"TRATTAMENTI CHIMICO-FISICI DELLE ACQUE" 1 - SEDIMENTAZIONE La sedimentazione è il processo di separazione dall'acqua, per decantazione gravitazionale, di particelle sospese più pesanti della stessa. E' di gran lunga l'operazione unitaria, nel trattamento delle acque reflue o di approvigionamento, maggiormente utilizzata per rimuovere ad esempio sabbia, solidi sedimentabili, fanghi biologici o fiocchi di sostanze colloidali coagulate ed anche per ispessire fanghi di supero. In molti casi l'obiettivo primario di ogni processo di sedimentazione è quello di chiarificare le acque, ma obiettivo non secondario è contemporaneamente quello di ottenere fanghi di spurgo a concentrazione tale da permettere un minor costo di smaltimento. In Tab 1 sono indicati i diversi fenomeni che possono insorgere nella decantazione di particelle in sospensione, in dipendenza della loro concentrazione e tendenza ad interagire. Tali fenomeni spesso coesistono ad altezze diverse di uno stesso sedimentatore. Tab.1 Descrizione delle differenti modalità di sedimentazione Tipologia di Applicazione decantazione o Descrizione insorgenza Sedimentazione di solidi in sospensione a bassa concentrazione. 1. A particelle separate Rimozione di pietrisco e sabbia Le particelle decantano individualmente senza interagire tra di loro Per la rimozione di parte dei solidi 2. Con flocculazione Sedimentazione di particelle in sospesi in acque grezze e nella parte sospensione diluite che interagendo superiore dei decantatori secondari nei tra di loro, coagulano e flocculano, processi a fanghi attivi aumentando così massa e la velocità di sedimentazione 1 3. Ostacolata o a zona Quando le particelle, a concentrazione Tale fenomeno si manifesta nei maggiore della precedente, sedimentatori a fanghi attivi in una zona interagendo tra di loro si ostacolano intermedia degli stessi vicendevolmente. In tal caso restano in posizione fissa tra di loro e scendono insieme. Si forma un'interfaccia solidoliquido 4. Per compressione Quando, raggiunta una certa Tale fenomeno si manifesta sul fondo concentrazione, le particelle formano dei sedimentatori o negli ispessitori degli aggregati. L'ulteriore dei fanghi per gravità decantazione può avvenire soltanto per compressione delle strutture sottoposte al peso di altre particelle che si vanno sovrapponendo Qui di seguito verranno esaminati separatamente le diverse tipologie di sedimentazione. 1.1. Sedimentazione a particelle separate La decantazione di particelle separate, non flocculabili può essere analizzata ricorrendo alle classiche leggi formulate da Newton e Stokes. La legge di Newton permette di ricavare la velocità terminale di una particella uguagliando la forza gravitazionale a quella d'attrito. La forza di gravità è data da: 2 (kg m/s ) dove: ds= densità della particella; 3 (kg/m ) 3 d = densità del mezzo; (kg/m ) g = accelerazione di gravità; (m/s ) V = volume della particella. (m ) 2 3 La forza d'attrito è data da: 2 Fa = 1 (C D ⋅ A ⋅ d ⋅ v 2 ) 2 2 (kg m/s ) dove: CD= coefficiente d'attrito (adimensionale); A= area della sezione di particella perpendicolare alla velocità; (m2) v = velocità della particella; (m/s) Per particelle sferiche, la classica legge di Newton risulta: Vc = 8 g ⋅ (d S − d ) ⋅ r 3 CD ⋅ d dove: Vc= velocità terminale della particella; d = raggio della particella; (m) Il valore di CD varia in funzione del numero di Reynolds e della forma delle particelle. Per particelle sferiche può essere ricavato, in prima approssimazione dalla formula: CD = 24 + NR 3 NR + 0.34 dove : NR = numero di Reynolds = V 2 rD µ Per NR ≤ 0,3 il primo termine della precedente equazione predomina e così, in questo caso, la legge di Newton viene semplificata nella così detta legge di Stockes . 3 La progettazione di un bacino di sedimentazione viene fatta sciogliendo una particella con velocità terminale Vc in modo tale che tutte le particelle a velocità V siano rimosse. Vc La velocità ascensionale nel bacino sarà quindi fissata pari a: VC = Q A dove: Q = portata; (m3/d) A = sezione; (m2) Vc= velocità ascensionale o carico superficiale; (m2/m2·d) Per decantazione di particelle separate, il carico superficiale è indipendente dall'altezza del bacino di sedimentazione. Quest'ultima è correlata al tempo di permanenza. 2. Sedimentazione con flocculazione Le particelle sospese in soluzioni relativamente diluite a volte non si comportano come entità separate, ma possono coagulare durante la sedimentazione e quindi flocculare. Si ha così un aumento della loro massa e quindi della velocità di decantazione. L’entità della flocculazione dipende dalle opportunità di contatto tra le particelle e quindi dalla velocità di risalita dell'acqua, dalla profondità del bacino, dai gradienti di velocità nel sistema, dalla concentrazione delle particelle e dalle loro dimensioni. Questi effetti possono essere valutati soltanto sperimentalmente. Le esperienze in genere vengono condotte utilizzando colonne di sedimentazione con diametro opportuno ed altezza uguale a quella del bacino proposto. Risultati soddisfacenti si ottengono usando colonne del diametro di 150 mm ed altezza di 3 m dotate di prese campioni ogni 0.6m. La sospensione da esaminare viene introdotta in maniera da assicurare una distribuzione uniforme per tutta l'altezza, ed occorre evitare con cura la formazione di correnti convettive dovute a variazioni di temperatura durante la sperimentazione. Ad 4 intervalli di tempo regolari, vengono effettuate misure di solidi sospesi su campioni prelevati attraverso le apposite prese. Possono essere tracciate delle curve di uguale rimozione percentuale in funzione dell'altezza e del tempo. Tali diagrammi sono utilizzabili per ricavare la rimozione totale dei solidi in funzione dell'altezza del sedimentatore e del tempo di residenza idraulica. Nel passaggio a sistemi continui, il tempo di residenza idraulico di norma viene aumentato di un fattore da 1.25÷1.5 3. Sedimentazione ostacolata o a zone I fenomeni che avvengono quando la concentrazione dei solidi sospesi, inizialmente uniforme, tende ad aumentare nelle zone inferiori di un sedimentatore, sono mostrati dalla Fig.2. In tale zona, chiamata zona di sedimentazione ostacolata, il liquido tende a muoversi verso l'alto tra gli interstizi delle particelle a contatto le quali tendono a scendere in blocco, come una zona ed uniformemente, mantenendo, quindi, le stesse distanze di loro. Si forma così una netta superficie di demarcazione tra l'acqua chiarificata ed il fango. La variazione dell'altezza di questa superficie rispetto al tempo è la velocità di sedimentazione nella zona "ostacolata" e dipende dalla concentrazione delle particelle e dalla loro natura. 