trattamenti chimico-fisici delle acque

"TRATTAMENTI CHIMICO-FISICI DELLE ACQUE"
1 - SEDIMENTAZIONE
La sedimentazione è il processo di separazione dall'acqua, per decantazione
gravitazionale, di particelle sospese più pesanti della stessa. E' di gran lunga
l'operazione unitaria, nel trattamento delle acque reflue o di approvigionamento,
maggiormente utilizzata per rimuovere ad esempio sabbia, solidi sedimentabili, fanghi
biologici o fiocchi di sostanze colloidali coagulate ed anche per ispessire fanghi di
supero. In molti casi l'obiettivo primario di ogni processo di sedimentazione è quello di
chiarificare le acque, ma obiettivo non secondario è contemporaneamente quello di
ottenere fanghi di spurgo a concentrazione tale da permettere un minor costo di
smaltimento.
In Tab 1 sono indicati i diversi fenomeni che possono insorgere nella decantazione
di particelle in sospensione, in dipendenza della loro concentrazione e tendenza ad
interagire. Tali fenomeni spesso coesistono ad altezze diverse di uno stesso
sedimentatore.
Tab.1 Descrizione delle differenti modalità di sedimentazione
Tipologia di
Applicazione
decantazione o
Descrizione
insorgenza
Sedimentazione di solidi in
sospensione a bassa concentrazione.
1. A particelle separate
Rimozione di pietrisco e sabbia
Le particelle decantano
individualmente senza interagire tra di
loro
Per la rimozione di parte dei solidi
2. Con flocculazione
Sedimentazione di particelle in
sospesi in acque grezze e nella parte
sospensione diluite che interagendo
superiore dei decantatori secondari nei
tra di loro, coagulano e flocculano,
processi a fanghi attivi
aumentando così massa e la velocità
di sedimentazione
1
3. Ostacolata o a zona
Quando le particelle, a concentrazione
Tale fenomeno si manifesta nei
maggiore della precedente,
sedimentatori a fanghi attivi in una zona
interagendo tra di loro si ostacolano
intermedia degli stessi
vicendevolmente. In tal caso restano in
posizione fissa tra di loro e scendono
insieme. Si forma un'interfaccia solidoliquido
4. Per compressione
Quando, raggiunta una certa
Tale fenomeno si manifesta sul fondo
concentrazione, le particelle formano
dei sedimentatori o negli ispessitori
degli aggregati. L'ulteriore
dei fanghi per gravità
decantazione può avvenire soltanto
per compressione delle strutture
sottoposte al peso di altre particelle
che si vanno sovrapponendo
Qui di seguito verranno esaminati separatamente le diverse tipologie di
sedimentazione.
1.1. Sedimentazione a particelle separate
La decantazione di particelle separate, non
flocculabili può essere analizzata
ricorrendo alle classiche leggi formulate da Newton e Stokes. La legge di Newton
permette di ricavare la velocità terminale di una particella uguagliando la forza
gravitazionale a quella d'attrito.
La forza di gravità è data da:
2
(kg m/s )
dove:
ds= densità della particella;
3
(kg/m )
3
d = densità del mezzo;
(kg/m )
g = accelerazione di gravità;
(m/s )
V = volume della particella.
(m )
2
3
La forza d'attrito è data da:
2
Fa =
1
(C D ⋅ A ⋅ d ⋅ v 2 )
2
2
(kg m/s )
dove:
CD= coefficiente d'attrito (adimensionale);
A= area della sezione di particella perpendicolare alla velocità; (m2)
v = velocità della particella;
(m/s)
Per particelle sferiche, la classica legge di Newton risulta:
Vc =
8 g ⋅ (d S − d ) ⋅ r
3
CD ⋅ d
dove:
Vc= velocità terminale della particella;
d = raggio della particella;
(m)
Il valore di CD varia in funzione del numero di Reynolds e della forma delle
particelle. Per particelle sferiche può essere ricavato, in prima approssimazione dalla
formula:
CD =
24
+
NR
3
NR
+ 0.34
dove :
NR = numero di Reynolds =
V 2 rD
µ
Per NR ≤ 0,3 il primo termine della precedente equazione predomina e così, in
questo caso, la legge di Newton viene semplificata nella così detta legge di Stockes
.
