Pievi Fortificazioni ed Eremi: storia e religiosità nel cuore dei Colli Euganei. Questo itinerario, partendo dal centro del paese di Torreglia, ci condurrà alla scoperta del borgo della Commenda o del Vallorto. Da qui saliremo lungo le pendici del monte Rua fino alla sua sommità dove vedremo uno dei pochi eremi ancora attivi sui colli. Il percorso continuerà lungo il versante est del monte Baiamonte tra boschi e coltivi prima di iniziare la discesa verso monti Pirio e Rina ai piedi dei quali visiteremo il borgo del Valderio-Molini per poi guadagnare il piano raggiungendo nuovamente il centro del paese. Il percorso non presenta particolari difficoltà, buona parte dell’escursione segue il tracciato di antichi percorsi, che erano utilizzati da mezzi di locomozione ben diversi da quelli a cui siamo abituati ai nostri giorni. Per riconoscere questi percorsi è necessario prescindere dall’aspetto delle attuali vie di passaggio - strade asfaltate e sentieri segnati - e riuscire ad interpretare il rapporto tra la morfologia del paesaggio e gli insediamenti che li hanno generati. L'itinerario inizia nei pressi della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, costruita ai piedi delle colline tra il 1913 e il 1925, per assecondare le nuove esigenze della popolazione che lentamente stava lasciando i pendii dei monti per trasferirsi nella più comoda pianura. Di fronte alla chiesa, il primo edificio su cui ci soffermiamo, è quello sulla destra all’imbocco di via Mondonego. La costruzione ampiamente rimaneggiata (purtroppo) negli anni ‘60, è un importante edificio storico, che ha dato i natali a Jacopo Facciolati (4 gennaio 1682 – 26 agosto 1769) poeta, scrittore e latinista italiano, uno dei cittadini più illustri di Torreglia. A suo ricordo è stata inserita una lapide sulla parete est della casa. Dal punto in cui ci troviamo ci dirigiamo a sinistra lungo via Mirabello, dove, a poca distanza, possiamo ammirare a sinistra palazzo Corinaldi costruito in stile eclettico, gusto architettonico molto in voga alla fine dell’800. Proprietaria era la ricca famiglia padovana dei Corinaldi, che lo utilizzò per i propri soggiorni estivi in campagna, com'era in uso nella società altolocata a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Al piano terra è ancora in funzione lo storico bar, mentre l’antistante piazzetta aveva la funzione di capolinea del vecchio tram, che sin dal 1911 trasportava a Torreglia i turisti e i cittadini che da Padova venivano a godersi una giornata nel verde nell’incantevole paesaggio euganeo, spesso ristorandosi in una delle numerose trattorie locali, le cui tradizioni culinarie sono ancora oggi molto rinomate in tutta la provincia. Prima di riprendere il cammino, attraversando la strada, possiamo ammirare all’interno di un grazioso capitello la famosa Madonna con bambino donata dal Facciolati ai suoi compaesani. La statua è stata scolpita da Francesco Rizzi, allievo di Francesco Bonazza noto scultore padovano molto attivo anche nel territorio veneziano e trevigiano. Proseguiamo il nostro percorso dirigendoci lungo via Castelletto dove incontriamo quasi subito alla nostra sinistra un'altra delle bellissime ville presenti su questo territorio. Si tratta di Villa Venturini Ferri ora Salata edificata nel XVII secolo sul piccolo promontorio rivolto a nord est del colle Cerega. La massiccia villa a base quadrangolare emerge a mezza costa all’interno di un bellissimo parco in stile romantico, dove sono presenti anche un piccolo oratorio e un'elegante scuderia neogotica. Proprio in questa zona fu ritrovata dal conte Ferri una iscrizione sepolcrale romana - purtroppo andata distrutta - che ricordava Marco Bebio Maturo appartenete alla gens Bebia citata in altre iscrizioni simili ad Este. Continuiamo il nostro tragitto fino ad incontrare sulla destra via Vallorto, che imbocchiamo continuando a costeggiare il versante meridionale del piccolo colle Cerega con i suoi