4. Sedimentazione per compressione. Mano a mano che la sedimentazione continua, sul fondo del sedimentatore si comincia a formare uno strato di particelle compresse che formano una struttura di concentrazione decrescente dal basso verso l'alto. Sulla base dei dati ricavati da prove su colonne, la progettazione di un sedimentatore-ispessitore può essere effettuata nelle seguenti maniere: 5 1. FILTRAZIONE La filtrazione è un processo di chiarificazione che utilizza un letto profondo di un mezzo granulare quale la sabbia. Come trattamento terziario di acque reflue depurate può produrre filtrati contenenti meno di 5 mg/l di solidi sospesi. Se abbinato a processi di coagulazione in linea o di chiari-flocculazione e sedimentazione (a monte), può produrre acque filtrate con materie sospese difficilmente rilevabili attraverso misure turbidimetriche. Il processo avviene a spese di consumi energetici sempre maggiori per compensare le perdite di carico che aumentano con l'intasamento del filtro. Quando le stesse raggiungono il valore massimo, il mezzo filtrante deve essere pulito, di solito invertendo il flusso dell'acqua con l'aggiunta di aria o di getti di acqua ausiliari. Le velocità di filtrazione variano tra 5 - 15 m/h con tendenza a raggiungere il limite superiore. Le dimensioni del mezzo filtrante variano tra 0.4 - 2.5 mm, graduando lo stesso in più strati discreti (doppio o multistrato) o continuamente come avviene nei filtri Upflow. Lo spessore degli strati varia tra 0.6 - 1 m, eccetto che per i filtri upflow nei quali lo strato è considerevolmente maggiore. I filtri aperti a gravità operano in genere con una perdita di carico limite di 2,5 m, mentre i filtri a pressione sono progettati per pressione 2-3 volte maggiori. Il controlavaggio viene effettuato di norma ad una velocità sufficiente a fluidizzare il mezzo filtrante ed assicurare una sufficiente separazione tra i diversi strati filtranti. Le velocità di lavaggio possono raggiungere i 0.6 m/minuto in dipendenza del mezzo filtrante e della temperatura. L'aria può essere aggiunta a portate specifiche di 0.4 - 0.6 3 2 m /m min. Normalmente il volume dell'acqua usata nel controlavaggio è pari a 1-3% di quella filtrata. Un quantitativo > 5% viene considerato eccessivo. La durata dei cicli di filtrazione, nei processi di potabilizzazione, è superiore alle 24 ore fino anche alle 100 ore. Nella filtrazione di acque reflue vengono ritenuti accettabili cicli di 8-12 h e si cerca di non superare una giornata per prevenire la decomposizione anaerobica delle sostanze organiche trattenute dal filtro. Sotto le 8 ore, i volumi delle acque di controlavaggio diventano eccessivi. 6 1.1 Teoria del processo Le teorie sul processo di filtrazione partono dall'esame della natura chimico-fisica delle superfici dei grani del mezzo poroso, delle particelle sospese e del mezzo fluido e consentono di calcolare le forze interfacciali legate alla presenza di doppi strati elettrici e di natura molecolare, di prevedere la quantità di particelle che penetrano nel filtro e, in condizioni ideali (particelle sferiche, flussolaminare, grani sferici di uguale diametro), di fare previsioni sulla possibile cattura delle particelle da parte dei grani. Analogamente alcuni modelli matematici descrivono il processo di accumulo dei solidi sospesi negli spazi vuoti del filtro ed il conseguente aumento delle perdite di carico. Sia le equazioni teoriche che i modelli prevedono coefficienti, da determinare sperimentalmente, per tener conto degli inevitabili scostamenti dalle condizioni ideali. Sia le une che gli altri nonostante l'elevato grado di sofisticazione, non sono, quindi, applicabili senza l'ausilio di dati sperimentali. Pertanto non è possibile progettare un filtro conoscendo soltanto i parametri fisici delle particelle, dei granelli del mezzo poroso e del fluido. Pertanto le indagini sperimentali, sia a livello laboratorio che in scala pilota, rivestono la massima importanza. Il coefficiente del filtro è rappresentato dalla frazione di concentrazione di solidi sospesi trattenuta da uno strato unitario: ; C= concentrazione dei solidi sospesi (ppm) (vol/vol) = profondità La concentrazione dei solidi sospesi decresce esponenzialmente con la profondità. Il deposito specifico, cioè il volume di sostanze depositate per volume unitario del filtro, coincide con il quantitativo rimosso. Solidi sospesi rimossi = depositi accumulati 7 q = concentrazione di solidi nel filtro vf = velocità di filtrazione A causa dell'accumulo specifico del deposito, il coefficiente del filtro varia con un aumento iniziale e poi una diminuzione. Di conseguenza al procedere della filtrazione la concentrazione C nel filtrato varia, le perdite di carico aumentano, come riportato in Fig.1, con conseguente diminuzione della permeabilità. Per una filtrazione superficiale (che si verifica quando le caratteristiche del materiale trattenuto sono tali per cui questo non riesce a passare nel filtro) le perdite di carico aumentano più rapidamente che per una filtrazione profonda, in quanto le perdite si localizzano nello strato di materiale trattenuto al di sopra del filtro. Dalla stessa figura si può notare che esistono due possibili tempi limite per un'operazione di filtrazione: il primo legato alla concentrazione massima ammissibile delle sostanze da rimuovere nell'acqua filtrata ed il secondo con il raggiungimento della perdita di carico massima possibile. Il progetto ottimale è quello del raggiungimento simultaneo della concentrazione e della perdita di carico limite, come mostrato dalla Fig.2 : tc = th = topt Questo risultato generalmente viene raggiunto progettando filtri multistrato, a diversa granulometria, scegliendo opportunamente l'altezza degli strati e la loro granulometria. In genere i filtri a due strati sono vantaggiosi, ed i vantaggi economici si perdono totalmente dal 3° strato in poi. 1.1c Esempio applicativo (allegato a) 1.2 Problematiche nella progettazione e nell'esercizio Le principali problematiche in fase progettuale sono: 8 1) Caratteristiche dell'acqua grezza. 