3
La progettazione di un bacino di sedimentazione viene fatta sciogliendo una
particella con velocità terminale Vc in modo tale che tutte le particelle a velocità V
siano rimosse.
Vc
La velocità ascensionale nel bacino sarà quindi fissata pari a:
VC =
Q
A
dove:
Q = portata;
(m3/d)
A = sezione;
(m2)
Vc= velocità ascensionale o carico superficiale; (m2/m2·d)
Per decantazione di particelle separate, il carico superficiale è indipendente
dall'altezza del bacino di sedimentazione. Quest'ultima è correlata al tempo di
permanenza.
2. Sedimentazione con flocculazione
Le particelle sospese in soluzioni relativamente diluite a volte non si comportano
come entità separate,
ma possono coagulare durante la sedimentazione e quindi
flocculare. Si ha così un aumento della loro massa e quindi della velocità di
decantazione.
L’entità della flocculazione dipende dalle opportunità di contatto tra le particelle e
quindi dalla velocità di risalita dell'acqua, dalla profondità del bacino, dai gradienti di
velocità nel sistema, dalla concentrazione delle particelle e dalle loro dimensioni.
Questi effetti possono essere valutati soltanto sperimentalmente. Le esperienze in
genere vengono condotte utilizzando colonne
di sedimentazione con diametro
opportuno ed altezza uguale a quella del bacino proposto. Risultati soddisfacenti si
ottengono usando colonne del diametro di 150 mm ed altezza di 3 m dotate di prese
campioni ogni 0.6m.
La sospensione da esaminare viene introdotta in maniera da assicurare una
distribuzione uniforme per tutta l'altezza, ed occorre evitare con cura la formazione di
correnti convettive dovute a variazioni di temperatura durante la sperimentazione. Ad
4
intervalli di tempo regolari, vengono effettuate misure di solidi sospesi su campioni
prelevati attraverso le apposite prese. Possono essere tracciate delle curve di uguale
rimozione percentuale in funzione dell'altezza e del tempo.
Tali diagrammi sono utilizzabili per ricavare la rimozione totale dei solidi in
funzione dell'altezza del sedimentatore e del tempo di residenza idraulica. Nel
passaggio a sistemi continui, il tempo di residenza idraulico di norma viene aumentato
di un fattore da 1.25÷1.5
3. Sedimentazione ostacolata o a zone
I fenomeni che avvengono quando la concentrazione dei solidi sospesi,
inizialmente uniforme, tende ad aumentare nelle zone inferiori di un sedimentatore,
sono mostrati dalla Fig.2. In tale zona, chiamata zona di sedimentazione ostacolata, il
liquido tende a muoversi verso l'alto tra gli interstizi delle particelle a contatto le quali
tendono a scendere in blocco, come una zona ed uniformemente, mantenendo, quindi,
le stesse distanze di loro.
Si forma così una netta superficie di demarcazione tra l'acqua chiarificata ed il
fango. La variazione dell'altezza di questa superficie rispetto al tempo è la velocità di
sedimentazione nella zona "ostacolata" e dipende dalla concentrazione delle particelle
e dalla loro natura.
4. Sedimentazione per compressione.
Mano a mano che la sedimentazione continua, sul fondo del sedimentatore si
comincia a formare uno strato di particelle compresse che formano una struttura di
concentrazione decrescente dal basso verso l'alto.
Sulla base dei dati ricavati da prove su colonne, la progettazione di un
sedimentatore-ispessitore può essere effettuata nelle seguenti maniere:
5
1. FILTRAZIONE
La filtrazione è un processo di chiarificazione che utilizza un letto profondo di un
mezzo granulare quale la sabbia.
Come trattamento terziario di acque reflue depurate può produrre filtrati contenenti
meno di 5 mg/l di solidi sospesi.
Se abbinato a processi di coagulazione in linea o di chiari-flocculazione e
sedimentazione (a monte), può produrre acque filtrate con materie sospese difficilmente
rilevabili attraverso misure turbidimetriche. Il processo avviene a spese di consumi
energetici sempre maggiori per compensare le perdite di carico che aumentano con
l'intasamento del filtro.
Quando le stesse raggiungono il valore massimo, il mezzo filtrante deve essere
pulito, di solito invertendo il flusso dell'acqua con l'aggiunta di aria o di getti di acqua
ausiliari.
