puoi sottrarti. Dimmi il nome del toro che ha montato la giumenta della dea. :~ Aina protestò la propria ignoranza, inginocchiandosi con fatica ai piedi del re. Lannon l'allontanò rabbiosamente con un calcio. « Spezzatele le braccia e tenete questa strega vicino a lei, perché possa osservare lo spettacolo. Aina fu rimessa in piedi a strattoni. « No! » urlò Tanith. « Aspettate! Lannon sorrise. « Lasciatela! ordino. Tanith accompagnò fuori Aina, sorreggendola con tenerezza, poi tornò davanti al re. « Ti dirò il nome dichiarò. « Ma a te solo. « Fuori tutti ordinò il sovrano. Quando furono soli, Tanith gli gettò in faccia, in tono di sfida, il nome di Huy Ben-Amon. Vide Lannon barcollare come se fosse stato colpito da un pugno. « Da quanto tempo è il tuo amante? :domandò il re dopo un lungo silenzio. « Da cinque anni. « Ah, è cosí! esclamò Lannon, intravedendo finalmente la risposta a tanti interrogativi. « Sicché, a quanto pare, eravamo in due a dividerci il suo cuore. « No, signore. Il suo cuore apparteneva soltanto a me. « Fai bene a parlare al passato. « In che modo ucciderai una sacerdotessa di Astarte? Userai la spada o il veleno? Hai forse dimenticato che appartengo alla dea? « Non l'ho dimenticato. Sarai la messaggera di Opet, il decimo giorno della festa della Fertilità della Terra. « Huy non lo permetterà! susurrò lei inorridita. « Il Gran Sacerdote è lontano, al confine settentrionale. E mancano solo sei giorni al termine delle celebrazioni. » « Ti odierà a morte, se farai una cosa simile. Lo perderai per sempre. Lannon scosse la testa. « Non saprà mai che sono stato io a dare l'ordine, cosí come non saprà mai che tu lo hai tradito. Sorrise, un sorriso raggiante eelido. « No, sarai tu a perderlo e io lo avrò per sempre. I desideri del re sono molto piú importanti dei tuoi. I VENDA IO avevano trasportato in lettiga, mentre era privo di sensi, perciò non sapeva da che parte si fossero diretti. Poi, quando lo avevano costretto a camminare, era stato bendato. Durante la lotta, aveva riportato molte contusioni, ma nessuna ferita grave; non avevano voluto ucciderlo, benché la bipenne con gli avvoltoi avesse compiuto una strage prima che fossero riusciti a sopraffarlo. Finalmente, sopra il cadenzato rumore dei piedi nudi della sua scorta, Huy udí un lontano mormorio di voci e un trambusto che gli fecero indovinare la presenza di un gran numero di persone. Dopo un po', infatti, i suoi accompagnatori si fermarono, e una voceridò: « Chi cerca Artiglio di Leone? Chi vuole vedere Piede di Uccello? Huy rimase zitto, in attesa che i suoi carcerieri gli facessero capire che cosa doveva fare. Poi, una lama tagliò le corde che lo stringevano, la benda gli cadde dagli occhi e Huy sbatté le palpebre alla luce violenta del sole. Erano al centro di un'ampia pianura circondata da basse colline e, tranne che nello spiazzo del diametro di un centinaio di passi dove Ben-Amon si trovava, il terreno nereggiava di guerrieri. Huy non avrebbe saputo calcolarne neppure lontanamente il numero. Ma la cosa piú impressionante era la loro assoluta immobilità: soltanto le piume delle loro acconciature si agitavano leggermente nella pigra brezza meridiana. A pochi passi di distanza, Storch, con la bipenne di Huy appoggiata su una spalla, osservava un gruppo di capi militari riuniti attorno a uno spoglio monticello di terra, che attirava l'attenzione di tutti come un palcoscenico vuoto. La voce domandò di nuovo: « Chi viene a cercare la Grande Bestia Nera? » A un tratto, quell'immensa folla di guerrieri si agitò con un lieve mormorio. Un uomo avvolto in una pelle di leopardo, con una corona di piume di airone, salí sul monticello, rimanendovi immobile come un albero poderoso, mentre un'entusiastica ovazione scuoteva la terra e il cielo. Storch depose ai piedi di Manatassi la bipenne con gli avvoltoi e il re fissò lo sguardo su Huy Ben-Amon che, cercando di non zoppicare, si accostò al monticello e alzò a sua volta gli occhi verso l'ex-schiavo. « Avresti dovuto uccidermi disse Manatassi, in lingua punica, e sfilò di sotto il mantello di leopardo l'artiglio di ferro. « Invece mi hai dato quest'arma. « La tua vita non mi apparteneva. Avevo fatto un giuramento. « C'è ancora un uomo che mantiene la sua parola... Huy cercò 166 invano un'ombra di derisione nella sua voce. Manatassi accennò ai ranghi compatti del suo esercito. « Guarda tu stesso quale spada mi sono forgiato. Chi potrà resistermi? » L UCCELLO DeL SOLr « Molti lo tenteranno. « Compreso te? Huy sorrise. « Non credo che ne avrò l'occasione. » Manatassi guardò attentamente quel gobbo, battuto, ma non umlliato. « Ti aspettavo; sapevo che saresti venuto. Ho bisogno di te. :~ « Che cosa vorresti da me? ,> « Che ti schierassi al mio fianco contro Opet e la sua disumana oppressione. Con l'aiuto della tua sapienza e della tua bontà, regnerò sul mondo intero. « Non posso tradire la mia patria. « Sai che col tuo rifiuto scegli la morte? «Lo so. « Credevo che fossi un uomo ragionevole. « La ragione può guidare fino a un certo limite » ribatté Huy. « Oltre quello, I'uomo deve affidarsi al proprio cuore. Manatassi sospirò. « Tu mi hai risparmiato un giorno, e io risparmierò te riprese dopo un momento. « Torna indietro e di' al tuo re che Manatassi scenderà dal nord per distruggerlo. Parlagli di questo esercito. Ne sarà atterrito. Digli che di lui non resterà nemmeno il ricordo a infettare questa terra. Digli che verrò, e presto! :Tese a Huy la bipenne. « Va' ora! Ho saldato il mio