2) Selezione del tipo e granulometria del mezzo filtrante. 3) Altezza dello strato. 4) Velocità di filtrazione. 5) Velocità di controlavaggio e necessità dell'uso di aria. 6) Sistema di drenaggio. 7) Infrastrutture idrauliche e di controllo. 8) Struttura del filtro. In fase di esercizio, le principali variabili sono: 9) L'effetto del dosaggio di coagulanti e policlettriliti sulle prestazioni del filtro. 10) Possibilità di allungare il ciclo di filtrazione. 11) Possibilità di miglioramento della qualità del filtrato. 12) Possibilità di aumento della velocità di filtrazione. In genere i problemi di esercizio sono più semplici da risolvere rispetto a quelli progettuali per la possibilità di effettuare le opportune sperimentazioni sulle acque disponibili. In fase progettuale soltanto campioni di acqua grezza possono essere a disposizione. 1. Trasferimento di gas Il trasferimento di gas, processo mediante il quale un gas viene trasferito da una fase ad un'altra, ha influenza su molti altri processi di trattamento delle acque reflue. Ad esempio la disinfezione, spesso realizzata per addizione di cloro gassoso, la rimozione dell'azoto ammoniacale, ottenuta per strippaggio, etc. L'applicazione più comune del trasferimento di gas è però il trasferimento di ossigeno nel corso dei processi biologici aerobici. Il trasferimento delle grandi quantità di ossigeno necessari ai processi biologici aerobici, data la sua bassa solubilità e la conseguente bassa velocità di trasferimento, può avvenire soltanto aumentando notevolmente la superficie di contatto aria-acqua, introducendo bolle di aria di adeguate dimensioni di acqua o suddividendo l'acqua stessa in numerose gocce che ne aumentano la superficie di contatto con l'atmosfera. 9 Nella Tab.1 sono riportate le apparecchiature di aerazione maggiormente utilizzate nel trattamento delle acque reflue. 10 TAB. 1 Classificazione Descrizione Diffusori a bolle fini Le bolle sono generate con iniezione di aria attraverso diffusori porosi di ceramica, vetro o plastica posti sul fondo del reattore. Diffusori a bolle medie Il sistema, analogo al precedente, utilizza tubi ricoperti di stoffa o equivalenti. Diffusori a bolle larghe Il sistema, analogo al precedente, utilizza orifizi, iniettori, spruzzatori o campanelle. Eiettori Acqua ed aria vengono pompati in appositi eiettori. Turbine di fondo Turbine a bassa velocità poste sul fondo, disperdono l’aria compressa iniettata. Turbine di superficie Turbine di grande diametro formano gocce di acque che vengono così esposte all’atmosfera . Turbine galleggianti Funzione analoga alla precedente. Possono essere ad alta velocità e vengono normalmente usate nei lagunaggi aerati. Spazzole rotanti Formate da lame montate su rulli che servono anche alla circolazione dell’acqua in canali chiusi. L’azione è duplice: insufflazione dell’aria per effetto ventilante delle lame e formazione di gocce d’acqua. Nella Fig. 1 sono altresì riportate le apparecchiature descritte in Tab. 1. PROCESSI CHIMICI UNITARI I processi chimici unitari, utilizzati nel trattamento delle acque reflue, sono quelli che sfruttano reazioni chimiche, generalmente insieme ad operazioni fisiche e biologiche, per raggiungere gli obiettivi di qualità prefissati. Tali processi sono di tipo additivo in quanto si aggiungono alcune sostanze alle acque reflue per ottenere la rimozione di altre. Possono così verificarsi aumenti del contenuto di sostanze disciolte e ciò deve essere tenuto nel debito conto soprattutto nel caso di riutilizzo delle acque reflue trattate. Inoltre il costo dei reattivi chimici, sempre crescente, rende il costo di esercizio nei trattamenti chimici quasi sempre elevato. 11 1. Precipitazione chimica Tale processo richiede l'aggiunta di reattivi chimici capaci di alterare lo stato fisico di solidi sospesi o solubili allo scopo di permetterne la rimozione attraverso un processo di sedimentazione. In alcuni casi le sostanze rimosse rappresentano una limitata percentuale dei solidi precipitati, che sono costituiti essenzialmente dall'additivo chimico. I processi chimici, sviluppati inizialmente per la rimozione delle sostanze organiche sospese, sono stati estesi alla rimozione delle sostanze nutrienti (azoto e fosforo) e di metalli quali Cu, Zn, Fe, etc. 1.1 Precipitazione chimica del fosforo I fosfati possono essere chimicamente resi insolubili e precipitati tramite l'azione di ioni metallici multivalenti quali il Ca++, Al+++ e Fe+++, aggiunto alle acque reflue: a) 10 Ca2+ + 6PO3-4 + 2OH- Ca10(PO4)6(OH)2 idrossilapatite b) Al3++ Hn PO4 c) Fe3++ HnPO4 3-n 3-n AlPO4 + nH + FePO4 + nH + Il calcio viene generalmente aggiunto sotto forma di idrossido e reagendo con l'alcalinità dell'acqua provoca la precipitazione del carbonato di calcio: Ca(OH)2 + H2CO3 CaCO3 + 2H2O Ca(OH2) + Ca(HCO3)2 2CaCO3 + 2H2O Il calcio in eccesso reagisce con i fosfati secondo la reazione a) e pertanto il quantitativo di calce necessaria e quello del fango formatosi con la precipitazione dipende tanto dalla concentrazione dei bicarbonati e dell'acido carbonico che da quella dei fosfati. Nel caso di aggiunta di alluminio o ferro è necessaria, stechiometricamente, una mole di tali reattivi per ottenere la precipitazione di una mole di fosfato, ma in realtà il 12 loro dosaggio deve essere determinato sperimentalmente a causa delle reazioni collaterali, delle sostanze complessanti presenti, dell'alcalinità, del pH e della concentrazione di fosforo solubile residuo all'equilibrio. Il dosaggio effettivo non sarà mai inferiore a 1,5-2 volte il valore stechiometrico. 