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Sergio Perosa
L’ISOLA LA DONNA IL RITRATTO
Variazioni e intrecci letterari
Bompiani
ISBN 978-88-452-7375-9
© 2013 Bompiani / RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli, 8 – Milano
Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl
Prima edizione Studi Bompiani agosto 2013
indice
Prefazione
7
1. il linguaggio delle isole
9
Ripresa: isole intertestuali
38
2. l’isola-continente come donna
55
3. morte Per acqua
77
4. il ritratto che uccide
99
Ripresa: Galatea distrugge Pigmalione
135
5. coda: moving Pictures fatali
153
Riferimenti bibliografci
169
indice dei nomi
177
Avvertenza
I dati bibliografci completi delle opere citate nel testo e nelle note si
trovano nei Riferimenti bibliografci alla fne del volume.
Prefazione
Nel Viaggio nel regno del ritorno del mistico persiano Sanâ’î (XII
sec.), entrati nell’elemento acqueo posto sotto l’infusso della luna –
noi diremmo nel mondo sublunare – si incontra un castello “su
un’isola verde”. Lo abitano strane fgure di “maghi-pittori”, intenti
a operare sortilegi: mutare il vecchio in nuovo, o il brutto in bello. Hanno virtù demiurgiche: nella “camera più intima dell’anima”
dipingono immagini arcane e sconvolgenti, rivelatrici, che costituiscono elemento di disturbo, distruggono serenità e decoro. Vittime
dell’oscuro turbamento sono più spesso donne.
Le variazioni che seguono snodano un flo più unitario di quanto
non appaia a prima vista.
Per tutto il corso della letteratura, le isole accumulano arcane
connotazioni di morte, assieme a particolarità di defnizione ed
espressione anche linguistica. A partire dalle scoperte geografche
dei Caraibi, dell’America e poi degli arcipelaghi e atolli del Pacifco,
l’isola – o l’isola-continente – è ricercata, esplorata, perlustrata e
soprattutto posseduta come donna; è oggetto di ricognizione culturale che assume le forme del desiderio e del possesso fsico-sessuale
(Afrodite, del resto, era nata dal mare, e si identifca con l’isola).
Sono i temi delle due prime variazioni.
Nell’Ottocento repressivo, la trasgressione della donna è punita
facendole abbandonare l’isola del desiderio e dell’amore, e rifuire
nell’acqua, nell’elemento primordiale dell’annullamento di sé, della
perdita di identità e coscienza. Nuotando dall’isola verso il mare,
scendendo nel fume o nel lago, la donna sigilla il proprio destino di
8
l’isola la donna il ritratto
morte specchiandosi nella propria immagine. Costretta comunque
e sempre più a fornire immagini, passa poi al centro di drammatici
contrasti fra arte e vita, rappresentazione e corporeità. L’immagine,
il quadro, il ritratto si sostituisce alla fsicità della donna e alla vita
del mondo in confitti e drammi dove l’ossessione per la raffgurazione artistica sembra esautorare le ragioni dell’esistente e dell’esistere. Sono i temi della terza e quarta variazione.
Questo libro potrebbe sembrare una proposta, riproposta o ripresa di critica tematica, attenta all’evoluzione di motivi portanti
della fgurazione letteraria. Forse è così, ma in maniera non programmatica. Ero attratto dai testi, dai legami e dalle sovrapposizioni, dalle scissioni e convergenze che si instaurano fra loro. Ho
cercato di commentare lo stretto necessario, ed estrapolare molto:
insomma, di lasciar parlare i testi stessi, senza troppo interferire o
sovrappormi. Se non lo fanno loro, meglio star zitti noi. È un’inveterata abitudine, che mai come oggi mi sembra salutare.
Per utili indicazioni, sono debitore a Gianfranca Balestra, Alide
Cagidemetrio, Remo Ceserani, Luciano Erba.
Questa nuova edizione è accresciuta di oltre un terzo con l’aggiunta di una Coda – i termini musicali sono voluti – che riprende
e intreccia i precedenti motivi, di una Ripresa al capitolo I e di due
al capitolo IV, integrazioni e aggiornamenti in tutti i capitoli, nelle
Note e nei Riferimenti bibliografci. I capitoli vanno volutamente di
gran carriera; le Riprese, un po’ meno: come le note lunghe, sono
non tanto pause di rifessione o di ripensamento, quanto aperture
su diverse prospettive, ramifcazioni e possibili linee parallele di indagine. Il libro è dedicato alla memoria di due amici-maestri: Nemi
D’Agostino e Giulio Bollati.
Sergio Perosa
Ca’ Foscari, 2012
1. il linguaggio delle isole
The isle is full of noises...
William Shakespeare, The Tempest
...le forme sensitive di un’isola di pura sabbia.
Andrea Zanzotto, L’acqua di Dolle
L’isola ha per archetipo una natura bivalente: luogo del meraviglioso, e insieme della morte; dell’avventura esaltante, e insieme
della pena; fatata, e insieme maledetta. Così il suo linguaggio è misterioso, elusivo, ingannevole; caratterizzato da suoni e segni arcani,
perturbanti; contraddistinto da geroglifci, crittogrammi, mappe,
che si fatica a leggere, decifrare, decodifcare.
Questo è più spesso il compito cui chiama o costringe l’isola:
affrontare e decifrare un linguaggio sconosciuto, anomalo, che apre
la via al tesoro – cioè alla sua natura e ai suoi frutti – tanto quanto,
per converso, a sgomento e distruzione.
