n. 101 / 14 1 dicembre 2014 Giacomelli si immola (politicamente) sul canone Si è celebrata in queste ore la morte politica di Antonello Giacomelli, sottosegretario al Ministero delle Attività Produttive con delega alle comunicazioni, quello che una volta era il Ministro delle Telecomunicazioni. Giacomelli da mesi lavora alla riforma del canone RAI e, dopo aver reso noti nei mesi scorsi solo alcuni principi ispiratori (equità sociale, meccanismo non eludibile, diverse soluzioni allo studio), pochi giorni fa ha partecipato alla trasmissione “24 Mattino” su Radio24 condotta da Alessandro Milan. In questa trasmissione, ripresa immediatamente da tutti i mezzi di stampa (compreso DDAY.it), Giacomelli ha spiegato che grazie a un emendamento alla legge di stabilità, il canone, in forma ridotta, sarebbe stato inserito all’interno della bolletta elettrica. Giacomelli ha poi chiarito, con pochi condizionali e molte certezze, che sarebbero state esenti le seconde case (ma forse non le terze), che i gestori energetici avrebbero avuto congrui rimborsi dei costi della nuova riscossione e soprattutto che il provvedimento, al quale si lavora da mesi, sarebbe entrato in vigore a inizio 2015. Poche ore dopo, fonti di Palazzo Chigi (tra l’altro non ben identificate) hanno smentito tutto quanto affermato in diretta la mattina stessa dal sottosegretario Giacomelli, chiarendo che era tutto falso: l’emendamento citato non sarebbe entrato a far parte della legge di stabilità, che non è neppure certo che verrà utilizzato lo strumento della bolletta elettrica, che tutto si vedrà più avanti con apposita legge. E tutto ciò mentre lo scenario politico nazionale si incammina a larghe falcate verso elezioni in primavera e quindi a un ragionevole rinvio del tema al prossimo esecutivo. Antonello Giacomelli si è richiuso nelle sue stanze aspettando che passi la buriana. Ma è in un vicolo cieco: deve dimettersi. E deve farlo subito, per sperare di avere un barlume di futuro politico. I casi sono due: o Giacomelli, che peraltro è giornalista e quindi conosce le regole del gioco, si è fatto prendere la mano andando oltre quanto concordato con i rappresentanti di Governo, e in tal caso deve dimettersi per aver agito senza le opportune deleghe. Oppure può essere che Giacomelli abbia avuto tutte le rassicurazioni del caso e abbia agito in coscienza e perfetta buona fede: in tal caso deve dimettersi per manifestare il proprio dissenso e in autotutela nei confronti di chi l’ha fatto esporre, per poi “bruciarlo” poche ore dopo. L’unica cosa certa è che il canone 2015 sarà ancora più difficile da esigere, dato che questi tira e molla da parte del Governo su tributi neppure troppo simpatici dà sempre luogo a un aumento dell’evasione. E con le elezioni all’orizzonte, non crediamo che il Governo sia veramente pronto a riportare all’ordine del giorno il tema del canone, cosa che comporta un discreto rischio di perdere voti, sia dentro il Parlamento fragile di oggi, sia alle urne delle Politiche. Tutto il lavoro di questi mesi attorno al canone è molto probabilmente destinato a finire nel cestino, insieme al Sottosegretario Giacomelli che ne ha ben gestito la nascita e la crescita ma che è stato disaccorto protagonista dell’epilogo di questa (brutta) storia italiana. Gianfranco GIardina MAGAZINE Vodafone lancia LTE Advanced in 80 città 08 Apple apre Lightning Sarà possibile creare nuovi accessori 10 Come scegliere la migliore cuffia per giocare 20 Bancomat: da marzo si potrà usare anche per comprare online Grazie a PagoBancomat si paga come con la carta di credito Promesso un sistema sicuro, senza pin e gestito dalla banca 03 SKY lancia il Super HD Più qualità ma non per tutti SKY ha lavorato sui master per offrire una migliore qualità dei contenuti Si parte a Natale con due titoli e con un gruppo ristretto di abbonati in prova 28 LG G Watch R OK, la strada è giusta 04 31 03 Panasonic AX900 in prova Super LCD, ma che prezzo Up Move La qualità è davvero eccellente, comparabile Jawbone Subito in forma a quella del migliore TV al plasma, ma il prezzo (quasi 4500 euro) è davvero elevato 13 35 25 Canon EOS 7D Mark II La reflex più attesa n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE mercato La riforma del canone Rai non rientrerà nella legge di stabilità: serve più tempo Il Governo frena sul canone Rai in bolletta Bisogna capire come gestire tutti gli ostacoli e convincere gli operatori, che sono scettici di Roberto PEZZALI L a bolletta elettrica dei primi mesi del 2014 non includerà il canone Rai: la riforma, infatti, non rientrerà nella legge di stabilità ma richiederà più tempo. Il Governo ha “gelato” il sottosegretario Antonello Giacomelli che vedeva la riforma in dirittura d’arrivo, e probabilmente sulla decisione ha pesato l’opposizione delle aziende fornitrici di energia che fin da subito si sono opposte al provvedimento. L’obiettivo del Governo resta sempre la lotta all’evasione del Canone, tuttavia sembra che la strada al pagamento in bolletta sia in salita e piena di insidie. Poco importa se si pagherà meno, circa 60 euro contro gli attuali 113 euro: le forze politiche dell’opposizione sono contrarie, i cittadini non vedono di buon occhio la cosa e i nuovi “esattori”, ovvero le aziende che forni- scono l’energia, hanno voltato le spalle fin da subito all’idea. Inoltre, e questo è un fatto da non trascurare, non si è ancora capito come aggiungere una qualche forma di “equità” al pagamento: sfruttare i dati Irpef o l’indicatore ISEE è una procedura troppo complessa e difficile. Una bella patata bollente per il Governo: che l’evasione del Canone debba essere eliminata è fuori discussione, tuttavia sarebbe più semplice abbassare l’evasione fornendo un servizio di qualità con contenuti all’altezza. In ogni caso non è semplice trovare una soluzione. UE: marcia indietro sulla Neutralità di Rete Bocciato il testo della Presidenza Italiana ma sulla revisione della Neutralità c’è intesa D di Paolo CENTOFANTI torna al sommario Equiparata l’aliquota IVA degli e-book a quella dei libri tradizionali Ora rischiamo sanzioni da Bruxelles di Gianfranco Giardina mercato I Paesi dell’Unione Europea vogliono ammorbidire le norme volute dalla Kroes opo aver ritrattato l’eliminazione del roaming in Europa, in favore dell’istituzione da parte degli operatori telefonici di nuove clausole di “fair use”, il Consiglio Europeo ha valutato nei giorni scorsi un testo uscito dalla Presidenza Italiana in cui si fa parziale marcia indietro anche sulla neutralità di rete, di fatto chiedendo la cancellazione della definizione di neutralità uscita dal voto del Parlamento Europeo lo scorso aprile. L’intenzione sembra proprio quella di dare ascolto alle lobby delle compagnie telefoniche, visto che nel testo, da una parte scompare la stessa espressione “neutralità di rete”, sostituita da una descrizione di principi, dall’altra viene meno la definizione di “servizi specializzati”, quelli cioè che potrebbero venire discriminati dai provider. Teoricamente il testo continua a mettere dei paletti alla possibilità per i provider di gestire la banda assegnata a singoli servizi, ma viene meno il divieto esplicito di discriminare in base al costo applicato agli utenti per l’accesso alla rete: in L’IVA sugli e-book ridotta al 4% L’Europa che dice? pratica non c’è nulla di vincolante per rispettare il principio di neutralità stesso. La neutralità di rete è quel principio secondo cui un provider non può trattare in modo diverso il traffico generato dai vari servizi. Il testo, che riguarda il pacchetto di misure già approvato dal Precedente parlamento per la creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni, è stato in ogni caso bocciato dal Coreper, il Comitato Permanente de Rappresentanti dell’Unione, visto che è mancato l’accordo soprattutto sul roaming, con ben 20 Stati che avrebbero rifiutato la proposta italiana di dare il via alla nuova tariffazione a partire dal 2016, preferendo un più “comodo” 2018. Anche il consiglio dei ministri delle telecomunicazioni dell’Unione Europea non è riuscito a trovare una base comune tra i vari e Paesi e ormai la discussione del pacchetto Connected Continent passerà al 2015. Saltando il testo proposto dall’Italia, cadono per il momento anche le modifiche per quanto riguarda la Neutralità di Rete, tema però su cui in realtà, a differenza del roaming, ci sarebbe purtroppo perfetta sintonia tra gli Stati membri. La Commissione bilancio della Camera ha approvato l’emendamento alla legge di Stabilità presentato dal Ministro ai Beni Culturali Dario Franceschini, che riduce l’IVA sugli e-book dal 22% al 4%, la stessa aliquota che interessa i libri di carta. Ora si apre l’incognita sull’atteggiamento della Comunità Europea di fronte alla presa di posizione del Governo italiano: in passato furono comminate multe ai Paesi comunitari che avevano ritoccato verso il basso l’IVA degli e-book e anche recentemente Bruxelles si era espressa in maniera critica nei confronti di un possibile ribasso da parte dell’Italia, interpretando la possibile iniziativa, auspicata dagli editori italiani, come un aiuto di stato al comparto editoriale. Il provvedimento è pensato per i libri ma non è chiaro se riguarderà anche le riviste e i quotidiani, le cui versioni elettroniche sono anch’esse soggette a un’IVA del 22%. Peraltro un emendamento nella direzione di quello di Franceschini era già stato presentato alcuni giorni fa da parlamentari di Scelta Civica, e questo prevedeva esplicitamente che tutti i prodotti che già giovano, nella versione cartacea, di IVA agevolata l’avrebbero avuta anche nelle versioni elettroniche. Resta da capire, nel caso fosse questa l’interpretazione, quale sarà l’imposizione su e-book e contenuti giornalistici a pagamento che non abbiano un corrispettivo cartaceo, come i siti Web. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE mercato L’annuncio è stato fatto da Sergio Moggia, direttore generale del consorzio Bancomat Da marzo acquisti online con il Bancomat Per gli acquisti online non servirà neppure il pin, tutto verrà gestito direttamente dalla banca D di Roberto PEZZALI a marzo si potrà usare anche il Bancomat per effettuare le transazioni online. Lo riporta La Stampa, che pubblica un annuncio fatto da Sergio Moggia, direttore generale del consorzio Bancomat, in occasione del seminario Abi a Ravenna. Una mossa a sorpresa che crea un nuovo metodo di pagamento molto sicuro e alternativo alla carta di credito, anche se resta da capire come sarà implementato il pagamento e che esercizi commerciali potranno abbracciare il nuovo sistema di e-payment. Secondo Moggia, il sistema sarà sicuro ed efficiente, non si dovrà inserire né il numero della carta e neppure codici di sicurezza come il classico pin: all’atto dell’acquisto il consumatore verrà indirizzato direttamente su una pagina della propria banca che si occuperà di identificare l’acquirente autorizzando così l’acquisto. Una soluzione, questa, che potrebbe abbassare le barriere psicologiche che TV Ultra HD in forte crescita nel 2014 Display Search ha pubblicato un report positivo per la vendita di TV, il mercato finalmente fa registrare un +4% e questo nonostante la crescita del segmento LCD non riesca a bilanciare il calo del settore del plasma, ormai al capolinea. Molto interessante il settore dei TV 4K: nel terzo trimestre le vendite di TV Ultra HD hanno superato i 3 milioni, portando a 6.4 milioni il numero totale di “TV set” venduti finora nel 2014. L’impennata è causata dall’aumento dell’offerta e dall’abbassamento del prezzo medio. Gli analisti si attendono un ulteriore balzo avanti per questo trimestre, dovuto al picco degli acquisti a causa delle festività natalizie. La Cina è il mercato trainante del 4K, con uno share del 60%, mentre il marchio n.1 al mondo resta Samsung, con una quota del 36%; a seguire arrivano LG, HiSense e Sony, rispettivamente con il 15%, 10% e 9% del mercato. torna al sommario ancora frenano l’acquisto online in Italia: ad oggi, infatti, la maggior parte degli utenti preferiscono ancora affidarsi alle carte prepagate, molti altri scelgono il bonifico, perchè ritenuto ancora molto più sicuro. La carta Bancomat dovrà comunque essere abilitata dalla banca per poter offrire questo servizio, resta da capire chi sceglierà di appoggiare il consorzio in questa interessante iniziativa: la maggior parte dei servizi che richiedono oggi una carta di credito, infatti, dall’Apple Store a Pay Pal, potrebbero non essere interessati a sostenere questa piccola rivoluzione che riguarda, evidentemente, il solo territorio italiano. mercato Meno TV e smartphone per Sony Sensibile riduzione delle gamme di smartphone e TV, avanti tutta su gaming, servizi di intrattenimento e sensori di immagini. Sono queste le direttive del nuovo business plan di Sony. Nei prossimi tre anni l’azienda vuole tornare a vedere numeri di colore nero nei bilanci delle due divisioni che ora generano debiti invece che profitti. Sony ha annunciato, dunque, un piano di tagli che vede l’abbandono della sponsorizzazione della FIFA, la rinuncia a produrre nuovi modelli di cellulari per il mercato cinese e uno snellimento sia della gamma di TV che di smartphone nel corso dei prossimi tre anni. Per risollevare le finanze, Sony punterà su gaming e sensori di immagine per gli smartphone, spingendo su servizi collegati alla PS4, sulla distribuzione di giochi, video e musica. Per quanto riguarda i sensori per le fotocamere degli smartphone, Sony dice di essere avanti di due anni sulla concorrenza e prevede che entro l’anno fiscale 2017, il segmento varrà il 63% dei ricavi della divisione semiconduttori. mercato Nel mese di ottobre LG Display è l’azienda che ha venduto più pannelli 4K nel mondo LG Display è la regina dei pannelli Ultra HD Presto la tecnologia Ultra HD rimpiazzerà il Full HD, nonostante la mancanza di contenuti N di Roberto Pezzali onostante gli investimenti fatti nella tecnologia OLED, LG Display per la prima volta in 22 mesi ha conquistato la vetta nella particolare classifica dei produttori di pannelli Ultra HD. Con 578.000 pannelli venduti, secondo le stime di DisplaySearch, LG è davanti a Innolux di quattro punti percentuali. Grazie alle performance dell’ultimo mese infatti LG ha toccato il 28.1% di marketshare, ed è seguita da Innolux al 24% e da Samsung al 20.2. LG ha sorpassato Innolux, l’azienda cinese che ha messo sul mercato i pannelli 4K low cost che son serviti a produrre TV a prezzi stracciati, quelli per intenderci da 500 / 600 euro per la versione da 42”. Samsung terza non deve stupire: Samsung è ancora il marchio che vende più TV al mondo, tuttavia l’uso dei pannelli Samsung è legato solo a determi- nate fasce di prodotto: per alcuni TV Ultra HD entry level la stessa azienda coreana infatti si appoggia a Innolux e ad altri produttori. Interessanti i numeri relativi alle vendite globali di pannelli: nel solo mese di ottobre son stati spe- diti 2 milioni di pannelli, con un totale annuo di circa 20 milioni. Un numero che come previsto sta crescendo a ritmi vertiginosi: anche senza contenuti Ultra HD nei prossimi anni, se non già il prossimo anno, tutto sarà Ultra HD. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE entertainment Risultati ottenuti grazie all’uso di master di qualità e a un bitrate più alto In arrivo il Super HD di Sky. Ma che cos’è? A Natale arriva il “Super HD”, con cui Sky prova a migliorare la qualità dei contenuti Si parte con due film destinati a una serie di utenti selezionati, Rio 2 e Spiderman 2 di Roberto Pezzali A rriva il Super HD di Sky: una serie di abbonati potranno vedere i primi due film codificati secondo il nuovo processo nel periodo natalizio, mentre per gli altri abbonati ci sarà da aspettare un po’. Super HD non è un nuovo standard, e Sky stessa non vuole neppure che si parli di standard: è solo un nome che è stato dato a un nuovo procedimento di codifica e gestione dei film che permetterà agli abbonati di gustare un film con qualità maggiore rispetto a quella attuale, comunque buona. Il Super HD di cui stiamo parlando non riguarda le trasmissioni live, ma solo i contenuti on demand: Sky ha un programma Super HD anche per il broadcasting, usato con successo ai Mondiali, che prevede l’uso di un bitrate di trasmissione più alto, ma è un’altra cosa. Il Super HD di cui parliamo oggi, che debutterà tra qualche settimana, è un processo legato al push VOD, quel servizio di Video on Demand tramite il quale Sky invia sul decoder MySky degli abbonati una serie di film selezionati. Questi film non vengono scaricati tramite la connessione di rete, ma sono trasmessi da Sky via satellite “di nascosto”: il decoder li registra in automatico e li rende disponibili per la visione in un pacchetto di contenuti selezionati. Cosa cambia tra un film in HD e un film in Super HD? Dopo aver fatto diversi esperimenti, Sky ha capito che non sempre alzando il bitrate di compressione si riescono a ottenere risultati migliori, quindi ha fatto un passo indietro, è andata a lavorare direttamente sui master. Le aziende che forniscono i master, infatti, spesso forniscono un file già compresso per il Video on Demand, lo stesso file che poi viene usato da tutti i servizi di streaming. Per i film in Super HD Sky ha richiesto invece un altro master, un file di qualità superiore, lo stesso file digitale che in qualche caso viene usato anche per realizzare i Blu-ray. Dopo un primo quality check sulla effettiva qualità del master, i film vengono codificati a più passaggi utilizzando un preset più gentile su alcuni parametri, come ad esempio la riduzione del rumore. torna al sommario Samsung chiude il Video Hub Samsung annuncia la chiusura del suo negozio digitale di film. I propri acquisti dovranno essere scaricati entro il 30 dicembre e attivati sul dispositivo o andranno perduti per sempre per colpa del DRM di Paolo centofanti Per evitare artefatti eccessivi, infatti, la maggior parte dei film trasmessi in streaming vengono pre-processati utilizzando filtri di noise reduction abbastanza pesanti: se da una parte si ottengono benefici, dall’altra si perde parte del dettaglio e si eliminano anche elementi scelti dal regista o dal direttore della fotografia, come ad esempio una grana particolarmente spessa in alcune pellicole. Con il nuovo preprocessing Sky cerca di mantenere inalterati i dettagli della pellicola originale, grana digitale inclusa: abbiamo potuto saggiare la qualità del Super HD visualizzando alcune scene di Iron Man 2, master particolarmente difficile, e dobbiamo dire che la differenza è apprezzabile. Sky ci ha permesso anche di effettuare un confronto diretto con il Blu-ray, e dobbiamo dire che la resa del Super HD è equivalente a quella di un Blu-ray di buona qualità. Oltre al master di qualità superiore e all’encoding particolare Sky aumenta anche il bitrate globale, che sale a circa 18 Mbps: è questo il motivo per il quale il Super HD al momento è legato ai soli contenuti push VOD. Una normale connessione ADSL, infatti, non riuscirebbe a gestire uno stream VOD di un contenuto così grande. I film saranno sempre in Dolby Digital 5.1 e purtroppo saranno in 1080@50i: abbiamo chiesto a Sky per quale motivo, almeno per i contenuti offline, non si sia scelto di usare il 24p magari abbinato a un Dolby Digital Plus ma i limiti in questo caso sembrano legati alle varie versioni di decoder HD installati e all’incapacità, per alcuni vecchi decoder, di gestire un bitstream Dolby Digital Plus. Per il 24p, invece, sembra una questione di “coerenza” con le trasmissioni broadcast. I primi film in Super HD saranno Rio 2 e Spiderman 2, e saranno disponibili a una fetta di abbonati tra qualche settimana: i “prescelti” li troveranno direttamente sul loro decoder. Rio 2 (sopra) e Spiderman 2 saranno i primi due film disponibili in Super HD. Dal 1° dicembre Samsung chiude il suo servizio di vendita e noleggio di film tramite la sua app per smartphone, tablet e smart TV. Con una email agli iscritti al servizio, l’azienda comunica la procedura per salvare i propri acquisti, visto che una volta che il servizio sarà completamente disattivato, questi andranno persi. Gli acquisti effettuati su Video Hub saranno scaricabili fino al 30 dicembre 2014, ma questo non basta per salvarli dall’oblio. A causa del sistema di DRM, infatti, i film andranno scaricati su tutti i dispositivi (fino a 5) su cui si intenderà riprodurli ancora e guardarne almeno 30 secondi entro la mezzanotte del 30 dicembre 2014. Se non verrà effettuata questa procedura i film scaricati non saranno più riproducibili. Chi ha acquistato molti film tramite il servizio Samsung si troverà chiaramente in una situazione tutt’altro che ideale, visto lo spazio che potrebbe richiedere la propria libreria. Il fatto, inoltre, che i film scaricati rimarranno per sempre bloccati su quei dispositivi ci ricorda ancora una volta quanto c’è di sbagliato nei sistemi di DRM. Il 30 novembre verrà, invece, disabilitato il servizio di videonoleggio sulle Smart TV Samsung. Anche in questo caso, i film noleggiati prima di questa data e non ancora guardati saranno disponibili unicamente fino al 30 dicembre. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE entertainment La nuova CAM sarà un modello unico per SD e HD e costerà 99 euro Mediaset Premium annuncia la CAM Wi-Fi A inizio 2015 arriverà anche Chromecast Nei primi mesi del 2015 la nuova Premium Smart CAM con Wi-Fi e il supporto a Chromecast di Roberto pezzali l neo Amministratore Delegato di Mediaset Premium Spa, Franco Ricci, ha anticipato sulle pagine del Corriere Economia una delle principali novità tecnologiche in arrivo: a inizio 2015 sarà possibile acquistare la SmartCam Premium con Wi-Fi, una nuova CAM con modulo Wireless integrato che permetterà a (quasi) tutti i TV dotati di porta Common Interface CI e CI+ di accedere ai servizi interattivi Premium Play anche se privi di connessione di rete e di funzionalità Smart. Con contenuti da digitale terrestre funzionerà come la classica Premium CAM o Premium CAM HD, sfrutterà la card all’interno per la decodifica e permetterà la visione dei contenuti in SD o in HD (a seconda del tipo di slot CI del TV), se collegata alla rete Wi-Fi potrà visualizzare film e contenuti da Premium Play sfruttando la rete. Per farlo servirà un “telecomando” particolare: la CAM Wi-Fi infatti si gestisce da tablet o da smartphone con un’applicazione dedicata, da usare sia per la configurazione sia per la scelta dei film da vedere. L’utente seleziona il contenuto, preme “Play” e invia alla CAM il comando di riprodurre quel determinato contenuto dalla rete. La nuova CAM sarà compatibile con quasi tutti i TV dotati di porta Common Interface: “quasi” perché servizi come Premium I Play utilizzano come formato di compressione dei contenuti H264 e i primissimi TV erano dotati solo di decoder DVB-T Mpeg2: per poter vedere Premium Play, anche solo in standard definizione, serve quindi un decoder Mpeg4 a bordo e qualche modello ne è sprovvisto. Ma le novità non sono finite: Mediaset Premium si aprirà anche a Chromecast. L’azienda ci ha rivelato che a inizio 2015 arriverà l’applicazione e che permetterà di sfruttare la chiavetta di Google per visualizzare i contenuti su tutte le TV sprovviste di funzionalità Smart. Ancora manca una data precisa, ma potrebbe essere entro la primavera e subito dopo il lancio della nuova Premium CAM. Mediaset ci ha anche chiarito il posizionamento della nuova CAM: sarà un nuovo modello che sostituirà le CAM Mediaset attuali. La nuova CAM sarà un modello unico per SD e HD e sarà venduta a 99 euro, lo stesso identico prezzo dell’attuale CAM HD con all’interno un mese di abbonamento: un prodotto unico eviterà la confusione e funzionerà su tutto il parco installato, permettendo anche la fruizione di contenuti on demand come Premium Play e Infinity (ma in un secondo momento). Un piccolo decoder integrato all’interno del TV, con la praticità dell’ingombro ma che necessita di un tablet o uno smartphone per gestire la parte “interattiva”. Mediaset ci ha rivelato che stanno lavorando sulla user experience, rendendo il più semplice e indolore l’operazione di configurazione e messa in servizio. L’arrivo è previsto per i primi mesi del 2015, forse febbraio. Sky e Mediaset, finiscono le esclusive Samsung Scadute o in scadenza le esclusive stipulate da Samsung per Sky Go e Premium Play D torna al sommario mente su dispositivi di terze parti se caricate in modo non ufficiale. L’accordo tra Mediaset e Samsung sarebbe già scaduto da qualche settimana, mentre per quello con Sky mancherebbe ancora un po’ di tempo: non c’è ufficialità, ma sarebbero in fase avanzata i test per rilasciare le app libere su Google Play. Dubbia, invece, la situazione per le app destinate alle Smart TV: Sono 1.3 milioni i clienti Sky connessi al web con il decoder: insieme hanno scaricato e visto 150 milioni di contenuti sfruttando l’infrastruttura italiana di Roberto Pezzali entertainment La notizia non è ufficiale, ma frutto di alcune indiscrezioni da noi raccolte di Roberto pezzali opo tanto tempo arriveranno finalmente Sky Go, Sky Online e Premium Play su Smart TV e tablet Android “non Samsung”. Secondo una serie di indiscrezioni che abbiamo raccolto sarebbe, infatti, scaduto l’accordo esclusivo che Samsung aveva firmato con Sky e Mediaset per poter avere, almeno su Android, le app tutte per sé. Che non fosse un problema tecnico, la scusa più usata per giustificarsi con i consumatori, si era capito da tempo, anche perché le app giravano regolar- Sky è l’unica Smart TV di successo in Italia difficile che Sky o Mediaset decidano di sviluppare a spese loro le app per le varie piattaforme Smart, poco usate e troppo diverse tra loro. Sky è la piattaforma Smart TV più usata in Italia, più di tutti i sistemi inseriti nei televisori e più degli altri servizi di VOD pensati per i TV. La piattaforma satellitare, infatti, ha comunicato di aver toccato i 150 milioni di download dal lancio di Sky On Demand, il servizio che permette agli abbonati di attingere a 2.500 titoli di cinema, serie tv, intrattenimento, documentari e programmi per bambini da scaricare in pochi secondi sul proprio My Sky e da vedere in qualsiasi momento. Sky On Demand è stato attivato da 1.3 milioni di abbonati dotati di decoder HD, abbonati che sfruttano l’infrastruttura di rete attuale per gestire la visione in differita: è vero che la rete italiana non è tra le più veloci d’Europa, ma è anche vero che le soluzioni si possono trovare. Interessanti anche i numeri di Restart: il servizio che consente di far ripartire dall’inizio un programma già in onda genera il 40% circa dei titoli scaricati ogni settimana. A questi numeri si aggiungono i numeri record di Sky Go, attivato dal 50% degli abbonati, che fa registrare una media di oltre 700mila accessi settimanali. Resta ora l’ultima sfida, portare la piattaforma verso l’alta definizione: Sky ci ha comunicato che stanno studiando soluzioni per farlo, ma in questo caso la rete italiana potrebbe davvero essere un collo di bottiglia. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE ENTERTAINMENT Sky lancia i pacchetti prepagati: niente carta di credito e rinnovo automatico Sky: per Natale arrivano le carte prepagate Sky Online Magic App è dedicata a Sky Online e alcune catene hanno le prepagate per la TV A di Roberto Pezzali rrivano per Natale le prepagate Sky: niente carta di credito, niente contratto ma solo una tessera già pronta che vale diversi mesi. Una vera rivoluzione anche se, come sappiamo, le prepagate già esistevano al di fuori dei canali ufficiali, vendute da qualche rivenditore o da qualche sito online. In questo caso è proprio Sky a fare la mossa: Sky Online Magic App è il pacchetto dedicato a Sky Online che offre 3 mesi di abbonamento a 39 euro, 13 euro al mese. Il codice permetterà quindi l’accesso in streaming alla piattaforma onDemand, 1000 titoli e 14 canali in diretta: Sky Cinema, Sky Tg24, Fox, Fox Crime, Fox Life, Sky Atlantic e Sky Uno per seguire live i grandi show di Sky come MasterChef 4. Per chi vuole però una prepagata di Sky, entertainment Il nuovo Star Wars su iTunes trailer Il teaser dell’atteso nuovo capitolo della saga di Guerre Stellari ha debuttato anche online, su iTunes Trailer, il portale Apple dedicato alle anteprime cinematografiche. I trailer e tutte le clip di iTunes Trailer sono accessibili all’indirizzo http://trailers.apple.com. L’attesa per il nuovo film è alta non solo perché si tratta di Guerre Stellari. Disney ha acquistato Lucasfilm con l’intenzione di rilanciare l’universo narrativo di Star Wars dopo la deludente seconda trilogia dei prequel. Al timone ha messo il regista e produttore J. J. Abrams, già responsabile di un interessante rilancio di Star Trek, che ha deciso di girare in pellicola il nuovo episodio intitolato Il Risveglio della Forza. Con il film fantastico Super 8, girato su pellicola Kodak a 8, 16 e 35 mm, Abrams ha dimostrato di essere capace di restituire il look dei film di fantascienza del secolo scorso, pur senza rinunciare alle potenzialità degli effetti speciali di oggi. Guardando il teaser possiamo avere un’idea su cosa aspettarci. torna al sommario Avatar 2 verrà filmato a 48fps James Cameron conferma che L’atteso sequel di Avatar, previsto al cinema per la fine del 2016, verrà filmato e proiettato a 48fps Esattamente come Lo Hobbit del collega Peter Jackson di Emanuele VILLA utilizzabile con un decoder e la parabola, c’è il Multipack Intrattenimento: costa 99 euro e dà diritto a 12 mesi di Sky TV, quindi spettacoli, serie TV e notizie. Lo vende Unieuro, ma non escludiamo che l’offerta possa essere estesa anche ad altri retailer con qualche altro “pack speciale”, magari con Sport e Cinema. Sarà possibile trovare invece Sky Online Magic App negli store selezionati Feltrinelli, Mondadori, Eataly, Euronics, Mediamarket, Autogrill, negli aeroporti presso Dixons Travels e online su Amazon.it. TV e video Per il 65” si parla di 7999 euro, 77” a 24999 euro Finalmente in arrivo l’OLED 4K LG I prezzi sono più alti del previsto di Roberto Pezzali D opo qualche mese di attesa i TV LG Ultra HD con tecnologia OLED stanno finalmente arrivando in Italia, e questa è una buona notizia. Quella meno “buona” invece è l’indisponibilità, per l’Italia, del modello da 55” e l’arrivo del 65” e del 77” ad un prezzo più alto del previsto. LG non ha ancora ufficializzato i prezzi, ma alcuni rivenditori da noi contattati ci hanno fatto sapere che il 65” sarà disponibile a 7999 euro mentre per il 77”, oggetto del desiderio di molti, si passa al prezzo super di 25000 euro, 24999 euro per l’esattezza. Prezzi totalmente diversi da quelli che i consumatori si attendevano, con il 55” a circa 4000 euro e il 65” a 6000 euro circa. L’apertura delle nuove fabbriche dedicate alla produzione di questi TV dovrebbe comunque contribuire ad abbassare il prezzo, un po’ come successo per il primo OLED: al momento il modello Full HD 930V si può trovare a 2500 euro. Un vero affare, anche perché stiamo parlando di uno dei migliori TV al mondo per design e qualità. Nonostante manchino più di due anni alla prima di Avatar 2, film del quale si sa ben poco se non che verrà presumibilmente presentato al pubblico a fine 2016, iniziano ad affiorare alcuni indizi tecnici. In particolare James Cameron, intervistato da Empire, ha deciso di girare il film a 48 fotogrammi al secondo, replicando sostanzialmente la scelta del collega Peter Jackson che l’inaugurò con il primo capitolo de Lo Hobbit. Il concetto è sempre quello di offrire un’esperienza diversa rispetto a quella classica cinematografica, con più realismo e una maggior “immersione” nelle vicende narrate. Oltre al fatto di segnare un progresso tangibile rispetto alla tecnica tradizionale. Fin dall’inizio dell’anno si sapeva che Cameron avrebbe filmato in 4K, ma la decisione sul framerate era avvolta da una fitta coltre di fumo: “Il mio pensiero iniziale era sui 60fps”, dichiara Cameron, “per favorire il più possibile il mercato dell’home video. Ma preferisco rivolgermi a un sistema più maturo e collaudato, per cui penso mi orienterò sui 48 frame al secondo”. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE entertainment I lavori sono ancora in fase preliminare, Toshiba pronta forse per il 2020 Rivoluzione da Toshiba: HD e 4K insieme Toshiba ha mostrato il primo encoder SHVC a una fiera a Tokyo dedicata ai broadcaster Aggiunge le informazioni 4K a un video Full HD in uno stream separato di circa 10 Mbit di Roberto Pezzali arrivo di nuovi standard video è sempre problematico per il broadcast e le emittenti sono costrette a creare canali separati per ogni tipologia di trasmissione. Ad esempio Rai, che ha Rai 1 in Standard Definition sul canale 1 e Rai 1 HD sul 501. Non sarebbe bello se ci fosse un solo canale e se fosse il decoder a decidere quale qualità mostrare? A breve si potrà. Toshiba ha mostrato a una fiera il primo encoder SHVC, dove il termine SHVC si riferisce a una nuova versione di HEVC (Version 2) al quale i membri del board Mpeg stanno lavorando. Grazie a questa estensione i filmati codificati HEVC in Full HD potranno avere uno o più layer aggiuntivi separati con le informazioni per portare ad esempio un flusso Full HD a flusso 4K, dati che verranno riconosciuti dai decoder compatibili. In teoria il layer L’ ENTERTAINMENT Per Billboard 1 album vale 1500 brani in streaming Il magazine americano Billboard ha annunciato che dal 3 dicembre per la Billboard 200, la classifica settimanale dei 200 album più venduti, includerà il contributo di brani scaricati e in streaming. Per ottenere l’equivalente di un album venduto, ci vorranno 1500 ascolti in streaming delle canzoni di quel disco. Per le tracce acquistate in download il conto scende a 10 brani, sempre che questi appartengano allo stesso disco. In Italia la FIMI ha iniziato a conteggiare lo streaming da settembre 2014, equiparando un brano venduto in download con 100 ascolti in streaming, ma per il momento non ha in programma di conteggiare i nuovi servizi anche per le classifiche degli album. Gli ultimi dati del mercato discografico italiano vedono una crescita dello streaming del 109% da inizio 2014, con un calo del 19% per quanto riguarda il download e del 4% per i supporti fisici. torna al sommario Tre giorni di tennis in 4K SuperTennis in collaborazione con Eutelsat trasmetterà le finali del Campionato di Tennis A1 in chiaro su Hotbird: HEVC, 10 bit e 50 fps, anche per provare il TV nuovo di Roberto Pezzali aggiuntivo dovrebbe essere abbastanza pesante soprattutto nel caso di passaggio da HD a 4K, tuttavia Toshiba con il suo encoder è riuscito a ridurlo con una serie di algoritmi predittivi, e ha stimato che questo upgrade di qualità richiede circa 10 Mbps. I lavori sono in una fase preliminare, l’SHVC non è ancora stato inserito nello standard HEVC e lo sarà a breve, quindi al momento non ci sono decoder compatibili. Toshiba conta di essere pronta per il 2020, quando potrà sfruttare la tecnologia per trasmettere usando un solo stream le versioni HD, 4K e forse 8K delle prossime Olimpiadi di Tokyo. entertainment Oculus VR collaborerà ancora con Samsung Tutti pazzi per la realtà virtuale Samsung c’è, ma anche Apple di Massimiliano zocchi C resce l’attenzione per il mondo della realtà virtuale. A margine dello Startup Nations Summit a Seul, il CEO di Oculus VR, Brendan Iribe, ha fatto sapere che la sua azienda (ora di proprietà di Facebook) continuerà a collaborare con Samsung per il settore della realtà virtuale. Iribe non ha però comunicato su quali prodotti siano al lavoro e nemmeno una possibile tempistica di arrivo sul mercato. Samsung, interpellata sull’argomento, non ha rilasciato dichiarazioni. Le sue parole tuttavia non lasciano spazio a dubbi: “Lavoreremo in stretta collaborazione con Samsung per sviluppare nuovi prodotti. Il lancio di Gear VR è stato un successo e sono sicuro che continueremo così”. Parrebbe che nel segmento della realtà virtuale, Samsung possa essere presto accompagnata dal “nemico” di sempre: Apple. Alcuni brevetti dell’azienda di Cupertino mostrano un certo interesse nel settore, ed è notizia recente che, tramite un annuncio sul proprio sito, Apple stia assumendo personale dedicato allo studio della realtà virtuale e alle sue possibili estensioni di prodotto. La descrizione della posizione lavorativa offerta, rivolta a ingegneri software, non è troppo specifica, ma dimostra le intenzioni di Cupertino: “...l’ingegnere creerà applicazioni di alto livello che si integreranno con sistemi di realtà virtuale per la realizzazione di prototipi e test”. Con altre grandi aziende già all’opera nel settore, come Sony e Google, le possibilità che la realtà virtuale sia la prossima next big thing sono sempre di più. Bastano una parabola e un TV compatibile per vedere, dal 6 all’8 dicembre, le finali del Campionato di Serie A1 maschile e femminile in 4K. Eutelsat, in collaborazione con SuperTennis, trasmetterà le dirette del torneo via satellite su 4K1, il canale Ultra HD europeo visibile in Italia su Hotbird. “Siamo particolarmente lieti della partnership con SuperTennis sancita da una trasmissione live in Ultra HD che durerà per tre giorni consecutivi senza interruzione. Un’iniziativa che ci permette non solo di testare ulteriormente la tecnologia Ultra HD ma anche di coinvolgere il mondo del tennis e il mondo degli esercizi commerciali per avanzare assieme verso la TV del futuro sulla strada dell’altissima qualità tecnica delle immagini”, ha dichiarato Renato Farina, AD di Eutelsat Italia. Occasione imperdibile anche per chi ha un TV 4K compatibile: Eutelsat trasmetterà lo stream in HEVC a 10 bit e 50 fps, e per riceverlo servirà un TV con decoder sat a bordo e decoder HEVC per il broadcast. I TV Samsung serie H dovrebbero ricevere senza problemi il segnale, sui Sony, LG e Panasonic va fatta una verifica. Fa piacere che qualcosa inizi a muoversi: il prossimo anno dovrebbero arrivare anche i primi servizi VOD in 4K per i TV, e oltre a Chili TV previsto per il primo trimestre anche qualche altro operatore, come Infinity, dovrebbe salire con alcuni contenuti sulla giostra dell’Ultra HD. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE MOBILE Vodafone annuncia la disponibilità in 80 città della rete 4G+ con velocità di picco in download fino a 225 Mbit/s Vodafone lancia l’LTE Advanced e nel 2015 arriva il VoLTE Nella prima metà del 2015 anche la voce passerà su LTE. Intanto arriva un nuovo smartphone compatibile 4G da 99 euro V di Paolo centofanti odafone continua a puntare forte sul 4G, con importanti annunci riguardo all’evoluzione della propria rete cellulare. Anche perché l’LTE è una grande opportunità per l’operatore telefonico: il 34% degli smartphone venduti nel 2014 supporta già la rete di nuova generazione, e chi usa l’LTE in media consuma il 42% in più di dati, ed è sul traffico Internet che oggi si guadagna. Innanzitutto da oggi è disponibile in 80 città italiane la connettività LTE-Advanced, che Vodafone pubblicizzerà con il brand 4G+: velocità di download di picco fino a 225 Mbit/s con i terminali compatibili e rete ancora più reattiva e capace di gestire i picchi di congestione del traffico. Per riuscire a offrire questo salto di velocità, Vodafone ha deciso di impiegare finalmente le sue frequenze acquistate nella banda dei 2,6 GHz e di dirottare parte dello spettro a 1800 MHz fino ad oggi destinato alle linee GSM sui servizi LTE. LTE-Advanced utilizzerà inizialmente queste due bande combinate, ma Vodafone prevede la possibilità di aggiungere in carrier aggregation anche gli 800 MHz permettendo di arrivare così anche a 300 Mbit/s. Al momento gli smartphone compatibili non sono molti: Samsung Galaxy Alpha, Galaxy Note 4 e l’imminente Galaxy Note Edge, ma il numero è destinato a crescere nel 2015, insieme alla copertura 4G+ che entro marzo 2015 arriverà a 110 città. LTE-Advanced non è però l’unica novità per quanto riguarda la rete Vodafone. L’operatore sarà infatti il primo a portare in Italia anche il Voice over LTE (VoLTE), le chiamate vocali cioè su 4G. Si tratta di un passaggio epocale, grazie al quale anche le telefonate viaggeranno su protocollo IP. Con il VoLTE le chiamate miglioreranno non solo a livello di qualità audio, ma anche in velocità di connessione (il tempo che passa da quando facciamo il numero al segnale di chiamata) e di versatilità, con la possibilità di passare senza soluzione di continuità a chiamate video o allo scambio di file e dati all’inter- no di una chiamata. Non c’è ancora una data precisa per il lancio commerciale, che avverrà nella prima metà del 2015, alla conclusione della sperimentazione attualmente in atto a Milano, Ivrea e Roma, ma Vodafone dice che la stragrande maggioranza degli smartphone LTE sarà compatibile con il servizio. Intanto in vista delle feste natalizie, per cercare di far fare il salto generazionale al 40% di clienti Vodafone che ancora non ha uno smartphone, l’operatore lancia un nuovo smartphone Android economico e già compatibile con il 4G: se lo scorso anno Vodafone lanciava lo Smart 4G a 199 euro, quest’anno tocca allo Smart 4G Turbo da soli 99,99 euro. Si tratta di uno smartphone con display da 4,5” con risoluzione di 854x480 pixel, processore quad core Qualcomm Snapdragon 410, fotocamera da 5 Megapixel, NFC e Android 4.4 KitKat. Ma c’è anche un nuovo tablet, sempre 4G, il Vodafone Smart Tab 4G: display da 8” IPS con risoluzione di 1280x800 pixel, Snapdragon 410, Android 4.4 a 199 euro. Vodafone ha rimodulato anche le proprie tariffe includendo di default l’LTE negli abbonamenti Relax e offrendo l’opzione LTE a 3 euro al mese con tre mesi gratuiti sui piani ricaricabili. mobile Prossimo al lancio il nuovo Windows Tablet che l’azienda aveva presentato in estate Archos 80 Cesium è il Windows Tablet accessibile Il tablet ha buone caratteristiche e un prezzo interessante. Ma la concorrenza è agguerrita C di Massimiliano zocchi onosciamo Archos come azienda attiva nei device portatili, con numerosi prodotti nell’era Android. L’azienda francese si appresta ora a fare un’ulteriore aggiunta al suo catalogo, con il primo tablet Windows. E lo fa con Archos 80 Cesium, tablet da 8”, torna al sommario dotato di display IPS con risoluzione 1280 x 800. Il cuore è un processore quad-core Intel Atom Z3735G Bay Trail, supportato da 1 GB di RAM. Troviamo anche lo slot microSD (fino a 128 GB) per aumentare i 16 GB di base, doppia fotocamera, 2 Megapixel per quella posteriore, mentre la front camera si ferma a 0.3 Megapixel. L’autonomia sarà garantita dalla batteria da 4000 mAh, mentre sul fronte connettività è da segnalare la presenza di Wi-Fi, Bluetooth e uscita micro HDMI. Come molti altri prodotti simili, Ce- sium includerà un anno di Office 365 e fino a 1 TB di spazio cloud su OneDrive. Il sistema operativo preinstallato sarà ovviamente Windows 8.1. Prodotto questo che si è fatto attendere molto, difatti Archos lo aveva annunciato ad agosto. Presentazione nella quale dalla Francia avevano fatto sapere anche il possibile prezzo al lancio: 149 dollari. Prezzo aggressivo qualche mese fa, un po’ meno ora che importanti aziende come HP o Toshiba hanno deciso di puntare sul mercato tablet Windows, anch’esse con prezzi competitivi. In questo scenario quindi Archos sarà probabilmente costretta a rivedere le sue previsioni, e ritoccare al ribasso il prezzo di listino, probabilmente intorno ai 99 dollari. MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Simona Zucca, Alessandra Lojacono Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE MOBILE Sul Nexus 6 l’impatto penalizzante sulle performance è arrivato ad essere dell’80% La sicurezza di Lollipop pesa sulle prestazioni Test rivelano che la crittografia della memoria rallenta molto la lettura e scrittura dei dati di Paolo CENTOFANTI e siete in procinto di aggiornare il vostro smartphone ad Android Lollipop, vi conviene resistere alla tentazione di attivare la crittografia della memoria interna del telefono. Test approfonditi realizzati da AnandTech rivelano, infatti, che la feature di sicurezza, ora attiva di default in Android 5.0, impatta sensibilmente sulle prestazioni di lettura e scrittura sulla memoria del telefono, il che può portare a un rallentamento anche di grande entità su alcune applicazioni. Il test è stato condotto confrontando il Nexus 6 normalmente venduto, che ha la crittografia attivata di default, con una versione speciale fornita da Motorola senza cifratura del disco. I benchmark realizzati sulle due unità rivelano così che le prestazioni sul modello standard arrivano ad essere penalizzate anche dell’80% rispetto a quello con crittografia disabilitata e S Una azienda tedesca si prepara a lanciare uno smartphone con 80 GB di memoria e 3 GB di RAM a 300 euro: realizzare uno smartphone ormai sembra un gioco da ragazzi, basta mettere insieme i pezzi in alcuni test la velocità della memoria risulta persino inferiore a quella del Nexus 5. La crittografia è attivata di default sui modelli che arrivano sul mercato con Lollipop già preinstallato e non può essere disattivata, ma l’aggiornamento da KitKat non abilita invece automaticamente questa funzionalità, motivo per cui magari sui modelli più vecchi conviene per il momento non attivarla. L’impatto sulle prestazioni è dovuto al fatto che le memorie tipicamente utilizzate negli smartphone non integrano un hardware specifico per crittografare il loro contenuto, operazione che deve venire svolta ogni volta dal processore principale via software, andando così a gravare sull’intero sistema. MOBILE Secondo voci che arrivano dalle fabbriche asiatiche, l’iPhone 5C uscirà di scena L’iPhone 5C uscirà di produzione a metà del 2015 Lo smartphone dai cinque colori era stato presentato come variante economica dell’iPhone 5 S di Paolo CENTOFANTi e c’è un prodotto Apple che non è stato compreso dal mercato questo è sicuramente l’iPhone 5C, smartphone che stando alle voci che arrivano dalle aree di produzione in Asia, verrà messo fuori produzione nella prima metà del 2015. Lontano da essere un totale insuccesso commerciale, visto che ha mosso comunque milioni di pezzi, l’iPhone più colorato che Apple abbia mai realizzato è uscito in un momento in cui il mercato si aspettava un modello economico e di largo consumo. Presentato insieme all’iPhone 5S, invece, il 5C fu lanciato come sostituto dell’iPhone 5, a sua volta uscito di produzione lo scorso anno. Di fatto l’iPhone 5C manteneva lo stesso hardware dell’iPhone 5, con cambiamenti unicamente a livello di design, a un prezzo non così marcatamente più basso rispetto al nuovo modello. In molti preferirono il più costoso, ma anche più evoluto, iPhone 5S e a dire torna al sommario Costruire un super smartphone ormai è un gioco da ragazzi il vero non erano in tanti quelli che si aspettavano di vedere l’iPhone 5C ancora in gamma con la presentazione dell’iPhone 6. Stando a quanto riportato dall’Industrial and Commercial Times di Taiwan, il destino dell’iPhone 5C è comunque segnato, tanto più che Apple ha bisogno delle linee di produzione per soddisfare la domanda dell’iPhone 6. Ma a parte questo sono tanti i motivi per cui non ha più senso avere l’iPhone 5C a catalogo: è l’unico modello di iPhone ad avere solo 8 GB di memoria (un po’ pochi per iOS 8), è il solo ad essere ancora basato su processore a 32 bit e non è dotato di lettore di impronte Touch ID. L’unica ragione di esistere per l’iPhone 5C al momento è quella di permettere ad Apple di offrire un iPhone gratis con contratto negli Stati Uniti. di Roberto pezzali Realizzare uno smartphone ormai è un po’ come giocare con i Lego: metti un processore, una fotocamera, un po’ di memoria e poi Lollipop, che fa da collante. L’idea di Project Ara quindi non deve stupire, così come non ci si deve meravigliare se spuntano come funghi produttori di smartphone che promettono prodotti hi-end a prezzi super concorrenziali: dall’iPhone al peggior smartphone, tutto nasce in Cina e arriva dalla Cina. L’ultimo arrivato è Linshof i8, uno smartphone sottilissimo dotato di caratteristiche tecniche di assoluto rilievo: la scheda tecnica infatti parla di 80 GB di memoria, divisa in 16 GB e 64 GB, 3 GB di RAM, processore OctaCore, LTE e una fotocamera Sony da 13 Megapixel sul retro. Il tutto al prezzo di 300 euro, che sembra stracciato a confronto con smartphone che costano quasi il doppio. Affare sicuro? Non sempre, anzi, la maggior parte delle volte prodotti di questo tipo sono da evitare: la stessa Linshof non ha le idee chiare: dichiara un display AMOLED IPS, che non esiste, e gli 80 GB di spazio siamo certi che siano ricavati inserendo una microSD da 64 GB “murata” nello smartphone al posto di mettere lo slot di espansione. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE MOBILE Esisteranno accessori che si potranno ricaricare con lo stesso cavo dell’iPhone Apple libera Lightning: potranno usarlo tutti Apple darà la possibilità a produttori terzi di creare dispositivi dotati di porta Lightning di Roberto PEZZALi ightning come l’USB: Apple ha deciso di aprire il suo connettore anche a produttori terzi per realizzare dispositivi dotati di porta Lightning. Apple ha, infatti, rivisto il suo programma Mfi (Made for iPhone / iPad) creando un nuovo modello di porta Lightning che può essere integrata in altri dispositivi a partire dal prossimo anno. Fino ad oggi, infatti, i produttori di periferiche avevano piena libertà sui connettori e sugli accessori, ma l’uso della porta era proprietà privata di Apple che l’ha inserita su iPhone e iPad. Una scelta quella di Apple che semplifica e non poco la produzione di accessori legati all’ecosistema iOS: ad oggi moltissime periferiche per iPhone o iPad sono dotate di connettore microUSB per la ricarica della batteria integrata, cosa che costringe a usare due cavi, uno Apple L MOBILE Galaxy Note Edge in Italia a 869 euro Inizialmente si pensava sarebbe rimasto confinato nella Corea del Sud, poi che sarebbe arrivato in Europa, infine anche in Italia: Galaxy Note Edge, una delle sorprese più interessanti dello scorso IFA di Berlino, arriverà da noi in tempo per le festività natalizie. Si tratta, in sostanza, del phablet Samsung basato sul medesimo hardware di Galaxy Note 4 ma con uno schermo OLED da 5,6’’ leggermente piegato sul lato destro, fatto che va a formare un bordo di circa 160 pixel dedicato a funzionalità extra. Samsung ha dunque deciso, dopo l’esperienza del lancio in Corea, di portarlo anche da noi, e lo proporrà a 869 euro di listino, con disponibilità assolutamente limitate. La data esatta non è stata fissata, ma è certo che il dispositivo arriverà in Italia a dicembre, in tempo per Natale. Per ulteriori approfondimenti sul terminale, vi rimandiamo al nostro first look realizzato in occasione della presentazione ufficiale di Berlino. torna al sommario per ricaricare il telefono e uno USB per l’accessorio. Una scelta quella di Apple che offre più libertà ai produttori ma che aiuterà l’azienda stessa a incrementare i suoi guadagni: non è un segreto che per entrare nel programma e usare il connettore ci sia una tassa da pagare. Dal punto di vista del consumatore tuttavia questo potrebbe non essere un grande vantaggio: Logitech attualmente produce tastiere Bluetooth che vanno bene sia per Android che per iOS, ricaricabili tramite la connessione microUSB. Se Logitech dovesse adottare il Lighning per la versione iOS, un utente che da iPhone passa ad Android si ritrova con un prodotto comunque difficile da ricaricare. MOBILE Le app presenti nello store sarebbero oltre 320.000 Che numeri per Windows Phone 50 milioni sono i device attivati D di V. R. BARASSi urante un incontro tenuto dalla divisione tedesca di Microsoft con un gruppo di selezionati blogger, il colosso di Redmond si è lasciato sfuggire alcuni numeri che fanno il punto sulla situazione globale di Windows Phone, sistema operativo che a piccoli passi sembra stia guadagnando sempre più la fiducia di milioni di utenti sparsi qua e là per il mondo. Si scopre, quindi, che dal lancio del primo Windows Phone sono state ben 50 milioni le attivazione di dispositivi (il 90% dei quali sarebbero Nokia Lumia, con il best-seller Lumia 520), numero senz’altro interessante considerando la situazione del sistema operativo Microsoft solo un paio di anni fa; fa, inoltre, piacere scoprire come siano ben 560.000 gli sviluppatori attivi sul fronte Windows Phone e che il Marketplace di casa sia popolato da circa 320.000 applicazioni. Riguardo allo store, Microsoft ha confermato come la rincorsa ad Apple e Android sia decisamente a buon punto: a dicembre 2013 le applicazioni disponibili per Windows Phone erano poco meno di 200.000, ad aprile 2014 il numero è salito a 250.000 e ad agosto ha raggiunto quota 300.000. La speranza è che la crescita non si fermi a questi numeri e, aggiungiamo noi, che cresca anche la qualità. Nexus 6 a ruba in Italia: voglia di Lollipop o pochi pezzi disponibili? Nexus 6 è stato disponibile sul Play Store di Google in Italia per poche ore La versione da 64 GB è andata esaurita, quella da 32 GB è ordinabile ma non arriverà per Natale di Roberto Pezzali Nexus 6 sul Play Store italiano è durato poche ore: la versione da 64 GB è esaurita e non è ordinabile, quella da 32 GB invece si può ordinare ma le consegne sono previste solo tra svariate settimane, almeno quattro. Chi lo ordina adesso non lo troverà sotto l’albero di Natale, dovrà aspettare gennaio per mettere le mani sull’ultimo smartphone Motorola progettato in collaborazione con Google. Un risultato eccellente in termini di vendita se si pensa che ogni giorno si sente parlare di crisi: Nexus 6 costa 649 euro in versione base e 699 euro nella versione da 64 GB, quindi non proprio uno smartphone a buon mercato, anche se allineato agli altri top di gamma. Possibile che un prodotto così atteso vada esaurito in poche ore? O Google ha sottostimato la voglia di Lollipop, cosa poco probabile, oppure all’Italia sono stati destinati pochi pezzi anche in relazione alle performance di vendita dei precedenti modelli. In ogni caso, anche se i pezzi fossero stati pochi, è comunque un ottimo successo per il Nexus 6 e Motorola lo merita perché ha fatto un lavoro eccellente. Ricordiamo che il Nexus è un mostro di potenza, con uno schermo QuadHD da 6” (2560 x 1440) e un processore Snapdragon 805 con 3 GB di RAM. A coronare il tutto c’è Lollipop, sistema operativo che stiamo apprezzando e sicuramente la miglior versione di Android mai realizzata da Google. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE MOBILE Inizialmente verrà lanciato in Cina, poi arriverà in Russia e in altri mercati europei Nokia N1 è la copia perfetta di iPad Mini L’N1 è praticamente identico al modello Apple, a parte sistema operativo e processore S di Roberto Pezzali iamo in Finlandia o in Cina? A guardare il nuovo Nokia N1 sembra che l’azienda finlandese abbia venduto a Microsoft non solo la divisione mobile ma anche i designer. Il misterioso box apparso su Twitter non era un prodotto ma la scatola di un prodotto, per la precisione di un tablet con a bordo Android Lollipop realizzato a immagine a somiglianza dell’iPad Mini. Il termine più appropriato in questo caso è clone, perché se una copia è qualcosa che assomiglia vagamente, in questo caso più che somiglianze ci sono vere analogie. Il cabinet è in alluminio monoblocco, proprio come l’iPad, e identici sono anche la dimensione dello schermo e la risoluzione, 2048 x 1536 su una diagonale di 7.9”. Identico anche il posizionamento degli elementi sul retro, fotocamera, tasti, jack per le cuffie sono sistemati come sull’iPad, così come uguale è la griglia degli speaker. Manca solo il logo Apple, ma questo è secondario. Nokia è riuscita anche nell’impresa di copiare il connettore lighting: non potendo raggiungere l’obiettivo con il normale micro USB ha pensato di adottare già il nuovo USB Type C reversibile, realizzando attorno una flangia identica a quella del piccolo iPad. Cambiano però dimensioni e peso: grazie al display di tipo InCell laminato lo spessore dell’N1 è di 6.9 mm e il peso si ferma a 318 grammi. Impossibile copiare il processore: Nokia ha dovuto usare un Intel Atom Z3580 da 2.4 GHz quad-core con 2 GB di RAM e 32 GB di storage. Per le fotocamere, invece, la scelta è caduta su un modulo da 8 Megapixel posteriore e uno da 5 Mega- È apparsa online la roadmap 2015 di Huawei: a gennaio arriva Ascend P8, a settembre Mate 8 e, tra i due ci sarà spazio per il super Ascend D8 pixel frontale. Il sistema operativo sarà Android Lollipop stock, abbinato a un nuovo Z Launcher basato sulle gesture. Oltre ad un sito dedicato e ispirato a quello Apple, il nuovo N1 ha anche una custodia identica a quella che Apple ha realizzato per i suoi iPad. N1 debutterà in Cina per il capodanno cinese, ma dopo il lancio orientale arriverà anche in Russia e in alcuni mercati europei selezionati. Dopo aver realizzato e creato gli ottimi Lumia, è davvero triste vedere un prodotto così firmato Nokia. MOBILE La caduta sul terreno è la responsabile del 70% degli schermi degli smartphone danneggiati Con Gorilla Glass 4 il telefono che cade non si rompe Corning annuncia la nascita di uno schermo pensato per prevenire i danni da caduta accidentale I di Emanuele VILLA l notissimo Gorilla Glass, che equipaggia la stragrande maggioranza dei dispositivi mobile in circolazione, giunge alla quarta “versione” col proposito di sbaragliare la concorrenza e imporsi come protezione di riferimento anche per la generazione successiva. Il comunicato stampa ufficiale non offre particolari approfondimenti sulle tecniche impiegate, ma afferma solennemente che Gorilla Glass 4 “è due volte più resistente di ogni vetro concorrente ora sul mercato”. Ci fidiamo sulla parola, insomma, tenendo in considerazione che Gorilla Glass 4 è stato realizzato (come si nota negli svariati video pubblicati nel sito dell’azienda) per far fronte alla minaccia n. 1 di questi dispositivi, ovvero le cadute accidentali sul terreno; non sul pavimento di casa, che di solito è liscio, ma sull’asfalto del marciapiede, sulla terra dei sentieri e via dicendo. Questo perché, sulla base di una ricerca condotta dalla stessa Corning, que- torna al sommario sto tipo di incidente è il responsabile del 70% degli schermi danneggiati degli smartphone e (in misura minore) dei tablet. Lo stesso studio ha dimostrato che Gorilla Glass 4 sopravvive nell’80% dei casi, con una resistenza (circa) doppia rispetto alle soluzioni concorrenti. Gorilla Glass 4 è disponibile per i produttori con spessori da 0,4 - 2,0 mm, ha una densità di 2,42 g/cm3 e verrà impiegato sui dispositivi di prossima generazione, molto probabilmente a partire da quel- Huawei Ascend D8 arriva a maggio ed è “super” li che verranno presentati al prossimo CES di Las Vegas. Test Gorilla Glass 4 di V. R. BARASSi Huawei non ha la minima intenzione di interpretare il ruolo da comprimaria nel mercato dei dispositivi mobile e a darne testimonianza è la sua roadmap 2015 che sta facendo il giro del web; supponendo si tratti di un documento attendibile, da inizio anno a settembre usciranno sette diversi dispositivi Android ma il “picco” lo raggiungeremo a maggio quando sarà commercializzato Ascend D8, nuovo super-flagship della gamma. Il dispositivo in questione sarà provvisto di un display da 5,5” QHD e monterà un potente processore custom a 64-bit - tra l’altro, non ancora annunciato - Kirin 950 al quale saranno affiancati ben 4 GB di memoria RAM e 64 GB di storage fisico. Il prezzo di lancio dovrebbe aggirarsi sui 650 - 700 euro e non è così improbabile la presentazione nel corso del MWC 2015. Tralasciando gli “economici” Ascend 5, 5X, 7 e 7X, con display da 5 a 5,5 pollici 720p o 1080p (prezzi da 115 dollari a 320 dollari), spiccano altri due dispositivi: il primo è Ascend P8, erede del P7 che sarà annunciato durante il CES 2015 e vanterà un processore Kirin 930 e 32 GB di memoria fisica, con un display Full HD da 5” di diagonale (base di lancio sui 350-400 €); il secondo è Mate 8 (previsto per settembre a circa 500-550 €), un phablet con schermo da 6” QHD che condividerà la stessa base hardware di P8. Al momento Huawei non ha commentato la fuga di notizie, ma ne sapremo di più nelle prossime settimane e, ovviamente, al CES di Las Vegas a gennaio. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE MOBILE I prezzi e le condizioni esclusive che Apple impone alle aziende che lavorano per loro possono portare alla distruzione Ecco perché l’iPhone 6 non ha il vetro in zaffiro Dalle carte del fallimento del fornitore dei vetri in zaffiro di Apple, la GTAT, emerge una storia che ha dell’incredibile di Roberto Pezzali oveva essere lo smartphone con lo schermo più resistente al mondo, invece l’iPhone 6 e l’iPhone 6 Plus sono stati lanciati con uno schermo “rinforzato agli ioni”. La storia è nota: GT Advanced Technologies, l’azienda che doveva fornire a Apple i vetri in zaffiro per i suoi smartphone, ha aperto la procedura di fallimento pochi giorni dopo il lancio dei nuovi smartphone. Il Wall Street Journal ha scavato a fondo nella faccenda e ha realizzato un eccellente report che descrive in modo dettagliato cosa ha portato quella che veniva considerata una delle realtà più promettenti della Silicon Valley in un’azienda sul lastrico nel giro di un anno. GT Advanced Technologies non era un’azienda che realizzava vetri in zaffiro, ma costruiva fornaci per la produzione del durissimo cristallo. Per creare lo zaffiro, infatti, servono altoforni capaci di raggiungere i 2000° Celsius, e GT Advanced Technologies era riuscita a creare una fornace capace di realizzare cilindri di zaffiro da 260 kg da affettare con una sega diamantata per ricavare gli schermi. La realizzazione di cilindri così grossi, rispetto a quelli classici da 160 kg, avrebbe permesso ad Apple di ottenere schermi di zaffiro a un prezzo decisamente conveniente. Per realizzare, infatti, un solo cilindro servono un mese di tempo e circa 20.000 dollari: quei 100 kg in più avrebbero permesso un risparmio del 40% circa. Secondo la documentazione che GT ha allegato alla richiesta di fallimento, Apple, interessata alla tecnologia, avrebbe chiesto nella seconda metà del 2013 di acquistare 2600 delle nuove fornaci per poter produrre i vetri dei nuovi prodotti. Una richiesta che è stata vista dai manager di GTAT come la chiave per il successo: Apple ad oggi usa un quarto di tutto lo zaffiro terrestre per le lenti dei suoi smartphone e per i tasti home dei prodotti con TouchID, e diventare fornitore avrebbe reso GTAT la più importante azienda per la produzione di zaffiro al mondo. C’era solo un piccolo dettaglio da non trascurare: nel momento in cui Apple e GTAT hanno firmato l’accordo per l’acquisto del nuovo tipo di fornace, questa non era ancora riuscita a sfornare un cilindro utilizzabile. Il primo prodotto da 260 kg era, infatti, totalmente inutilizzabile, ma GTAT confidava nel fatto che sarebbe riuscita a sistemare la produzione nei mesi successivi. Come abbiamo detto, l’azienda realizzava impianti per la produzione e non aveva la minima idea di come organizzare una mass production di vetri. La svolta alla vicenda arriva verso fine estate dello scorso anno: Apple cambia idea e decide che, al posto di acquistare le fornaci, GTAT deve produrre direttamente il vetro. Apple offre a GTAT un prestito di 578 milioni di dollari per costruire 2.036 fornaci e una fabbrica totalmente ecosostenibile in Arizona, che avrebbe poi acquistato a 500 milioni di dollari affittandola a GTAT per 100 dollari all’anno. La scelta di Apple, sempre secondo GTAT, è stata dettata dal fatto che l’azienda avrebbe voluto acquistare D torna al sommario i 2.600 forni al costo e non con il classico margine del 40%. Nella nuova fabbrica di proprietà Apple, GTAT avrebbe dovuto produrre i vetri da vendere poi a Apple a un prezzo stabilito. Costo che, secondo alcuni dirigenti di GTAT, si sarebbe poi rivelato troppo basso per poter sostenere i costi di produzione. Una situazione che Apple aveva già affrontato con altri fornitori di vetri: tutti avevano chiuso la porta in faccia ad Apple di fronte al prezzo che questa voleva pagare. “Essere fornitori di Apple può essere un vantaggio ma anche un rischio enorme”, ha affermato un dirigente di GTAT “e solo dopo un po’ ci si è resi conto di essere ‘prigionieri’ di Apple stessa, costretti a fornire nei tempi previsti e con la qualità prevista i prodotti a un prezzo che non faceva neppure andare in pari con i costi”. Inoltre, e questo è fondamentale, GTAT non poteva vendere fornaci a nessun altro produttore: doveva lavorare solo per Apple. L’accordo, comunque, è stato firmato il 31 ottobre 2013 e non si poteva fare nulla per tornare indietro: nonostante le prime produzioni si fossero rivelate un disastro, GTAT non poteva non rispettare gli accordi e ha deciso, probabilmente in modo avventato, di assumere rapidamente 700 persone. La cosa però è stata fatta talmente in fretta che oltre 100 persone si sono ritrovate in azienda senza sapere cosa fare e senza avere nessun manager di riferimento: “qualcuno spazzava i pavimenti, altri stavano a casa in malattia oppure non si presentavano al lavoro nonostante fossero pagati” - rivela un dipendente. La produzione era migliorata leggermente, tuttavia oltre la metà dei cilindri prodotti continuava ad essere inutilizzabile: nella fabbrica era anche stata allestita una zona cimitero per tutti i cilindri difettosi, ognuno dei quali era costato un mese di lavoro e 20.000$. Dopo svariati mesi iniziano ad arrivare le prime accuse reciproche: secondo i dirigenti di GTAT la produzione era lenta per colpa della scarsa efficienza energetica della centrale solare che Apple aveva realizzato per rendere la fabbrica autosufficiente, secondo Apple la colpa era della disorganizzazione del fornitore e non certo di qualche blackout. Ad aprile la situazione diventa critica: Apple non versa a GTAT gli ultimi 139 milioni di dollari perché il vetro prodotto non rispetta i suoi standard di qualità, e dalle carte si scopre che in realtà GTAT aveva già speso, per mettere in produzione la fabbrica, 900 milioni di dollari, una cifra che andava ben oltre i 439 che Apple gli aveva già versato. Dopo alcuni mesi GTAT si rende conto di quali sono stati gli errori di produzione: forni caricati in modo errato e una variazione al design hanno portato all’alto grado di difettosità. Si decide così di fare un passo indietro pur di rispettare i tempi di consegna e i numeri richiesti tornando a produrre cilindri più piccoli. Una mossa fatale: se già era impossibile guadagnare usando i cilindri grandi, con quelli piccoli ogni vetro consegnato a Apple veniva pagato meno di quanto costava. La fabbrica è allo sbando: un dirigente, al posto di spedire 500 blocchi di zaffiro pronti da tagliare ha mandato i blocchi al riciclaggio, perdendo altri milioni di dollari. I tempi comunque si erano allungati troppo: impossibile produrre i vetri necessari per iPhone 6 e iPhone 6 Plus; secondo Apple, GTAT avrebbe consegnato solo il 10% della quantità inizialmente scritta negli accordi. Vetro che probabilmente verrà utilizzato per alcuni modelli del Watch, lo smartwatch che vedremo il prossimo anno. Sempre a settembre, e ormai siamo alla fine della storia, GTAT avvisa Apple di avere problemi di liquidità: Apple offre altri 100 milioni di dollari e si rende disponibile a ritoccare il prezzo di acquisto e a togliere il vincolo di esclusività, offerta che si sarebbe dovuta discutere il 7 ottobre di quest’anno a Cupertino. Con il condizionale, perché il 6 sera arriva una telefonata del CEO di GT Advanced Technologies, Mr. Gutierrez, che avvisa Apple di aver avviato la procedura di fallimento. Apple e GTAT hanno trovato ora un accordo: GT Advanced Technologies venderà i forni a circa 250.000 dollari l’uno e con il ricavato risarcirà Apple del prestito fatto per la costruzione. Una storia che ha dell’incredibile, ed è davvero difficile capire dove siano le colpe. GTAT si è fatta ingolosire dall’ipotesi di diventare il fornitore ufficiale di vetri in zaffiro di Apple; se le cose fossero andate bene sarebbe diventata una delle aziende più ricche dell’intera catena produttiva. Avrebbe potuto semplicemente vendere le fornaci, magari a un prezzo più basso, e lasciare che fosse Apple a gestire tutta la produzione e gli eventuali problemi. Però si capisce anche che essere fornitori di un’azienda di questo tipo è più un male che un bene: se tutto va per il meglio Apple ti trascina al successo, ma i prezzi e le condizioni esclusive che impone possono distruggere un’azienda. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE app world L’accordo con Yahoo vale, a quanto si legge sul blog di Mozilla, solo per gli USA Mozilla divorzia da Google e passa a Yahoo Firmato un accordo di 5 anni che rende Yahoo il motore di ricerca predefinito di Firefox M di Paolo centofanti ozilla ha annunciato un accordo di cinque anni con Yahoo, che diventa il nuovo motore di ricerca predefinito del browser Firefox. Per diversi anni il ruolo è stato di Google, con contratti che per Mozilla hanno significato la propria sopravvivenza, visto che l’azienda di Mountain View è stata il principale finanziatore della Mozilla Foundation, proprio in virtù dell’utilizzo del motore di ricerca in Firefox. Il nuovo accordo con Yahoo vale, stando a quanto si legge sul blog di Mozilla, solo per gli Stati Uniti, e comunque Google, insieme a tutti gli altri motori di ricerca, rimane una delle opzioni selezionabili dall’utente. Firefox produce nel corso di un anno qualcosa come 100 miliardi di ricerche, un traffico che sicuramente farà gola a Yahoo, che ha da gadget Helios è la prima cuffia wireless a ricarica solare Exod propone su Kickstarter una cuffia stereo in grado di funzionare e ricaricarsi senza bisogno del cavo. Si chiama Helios e si tratta delle prime cuffie musicali Bluetooth 4.0 a ricarica solare. Secondo gli ideatori, con la ricarica ottenuta da un’ora di esposizione alla luce solare si ottiene energia sufficiente per mezz’ora di ascolto. Con una ricarica completa, il cui tempo non è specificato, è possibile far funzionare Helios per 15 ore. Il pannello fotovoltaico si trova sulla fascia che unisce i padiglioni. Le generose dimensioni permettono l’alloggiamento di un microfono, di una presa jack da 3,5 mm e di un pulsante per cambiare traccia. Non manca la presa micro USB per la ricarica tradizionale. Le Helios sono su Kickstarter ed Exod si dice pronta ad avviare la produzione al raggiungimento di 50.000 sterline entro il 2 gennaio 2015. Se prodotte, sarà interessante valutare la qualità audio e la robustezza e funzionalità del sistema di ricarica. torna al sommario WhatsApp per Android ora è più sicuro Con l’aggiornamento della versione per Android, WhatsApp ha attivato la crittografia dei messaggi scambiati La funzione non è ancora disponibile sulle altre piattaforme di Paolo centofanti molto tempo perso lo scettro di motore di ricerca più utilizzato. In cambio Yahoo supporterà la funzionalità do-not-track di Firefox che permette di disabilitare il tracciamento dei propri dati di navigazione. Per quanto riguarda l’Europa, Mozilla ha deciso comunque di non rinnovare il proprio contratto con Google, che però rimarrà comunque il motore di ricerca predefinito. Baidu sarà il motore di ricerca predefinito per la Cina, mentre Yandex Search sarà quello proposto in Russia. app world La nuova versione si chiamerà iTunes Music Beats Music sarà integrato in iOS di Paolo centofanti econdo quanto scritto dal Financial Times, Apple lancerà a marzo 2015 la nuova versione di Beats Music, il servizio di streaming musicale che Apple ha acquisito insieme a tutto il resto di Beats. Innanzitutto il servizio cambierà nome in iTunes Music, lasciandosi così alle spalle definitivamente il marchio Beats. In secondo luogo la nuova app sarà direttamente integrata nella prossima versione di iOS (la 8.2?) diventando così una delle applicazioni pre-installate su tutti gli iPhone e iPad. Il Financial Times scrive “rendendolo immediatamente disponibile su centinaia di milioni di iPhone e iPad”, ma in realtà non è ancora chiaro se il nuovo servizio di streaming sarà offerto anche al di fuori degli Stati Uniti, né quali cambiamenti Apple stia apportando all’originale Beats Music (leggi la nostra prova), o se il servizio rimarrà disponibile anche per Android e Windows Phone. I principali creatori di Beats Music, Ian Rogers e Trent Reznor, sono entrambi passati ad Apple come parte dell’acquisizione e Reznor ha annunciato recentemente in un’intervista di essere al lavoro su un nuovo progetto segreto per Apple. Che sia appunto iTunes Music? S WhatsApp ha rilasciato in questi giorni nuove versioni della sua app per Android e iOS, ma è soprattutto la prima a introdurre un’importante novità. Con l’ultima versione per Android, infatti, WhatsApp ha attivato la crittografia end-to-end dei messaggi. Per end-to-end si intende il fatto che le chiavi per la cifratura dei messaggi sono generate direttamente ai due capi della comunicazione, rendendo così lo stesso gestore del servizio teoricamente impossibilitato a decifrare i dati scambiati tra i due terminali. Per il sistema di crittografia WhatsApp si è rivolta alla software house Open Whisper Systems, già produttrice delle soluzioni di comunicazione sicura Signal e TextSecure, che ha annunciato i dettagli dell’accordo. Proprio la scorsa settimana, la EFF aveva pubblicato una classifica di sicurezza dei più diffusi sistemi di messaggistica, dalla quale WhatsApp non usciva molto bene. La crittografia end-to-end su WhatsApp funziona attualmente unicamente su smartphone Android e solo per i messaggi testuali uno a uno ed è basata sullo stesso protocollo di TextSecure. Più avanti verrà introdotto il supporto anche per le chat di gruppo e per i messaggi multimediali, mentre Open Whisper sta lavorando per integrare la funzionalità anche nelle app per le altre piattaforme. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE social media ll divario nei “consumi” tra USA ed Europa evidenziato da un report di Sandivine Senza Netflix, in Europa dominano torrent e YouTube In USA Netflix vale il 32% del traffico Internet. In Europa la pirateria ha percentuali importanti S di Paolo centofanti andvine, fornitore di soluzioni per la gestione del traffico di rete, ha rilasciato il nuovo Global Internet Phenomena Report, con gli ultimi dati aggiornati sul traffico Internet mondiale, fotografando come sta cambiando il modo di utilizzare la Rete e il tipo e la quantità di dati scambiati. Ma soprattutto, il nuovo rapporto svela quanto è grande il divario tra Stati Uniti ed Europa nelle abitudini di utilizzo. In particolare se in Nordamerica i servizi di streaming audio e video valgono ormai qualcosa come il 63% del traffico totale sulle reti fisse, in Europa il dato si ferma a un più modesto 36,5%. Illuminante in questo torna al sommario caso le differenze nella lista dei servizi che generano la maggior parte del traffico. Negli Stati Uniti domina letteralmente Netflix, che da solo vale circa il 32% di tutto il traffico nei momenti di picco, percentuale che arriva al 35% se si considera solo la banda consumata dagli utenti in download. Il primo degli inseguitori è YouTube, che si ferma ad appena il 13%. Tenente a mente ora questo dato: in Nordamerica la percentuale del traffico generato via torrent è del 5%. Attraversiamo l’oceano e torniamo in casa nostra e naturalmente le cose si fanno più complicate a causa delle differenze da paese a paese. Purtroppo Sandvine non fornisce il dettaglio paese per paese, limitandosi a dire che il traffico streaming varia tra il 20 e il 67%, a seconda dei servizi disponibili nei vari paesi. In media però sul continente europeo, a guidare il consumo di banda c’è YouTube, con poco meno del 20% di quota. Il 16% del traffico è normale attività web, mentre al terzo posto c’è, guarda caso, il flusso di dati generati da protocollo torrent, che vale il 14.4% del traffico totale nei momenti di picco, quasi tre volte tanto il dato americano. Netflix per contro vale appena il 2,97% del totale. Sempre parlando di reti fisse, mediamente gli utenti europei consumano 28,2 GB di dati mensilmente, contro i 57,4 GB degli americani, praticamente il doppio. Minore lo scarto sulle reti mobili: in questo caso in Europa si consumano in media 450 MB circa al mese da smartphone, mentre in Nordamerica si arriva a circa 512 MB. Anche sul versante mobile cominciano ad avere un impatto forte i servizi di streaming, che in Europa generano già il 35% del traffico cellulare nei momenti di picco. In questo caso l’America non è troppo lontana con un dato del 38%. Sugli smartphone a consumare di più rimangono YouTube, Facebook e la navigazione web. Amazon come Booking Presto entrerà nel settore viaggi Indiscrezioni provenienti dall’altra parte dell’Oceano Atlantico parlano di una Amazon senza limiti; a breve potrebbe esordire con Travel, sezione dedicata alla prenotazione degli hotel. L’azienda non smentisce di Vittorio Romano barassi I colleghi di Skift hanno pubblicato uno scoop esclusivo: Amazon è pronta a inaugurare un servizio dedicato alla prenotazione degli hotel. Le prove ci sono e, interpellata sulla questione, Amazon si è avvalsa della facoltà di non rispondere, segno evidente che c’è qualcosa in ballo. Secondo le informazioni raccolte da Skift, Amazon starebbe selezionando alcuni hotel indipendenti nei pressi di alcune delle più importanti città americane (New York, Los Angeles e Seattle) al fine di inaugurare il servizio Travel già dal primo gennaio prossimo. Skift ha voluto far luce sulla vicenda ed è riuscita a scoprire già tre hotel di New York interpellati da Amazon, due dei quali hanno accettato all’istante e con il terzo ancora “in dubbio”, ma ormai quasi convinto dalle possibilità commerciali derivanti dalla proposta del colosso americano. Amazon Travel, sarà questo il probabile nome del servizio, inizialmente si occuperà di hotel e non si estenderà al settore della prenotazione voli. Gli hotel dedicheranno ad Amazon un certo numero di stanze e la stessa Amazon si porterà a casa circa il 15% di commissioni. In attesa di notizie, una cosa pare chiara: Amazon sta facendo la propria selezione basandosi sui commenti di TripAdvisor e sta scegliendo hotel indipendenti che hanno poche possibilità di pubblicità ma che allo stesso tempo offrono servizi di qualità nei pressi delle grandi città USA. Cosa avranno in mente Bezos & co.? n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Denon ha lanciato le versioni rinnovate dei suoi sistemi audio Ceol Denon Ceol con Bluetooth e nuovi diffusori ll Ceol N9 costa 499 euro, il Ceol Piccolo 399 euro; i diffusori sono a parte, prezzo 100 euro di Roberto FAGGIANO sistemi Ceol di Denon si rinnovano con alcune utili aggiunte funzionali e con nuovi diffusori abbinabili. Il capostipite della famiglia ha ora la sigla N9 e permette di collegare qualsiasi smartphone o tablet tramite Bluetooth con aptX e NFC, la cui mancanza era forse l’unico neo del modello precedente. Tra le connessioni dirette è stata aggiunta un’altra presa ottica, oltre a quella già presente, al posto del secondo ingresso analogico. Tra le connettività senza fili è stata poi aggiunta la procedura automatica Wi-Fi sharing per iOS, in modo da semplificare il collegamento alla rete domestica. Il Wi-Fi è ora esteso alla modalità n ed è stata aggiunta la compatibilità con Spotify Connect. Rimane invariata l’amplificazione digitale da 2 x 65 watt (4 ohm, 0,7% THD) e la piena compatibilità con musica Flac e AIFF fino a 192 kHz/24 bit; sempre di- I Denon Ceol Piccolo N4, 2x 40 watt. Denon Ceol N9, ha amplificazione digitale da 2x 65 watt (4 ohm, 0,7% THD). sponibile l’AirPlay per iOS, il lettore CD e la radio FM. I diffusori abbinabili SCN9 hanno ora un’estetica migliorata con griglia fissata magneticamente e soprattutto un nuovo tweeter da 25 mm con migliori prestazioni. Anche il crossover è stato rivisto con componentistica selezionata per migliori prestazioni. Nell’amplificatore è inserita una specifica curva di equalizzazione per i nuovi diffusori, escludibile quando non li si utilizza. Il sistema Ceol Piccolo N4 è la versione dedicata a chi non ha bisogno di lettore CD e radio FM. Anche qui troviamo ora il Bluetooth aptX con NFC come sul modello superiore, il Wi-Fi di tipo N con modalità Sharing per iOS, compatibilità con musica Flac e AIFF fino a 192 kHz/24 bit e Spotify Connect. Invariata la sezione di potenza con 2 x 40 watt (4 ohm, 0,7%THD) e la possibilità di aggiungere una sorgente analogica e una digitale ottica. I diffusori abbinabili SC-N4 hanno anche loro un’estetica migliorata, un nuovo tweeter e un crossover migliorato nella componentistica.Leggermente modificata l’estetica, ma sempre disponibile in versione bianca oppure nera, con diffusori coordinati. Per quanto riguarda i prezzi il Ceol N9 costa 499 euro mentre il Ceol Piccolo N4 costa 399 euro; per entrambi si possono avere anche i diffusori con l’aggiunta di 100 euro. HI-FI E HOME CINEMA Linn Records regala un brano musicale del suo catalogo al giorno Per Natale Linn regala musica in alta risoluzione I brani sono disponibili per il download in vari formati, dall’MP3 fino al Flac 192 kHz/24bit di Roberto FAGGIANO li audiofili non faranno più ironie sulla parsimonia degli scozzesi, infatti per il quarto anno consecutivo Linn Records festeggia il Natale regalando un brano musicale al giorno. A partire dal 1° dicembre e fino al 24 dicembre si potrà liberamente scaricare un file musicale tratto dall’ampio catalogo dell’etichetta scozzese. Per la codifica si potranno scegliere vari formati: si parte dal semplice MP3 per poi passare al formato Flac o Alac da 44kHz/16bit, si prosegue con i Flac/ Alac in versione Studio Master Quality a 96 kHz/24bit e infine il massimo della qualità con lo Studio Master 192 che G torna al sommario comprende brani Flac e Alac a 192 kHz/24bit, cioè lo stesso master usato da Linn per produrre i suoi dischi e SACD. La possibilità di scegliere il formato aiuta chi non dispone di una connessione internet ad alta velocità, dato che alcuni file possono essere molto pesanti da scaricare. Oltre ai vari brani si possono scaricare anche le copertine. Un primo brano è già disponibile sin da oggi, gli altri saranno disponibili solo per un gior- no fino alla vigilia di Natale. Per scaricare i brani è necessario registrarsi al sito Linn e poi procedere al download come se si stessero acquistando i brani a costo zero. Questo il link per accedere alla promozione: www.linn.co.uk/christmast Technics lancia il suo store di musica lossless Aprirà a gennaio 2015 solo in Germania e in Gran Bretagna lo store Technics di musica in download in formato FLAC a 16 e 24 bit Sarà realizzato in collaborazione con 7Digital di Paolo CENTOFANTI Il resuscitato marchio Technics metterà la sua firma su un nuovo servizio di musica: il Technics Tracks. Si tratta di un negozio di musica online che offrirà agli utenti la possibilità di acquistare tracce in formato lossless in alta risoluzione (24 bit e 192 KHz) e standard (16 bit e 44.1 KHz). Il negozio è realizzato in collaborazione con 7Digital e al debutto sarà però disponibile inizialmente unicamente in due paesi europei: Gran Bretagna e Germania. Un aspetto interessante dell’operazione è che Technics Tracks sarà disponibile anche su smartphone con app apposita per Android e iOS. Lo store sarà anche un portale dedicato al mondo della musica ad alta risoluzione, con contenuti editoriali e notizie. Lo store è pensato per fornire contenuti per la nuova gamma di prodotti Technics presentati lo scorso settembre a IFA. I nuovi Technics SU-R1 e ST-C700 sono infatti compatibili con file audio ad alta risoluzione in formato PCM, FLAC e DSD, riproducibili sia da periferiche USB che tramite rete domestica. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE PC Synology ha presentato un interessante NAS a due bay pensato per utilizzo domestico Synology DS215, il NAS per piccoli budget È un centro per lo storage e la condivisione dei contenuti, inoltre vigila anche sulla casa S di Emanuele VILLA ynology ha presentato un NAS pensato principalmente per le esigenze di storage, condivisione e multimediali degli utenti domestici. Pur non annunciando un prezzo di listino, Synology promette che si tratterà di un prodotto per “piccoli budget”, il che lo rende ideale per chi vuole massimizzare il rapporto qualità/prezzo. Il nuovo nato si chiama DiskStation DS215J ed è un server NAS a 2 bay alimentato da un processore dual core da 800 MHz assistito da 512 MB di memoria RAM DDR3. Il dispositivo supporta storage fino a 12 TB di spazio e dispone di due porte USB, di cui una 2.0 e una 3.0, per il collegamento diretto di periferiche esterne. Per quanto concerne le prestazioni, il nuovo nato promette oltre 111 MB/s in lettura e 87 MB/s in scrittura, è dotato di un’unità a virgola mobile che accelera le trascodifiche dei file ed è basato sul sistema operativo DiskStation Manager, pensato HI-FI E HOME CINEMA Tidal ti mette alla prova Tidal offre un servizio di musica streaming in qualità lossless, ad un prezzo mensile, però, pari praticamente al doppio rispetto allo streaming convenzionale. Ne vale davvero la pena? Tidal al momento è disponibile solo in Gran Bretagna e Stati Uniti e, in attesa che lo streaming lossless si diffonda maggiormente, ha lanciato un interessante test in cui invita a provare il servizio e a dimostrare di essere in grado di distinguere la differenza tra audio compresso con perdita e lossless. Si tratta di una vera e propria comparazione alla cieca, in cui siamo invitati ad ascoltare due versioni di cinque spezzoni di altrettanti brani, tutti di generi diversi, e di indovinare quale delle due è effettivamente lossless. Il test è tutt’altro che banale e chi riesce a passarlo a pieni voti ha diritto a un abbonamento di prova di 14 giorni (in Italia non sarà possibile sfruttarlo. Pronti a mettervi alla prova e a scoprire se davvero l’audio lossless fa per voi? torna al sommario Denon DA-10 Audio hi-end per il computer Denon propone un convertitore D/A portatile compatibile con la musica DSD in alta risoluzione di Roberto FAGGIANO per favorire la gestione e condivisione dei contenuti. Inoltre, l’apparecchio mette a disposizione un servizio Cloud completo con possibilità di sincronizzazione su diversi dispositivi tra cui quelli iOs, Android, PC, Mac ecc. Per la gestione dei contenuti multimediali, Synology mette a disposizione degli utenti il pacchetto Photo Station, Video Station e Audio Station e funge da server DLNA, oltre a poter essere impiegato come centro per la sorveglianza domestica. Il NAS supporta fino a 10 canali video simultanei ad alta definizione in streaming a 240 FPS e 720 ed è inoltre dotato di 2 licenze gratuite per telecamere IP e supporta fino a 10 videocamere. Per quanto concerne, infine, i consumi, il NAS Synology consuma 5,28W in sospensione e 13,42W durante l’esercizio dei dischi fissi. PC Dopo HEVC e MKV Microsoft punta anche sull’audio Windows 10 suonerà bene Previsto il supporto ai file Flac W di Roberto Pezzali indows 10 cresce bene: Microsoft dopo aver integrato il codec HEVC e il supporto al container MKV guarda finalmente anche all’audio. Un “teaser” su Twitter da parte di Gabriel Aul, portavoce Microsoft per la Technical Preview di Windows 10, mostra chiaramente Windows Media Player all’opera con una playlist di file audio loseless Flac, l’algoritmo di compressione senza perdita amato da chi ascolta musica liquida ma non vuole rinunciare assolutamente alla qualità. Microsoft sta facendo un eccellente lavoro, cercando di rispondere colpo su colpo a tutte le esigenze in termini di entertainment, e non ci stupiremmo se dovessimo trovare, in una delle prossime build, un client torrent integrato. Resta un ultimo ostacolo: Windows Media Player non è mai stato un programma “molto amato”, traccia di un passato che Microsoft sta cercando di cancellare: forse i tempi per un nuovo player multimediale più moderno sono maturi. Un client alla Plex o simile a Infuse per capirci, un player basato sul contenuto e non sul file, con una interfaccia facile, chiara e veloce e compatibile con tutti i dispositivi dell’ecosistema Windows. Chiediamo troppo? Denon propone il DA-10 (349 euro), un piccolo convertitore D/A già compatibile con musica DSD e dotato di amplificatore per cuffia. Un apparecchio che si presta facilmente a diversi utilizzi: in casa con il notebook per ascoltare degnamente la propria musica sull’impianto stereo oppure in cuffia, durante un viaggio. I più esigenti lo potranno affiancare anche allo smartphone per un ascolto senza compromessi. Dimensioni e peso sono contenuti, il DA-10 misura 14 x 6 cm e pesa 240 grammi. L’amplificazione può essere impostata su due livelli di impedenza per adattarsi a diversi tipi di cuffia, in particolare l’amplificatore eroga 2 x 40 mW su un carico di 32 ohm e 2 x 18 mW su un carico di 600 ohm (1% THD). Gli ingressi comprendono una USB di tipo A dedicata a dispositivi Apple, una USB di tipo B per computer, una USB B dedicato a segnali DSD a 2,8 e 5,6 MHz, un ingresso analogico e l’uscita stereo a livello fisso per il collegamento a un sistema stereo. Nella componentistica utilizzata spicca il convertitore Burr Brown PCM 1795 e la circuitazione AL32 che riprende direttamente lo schema usato sui lettori SACD di Denon. La batteria ricaricabile integrata ha un’autonomia di 7 ore, con indicatore di carica; in dotazione anche una custodia per il trasporto già pronta per ospitare anche lo smartphone. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE PC Symantec ha individuato un virus in grado di spiare tutto e di trasferire denaro in remoto Regin è il Virus dei Virus, dietro (forse) c’è uno Stato Tra i bersagli degli attacchi industrie e importanti compagnie, si tratta di un complotto? R di Michele LEPORI egin, il virus scoperto dai servizi di sicurezza Symantec ed annunciato sul proprio sito come il virus dei virus, è qualcosa di talmente potente che è difficile capirne la portata. Chi si nasconde dietro Regin? Impossibile dirlo con sicurezza, né Symantec né il Financial Times che ha fatto per primo da “cassa di risonanza” per la notizia hanno la risposta, ma ci si può ragionevolmente sbilanciare nel dire che il creatore di Regin sia un paese occidentale, visto che i bersagli dei cyberattacchi sono stati in larga parte industrie, compagnie ed importanti figure politico-economiche di Russia, Arabia Saudita, Messico, Irlanda, India, Afghanistan, Iran, Belgio, Austria e Pakistan. Obiettivi diversi, ma secondo il deus ex machina dietro a Regin, tutti pericolosi per la sicurezza mondiale e quindi destinati a finire nelle maglie di un sistema che ha coperto le sue tracce dal lontano 2008 ad oggi. Tranne una pausa di 3 anni, infatti, pare che Regin abbia agito fin dall’inizio come entità pensata per erodere le fondamenta dei sistemi oggetto dell’hack con calma e dedizione piuttosto che con attacchi diretti e punitivi come lo Struxnet usato da USA ed Israele contro l’Iran e la sua escalation nucleare. Inoltre, Symantec conclude il proprio report sostenendo che lo sviluppo di Regin abbia richiesto un significativo investimento di tempo, denaro e risorse umane, cosa che solo uno Stato può permettersi. Sempre stando al documento di report pubblicato da Symantec, infatti, Regin agisce con un processo a 5 stadi che presi da soli dicono o poco nulla sul pericolo che sta correndo la macchina oggetto dell’attacco ma nella sua completezza il sistema è davvero ineccepibile. Come ha potuto agire così indisturbato Regin? Il meccanismo di infezione non è chiaro al 100%, ma come tutti i cavalli di Troia, sfruttando l’inganno e (almeno in un caso) Yahoo! Instant Esce negli Stati Uniti il nuovo tablet 2-in-1 di HP, vuole insidiare il più blasonato rivale di Redmond di Roberto Pezzali Messenger, Regin accede a versioni fake dei siti più noti ed inizia così a prendere possesso dei dati della macchina oggetto dell’attacco. Questo Regingate è ovviamente una bomba scoppiata sui tavoli della diplomazia internazionale e che non contribuirà certo ad allentare la tensione della nuova guerra fredda fra Nato e Russia, così come non mancheranno gli esperti pronti a puntare il dito alle evidenti somiglianze riscontrate fra il modo di agire di Regin e le recenti operazioni di controspionaggio cinesi ai danni di Hong Kong ed USA. PC Per chi è stanco di aspettare la fibra (e pure l’ADSL) NGI propone una nuova soluzione Wireless broadband a 30 Mbit con Eolo Plus HD Il sistema utilizza la trasmissione a microonde, l’installazione richiede una piccola antenna di Roberto Pezzali GI lancia il primo servizio wireless a banda ultra larga in 4000 comuni italiani, Eolo30 Plus. L’evoluzione di Eolo, il sistema wireless basato sulla trasmissione a microonde del segnale, è ormai una realtà consolidata con oltre 140.000 clienti aziendali e residenziali che possono contare su una connessione ad alta velocità nelle zone, soprattutto rurali, dove non arriva la connessione ADSL tradizionale. Eolo30 Plus è l’ultima evoluzione della tecnologia EOLOWave di NGI, permette velocità fino a 30 mega in download e fino a 3 mega in upload senza la necessità della fibra: basta essere in uno dei 4000 comuni coperti, e l’unica richiesta è l’installazione di una particolare antenna sul tetto o sul balcone. “Con i nostri servizi, vorremmo ribadire il messaggio che la banda ultra larga non coincide solo con la fibra. La nostra rete EOLO permette collegamenti N torna al sommario fino a 30Mega in ben 4000 comuni italiani, alcuni fra i quali non dispongono neppure di normali accessi ADSL; un ottimo punto di partenza se pensiamo alle aree raggiunte dalla fibra.” afferma Luca Spada, Presidente di NGI. Effettivamente la soluzione Eolo permette velocità di navigazione ben più elevate di quelle della comune ADSL, ma si deve tener conto anche di alcune variabili e di alcune limitazioni. Prima di tutto la banda: nel pacchetto base da 44,90 euro al mese ci sono 50 GB al mese a velocità piena, terminati i quali la navigazione continua ma a 5 Mbps in download e a 512 kbps in upload. Per acquistare ulteriori pacchetti di “banda piena” si devono spendere 6 euro ogni 5 GB. L’antenna è inclusa nell’installazione, per la quale bisogna pagare un contributo una tantum di 24.50 euro. Se il costo può sembrare elevato bisogna considerare che ai clienti di nuova attivazione Eolo30Plus HP Envy X2 a caccia di Surface Pro 3 include gratuitamente EOLO Voce per telefonare ai clienti di rete fissa. Va detto comunque che 5 Mbit non sono affatto male e dovrebbero garantire la banda necessaria sia per vedere film in streaming sia per giocare, anche se per il gaming l’unico problema potrebbe essere una latenza variabile a seconda delle situazioni. Chi lo ha provato ultimamente ci fa sapere che comunque non si passano mai i 50 millisecondi. In quel di Palo Alto sono pronti a riprovarci con il nuovo modello di Envy X2. Sebbene la stampa a stelle e strisce continui a parlare senza mezzi termini di “cloni”, i nuovi Envy X2 hanno vita propria e alcune differenze che non passano inosservate rispetto alla controparte Surface Pro di Microsoft: dai 4 altoparlanti (nella versione da 15”, sul 13” saranno 2) realizzati in collaborazione con BeatsAudio allo chassis da 1 cm abbondante e un peso decisamente maggiore, vicino a 1,5 Kg marcano in maniera netta le distanze dal competitor Microsoft.Venendo all’hardware, la prima differenza che non depone a favore della teoria del clone è il processore: Core M 5Y10 da 2,0 GHz o Core M5Y70 da 2,6 GHz, un cuore pulsante inferiore al rivale. HP lascia all’utente finale la scelta della RAM, da 4 a 8 GB così come il tipo di memoria di archiviazione che sul 13 è di tipo SSD a 128 o 256 GB mentre sorprende l’assenza di una memoria completamente a stato solido sul 15” a favore di un simil-FusionDrive con 500 GB magnetici e 16 SSD. Una scelta ottima per contenere il prezzo, meno per accontentare l’utenza più esigente. Veniamo ai prezzi: i modelli da 13” sono proposti a partire da 799 dollari il 15” parte da 749 dollari. La presenza della tastiera “di serie” è un punto a favore di HP, ma l’Intel Core i3 del Surface Pro 3 ci pare un rivale difficilmente raggiungibile. IL PIÙ SEMPLICE IL PIÙ SMART *LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine. Now It’s All Possible Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*? La sua sorprendente evoluzione. Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE gaming La scelta non è semplice: tanti modelli, tanto marketing e confusione soprattutto sul collegamento da adottare Come scegliere la migliore cuffia per giocare Una guida approfondita per scegliere una cuffia per giocare per console e PC, provando anche alcuni nuovi modelli di Roberto Pezzali videogiochi sono una passione, e non è un caso che proprio il gaming sia al momento uno dei settori più floridi, più del cinema o della musica. Oltre alla storia del gioco, che è fondamentale, è giusto aspettarsi la massima qualità audio e video. Purtroppo l’audio passa spesso in secondo piano: ne è dimostrazione il fatto che spesso le polemiche sono legate all’assenza del 1080p su un gioco, alla risoluzione scadente, all’aliasing e ad altri difetti, mentre se la traccia in 5.1 è pessima, compressa e poco dinamica pare non importare a nessuno. Anzi, molti ignorano di avere addirittura una traccia multicanale. Non è giusto: la colonna sonora di un gioco, così come la riproduzione degli effetti e delle voci, è un elemento importantissimo per la fruizione del gioco e in alcuni la ricostruzione della scena è fondamentale. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare una prova comparativa alla parte audio dei videogiochi, una guida all’acquisto unita alla prova di alcuni prodotti che abbiamo selezionato. I Non solo cuffia, c’è anche il microfono Le cuffie per giocare non sono molto diverse dalle normali cuffie audio, anzi, spesso e volentieri le cuffie per uso audio tradizionale sono anche migliori di molte cuffie dedicate a PC e console. Il mondo dei gamer è decisamente contagiato dal marketing, pertanto non c’è da stupirsi se una cuffia audio dedicata al gioco del costo di svariate centinaia di euro suoni peggio di una cuffia entry level di un marchio che ha fatto cuffie da una vita. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti da considerare: molte aziende (Razer, ad esempio) hanno ormai tutta l’esperienza per poter proporre prodotti di altissimo livello in campo audio, e soprattutto ci sono alcune particolarità delle cuffie da gioco che sono trascurate nelle normali cuffie da ascolto. A parte la lunghezza del cavo, di norma (molto) maggiore rispetto ai modelli dedicati all’audio, una fondamenta- La tipica cuffia da gioco: il microfono è indispensabile se si gioca in multiplayer torna al sommario le è il microfono: chi gioca in multiplayer ha bisogno di un microfono per poter chattare in real time con il team, e la stessa qualità del microfono è fondamentale per essere capiti in modo chiaro. La seconda è la comodità: una cuffia da gioco può essere tenuta anche per svariate ore, e la comodità dei padiglioni è un criterio di scelta importante. Infine, la compatibilità: ogni periferica di gioco ha le sue pecularità e proprio per questo motivo affronteremo l’argomento in modo separato, proponendo per ognuno una piccola guida alla scelta e la prova di un prodotto selezionato. Scegliere una cuffia per PC è facilissimo Il PC è il mezzo da gioco con cui si può raggiungere non solo la più alta qualità video ma anche audio. La scelta da fare è il tipo di connessione: si possono utilizzare cuffie con connettore jack tradizionale e quelle USB. Nel primo caso la cuffia va collegata alla scheda audio dedicata (consigliata nel casi di gaming) e alle uscite audio della motherboard, nel secondo caso si va ad occupare un connettore USB. La differenza è intuitiva: se si usa il connettore jack, è il PC a occuparsi della conversione digitale analogica mediante la scheda audio o il piccolo codec hardware della motherboard; nel caso invece di una cuffia USB il codec è inserito nel connettore della cuffia stessa e non sempre è un componente di qualità. Difficile dire quale delle due soluzioni sia meglio: una scheda audio, anche se di qualità, risente comunque delle interferenze elettromagnetiche all’interno del cabinet, la connessione USB spesso usa DAC di qualità minore ma non ha il problema delle interferenze. Per chi vuole proprio il top la soluzione perfetta è usare un DAC per cuffia esterno e una cuffia stereo di buona qualità collegata al DAC. L’altro problema è legato al microfono: nel caso del PC l’ingresso cuffia e l’ingresso microfono sono separati pertanto è possibile acquistare i due componenti separati, aggiungendo a una cuffia classica un piccolo microfono a clip. Siamo abbastanza certi che scegliendo due componenti di buona qualità si ottenga una resa di gran lunga superiore a quella di molte cuffie specifiche per il gaming con microfono integrato. Qui sopra una tipica cuffia per PC con connettori separati per microfono e cuffie. C’è anche un piccolo DAC per usarla tramite USB. La Xonar U3 di Asus è una buona soluzione per gestire l’audio esternamente. segue a pagina 21 n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE gaming Scegliere miglior cuffia per giocare segue Da pagina 20 Meglio scegliere stereo o 5.1? La parola “Surround” è spesso inflazionata: nel campo dell’audio è spesso usata e abusata anche dove non c’è bisogno. È facile trovare sulle confezioni le scritte “Super Surround”, 7.1 Surround, Tru-Surround e simili, ma la realtà è che esistono due tipi di cuffie: quelle Surround vere e quelle con Surround emulato. Alla prima categoria appartengono le cuffie che al posto di un solo diffusore per padiglione hanno più driver, ognuno pilotato in modo indipendente, come accade in un sistema 5.1. Queste cuffie si riconoscono guardando nel padiglione o alle connessioni: se sono usati i jack, devono esserci tre coppie di jack stereo, se c’è l’USB non si può capire che tipo di cuffia sia. Alla seconda categoria appartengono, invece, le finte cuffie Surround, cuffie stereo che usano una serie di DSP software per ricostruire l’ambienza. La cosa funziona, esistono ottimi algoritmi per la ricostruzione del 5.1 in cuffia usando solo due canali, ma quello che è importante capire è che queste cuffie alla fine sono stereo e la parola “Surround” ce la fanno pagare nel prezzo della cuffia. Quale scegliere per il PC? Dipende dal budget: una vera cuffia 5.1 che suoni bene è incredibilmente costosa, quindi con un budget normale meglio puntare su una buona stereo, magari acquistando anche un DAC esterno. La nostra prova: Sennheiser G4me Zero ware, un piccolo codec Texas Instrument per gestire microfono e cuffie regolando in modo indipendente i livelli. La versione del controller creata da Turtle Beach, che ha un tasto “enhance”, non fa altro che gestire l’equalizzazione: non è un DSP. Due cose vanno chiarite: che questo modulo è solo stereo e in nessun caso non potrà trasmettere segnali multicanale, e che la tecnologia di trasmissione del segnale è all’interno del controller Microsoft e non nel modulo. Il controller Microsoft usa una tecnologia basata su Wi-Fi ma proprietaria che trasmette i comandi di gioco e anche l’audio. Il segnale audio è di tipo RF a 2.4 Ghz, tuttavia non è dato sapere se e come viene compresso, se vengono usate soluzioni di compressione lossless e qual è la banda destinata all’audio. Il piccolo adapter e il sistema di trasmissione del segnale rappresentano per Xbox One il collo di bottiglia: anche se le cuffie sono le migliori al mondo, la qualità del segnale in arrivo alla cuffia sarà comunque modesta. Per questo motivo chi vuole un ascolto in cuffia di qualità deve procedere per altre strade, sfruttando ad esempio l’uscita ottica sp/dif sul retro. In questo caso si potrà davvero avere audio multicanale ed elevata qualità audio, anche se le cuffie che dispongono di ingresso digitale e quindi anche di un processore dedicato sono decisamente costose. Inoltre si perde la possibilità di usare la chat, sempre che non si voglia adottare Kinect. Esistono anche soluzioni più avanzate, come quella mostrata sotto che però non è wireless: Turtle Beach ha cuffie senza fili che si collegano a un adapter separato, che sfrutta l’uscita ottica ma permette di gestire anche l’audio con microfono integrato. Le nostre prove: Turtle Beach XO One e Xbox One Stereo Headset Scegliere una cuffia per Xbox One Nel caso di Xbox One la cuffia si attacca al controller da gioco utilizzando un connettore jack in standard CTIA. Questo vuol dire che molte cuffie per PC dotate di connettore separato per microfono e cuffia richiedono un adattatore per essere rese compatibili: Xbox One richiede un unico jack. In realtà la cuffia non si attacca proprio al controller ma a un adattatore da collegare al controller e da acquistare separatamente. Microsoft lo vende come prodotto separato, oppure è possibile trovarlo all’interno della cuffia stereo per Xbox One. Altri produttori hanno realizzato il loro adapter, ed è il caso ad esempio di Turtle Beach: in realtà, fatta eccezione per la disposizione dei tasti, questi adapter usano tutti lo stesso identico hard- L’adattatore ufficiale Microsoft torna al sommario La cuffia Wireless di PS4: usa una dongle USB e ha un cavo per collegare il microfono Scegliere una cuffia per PS4 La gestione audio di PS4 è più semplice e flessibile: si possono utilizzare cuffie USB, cuffie Wireless con connettore USB, cuffie a filo con jack da 3.5” e anche cuffie con ingresso digitale ottico. Manca il supporto Bluetooth: PS4 può gestire fino a 4 periferiche Bluetooth connesse e Sony ha preferito lasciare questa possibilità ai controller. La soluzione più immediata è l’uso di una cuffia stereo da attaccare al controller: in questo caso non serve un adattatore e basta indirizzare tutto l’audio all’uscita jack (c’è una impostazione dedicata). Questa soluzione tuttavia ha gli stessi limiti di quella di Xbox One: il trasferimento Wireless dell’audio comporta una perdita di qualità, soprattutto in questo caso visto che il trasferimento avviene tramite bluetooth e non con un collegamento Wireless dedicato. La soluzione migliore è sfruttare la porta USB: quella frontale della PS4 è compatibile con alcuni modelli di cuffie, e sta ai produttori scegliere se creare una segue a pagina 22 Per sfruttare l’uscita 5.1 serve un processore esterno da alimentare tramite USB. L’audio del microfono va comunque instradato dal controller. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE gaming Scegliere miglior cuffia per giocare segue Da pagina 21 La nostra prova: Turtle Beach EarForce P12 cuffia a filo oppure se realizzare cuffie Wireless dove una dongle viene inserita nel connettore USB e le cuffie ricevono il segnale da questa. In questo caso la qualità dipende dal tipo di protocollo usato per la trasmissione: alcune utilizzano un segnale radio RF, altre il Bluetooth. Utilizzando il jack sul controller o l’USB l’uscita audio è esclusivamente stereo, pertanto ogni rielaborazione in 5.1 o 7.1 è fatta dal DSP delle cuffie: come per le altre console l’unico modo per avere audio multicanale discreto vero è sfruttare l’uscita digitale ottica della console. In questo caso vanno bene tutte le cuffie che si possono adattare anche a tutte le altre console. Scegliere una cuffia per PS3 La cara e vecchia PlayStation 3 gestisce l’audio per le cuffie tramite Bluetooth e USB, e la regola del “wired is better” vale anche qui. La connessione Bluetooth, essendo compressa e compatibile solo con il profilo a2dp, non è certo una connessione di qualità oltre a essere solo stereo. In ogni caso ogni cuffia Bluetooth, anche gli auricolari per smartphone, è compatibile PS3. C’è da dire che non ci sono moltissimi prodotti che sfruttano questa possibilità: molto più diffuse invece le cuffie classiche con USB, spesso le stesse che sono compatibili anche con un PC. Sempre per la PS3 (ma la regola come abbiamo visto è universale), si può sfruttare l’uscita ottica. Chi vuole però sfruttare una cuffia con connettori jack separati, quelle classiche per PC insomma, può acquistare piccoli adattatori di terze parti da collegare alla por- Le nuove cuffie Silver funzionano sia su PS3 che su PS4 tramite USB. Vanno bene anche per un PC. torna al sommario Auricolare Bluetooth con dongle dedicata. ta USB: venduti a pochi euro questi adattatori sono comunque prodotti di discreta qualità con un DAC non certo eccelso. Se per PC è possibile dotarsi di DAC esterno, nel caso della PS3 bisgna fare molta attenzione: non tutte le periferiche USB vengono riconosciute e molti DAC non funzionano. Esistono però prodotti come la Soundblaster Recon3D che vengono riconosciuti e funzionano senza problemi. connettore proprietario AV, e in alcuni casi è necessario disporre di un adattatore per prelevare contemporaneamente il segnale HDMI (se la console ha l’HDMI) e l’uscita ottica. Sui modelli più recenti come la Xbox 360E il problema non sussiste perché l’uscita ottica è separata e comunque si può anche sfruttare il jack AV che ha sostituito il connettore proprietario. Scegliere una cuffia per Xbox 360 La gestione dell’audio dell’Xbox 360 è forse quella più problematica e confusa, anche a causa delle diverse iterazioni hardware della console. Microsoft ha rilasciato diversi headset Wired e Wireless, ma in tutti i casi si tratta di auricolari di modesta qualità nati per gestire la chat e non certo per l’audio del gioco. Tra questi troviamo soluzioni Bluetooth con dongle dedicata, soluzioni Wireless che sfruttano una connessione proprietaria Microsoft e soluzioni cablate da attaccare al controller della console tramite il piccolo jack da 2.5”. Come detto prima l’ambito di queste soluzioni è gestire l’audio della chat, e non certo l’audio del gioco. Per poter mandare in cuffia tutto l’audio in uscita dalla console è necessario prelevare l’audio digitale dal retro della console, e qui arrivano i problemi se la console non è recente. Le prime generazioni di Xbox 360 infatti disponevano di uscita ottica solo sul Gaming spesso equivale a marketing: molte cuffie sono più apparenza che qualità audio. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE gaming Dell propone un PC travestito da console che si chiama Alienware Alpha, presto disponibile anche per i gamer italiani Alienware Alpha, la soluzione per chi ama giocare col PC È un PC con versione customizzata di Windows che lo rende a tutti gli effetti simile alle console di ultima generazione V di Massimiliano zocchi i piacciono le console ma avete sempre amato giocare con il vostro PC? Allora Alienware Alpha potrebbe essere il prodotto che fa per voi. Dell lancia finalmente sul mercato il suo Steam PC da salotto. Con un prezzo a partire da 549,99 dollari (al momento solo per il mercato USA), potremo avere questo desktop PC che è anche un’aspirante console. Non solo estetica, però: Alpha è console anche nell’anima grazie al sistema operativo Windows 8.1 pesantemente customizzato. A tutti gli effetti, infatti, l’interfaccia per il gaming ricorda molto da vicino quella di una console di ultima generazione e rende le cose molto semplici e immediate. In caso di necessità potrete sempre collegare il vostro mouse e la tastiera ed accedere alla modalità desktop. Le configurazioni disponibili solo Da Philips la lampadina LED piatta Philips sente forte l’esigenza di offrire lampadine LED che fondano i vantaggi della nuova tecnologia con il look degli apparecchi tradizionali. Il risultato odierno, che per il momento è annunciato solo per gli USA, è la SlimStyle con intensità equivalente a una lampada a incandescenza da 75W e caratterizzata dal look rotondo come le lampadine classiche, ma anche totalmente piatto. Con un output di 1.100 lumen, SlimStyle LED rappresenta un passo avanti rispetto alla precedente lampadina “60W equivalente” e capace di 800 lumen. La forma piatta e circolare insieme è utilissima per la dispersione del calore, al punto da non richiedere alcun dissipatore in alluminio, con conseguente minor peso e costo inferiore. La lampadina è certificata per 13.000 ore di utilizzo, consuma 13 watt di potenza e costa 12,97 dollari americani. torna al sommario tre: la più economica ha processore Intel Core i3, 4 GB di RAM e 500 GB di hard disk, poi si sale a 799 dollari per la versione con Core i5, 8 GB di RAM e 1 TB di storage, mentre per avere un Core i7, 8 GB di RAM e 2 TB di HD dovremo sborsare 899 dollari. Ciò che distingue Alpha da un qualsiasi gaming PC è anche la scheda video NVIDIA GeForce GTX 860M, progettata appositamente per massimizzare la resa con i giochi disponibili nella piattaforma Steam. Secondo Dell, i tecnici NVIDIA e Alienware lavorando in sinergia hanno spinto la 860M a livelli mai raggiunti, con un perfetto equilibrio tra prestazioni e calore sviluppato, ottenendo risultati di alto livello; la RAM dedicata alla grafica è stata inoltre portata a 2 GB di GDDR5. Sempre dal sito Alienware apprendiamo che Alpha verrà rilasciato con sistema operativo Steam OS preinstallato, e potrà essere utilizzato anche il gamepad Steam, oltre che altri controller tramite un Dongle USB fornito nel bundle iniziale. Al momento sul sito italiano è presente solo una pre-registrazione, ma il fatto che la pagina sia già completamente tradotta e ricca di informazioni lascia presagire che sarà presto disponibile anche per i gamer nostrani. scienza e futuro Chi ha detto che il Blu-ray sono prodotti destinati solo all’intrattenimento? Il Blu-ray ha ancora un futuro: nei pannelli solari Uno studio ha scoperto che la superficie dei Blu-ray registrati può intrappolare la luce solare di Paolo centofanti C hi ha detto che il Blu-ray Disc sono prodotti destinati solo all’intrattenimento? In un articolo pubblicato su Nature, dei ricercatori della Northwestern University di Chicago hanno infatti dimostrato che la superficie dei dischi Blu-ray registrati è perfetta per creare dei rivestimenti in grado di intrappolare la luce solare. Il modo in cui i dati vengono masterizzati su un Blu-ray, infatti, crea una serie di micro tracce perfettamente casuali di lunghezza compresa tra i 150 e i 525 nm, una scala che è casualmente perfetta per intrappolare la luce di lunghezza d’onda infrarossa. Per questo motivo, i ricercatori hanno studiato un modo per utilizzare i Bluray Disc come stampo per realizzare un rivestimento sui pannelli fotovoltaici con lo stesso pattern dei dischi pre-registrati. Replicando la stessa struttura di un disco Blu-ray, i pannelli voltaici così realizzati hanno dimostrato un incremento nel- l’efficienza energetica fino al 12%, grazie alla proprietà di assorbimento della luce di questo particolare rivestimento, che è del 28% superiore a quella di un pannello non trattato. L’esperimento era iniziato utilizzando supporti vergini, ma la distribuzione delle incisioni non era sufficientemente casuale da migliorare l’assorbimento della luce. I dischi utilizzati invece per la distribuzione dei film, i Blu-ray Disc video insomma, a causa della particolare modulazione utilizzata, che sfrutta avanzati codici di correzione degli errori che hanno l’effetto di creare una sequenza pseudocasuale, si sono rivelati perfetti. Come nota di colore, i ricercatori hanno utilizzato come primo Blu-ray Disc per realizzare uno stampo il film di Jackie Chan Police Story 3: Supercop, considerato abbastanza brutto per essere sacrificato in nome della scienza e dell’energia pulita. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE gadget Bagaglio a mano o valigia? Fugu Suitcase risolve il problema con un progetto originale Una valigia gonfiabile per i viaggiatori evoluti Un solo prodotto per due funzionalità ed è anche facile da usare. Su Kickstarter va benone di Massimiliano zocchi uante volte abbiamo avuto il dubbio che il nostro piccolo bagaglio a mano non sarebbe stato sufficiente per il ritorno a causa di regali, souvenir e vestiti acquistati nel frattempo? I ragazzi di Fugu Luggage propongono una campagna di crowdfounding per risolvere per sempre questo problema. Fugu Suitcase è in grado di diventare più grande, grazie a delle speciali pareti gonfiabili tramite una elettropompa interna, e passa dalla misura di bagaglio a mano (rispettando gli standard delle compagnie aeree) alla massima misura consentita per i bagagli da stiva. Così potrete partire nel modo più comodo ma avere tutto lo spazio necessario al ritorno.Il progetto presentato su Kickstarter ha non solo raggiunto la quota minima di 50.000 Il Wall Street Journal sostiene che GoPro, dominatore del mercato delle Action Cam, abbia in serbo il suo primo drone per la fine del 2015. Prezzi tutt’altro che popolari: si vocifera costerà 1000 dollari Q di Emanuele villa dollari, ma ha già superato il quadruplo della richiesta iniziale. Prenotare la Fugu costa 219 dollari per la sola valigia, oppure 295 dollari per il kit comprensivo di valigia, borsa per notebook e targhetta e lucchetto personalizzati. Ma le particolarità di questa valigia non finiscono qui. Infatti una volta gonfiata completamente è assolutamente robu- sta tanto da sorreggere il vostro peso, e può essere usata anche come piano d’appoggio, come fosse un tavolo da viaggio. Al suo interno inoltre ha dei ripiani e appendini per riporre i vostri abiti nel miglior modo possibile. In più è dotata di ruote omnidirezionali per facilitare gli spostamenti. Ecco il video della presentazione. gadget L’esame del framework di sviluppo di Apple Watch fa luce sul rapporto con l’iPhone Watch senza segreti, ma il protagonista resta iPhone iPhone sarà il cuore dell’elaborazione delle app, e l’orologio gestirà l’interazione con l’utente I di Emanuele Villa nsieme alla beta di iOS 8.2, Apple ha rilasciato il suo framework di sviluppo per Apple Watch, nome in codice WatchKit. Rivolto ovviamente agli sviluppatori, l’SDK fa luce su alcune questioni lasciate in sospeso in fase di presentazione, e in particolare sul rapporto e la sinergia tra l’orologio e l’iPhone. La prima notizia, importantissima, è che iPhone sarà il cuore dell’elaborazione delle app, almeno nella prima fase. Apple ha infatti svelato che le app gireranno su iPhone, facendo perno sull’hardware nettamente più versatile e potente rispetto a quello del telefono, mentre a Watch spetterà la gestione e il render dell’interfaccia utente. In pratica, il SoC di iPhone eseguirà il codice, ma l’interazione avverrà mediante l’interfaccia utente gestita da Watch e il “dialogo” tra i due dispositivi sarà costante. Per esempio, le animazioni saranno elaborate dalla GPU di iPhone e poi inviate a Watch per la visualizzazione finale. Questa situazione potrebbe cambiare nella seconda parte del 2015, quando verranno torna al sommario Tutti pazzi per i droni anche GoPro rilasciate le app “native”, che si suppone girino per larga parte sull’orologio e non necessitino della presenza costante di iPhone. Una possibilità di interazione con le app sono le Glances, ovvero una specie di widget persistente sull’orologio che mostra informazioni ordinate provenienti da app installate nel telefono: qui non c’è possibilità di interazione con l’utente e i template sono rigidi, ma c’è ovviamente la possibilità di aprire l’app nel telefono. E poi ci sono le notifiche “classiche”, di due tipi: quelle statiche e soprattutto quelle interattive. Le prime saranno poco più di reminder a tutto schermo, con logo e nome dell’app e testo della notifica in bella evidenza, mentre le seconde permetteranno all’utente (un po’ come avviene con Android Wear) di porre in essere azioni direttamente connesse al contenuto della notifica. Altre notizie interessanti provenienti da WatchKit riguardano la risoluzione dei due modelli in uscita: quello più piccolo, con display da 1,5’’, ha una risoluzione di 272 x 340 pixel, mentre il secondo, da 1,65’’, è da 312x390 pixel, il che comporterà uno sforzo extra per gli sviluppatori. Le gesture saranno sostanzialmente le solite, anche per garantire un’esperienza utente analoga agli altri strumenti, e sarà possibile inserire mappe con fino a cinque annotazioni, ma saranno mappe non interattive. Infine, l’orologio avrà a disposizione una cache per le immagini di 20 MB, supporterà immagini animate pre-renderizzate dal telefono ma non i video: d’altronde, con un display di queste dimensioni ci possiamo accontentare. Mentre parte dell’industria si interroga sul futuro di smartphone e tablet, diverse aziende stanno sviluppando l’altra grande tendenza del periodo: i droni “consumer”. Questa volta la notizia arriva dal Wall Street Journal e riguarda il riferimento assoluto nel mondo delle Action Cam: GoPro. L’azienda sarebbe infatti al lavoro sul suo primo quadricottero, previsto in uscita per la fine dell’anno prossimo. Si vocifera un prezzo tutt’altro che popolare, intorno ai 1000 dollari, ma con funzioni esclusive e l’inclusione di diverse videocamere ad alta definizione al fine di rendere tutto il più avvincente possibile. In pratica, il drone GoPro potrebbe facilmente rientrare nella categoria prosumer: usato da chi vuole realizzare i propri filmati in quota ma anche per servizi professionali e televisivi. L’azienda, che in questo modo andrebbe a competere con nomi noti del settore consumer come Parrot, al momento non conferma né smentisce, di fatto andando a “certificare” quanto meno un suo interessamento nella questione. Speriamo di vedere qualche prototipo al CES. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST L’AX900 è il TV top di gamma di Panasonic, un LCD sviluppato per offrire una qualità comparabile a quella del migliore plasma Panasonic AX900: l’LCD per chi vuole il massimo È un TV eccellente sotto tutti punti vista, la qualità rasenta la perfezione. C’è un solo problema: il prezzo è decisamente alto L di Paolo CENTOFANTI a gamma di TV Panasonic ha raggiunto i vertici della qualità di immagine lo scorso anno con il plasma top di gamma serie ZT60. Gli appassionati speravano fosse un nuovo punto di partenza per arrivare al televisore perfetto e invece sappiamo come è andata: stritolata da vendite non esaltanti, dalla crisi dell’economia giapponese e dall’imperare di pannelli LCD a basso costo, Panasonic ha dovuto prendere una scelta inevitabile, quella di chiudere la divisione plasma. Una decisione non presa a cuor leggero e con la promessa di offrire dei degni sostituti in tecnologia LCD. Se la gamma full HD di quest’anno è stata tutt’altro che esaltante, Panasonic aveva comunque già sfornato degli ottimi prodotti con la serie Ultra HD AX800: un TV LED Edge che ci è piaciuto molto, seppure con dei limiti legati alla tecnologia. L’AX900 nasce con l’ambiziosa intenzione di offrire invece qualcosa di davvero paragonabile proprio all’apice della tecnologia al plasma rappresentato dallo ZT60. Per raggiungere questo obiettivo Panasonic non ha badato a spese: ha dirottato su questo progetto la maggior parte degli ingegneri della divisione plasma, comprese risorse ereditate dal team Kuro di Pioneer, e ha collaborato con il suo team di stanza a Hollywood esperto in qualità di immagine. Il risultato è un TV con pannello full LED con local dimming “vero” a 128 zone, una tecnologia che ormai usano in pochi per il suo costo elevato, integrato da quello che Panasonic chiama Studio Master Drive, essenzialmente un fine tuning di elettronica e pannello LCD per esprimere un’immagine cromaticamente corretta soprattutto sulle tinte più scure. Tutto ciò per dirci che in fondo possiamo vivere anche senza plasma. Missione compiuta? Design sobrio e pulito ma occhio al lato B Per il suo nuovo top di gamma Panasonic ha rivisto leggermente il design rispetto all’AX800. La filosofia non è troppo diversa rispetto al modello inferiore: un frontale molto pulito e semplice, apparentemente senza base di appoggio, ma con un grosso (e pesante) piedistallo nella parte posteriore. Se l’AX800 sembrava poggiare tutto il peso su una leggera staffa dall’equilibrio improbabile, la cornice dell’AX900 è un tutt’uno, anche perché nella parte inferiore integra i diffusori stereo, creando una sorta di micro soundbar nella parte infe- video lab Panasonic TX-55AX900 UN LCD AL LIMITE DELLA PERFEZIONE, MA L’OLED COSTA MENO 4499,99 € Con l’AX900 Panasonic dimostra di poter far a meno della tecnologia di display al plasma per realizzare un TV eccellente in grado di spiccare in un mercato sempre più popolato da prodotti mediocri. L’AX900 è senza dubbio il miglior TV LCD sulla piazza, compete bene con il plasma, ma ha un grande limite: il prezzo, che (in questo momento) lo pone fuori dal mercato. Siamo di circa 1500 più in alto rispetto all’OLED di LG di pari dimensioni. Anche con una risoluzione Ultra HD, l’AX900 non può competere come qualità di immagine con l’OLED full HD. Il prezzo dell’AX900 è sproporzionato anche in considerazione del fatto che la tecnologia full LED con local dimming non è una novità, anche se oramai, in un panorama televisivo in cui la qualità di immagine non è (purtroppo) più centrale, è diventata una rarità. Prezzo per pochi, quindi; e su pochi pezzi è impensabile partire con prezzi più bassi: un cane che si morde la coda e renderà la vita difficile, commercialmente parlando, a questo AX900 ma che per certi versi spiana la strada al fratello minore AX800, il cui modello da 50 pollici ormai si trova a meno della metà. 8,0 Qualità 9 Longevità 9 Design 7 Il miglior LCD sul mercato Cosa ci piace Buona calibrazione “out of the box” Ampie possibilità di calibrazione riore del TV. La linea dell’AX900 (noi abbiamo testato il modello da 55 pollici) è così molto pulita sul frontale, anche perché la cornice è davvero molto sottile intorno al pannello. L’unica nota stonata è costituita dal LED blu che illumina la fascia inferiore sotto lo schermo: scenografico quanto si vuole, ma è più luminoso di quello che si può pensare, tanto da disturbare la visione quando si guarda qualcosa in ambiente oscurato. Con sala illuminata non dà invece fastidio. Naturalmente il LED può essere spento con un apposita voce nel menù di impostazione, ma forse valeva la pena mettere un tasto apposito sul telecomando. Nel complesso la costruzione è contraddistinta dall’utilizzo di materiali di buona qualità e quando si estrae il TV dall’imballo si può apprezzare la solidità del prodotto. La cornice laterale è ricoperta da un profilo in acciaio e il ricorso alla plasti- Semplicità 7 D-Factor 9 Prezzo 6 Prezzo davvero elevato Cosa NON ci piace Il local dimming può generare artefatti Piattaforma smart macchinosa ca, per i tempi che corrono, è piuttosto limitato. Anche il retro è costituito da una copertura metallica. Il pesante piedistallo posteriore è abbastanza ingombrante e porta via quasi 30 centimetri in profondità, per cui occorrerà tenerne conto nel momento in cui si pensa a dove installare il TV. Non è nemmeno troppo bello da vedere, ma per fortuna se ne sta bello nascosto dietro, seppure sarà chiaramente visibile quando si guarda il TV di profilo. Nonostante il televisore abbia una retroilluminazione full LED lo spessore è comunque piuttosto ridotto e si attesta sotto i 6 centimetri nel punto più profondo. Sul retro troviamo invece tutte le connessioni di cui potremo avere bisogno. Gli ingressi HDMI sono quattro, tutti compatibili HDMI 2.0 e HDCP 2.2. A ciò si aggiun- segue a pagina 26 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 tEST Panasonic AX900 segue Da pagina 25 MAGAZINE Misure con setup THX... Bilanciamento del bianco ge (vera rarità) anche un ingresso DisplayPort 1.2 per il collegamento di PC fino alla risoluzione nativa del TV. Vicino agli ingressi HDMI troviamo ben tre porte USB, di cui una alimentata fino a 900 mA per il collegamento di hard disk esterni. Ci sono poi l’uscita per le cuffie, quella digitale ottica, ingressi component e SCART tramite adattatori forniti in dotazione, lo slot per schede SDXC, doppio alloggio per moduli Common Interface, doppia antenna SAT, antenna normale e porta ethernet. Il TV integra naturalmente anche la connettività Wi-Fi (802.11n anche a 5 GHz). Il sintonizzatore è doppio sia per il digitale terrestre DVB-T2, che satellitare. Il TV è dotato di decoder HEVC ma, stando alle specifiche, unicamente per la riproduzione di contenuti via Internet (essenzialmente Netflix dove è disponibile) o da periferiche USB nella forma di file multimediali. In dotazione troviamo due paia di occhiali 3D passivi molto leggeri e come per l’AX800 due telecomandi, uno tradizionale e quello a touchpad pensato per l’utilizzo delle funzionalità “smart”. Il telecomando principale è davvero ben costruito, rivestito in alluminio e con i tasti principali retroilluminati. Tante funzionalità, Interfaccia da migliorare Una volta acceso il TV siamo accolti dalla stessa interfaccia a schermo che avevamo trovato sul modello della serie AX800. Da questo punto di vista i TV sono indistinguibili e presentano le stesse funzionalità. La schermata di partenza è la My Home Screen, che l’utente può personalizzare scegliendo tra diversi modelli a disposizione. È possibile dare più peso alle funzioni TV oppure a quelle multimediali, ma anche decidere di avere di default semplicemente un canale televisivo come un normale televisore. Come abbiamo già avuto modo di scrivere parlando di altri TV Panasonic di quest’anno, la nuova piattaforma non è esattamente il massimo dell’intuitività e nonostante non manchi qualche buona Spazio colore - Gamut Saturazione primari e secondari ...E dopo la nostra calibrazione idea, le varie funzionalità sono un po’ disgiunte tra loro e in generale l’esperienza di utilizzo è poco armonica: ad esempio occorre creare due profili diversi, uno per alcune funzioni del TV e un altro per accedere ai servizi cloud e allo store delle app. Come sulla serie AX800 troviamo dunque la nuova schermata My Stream con una carrellata di contenuti online suggeriti, la Info Bar, sorta di barra di notifica che si attiva automaticamente a TV spento sfruttando la webcam come sensore di movimento e soprattutto la funzione TV Anywhere che consente di collegarsi alle registrazioni effettuate con il proprio TV ovunque ci si trovi tramite l’apposita app per smartphone e tablet TV Remote 2. Rimangono funzionalità come il lettore multimediale (ora compatibile con file codificati in HEVC), client e soprattutto server DLNA, che permette di condividere sulla rete locale le proprie registrazione ma anche il flusso TV in uscita dal tuner. Nonostante Panasonic parli di nuovo processore quad core, a dire il vero l’interfaccia del TV ci è parsa piuttosto pesante, con vistosi rallentamenti quando ad esempio si prova a riprodurre file multimediali in risoluzione Ultra HD. Il menù delle impostazioni è invece molto completo, anche in questo caso del tutto identico a quello visto sull’AX800, anche a parità di voci disponibili. I controlli di immagine sono esaustivi e permettono nelle regolazioni avanzate di calibrare bilanciamento del bianco e curva del gamma anche su dieci step della scala di grigio. Nonostante l’abbondanza di parametri, il menù è piuttosto razionale e solo la funzione “rimasterizzazione colore” che, stando alla descrizione, va in conflitto con la regolazione avanzata dei colori può generare un po’ di confusione nell’utente meno esperto. Calibrazione firmata THX Il TV Panasonic è uno dei pochi televisori con pannello Ultra HD a fregiarsi della certificazione THX 4K ed esce di fabbrica con due preset di immagine omonimi, uno per la visione con ambiente illuminato, e uno per la sala oscurata. Come primo test abbiamo effettuato delle analisi sul televisore impostato su quest’ultimo profilo, misure che dimostrano come Panasonic abbia lavorato molto bene per offrire la migliore qualità di im- magine possibile out of the box (cosa non facile come sembra). Il dato più interessante che emerge dai grafici che riportiamo qui sopra (clicca per ingrandire), è soprattutto quello del bilanciamento del bianco, visto che raramente abbiamo visto un TV uscire dalla fabbrica con un tracking così accurato. Seppure la temperatura colore sia leggermente superiore ai 6500°K comunemente presi come riferimento, l’errore deltaE è davvero basso e inferiore a 1 su quasi tutta la scala di grigi e comunque mai superiore a 2. Un ottimo biglietto da visita. Per quanto riguarda invece la colorimetria si può apprezzare la precisione di primari e secondari rispetto allo spazio colore Rec. 709. Il profilo THX tende a offrire tinte intermedie leggermente meno sature rispetto al riferimento, specie per quanto riguarda il rosso, ma comunque sempre entro limiti del tutto accettabili. La curva del gamma è invece è allineata intorno a un valore medio di 2.1 circa. Per la nostra prova abbiamo realizzato un profilo calibrato sfruttando i completissimi controlli a disposizione, che permettono di regolare con precisione ogni parametro. Come al solito la calibrazione è stata effettuata ottimizzata per la nostra sala di visione completamente oscurata, ponendo quindi un limite alla luminosità massima (120 cd/mq). Come si può vedere dai grafici, è possibile ottenere un risultato ancora più preciso specie per quanto riguarda il bilanciamento del bianco, grazie anche ai controlli su 10 step della scala di grigi, con valori di errore davvero ridotti al minimo. Anche mettendo mano al completo CMS, invece, rimane una leggera deviazione nella tinta del magenta che non siamo riusciti ad aggiustare, a seconda di come si procede, al 75% o al 100% di saturazione. Poco male comunque, visto che si tratta comunque di un risultato molto buono complessivamente: per primari e secondari l’errore è talmente basso da rendere queste deviazioni