ordinati terrazzamenti da secoli coltivati a viti ed olivo. Questo primo tratto di strada che stiamo per lasciare coincide con uno dei più antichi percorsi dei Colli Euganei e prende il nome di pedecollinare; un percorso che segue rigorosamente l’orlo collinare, mantenendosi rialzato di qualche metro rispetto alla pianura, che nella zona circumeuganea è fortemente soggetta alla formazione di paludi. Sicuramente queste vie sopraelevate sono state utilizzate sin dalle prime popolazioni che hanno abitato queste terre. Giunti al bivio con via Della Commenda, in corrispondenza di un capitello dedicato alla Madonna, giriamo a sinistra per entrare nel cuore storico del borgo di Vallorto, dove si ammira la suggestiva fortificazione denominata “il Castelletto”. Si tratta di un piccolo complesso di edifici che si erge sulla cima dell'omonimo rilievo. La sua origine può essere fatta risalire all'anno 899 d.C., anno in cui l'imperatore longobardo Berengario I ordinò l'incastellamento del territorio euganeo per difendere la popolazione dalle incursioni barbariche. Notizie certe sul Castelletto si hanno a partire dal XIII secolo, quando risulta essere di proprietà della facoltosa famiglia padovana dei Bibi, al servizio del tiranno Ezzelino da Romano. Nella seconda metà del ‘400 è di proprietà del canonico Matteo Aliprandi, che lo sceglie come luogo di meditazione e di villeggiatura. L'ultima nobile proprietaria di questo luogo è stata Elisabetta Aliprandi Candi, morta di peste nel 1576, la quale nominò come eredi i monaci benedettini dell’abbazia di Santa Giustina di Padova, a condizione che sulla sommità del Colle vi erigessero una chiesa dedicata alla Madonna della Misericordia in cui darle sepoltura. I benedettini organizzarono la proprietà in una vera e propria azienda agricola, costituita da 700 campi di cui 300 a bosco. La storia di questa tenuta agricola e del suo centro religioso viene interrotta dalle confische napoleoniche ai danni di Santa Giustina: nel 1810 l’intero patrimonio viene acquistato, con i beni dell’abbazia di Praglia, dal ricco mercante Angelo Comello. La proprietà, passata tra Ottocento e Novecento, alla famiglia Giovanelli e quindi all’Ordine dei Cavalieri di Malta, viene smembrata nel secondo dopoguerra. Attualmente il complesso sul colle è una residenza privata, mentre gli edifici che un tempo sono stati la casa del gastaldo con gli annessi rustici (cantina, stalle, torre colombara, brolo, forno per il pane) sono oggi di proprietà delle Cantine Bernardi. Il Castelletto, nato come luogo difensivo, successivamente divenuto monastero e ancora oltre dimora gentilizia, conserva tuttora un'atmosfera di forte suggestione: dominando dall'alto i colli e le campagne circostanti, evoca l'originaria funzione difensiva del territorio circostante. Ripercorriamo al contrario questo ultimo tratto di strada fino al capitello, raggiunto il quale proseguiremo diritti iniziando la salita lungo le pendici meridionali del monte Mira. Questo tratto di strada che stiamo percorrendo fa parte di un altro antico percorso, che prende il nome di attraversamento interno. Partendo dalla via pedecollinare, esso era utilizzato per congiungere il borgo con la fortificazione posta sulla sommità del colle della Mira, che stiamo per raggiungere. Continuando la salita ci inoltriamo in una ricca vegetazione, dove predominano la robinia (Robinia pseudoacacia L.) ed il sambuco (Sambucus nigra L.). Se percorrete questo sentiero nel periodo della loro fioritura, che avviene quasi contemporaneamente tra aprile e maggio, sarete rapiti dall’avvolgente e dolce profumo del nettare dei loro fiori. Nel sottobosco oltre al rovo (Rubus ulmifolius Schott) si trovano il caprifoglio (Lonicera caprifolium L.) e la clematide (Clematis vitalba L.), nei terreni più freschi crescono anche la colombina (Coridalis cava L.), la pervinca maggiore (Vinca major L.) e l’aglio orsino (Alliun ursinum L.), che imbianca il