I confini della scienza 8 Linfoma non Hodgkin: miglioramento delle possibilità di cura grazie ai nuovi farmaci biologici I Dottor Maurizio Martelli Ricercatore presso il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia “Sapienza” Università Di Roma. l linfoma non Hodgkin (LNH) è un tumore maligno che origina dai linfociti (B e T), cellule principali del sistema immunitario presenti nel sangue e nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo e del midollo osseo. I LNH rappresentano globalmente il 4-5% delle nuove diagnosi di neoplasia nella popolazione occidentale e in Italia sono la quinta forma di cancro più comune negli uomini e la sesta nelle donne. L’età mediana di insorgenza è compresa tra i 50 e 60 anni e l’incidenza tende ad incrementare con l’aumentare dell’età. Le cause del LNH non sono ancora del tutto chiare. Tuttavia alcuni fattori clinici pre-esistenti possono aumentare il rischio d’insorgenza come: uno stato di immunodepressione indotto dalla terapia per un trapianto d’organo o dall’infezione da HIV; malattie autoimmuni; infezioni virali croniche come l’epatite C o infezioni batteriche come quella da l’Helicobacter Pylori che rappresenta la prima causa di linfoma primitivo dello stomaco. Tra gli agenti esterni: esposizione a insetticidi, benzene, radiazioni ionizzanti e agenti chemioterapici impiegati per precedenti tumori. Negli ultimi anni, grazie al crescente impiego di sofisticate metodiche di laboratorio, sono state identificate più di 40 forme diverse di LNH, ciascuna delle quali è caratterizzata da un peculiare quadro istologico, immunoistochimico e genetico-molecolare a cui può seguire un diverso andamento clinicoprognostico e quindi uno specifico e diversificato approccio terapeutico. In caso di sospetta diagnosi di LNH è innanzitutto necessario sottoporsi rapidamente ad una accurata visita medica. L’ingrossamento dei linfonodi del collo, ascelle o inguine in assenza di dolore è spesso l’unico segno di In caso di sospetta diagnosi di LNH è necessario sottoporsi rapidamente ad una accurata visita medica. L’ingrossamento dei linfonodi del collo, ascelle o inguine in assenza di dolore è spesso l’unico segno di linfoma. linfoma. Altri sintomi sistemici possono essere presenti come la febbre, la sudorazione notturna, la perdita di peso e il prurito persistente. La diagnosi di LNH viene fatta esclusivamente attraverso la biopsia di un intero linfonodo o di un campione congruo della massa neoplastica. Le tecniche di agoaspirato linfonodale non assicurano l’attendibilità della diagnosi e sono insufficienti per una corretta caratterizzazione del tumore. Il tessuto prelevato deve essere analizzato da un esperto emolinfopatologo in quanto una accurata diagnosi istopatologica rappresenta la base per il successo delle future cure. Una volta effettuata la diagnosi, il paziente deve essere poi sottoposto ad alcuni esami strumentali al fine di stabilire l’esatta estensione della malattia. Negli ultimi anni l’impiego della tomoscintigrafia a emissione di positroni (PET) in co-registrazione con la TAC si è sempre più diffuso in considerazione dell’alta specificità della captazione del 18-Fluorodeoxyglucosio (18-FDG) da parte delle cellule linfomatose, sia nella fase di stadiazione iniziale che nella rivalutazione della risposta alla terapia. Infatti la PET oltre che una I confini della scienza 9 valutazione quantitativa, permette una valutazione funzionale di attività della malattia presente. Pertanto la persistenza di un segnale positivo alla PET alla fine del trattamento risulta essere altamente predittiva di presenza di tessuto tumorale attivo e quindi di malattia persistente. Per tale motivo le recenti linee guida hanno introdotto la negatività della PET tra i criteri fondamentali per definire la risposta completa al trattamento. Storicamente i linfomi vengono sud- divisi in linfomi indolenti o a basso grado di malignità e linfomi aggressivi o ad alto grado di malignità. I primi presentano un andamento clinico più lento, che in genere consente una lunga sopravvivenza, calcolata in anni, anche quando non si ottiene l’eradicazione della malattia. Il linfoma follicolare rappresenta circa la metà di tutti i LNH indolenti. Per questi tumori, la chemioterapia convenzionale (CHOP, CVP) è stata per anni l’unica modalità di cura, con cui si ottenevano delle buone remissioni di malattia, ma una persistente elevata incidenza di ricadute e quindi una bassa percentuale di guarigioni definitive. Un grosso passo avanti è stato compiuto grazie alla creazione in laboratorio di anticorpi monoclonali diretti contro gli antigeni presenti sulla superficie delle cellule neoplastiche. I primi anticorpi monoclonali studiati e sperimentati sono stati quelli diretti contro l’antigene CD20 espresso da tutti i linfomi indolenti e aggressivi a cellule B. Tra questi il Rituximab ha ricevuto la più ampia sperimentazione clinica di efficacia e sicurezza. Nelle prime fasi di valutazione il Rituximab ha dimostrato la sua efficacia come agente singolo in pazienti