debito verso di te. Quando ci incontreremo ancora, ti ucciderò. Huy si voltò e se ne andò zoppicando lungo il varco aperto dai guerrieri, e nessuno cercò di fermarlo. LA NOTTE del nono giorno di festa, Tanith fu svegliata da mani che la scuotevano con dolcezza. « Bambina! Bambina! arrivato il Padre Santo! » le disse Aina gongolando. « Dicono che è venuto fin qui in soli tre giorni. « Oh, Aina... Tanith abbracciò la vecchia sacerdotessa. « Deve avere saputo ciò che è accaduto. Rise, eccitatissima. « Dov'è ora? :~ « Con il re. andato dritto a palazzo. « Per parlare al Gry-Leone... Oh, sia lode alla dea! Credi che otterrà qualcosa? Con lui qui, non posso morire! « Huy Ben-Amon sarebbe capace di far cambiare idea persino a Baal! « Oh, sono cosí felice, Aina! esclamò Tanith, stringendosi alla vecchia sacerdotessa. Le due donne si consolarono a vicenda. QUANr~O Huy arrivò, nel cuore della notte, senza preavviso, il primo pensiero del re fu quello di non riceverlo. Doveva avere saputo del rito sacrificale che si preparava per il giorno seguente. Ma Huy oltreL UCCELLO DEL SOLE passò le guardie, esclamando ansante: « Perdonami, mio signore! Ti porto notizie gravissime. Al vedere gli occhi spiritati del Gran Sacerdote, le sue occhiaie marcate, la tunica polverosa e i capelli in disordine, Lannon gli si avvicinò subito, sorreggendolo affettuosamente per un braccio. « Che cosa è accaduto, Huy? Non appena Ben-Amon gli ebbe fatto il suo rapporto, il sovrano convocò il consiglio dei nove, firmò le necessarie disposizioni militari e sciolse l'assemblea. « Ci riuniremO di nuovo subito dopo la cerimonia conclusiva della festa della Fertilità della Terra. Preparate le coorti e prendete commiato dai vostri familiari. Quando furono soli, il re si rivolse in tono affettuoso al Gran Sacerdote. « Sarà meglio che tu resti qui a dormire... Ma Huy dormiva già, appoggiato sul tavolo. Lannon lo portò di peso, come un bambino, in una delle camere per gli ospiti. Fra poche ore, avrebbe avuto luogo il sacrificio, e Huy era caduto in un sonno di piombo che sarebbe potuto durare anche qualche giorno. Il re lo lasciò a letto e andò a prepararsi per la processione. LANNON si rendeva conto che il rituale conclusivo della festa doveva essere rispettato con la massima scrupolosità. Si trovava di fronte a una gravissima situazione d'emergenza che investiva tutto il Paese ed era necessario placare gli dèi adirati. Mentre pronunciava la supplica alla dea, nel tempio di Astarte, il suo tono era inequivocabilmente sincero. Poi, la Gran Sacerdotessa gli mise al collo una ghirlanda di gigli purpurei: era giunto il momento di cantare le lodi della dea, alle quali sarebbe seguita l'offerta. Lannon era contento di avere scelto una messaggera tanto importante da inviare ad Astarte. Ormai, non erano piú in gioco soltanto dei meschini rancori personali; un dono simile sarebbe servito a indurre la dea a stendere sopra il Paese le sue ali protettrici, in quel momento di pericolo tanto grave. A un tratto, nel canto di osanna echeggiò una voce inconfondibile. Il re si guardò intorno e rimase senza fiato vedendo il Gran Sacerdote attraversare a lenti passi la caverna, dirigendosi verso di lui. Quando il canto finí, Huy era al suo fianco e lo guardava con un'espressione di affetto leale e sincero. « Huy! Che cosa fai qui? Perché non sei rimasto a riposare? « In questo momento il mio posto è qui, accanto a te. « Non dovevi venire! » Per un momento, Lannon pensò di sospendere la cerimonia, ma non osò correre il rischio di offendere la dea Allibito, fece un passo verso Huy, tendendo una mano come a chie- dere perdono. « Ho tanto bisogno di te » mormorò con voce strozzata. Senza capire, il Gran Sacerdote strinse la mano del suo re e amico, sorridendogli mentre intonava l'inno dell'offerta. La sua voce s'innalzò armoniosa e potente fino alla piattaforma sacrificale e tutti gli sguardi si fissarono lassú, mentre nella caverna scendeva un religioso silenzio. Tanith non poteva credere che fosse vero. Quando erano venuti a prenderla nella cella, all'alba, aveva pensato che fosse Huy ed era balzata dal giaciglio per corrergli incontro. E invece erano le sacerdotesse che dovevano condurla su per i gradini segreti e abbigliarla con le vesti e le catene del sacrificio. La piattaforma di pietra scolpita era cosparsa dei sacri fiori gialli della mimosa che Tanith, a piedi nudi, calpestava avanzando sotto il peso delle catene d'oro. A un tratto, si fermò, impietrita dalla voce che saliva fino a lei dal tempio. « Huy! :susurrò. « Mio signore... Ma il suo sollievo ebbe breve durata, perché quella voce stava cantando l'inno dell'offerta. Era Huy dunque, che la inviava alla dea! Un abisso di desolazione si aprí davanti a lei. Il suo signore l'aveva abbandonata. E, all'improvviso, divenne estremamente facile percorrere quei pochi passi che la separavano dalla morte. Sostò un attimo sull'orlo della piattaforma, allargando le braccia nel segno del sole, poi guardò giú, nella voragine scura della caverna. Le acque del laghetto erano nere e immobili e, sulla sponda, una vicina all'altra, si scor~evano le minuscole figure del re e del Gran Sacerdote. Tanith si chinò sopra il baratro e, nell'attimo in cui perdette l'equilibrio, Huy s'interruppe a metà di una parola. La sibilla udí di nuovo la voce del Gran Sacerdote mentre precipitava a capofitto, una voce resa stridula dallo sbigottimento e dalla disperazione: « Tanith!... Il violento urto contro l'acqua l'uccise sul colpo