sottobosco con la sua candida fioritura. Nei terreni più asciutti troviamo il lampascione (Leopoldia comosa L.) con le sue infiorescenze dal caratteristico pennacchio viola, l’alliaria (Alliaria petiolata Bieb.) e il pungitopo (Ruscus aculeatus L.). Questo tipo di vegetazione è la più comune nelle vicinanze dei centri abitati ed è il risultato di un più intenso sfruttamento dei boschi. La robinia, è un albero importato dal nord America nel 1662, sfuggita dai parchi delle ville venete presenti nella zona euganea si è “naturalizzata” cioè ha trovato in queste zone un ambiente simile a quello dove cresceva spontanea nelle americhe. La robinia quando viene tagliata ha la caratteristica di emettere dalla ceppaia dei germogli chiamati “polloni” che in pochi mesi riescono a raggiungere l’altezza di 2-3 metri. Crescendo più rapidamente delle piante spontanee dei colli, ha preso facilmente il sopravvento nei boschi, dove ha usurpato la preminenza delle specie arboree più antiche. Percorso l’ultimo tratto di strada un po’ più ripido, raggiungiamo la forcella che congiunge il Monte Mira con il Monte Rua. Giriamo a destra e saliamo ancora per qualche decina di metri, fino a raggiungere il punto strategico dove sorge la pieve medievale di Torreglia dedicata a San Sabino, citata per la prima volta in alcuni documenti nel 1077. Vale la pena arrivare fino al suo piccolo sagrato da dove si gode di una splendida vista sulla valle sottostante: la visuale spazia a est sulla pianura e a ovest, spostandosi nella zona posteriore della chiesa, sul crocevia di strade nei pressi del cimitero, che da secoli costituisce il punto d'incontro di importanti vie di transito dei colli Euganei. Il luogo dove sorge la chiesa era precedentemente occupato da un fortilizio (probabilmente dei Transelgardi, i Signori di Castelnuovo) che per le caratteristiche del sito dove è collocato, aveva la funzione di osservazione del territorio. Tale funzione è evocata anche dal toponimo stesso del colle, chiamato della Mira (della vedetta, appunto). La torre o turricula dell’antica fortificazione, composta di strati ordinati di trachite e mattoni, la possiamo ancora in parte osservare nella parte inferiore dell’attuale campanile dell’antica chiesa e il nome del paese di Torreglia con buona probabilità trae origine proprio dalla presenza di questa piccola torre. Prima di riprendere il cammino, chi vuole può fare una piccola deviazione. Scendendo a sinistra si passa alle spalle di Villa Camposampiero Kopreinig ora Prandstraller, edificata nel XVII secolo da poco restaurata e sede di una rinomata azienda vinicola. Qualche decina di metri oltrepassato l’ingresso della villa imbocchiamo il sentiero sterrato che troviamo sulla sinistra, detto del Carromatto, che ci conduce fino al cancello di ingresso de “il Tauriliano”, ovvero Villa Barbieri ora Verson, che fu luogo di ritiro campestre dell’Abate Giuseppe Barbieri (26 dicembre 1774 – 09 novembre 1852), poeta e oratore che qui compose “Le Veglie Tauriliane”, famose prose in forma di lettera. La villa ha impianto cinquecentesco, fu costruita dalla famiglia Gussoni come casa domenicale con corte e giardino ed è stata poi ampliata nel ‘700 edificando le due ali laterali. Il piano nobile della villa è decorato con raffinati affreschi risalenti all'inizio del XX secolo. La villa è circondata da un bellissimo giardino all’italiana curato con passione e dedizione dal nipote del famoso Enrico Verson, che ha acquistato la villa riportandola agli antichi splendori. Il nostro percorso continua ritornando indietro verso il cimitero posizionato all’incrocio con la strada provinciale, da qui imbocchiamo la strada di sinistra che ci conduce sul Monte Rua. Il crocevia che stiamo attraversando è forse uno dei motivi per cui aveva senso costruire qui una fortificazione con funzione di osservazione del territorio. In questo luogo si incrociavano due strade molto importanti: la prima di valico (in parte