Le velocità di filtrazione variano tra 5 - 15 m/h con tendenza a raggiungere il limite
superiore. Le dimensioni del mezzo filtrante variano tra 0.4 - 2.5 mm, graduando lo
stesso in più strati discreti (doppio o multistrato) o continuamente come avviene nei filtri
Upflow. Lo spessore degli strati varia tra 0.6 - 1 m, eccetto che per i filtri upflow nei quali
lo strato è considerevolmente maggiore.
I filtri aperti a gravità operano in genere con una perdita di carico limite di 2,5 m,
mentre i filtri a pressione sono progettati per pressione 2-3 volte maggiori. Il
controlavaggio viene effettuato di norma ad una velocità sufficiente a fluidizzare il
mezzo filtrante ed assicurare una sufficiente separazione tra i diversi strati filtranti. Le
velocità di lavaggio possono raggiungere i 0.6 m/minuto in dipendenza del mezzo
filtrante e della temperatura. L'aria può essere aggiunta a portate specifiche di 0.4 - 0.6
3
2
m /m min.
Normalmente il volume dell'acqua usata nel controlavaggio è pari a 1-3% di quella
filtrata. Un quantitativo > 5% viene considerato eccessivo.
La durata dei cicli di filtrazione, nei processi di potabilizzazione, è superiore alle 24
ore fino anche alle 100 ore.
Nella filtrazione di acque reflue vengono ritenuti accettabili cicli di 8-12 h e si cerca
di non superare una giornata per prevenire la decomposizione anaerobica delle
sostanze organiche trattenute dal filtro. Sotto le 8 ore, i volumi delle acque di
controlavaggio diventano eccessivi.
6
1.1 Teoria del processo
Le teorie sul processo di filtrazione partono dall'esame della natura chimico-fisica
delle superfici dei grani del mezzo poroso, delle particelle sospese e del mezzo fluido e
consentono di calcolare le forze interfacciali legate alla presenza di doppi strati elettrici
e di natura molecolare, di prevedere la quantità di particelle che penetrano nel filtro e, in
condizioni ideali (particelle sferiche, flussolaminare, grani sferici di uguale diametro), di
fare previsioni sulla possibile cattura delle particelle da parte dei grani. Analogamente
alcuni modelli matematici descrivono il processo di accumulo dei solidi sospesi negli
spazi vuoti del filtro ed il conseguente aumento delle perdite di carico. Sia le equazioni
teoriche che i modelli prevedono coefficienti, da determinare sperimentalmente, per
tener conto degli inevitabili scostamenti dalle condizioni ideali. Sia le une che gli altri
nonostante l'elevato grado di sofisticazione, non sono, quindi, applicabili senza l'ausilio
di dati sperimentali. Pertanto non è possibile progettare un filtro conoscendo soltanto i
parametri fisici delle particelle, dei granelli del mezzo poroso e del fluido. Pertanto le
indagini sperimentali, sia a livello laboratorio che in scala pilota, rivestono la massima
importanza.
Il coefficiente del filtro è rappresentato dalla frazione di concentrazione di solidi
sospesi trattenuta da uno strato unitario:
;
C= concentrazione dei solidi sospesi (ppm) (vol/vol)
= profondità
La concentrazione dei solidi sospesi decresce esponenzialmente con la
profondità.
Il deposito specifico, cioè il volume di sostanze depositate per volume unitario del
filtro, coincide con il quantitativo rimosso.
Solidi sospesi rimossi = depositi accumulati
7
q = concentrazione di solidi nel filtro
vf = velocità di filtrazione
A causa dell'accumulo specifico del deposito, il coefficiente del filtro varia con un
aumento iniziale e poi una diminuzione. Di conseguenza al procedere della filtrazione la
concentrazione C nel filtrato varia, le perdite di carico aumentano, come riportato in
Fig.1, con conseguente diminuzione della permeabilità.
Per una filtrazione superficiale (che si verifica quando le caratteristiche del
materiale trattenuto sono tali per cui questo non riesce a passare nel filtro) le perdite di
carico aumentano più rapidamente che per una filtrazione profonda, in quanto le perdite
si localizzano nello strato di materiale trattenuto al di sopra del filtro.