e le catene la trascinarono a fondo con tale rapidità, che Huy fece appena in tempo a vedere nell'acqua trasparente un fugace bagliore d'oro, come se un grosso pesce si fosse girato su un fianco per afferrare un boccone. L'INVERNO dell'anno 306 dalla fondazione di Opet, Manatassi varco il Grande Fiume con tre eserciti. Il piú piccolo, composto di soli settantamila armati, raggiunse rapidamente le sponde occidentali del lago, da dove partiva lo stretto canale che permetteva alle galee di Opet di raggiungere l'oceano: lo avevano chiamato il Fiume della Vita, perché nutriva il cuore del reame. I guerrieri di Manatassi tagliarono quell'arteria vitale. Trucidata la guarnigione e incendiate la maggior parte delle navi di Habbakuk Lal tirate in secco sulla sponda, il piú piccolo esercito di Manatassi, ormai ingrossato da decine di migliaia di schiavi liberati, demolí un'intera collina di roccia e la fece precipitare nel canale, tagliando cosí ogni via di comunicazione tra Opet e il mondo esterno. Contemporaneamente, un secondo esercito dilagò oltre i confini orientali, piombando come una valanga nera sulle colline di Zeng, mentre il terzo e piú potente, forte di oltre settecentomila uomini agli ordini dello stesso Manatassi, straripava oltre il fiume lungo il confine settentrionale. L'anziano Marmon cercò di resistere, ma fu travolto e ucciso con tutti i suoi uomini al primo sanguinosissimo scontro. Manatassi si lanciò come una furia sulla strada di Opet, lasciando dietro di sé soltanto terra bruciata, senza prendere né prigionieri né bottino, ma incendiando, uccidendo, distruggendo tutto ciò che incontrava. Le forze militari di Opet assommavano a nove legioni: di queste, una - quella comandata da Marmon - era già stata completamente distrutta e altre due erano state smembrate sui terrazzamenti di Zeng. Lannon marciò dunque incontro a Manatassi con le sei rimastegli. Il primo scontro si concluse con una vittoria che gli fece guadagnare tre chilometri di terreno e una giornata di respiro, ma che gli costò quattromila uomini. Gaio, che aveva assunto il comando della Sesta Ben-Amon in assenza del Gran Sacerdote, scomparso da Opet dopo la cerimonia, si recò nella tenda di Lannon, mentre il cielo rosseggiava ancora come una fornace per il riverbero dei roghi crematori. « Hanno perduto dieci dei loro per ognuno dei nostri » riferí in tono esultante. Lannon sedeva sul giaciglio, mentre il medico gli fasciava una leggera ferita a un braccio. « Quando sarai in grado di dare nuovamente battaglia? domandò. « Fra quattro o cinque giorni. I miei uomini sono esausti. « Dovremo batterci prima » I'ammoní il re. I combattimenti ripresero iliorno successivo e una nuova vittoria, pagata a caro prezzo, arrise a Lannon, che non poté però mantenere le proprie posizioni e fu costretto ad arretrare su una nuova linea difensiva, lasciando i suoi feriti in pasto alle iene e agli sciacalli. Vi furono altre sei battaglie nei successivi settanta giorni. Le legioni 170 del re riportarono vittorie clamorose e uccisero duecentomila nemici, ma alla fine si ritrovarono a soli trenta chilometri dalla capitale. Le legioni di Lannon erano ormai ridotte a tre, mentre da oriente e da ~` `' s : L'UCCELLO DEL SOLE occidente nuovi eserciti accorrevano in aiuto di Manatassi. Il GryLeone si ritirò sulle sponde del lago davanti alle mura di Opet. Gaio raggiunse il re ai margini dell'accampamento e gli si avvicinò premurosamente. Portava la prima buona notizia da tanti giorni. « 1stato rintracciato Huy Ben-Amon, signore. Lannon sentí allargarglisi il cuore. Huy era corso fuori della caverna subito dopo il sacrificio ed era scomparso senza lasciare traccia. E Lannon aveva profondamente avvertito la mancanza della sua compagnia, dei suoi consigli, dei suoi incoraggiamenti. Quante volte, in mezzo al fragore della battaglia, aveva teso l'orecchio sperando di udire il grido di Huy "Per Baal!" e il sibilo della sua possente bipenne! « Dov'è? » domandò. « Un pescatore lo ha visto sulle isole. PER HUY, i giorni erano trascorsi in uno stordimento di dolore. Nella capanna dov'era stato tante volte con Lannon, aveva lavorato ¨ ai suoi rotoli d'oro, raccontando la storia di Tanith e del loro amore, della vita e della morte di lei. Si nutriva di pesci, era dimagrito, non aveva piú cura della propria persona. Il suo strazio si rivelava negli occhi infossati, splendenti di una luce un po' folle. Una sera, mentre, seduto sulla sabbia, fantasticava sugli dèi, che avevano preteso per il sacrificio proprio la persona amata dal loro servo fedele, rimpianse di non avere parlato a Lannon di Tanith. Se avesse saputo del loro amore, il re l'avrebbe certamente protetta. Fino a quel momento, lo aveva odiato perché era stato lui a scegliere Tanith per il sacrificio, ma ora cominciava a capire che Lannon aveva agito in buona fede: sapeva che il Paese correva un pericolo mortale e che, di conseguenza, era necessario inviare agli dèi un messaggero d'eccezione. Suo malgrado, Huy riconobbe che era stato logico pensare alla profetessa e scoprí di non odiare piú il re, ma gli dèi crudeli e spietati che lo avevano costretto a prendere quella deci- sione. Piú tardi, quella stessa sera, mentre era seduto nella capanna, udí un rumore attutito di passi sulla sabbia e alzò gli occhi: Lannon era sulla soglia. « Ho bisogno di te » disse semplicemente il re. Huy non rispose. « Proprio qui, un giorno avevi promesso che non mi avresti mai abbandonato, ricordi? » continuò Lannon. Huy notò