appena percorsa) che collegava i nuclei più antichi del paese, cioè il borgo di Vallorto con quello di Valderio-Molini, (che visiteremo in seguito), la seconda di attraversamento interno, che proveniva dall’abitato di Castelnuovo e si dirigeva verso il Monte Rua e al borgo del Pianzio a Galzignano Terme. Appena riprendiamo la salita incontriamo due interessanti edifici: il primo sulla sinistra è Villa Carpane, costruita nel XVIII secolo, il cui nome deriva dal carpino, l'albero diffusamente presente nei boschi che circondano la villa. Prima della sua costruzione esisteva al suo posto una serie di edifici rustici, in parte ancora presenti ma poco visibili dalla strada: questi annessi facevano parte secoli or sono di una corte agricola di proprietà dei frati camaldolesi, che l’avevano posizionata proprio in questa zona a metà strada tra l’eremo e la pianura. Il secondo edificio sulla destra, è Villa Medin (ora Villa Immacolata) immersa in un enorme proprietà che un tempo si estendeva fino alla forcella tra il Monte Rua e il Monte Venda che incontreremo più tardi lungo il nostro cammino. La villa costruita in stile liberty dal notaio Giovanni Battista Medin, era in origine riccamente decorata con intonaci a bugnato e cartelle affrescate posizionate negli spazi tra le finestre. Superata Villa Immacolata incontriamo ai lati della strada i primi grossi alberi di castagno, che da secoli accompagnano i viandanti nel loro cammino verso l’eremo, immersi in una delle foreste più belle di tutti i colli Euganei. Il castagno (Castanea sativa Miller) predilige terreni freschi e di origine vulcanica (silicei), è quindi principalmente diffuso sui versanti collinari esposti a nord; alcuni castagneti si trovano tuttavia anche sui versanti più assolati verso est od ovest, ma sempre su un substrato di origine vulcanica. Nel castagneto, all’interno del quale proseguiamo la salita, possiamo osservare la barba di capra (Aruncus dioicus Walter), che cresce soprattutto ai bordi della strada. Si tratta di un erbacea perenne che fiorisce tra giugno e luglio e produce delle pannocchie di piccolissimi fiori bianchi. Tra le fronde degli alberi in questo tratto, spesso riecheggiano i richiami della Ghiandaia (Garrulus glandarius L.)o i battiti del Picchio Rosso (Dendrocopos minor L) sui tronchi dei grossi alberi. Continuando la salita, poco prima di giungere alla località chiamata “Belvedere della Croce”, lungo il bordo stradale sulla destra si può osservare nel mese di maggio la fioritura di qualche esemplare di una pianta erbacea molto particolare, l’Aquilegia (Aquilegia vulgaris L.), con i suoi fiori blu-viola intenso i cui petali si prolungano in uno sperone ricurvo uncinato all’estremità. “O fratello, che alacre l’animo e il piede vincesti l’erta affaticante qui posa e pregusta nella soavità della preghiera la celeste pace dell’eremo” è la frase scolpita alla base della croce che ci accoglie al belvedere, luogo importante dal punto di vista viario, dato che proprio in questo punto si congiungono i sentieri che da secoli conducono al monastero del Monte Rua, provenendo sia da Torreglia che da Galzignano. Continuando la salita per qualche centinaio di metri si giunge al portone di ingresso dell’eremo dei frati camaldolesi. Oltrepassato il cancello ci inoltriamo verso nord sempre all’interno di un bel bosco di castagno. Il suolo fresco e ricco di humus presenta un sottobosco composto di piante a fioritura molto precoce tra cui si può osservare il Dente di cane (Erythronium dens-canis L.), l’Elleboro verde (Helleborus viridis L.) e l’Anemone fegatella (Hepatica nobilis L.) con i suoi fiori viola e le caratteristiche foglie trilobate. In luglio, invece, si può osservare la fioritura di una singolare parente della nostra salvia, la Salvia glutinosa (Salvia glutinosa L.), con grandi foglie verde brillante e spighe di fiori gialli. Il nome 'glutinosa' deriva dalla presenza soprattutto sul fusto di una