1.2. Precipitazione chimica dei metalli Gli idrossidi ed i solfuri di numerosi metalli hanno prodotti di solubilità molto bassi. Aggiungendo alle acque reflue delle basi (generalmente calce o soda) o idrogeno solforato si ottiene quindi la precipitazione degli idrossidi o solfuri eccedenti il prodotto di solubilità. Per quanto riguarda gli idrossidi occorre considerare che molti metalli hanno un comportamento anfotero. Ad esempio lo zinco al di sotto di pH 8 si comporta come catione dando quindi luogo alla formazione di Zn(OH)2, con una concentrazione decrescente in soluzione in relazione alla concentrazione dell'ossidrile (ione a comune) e quindi del pH; al di sopra di pH 8 forma l'anione (zincato) con aumento della solubilità in funzione del pH. La solubilità di un metallo generico con il pH è rappresentato dalla fig. 1 e quindi il pH ottimale corrispondente al minimo di solubilità varia in un campo molto ristretto. Occorre considerare che la formazione di complessi, ad esempio complessi cuproammoniacali nel caso della precipitazione del Rame, impediscono il raggiungimento dei bassi valori di concentrazione come richiesto dalla legge 319. Fig.1 Andamento della concentrazione dello Zn in funzione del pH. 13 1.3 Coagulazione e flocculazione Molte sostanze di natura sia organica che inorganica sono presenti nelle acque in sospensione colloidale. I colloidi possono essere idrofobici, con limitata attrazione per l'acqua, o idrofilici con elevata attrazione. La stabilità delle sospensione colloidali è direttamente correlata alla presenza di cariche superficiali sviluppatesi attraverso vari processi. Ad esempio, gocce d'olio, bolle di gas o sostanze chimiche inerti possono caricarsi negativamente attraverso l'assorbimento preferenziale di anioni (in modo particolare ossidrili). Sostanze proteiche o microrganismi acquisiscono cariche superficiali attraverso l'ionizzazione dei gruppi COO- carbossilici o amminici, con formazione di gruppi R bassi pH e R COO- + NH2 COOH NH2 ad elevato pH, R + NH3 a al punto isoelettrico (R rappresenta la matrice solida). Le argille sospese in acqua si caricano positivamente rimpiazzando ioni Si con con ioni Al. Quando la superficie di una particella si carica, alcuni ioni di segno opposto (contro-ioni) vengono attratti alla superficie attraverso forze elettrostatiche e/o di Van der Waals capaci di contrastare l'agitazione termica che favorisce la loro dispersione. Attorno alle cariche fisse si forma uno strato ionico denso ad un secondo diffuso dove prevalgono le forze di diffusione termica rispetto alle forze di attrazione elettrostatica (fig.5). Quando una particella carica, come quella rappresentata nella precedente figura viene sottoposta ad un campo elettrico in una soluzione elettrolica, sarà attratta da uno dei due elettrodi a seconda del segno della sua carica. Il valore del potenziale alla superficie inglobante lo stato ionico denso (nube ionica) viene chiamato potenziale zeta. Tale potenziale varia con la natura della soluzione pertanto non costituisce una misura ripetibile di valore assoluto. Per aggregare le particelle tra loro occorre ridurre le cariche elettriche superficiali o eliminarne gli effetti. Ciò può essere realizzato: - aggiungendo ioni capaci di determinare potenziali elettrici per ridurre le cariche superficiali dei colloidi, od elettroliti capaci di ridurre lo spessore dello strato diffuso e quindi il potenziale zeta. - aggiungendo polimeri organici a lunga catena (polielettroliti), capaci di adsorbire e legare i colloidi tra di loro formando aggregati di maggiori dimensioni. - aggiungendo reattivi chimici che formano ioni metallici idrolizzati. 14 Nella prima categoria rientrano acidi e basi forti che riducono quasi a zero la carica degli ossidi o idrossidi metallici. I polielettroliti rientranti nella seconda categoria sono di tipo naturale o sintentico. Tra i primi possono essere annoverati i polimeri di origine biologica e quelli derivati dall'amido e dalla cellulosa. I polimeri sintetici, costituito da macromolecole artificiali, si suddividono in anionici (carichi negativamente), cationici (carichi positivamente) e non ionici (neutri). I polielettroliti cationici sono chiamati coagulanti primari in quanto i colloidi naturali sono generalmente carichi negativamente. I polielettroliti anionici e neutri vengono utilizzati per formare ponti tra le varie particelle da cui vengono assorbiti nel processo di flocculazione. Tale effetto può essere ottenuto anche con polielettroliti cationici ad elevatissimo peso molecolare, capaci di ridurre le cariche superficiali e contemporaneamente legare le particelle colloidali in aggregati di maggiore dimensione (fiocchi). Nella terza categoria rientrano i sali di alluminio o di ferro. Il solfato di alluminio (allume), uno dei sali più usati, è un ottimo coagulante per acque contenenti quantitativi apprezzabili di sostanze organiche. I sali di ferro, quali il cloruro o il solfato ferrico, operano in un ampio campo di pH e sono più efficaci nella rimozione del colore. 1.3.1 Meccanismi di coagulazione dell'allume Quando i sali di alluminio si sciolgono nell'acqua , lo ione metallico Al3+ si idrata coordinando sei molecole d'acqua e formando uno ione Al(H2O6)3+ che, idrolizzandosi, dà luogo alla formazione di specie cariche, positivamente o negativamente, oppure neutre. In fig. 6 sono riassunti i meccanismi principali della coagulazione con l'allume. Nella fig. 7, sono riportate le aree specifiche nelle quali la coagulazione può avvenire secondo i diversi meccanismi precedentemente ipotizzati. L'area ottimale per la "sweep - coagulazione", corrisponde ai più alti valori di dosaggio dell'allume 20-60 mg/l e ad un pH 6,8-8,2. In tali condizioni si formano fiocchi rapidamente sedimentabili. A più bassi dosaggi, ed in campi più ristretti di pH, prevale il meccanismo di adsorbimento e destabilizzazione con formazione di coaguli, ma non di fiocchi facilmente sedimentabili. Tali condizioni operative sono ideali per il processo di filtrazione diretta in quanto l'obiettivo è quello di produrre fiocchi piccoli e densi (piuttosto che larghi o soffici) capaci di penetrare la superficie dei letti filtranti, ma non di fuoriuscire dagli stessi. I sali di ferro presentano un'azione analoga. 15 Occorre tenere ben presente che le sostanze organiche presenti nelle acque reflue trattate interferiscono con i processi di coagulazione rendendoli più complessi e difficilmente standardizzabili. I dosaggi ottimali vanno quindi determinati attraverso prove al jar-test che consentono di individuarli in funzione del parametro assunto quale riferimento (torbidità residua in p.p.m. di SiO2 o FTU). 