Dalla stessa figura si può notare che esistono due possibili tempi limite per
un'operazione di filtrazione: il primo legato alla concentrazione massima ammissibile
delle sostanze da rimuovere nell'acqua filtrata ed il secondo con il raggiungimento della
perdita di carico massima possibile. Il progetto ottimale è quello del raggiungimento
simultaneo della concentrazione e della perdita di carico limite, come mostrato dalla
Fig.2 :
tc = th = topt
Questo risultato generalmente viene raggiunto progettando filtri multistrato, a
diversa granulometria, scegliendo opportunamente l'altezza degli strati e la loro
granulometria. In genere i filtri a due strati sono vantaggiosi, ed i vantaggi economici si
perdono totalmente dal 3° strato in poi.
1.1c Esempio applicativo (allegato a)
1.2 Problematiche nella progettazione e nell'esercizio
Le principali problematiche in fase progettuale sono:
8
1) Caratteristiche dell'acqua grezza.
2) Selezione del tipo e granulometria del mezzo filtrante.
3) Altezza dello strato.
4) Velocità di filtrazione.
5) Velocità di controlavaggio e necessità dell'uso di aria.
6) Sistema di drenaggio.
7) Infrastrutture idrauliche e di controllo.
8) Struttura del filtro.
In fase di esercizio, le principali variabili sono:
9) L'effetto del dosaggio di coagulanti e policlettriliti sulle prestazioni del filtro.
10) Possibilità di allungare il ciclo di filtrazione.
11) Possibilità di miglioramento della qualità del filtrato.
12) Possibilità di aumento della velocità di filtrazione.
In genere i problemi di esercizio sono più semplici da risolvere rispetto a quelli
progettuali per la possibilità di effettuare le opportune sperimentazioni sulle acque
disponibili.
In fase progettuale soltanto campioni di acqua grezza possono essere a
disposizione.
1. Trasferimento di gas
Il trasferimento di gas, processo mediante il quale un gas viene trasferito da una
fase ad un'altra, ha influenza su molti altri processi di trattamento delle acque reflue. Ad
esempio la disinfezione, spesso realizzata per addizione di cloro gassoso, la rimozione
dell'azoto ammoniacale, ottenuta per strippaggio, etc. L'applicazione più comune del
trasferimento di gas è però il trasferimento di ossigeno nel corso dei processi biologici
aerobici.
Il trasferimento delle grandi quantità di ossigeno necessari ai processi biologici
aerobici, data la sua bassa solubilità e la conseguente bassa velocità di trasferimento,
può avvenire soltanto aumentando notevolmente la superficie di contatto aria-acqua,
introducendo bolle di aria di adeguate dimensioni di acqua o suddividendo l'acqua
stessa in numerose gocce che ne aumentano la superficie di contatto con l'atmosfera.
9
Nella Tab.1 sono riportate le apparecchiature di aerazione maggiormente utilizzate nel
trattamento delle acque reflue.
10
TAB. 1
Classificazione
Descrizione
Diffusori a bolle fini
Le bolle sono generate con iniezione di aria attraverso diffusori porosi di
ceramica, vetro o plastica posti sul fondo del reattore.
Diffusori a bolle medie
Il sistema, analogo al precedente, utilizza tubi ricoperti di stoffa o
equivalenti.
Diffusori a bolle larghe
Il sistema, analogo al precedente, utilizza orifizi, iniettori, spruzzatori o
campanelle.
Eiettori
Acqua ed aria vengono pompati in appositi eiettori.
Turbine di fondo
Turbine a bassa velocità poste sul fondo, disperdono l’aria compressa
iniettata.
Turbine di superficie
Turbine di grande diametro formano gocce di acque che vengono così
esposte all’atmosfera
.
Turbine galleggianti
Funzione analoga alla precedente. Possono essere ad alta velocità e
vengono normalmente usate nei lagunaggi aerati.
Spazzole rotanti
Formate da lame montate su rulli che servono anche alla circolazione
dell’acqua in canali chiusi. L’azione è duplice: insufflazione dell’aria per
effetto ventilante delle lame e formazione di gocce d’acqua.
Nella Fig. 1 sono altresì riportate le apparecchiature descritte in Tab. 1.