i segni della sofferenza sul viso dell'amico. Lí, davanti 172 a lui, c'era un uomo che era giunto al limite delle proprie forze, che aveva in bocca l'amaro sapore della sconfitta. « Sí ,> mormorò. « Ricordo. » Si alzò e si avvicinò al re. Rimasero a parlare tutta la notte. Lannon lo mise al corrente delI'inarrestabile avanzata delle orde nere, della crescente disperazione dilagante fra le legioni, della distruzione di buona parte della flotta, dello sbarramento del canale. « Quante navi ci restano? :domandò Huy. «ove galee e qualche barca da pesca. « Bastano per portarci sull'altra sponda del lago? « No., Lannon scosse la testa. « Nemmeno pensarci. Era quasi l'alba, quando Lannon si decise finalmente a porre l'imbarazzante domanda: « Perché mi hai abbandonato? Doveva fingere di non saperlo. Huy doveva credere che lui non fosse a conoscenza dei suoi rapporti con la sacerdotessa. Solo cosí il Gran Sacerdote avrebbe potuto credere che la scelta della vittima era stata casuale. « Non lo sai? ribatté Huy fissando intensamente l'amico. « So soltanto che hai gridato il nome di quella strega e che, un attimo dopo, eri scomparso., Gli occhi azzurri di Lannon sostennero con fermezza lo sguardo del Gran Sacerdote. « Che cosa è accaduto, Huy? Cosa ti ha indotto a fuggire dal tempio? « Tanith. L'amavo., Il re parve sinceramente colpito. « Oh, amico mio caro, che cosa ti ho fatto! Ma io non lo sapevo, Huy, non lo sapevo! ,> Ben-Amon distolse lo sguardo da lui, fissando il fuoco. « Ti credo. « Invoca il perdono di Baal per me, Huy. Ah, non ti avessi mai dato questo dolore! » « No, Lannon, non pregherò mai piú. Ho perduto la donna che amavo e ora non mi rimane plU nulla. » « Hai ancora me, amico mio. » Huy lo guardò e sorrise. « Sí » susurrò. « Ho ancora te. » Insieme, portarono i rotoli d'oro fino alla spiaggia dove li aspettava l'equipaggio di un battello da pesca e, la mattina stessa, di buon'ora, raggiunsero Opet. Acclamati dai soldati, il re e il Gran Sacerdote fecero il giro dell'accampamento. A mezzogiorno, pranzarono con gli ufficiali delle legioni, poi salirono sulla rupe per osservare le orde di Manatassi che dilagavano oltre le colline: una fiumana senza fine che si riversava sulle sponde del lago. Lannon e Huy rimasere ammutoliti di fronte a quell'impressionante spettacolo. Al tramonto, il re e il Gran Sacerdote scesero al porto, dove le donne e i bambini di Opet stavano imbarcandosi sulle poche galee rimaste indenni, che li avrebbero portati al largo finché la battaglia non si fosse risolta. Se le sorti fossero state avverse ai soldati del re, le galee avrebbero sbarcato le donne e i bambini sulla sponda L UCCELLO DEL SOLE opposta del lago, da dove avrebbero proseguito verso sud. I superstiti della battaglia li avrebbero raggiunti come e quando avessero potuto. Lannon si accomiatò dalle mogli e dai figli, ma quasi evitò di guardarli quando, I'uno dopo l'altro, vennero a inginocchiarsi davanti a lui. Poi, tutti baciarono un'ultima volta Huy, che rispose ai saluti con voce strozzata. Quando il re e il Gran Sacerdote tornarono al campo, le strade della capitale erano affollate di ubriachi: il popolino voleva godersi quelle ultime ore di libertà, prima del temuto domani. Ombre nere sgattaiolavano nell'oscurità, chine sotto pesanti fardelli. Gli sciacalli avevano trovato un facile bottino nelle case dei ricchi ormai deserte. Huy sentí una fitta al cuore, pensando ai suoi libri d'oro. « Signore, concedimi un'ora di permesso. Devo congedarmi dai miei servi e scioglierli dai loro obblighi: gli schiavi boscimani non c'entrano per niente in questa catastrofe. E poi, devo mettere al sicuro i miei piccoli tesori. « Come vuoi, concesse Lannon. « Mi raggiungerai nella mia tenda quando avrai sistemato le tue cose. Gli schiavi piú vecchi non volevano saperne di andarsene. « Questa è la nostra casa, protestarono. « Non mandarci via! Li lasciò stretti gli uni agli altri nelle cucine, confusi e atterriti, mentre lui e uno degli schiavi piú giovani trasportavano nella caverna di Astarte, ormai deserta, i rotoli d'oro. Sulla riva del lago, Huy sostò un momento, fissando le insondabili acque verdi. « Aspettami, amore mio, susurrò. « Verrò presto a raggiungerti. » Le guardie del tempio lo salutarono calorosamente e lo aiutarono a mettere i rotoli dentro piccoli orci, che vennero sigillati e nascosti dietro gli orci piú grandi, sui ripiani di pietra degli archivi. Poi, la piccola schiera - cento uomini in tutto - seguí il Gran Sacerdote all'accampamento militare, dall'altra parte della città. Lannon rivolse loro poche parole. « Voi costituirete la mia guardia personale. Quando lo scontro avrà inizio, tenetevi sempre vicino a me e a Huy Ben-Amon., Il re e il Gran Sacerdote rimasero alzati fino a mezzanotte a preparare il piano di battaglia. « Il resto è nelle mani degli dèi concluse Lannon. « Un'ultima coppa di vino, e poi cerchiamo di riposare un poco. » Si fermarono ancora davanti alla tenda, chiacchierando e bevendo nella fresca brezza che spirava dal lago. « Ricordi la profezia, Huy? domandò il re. Il Gran Sacerdote annuí: la ricordava benissimo. « Chi regnerà sul trono di Opet dopo di me? » « Colui che ucciderà il gry-leone :rispose Huy. « Che cosa devo temere?, ~; « Ciò che è nero. Lo sguardo di Huy si rivolse verso nord, dove la Grande Bestia Nera era in agguato, e i pensieri di Lannon corsero nella stessa direzione. ¨ « Sí, Huy, ciò che è nero. » Il re finí di bere il vino e gettò la coppa vuota nel fuoco che