praticamente irrilevanti; inoltre utilizzando i profili etichettati “Professionale”, i valori di saturazione sono già molto più vicini al riferimento rispetto al THX. Va detto che l’AX800 risultava un po’ più preciso da questo punto di vista. Impostando il gamma su 2.4 abbiamo ottenuto un segue a pagina 27 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Panasonic AX900 segue Da pagina 26 Il telecomando e gli occhialini 3D in dotazione nello a emissione diretta. Il local dimming della serie AX800 di Panasonic era già ottimo, ma qui i tecnici Il menù di regolazione immagine è molto giapponesi sono riusciti ad andare un passo oltre ofcompleto, facile da leggere e ben organizzato. frendo un contrasto percepito nella maggior parte delle situazioni davvero in grado di rivaleggiare con i migliori plasma che Panasonic ha prodotto in passavalore effettivo medio più vicino a 2.35. Il rapporto di contrasto ANSI che abbiamo misurato con questa cato. La tecnologia impiegata da Panasonic per ridurre gli aloni, che spesso affliggono altre soluzioni di local librazione è un non sorprendente 1250:1, specie se lo dimming full LED, per lo più funziona e salvo scene confrontiamo con i circa 2800:1 dell’AX800, che però, davvero particolari, come una forte luce su fondale come vedremo meglio tra poco, è un valore che non completamente nero, il 90% delle volte il trucco funracconta tutta la storia: sul modello da 55 pollici, infatti, probabilmente un po’ di luce diffonde comunque verso ziona alla perfezione. C’è solo un piccolo effetto coli quadri neri della scacchiera utilizzata per la misura, laterale che fortunatamente emerge solo in rarissime producendo questo valore. In realtà il TV Panasonic è occasioni (per lo più con grafica fissa di un certo tipo capace di esprimere un livello del nero con una lumicome appunto test pattern): Panasonic non si limita a regolare i singoli LED in nosità di 0,009 cd/mq. Questo valore dipende dall’immodo molto fluido e preciso, ma elabora anche l’impostazione scelta sul controllo della retroilluminazione dinamica, che può essere impostata su tre posizioni magine da visualizzare, per compensare gli eventuali minimo, medio e massimo. Aumentando l’entità della aloni che si possono creare con una specie di mascheregolazione dinamica, il livello del nero scende ulteriorra a campana che scurisce preventivamente là dove potrebbe emergere della luce spuria. Questa compenmente. Da notare che in assenza di schermata nera, con il profilo “Professionale”, il TV non spegne comsazione avviene presumiamo anche con una sorta di overdrive del pannello, che in alcune specifiche situapletamente la retroilluminazione e questo è il livello del nero a cui si riferisce la misura che abbiamo effettuato. zioni produce uno strano effetto simile, per rendere L’input lag, infine, in modalità gioco si ferma a 88,4 mill’idea, a quando schiacciamo con un dito un pannello LCD. Ciò non capita praticamente mai nella visione di lisecondi. immagini normali (l’unico caso, a parte quello dei test pattern è stato con il caricamento del PlayStation StoSenza troppi giri di parole, il Panasonic TX-55AX900 re). Il controllo dei singoli LED è davvero molto morbiè il miglior LCD che abbiamo mai avuto modo di vedo e preciso e durante la visione, anche nelle scene più dinamiche con continui cambi di luminosità, non dere. La combinazione del bel pannello LCD IPS, con si percepisce mai l’intervento della retroilluminazione la retroilluminazione dinamica full LED a 128 zone, acdinamica. Nelle scene più scure la resa è esemplare, compagnata da una buona dose di tecniche di elabocon un buon contrasto, livello del nero convincente razione, ha prodotto quella che a oggi è la massima (seppure l’OLED continui a rimanere tutt’altra cosa), espressione di questa tecnologia. Difficile immaginare ottima precisione sulle ombre e perfetta pulizia deldi poter esprimere qualcosa di più senza un vero panl’immagine. Anche perché l’uniformità dell’AX900 è davvero notevole per essere un LCD: nessun effetto “schermo macchiato” nelle carrellate e clouding inesistente. Le uniche cose che abbiamo notato sull’esemplare giunto in redazione sono una maggiore visibilità nell’angolo in alto a sinistra di un leggero effetto alone quando viene visualizzato un punto luminoso su sfondo completamente nero (ad esempio l’OSD) e in presenza di schermate molto luminose una piccola banda più Un caso particolare che rivela l’algoritmo con cui l’immagine viene scura appena appena visibile. Persino ottimizzata per il local dimming. Normalmente ciò si verifica solo con il test della scena della sepoltura in grafica fissa e retroilluminazione dinamica impostata su “medio” Kill Bill Vol.2, in cui sullo schermo c’è o “massimo”. Durante la visione di programmi normali non si nota. solo un flebile lumicino non più gran- Il miglior LCD mai visto? torna al sommario La webcam è nella cornice, esce automaticamente de di un paio di pixel, che usualmente fa impazzire qualsiasi TV LCD a LED, viene superato alla grande dal TV Panasonic, che riproduce in modo impeccabile l’intera sequenza. Siamo comunque sempre di fronte a un LCD e ce ne ricordiamo in quelle scene scure ma non troppo, dove l’immagine tende a essere un po’ più opaca e “piatta” rispetto a quello che è capace di fare un ottimo plasma, a causa di una luminosità di fondo che tradisce la presenza della retroilluminazione. Molto buono l’upscaling di contenuti full HD alla risoluzione nativa del pannello. Lo scaler funziona né più né meno come sulla serie AX800, con un’immagine molto morbida e compatta, senza imprecisioni sui contorni o effetti di edge enhancement. C’è un’opzione nel menù denominata “ottimizza risoluzione” che consente di aumentare il dettaglio via via in modo più marcato. Su minimo dona un poco di prodondità in più all’immagine senza strafare e in modo molto piacevole. Parlando di risoluzione in movimento, di base, con Intelligent Frame Creation disabilitato, il pannello con i test sintetici offre una risoluzione di circa 300/350 linee TV. Impostando però l’IFC su minimo la risoluzione passa tranquillamente a 1080 linee TV e senza introdurre l’effetto telenovela, probabilmente perché lavora unicamente sul backlight scanning. Lo stesso vale anche con i segnali a 24 Hz: su minimo niente effetto telenovela con il vantaggio di avere una buona risoluzione in movimento. Di fatto, guardando film o altri tipi di programmi, con questa impostazioni abbiamo ottenuto un’immagine sempre dettagliata, senza scie o perdite di dettaglio. Semplicemente ottima invece la resa cromatica, con immagini brillanti e un look molto cinematografico. Ciò che ci ha deluso maggiormente è la resa con i dischi 3D. Il pannello è di tipo passivo con occhiali polarizzati ma il 3D è curiosamente molto preciso al centro dello schermo e per contro affetto da evidente cross talk nelle parti periferiche dell’immagine in modo che tende anche a diventare un po’ fastidioso. Con i contenuti in definizione standard come i canali TV c’è poco da dire, se non che la resa è meno peggio di quello che si potrebbe pensare vista la differenza di risoluzione rispetto all’Ultra HD. Tutto è impastato e privo di dettaglio, ma la resa è comunque più naturale che su tanti altri LCD con risoluzione più bassa. Interessante infine la resa dei piccoli diffusori integrati. Nulla di particolarmente esaltante, sia chiaro, ma la risposta è tutto sommato equilibrata e superiore alla media dei TV a schermo piatto in circolazione. Il fronte sonoro non è molto ampio e un po’ troppo direzionale, nel senso che si percepisce chiaramente che l’emissione avviene da sotto lo schermo, ma i dialoghi sono puliti e corposi e anche il registro medio/basso è per lo meno dignitoso. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST LG G Watch R conferma le attese: è uno dei migliori smartwatch in circolazione, ma non è ancora un punto d’arrivo 10 giorni con LG G Watch R al polso: tondo è bello Bello come un orologio tradizionale e con molte funzioni in più. Ancora qualche passetto in avanti e arriveremo all’ottimo di Emanuele VILLA n occasione dello scorso IFA di settembre abbiamo pubblicato un corposo First look di G Watch R, il primo smartwatch LG a forma di orologio classico ed evidente tentativo dell’azienda coreana di fondere l’attenzione al look con l’ultima tecnologia disponibile. Ora, a distanza di un paio di mesi e in occasione del lancio italiano, abbiamo avuto modo di testare il prodotto per una decina di giorni, impiegandolo nella routine quotidiana, nei momenti di svago e di fitness. Il risultato, lo diciamo subito, si riassume in modo semplice: G Watch R è uno dei migliori smartwatch su piazza, soprattutto sotto il profilo estetico. Chi sta cercando un prodotto che faccia bella mostra di sé e incarni le ultime tendenze in fatto di tecnologia, ora l’ha trovato, ma al tempo stesso non sarebbe corretto considerarlo un punto d’arrivo: la strada è quella giusta, ma c’è ancora un po’ da lavorare sul look e sull’autonomia per avere un prodotto senza precedenti. Quello che - per intenderci - ci farà togliere definitivamente l’orologio indossato per anni. I Look apprezzabile, buona “tecnica” Con G Watch R, LG ha voluto migliorare l’impronta estetica del suo smartwatch (G Watch, già provato su dday.it) rendendolo il più possibile simile a un orologio tradizionale. Anche perchè se si pensa di sostituire il proprio amato orologio con una versione 2.0, di sicuro non si accettano compromessi sotto il profilo estetico: il risultato è un prodotto con quadrante rotondo, svariate “Faces” personalizzabili e, dentro, tutta la versatilità di Android Wear. Rimandiamo al precedente First Look l’analisi delle specifiche tecniche e ci concentriamo qui su considerazioni d’uso. G Watch R è un passo avanti convincente rispetto alle generazioni passate, dà l’impressione di essere un orologio curato, con cinturino in pelle e quadrante metallico di chiaro gusto sportivo. È ancora abbastanza spesso e massiccio, dovendo video lab LG G Watch R 269,00 € OK, LA STRADA È QUELLA GIUSTA LG G Watch R è uno degli smartwatch più belli in commercio, perchè richiama le fattezze degli orologi sportivi tradizionali aggiungendovi il bello dell’era “smart”. Funziona bene, è reattivo, il display è ottimo e il sistema offre molte possibilità in più oltre alla semplice notifica, che in alcuni casi sono davvero utili. Lo smartwatch - lungi dall’essere indispensabile - può dare una marcia in più al telefono che teniamo gelosamente in tasca o nella borsetta. Non tutto è perfetto e non possiamo considerarlo un punto di arrivo: il look di G Watch R è piacevole ma il nero della cassa e del cinturino non rendono giustizia alla finitura in alluminio della prima e alla pelle del secondo, lo spessore va ridotto e magari si possono aggiungere alcune funzionalità degli orologi sportivi: perchè non inserire per esempio un paio di pulsanti per gestire un cronometro virtuale? E poi va aumentata l’autonomia, ponendosi come obiettivo una settimana di utilizzo. Ciò premesso, resta uno dei migliori smartwatch in circolazione e il primo - tra quelli testati - che valga davvero la pena considerare come acquisto natalizio.n 8,1 Qualità 8 Longevità 7 Design curato Cosa ci piace Prestazioni Semplicità di utilizzo Design 8 Semplicità 9 Cosa NON ci piace ospitare molta elettronica e una batteria non indifferente. Buono senza dubbio il display OLED, con una valida definizione, una buona resa cromatica e ben abbinato al nero della cassa: sicuramente in silver avrebbe fatto risaltare meglio la finitura metallica della cassa, ma anche così non ci possiamo lamentare. Pur sapendo di entrare in un territorio soggettivo, riteniamo che LG abbia fatto un bel passo avanti e che ora debba provare, come prossimo step, a rendere G Watch R un po’ più sottile. Il che non significa renderlo più piccolo: l’orologio ha una stazza analoga a ottimi orologi sportivi e, oltretutto, rimpicciolirne il quadrante potrebbe compromettere la leggibilità di Android Wear e renderlo inutilizzabile. Eventualmente si potrebbe optare per la riduzione della corona attorno al display, che in effetti ha un ruolo principalmente estetico. Android Wear, chi era costui? Com’è noto, LG G Watch R è basato su Android Wear, il sistema operativo di Google dedicato appositamen- D-Factor 9 Prezzo 8 Autonomia migliorabile Spessore un po’ eccessivo te ai dispositivi indossabili. Rimandiamo alla recensione del primo G Watch per un approfondimento, qui ci limitiamo a riprenderne gli aspetti essenziali. Android Wear è pensato per essere sia un centro notifiche smart, sia come completamento del telefono. Non richiede configurazioni particolari, appena acceso è pronto all’uso e richiede semplicemente lo scaricamento dell’app Android Wear sul telefono: un pairing Bluetooth e il gioco è fatto. Lo smartwatch mostra il quadrante selezionato dall’utente tra i molti disponibili (alcuni classici, altri legati a specifiche attività come il fitness) e in una piccola porzione in basso lascia intravedere l’intestazione dell’ultima notifica ricevuta in ordine di tempo: basta scorrere verso l’alto per vederle tutte una dopo l’altra e rendersi conto di una chiamata persa, di un’email ricevuta, di un messaggio whatsapp, un like di facebook o un obiettivo di fitness raggiunto, e tutto questo nel tipico stile di Google Now. Se l’app è compatibile, l’orologio offre svariate possibilità di interazione, altrimenti permet- segue a pagina 29 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST LG G Watch R segue Da pagina 28 te all’utente di aprire l’app relativa sul telefono. Per fare un esempio, quando abbiamo provato G Watch, whatsapp non era ancora ottimizzata: i messaggi apparivano regolarmente come notifica ma non si poteva rispondere, mentre ora è possibile farlo tramite riconoscimento vocale. L’abbiamo provato due o tre volte, nel terrore che il sistema non riconoscesse le parole e scrivesse frasi senza senso (che vengono inviate all’istante), ma in realtà il riconoscimento è stato pressochè perfetto. Intelligente anche l’idea di usare il GPS del telefono per il navigatore di Google Maps, le cui indicazioni appaiono direttamente sull’orologio, così come la mappa che non è interattiva. Idem con Google Fit per tenersi in forma, considerando che tra l’altro l’orologio ha un sensore di battito cardiaco integrato che la rende anche una fitness band in tutto e per tutto. A spasso con G Watch R Utile o superfluo? Abituarsi a G Watch R è un gioco da ragazzi e dobbiamo ammettere che sul fronte dell’esperienza utente Google ha fatto un ottimo lavoro: LG, dal canto suo, ha voluto forzare i limiti proponendo un quadrante rotondo quando il sistema è evidentemente ottimizzato per display squadrati, ma i limiti non risultano così appariscenti come si pensava in un primo momento. Il sistema è ottimizzato per la lettura dei messaggi “principali”, che infatti ci sembrano spostati leggermente verso l’alto per non essere tagliati dalla curvatura del quadrante, ma non lo è per tutte le notifiche e i contenuti: capita talvolta che nelle righe più in basso le prime e le ultime lettere non siano leggibili e si debba agire sul touch spostando verso l’alto il pannellino relativo. Come dicevamo, questo non è stato mai un problema nella routine di tutti i giorni, tanto più che per testi complessi, come un sms o un’email, faremmo questo gesto in ogni caso. Inoltre i caratteri non sono piccoli, si devono leggere senza difficoltà, per cui la curvatura dello schermo quando va male taglia un paio di lettere, mai parole intere. E nel 90% dei casi, neanche quello. Per chi parte da zero, l’impressione che deriva dalle prime ore d’uso è che Android Wear (e orologio relativo) serva a poco, non giriamoci troppo attorno. Poi però insistendo realizziamo quanto al- torna al sommario cune cose siano utili: raggiungere una telefonata che mai avremmo sentito (il telefono nascosto da qualche parte) per via della vibrazione sul polso, rispondere al volo a un messaggio whatsapp con un buon 90% di correttezza nel riconoscimento vocale, misurarsi in un attimo il battito cardiaco durante una camminata senza doversi fermare (è presente il sensore cardio), agire sul lettore audio sempre durante l’attività fisica senza bisogno di estrarre lo smartphone dalla custodia da braccio e via discorrendo. In pratica, se si considera che G Watch R è molto più efficace dello smartphone per le notifiche (perchè è sempre indossato), l’orologio ha sicuramente un suo perchè, e con l’arrivo di tante app ottimizzate la situazione migliorerà ulteriormente. Per dire, rispetto a G Watch testato qualche mese fa, la situazione lato-software è già migliorata, ci sono più app compatibili (tra cui molte per il fitness, come Runtastic o Runkeeper, oltre al “nativo” Google Fit) e molte permettono un’interazione fino a ieri sconosciuta. Certo, poi ci sono delle cose di importanza nettamente secondaria: la mappa difficilmente la si guarda sull’orologio, essendoci uno smartphone in tasca (G Watch R non ha GPS, usa quello del telefono), il riconoscimento vocale non va bene in ambienti rumorosi, ma per ricordarci di una riunione, della prenotazione di un volo aereo, come sveglia e contapassi “smart”, l’orologio di LG è davvero una scelta interessante. Un buon orologio L’autonomia resta il limite Volutamente, non ci siamo addentrati troppo nella descrizione delle “prestazioni” dell’orologio, poichè uno Snapdragon 400 non può (neanche volendo) causare limiti o rallentamenti ad uno smartwatch: in effetti tutto fila liscio e con una reattività che solo i top di gamma (stando nel mondo Android) possono garantire. Quindi il discorso lo si liquida in un attimo e ci possiamo soffermare sul display, fiore all’occhiello di questo prodotto: è un OLED, quindi nero perfetto e consumi al minimo, cosa assolutamente indispensabile considerando l’importanza dell’autonomia. Ha una buona definizione e anche questo è un fattore interessante, considerando che molti quadranti “simulati” sono basati su lancette finissime, che qui si vedono egregiamente; molto vivace l’impostazione cromatica, cosa che su uno smartwatch va benissimo. Per vedere l’ora si può decidere di accendere e spegnere il quadrante a mano (o via gesture) oppure introdurre una modalità che limita al massimo il consumo dello schermo ma permette comunque di vedere le lancette. Ovviamente da questa scelta dipende anche l’autonomia, che è risultata molto variabile sulla base dell’utilizzo. Diciamo subito che l’orologio, anche se “spremuto” al massimo, dura molto più della media degli smartphone: si va da un minimo di un giorno e un massimo di più di due. Nel primo caso, limitando il suo utilizzo alle notifiche e alla gestione del player musicale di Android, ricaricato venedì a pranzo (tramite l’apposita base magnetica), ha dato chiari segni di cedimento domenica, più o meno alla stessa ora. Peccato non riuscire a fare un weekend intero, ma anche usandolo in modo impegnativo, si arriva sempre a sera. Nonostante l’autonomia sia superiore a quella di uno smartphone, questa resta il limite principale della categoria: non si può pensare di competere con orologi che durano 1 anno avendo un’autonomia di un giorno o poco più. Certo, non raggiungeremo mai lo stesso risultato, ma con il progresso tecnologico riteniamo che l’obiettivo di una settimana di autonomia non sia poi così lontano. E quello sarà un momento davvero decisivo per questo mercato. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Abbiamo trascorso due settimane con Up Move, l’activity tracker economico di nuova generazione targato Jawbone Jawbone Up Move, il sensore che rimette in forma Niente di rivoluzionario, ma il nuovo sensore indossabile di Jawbone fa bene il suo lavoro: larga parte del merito è dell’app di Emanuele VILLA p Move è la proposta economica della nuova line-up di prodotti Jawbone, un piccolo sensore indossabile il cui compito è quello di monitorare la nostra attività sulle 24 ore aiutandoci a vivere in maniera più sana e attiva. È proprio quello che fa per noi, e per questo abbiamo deciso di indossarlo per due settimane senza toglierlo un istante e valutare passo dopo passo i progressi effettuati. Si parte! U video Il sensore stiloso Andiamo diretti al punto: Up Move è un sensore da 49,99 euro che replica le funzionalità presenti in buona parte degli smartphone di ultima generazione. Perché comprarlo, dunque? Perché un Activity Tracker non può che stare al polso, perché non ha molto senso contare i passi giornalieri tenendosi sempre lo smartphone in tasca e perché ha un’app molto rifinita e completa. E anche perché, a differenza delle fitness band e degli smartwatch, finalmente la batteria dura un’eternità (più di mesi mesi, dicono) e una volta indossato, possiamo davvero dimenticarcelo. Di base viene fornito con l’aggancio per la cintura, che troviamo sia meno utile rispetto al classico cinturino, che Jawbone propone in gomma e in diverse colorazioni: è vero che agganciandolo alla cintura, a uno zaino o a un indumento lo si occulta completamente, ma visto che Move può monitorare anche il sonno, ci si troverebbe a “toglierlo e metterlo” ripetutamente nel corso di una giornata, il che lo renderebbe meno comodo e utile. Un cinturino extra, magari di un bel colore sgargiante, e il gioco è fatto. Che sia bello o meno poi è del tutto soggettivo: è un sensore, un piccolo medaglione neanche troppo sottile e di colore nero che va a incastrarsi nell’apposita custodia o cinturino a seconda dello strumento che si intende usare. Unico neo riguarda il cinturino stesso, il cui aggancio è a nostro avviso troppo debole: più volte nel corso delle due setti- ab l€ 49,99 Jawbone UP Move RIMETTERSI IN FORMA SPENDENDO POCO Jawbone Up Move non è rivoluzionario, fa le stesse cose (o quasi) di molti smartphone ma con il vantaggio di averlo sempre con sé: è vero che calcola solo i passi e il movimento, non ha sensore cardio nè GPS, ma è anche vero che finalmente abbiamo un dispositivo con autonomia di più di 4 mesi e assistito da un’app meritevole di menzione. In più, costa oggettivamente poco ed è affidabile, il che lo rende sicuramente consigliato. Certamente migliorabile sotto alcuni profili, come gli aspetti “alimentari” dell’app e alcuni consigli non particolarmente illuminanti, ma è comunque un compagno affidabile nella routine di tutti i giorni. Giorni e notti, a dire il vero. 7.9 Qualità 7 Longevità 8 Autonomia “infinita” Cosa ci piace Costo contenuto App versatile Design 7 Semplicità 9 D-Factor 8 Prezzo 9 Aspetti “alimentari” dell’app migliorabili Cosa NON ci piace Mancanza sensore cardio Chiusura del cinturino un po’ debole mane l’abbiamo trovato a terra senza accorgerci di nulla, e fortunatamente eravamo in casa. Scarichi l’app, sincronizzi e ti muovi Up Move è fondato su un concetto semplicissimo: è un contapassi con accelerometro e connettività Bluetooth Smart che registra i movimenti inviandoli all’app. Sulla base di questo dato, il software elabora un po’ di tutto: calorie bruciate a riposo, in movimento, ore di sonno divise in sonno leggero e pesante, quante volte ci si è svegliati di notte, tempo per addormentarsi e via di seguito. Aggiungendo alcune informazioni dall’esterno, come gli alimenti consumati e l’andamento del peso, l’app può elaborare consigli mirati al miglioramento del proprio stato di forma. Naturale, dunque, che larga parte del sistema sia incentrato sull’app, che rappresenta il vero cuore pulsante di tut- to. Anche perché con il sensore ci si fa ben poco: lo si avvia la prima volta e poi ci si deve ricordare di premere il pulsante per passare dalla modalità giorno a quella notturna, entrambe identificate con un simbolino sul sensore. Quest’ultimo non ha un display ma una serie di LED disposti a cerchio che identificano l’ora e che si accendono a pressione. L’app è ovviamente gratuita e disponibile per iOS e Android: la si scarica, si esegue la procedura guidata di pairing e il gioco è fatto. Basta ricordarsi di modificare la modalità giorno/notte e, ogni tanto, andare a vedere l’app per le proprie statistiche e per ricevere consigli su misura. Fine. L’abbiamo utilizzato due settimane e ne abbiamo segue a pagina 31 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Jawbone Up Move segue Da pagina 30 apprezzato soprattutto la non-invasività: le sue funzioni sono le stesse di molti smartphone, ma rispetto alle fitness band tradizionali non c’è nulla da ricaricare o da togliersi di notte perché fastidioso. Certo, i primi giorni non è semplice ricordarsi di modificare lo stato giorno/notte con costanza, ma dopo un po’ ci si abitua. Quando si attiva l’app avviene la sincronizzazione dei dati e si può monitorare l’andamento della propria attività, magari inserendo tutte quelle informazioni che il sensore non può derivare da sé, come il peso e gli alimenti consumati. Fa tutto (o quasi) l’app Come anticipato, basta usare Up Move per un paio di giorni per rendersi conto di quanto sia l’app il cuore pulsante del sistema: graficamente appagante e ricca di funzionalità, è il vero valore aggiunto rispetto alle soluzioni integrate nei telefoni o la me- dia delle app gratuite disponibili. Le informazioni sull’attività diurna, il sonno e gli alimenti consumati sono riportate in un grafico a barre facilmente interpretabile e che si basa sugli obiettivi di movimento, sonno e peso precedentemente impostati: piccolo appunto, raggiunto un certo livello, le barre rimangono della medesima dimensione e non scalano più proporzionalmente, ma è poca cosa. Per rendersene conto, basta guardare le due immagini (sinitra e centrale) pubblicate qui sopra: nella prima foto le barre sono in proporzione, nella seconda no. Davvero carina, e ci pare anche attendibile, la misurazione del sonno (immagine in alto a destra): sicuramente lo è sul tempo necessario per prendere sonno e sulle interruzioni notturne; difficile, invece, valutare l’attendibilità del rapporto sonno profondo/sonno leggero: ci fidiamo. Affidabile anche la valutazione del percorso effettuato, che si traduce in calorie consumate (in questo caso l’unica cosa è fidarsi) che si sommano a quelle consumate a riposo componendo il nostro grafico quotidiano. Ben fatti torna al sommario i report, che ci permettono di risalire all’andamento dell’attività su base quotidiana, settimanale e mensile, ma a nostro avviso ancor più piacevole è la possibilità di integrare il dispositivo in un sistema fatto di apparecchi e app diverse. Per esempio, è possibile usare il sensore di Up Move con MyFitness Pal (foto in basso) per la gestione degli aspetti nutrizionali, con RunKeeper per gli allenamenti completi, con MapMyFitness e via dicendo, ma anche con dispositivi hardware quali Withings per il calcolo del peso e della massa corporea (i dati vengono