PROCESSI CHIMICI UNITARI
I processi chimici unitari, utilizzati nel trattamento delle acque reflue, sono quelli
che sfruttano reazioni chimiche, generalmente insieme ad operazioni fisiche e
biologiche, per raggiungere gli obiettivi di qualità prefissati. Tali processi sono di tipo
additivo in quanto si aggiungono alcune sostanze alle acque reflue per ottenere la
rimozione di altre. Possono così verificarsi aumenti del contenuto di sostanze disciolte e
ciò deve essere tenuto nel debito conto soprattutto nel caso di riutilizzo delle acque
reflue trattate. Inoltre il costo dei reattivi chimici, sempre crescente, rende il costo di
esercizio nei trattamenti chimici quasi sempre elevato.
11
1. Precipitazione chimica
Tale processo richiede l'aggiunta di reattivi chimici capaci di alterare lo stato fisico
di solidi sospesi o solubili allo scopo di permetterne la rimozione attraverso un processo
di sedimentazione. In alcuni casi le sostanze rimosse rappresentano una limitata
percentuale dei solidi precipitati, che sono costituiti essenzialmente dall'additivo
chimico. I processi chimici, sviluppati inizialmente per la rimozione delle sostanze
organiche sospese, sono stati estesi alla rimozione delle sostanze nutrienti (azoto e
fosforo) e di metalli quali Cu, Zn, Fe, etc.
1.1 Precipitazione chimica del fosforo
I fosfati possono essere chimicamente resi insolubili e precipitati tramite l'azione di
ioni metallici multivalenti quali il Ca++, Al+++ e Fe+++, aggiunto alle acque reflue:
a) 10 Ca2+ + 6PO3-4 + 2OH-
Ca10(PO4)6(OH)2
idrossilapatite
b) Al3++ Hn PO4
c) Fe3++ HnPO4
3-n
3-n
AlPO4 + nH
+
FePO4 + nH
+
Il calcio viene generalmente aggiunto sotto forma di idrossido e reagendo con
l'alcalinità dell'acqua provoca la precipitazione del carbonato di calcio:
Ca(OH)2 + H2CO3
CaCO3 + 2H2O
Ca(OH2) + Ca(HCO3)2
2CaCO3 + 2H2O
Il calcio in eccesso reagisce con i fosfati secondo la reazione a) e pertanto il
quantitativo di calce necessaria e quello del fango formatosi con la precipitazione
dipende tanto dalla concentrazione dei bicarbonati e dell'acido carbonico che da quella
dei fosfati.
Nel caso di aggiunta di alluminio o ferro è necessaria, stechiometricamente, una
mole di tali reattivi per ottenere la precipitazione di una mole di fosfato, ma in realtà il
12
loro dosaggio deve essere determinato sperimentalmente a causa delle reazioni
collaterali, delle sostanze complessanti presenti, dell'alcalinità, del pH e della
concentrazione di fosforo solubile residuo all'equilibrio. Il dosaggio effettivo non sarà
mai inferiore a 1,5-2 volte il valore stechiometrico.
1.2. Precipitazione chimica dei metalli
Gli idrossidi ed i solfuri di numerosi metalli hanno prodotti di solubilità molto bassi.
Aggiungendo alle acque reflue delle basi (generalmente calce o soda) o idrogeno
solforato si ottiene quindi la precipitazione degli idrossidi o solfuri eccedenti il prodotto di
solubilità. Per quanto riguarda gli idrossidi occorre considerare che molti metalli hanno
un comportamento anfotero. Ad esempio lo zinco al di sotto di pH 8 si comporta come
catione dando quindi luogo alla formazione di Zn(OH)2, con una concentrazione
decrescente in soluzione in relazione alla concentrazione dell'ossidrile (ione a comune)
e quindi del pH; al di sopra di pH 8 forma l'anione
(zincato) con aumento della
solubilità in funzione del pH.
La solubilità di un metallo generico con il pH è rappresentato dalla fig. 1 e quindi il
pH ottimale corrispondente al minimo di solubilità varia in un campo molto ristretto.
Occorre considerare che la formazione di complessi, ad esempio complessi
cuproammoniacali
nel
caso
della
precipitazione
del
Rame,
impediscono
il
raggiungimento dei bassi valori di concentrazione come richiesto dalla legge 319.
Fig.1 Andamento della concentrazione dello Zn in funzione del pH.