ricaduti dopo chemioterapia, poi nelle fasi successive ha dimostrato la sua maggiore efficacia in combinazione (immuno-chemioterapia) con la chemioterapia convenzionale CHOP/CVP. Quest’ultima rappresenta attualmente l’opzione di scelta per la maggior parte dei pazienti sia in prima linea che al momento della ricaduta, in quanto chiaramente superiore alla sola chemioterapia sia in termini di percentuali di risposta che di sopravvivenza libera da malattia. Del tutto recentemente l’associazione della Bendamustina con il Rituximab ha suscitato un notevole interesse nel trattamento dei linfomi indolenti, a seguito di un ampio studio che ha dimostrato la non inferiorità terapeutica, rispetto alla immuno-chemioterapia standard R-CHOP, ma con una significativa minore tossicità clinica. Sebbene questi linfomi presentino elevate percentuali di remissioni con i moderni approcci di terapia, purtroppo tendono a ripresentarsi anche a distanza di diversi anni. Una riduzione signi- I confini della scienza 10 ficativa delle recidive con un conseguente aumento della sopravvivenza libera da malattia è stata ottenuta con la somministrazione di Rituximab in mantenimento (infusioni trimestrali per due anni). Il trattamento intensivo con trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche nei linfomi indolenti è una procedura attualmente riservata ai pazienti ricaduti dopo una o più linee di terapia. Il trapianto da donatore comporta rischi maggiori, pertanto la decisione sul suo impiego richiede una valutazione molto accurata del paziente e dello stato di malattia. Attualmente trova indicazione nei pazienti giovani (fino a 65 anni di età) ed in assenza di malattie concomitanti, ricaduti o refrattari dopo un trattamento che include il trapianto autologo. I linfomi aggressivi o ad alto grado di malignità sono invece caratterizzati da un decorso clinico più rapido e da una breve sopravvivenza, nei casi non adeguatamente trattati o non responsivi al trattamento. Nonostante la loro aggressività se trattati in maniera idonea possono guarire nel 60-70% dei casi. La forma più frequente di LNH aggressivo è il linfoma B diffuso a grandi cellule (DLBCL), che rappresenta da solo circa il 30% di tutti i linfomi. Diversi studi hanno chiaramente dimostrato anche in queste forme il beneficio dell’immuno-chemioterapia sia nei pazienti anziani che nei giovani . Il follow-up a 10 anni del primo studio, condotto dal gruppo cooperativo francese GELA, ha confermato che la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti affetti da DLBCL e trattati con l’associazione Rituximab-CHOP ( RCHOP) è significativamente superiore a quella dei pazienti trattati con la sola chemioterapia CHOP. Il trapianto auto- logo è considerato allo stato attuale la terapia standard dei pazienti in recidiva con una possibilità di guarigione in circa il 35-40% dei casi. Rimane invece molto controverso il ruolo di questa procedura nei pazienti all’esordio di malattia cosiddetti “a prognosi sfavorevole”, ovvero con un rischio particolarmente elevato di ricaduta di malattia. Infatti, nonostante i progressi compiuti nella diagnosi e cura dei LNH, una quota di pazienti non si giova delle migliori terapie disponibili, incluso il trapianto. Pertanto la maggior parte degli studi in corso sono rivolti alla comprensione dei meccanismi biologici, che in questi casi rendono le cellule capaci di sopravvivere nonostante il trattamento immuno-chemioterapico, e alla sperimentazione di nuove molecole ‘intelligenti’ che siano in grado di interferire selettivamente con i suddetti meccanismi. Tra questi la Lenalidomide, farmaco biologico con proprietà anti-angiogenetiche ed immunomodulanti e l’Ibrutinib farmaco in grado di inibire selettivamente un recettore delle cellule B tumorali . Questi due farmaci hanno dimostrato di essere efficaci come agenti singoli in pazienti con diagnosi di linfoma indolente o aggressivo, ricaduti o refrattari alla immunochemioterapia convenzionale. Nel prossimo futuro numerosi studi clinici internazionali valuteranno l’associazione di questi nuovi farmaci biologici con l’immuno-chemioterapia standard (R-CHOP) nei pazienti con nuova diagnosi a prognosi sfavorevole, nell’intento di aumentare le percentuali di remissione della malattia a fronte di una tossicità accettabile anche nei pazienti più anziani. Del tutto recentemente uno studio prospettico americano ha dimostrato inoltre l'elevata efficacia della combinazione di due soli farmaci biologici come il Rituximab e la Lenalidomide, in assenza di farmaci chemioterapici, nel linfoma follicolare all’esordio di malattia. Alla luce di questi dati, l’auspicio per il prossimo futuro è di personalizzare sempre più le terapie dei pazienti con LNH in base alla caratterizzazione biologica del tumore cercando di combinare i vecchi con i nuovi farmaci ed in casi selezionati sostituire la chemioterapia tradizionale, con i suoi pesanti effetti collaterali e psicologici, con farmaci biologici più mirati e meno tossici.
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