1.3.2. Operazioni unitarie Come già visto precedentemente nei processi di coagulazione e flocculazione in soluzioni acquose sono ben individuabili due fasi successive che coinvolgono entrambe da destabilizzazione del colloide ed il trasporto delle particelle destabilizzate con conseguente collisione ed aggregazione delle stesse. Per la prima fase un'agitazione veloce della massa acquosa si rende necessaria per la dispersione del coagulante con la massima rapidità possibile. - Occorre assicurare nella massa del fluido gradienti di velocità dell'ordine di 300 s 1 , con tempi di contatto dai 15 ai 60 secondi. Il gradiente di velocità G, viene definito da Camp come: dove: W = funzione dissipativa della potenza specifica applicata m = viscosità assoluta del liquido. La seconda fase, la flocculazione, produce aggregati densi (fiocchi) che possono essere rimossi per semplice sedimentazione e/o per filtrazione. In tal caso il gradiente di -1 velocità deve scendere a valori di 30 s per evitare la rottura di fiocchi già formati. I valori ottimali Gt variano tra 25.000 - 30.000 con tempi di residenza dell'ordine di 30 minuti. 16 1. DISINFEZIONE La disinfezione è il processo di distruzione selettiva degli organismi patogeni e si differenzia dalla sterilizzazione che è diretta invece alla distruzione di tutti gli organismi. Nel settore dell'ingegneria sanitaria, grande interesse rivestono gli organismi enterici patogeni quali i batteri, i virus e le cisti che possono causare malattie quali il tifo, colera, paratifo e dissenterie. I virus in particolare sono responsabili della poliomelite e dell'epatite. La disinfezione si ottiene ricorrendo ad: - Agenti chimici quali il cloro e suoi composti, il bromo, lo iodio, l'ozono, il fenolo e suoi composti, l'alcool, metalli pesanti e loro composti, sapone e detergenti sintetici, composti dell'ammonio quaternario, l'acqua ossigenata e vari alcali o acidi. Nei processi di trattamento è importante che il disinfettante possa essere utilizzato con sicurezza e che la concentrazione residua sia misurabile. Per tali ragioni il disinfettante chimico più usato è l'ipoclorito, anche per il suo prezzo, ma un uso sempre maggiore viene fatto dall'ozono, più costoso ma di maggiore efficacia, anche se non può essere determinato nelle acque sterilizzate. - Agenti fisici quali la luce solare per l'azione germicida dei raggi ultravioletti ed il calore nei ben noti processi di pastorizzazione. Le radiazioni ultraviolette trovano ostacoli nella penetrazione dell'acqua da sterilizzare nei solidi sospesi molecole organiche disciolte e nell'acqua stessa e pertanto il loro utilizzo nella disinfezione delle acque reflue viene limitato da questi fattori. Sono noti i benefici effetti attribuibili ai raggi ultravioletti nei trattamenti di lagunaggio aerobico o nei bacini di maturazione. - Processi meccanici. Nella tab. 7.7 sono riportate le efficienze di rimozione dei batteri nei diversi processi di trattamento ivi compresi i processi meccanici. - Radiazioni, tipo i raggi Γ emessi da radio o isotopi come il cobalto 60. A causa del loro potere penetrante , i raggi Γ sono stati utilizzati sia per disinfettare le acque primarie che le acque reflue. 1.1 Meccanismi di disinfezione I meccanismi proposti per spiegare l'azione dei disinfettanti sono: - danneggiamento delle pareti cellulari - alterazione della permeabilità cellulare 17 - alterazione della natura colloidale del protoplasma - inibizione dell'attività enzimatica. Il danneggiamento o la distruzione delle pareti cellulari porta alla lisi cellulare e quindi alla morte. Alcuni agenti, come la penicillina, inibiscono la sintesi delle pareti cellulari. I composti fenolici ed i detergenti alterano la permeabilità delle membrane citoplasmatiche. Tali sostanze distruggono la permeabilità selettiva delle membrane e consentono agli elementi vitali, quali azoto e fosforo, di fuoriuscire. Il calore, le radiazioni, ambienti acidi o alcalini alterano la natura colloidale del protoplasma. Il calore fa coagulare le proteine delle cellule mentre gli acidi e le basi denaturano le stesse, producendo un effetto letale. Gli agenti ossidanti, come il cloro, riescono ad alterare la struttura chimica degli enzimi rendendoli inattivi. I fattori che influiscono nel processo di disinfezione sono: a) Il tempo di contatto. Per una data concentrazione di disinfettante si è osservato che la percentuale di distruzione dei microrganismi è funzione del tempo di contatto, come indicato dalla legge di Chick (1) dove Nt = numero di microrganismi al tempo t k = costante, tempo-1 se No è il numero dei microrganismi al tempo 0, l'equazione (1) può essere integrata diventando e quindi: Sperimentalmente è stato verificato che possono verificarsi aumenti o diminuzioni nel tempo nella distruzione batterica per cui è più corretto far riferimento ad una relazione di carettere più generale: 18 Se m<1,la velocità della disinfezione decresce con il tempo, per m>1 tale velocità aumenta con il tempo. b) La concentrazione ed il tipo del disinfettante. E' stato verificato sperimentalmente che, per ogni disinfettante, l'efficienza della disinfezione è correlabile alla sua concentrazione secondo la relazione n C tp = costante dove: C = concentrazione del disinfettante n = costante tp= tempo necessario a raggiungere una determinata percentuale di distruzione. Se n è > 1il tempo di contatto è più importante del dosaggio, se n = 1 i loro effetti si equivalgono. c) Intensità e natura dell'agente fisico. E' stato verificato che l'azione disinfettante del calore e della luce è funzione della loro intensità. Da essa dipende il valore della costante di velocità k nella relazione: d) Effetto della temperatura. Tale effetto sulla velocità di abbattimento dei microrganismi può essere rappresentato dall'equazione di Van't Hoff-Arrhenius. L'aumento di temperatura fa accrescere la velocità di disinfezione secondo la relazione: dove: t1,t2 = tempo per raggiungere una prefissata percentuale di distruzione alle temperature T1 eT2 (esprese in °K); E = energia di attivazione J/mole (cal/mole) R = costante dei gas = 8.314 J/mole °K (1,99 cal/mole °K) L'efficienza dei processi di disinfezione risente inoltre della concentrazione iniziale dei microrganismi della loro natura e condizione. Ad esempio i microrganismi vivi sono uccisi più facilmente delle loro spore. Anche la natura della soluzione esercita una 19 notevole influenza. Ad esempio le sostanze organiche presenti reagiscono con gli ossidanti usati quali disinfettanti riducendone l'efficienza. La torbidità riduce l'efficienza dei disinfettanti per assorbimento o proteggendo i batteri incapsulati all'interno delle particelle sospese. 