13
1.3 Coagulazione e flocculazione
Molte sostanze di natura sia organica che inorganica sono presenti nelle acque in
sospensione colloidale. I colloidi possono essere idrofobici, con limitata attrazione per
l'acqua, o idrofilici con elevata attrazione.
La stabilità delle sospensione colloidali è direttamente correlata alla presenza di
cariche superficiali sviluppatesi attraverso vari processi. Ad esempio, gocce d'olio, bolle
di gas o sostanze chimiche inerti possono caricarsi negativamente attraverso
l'assorbimento preferenziale di anioni (in modo particolare ossidrili). Sostanze proteiche
o microrganismi acquisiscono cariche superficiali attraverso l'ionizzazione dei gruppi
COO-
carbossilici o amminici, con formazione di gruppi R
bassi pH e R
COO-
+
NH2
COOH
NH2
ad elevato pH, R
+
NH3
a
al punto isoelettrico (R rappresenta la matrice solida).
Le argille sospese in acqua si caricano positivamente rimpiazzando ioni Si con
con ioni Al.
Quando la superficie di una particella si carica, alcuni ioni di segno opposto
(contro-ioni) vengono attratti alla superficie attraverso forze elettrostatiche e/o di Van
der Waals capaci di contrastare l'agitazione termica che favorisce la loro dispersione.
Attorno alle cariche fisse si forma uno strato ionico denso ad un secondo diffuso
dove prevalgono le forze di diffusione termica rispetto alle forze di attrazione
elettrostatica (fig.5). Quando una particella carica, come quella rappresentata nella
precedente figura viene sottoposta ad un campo elettrico in una soluzione elettrolica,
sarà attratta da uno dei due elettrodi a seconda del segno della sua carica. Il valore del
potenziale alla superficie inglobante lo stato ionico denso (nube ionica) viene chiamato
potenziale zeta. Tale potenziale varia con la natura della soluzione pertanto non
costituisce una misura ripetibile di valore assoluto.
Per aggregare le particelle tra loro occorre ridurre le cariche elettriche superficiali
o eliminarne gli effetti. Ciò può essere realizzato:
- aggiungendo ioni capaci di determinare potenziali elettrici per ridurre le cariche
superficiali dei colloidi, od elettroliti capaci di ridurre lo spessore dello strato diffuso e
quindi il potenziale zeta.
- aggiungendo polimeri organici a lunga catena (polielettroliti), capaci di adsorbire e
legare i colloidi tra di loro formando aggregati di maggiori dimensioni.
- aggiungendo reattivi chimici che formano ioni metallici idrolizzati.
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Nella prima categoria rientrano acidi e basi forti che riducono quasi a zero la
carica degli ossidi o idrossidi metallici. I polielettroliti rientranti nella seconda categoria
sono di tipo naturale o sintentico. Tra i primi possono essere annoverati i polimeri di
origine biologica e quelli derivati dall'amido e dalla cellulosa. I polimeri sintetici,
costituito da macromolecole artificiali, si suddividono in anionici (carichi negativamente),
cationici (carichi positivamente) e non ionici (neutri).
I polielettroliti cationici sono chiamati coagulanti primari in quanto i colloidi naturali
sono generalmente carichi negativamente. I polielettroliti anionici e neutri vengono
utilizzati per formare ponti tra le varie particelle da cui vengono assorbiti nel processo di
flocculazione. Tale effetto può essere ottenuto anche con polielettroliti cationici ad
elevatissimo
peso
molecolare,
capaci
di
ridurre
le
cariche
superficiali
e
contemporaneamente legare le particelle colloidali in aggregati di maggiore dimensione
(fiocchi).
Nella terza categoria rientrano i sali di alluminio o di ferro. Il solfato di alluminio
(allume), uno dei sali più usati, è un ottimo coagulante per acque contenenti quantitativi
apprezzabili di sostanze organiche. I sali di ferro, quali il cloruro o il solfato ferrico,
operano in un ampio campo di pH e sono più efficaci nella rimozione del colore.
1.3.1 Meccanismi di coagulazione dell'allume
Quando i sali di alluminio si sciolgono nell'acqua , lo ione metallico Al3+ si idrata
coordinando sei molecole d'acqua e formando uno ione Al(H2O6)3+ che, idrolizzandosi,
dà luogo alla formazione di specie cariche, positivamente o negativamente, oppure
neutre. In fig. 6 sono riassunti i meccanismi principali della coagulazione con l'allume.