sostanza appiccicosa secreta da sottili peli ghiandolari. Sempre lungo il tratto di sentiero esposto a nord si possono incontrare l’Epimedio alpino (Epimedium alpinum L.), e alcuni esemplari di Faggio (Fagus sylvatica L.), considerati dei “relitti glaciali”, ossia piante che sono arrivate sui colli durante l’ultimo periodo glaciale terminato circa 10.000 anni fa, e rimaste su alcuni versanti dei colli grazie alla presenza di condizioni climatico-ambientali simili a quelle del loro habitat originale. Arrivati alla forcella che congiunge il monte Rua con il monte Venda, detto 'bivio dei Sabioni', nei pressi in cui il sentiero gira bruscamente a sinistra, noi continuiamo diritti sul sentiero che da questo punto percorre il crinale che collega il monte Rua al monte Venda. Volgendo lo sguardo a destra e poi a sinistra in questa parte del percorso si nota chiaramente come sia netto il cambio del tipo di vegetazione, presente nel versante nord (a destra) più fresco e umido, rispetto a quella presente invece sulle pendici esposte verso sud su un terreno più assolato ed asciutto. In questo versante infatti è presente un bosco misto di roverella (Quercus pubescens Willd), farnia (Quercus robur L.) e ornielli (Fraxinus ornus L.) dove le piante sono più rade e nel luminoso sottobosco è presente il corbezzolo (Arbutus unedo L.), il brugo (Calluna vulgaris L.), l’erica arborea (Erica arborea L.) e il cisto (Cystus salvifolius L.). Tutte queste piante presenti nel sottobosco sono essenze tipiche della macchia mediterranea, si trovano qui e in molti altri versanti esposti a sud dei colli. Nel periodo tra aprile e maggio, tra la vegetazione ai lati del sentiero, si può scorgere la delicata fioritura di alcune orchidee del genere Cephalanthera (C. damasonium L.) con piccole spighe di fiori bianco latte e del genere Platanthera (P. bifolia L.) poco diffusa e tipica dei boschi ombrosi. L’eremo dei frati Camaldolesi del monte Rua decritto “sospeso nell’aria e nella luce” dal Valeri, ispirato cantore dei colli Euganei, fu fondato nel 1334, anno in cui fu ceduto dal comune di Torreglia al frate Antonio da Albignasego perché vi costruisse una chiesa da dedicare alla Beata Vergine Maria. Cinque anni dopo il romitorio fu unito all'abbazia camaldolese di S. Mattia a Murano. Dopo un periodo di abbandono l’eremo riprese vita agli inizi del ‘500 per iniziativa della congregazione degli eremiti Camaldolesi di Santa Corona e nel 1542-44 grazie al sostegno di numerose famiglie nobili locali fu ricostruita la chiesa, che sarà oggetto di un nuovo rifacimento ad opera di Giovanni Cornaro nei primi anni del XVII secolo. La vita dell’eremo fu interrotta nel 1810 dopo la soppressione di Napoleone. Il monastero riprese le sue funzioni nel 1866 gazie all’iniziativa di Padre Emiliano Neri. Il monastero è ancora di clausura, al suo interno si distinguono bene le file ordinate di cellette isolate, il grande edificio che ospita la biblioteca nei piani superiori e le parti rustiche (stalla, cantina) nelle parti inferiori. L’origine etimologica del termine “Rua” non è certa, le ipotesi maggiormente avvalorate presuppongono che il nome derivi dalla dea pagana Reithia che veniva venerata probabilmente su questo monte, oppure dalla parola latina rota (ruota) in riferimento alla ruota dei molini che si trovavano alle sue pendici nei pressi delle sorgenti del rio Calcina. Quest'ultima è delle due l'ipotesi più plausibile. Una volta arrivati nei pressi della strada asfaltata la attraversiamo e procediamo diritti verso il ristorante “Il Roccolo” e prendendo il sentiero che passa nel retro del ristorante (sulla sinistra) passiamo di fianco al piccolo roccolo che, purtroppo, si presenta in uno stato di conservazione precario ed è da molto tempo relegato tra rifiuti e antenne. Tuttavia è ancora visibile la targa che riporta l’iscrizione: “ROCCOLO DEL CONTE MEDIN TORREGLIA 1898”. Proseguiamo lungo il sentiero che inizia a scendere