2. Disinfezione con cloro Tale disinfettante è sicuramente il più utilizzato in tutto il mondo sotto forma di cloro gas (Cl2), di ipoclorito di calcio [Ca(OCl)2], di ipoclorito di sodio (NaOCl) e biossido di cloro (ClO2). Il cloro gas viene sempre più spesso sostituito dall'ipoclorito di sodio o di calcio, anche negli impianti di maggiore dimensione, soprattutto per ragioni di sicurezza data la sua notevole tossicità. Il biossido di cloro viene utilizzato maggiormente nella disinfezione delle acque potabili, soprattutto per il fatto che non dà luogo a formazione di cloro ammine. La proprietà del cloro, che lo rende unico tra gli altri disinfettanti, è quella di mantenere una capacità residua di disinfezione nel tempo. Per tale motivo, nei sistemi di accumulo e distribuzione delle acque, quando si usa altro composto, quale l'ozono come disinfettante principale, è invalso l'uso di aggiungere del cloro per assicurare una potenzialità residua di disinfezione nei periodi di accumulo e distribuzione delle acque. 2.1 Proprietà chimiche delle soluzioni acquose del cloro Quando il cloro-gas viene sciolto in acqua, si idrolizza molto rapidamente secondo la reazione Cl2 + H2O HOCl + H+ + Cl- (1) La costante di idrolisi è: Il valore della costante a 15°C è pari a 2,81x10-4. 20 In acque naturali contenenti alcalinità la concentrazione di H+ decresce e pertanto l'idrolisi è consistentemente maggiore. Di conseguenza il Cl2 esercita un ruolo minore nelle reazioni di disinfezione alle concentrazioni normalmente usate. L'acido ipocloroso, il prodotto ossidante che si forma dall'idrolisi del Cl2, è un acido debole, che si ionizza secondo la reazione: HOCl H+ + OCl- (2) La costante di ionizzazione è: (3) (4) Nella tabella 1 sono riportati i valori del KA e pKA in funzione della temperatura (Morris pag. 35). Utilizzando anzichè Cl2 gas, soluzioni al 5-15% di NaOCl o Ca(OCl)2, si dà luogo alla formazione dello ione ipoclorito OCl- che reagisce inversamente rispetto alla solubilizzazione del Cl2, sempre secondo la reazione (2) ed (1), portando alla formazione delle stesse miscele di sostanze ionizzate. L'unica differenza è che il Cl2 gas disciogliendosi dà luogo alla formazione di H+, con tendenza ad abbassare il pH, mentre l'ipoclorito utilizza l'H+ reagendo fino a raggiungere l'equilibrio ed il pH tende così ad innalzarsi. Nei normali dosaggi di cloro < 10 mg/l, l'effetto tampone dei bicarbonati presenti nell'acqua è tale da rendere insignificanti le variazioni di pH. L'equazione (4) mostra che la distribuzione tra l'HOCl indissociato e lo ione ipoclorito OCl- è funzione del pH del mezzo acquoso. Allorché pKA = pH, le concentrazioni del HOCl e OCl- sono uguali. Per pH < pKA predomina l'HOCl. La fig. 11 mostra la distribuzione dell'acido ipocloroso e dell'ipoclorito a 20° C. La quantità di HOCl e di OCl- presenti nell'acqua è chiamato "cloro libero disponibile". 21 La variabilità della ionizzazione dell'acido ipocloroso con il pH nel campo 6-8,5 corrispondenti ai valori riscontrabili in diversi sistemi acquosi naturali, riveste una grande importanza soprattutto per il fatto che la reattività chimica ed il potere disinfettante delle soluzioni acquose di cloro, sono dovute principalmente alla forma non ionizzata HOCl, che ha un potenziale germicida 40-80 volte maggiore dell'OCl- . 2.2 Formazione di cloroammine: la reazione al punto di rottura La reazione dell'HOCl con l'ammoniaca avviene nella maniera seguente: NH3 + HOCl NH2Cl + H2O Il prodotto della reazione, monocloroammina, mantiene l'iniziale capacità ossidante dell'HOCl, ma il potere ossidante è considerevolmente inferiore, ivi compresa l'attività germicida. Poiché le cloroammine o altri composti N-cloro ossidano il reattivo utilizzato per la determinazione del cloro residuo, sono stati messi a punto opportuni metodi analitici per differenziare il cloro-residuo libero da quello combinato. Ulteriori reazioni delle cloroammine in presenza di cloro residuo danno luogo alla formazione di dicloroammine o infine azoto tricloruro HOCl + NH2Cl NHCl2 + H2 O HOCl + NHCl2 NCl3 + H2O L'azoto tricloruro è un composto indesiderato e la sua formazione, nel trattamento delle acque, deve essere evitata perché ha diverse caratteristiche negative. Conferisce infatti cattivi sapori ed odori all'acqua, è un forte irritante agli occhi, possiede proprietà tossiche a livello neurologico. Le dicloroammine sono composti instabili poiché in soluzione neutra o alcaline si decompongono secondo la reazione 2NHCl2 + H2 O N2 + 3H+ + 3Cl- + HOCl attraverso la quale l'azoto ammoniacale viene ossidato ad azoto gas. Questa reazione è quella che controlla il processo della "clorazione al punto di rottura". 22 Aggiungendo dosi crescenti di cloro a vari campioni di una stessa soluzione acquosa, avente pH 6-8,5 e concentrazione fissa di azoto ammoniacale, e determinando il cloro residuo dopo qualche ora di reazione, si ottengono valori simili a quelli riportati in fig. 12. Fino a che la concentrazione molare del cloro aggiunto è inferiore a quello dell'ammoniaca presente, il cloro residuo sotto forma combinata è pressoché uguale a quello aggiunto, (tratto AB). Successivamente ha inizio l'ossidazione delle cloro ammine e il cloro residuo combinato scende rapidamente fino a che si raggiunge un rapporto molare rispetto all'ammoniaca presente pari a 1,6 (tratto BC). In C, chiamato punto di rottura (break point), tutta l'ammoniaca è scomparsa essendo stata principalmente - ossidata ad N2 con una piccola frazione di NO3 . Per concentrazioni di cloro aggiunto superiori a quella del punto di rottura, l'eccesso di cloro è tutto sotto forma di cloro residuo libero (tratto CD). 