ardeva davanti alla tenda. « E la morte per mano di un amico :aggiunse, ripetendo le ultime parole della profezia. Poi, vide un'ombra di tristezza sul volto di Huy. « Perdonami, amico mio, non avrei dovuto ricordarti quella povera ragazza!, Anche il Gran Sacerdote finí il vino e gettò la coppa nel fuoco. Una vampata di scintille volò nell'aria. Non era necessario che qualcuno gli ricordasse Tanith: non cessava mai di pensare a lei. « Andiamo a riposare, ora! » disse. Fu svegliato da un clamore di grida, cui si mescolavano gli squilli delle trombe. Era ancora buio, e, pensando a un attacco notturno, Huy indossò precipitosamente l'armatura e uscí dalla tenda. Sopra il lago, il cielo era illuminato di bagliori. Lannon, ancora mezzo addormentato, raggiunse l'amico. « Cosa c'è Huy? « La flotta 3 rispose il Gran Sacerdote intuendo a un tratto ciò che era accaduto. « Le donne! » « In nome di Baal! » ansimò il re. Si precipitarono insieme verso il molo. Dalle ga]ee catturate, Manatassi aveva prelevato i tubi incendiari e li aveva installati a prua di due barche da pesca che, in quel momento, al largo dell'imboccatura del porto, stavano riversando in acqua il "fuoco di Baal". Le fiamme erano esplose in una muraglia ruggente che illuminava il cielo di una falsa aurora. Sul molo, il re e il Gran Sacerdote rimasero impotenti a osservare la scena. In mezzo al mare di fuoco, spiccavano come isolette nere le galee di Habbakuk Lal, con i ponti gremiti di donne e di bambini che urlavano atterriti. Gli infelici si agitavano e correvano di qua e di là senza scopo, come formiche su un tizzone ardente. Infine, il cerchio di fiamme si chiuse su di loro, carbonizzandoli. Quando l'incendio si spense, le barche da pesca issarono le vele e si allontanarono verso nord, dove l'esercito di Manatassi cominciava a dare segni di vita, simile a un animale mostruoso che stesse destandosi alle prime luci dell'alba. QUELLO era lo stato d'animo giusto per combattere l'ultima battaglia, pensò Huy, mentre passava in rassegna con Lannon le schiere di 175 soldati: un amaro miscuglio di tristezza e di collera. Il re camminava con un passo scattante, che contrastava con l'espressione sconvolta del viso; il Gran Sacerdote lo seguiva, con la bipenne appoggiata su una spalla e l'armatura lucidissima e scintillante nel primo sole del mattino. Gaio e un gruppo di ufficiali li accompagnavano nell'ispezione. Alla loro sinistra, si stendeva la superficie azzurra del lago; sulla destra, si ergeva l'aspro baluardo delle rupi, sfumato di un delicato color rosa e incappucciato di verde. Ma Huy, osservando quello spettacolo, vedeva nel lago e nelle rupi soltanto due potenti difese che proteggevano le ali del suo schieramento. Era una posizione favorevole per dare battaglia. Davanti, si apriva uno spazio aperto, un fronte di oltre un chilometro privo di qualsiasi riparo che potesse favorire azioni di sorpresa; alle loro spalle, si trovavano gli edifici e le strade della città bassa e, piú indietro ancora, le massicce mura del tempio. Le legioni erano disposte in schieramento di battaglia, con la fanteria leggera in prima linea, a formare uno schermo dietro il quale era allineata la fanteria pesante, robusti soldati armati di scuri e di lance da guerra; poi, c'erano gli arcieri, schierati in blocchi compatti, cosí da poter lanciare fitti nugoli di frecce sopra le teste dei compagni. In coda, infine, si trovavano le salmerie con riserve di frecce e di giavellotti, cesti colmi di carne fredda e di focacce di grano, anfore d'acqua e di vino, elmi, spade e scuri di ricambio e tutto ciò che può essere consumato o distrutto nel corso di una battaglia. « Lasciane qualcuno anche per noi, Uccello del Sole! ,> gridò un anziano fante armato di scure. « Non temere, ce ne saranno abbastanza per tutti ,> ribatté Huy. « Anche troppi » osservò un altro. « Questo mai ,> ribatté Lannon. « Perché non v'è nessun Ben-Amon fra coloro che ci stanno di fronte. » Un'entusiastica ovazione salutò il re e il Gran Sacerdote quando essi presero posto al centro della fila, sotto gli stendardi splendenti d'oro e di nastrini multicolori, attorniati dalle cento guardie del tempio. Huy osservò per un istante quegli uomini con un lampo di orgoglio negli occhi: un'ottima compagnia con la quale intraprendere il viaggio verso la morte. « Del vino! ,> ordinò. Brindò ai suoi ufficiali alzando la coppa, poi si girò verso Lannon. l due amici si guardarono negli occhi. 176 « Vola per me, Uccello del Sole! » susurrò il re. « Ruggisci per me, Gry-Leone di Opet! » Bevvero, poi infransero le coppe e risero insieme per l'ultima volta. Manatassi cominciò ad avanzare verso la metà del mattino, un mattino caldo e splendente di sole. Giunse con uno schieramento che riempiva l'intera pianur~, dal lago ai piedi delle rupi. Giunse accompagnato dal canto di cinquecentomila voci e dal cadenzato rumore di piedi nudi e di armi che riecheggiava nell'aria come il rombo di un tuono. Giunse in ranghi ordinati, che lasciavano a ogni uomo spazio per combattere, benché ogni fila seguisse da presso quella che la precedeva, pronta a colmarne i vuoti. Giunse, rango dopo rango, in un'avanzata senza fine, ritmata da un canto intenso e ossessivo. Giunse come l'ombra delle nubi temporalesche, muovendosi lento e solenne attraverso la pianura, nero come la notte e fitto come i fili d'erba dei campi, e il canto assunse un tono piú aspro e minaccioso. Huy sollevò alta sopra la testa la bipenne con gli avvoltoi, guardò a destra e