rapidamente fino a guadare un piccolo rio che scende dal calto freddo. Con il termine calto sui colli Euganei si intende l’incisione più o meno profonda lungo la quale scorrono le acque meteoriche che confluiscono dai pendii collinari proprio al suo interno. Lungo il letto di questi piccoli ruscelli, molto spesso stagionali, le acque vengono trasportate a valle per poi confluire in alti invasi che le trasporteranno verso la pianura. Nei pressi del guado su questo piccolo rio, si può godere anche nel torrido periodo estivo, di un po’ di fresco e ombra che può ristorare prima di riprendere il cammino lungo le pendici del monte Baiamonte. Poche decine di metri più avanti raggiungiamo nuovamente una strada asfaltata (la fine di via Siesa) che si manterrà pressoché pianeggiante a questa quota per un lungo tragitto. Lungo questo tratto di strada incontriamo ancora boschi misti di robinia e castagno ma anche i primi terreni sottratti al bosco per permettere la coltivazione della vite. Questi piccoli appezzamenti di terreno di origine vulcanica sono il substrato migliore per la coltivazione delle viti che producono vini rossi, mentre per i vitigni di uve bianche i terreni migliori sono quelli di origine sedimentaria che incontriamo più in basso. Avremo in più punti, la possibilità di ammirare sulla destra uno spettacolare panorama sulla piana di Torreglia e della propaggine dei colli che si allunga verso est sconfinando fino alla zona termale di Abano e Montegrotto. Quando si ha la fortuna di percorrere questo tratto di strada nelle giornate primaverili più serene si può scorgere in lontananza anche il luccichio della laguna di Venezia con il campanile di S. Marco. La distanza in linea d’aria di Venezia è infatti di circa una cinquantina di chilometri. Percorrendo l’ultimo tratto di questa strada (via Siesa) arriviamo all’incrocio con la provinciale che porta da Castelnuovo a Torreglia, che in parte ripercorre fedelmente l'antico tracciato di attraversamento interno che collega i due paesi e che abbiamo incrociato al quadrivio posto nei pressi della pieve di Torreglia. I percorsi come questo servivano per spostarsi da un paese all’altro mantenendosi sempre in quota seguendo la morfologia dei colli, in modo da intercettare il percorso più breve. Proseguiamo per un breve tratto lungo la provinciale girando a destra e qualche decina di metri più avanti sulla sinistra attraversiamo la strada e imbocchiamo via Cicogna-Pirio che gira attorno alla piccola sommità del monte Miego. Da questo tratto di percorso se vi girate sulla sinistra potrete godere di una bellissima visuale sull’abitato di Castelnuovo con la chiesa edificata alla fine del XVI secolo ed il campanile che invece è stato costruito agli inizi del ‘900. La sua altezza mantiene ancora oggi la funzione di catalizzare lo sguardo dei viandanti verso il centro del paese. Posizionata sulle pendici nord subito sopra la chiesa, fa bella mostra di sé un'antica casa-forte del XV secolo posta a guardia della forcella tra il monte Venda e il monte Pendice. Questa costruzione prende il nome di “Casa dei Salva” perché una leggenda locale narra di un anello infisso ad un muro che conferiva l’immunità, “la salvezza”, a quanti inseguiti l’avessero toccato, da qui il suo curioso appellativo. Riprendendo il cammino aggiriamo il ristorante “Settimo Cielo” e proseguiamo sulla strada in discesa che presto ritorna sterrata e prendiamo il primo bivio sulla destra. Ritorniamo ad immergerci nuovamente in un fresco bosco di castagno che ci conduce poco più avanti nuovamente in una parte coltivata a vigneto, dove possiamo ammirare girandoci sulla sinistra la pianura verso nord con la corona delle Prealpi venete mentre, spostando lo sguardo più a destra ammiriamo il lato ovest del monte Pirio, che presenta nella sua esposizione verso sud tra la viva roccia di origine vulcanica una vegetazione composta da essenze tipiche della macchia mediterranea: il