Nella fig. 7, sono riportate le aree specifiche nelle quali la coagulazione può
avvenire secondo i diversi meccanismi precedentemente ipotizzati. L'area ottimale per
la "sweep - coagulazione", corrisponde ai più alti valori di dosaggio dell'allume 20-60
mg/l e ad un pH 6,8-8,2. In tali condizioni si formano fiocchi rapidamente sedimentabili.
A più bassi dosaggi, ed in campi più ristretti di pH, prevale il meccanismo di
adsorbimento e destabilizzazione con formazione di coaguli, ma non di fiocchi
facilmente sedimentabili. Tali condizioni operative sono ideali per il processo di
filtrazione diretta in quanto l'obiettivo è quello di produrre fiocchi piccoli e densi
(piuttosto che larghi o soffici) capaci di penetrare la superficie dei letti filtranti, ma non di
fuoriuscire dagli stessi. I sali di ferro presentano un'azione analoga.
15
Occorre tenere ben presente che le sostanze organiche presenti nelle acque
reflue trattate interferiscono con i processi di coagulazione rendendoli più complessi e
difficilmente standardizzabili. I dosaggi ottimali vanno quindi determinati attraverso
prove al jar-test che consentono di individuarli in funzione del parametro assunto quale
riferimento (torbidità residua in p.p.m. di SiO2 o FTU).
1.3.2. Operazioni unitarie
Come già visto precedentemente nei processi di coagulazione e flocculazione in
soluzioni acquose sono ben individuabili due fasi successive che coinvolgono entrambe
da destabilizzazione del colloide ed il trasporto delle particelle destabilizzate con
conseguente collisione ed aggregazione delle stesse.
Per la prima fase un'agitazione veloce della massa acquosa si rende necessaria
per la dispersione del coagulante con la massima rapidità possibile.
-
Occorre assicurare nella massa del fluido gradienti di velocità dell'ordine di 300 s
1
, con tempi di contatto dai 15 ai 60 secondi.
Il gradiente di velocità G, viene definito da Camp come:
dove:
W = funzione dissipativa della potenza specifica applicata
m = viscosità assoluta del liquido.
La seconda fase, la flocculazione, produce aggregati densi (fiocchi) che possono
essere rimossi per semplice sedimentazione e/o per filtrazione. In tal caso il gradiente di
-1
velocità deve scendere a valori di 30 s per evitare la rottura di fiocchi già formati.
I valori ottimali Gt variano tra 25.000 - 30.000 con tempi di residenza dell'ordine di
30 minuti.
16
1. DISINFEZIONE
La disinfezione è il processo di distruzione selettiva degli organismi patogeni e si
differenzia dalla sterilizzazione che è diretta invece alla distruzione di tutti gli organismi.
Nel settore dell'ingegneria sanitaria, grande interesse rivestono gli organismi enterici
patogeni quali i batteri, i virus e le cisti che possono causare malattie quali il tifo, colera,
paratifo e dissenterie. I virus in particolare sono responsabili della poliomelite e
dell'epatite.
La disinfezione si ottiene ricorrendo ad:
- Agenti chimici quali il cloro e suoi composti, il bromo, lo iodio, l'ozono, il fenolo e
suoi composti, l'alcool, metalli pesanti e loro composti, sapone e detergenti sintetici,
composti dell'ammonio quaternario, l'acqua ossigenata e vari alcali o acidi. Nei processi
di trattamento è importante che il disinfettante possa essere utilizzato con sicurezza e
che la concentrazione residua sia misurabile.
Per tali ragioni il disinfettante chimico più usato è l'ipoclorito, anche per il suo
prezzo, ma un uso sempre maggiore viene fatto dall'ozono, più costoso ma di maggiore
efficacia, anche se non può essere determinato nelle acque sterilizzate.
- Agenti fisici quali la luce solare per l'azione germicida dei raggi ultravioletti ed il
calore nei ben noti processi di pastorizzazione. Le radiazioni ultraviolette trovano
ostacoli nella penetrazione dell'acqua da sterilizzare nei solidi sospesi molecole
organiche disciolte e nell'acqua stessa e pertanto il loro utilizzo nella disinfezione delle
acque reflue viene limitato da questi fattori. Sono noti i benefici effetti attribuibili ai raggi
ultravioletti nei trattamenti di lagunaggio aerobico o nei bacini di maturazione.