a sinistra per essere certo che tutti i comandanti degli arcieri avessero visto il segnale, poi rimase a osservare la marea nera che avanzava verso di lui. Il canto mutò ancora di tono, si levò acuto in un grido sanguinario, un ululato agghiacciante quale Huy non aveva mai udito. Il Gran Sacerdote sentí i capelli rizzarglisi in testa. Ancora cento passi. Huy abbassò la bipenne e istantaneamente nelI'aria risuonò il sibilo sommesso delle frecce. Un urlo inumano si alzò dalla massa nera, il ringhio rabbioso della bestia inferocita, che si avventava contro i giavellotti. La fanteria leggera di Huy indietreggiò sotto l'urto massiccio. Pareva che niente potesse frenare quell'impeto furioso. Poi, inaspettatamente, la massa nera smise di avanzare. E, un minuto dopo, fu costretta a ritirarsi davanti ai reparti armati di lance e di scuri che formavano il centro dello schieramento di Huy. Immediatamente, i fanti leggeri si lanciarono all'inseguimento del nemico per disturbare la ritirata e ricostituire lo schieramento iniziale. Le voci degli astati giungevano chiarissime fino a Huy. « Serrare le fila! Riempire quel vuoto! « Uomini qui! :« Presto! Manatassi riorganizzò le proprie forze e si gettò avanti di nuovo, guadagnò un palmo di terreno e tornò a ritirarsi per prendere lo slancio e abbattersi un'altra volta contro le linee di Huy. A mezzogiorno, il re e il Gran Sacerdote furono costretti ad arretrare dalle loro posizioni. Un'ora dopo, Huy richiamo in prima linea le ultime riserve, tenendo in serbo soltanto le guardie del tempio. Contrastò metro per metro l'avanzata nemica, ma, alla fine, le orde di Manatassi furono dentro la città e là, nel dedalo delle anguste stradette, il Gran Sacerdote perdette il controllo visivo della battaglia nel suo insieme. Per la prima volta nella giornata, si trovò coinvolto direttamente nei combattimenti. Un manipolo di negri dagli occhi spiritati sfondò lo schieramento davanti a lui. Huy ne fece strage e ordinò alle guardie del tempio di tamponare la falla, ma ormai si rendeva conto di avere perduto il controllo della situazione. Lui e Lannon erano isolati, in grado di comandare soltanto gli uomini a portata della loro voce. Da un punto imprecisato della città giunse fino a loro un animalesco ruggito di trionfo. Lannon afferrò l'amico per una spalla. « Hanno sfondato! :urlò. Huy annuí. Ormai la battaglia si sarebbe trasformata in una rotta disordinata. Non rimaneva altro che ripiegare verso il tempio. Radunò le guardie e ordinò la ritirata. Ma le truppe di Manatassi avevano appiccato il fuoco alla città bassa e le fiamme si propagavano rapidamente. Le strade erano gremite di gente atterrita e di soldati in preda al panico e coperti di sangue. Il re e il Gran Sacerdote si aprirono un varco fino alla porta principale del tempio; mentre Huy con dieci uomini proteggeva la ritirata, Lannon chiuse i pesanti battenti. Mentre riprendevano fiato, appoggiati alle armi insanguinate, allentandosi le cinghie degli elmi, Huy si girò di scatto verso il re. « L'ingresso a est è custodito? Lannon lo guardò con un'aria sbigottita che fu da sola una risposta eloquentissima. Il Gran Sacerdote chiamò un gruppo di armati con un rapido gesto del braccio. « Voi... venite con me! Ma era già troppo tardi. Un'orda di guerrieri negri, penetrata nel recinto del tempio, stava dilagando attraverso la piccola porta orientale. « Indietro! Alla caverna! :urlò Huy e tutti si lanciarono in gruppo serrato verso l'ingresso della caverna. Ma soltanto quattro lo raggiunsero: il re, il Gran Sacerdote e due legionari. « Eccoli! gridò Lannon, e Huy levò in alto la bipenne. Difesero l'entrata, finché non fu il mucchio dei cadaveri negri a ostruirla. Poi, sopraggiunsero gli arcieri di Manatassi e un nugolo di frecce 179 si abbatté sui quattro difensori. Un legionario venne colpito. « Siamo troppo allo scoperto :gridò Huy. « Al tempietto interno, via! :9 Mentre fuggivano, un'altra pioggia di dardi si rovesciò su di loro. Una freccia fece volar via l'elmo di Huy e un'altra si conficcò in una giuntura della corazza dell'ultimo legionario, che crollò a terra. Il re e il Gran Sacerdote proseguirono di corsa attraverso la caverna di Astarte e raggiunsero la porta del tempietto interno nell'attimo in cui un nuovo nugolo di frecce sibilò sopra le loro teste. Lannon incespicò, ma finalmente i due furono all'interno del tempio. « Credi che sia possibile bloccarli qui? domandò il re, ansimando. « No. :Huy si fermò per riprender fiato. « imeglio rifugiarci negli archivi. :Poi, guardò Lannon. « Che c'è, mio signore? « Mi hanno colpito. Una freccia spuntava dalla giuntura della corazza sotto l'ascella sinistra e Huy si sentí sconvolgere da una gelida ondata di disperazione. Era palesemente una ferita mortale. « Non mi fa male :D riprese Lannon. « Non può essere grave. « Ti è andata bene » mormorò Huy. Spezzò l'asta della freccia e sorresse affettuosamente il re mentre attraversavano gli archivi. « La porta del Sole? domandò Lannon. « Come estrema risorsa. Soltanto se non avremo piú scampo. Il Gran Sacerdote condusse il re fino a una delle nicchie scavate nelle pareti. Mentre fissava Huy alla luce tremula delle torce, Lannon notò uno squarcio che attraversava una guancia dell'amico. « La tua faccia! esclamò. a Sarà certo piú interessante :ribatté Huy, mentre si strappava dalla tunica una striscia di stoffa, facendone una rozza benda per legare il braccio dell'amico. « Puoi muoverlo? domandò, e Lannon mosse le dita, aprendole