corbezzolo e l’erica arborea. Dopo un ampia curva sulla destra ritorniamo nel bosco per uscirne qualche centinaio di metri più in basso quando giungiamo nuovamente su via Cicogna-Pirio nei pressi dell’agriturismo con alloggio “Cà Noale” allestito nei locali da poco recuperati di un antico edificio rustico con corte cinta da muro (questo purtroppo in gran parte ormai perso) che in un lontano passato era sede delle attività agricole rese possibili dai dolci pendii posti nelle sue immediate vicinanze. Per un lungo periodo questa corte agricola è stata alle dipendenze del monastero dei frati camaldolesi del monte Rua. Continuiamo lungo la strada asfaltata sulla sinistra in discesa, fino ad arrivare nelle vicinanze di alcuni grossi alberi di castagno che sono parte di una maronaria che continua sulla sinistra subito dopo la piccola costruzione che costeggia la strada. Proseguiamo il cammino prendendo al bivio la strada in salita sulla nostra sinistra, e poco dopo aver oltrepassato il ristorante “Il Pirio” ci fermiamo ad ammirare il piccolo edificio a destra lungo la strada, che porta incastonata nella facciata ad ovest un raffinatissimo capitello sacro composto da due colonnine adornate con la raffigurazione del fiore del giglio che sorreggono una parte orizzontale sulla quale sono state scolpite le parole DEUSM(eus)ADIUTOr (“il Signore è il mio soccorso) e da una parte superiore a semiluna dove è raffigurata una piccola testa di santo. L’edificio molto vecchio potrebbe anche essere stato sede di un piccolo eremo, ma il capitello in questione, è un tabernacolo proveniente dalla chiesa del monastero degli Olivetani sul monte Venda. Ammirate anche da questo punto il vasto panorama sulla piana di Torreglia mentre sulla sinistra possiamo vedere i dolci declivi coltivati del complesso dei monti Sengiari-Lonzina. Ritorniamo indietro fino al bivio in prossimità dei vecchi maronari dove imbocchiamo via Rina e la percorriamo per qualche centinaio di metri prima di abbandonare la strada asfaltata e svoltare a destra sulla strada sterrata che conduce ad alcune abitazioni. In corrispondenza del primo edificio prendiamo il sentiero sulla sinistra, lo percorriamo in discesa incrociando sulla nostra sinistra una vecchia costruzione e arrivando qualche decina di metri più avanti ad uno spiazzo. Qui troviamo sulla nostra destra una sorgente denominata “el butaroto” dalla quale sgorga un’acqua freschissima, che per secoli ha dissetato i passanti ma che ora purtroppo non è più potabile. Spostiamo ora lo sguardo verso l’imponente edificio in pietra che si trova dalla parte opposta del corso d’acqua. Stiamo ammirando uno dei mulini più belli e meglio conservati in tutto il territorio collinare. La costruzione è molto antica e le sue fattezze massicce e austere conservano ancora nella parte centrale dell’edificio una parte turrita che si eleva dal corpo centrale. Questo tipo di struttura ci fa pensare ad una casa-forte con funzione militaresca di sorveglianza del territorio. La presenza in questo stesso edificio di un mulino a coppedello è attestata già dal XII secolo. La funzione militaresca di osservazione e protezione del territorio di questa struttura, è dovuta sicuramente al fatto che proprio nei pressi dell’attuale ponte, era situato anche in passato un attraversamento del Rio e, nei pressi di questo, a fianco della sorgente appena descritta, arrivava la mulattiera (di cui abbiamo appena percorso l'ultimo tratto), che costituiva il percorso più veloce per salire verso il valico tra il monte Pirio e il Baiamonte e che proseguiva poi verso gli abitati di Castelnuovo e Teolo. Ritornando al mulino, come molti altri in funzione sulle pendici dei colli anche questo era “a coppedello”, cioè il suo funzionamento era reso possibile da una ruota dotata di numerose cassette in legno le quali riempiendosi di acqua, a causa del peso, scendevano verso il basso e azionavano in questo modo la ruota che poteva