2.3 Reazione con composti organici Quando l'HOCl reagisce con i composti organici, sia l'ossigeno che il cloro possono servire come centri di azione elettrofilica. L'attacco con l'ossigeno porta alla formazione di cloro-ioni con molecole organiche ossidate. L'attacco con il solo cloro può portare inizialmente alla formazione di composti organici clorurati che successivamente possono idrolizzarsi per dar luogo a cloro-ioni. In ogni caso il legame cloro-carbonio non possiede alcuna ulteriore capacità ossidante. Ciò significa che la reazione del cloro con la sostanza organica, in assenza di sostanze inorganiche riducenti, porta a ridurre la capacità ossidante totale del cloro. Questa riduzione viene chiamata "domanda di cloro" (domanda di Cl) = (Cl aggiunto) - (Cl residuo) Normalmente l’80-90% del cloro aggiunto reagisce per formare Cl- e il 10-20% forma composti organici clorurati. Su tali reazioni una notevole influenza viene esercitata dalla formazione delle cloroammine che, ancorché capaci di ossidare lo iodio e gli ioduri, sono ossidanti meno energici dell'HOCl ed incapaci di reagire con NO - e 2 Br-. Le cloroammine esercitano quindi una minore "domanda di cloro" rispetto a HOCl, e quindi non hanno la capacità di formare composti organici clorurati quali il cloroformio. 23 E' chiaro ormai che esistono una varietà di strutture molecolari che possono dar luogo alla formazione di composti organici clorurati reagendo con il cloro. Trattasi di composti organici parzialmente ossidati, che presentano doppi legami, composti aromatici, o gruppi ossidrilici, carbonilici, amminici o similari. Trattamenti preossidativi, di qualsiasi genere, possono favorire la formazione di composti organici clorurati. Tutte le reazioni di formazione di composti organici clorurati consistono in un attacco elettrofilico dell'HOCl su un carbonio attivo, che comportano una "domanda di cloro" con una riduzione della sua attività germicida. Tali reazioni dipendono fortemente dalla temperatura ed il pH (fig. 6.2). Nella potabilizzazione delle acque superficiali, gli acidi fulvici ed unici costituiscono in genere l'85-95% delle sostanze organiche presenti, provenendo dalla decomposizione delle sostanze organiche quali fogliame, etc. Sono state trovate correlazioni con il TOC non volatile come mostrato nella fig. (successiva) 6 ÷ 12% di CHCl3 /NVTOC che corrisponde a 06 ÷ 1.2% di C convertito in CHCl3. In America il limite massimo del cloroformio è stato fissato in 100 µg/l. I composti organici azotati come le ammine, gli aminoacidi danno luogo a speciali reazioni con il cloro. Il primo passo è la sostituzione di un legame idrogeno in un atomo d'idrogeno R1R2CHNH2 + HOCl R1R2CHNHCl + H2O Successivamente attraverso reazioni di idrolisi e deidro clorazione, il cloruro tende ad attaccarsi al carbonio dando luogo alla formazione di cloruri e composti organici clorurati. Così i composti organici azotati delle sostanze organiche naturali possono costituire una delle principali fonti per la formazione di composti organici clorurati. 2.4 Trattamento di disinfezione delle acque di approvvigionamento o di rifiuto con cloro (clorazione) La ragione primaria per l'uso del cloro nel trattamento delle acque potabili o reflue deriva dalla sua elevata potenzialità germicida, che gli permette di uccidere tutti i tipi di germi patogeni per produrre acqua igienicamente pura, a dosaggi capaci di soddisfare la "domanda di cloro" e mantenere un contenuto di cloro residuo di almeno 0,2 mg/l. L'equazione fondamentale per il processo di clorazione, è in termini più generali, 24 dove: No = concentrazione iniziale di microrganismi di un dato tipo Nt = concentrazione ancora viva al tempo t K = costante che esprime alta potenzialità germicida. C = concentrazione di cloro l'esponente n può essere assunto unitario in molti casi. Per acque urbane sottoposte ad un trattamento primario, in cui sia stato assicurato l'intimo contatto con il cloro mediante idonea agitazione, può essere utilizzata la relazione di Collins dove : Ct = concentrazione residua amperometrica di cloro al tempo t. Il comitato acque potabili, della NAS-USA, consiglia di confrontare il potere germicida di vari agenti disinfettanti sulla base del prodotto Ct99, dove t è il tempo in minuti che occorre per l'uccisione del 99% degli organismi alla concentrazione C in mg/l. L'equazione (1) diventa: da cui avendo assunto n = 1. Più piccoli sono i valori e maggiore è il potere germicida. La tabella seguente presenta una lista dei valori Ct99 per i composti acquosi del cloro, le cloroammine e disinfettanti alternativi nei confronti dei principali agenti patogeni. 25 Il parametro Ct99 può essere anche interpretato come la concentrazione che assicurerà il 99% di distruzione in 1 minuto. Poiché la maggior parte degli impianti di trattamento prevede una vasca di contatto di almeno 30 minuti per il processo di disinfezione, le concentrazioni sono maggiori, di almeno un fattore 10, di quelle necessarie. I valori tabellari mostrano che soltanto HOCl, O3 e ClO2 sono sufficientemente potenti contro tutti i principali germi patogeni. Le specie OCl- e NH2Cl sono troppo deboli, particolarmente nei confronti degli agenti virali, mentre risultano efficaci per mantenere una piccola capacità germicida residua nei sistemi di distribuzione delle acque potabili. La fig. 15 mostra le concentrazioni germicide in funzione del t99 per l'HOCl e OClnei confronti di E.coli, la fig. 16 mostra il diverso potenziale germicida dei vari composti del cloro sempre nei confronti di E.coli a 15° C. Il fatto che le cloroammine non reagiscono per formare cloroformio o altri composti organici clorurati, ha portato ad una pratica dei processi di clorazione nella quale il cloro liquido viene usato come disinfettante primario per circa 1h, aggiungendo poi ammoniaca per formare cloroammine per mantenere una potenzialità germicida nei sistemi di distribuzione impedendo nel contempo la formazione degli aloformi ed altri composti organici clorurati, con una riduzione significativa nella concentrazione degli stessi composti. 