e chiudendole. « Bene. Huy piegò leggermente la testa, tendendo l'orecchio al rumore di passi pesanti che stavano avvicinandosi. « Arrivano :D susurrò. Il re e il Gran Sacerdote. si diressero all'entrata del corridoio, pronti ad affrontare l'ondata di corpi neri che stava per abbattersi su di loro. DAL TEMPIO di Astarte, Manatassi fissava la nera imboccatura della galleria dov'erano scomparsi tanti suoi uomini e dove i due demoni battaglieri di Opet resistevano ancora, a dispetto di tutti i suoi sforzi per snidarli. In quello stesso momento, i suoi guerrieri stavano trascinando fuori da quel maledetto passaggio morti e feriti. Uno aveva il braccio troncato di netto sopra il gomito e Manatassi sapeva fin troppo bene quale arma micidiale avesse inflitto quell'orrenda ferita. Un superstizioso terrore lo strinse alla gola. Aveva imparato abbastanza sugli dèi di Opet per averne paura e sapeva di trovarsi nella loro roccaforte, nel luogo consacrato a loro. Rammentò di avere udito parlare di un segreto santuario e di una maledizione mortale che lo difendeva. « Portate il fuoco » ordinò. « Snidateli dal loro covo affumicandoli come cani! :~ Accesero un gran falò davanti all'entrata della galleria e lo alimentarono con rami verdi. Un fumo denso riempí il tempio. Gli uomini di Manatassi si disposero a semicerchio attorno all'imboccatura, con le armi in pugno, ma nessuno uscí. Quando il fuoco fu quasi spento, Manatassi afferrò una torcia ed entrò nella galleria, facendosi strada in mezzo ai cadaveri. La torcia illuminava via via le nicchie ricavate nella roccia, con i loro ripiani carichi di orci. Manatassi pensò di sapere che cosa contenessero: aveva visto fin troppe volte Huy occupato con i suoi rotoli di cuoio. Cercò disperatamente qualche traccia del Gran Sacerdote, ma non ne scoprí alcuna. Giunse in fondo al corridoio, e la luce della torcia illumino a un tratto l'immagine del dio Sole, incisa sulla parete che lo delimitava. Tutto il suo coraggio svaní di fronte a quel segno della potenza divina. Qualcosa che giaceva sul pavimento sotto l'effigie del sole attrasse la sua attenzione. Manatassi soffoco a stento un grido. Era la bipenne con gli avvoltoi, posata come un'offerta davanti al dio. E il corridoio era deserto. Se n'erano andati dai loro dèi. Lo avevano defraudato della sua vendetta e lo avevano attirato in un pericolo mortale: il confronto diretto col soprannaturale. Manatassi indietreggiò passo passo, finché l'immagine del dio non scomparve nel buio. Poi, si girò di scatto e fuggí a precipizio da quel posto maledetto, sbucando di nuovo nelI'immensa caverna. Ormai al sicuro, si voltò a guardare l'imbocco della galleria. « Reclutate dei muratori fra gli ex-schiavi e fate murare l'ingresso. :~ Mentre i suoi uomini si precipitavano a eseguire l'ordine, Manatassi ritrovò il proprio coraggio. « Distruggerò questo maleficio. Che questo posto e queste rupi siano maledette. E che la maledizione duri in eterno! :La sua voce salí di tono fino a diventare un grido. « Bruciate tutto! Abbattete tutto! un male che deve essere spazzato dal mondo e dalla mente degli uomini, per sempre! :D I muratori lavorarono con l'abilità che avevano imparato dai loro 181 padroni e, quand'ebbero finito, l'ingresso alla tomba dei re era perfettamente dissimulato. Poi, Manatassi distrusse la città. Trucidò tutti gli esseri viventi e ne gettò i cadaveri sui roghi funebri che infuriavano nella città bassa, quindi guardò le mura e le torri e alzò l'artiglio di ferro. I suoi uomini demolirono uno dopo l'altro i massicci blocchi di pietra, fino alle fondamenta; divelsero i levigati lastroni delle pavimentazioni, smantellarono i moli del porto; rasero al suolo ogni cosa, finché della città non rimase piú traccia. Poi, trasportarono le macerie fino alla caverna e le gettarono nel verde laghetto senza fondo di Astarte. E il laghetto era cosí profondo - o la dea cosí avida - che l'intera città fu inghiottita, senza che il livello delle acque si alzasse di un centimetro. Quando se ne andò da Opet per completare la distruzione del regno, Manatassi non si lasciò alle spalle altro che cumuli di cenere che il vento cominciava a disperdere in pallide nuvole di polvere. Il re nero sguinzagliò i suoi armati per tutti e quattro i reami, con l'ordine di cancellare ogni traccia delle città, delle miniere e dei giardini della gente di Opet, ma il suo odio, ormai, si era consumato come l'incendio di una foresta, quando tutti gli alberi sono carbonizzati. Era rimasto svuotato e senza vigore, il corpo gigantesco, rotto a ogni fatica, ridotto a un involucro insensibile, gli ardenti occhi fulvi ormai spenti e inespressivi. Si recò a Zimbao, la grande città fortificata del reame centrale, e trovò tutti gli abitanti uccisí. La città, come il corpo del re nero, era un guscio vuoto e deserto. Manatassi si avvolse in un mantello di pelle di leopardo e si coricò accanto al fuoco. Al mattino, lo trovarono gelido e irrigidito, ormai privo di vita. Venne seppellito sotto le mura della città, poi i capi militari litigarono e si batterono fra di loro per assumere il comando, perché il re non aveva nominato un successore. Ognuno si attribuí un titolo regale, e il potente esercito di Manatassi si frantumò in centinaia di piccole tribú. Col passare del tempo, nella memoria degli uomini non rimase piú traccia né di Manatassi, né della città di Opet. QUANDO si sentí vecchio e ormai alle soglie della morte, il boscimano Xhai, capocaccia del re, tornò a Opet. Isolato dal mare, il lago si era rimpicciolito: le sue sponde si trovavano ormai a trenta chilometri dalle rupi rosse e le sue acque erano ridotte a una palude fangosa. 