Nella prima parte del capitolo illustrerò alcune fondamentali
duplicità dell’isola; poi mi soffermerò su certi suoi linguaggi particolari, la cui defnizione e conformazione dipende, almeno parzialmente, da quanto verrà esposto all’inizio.
l’isola la donna il ritratto
10
1.1.
Le Isole Fortunate degli antichi – oltre le colonne d’Ercole, per
la vulgata tolemaica a sud delle Canarie, sede dei beati virtuosamente vissuti – sono isole dei morti. Le Isole Felici di cui scrivono
Plutarco e Pindaro, Euripide ed Esiodo, Plinio, Orazio e altri, vedendole come ultima meta o paradiso terrestre, sfumano per chi le
raggiunge in terre purgatoriali o di magia (Ogigia, l’isola di Calipso;
Eea, dove impera Circe; l’isola di Venere, che diventa il giardino di
Klingsor; Itaca, l’isola del ritorno, è anche isola della strage). Per
tutti, Plinio, le cui Isole Fortunate sono avvolte di nubi o innevate
tutto l’anno, “infestate poi di carcasse putrescenti di animali, che
vengono in continuazione gettate sulla riva” (Storia naturale, VI, §
37). Al limite estremo del mondo, anche per i viaggiatori arabi sono
immerse nel Mar delle Tenebre, e “nel Mar delle Tenebre c’è il trono del Maligno la cui prigione è un’isola” (Arioli, p. 169).
L’isola prelapsaria si tramuta in deserto, soddisfa i desideri ma
suscita frustrazioni; il locus amœnus è popolato di mostri. Secche e
sabbie mobili, gorghi turbinosi e naufragi sono connaturati all’isola.
Anche quelle meravigliose (dall’Atlantide ai Caraibi, a quella del
Brasile favoleggiata da fra Mauro, che appare la prima volta nel
Voyage of Máel Dúin e si vedeva ogni sette anni in forme diverse)
si compongono di meraviglia e terrore. Creta nasconde il labirinto
con il Minotauro; le splendide, languide e sensuose Antille sono
squassate da uragani come deità furiose (così dirà Derek Walcott).
Le insenature nascondono insidie; all’interno, come ad Haiti, impazza il vudù. Lo compendia Robert Frost nella poesia di due versi
An Answer:
But islands of the Blessed, bless you, son,
I never came upon a blessed one.
(“Ma di isole beate, benedetto fglio mio, / non una benedetta ho
visto io.”)
“It may be we shall touch the Happy Isles / and see the great
Achilles, whom we knew” (“Forse un giorno toccheremo le Isole
1. il linguaggio delle isole
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Felici, / e vedremo il grande Achille che conoscevamo”), dice l’Ulisse di Tennyson nell’omonima poesia: aspettativa e senso di morte
si confondono. E.A. Poe esemplifca questa bivalenza nello schizzo
The Island of the Fay: un’estremità è di dorata bellezza, l’altra della più nera oscurità; nel circuito dell’isola si passa dalla gioia alla
pena, compiendo la rivoluzione della vita stessa. Tipica e inquietante rappresentazione fgurativa è L’isola dei morti di Arnold Böcklin,
la cui immagine compare come “liberatrice” alla conclusione della
Sonata degli spettri di August Strindberg.
Queste isole parlano il linguaggio dell’aldilà: del meraviglioso,
ma anche della pena. Nelle immrama, nelle “navigazioni” della tradizione irlandese medievale, il viaggio di isola in isola è oltre i confni del mondo umano (esse rientrano infatti nel genere più vasto
delle echtrai, dal latino extra: l’avventura è per defnizione al di là
dei confni naturali), verso luoghi del sovrannaturale. Onde la connessione dell’isola con la magia, buona e cattiva, bianca e nera, e
con il favoloso, in questo caso cristiano (ché le immrama nascono in
ambienti monastici), ma anche con situazioni di desolazione e sofferenza. Gli esempi più noti sono La navigazione della barca di Máel
Dúin (già citata, VII sec.), o La navigazione di Bran fglio di Febal
(VIII sec., in Cataldi, pp. 188-221), dove il meraviglioso sfuma continuamente nel mostruoso. Nella riscrittura in chiave elegiaca che
ne fa Tennyson nell’Ottocento, “noi odiavamo l’Isola bella, perché
tentando di parlare / le nostre voci si affevolivano come lo stridio
del sorcio / ... / E odiavamo l’Isola forita, così come odiavamo l’isola muta”, mentre nella seconda l’Isola della Gioia si rivela, come
quella di Circe, isola dell’oblio, l’Isola delle Donne – nella letteratura antico-irlandese sede dell’aldilà – è isola di prigionia e mancanza
di tempo: Bran vi è intrappolato per cento anni e poi condannato a
vagare in eterno per i mari.
L’Ixola Delicioxa di san Brandano, la cui Navigatio (ms 1513,
X sec.) è strettamente collegata con le immrama, è sì “Terra Santa
de Promissione”, dove il demonio è un “fantexino negro” e Giuda viene a rinfrescarsi su una roccia la notte di Natale; ma quanta
fatica, quante angosce, quanto disorientamento, a percorrere per
sette anni quei cammini equorei! Specie nel volgarizzamento anglonormanno di Benedeit, Le Voyage de Saint Brendan (XII sec.), per