2.5 Altre applicazioni della clorazione Il cloro è un attivo biocida non solo verso i germi patogeni, ma contro tutti i microrganismi quali ad esempio i batteri saprofiti, batteri produttori di depositi, alghe e funghi, etc. che possono formarsi sulle superfici di scambio o nelle vasche di trattamento delle acque, causando disfunzioni. Dosaggi anche discontinui, di alcuni p.p.m. di cloro vengono effettuati per mantenere pulite le condotte di adduzione, soprattutto di acqua marina. La preclorazione a volte viene fatta fino al punto di rottura prima dei trattamenti di potabilizzazione per proteggere, con la presenza del cloro libero, tutte le apparecchiature di trattamento contro la crescita di microrganismi dannosi. La postclorazione serve, oltre che per motivi igienici, anche per evitare formazione di cattivi odori o di microrganismi filamentosi capaci di ostruire le apparecchiature di distribuzione. Si è potuto osservare che le cloramine non sono sufficienti allo scopo, 26 soprattutto nei confronti degli organismi filamentosi che possono intrappolare e far sopravvivere germi patogeni. La clorazione al punto di rottura, soprattutto come preclorazione, è stata utilizzata per ridurre la formazione di odori derivanti della secrezione di molte specie di alghe o dalla degradazione di sostanze vegetali, attraverso l'ossidazione di tali sostanze. Occorre ricordare che le cloroammine non sono efficaci per tali applicazioni mentre la pratica della preclorazione può dar luogo alla produzione di aloformi e cloroderivati. Un'altra sorgente di cattivi sapori ed odori è costituita dalle sostanze fenoliche derivanti da decomposizioni vegetali o inquinamento industriale in quanto i clorofenoli e diclorofenoli formatisi nella prima fase della clorazione, sono percettibili a concentrazioni dell'ordine di 1 µg/l. La clorazione in eccesso, al punto di rottura, ossida ulteriormente tali composti per dar luogo a prodotti non emananti cattivi odori. Le cloroammine non sono in grado di eliminare tali odori. La clorazione può essere utilizzata per rompere i complessi tra acidi umici e fulvici con il Fe e Mn, migliorando nel contempo la rimozione per coagulazione di tali sostanze che tra l'altro colorano l'acqua. Il processo di preclorazione può in definitiva permettere di ridurre il dosaggio di coagulanti con miglioramento della rimozione di colore ed aumento di chiarezza dell'acqua filtrata. 2.6 Conclusioni Come visto in precedenza, la clorazione oltre che per la disinfezione delle acque, può essere utilizzato come ossidante in aiuto al processo di coagulazione, per controllare odore, sapore e colore dell'acqua trattata. Inoltre può essere usata per prevenire crescite biologiche indesiderate nelle apparecchiature di trattamento e nei sistemi di distribuzione. Molte di queste funzioni comunque richiedono la presenza di cloro residuo libero piuttosto che cloroammine. La "domanda di cloro" che causa in genere il consumo della maggior parte del cloro aggiunto, discende in gran parte dalle sostanze organiche e dal colore presenti nelle acque grezze. In aggiunta, la reazione al punto di rottura consuma all'incirca 10 parti di cloro per ciascuna parte di azoto presente. Molte acque naturali colorate e contenenti sostanze organiche, contengono anche sostanze azotate. In tal caso i dosaggi di cloro a volte arrivano fino a 10-20 mg/l con pericoli di formazione di aloformi e sostanze organiche clorurate. Per tale ragione attualmente il punto di immissione del 27 cloro tende a spostarsi sempre più avanti nei processi di potabilizzazione, tenendo presente che la coagulazione in genere permette di rimuovere il 50-60% delle sostanze organiche clorurate con conseguente riduzione del potenziale di formazione degli alometani. Lo spostamento a valle dell'iniezione del cloro fa perdere così alcuni vantaggi connessi con la pratica della preclorazione, rendendo necessario un maggior uso di coagulanti. La formazione di cloroammine, con aggiunta di ammoniaca, consente di ridurre la produzione di alometani ma non protegge sufficientemente i sistemi di distribuzione dalla formazione di batteri filamentosi. Comunque tutta la pratica della clorazione deve ora essere vista tenendo presente i limiti sulla concentrazione degli aloformi e del recente limite guida di 30 µg/l, raccomandati dal WHO tenendo altresì conto di tutti gli altri cloroderivati formati nelle acque. Tutte queste considerazioni sono valide per le acque potabili. Per le acque reflue occorre tener conto che la presenza di ammoniaca tende a formare le cloroammine con minor efficacia germicida. Occorre così cercare di ridurre il più possibile, con sistemi fisici, quali coagulazione e filtrazione, la concentrazione di microrganismi prima della disinfezione. 4. Disinfezione con ozono La riduzione dei costi di produzione dell'ozono rende possibile tale trattamento di disinfezione oltre che per le acque potabili, anche per le acque reflue soprattutto per il maggior potenziale virucida rispetto al cloro. L'ozono può essere anche usato nel trattamento delle acque reflue per la rimozione delle sostanze organiche solubili biorefrattarie, al posto dell'adsorbimento su carboni attivi. Viene prodotto attraverso scariche elettriche in una miscela gassosa contenente ossigeno, direttamente nell'impianto di trattamento essendo un gas instabile. Quando l'ozono viene aggiunto all'acqua, si trasforma rapidamente in ossigeno 203 302 senza lasciare residui persistenti da rimuovere, ma non assicurando capacità disinfettanti residue. Non dà luogo a formazione di solidi disciolti e non reagisce con azoto ammoniacale. Pertanto l'ozono è molto utile come preossidante o disinfettante primario, nel controllo di sapori, odori e colore. E' un ossidante selettivo agendo soprattutto sui doppi legami e permette riduzioni del TOC del solo 10-15%. Sono state evidenziate aumenti della mitogenicità di composti intermedi prodotti dall'ozonizzazione, soprattutto alcune forme epossidiche. 28 5. Disinfezione con ClO2 Il potenziale germicida è molto simile a quella dell'HOCl, ma non è influenzato dal pH della soluzione. E' un prodotto instabile allo stato prodotto puro. Deve essere quindi preparato sul posto. Le soluzioni acquose sono stabili. E' molto utile come ossidante essendo un buon reattivo per controllo di odori e sapori e nell'ossidazione dei fenoli. Non dà luogo alla formazione di cloro derivati. Preoccupazioni sanitarie derivano dalla - interazione del ClO2 o il ClO 2, con l'emoglobina del sangue, che danno luogo all'insorgere del morbo blu. Tale azione è simile a quella dei nitrati ( riduzione della capacità di assunzione dell'ossigeno da parte del sangue). 29
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