18' Senza riconoscerlo, Xhai camminò sopra il punto dove un tempo sorgeva il tempio di Baal, finché non vide la spaccatura nella roccia che portava al tempio di Astarte. Si accampò sulla sponda del laghetto, accese un focherello e sedette accanto a esso, borbottando fra sé come fanno i vecchi. A poco a poco, i ricordi cominciarono a riaffiorare nella sua memoria: ricordi ingigantiti e meravigliosi, che Xhai si sforzò di riordinare e di fissare nella mente. Raccattò la sua cintura, cui erano appesi piccoli recipienti di corno pieni di colori, si avvicinò alla parete in fondo alla caverna e cominciò a disegnare col carbone, sul tratto piú levigato, una grande figura. Lavorava lentamente, con grande impegno e con profonda devozione. Poi, mescolò i colori e li spalmò sull'immagine, che era simile a quella di un dio, con il viso bianco, la barba rosso-dorata, la prepotente virilità. Mentre lavorava, gli pareva che voci spettrali provenissero dal profondo delle rocce, dalla remota cripta dei re. "Huy, ho tanto freddo. Aiutami, amico mio. Uccidimi come l'oracolo aveva predetto." "Non posso, Lannon. Non posso farlo." "Ho freddo e sto tanto male, Huy. Fallo, se mi ami." "Io ti amo." "Vola per me, Uccello del Sole..." E, mentre il vecchio boscimano lavorava, il vento susurrava e mormorava fra le rupi, e il suo sibilo era simile al lamentoso sospiro di un uomo che ha perduto la donna che ama e la propria terra, che ha rinnegato i propri dèi e inferto il colpo mortale all'amico piú caro. Era il gemito di un uomo che prende la spada ancora macchiata del sangue del suo re, ne incastra saldamente l'elsa fra due pietre del pavimento, ne appoggia la punta al proprio petto e IL MILIARDARIO LOUREN STURVESANT DECEDUTO PER UNA MISTERIOSA MALATTIA Johannesburg, 23 settembre Il noto magnate della finanza, miliardario e sportivo Louren Sturvesant, di Klein Schuur, Sandown, Johannesburg, è deceduto ieri dopo una brevissima malattia. Aveva contratto una rarissima infezione virale nel corso di una visita agii scavi della città cartaginese di Opet, scoperta di recente. Anche il professor Benjamin Kazin, capo della spedizione archeologica, ha contratto la stessa infezione. Il professor Kazin è attualmente ricoverato in un ospedale di Johannesburg e, secondo le dichiarazioni di un portavoce, le sue condizioni sarebbero estremamente gravi. Dallo Star di Joharcnesburg HA RIPRESO CONOSCENZA IL NOTO ARCHEOLOGO Johannesburg, 3 ottobre Secondo un portavoce dell'ospedale, il professor Benjamin Kazin ha ripreso conoscenza oggi, dopo un periodo di coma durato dieci giorni. Il professor Kazin ha ricevuto la visita della sua assistente, la dottoressa Sally Benator, che, uscendo dall'ospedale, ha dichiarato che il professor Kazin'sta molto meglio, ma è ancora sconvolto per la morte del suo amico Louren Sturvesant". Dallo Star di Johannesburg NOZZE DI DUE FAMOSI ARCHEOLOGI Città del Capo, 6 febbraio Con una breve cerimonia civile, si sono uniti oggi in matrimonio il professor Benjamin Kazin, lo scopritore della città cartaginese di Opet, e la dottoressa Sally Benator, sua assistente da molti anni. La sposa ha detto che è loro intenzione trascorrere la luna di miele presso gli scavi dell'antichissima città. WILBUR SMITè nato nel 1933 a Broken Hill, nell'allora Rhodesia del Nord, I'odierna Zambia. Fin dall'età di sette anni, quando annunciò alla madre che ormai aveva imparato a scrivere e non aveva piú bisogno di tornare in collegio, ha coltivato l'ambizione di diventare scrittore. Laureatosi in economia e commercio, si sposò e andò a stabilirsi nella fattoria paterna. Con il suo primo lavoro, L'oro è una febbre, da cui fu tratto anche un film con Peter O'Toole e Peter Ustinov, conquistò immediatamente fama internazionale. A esso, fecero seguito altre opere ricche d'azione, imperniate su personaggi duri, formatisi attraverso un'aspra esistenza nelle terre africane, come I cacciatori di diamanti, pubblicato anche da SELEZIONE DELLA NARRATIVA MONDIALE. L'ispirazione per l'ultima fa~ica di Wilbur Smith, L'Uccello del Sole, risale a un lontano episodio dell'infanzia. Portato dai genitori a visitare le celeberrime rovine della misteriosa città di Zimbabwe, nella Rhodesia del Sud, ne approfittò per abbandonarsi al suo gioco preferito, quello di spaventare la sorellina con storie di fantasmi. Ma l'incantesimo della città stregò anche la mente del piccolo Wilbur, che venne trovato dai genitori a tremare in un angolo, atterrito. Quell'avventura risvegliò in lui un profondo interesse, che dura tuttora, per il nebuloso passato dell'Africa: cominciò ad ascoltare religiosamente i racconti dei portafucili indigeni durante le battute di caccia e diventò addirittura intimo amico di uno dei piú autorevoli stregonì, Credo Mutwa, ii primo zulú che abbia mai raccontato a un bianco le segrete leggende della sua gente. Un giorno, le teorie degli archeologi circa una migrazione cartaginese lungo le coste occidentali dell'Africa vennero a confermare i racconti uditi intorno ai fuochi degli accampamenti: nacque cosí L'Uccello del Sole, una storia affascinante e originale, basata su severe ricerche oltre che sulla fantasia dello scrittore. Attualmente, Wilbur Smith vive a Città del Capo, in Sudafrica. con la moglie Danielle e i suoi tre bambini. FINE.
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