continuare a girare, anche se più lentamente, anche durante i periodi in cui il Rio aveva una portata d'acqua più scarsa. Il mulino è rimasto in funzione fino al XIX secolo, recentemente è stato restaurato ed è ora adibito a struttura ricettiva turistica. Per chi ne ha voglia è possibile fare un'ulteriore piccola deviazione per osservare da vicino un'antica sorgente, chiamata fonte Regina. La qualità delle acque cristalline che qui sgorgano naturalmente, era già nota in epoca romana. La sorgente era infatti utilizzata dai Romani per portare verso le terme di Montegrotto acqua potabile per dissetare gli abitanti della zona. L’acqua veniva trasportata a valle attraverso un acquedotto costruito da tubi di pietra trachite scavati all’interno che venivano raccordati e uno all’altro e attraverso una pendenza costante raggiungevano l'importantissimo centro termale. Per arrivare alla sorgente basta attraversare il ponte e seguire il sentiero che costeggia l’edificio del mulino sul suo lato sinistro. Dopo qualche decina di metri si torna sulla provinciale che sale a Torreglia Alta e subito dopo l’ex ristorante ”I Mulini” incontrate l’indicazione del breve sentiero che vi condurrà alla fonte. Una volta ritornati indietro fino al vecchio mulino, lasciamo questo luogo così suggestivo e ci incamminiamo sullo stretto viottolo che passa di fronte alle abitazioni poste sul lato sinistro del rio Calcina. Alla nostra sinistra possiamo ammirare il parco di villa Clementi Romiati ora Cattaneo, edificata sul piccolo pianoro a mezza costa, su una propaggine del monte Rina. Le prime notizie sulla villa risalgono al catasto napoleonico del 1810 dove è registrata come casa d’affitto; viene quindi ampliata dal Clementi tra il 1830 e il 1840. Il Romiati è invece l’autore degli affreschi delle facciate che risalgono agli anni 1880-1881. La villa presenta un gusto eclettico molto particolare, che richiama nell’architettura e negli orpelli lo stile “chalet Svizzero”, davvero inusuale sui colli euganei. La villa è immersa in un parco romantico molto ben curato. Poche decine di metri più avanti ritorniamo su strada asfaltata, stiamo entrando infatti nel borgo Valderio-Molini la cui toponomastica ci riconduce alla sua collocazione, ovvero la valle del rio Calcina, e al suo sviluppo basato sulla presenza di alcuni antichi mulini. Uno di questi lo abbiamo appena lasciato, un secondo lo si può scorgere subito dopo il ponte sul rio, in corrispondenza dell’edificio posto alla nostra destra, che però è stato ampiamente rimaneggiato nel corso dei secoli. All’incrocio con via Facciolati svoltiamo a sinistra arrivando nei pressi di un piccolo edificio in pietra, che ospita il punto vendita della più antica industria di Torreglia, la Distilleria Luxardo, che dal 1947 produce i famosi liquori utilizzando come materia prima la marasca, una varietà di ciliegie dal sapore acidulo. Una volta scesi in piano, prima di imboccare la strada provinciale (via Romana), incontriamo sulla destra l’antica trattoria “Ballotta”, rinomato ristorante che vanta un trascorso culinario di oltre quattro secoli. L’edificio prima di essere trasformato in locanda nel 1605 era una corte agricola, alle dipendenze dei monaci agostiniani di Monteortone. Raggiunta via Romana, giriamo a destra e prima della curva che ci porterà di fronte al Municipio dove termina il percorso, incrociamo villa Faggiani sulla nostra destra. La località appena attraversata, prende il nome dialettale di “Breo”, dalla parola longobarda “Braida” che stava a significare prato, campagna aperta. Questo curioso termine di lontana provenienza, testimonia come la vocazione agricola di questo piccolo tratto di campagna ormai assediata dalle costruzioni sorte negli ultimi 60 anni, si perda indietro nel tempo. Testo e progettazione itinerario a cura di S. Zanini. E' vietata la riproduzione, tutti i diritti sono riservati.©
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