importati direttamente nell’app di Up), con il sistema Nest per la creazione di un ambiente confortevole e via dicendo. Se vogliamo trovare un limite, questo è l’aspetto “nutrizionale” dell’applicazione Up: l’idea di registrare i cibi e le bevande ingerite rilevando non solo l’aspetto calorico ma anche la suddivisione nei componenti principali (grassi, proteine, carboidrati...) è molto carina ma migliorabile, tra frasi tradotte a metà (basta guardare la schermata sotto al centro, alla voce “Salmone al forno o alla griglia”), unità di misura diverse, piatti ripetuti e via dicendo. Sotto questo profilo, il coordinamento con un’app ad hoc esterna è ancora consigliabile. Migliore, ma anche qui meritevole di approfondimento, è il discorso delle raccomandazioni “smart”, che ci sono parse sicuramente simpatiche, ma anche (in alcuni casi) parecchio banali. Niente di grave, comunque, non è questo il motivo per cui Up Move di Jawbone n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Ha un prezzo di listino abbordabile per un terminale di fascia media ed è pensato per la “moda” del momento: i selfie Nokia Lumia 735: la classe media va in paradiso Il design accattivante e alcune caratteristiche al di sopra della media rendono il Lumia 735 una scelta interessante di Massimiliano ZOCCHI on Lumia 735, Microsoft ha voluto realizzare un terminale che facesse contenta una fetta abbastanza ampia di utenti. Da una parte la clientela attenta al rapporto qualità/prezzo, dall’altra chi desidera anche qualche caratteristica avanzata ma non prende in considerazione i top di gamma. È nato così un terminale che “prende” qualcosa dalla fascia economica e qualcosa dai fratelli maggiori, proponendo entrambi a un listino abbordabile di 269 euro. C video Squadra che vince non si cambia Tutti i terminali Lumia sono facilmente identificabili, poiché al di là delle diverse dimensioni utilizzano soltanto due form factor, uno con stile più arrotondato, l’altro più spigoloso. Il 735 appartiene a quest’ultima categoria: sebbene mantenga una morbida curvatura sui lati lunghi, le basi sono piatte (di fatto il telefono può stare anche in piedi) e con spigoli netti, un design che porta alla mente anche modelli passati come il “mitico” N8. La scocca è perfettamente in stile Lumia, con la solita plastica colorata (verde nel nostro caso) piacevole al tatto, anche se un po’ scivolosa. La dimensione del Lumia 735 è al limite dell’usabilità con una sola mano, l’esterno è ridotto all’essenziale, con solo la presa micro USB in basso, il jack audio da 3.5 mm in alto (entrambi al centro) e sul lato destro il tasto accensione e il bilanciere del volume. Manca il pulsante di azionamento diretto della fotocamera, cosa non trascurabile poiché le doti fotografiche sono fondamentali in questo device. I tre pulsanti tipici di Windows Phone sono sempre in basso ma non nella cornice sotto il display: si tratta infatti di tasti capacitivi che compaiono in basso nell’area del display. Se non utilizzati scompaiono e per farli riapparire è sufficiente uno swipe dal basso. Soluzione interessante e tutt’altro che inedita, ma toglie un po’ di immediatezza. La cover posteriore è facilmente sganciabile e dà accesso alla batteria che può essere rimossa. I suoi 2220 mAh ci possono garantire qualcosina in più di una giornata di normale utilizzo ma non arrivano a due, imponendoci la ricarica notturna. Sotto la scocca notiamo proprio i primi due particolari mutuati dalla fascia più alta, ovvero la ricarica wireless Qi integrata e la SIM che è nel formato nano, forse per strizzare l’occhio a chi è curioso di provare Windows Phone e proviene dai terminali che ne fanno uso (iPhone in primis). Poco più in là c’è anche lo slot microSD (fino a 128 GB) che consente di espandere i 16 GB di storage interno. Osservando la fotocamera posteriore si nota anche il flash LED appena a fianco. Sotto il vestito il solito Lumia Non vogliamo dilungarci troppo su argomenti più volte affrontati. Windows Phone è un ottimo sistema operativo anche per gli smartphone che non eccellono in specifiche tecniche, sempre fluido e appagante, con pochissimi rallentamenti. Situazione anche qui lab Nokia Lumia 735 269,00 € Nokia Lumia 735 in prova: pensato per i selfie Con Lumia 735, Microsoft ha centrato il suo obiettivo. L’aspetto accattivante del Lumia 735 e qualche caratteristica sopra la media lo rendono desiderabile per chi vuole provare il mondo Windows Phone e cerca un terminale per buone foto senza svenarsi. Il prezzo di listino a ben vedere è un tantino alto in virtù della dotazione tecnica, dovendosi confrontare (nel mondo Android) con concorrenti con buone caratteristiche come il Samsung S3 Neo, o i terminali LG della serie L. Un confronto che comunque ha senso solo sulla carta, perchè poi sappiamo tutti che Windows Phone funziona bene anche con dispositivi meno potenti rispetto al mondo Android. Microsoft dovrebbe lavorare per smussare qualche angolo, aggiungere un tasto fisico di scatto e migliorare qualche funzionalità software; con l’aiuto di qualche promozione natalizia, Lumia 735 potrebbe essere una scelta logica per molti aspiranti “windows phonisti”. 7.7 Qualità 8 Longevità 7 Rapporto qualità/prezzo Cosa ci piace Prestazioni generali Qualità selfie Design 7 Semplicità 8 Cosa NON ci piace confermata in pieno: il processore Snapdragon 400 e 1 GB di RAM sono più che sufficienti per strappare buoni voti all’esperienza d’uso in ogni ambito e il display OLED da 4,7” con risoluzione HD (1280x720) ci è parso sempre all’altezza, con colori naturali, vividi in classico stile Lumia e un contrasto estremamente pronunciato. Sul fronte connettività ci sono i soliti noti: Wi-Fi, Bluetooth 4.0 e NFC, mentre la connessione dati si spinge fino a LTE, anche questa è una caratteristica che va un poco oltre la dotazione del classico terminale di fascia media. Presenti ovviamente i software Here Maps e Here Drive, ormai una sicurezza in quanto a precisione e qualità. A livello prestazionale, il 735 rientra perfettamente nella sua fascia di mercato, senza eccellere o deludere in nulla. Ogni tanto qualche attesa nell’apertura delle applicazioni più pesanti (secondi di cui ci si rende poco conto perchè in tutte le altre situazioni il telefono è molto reattivo) e qualche indecisione nello D-Factor 7 Prezzo 8 Autonomia migliorabile Tasto dedicato per gli scatti Qualche funzione non all’altezza sblocco del terminale quando in background il multitasking è un po’ sovraccarico. Framerate discreto nei giochi in cui questo fattore è importante, ottimo streaming musicale anche via Bluetooth, sia con impianti audio casalinghi che con soluzioni automotive. Mai un guizzo, mai un’indecisione. Aspirante Camera-phone... Fermo restando che l’esperienza d’uso è piacevole come negli altri Lumia di fascia medio/alta, che il software è completo e il sistema reattivo, concentriamoci un po’ sulle fotocamere della macchina, elemento importante di questo Lumia 735. Quella posteriore fa un piccolo salto in avanti rispetto agli altri device di fascia media e bassa della gamma Lumia per un pizzico di risoluzione in più, 6.7 Megapixel, ma soprattutto perchè questa volta l’ottica ha lenti Zeiss, autofocus e flash LED. Il tutto basato su un sensore retroilluminato da 1/3,4’’ e apertura di f/1.9. A Redmond, poi, hanno segue a pagina 34 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Nokia Lumia 735 segue Da pagina 33 giocato anche la carta del selphie-phone: la fotocamera frontale ha infatti 5 Megapixel, decisamente più della norma. Ma quello lo vedremo dopo. La qualità discretamente più alta delle due fotocamere salta subito all’occhio, in particolar modo se si hanno in mente i risultati che si ottengono su altri terminali che utilizzano il normale sensore Nokia da 5 Megapixel senza flash. Discorso diverso per gli autoscatti, poichè qui non è la qualità intrinseca della fotocamera a fare la differenza ma semplicemente la risoluzione sopra la media, grazie alla quale potremo scattare selfie dalla definizione migliore. Come consuetudine possiamo scegliere se comandare la fotocamera dall’app Fotocamera o da Nokia Camera. La seconda consente molte più impostazioni: tempo di scatto, ISO, bilanciamento del bianco. Ovviamente se si ha poca dimestichezza con i parametri avanzati si rischia di fare peggio dell’impostazione automatica, che infatti si comporta quasi sempre bene. È anche possibile scegliere l’aspect ratio delle foto, che se portato a 16/9 avrà una risoluzione effettiva minore in virtù del formato nativo del sensore. Se ci trovassimo di fronte a un paesaggio da ricordare dovremmo poter contare su Nokia Panorama. Dovremmo perchè questa app si rivela a nostro avviso lacunosa sotto diversi punti di vista: lenta e macchinosa, tanto che può essere necessario anche più di un minuto per arrivare alla vostra foto panoramica, contro i pochi secondi della concorrenza. Dopo lo scatto di partenza bisogna spostare il telefono verso destra, osservando due cerchi concentrici che si avvicinano e nel momento in cui si sovrappongono l’applicazione elabora per 2 o 3 secondi, proponendoci poi il cerchietto successivo, e così fino alla fine della panoramica. Sembrerebbe semplice se non che se sbagliate di pochissimo a spostare l’inquadratura il cerchio successivo scompare, costringendovi a tornare indietro, farlo ricomparire e riprovare. Macchinoso, considerando che con altri sistemi operativi il medesimo risultato si ottiene in pochi istanti: sotto questo profilo, Microsoft ha ancora da lavorare. Completano la dotazione software a supporto della fotografia Lumia Creative Studio e Lumia Storyteller. La prima applicazione, come suggerisce il nome, è un piccolo software di fotoritocco, niente di trascendentale, ma consente di regolare i diversi livelli, come Un esempio di immagine scattata in modalità Panorama, l’app si è rivelata lenta e alquanto macchinosa. Un paio di scatti catturati con il Lumia 735, slezionando le foto è possibile visualizzare l’ingrandimento. luminosità, colore, contrasto e temperatura colore. Oltre a questo potremo applicare effetti speciali quali sfocatura, decolorazione parziale, autocorrezione ed altri. Non estremamente utile, anche perchè correggere le foto direttamente dal telefono non è mai facile, ma può essere divertente. Grazie a Storyteller invece potremo selezionare alcune delle nostre foto dal rullino, e l’app creerà automaticamente un video slideshow con i nostri scatti e musica di sottofondo. Il video poi può anche essere salvato e condiviso. … ma pensato per i Selfie Come dicevamo, un tratto distintivo del Lumia 735 è la fotocamera frontale da 5 Megapixel, un modulo con lunghezza focale di 24mm e apertura f/2,4 che viene impiegato principalmente per i selfie e le videochiamate, essendo inoltre in grado di registrare video in Full HD. È chiaramente un omaggio alla moda del momento, quella degli autoscatti, che Microsoft ha cercato di cavalcare proprio con Lumia 735. Le foto appaiono decisamente più dettagliate del solito, i colori sono appena meno brillanti confronto alla fotocamera frontale, anche se al buio la mancanza del flash è ovviamente avvertibile: inoltre, in questa modalità di scatto la mancanza di un tasto fisico per l’otturatore si nota; utilizzare il touchscreen mentre ci si sta inquadrando è complicato e bisogna prenderci un po’ la mano. Aiuta molto il fatto che il display possa essere premuto ovunque per scattare, di modo tale che si possano usare tranquillamente due mani senza rovinare l’immagine o coprire inavvertitamente l’obiettivo. Anche per gli autoscatti abbiamo una app di accompagnamento per giocherellare un po’, Lumia Selfie. Dedicata appunto ai nostri autoritratti consente di selezionare uno scatto dal rullino, eventualmente ritagliarne un riquadro, e applicare molti effetti preimpostati, dalla semplice modifica del colore, passando per tipi di fotografia come stile lomo, per arrivare alla creazione di finte copertine da rivista. Tutto questo per poi condividerle e bullarci con gli amici dei nostri faccioni auto-fotografati. Entrambe le fotocamere possono riprendere video fino alla risoluzione 1080p, anche se ovviamente la camera principale offre un livello qualitativo superiore. Abbiamo provato a registrare un video sia in modalità 720p che 1080p, e per un video di circa 30 secondi di durata. L’autofocus lavora abbastanza velocemente e la compensazione automatica dell’esposizione è molto rapida. video lab Nokia Lumia 735 Video Full HD Le possibilità offerte da Lumia Selfie sono davvero molte e offrono svariati effetti creativi. torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Cambiamenti e progressi rispetto alla prima 7D. Le sue prestazioni superiori giustificano il prezzo di 1.846 euro Con EOS 7D Mark II Canon non delude le attese Abbiamo provato in modo approfondito la nuova EOS 7D Mark II, uno dei sequel più attesi nel campo della fotografia di Roberto Pezzali ono passati cinque anni dalla prima 7D di Canon, una fotocamera che ha sicuramente lasciato il segno nel segmento delle reflex di fascia alta con sensore APS-C: velocità dell’autofocus, ripresa video 1080p e raffica a 8 fps l’hanno trasformata non solo in una delle reflex più vendute di Canon in questo segmento ma anche in una di quelle più apprezzate. Non è un caso che, tra tutte le fotocamere in gamma, era proprio della 7D che i sostenitori del brand Canon attendevano un upgrade. Canon al Photokina ha finalmente presentato la 7D Mark II (1.846 euro), una macchina profondamente rivoluzionata rispetto alla prima 7D e che raccoglie una eredità davvero pesante. L’abbiamo provata, per quanto sia possibile provare una fotocamera di questo tipo nei tempi concessi a una rivista: questo non vuol dire che l’abbiamo provata male, ma che questa 7D, come si potrà leggere nelle prossime righe, è un prodotto che sfoggia alcune tecnologie del modello superiore per le quali non bastano neppure un migliaio di scatti per fare una valutazione completa. Ci riferiamo, ad esempio, al sofisticato sistema di messa a fuoco, che la 7D Mark II eredita dalla 1D X: siamo di fronte a un sistema Servo AI preciso e incredibile sotto il profilo delle opzioni configurabili, ma per provarlo a fondo andrebbero simulate una serie di situazioni davvero difficili da replicare se non con una serie di test reali in ogni tipo di applicazione. Per cercare di avvicinarci il più possibile a quelle che possono essere le esigenze di un fotografo che ha bisogno di una macchina di questo tipo, siamo andati a bordo campo per fotografare una vera partita di Serie A e a scattare foto durante una gara di kart: così facendo abbiamo provato alcune delle illimitate configurazioni del sistema di messa a fuoco predittivo. La EOS 7D Mark II, ancora di più della EOS 5D Mark III e della prima 7D, ha bisogno di tempo per poter spremere al meglio tutta la tecnologia di cui è dotata, anche se ovviamente si riesce a usare senza problemi fin da subito e con soddisfazioni. Per non farvi mancare nulla, infine, abbiamo recuperato anche una 7D per fare un confronto diretto ad alti e bassi ISO, uno dei temi più caldi quando si ha a che fare con reflex di questo livello. S Come nasce la 7D Mark II Con la tecnologia che avanza a un ritmo quasi insostenibile, per aziende come Nikon e Canon è sempre più difficile realizzare fotocamere che non vadano a sovrapporsi con altri modelli. Da una parte bisogna considerare l’utente, che vorrebbe avere tutto il possibile su un prodotto, dall’altra c’è un’azienda che non può certo lanciare una fotocamera da 2.000 euro che rende il modello di punta un enorme spreco di soldi. La 7D Mark II è una macchina incredibilmente delicata da questo punto di vista perché pesta i piedi un paio di volte alla EOS 1D X, il top di gamma Canon per pro- torna al sommario video 1.864,00la€b Canon EOS 7D MK II ALTRO CHE MARK II: È UNA REFLEX NUOVA Canon ha fatto un grandissimo lavoro con la 7D Mark II: la nuova reflex eredita dal modello precedente solo nome e design, ma di fatto è una macchina totalmente nuova. Come abbiamo già detto è una macchina che rischia di attirare su di sé anche le attenzioni di coloro che guardano alla serie 1, anche perché in certi frangenti, dal video allo scatto con poca luce, la 7D Mark II riesce a fornire risultati davvero eccellenti. Il target è ovviamente la fotografia sportiva e naturalistica, quel tipo di foto dove l’utilizzo di un sensore APS-C con il suo fattore di ingrandimento 1.6x è determinante. Mancano 4K e touch screen: al primo ci penserà il team di Magic Lantern (se non ci pensa prima Canon), per il secondo non si può fare molto. Il prezzo è ampiamente giustificato dalle prestazioni di una macchina che non solo è meglio della precedente ma è anche fatta per durare molto di più. 8.5 Qualità 9 Longevità 9 Qualità fotografica Cosa ci piace Autofocus impeccabile sempre Velocità di scatto Design 8 Semplicità 7 Cosa NON ci piace fessionisti. Una scelta questa inedita per Canon che è sempre stata molto attenta a proteggere la gamma, ma probabilmente ha prevalso l’aspettativa per un prodotto atteso a lungo e che non poteva permettersi di deludere. La 7D Mark II è un “piglia tutto”, nel senso che si prende alcuni elementi da un po’ tutte le fotocamere in gamma nel segmento di fascia alta migliorandoli e correggendoli. Partiamo dal sensore: il Dual Pixel, ad esempio, permette di ottenere un autofocus degno di questo nome anche in modalità Live View. Canon ha fatto debuttare questo sensore sulla 70D, lo ha poi usato sulle cineprese della serie C100 e ora lo usa anche sulla 7D Mark II: in realtà non è lo stesso sensore della 70D, anche se i 20 Megapixel e il formato APS-C potrebbero far pensare a un riciclo, ma uno costruito sulla stessa base e rivisto in alcuni componenti come le lenti disposte sopra ogni fotoricettore. Un altro elemento è il processore Digic 6: la EOS 7D Mark II li eredita dalle potenti compatte Powershot e ne usa ben due. La top di gamma EOS 1D X, per fare un confronto, usa due Digic 5+. Dalla top di gamma la nuova 7D eredita il sistema autofocus totalmente rinnovato, un sistema fatto da 65 punti tutti a croce sensibili a f/5.6 con un punto centrale a doppia croce f/2.8 – f/8 D-Factor 9 Prezzo 8 Impossibilità di registrazione 4K Assenza del touch screen Autofocus completo ma complesso con sensibilità minima di -3 EV. Sull’ammiraglia i punti a croce doppia sono ben 5, ma il punto centrale f/8 della 7D è decisamente più sensibile. Inoltre, come vedremo poi, sono presenti tutte le regolazioni avanzate del sistema EOS Intelligent and Tracking, cinque schede di impostazione del menù AF che permettono davvero una regolazione professionale della messa a fuoco continua. A tutto questo va aggiunto anche un nuovo otturatore certificato fino a 200.000 cicli, più della 5D Mark III, e una raffica di 10 fps. Una macchina eccezionale sulla carta, con una serie di caratteristiche che spostano la discussione sul piano qualitativo: se Canon è riuscita a migliorare la resa della 7D offrendo un maggior range dinamico soprattutto agli alti iso, allora ha fatto centro. Che cosa cambia tra 7D e 7D Mark II Sono passati 5 anni eppure a prima vista non si direbbe: 7D e 7D Mark II sono molto simili dal punto di vista dell’ergonomia e non poteva essere altrimenti se si vuole mantenere lo stesso feeling che il fotografo Canon si aspetta. segue a pagina 36 n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Canon EOS 7D Mark II segue Da pagina 35 A confronto la EOS 7D e la EOS 7D Mark II: simili dal punto di vista dell’ergonomia, molte le migliorie per la Mark II. Migliorato il corpo in magnesio e novità per ghiere e tasti; nuovo anche monitor sempre da 3’’ ma 3:2 da 720x480 pixel. In realtà ci sono differenze, tante, e tutte migliorative. Quelle che non si vedono sono sotto la scocca: Canon ha migliorato la protezione del corpo in magnesio aggiugendo una serie di guarnizioni che rendono la 7D Mark II ancora più resistente all’umidità e alla polvere e pronta anche per avventure un po’ più estreme. Non è tropicalizzata come i modelli della serie 1 ma è comunque ben protetta: abbiamo fatto le foto sotto la pioggia senza alcun problema, utilizzando ovviamente ottiche di serie L tropicalizzate e senza proteggere il corpo macchina. Oltre a dimensioni e peso, dove balla qualche grammo e qualche millimetro, le principali novità sono relative a ghiere e tasti. Oltre a una diversa applicazione di alcuni tasti sul retro, le differenze principali sono il tasto di blocco per la ghiera, utile per prevenire cambiamenti di modalità indesiderati mentre si ripone o si prende la fotocamera, il tasto di simulazione profondità di campo di fianco all’ottica e una utilissima leva di fianco al jog per la scelta dei punti di messa a fuoco, una leva che permette di scorrere senza staccare l’occhio dal soggetto le diverse modalità di messa a fuoco. Piccoli dettagli, ma che sotto il profilo pratico fanno la differenza. L’altra differenza è relativa al monitor: sono sempre 3”, ma se prima era un 4:3 da 640 x 480, ora è un monitor 3:2 da 720 x 480 pixel che permette di visualizzare le foto senza bande nere. Ottimo il rivestimento antiriflesso, anche se non abbiamo avuto modo (il tempo non è propizio) di provarlo con forte luce solare. GPS, presa cuffie, mirino più completo Non manca nulla Creando la 7D Mark II Canon non si è misurata solo con il modello precedente ma ha ovviamente guardato il panorama reflex a 360 gradi cercando di rendere il prodotto ancor più completo. Il target della macchina è vasto: videomaker, fotografia di natura, fotografia sportiva, macchina all-round, e proprio per questo nei torna al sommario guardando dall’oculare. Una soluzione abbastanza innovativa, che ha costretto Canon ha rivedere anche l’indicatore dell’esposizione: la compensazione resta nella parte bassa, la misurazione in tempo reale a lato dell’immagine. Chi scatta in manuale dovrà abituarsi a questo nuovo mirino, soprattutto a dare il colpo d’occhio a lato. limiti del possibile si è cercato di fare tutto il possibile per offrire il meglio senza però alzare troppo l’asticella del prezzo. I videomaker apprezzeranno sicuramente la presenza dell’uscita cuffie, che mancava sulla 70D e sulla 6D: poter controllare la qualità della registrazione audio da microfono esterno è spesso fondamentale. C’è anche l’uscita video HDMI 4:2:2, opzione questa che permette di registrare lo stream video con una periferica esterna: si tratta ovviamente di una funzione dedicata al mondo professionale che permette però a piccole produzioni di sfruttare questa reflex dal costo contenuto (rispetto ad altre macchine) per le riprese. Chi scatta reportage, foto di viaggio e foto di natura sarà poi contento di trovare nella 7D Mark II GPS e bussola: gli scatti vengono subito geolocalizzati. Altra novità il doppio slot per le card e la porta USB 3.0: riguardo al doppio slot, da apprezzare l’utilizzo delle tecnologie UHS-I per l’SD e UDMA 7 per le Compact Flash: scattando in jpeg con una scheda veloce si riesce a gestire la registrazione continua a 10 fps fino a saturazione della scheda. Novità importanti anche per il mirino a schermo: della 7D si era apprezzato il mirino 1x con copertura al 100% e la nuova Mark II non poteva certo essere da meno: all’ottimo e luminoso mirino Canon ha aggiunto un ulteriore strato a cristalli liquidi che aggiunge, in sovrapposizione all’immagine, una serie di indicazioni configurabili da menu. È un mirino ancora più completo, inedito per certi aspetti, che aiuta l’utente a scattare senza mai togliere l’occhio dal soggetto. Le informazioni che vengono replicate all’interno del mirino, oltre a quelle classiche, sono legate alla configurazione della reflex, praticamente quelle che troviamo nel piccolo display retroilluminato nella parte alta: se prima per modificare la modalità di scatto o di misurazione dell’esposizione si doveva ricorrere o alla memoria o al display, ora si può fare tutto Tante personalizzazioni, e finalmente arriva l’intervallometro Chi adora il time lapse sarà contento di vedere integrato finalmente nella reflex l’intervallometro configurabile: praticamente si risparmiano i 150 euro del telecomando TC-80 esterno. Questa è solo una delle migliorie lato software della nuova Mark II, ma non è l’unica: c’è un nuovo controllo anti-flicker che corregge raffica e video nel caso di scatti effettuati in ambiente dove le lampade a fluorescenza creano fastidiosi sbalzi di luminosità e ci sono altre piccole opzioni che aggiungono ulteriori livelli di personalizzazione. In ogni caso, fatta eccezione per l’HDR, l’esposizione multipla e i Picture Style, la 7D Mark II, come la maggior parte delle reflex di fascia alta, è totalmente priva di funzioni “creative” e di modalità automatiche varie. Non nascondiamo che preferiamo cento volte una macchina di questo tipo, con una sola modalità “auto” oltre alle modalità di scatto classiche piuttosto che una reflex o una mirrorless con oltre trenta modalità di scatto (panorama, cielo azzurro, effetto neve, ecc.) che non solo creano confusione ma spesso si sovrappongono una all’altra. segue a pagina 37 n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Canon EOS 7D Mark II segue Da pagina 36 Autofocus e velocità da record Il sensore DualPixel e gli ISO Il cuore della 7D Mark II è un particolare sensore CMOS dove ogni pixel in realtà è composto da due fotoricettori. Per lo scatto fotografico lavorano in parallelo, tuttavia per la messa a fuoco vengono gestiti a copie creando un sistema a ricerca di fase dove ogni pixel è a sua volta un sensore di messa a fuoco. Questa particolare soluzione viene usata da Canon durante gli scatti in LiveView e durante la ripresa video, ovvero quanto il sistema di messa a fuoco tradizionale è disattivato a causa dello specchio alzato. Il DualPixel, che già funzionava bene sulla 70D, è stato ora rivisto con l’aggiunta di qualche piccola miglioria: si può, ad esempio, bloccare il fuoco in un punto prestabilito durante la ripresa e come abbiamo già detto si può modificare la velocità di cambio del piano di fuoco. Il sensore, nativamente, ha una sensibilità che va da 100 a 16.000 ISO estendibili fino a 25.600 e 51.200 ISO. Interessante, per la ripresa video, la possibilità di arrivare fino a 25.600 ISO. Abbiamo voluto fare un confronto con la 7D tradizionale nelle stesse identiche condizioni per quanto riguarda gli ISO, e la 7D Mark II nonostante il sensore più risoluto e la configurazione dual pixel non solo mette in mostra una rumorosità inferiore agli alti ISO ma ha anche un range dinamico leggermente più ampio, permettendo di recuperare qualcosa in fase di post produzione. Tutti i crop sono al 100%, anche se abbiamo dovuto ridimensionare quelli della Mark II per il sensore più risoluto. Abbiamo inoltre usato i Jpeg, e la 7D sforna file molto più morbidi della Mark II. Questo è il motivo della nitidezza maggiore. Sotto un esempio, clicca qui per scaricare tutti i file raw e jpeg originali. Confronto ISO (qui 6400) Canon EOS 7D e 7D Mark II. torna al sommario La 7D Mark II è una macchina pensata per la velocità: 10 fps di scatto, 31 RAW continui nel buffer e un sistema autofocus completamente ridisegnato ispirato a quello della EOS 1 DX. Non lo stesso ovviamente, ma un sistema simile almeno nelle possibilità di regolazione. Canon, per capire come sfruttare al meglio il sistema autofocus, ha realizzato un PDF molto chiaro di 50 pagine, e questo la dice lunga sulla complessità della cosa. In realtà, la EOS 7D Mark II si adatta benissimo a ogni tipo di fotografo, ma non tarpa le ali a chi ha esigenze particolari in ambito sportivo o naturalistico. Nel menù a schermo ci sono ben cinque sezioni di configurazione per il motore di messa a fuoco, e tra le tante opzioni troviamo anche le tipiche schermate del sistema EOS Intelligent and Tracking con una serie di profili personalizzabili per diverse situazioni di di scatto, dalla impostazione versatile fino a quella dove i soggetti accelerano o decelerano rapidamente. Questa flessibilità (e anche complessità) di regolazione è legata esclusivamente alla modalità di messa a fuoco AI Servo, ovvero l’autofocus continuo a inseguimento basato sul sensore di messa a fuoco, e non quindi sul sensore DualPixel. Quest’ultimo, come abbiamo visto sopra, gestisce l’autofocus in modalità video e LiveView. Configurare e trovare la regolazione ottimale richiede tempo oltre a tante foto: scattare foto a un calciatore, infatti, richiede regolazioni diverse rispetto alle foto fatte a un motociclista o a un animale. L’impostazione versatile generalmente va bene, ma per ogni esigenza si possono sempre applicare microcorrezioni che aiutano a aumentare la percentuale di scatti buoni. Siamo comunque in un campo che va oltre la semplice fotografia amatoriale: intervenire su questi parametri porta la sfida a un altro livello. Tornando al sistema di messa a fuoco, Canon lo ha rivisto interamente integrando 65 punti cross-type con un punto centrale a doppia croce. Tutti i 65 punti lavorano a partire da f/5.6, tranne il punto centrale a doppia croce che lavora fino a -3EV e con lenti dedicate può arrivare anche a f/2.8. Da segnalare poi la possibilità di utilizzare, sempre con il solo punto centrale, obiettivi f/8, situazione questa tipica quando si aggiunge un tubo di moltiplica. La EOS 7D Mark II è probabilmente una delle reflex prosumer con il sistema AF più avanzato nel suo segmento. Per provare la 7D Mark II abbiamo scelto di evitare le classiche (e facili) foto di paesaggio puntando sullo sport. Per farlo siamo andati a bordo campo di Juventus – Parma e da Top Fuel Racing, un cartodromo indoor vicino a Milano dove abbiamo realizzato il video e scattato alcune foto in un ambiente abbastanza difficile. È possibile scaricare i file RAW originali della partita di calcio da questo link. Le foto al cartodromo sono state fatte tutte con ottica STM 55-200 e ISO decisamente elevati, da 3200 in su. Gli scatti al cartodromo possono essere scaricati da questo link. Autofocus super e 60 fps: una bomba per i video Canon ha iniziato a utilizzare la tecnologia DualPixel anche sulle cineprese della serie C100, segno che questa tecnologia è abbastanza matura per affrontare anche impegni seri. La 7D porta molte novità in ambito video: l’uscita cuffie, l’uscita HDMI pulita, l’autofocus continuo e la ripresa Full HD a 60 fps. Tra le modalità di ripresa più interessanti 1920x1080 a 50fps Intra Frame a 59 Mbps e 1920x1080 (25p/24p) I-Frame a 88 Mbps, due setup che creano su schede veloci file poco compressi e di eccellente qualità. Per il resto funziona tutto come per le altre reflex EOS: si possono variare tutti i parametri di ripresa ed è stata aggiunta la possibilità di cambiare rapidamente i parametri in fase di ripresa con il quick menù. Per la ripresa video Canon suggerisce l’uso di ottiche STM se si vuole sfruttare l’autofocus rapido, ma abbiamo raggiunto buoni risultati anche con ottiche EF come il 24-105 F4 L e il 70-300 DO. Ecco il video che abbiamo realizzato con la 7D Mark II, con un particolare “focus” sulla messa a fuoco automatica a inseguimento. Assenze che pesano: touchscreen e 4K Canon ha fatto un grandissimo lavoro sulla Mark II, ma probabilmente ha riservato qualche asso per la prossima 5D. Ci riferiamo ad esempio al 4K, una funzione che per chi realizza video inizia ad avere un po’ di valore: proporre anche la versione 4K di un filmato aggiunge valore al lavoro di un professionista. Con due Digic 6 e un sensore così veloce crediamo che la 7D abbia il potenziale per gestire un video in 4K, ma Canon ha preferito restare nell’ambito del Full HD. Così come qualche anno fa Canon rilasciò il firmware 2.0 per la 7D, crediamo che quando i tempi saranno maturi (e con altre camere 4K in gamma), Canon aggiungerà questa feature. È una nostra idea, al momento la 7D Mark II resta 1080p. L’altra mancanza, a nostro avviso più sentita, è il touchscreen. Su una macchina di stampo professionale la parola touchscreen potrebbe far rabbrividire, ma in modalità video applicata alla tecnologia DualPixel avrebbe avuto un suo perché, soprattutto per chi non fa video ad alto livello. Avendo provato la 70D sappiamo bene che il touch to focus applicato al DualPixel è una vera killer app per cambiare punto di fuoco, soprattutto ora che è possibile variare la velocità del cambio di piani di fuoco su 4 diversi livelli, cosa impossibile sulla 70D. n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Abbiamo provato per qualche ora la A7S, full frame di Sony che con soli 12 MP riprende dettagli che l’occhio non può cogliere Preview Sony A7S: il buio non è un problema Sony A7S è una macchina con una dinamica eccezionale, perfetta per i video ma ottima anche per certi tipi di foto di Roberto Pezzali uante volte abbiamo detto che il numero di pixel non conta niente? La Sony A7S è la dimostrazione pratica che non è un luogo comune: a Sony sono bastati infatti solo 12 Megapixel per realizzare quella che oggi è probabilmente una delle migliori “videocamere” sul mercato. Quando ha lanciato la serie A7 con sensore Full Frame, Sony aveva visto giusto e ha saputo sfruttare lo stesso corpo compatto per declinare un prodotto in diverse versioni dedicate a diverse esigenze. La A7, ora in versione Mark II (arriverà a gennaio in Italia), non solo è la prima mirrorless a pieno formato, ma è anche una fotocamera che sfrutta soluzioni esclusive come lo stabilizzatore sul sensore a 5 assi, una novità assoluta per la categoria che debutta appunto sul nuovo modello. Non va dimenticata neppure la A7R: sensore da 36 Megapixel senza filtro passa basso, una fotocamera particolare dedicata a chi vuole tanta risoluzione e tanto dettaglio per scatti perfetti con condizioni di luce però ideali. Infine, ma forse quella che a nostro parere è la più importante, arriva la A7S, lanciata ufficialmente da Sony al NAB e dedicata esclusivamente al video. La A7S è la risposta di Sony alla GH4 di Panasonic, segno che il mondo mirrorless sta piano piano mangiando quote di mercato al segmento video reflex capitanato dalla EOS 5D Mark III e ora dalla 7D Mark II. Il successo della A7S ruota attorno al particolare sensore Full Frame da 12 Megapixel, un sensore dotato di una gamma dinamica incredibile e capace di vedere più dell’occhio umano, arrivando a registrare clip con una sensibilità di 409600 ISO. Sony, con la A7S, offre al videomaker e al professionista la possibilità di scavalcare alcune barriere fisiche che alcune videocamere non posso passare per limiti tecnici, il tutto però condito anche da una serie di funzionalità che rendono questa piccola macchina compatta e dal costo tutto sommato contenuto una vera cinepresa professionale. Abbiamo avuto la possibilità di provare uno dei primi campioni arrivati in Italia e finalmente disponibili per i test, tuttavia questa è solo una prima parte della prova. La A7S, come abbiamo detto, ha funzionalità uniche e senza dubbio una delle più interessanti è la capacità Q video lab di fornire una uscita HDMI pulita 4:2:2 in 4K: i filmati in formato Ultra HD quindi non vengono registrati sulla scheda di memoria integrata ma devono essere registrati con un recorder 4K esterno, e ad oggi il prodotto più adatto è l’Atomos Shogun, un registratore professionale con monitor integrato da 7” che ancora deve arrivare in Italia. Non siamo quindi riusciti a registrare filmati 4K, ma stiamo lavorando per cercare di avere una A7S con noi nel corso del CES di Las Vegas, equipaggiata con Atomos e quindi con la possibilità di riprendere Las Vegas by night in 4K. I filmati, ovviamente, li renderemo pubblici e saranno anche un ottimo banco di prova per mettere sotto torchio TV OLED e Ultra HD. esempio, è difficile da schiacciare anche per la sua posizione incassata e spesso per premerlo si dà un colpetto che rende inutilizzabili le prime sequenze di ogni clip registrata. Sony ha rivisto leggermente il grip nel modello A7 MKII appena presentato, segno che forse si è accorta che la riduzione eccessiva delle dimensioni aveva portato anche qualche piccolo problema di ergonomia. Sul retro, oltre ad una selva di tasti configurabili a piacere, troviamo anche l’eccellente mirino OLED XGA: probabilmente è uno dei migliori mirini OLED che ci sia mai capitato di provare per reattività e assenza Corpo da fotocamera per i video serve un rig Per la A7S, Sony ha sfruttato lo stesso corpo camera della serie A7, un corpo leggero in magnesio pensato per una serie di macchine fotografiche. Un vestito che sta un po’ stretto alla A7S, soprattutto se si utilizzano obiettivi abbastanza impegnativi come il 70-200 F4 o il 16-35 F4. Per la nostra prova abbiamo sfruttato proprio queste due eccelse ottiche: l’FE 70-200 mm F4 G OSS, un tele con attacco E che costa di listino 1499 euro e il Vario-Tessar T* FE 16-35 mm F4 ZA OSS, nuovo obiettivo grandangolare Zeiss pensato per la serie A7 e sul mercato a 1349 euro. Senza lente, la A7S è piccola e maneggevole, ma con l’ottica montata inizia a diventare ingombrante: meglio una reflex, magari più grossa ma con un grip eccezionale o una mirrorless come questa A7, più piccola ma con un grip leggermente sacrificato? Tutto dipende dal tipo di cliente: il professionista infatti monta la camera su un treppiedi o un rig e non si fa troppi problemi per l’ingombro e per il peso, mentre l’amatore potrebbe criticare alcune scelte fatte da Sony in termini di riduzione degli ingombri. Il tasto di ripresa posto sul lato, ad segue a pagina 39 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Preview Sony A7S segue Da pagina 38 di scie, tuttavia per essere perfetto avrebbe bisogno di un po’ di risoluzione in più. Va detto però che su una macchina di questo tipo, soprattutto per l’aspetto video, l’uso di un mirino elettronico è sicuramente più adeguato di un mirino ottico (che non sarebbe sfruttabile in ambito video). Buono anche lo schermo LCD: è il classico elemento da 3” e 920.000 pixel, risoluzione giusta per le dimensioni e buona visibilità sotto luce incidente. Tra le altre caratteristiche della A7S ricordiamo la presenza di Wi-fi e NFC e di uno slot di card compatibile sia con SD che con Memory Stick. La scelta della card è fondamentale: per poter registrare infatti in formato XAVC serve una scheda di memoria velocissima, una SDXC UHS-I o una Memory Stick Pro: senza una card adeguata si deve ripiegare su AVC-HD o su MP4. La qualità dei file è comunque molto buona: l’XAVC S, 1080p a 50 Mbit, può essere usato senza problema all’interno di una catena di alta qualità, grazie alla compressione pressoché perfetta che genera pochissimi artefatti di compressione solo ed esclusivamente quando stiamo lavorando ad altissimi ISO. Ricordiamo che esiste sempre la possibilità Shogun: l’adozione del recorder esterno è un obbligo per il professionista, non solo per la registrazione in RAW e in 4K ma anche per l’applicazione in tempo reale di un profilo LUT. Meglio per i video ma anche le foto non scherzano La A7S è una macchina pensata esclusivamente per chi ha bisogno di un sensore con una gamma dinamica mostruosa, e poco importa se il sensore lo si usa per le foto o per i video. È una macchina quindi particolare, e se per i video è adatta a tutti gli ambiti, per le foto è un prodotto perfetto per certi tipi di fotografia, ma meno adatto ad altri. Rispetto alla A7, infatti, è priva del sistema di autofocus ibrido fase/contrasto e utilizza un sistema a 25 punti a rilevamento di contrasto, non velocissimo ma comunque preciso. Come per molte altre videocamere “pro”, la A7S mette l’autofocus in secondo piano, consapevole del fatto che molti sfrutteranno la regolazione manuale. Nel corso della nostra prova infatti l’autofocus non sempre si è dimostrato rapido, ma dobbiamo ammettere che, grazie al sensore e alla sua capacità dinamica, la messa a fuoco a livello di contrasto è più precisa di molte altre fotocamere analoghe. Questo tipo di messa a fuoco entra in crisi in situazioni di scarsa luminosità, ma nel caso torna al sommario della A7S non esistono situazioni di questo tipo: anche al buio quasi totale il sensore riesce ugualmente a rilevare differenze di contrasti da usare come riferimento per il fuoco (-4EV). Rispetto alle altre fotocamere della serie A7 il modello S, che sta per “sensibility”, ha anche qualche altro piccolo vantaggio: può infatti scattare in modalità silenziosa (ma attenzione al rolling shutter) e ha un burst più elevato della A7R, che si ferma a 4 fps. Sony A7 e A7S arrivano a 5 fps, anche se sulla A7 grazie al sensore con messa a fuoco ibrida i 5fps sono raggiungibili con fuoco continuo. Abbiamo realizzato alcuni scatti (vedi box sotto), fatti a diverse sensibilità: gli scatti a 400.000 ISO non sono utilizzabili, ma fino a 100.000 ISO la resa è buona. Un paio di foto, inoltre, le abbiamo scattate a 256.000 ISO (foto 5 e 6). Non ci sbagliamo di troppo se diciamo che la Sony scatta (e riprende) a 12800 ISO con la stessa quantità di rumore che altre reflex generano a 800 ISO. Una cinepresa professionale che richiede impegno La sezione video è sicuramente quella su cui Sony ha investito la maggior parte dello sviluppo. Oltre alla presenza di una serie di funzionalità come il Timecode Sony ha pensato bene di aggiungere l’uscita cuffie regolabile (oltre all’ingresso microfono) e una serie di accessori come l’attacco per un microfono di tipo XLR. Quello che però rende davvero unica la A7S è l’inserimento, da parte di Sony, di una serie di profili gamma tra i quali troviamo pure S-LOG 2. S-LOG è quello che Sony chiama “negativo digitale”, una modalità di registrazione con una curva di gamma che permette di sfruttare in fase di post produzione tutta la dinamica estrema del sensore. I file catturati con la modalità SLOG attiva possono sembrare pessimi se visti a monitor, privi di incisività e molto slavati, tuttavia permettono una malleabilità estrema in una successiva fase di grading: utilizzando Première o altri strumenti di Color Correction (tipo DaVinci Resolve) si possono applicare una serie di LUT di correzione capaci di dare alla clip registrata un look & feel da cinema. S-LOG è una delle tecnologie più usate da Sony in ambito cinematografico: è adottata sulle videocamere digitali della serie I NOSTRI SCATTI DI PROVA CineAlta e viene usata a livello mondiale nella maggior parte degli studi di produzione che usano prodotti Sony: l’inserimento di S-LOG 2 sulla piccola Sony A7S la dice lunga sull’impegno di Sony nel voler lanciare un prodotto senza compromessi in ambito video. I file per la correzione si trovano su alcuni siti web, gratuitamente o a pagamento: sono profili simili a quelli della post produzione delle foto, con una serie di parametri che agiscono su saturazione, contrasto e altri valori dell’immagine. Purtroppo per poter vedere l’effetto finale serve un software di editing professionale oppure, se si vuole vedere il risultato in tempo reale, un registratore esterno come appunto lo Shogun Atomos che permette di caricare la LUT applicandola al risultato in real time. Per capire come funziona una LUT applicata a S-LOG ecco un filmato dove viene applicata ad una ripresa S-LOG una curva di correzione che lavora solo sulla saturazione. Nessun timore però: la Sony A7S può essere usata tranquillamente senza tutte queste funzioni “pro”: esistono altri profili colore già impostati, dove troviamo anche due settings, Cine 1 e Cine 2, pronti da usare. A 1700 euro - questo il prezzo a cui si può trovare “solo corpo” la A7S ora sul mercato - è davvero impossibile portare a casa un prodotto migliore. Qui sotto si può vedere un breve filmato realizzato a Trento in occasione dei mercatini di Natale: tra qualche settimana, se riusciremo a portare con noi la A7S a Las Vegas, proveremo a spingerla al limite, sfruttando anche la registrazione S-LOG e l’output in 4K. video lab Sony A7S Sony A7S ai mercatini di Natale di Trento clicca le immagini per l’ingrandimento 1 2 3 4 5 6 n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST Con il sistema LG la musica invade pacificamente la casa, abbiamo provato i tre diffusori e la configurazione multiroom LG Music Flow: musica piacevole in tutta la casa Le prestazioni sono decisamente interessanti, l’app è ben fatta, offre buona versatilità ed è davvero facile da utilizzare di Roberto FAGGIANO diffusori Wi-Fi sono il fenomeno del momento e anche i costruttori non specializzati nel mondo audio si sono gettati a capofitto su questi sistemi. Senza timori reverenziali verso i mostri sacri del settore, anzi con la speranza di rubare cospicue quote di mercato. Il sistema di diffusione multiroom proposto da LG si chiama Music Flow ed è formato da tre diffusori di dimensioni crescenti, H3 (179 euro), H5 (249 euro) e H7 (349 euro), dalla soundbar HS6 (499 euro) e dal modulo di collegamento Network Bridge R1 (49 euro). Per la nostra prova abbiamo selezionato i tre diffusori, in modo da simulare una configurazione multiroom in tre stanze diverse. Tutti i diffusori della serie hanno un’estetica molto elegante e rigorosa, colore grigio scuro e griglie metalliche, quasi a sottolineare che LG vuol fare sul serio anche nel settore audio, per proporsi anche agli appassionati di musica più esigenti. Non per nulla il sistema è già compatibile con musica FLAC fino ai 192 kHz/24bit, oltre che con i consueti MP3, AAC, WAV, OGG e M4A. I Collegamenti: non solo Wi-Fi I diffusori LG sono nati per un collegamento nella rete domestica con Wi-Fi dual band, ma sono dotati anche di Bluetooth con abbinamento NFC, in modo da poter essere utilizzati in modo ancora più ampio e con una vastissima gamma di dispositivi come sorgenti. Per ascoltare la musica archiviata sul proprio PC è necessario scaricare dal sito di LG un apposito software per Windows oppure il Nero MediaHome 4 Essentials per sistemi iOS di Apple. Inoltre i due modelli maggiori hanno pure l’ingresso Minijack per qualsiasi sorgente stereo. Multiroom con rete Mesh I diffusori LG Music Flow possono formare un sistema multiroom per sonorizzare un’intera abitazione, il metodo scelto per il funzionamento in questa configurazione è con rete Mesh, cioè come le maglie di una catena che trasmettono il segnale da un punto all’altro. Proprio per questo è necessario che almeno video lab LG H7 349,00 € UNA FAMIGLIA CHE CANTA BENE Il nostro giudizio sul sistema Music Flow di LG è pienamente positivo. I tre diffusori provati sono ben assortiti e svolgono egregiamente il loro lavoro, l’app è ben fatta, offre buona versatilità ed è facile da usare mentre il collegamento wireless sente la mancanza del WPS e soprattutto necessita di almeno un elemento cablato se si vuole sfruttare la riproduzione multiroom. La presenza del Bluetooth con NFC è sempre una comodità da non trascurare. I tre diffusori sono solidi e ben realizzati, con un’estetica forse sin troppo rigorosa ma comunque accettabile anche in arredamenti curati. Il modello H3 ha un rapporto qualità/prezzo molto buono e si inserisce facilmente ovunque grazie alla forma compatta. L’H5 è un altro buon diffusore ma forse soffrirà della concorrenza interna del piccolo H3 a causa di un prezzo non trascurabile. Infine l’H7 ha la giusta autorevolezza per accontentare chi possiede molto musica di alta qualità e il rapporto qualità/prezzo lo rende un serio concorrente di marchi molto più famosi in campo audio. 7,9 Qualità 8 Longevità 8 Prestazioni sonore Cosa ci piace Rapporto qualità/prezzo Applicazione versatile Design 7 Semplicità 7 Cosa NON ci piace un diffusore sia collegato via cavo alla rete, in modo da poter impiegare l’antenna Wi-Fi per la creazione di una rete dedicata all’impianto Multiroom LG, priva di interferenze e più stabile. Se non fosse disponibile nessun punto di accesso cablato alla rete si dovrà usare il modulo R1. Lo stesso modulo funziona anche come amplificatore di segnale Wi-Fi ed è quindi utile e consigliato in abitazioni molto vaste o su più livelli. D-Factor 9 Prezzo 8 Mancanza WPS Ingombro importante per l’H7 Un’applicazione sensibile ai gusti e all’umore L’applicazione che governa il sistema Music Flow ha le consuete modalità di configurazione del primo allacciamento alla rete, indispensabile perché purtroppo LG non ha dotato i suoi diffusori del comodo sistema WPS. Una volta inserita la password per la rete Wi-Fi il collegamento è molto rapido e possiamo passare a rinominare il diffusore e eventualmente accoppiarli o assegnarli alle diverse stanze dell’abitazione. Una volta configurati i diffusori si entra nella parte più originale dell’applicazione, che ci chiede i nostri gusti musicali e di che umore siamo, infatti l’app seleziona tra la nostra musica quella più adatta al momento, verificando i parametri nell’immenso database di Gracenote. Con il tempo viene anche creata una playlist dei brani più ascoltati. Sempre dall’app possiamo selezionare un servizio di streaming (tra cui Spotify, Deezer e TuneIn) e inserire eventualmente delle curve di equalizzazione preimpostate oppure personali con regolazione indipendente di alti e bassi. Non manca un timer per accensione e spegnimento programmati. segue a pagina 42 torna al sommario n. 101 / 14 1 dicembre 2014 MAGAZINE tEST LG Music Flow segue Da pagina 41 La grafica è gradevole e riporta tutte le copertine dei brani in riproduzione, un lavoro ben fatto per Android e iOS. H3, piccolo ma vivace Il diffusore di ingresso al sistema ha le dimensioni compatte di un parallelepipedo (125 x 175 x 115 mm, L x A x P) in modo da poter essere sistemato praticamente ovunque. I controlli a sfioramento sono sul lato superiore e permettono di scegliere la sorgente e variare il volume. Dietro alla griglia metallica si nascondono alcune spie luminose che indicano le diverse sorgenti o la mancanza di segnale. di cuneo centrale, in modo che i due canali destro e sinistro diffondano leggermente verso i lati, allargando così il fronte sonoro. Originale anche lo spazio vuoto sotto al diffusore, probabilmente inserito per smorzare le vibrazioni. Le dimensioni iniziano ad essere piuttosto importanti (340 x 207 x 88 mm, L x A x P), ma sul retro troviamo una sorta di maniglia per il trasporto, che in effetti nasconde lo sfogo dell’accordo reflex. L’H3 è un vero diffusore a due vie con woofer e tweeter a cupola, la potenza a disposizione è di 30 watt per il woofer e 10 watt per il tweeter (10% THD). All’ascolto il piccolo LG ha mostrato di volersi subito confrontare con i migliori esponenti della categoria, vantando però un prezzo inferiore, seppure di poco. La resa musicale esalta le voci e un poco anche il medio basso, in secondo piano i bassi più profondi ma è quasi inevitabile date le dimensioni. Con l’equalizzatore si può placare il medio basso se non fosse gradito e a questo punto la resa è molto buona, superiore alle aspettative e in buona evidenza nella categoria. Si possono ascoltare con piacere diversi generi musicali senza avvertire fatica d’ascolto. Netto il salto di qualità con brani FLAC, dove emerge un ottimo dettaglio sugli acuti e anche una piacevole profondità che i soliti MP3 non riescono a dare. H5, il mediano di qualità superiore Il diffusore H5 sta nel mezzo della gamma Music Flow, ha una configurazione stereofonica e un’estetica molto più originale del piccolo H3. I due lati del diffusore hanno una forma inconsueta, con una sorta torna al sommario Gli altoparlanti utilizzati sono un woofer e un tweeter per ogni canale, la potenza è di 2 x 20 watt (10% THD). Sul lato superiore ci sono i controlli diretti con pressione centrale per cambiare sorgente e settore rotante per regolare il volume. Sul retro la presa minijack per una sorgente analogica, la presa di rete cablata e quella per l’alimentazione, che necessita purtroppo di un voluminoso adattatore esterno. Al momento dell’ascolto l’H5 sfodera una gamma bassa molto profonda, forse esagerata se non si interviene sui controlli di tono, e un buon equilibrio sui medio alti. Anche in questo caso la sensibilità alla qualità della musica è notevole. L’aspetto tridimen- sionale è più ampio rispetto all’H3 ma ci aspettavamo ancora di più data la configurazione stereofonica del diffusore. H7, taglia forte Il top di gamma dei Music Flow non passa inosservato per le sue dimensioni (370 x 232 x 110 mm, L x A x P) ed è quindi adatto a un posizionamento in ambienti di ampia cubatura e con una buona base di appoggio. La linea è praticamente identica a quella dell’H5, con la protuberanza centrale che rende divergente l’emissione degli altoparlanti. Questi ultimi sono ancora in configurazione a due vie con la potenza a disposizione di 2 x 35 watt (10% THD). Anche le connessioni posteriori sono identiche a quelle del’H5, con la possibilità di collegare una sorgente analogica tradizionale. All’ascolto l’H7 ha mostrato ottime doti musicali, anche considerando il prezzo di listino importante. A nostro parere è sempre meglio abbassare di un paio di tacche la gamma bassa, in modo da avere una riproduzione più equilibrata, specie durante l’ascolto di musica classica. Dopo di che si possono apprezzare le doti dell’H7: con musica FLAC la tridimensionalità è quasi ottimale per un diffusore stereo in un solo corpo, la dinamica è notevole con una gamma bassa piuttosto profonda e le voci maschili e femminili sono rese con grande naturalezza. In pratica l’ascolto è molto piacevole e non si ha certo voglia di cambiare rapidamente traccia. Ascoltando brani MP3 o musica da Spotify le impressioni non cambiano sostanzialmente, salvo enfatizzare ulteriormente la brutale compressione di alcuni brani.
© Copyright 2024 Paperzz