- Processi meccanici. Nella tab. 7.7 sono riportate le efficienze di rimozione dei
batteri nei diversi processi di trattamento ivi compresi i processi meccanici.
- Radiazioni, tipo i raggi Γ emessi da radio o isotopi come il cobalto 60. A causa
del loro potere penetrante , i raggi Γ sono stati utilizzati sia per disinfettare le acque
primarie che le acque reflue.
1.1 Meccanismi di disinfezione
I meccanismi proposti per spiegare l'azione dei disinfettanti sono:
- danneggiamento delle pareti cellulari
- alterazione della permeabilità cellulare
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- alterazione della natura colloidale del protoplasma
- inibizione dell'attività enzimatica.
Il danneggiamento o la distruzione delle pareti cellulari porta alla lisi cellulare e
quindi alla morte. Alcuni agenti, come la penicillina, inibiscono la sintesi delle pareti
cellulari. I composti fenolici ed i detergenti alterano la permeabilità delle membrane
citoplasmatiche. Tali sostanze distruggono la permeabilità selettiva delle membrane e
consentono agli elementi vitali, quali azoto e fosforo, di fuoriuscire.
Il calore, le radiazioni, ambienti acidi o alcalini alterano la natura colloidale del
protoplasma. Il calore fa coagulare le proteine delle cellule mentre gli acidi e le basi
denaturano le stesse, producendo un effetto letale.
Gli agenti ossidanti, come il cloro, riescono ad alterare la struttura chimica degli
enzimi rendendoli inattivi.
I fattori che influiscono nel processo di disinfezione sono:
a) Il tempo di contatto. Per una data concentrazione di disinfettante si è osservato
che la percentuale di distruzione dei microrganismi è funzione del tempo di contatto,
come indicato dalla legge di Chick
(1)
dove
Nt = numero di microrganismi al tempo t
k = costante, tempo-1
se No è il numero dei microrganismi al tempo 0, l'equazione (1) può essere integrata
diventando
e quindi:
Sperimentalmente è stato verificato che possono verificarsi aumenti o diminuzioni
nel tempo nella distruzione batterica per cui è più corretto far riferimento ad una
relazione di carettere più generale:
18
Se m<1,la velocità della disinfezione decresce con il tempo, per m>1 tale velocità
aumenta con il tempo.
b)
La
concentrazione
ed
il
tipo
del
disinfettante.
E'
stato
verificato
sperimentalmente che, per ogni disinfettante, l'efficienza della disinfezione è correlabile
alla sua concentrazione secondo la relazione
n
C tp = costante
dove:
C = concentrazione del disinfettante
n = costante
tp= tempo necessario a raggiungere una determinata percentuale di distruzione.
Se n è > 1il tempo di contatto è più importante del dosaggio, se n = 1 i loro effetti
si equivalgono.
c) Intensità e natura dell'agente fisico. E' stato verificato che l'azione disinfettante
del calore e della luce è funzione della loro intensità. Da essa dipende il valore della
costante di velocità k nella relazione:
d) Effetto della temperatura. Tale effetto sulla velocità di abbattimento dei
microrganismi può essere rappresentato dall'equazione di Van't Hoff-Arrhenius.
L'aumento di temperatura fa accrescere la velocità di disinfezione secondo la relazione:
dove:
t1,t2 = tempo per raggiungere una prefissata percentuale di distruzione alle
temperature T1 eT2 (esprese in °K);
E = energia di attivazione J/mole (cal/mole)
R = costante dei gas = 8.314 J/mole °K (1,99 cal/mole °K)
L'efficienza dei processi di disinfezione risente inoltre della concentrazione iniziale
dei microrganismi della loro natura e condizione. Ad esempio i microrganismi vivi sono
uccisi più facilmente delle loro spore. Anche la natura della soluzione esercita una
19
notevole influenza. Ad esempio le sostanze organiche presenti reagiscono con gli
ossidanti usati quali disinfettanti riducendone l'efficienza. La torbidità riduce l'efficienza
dei disinfettanti per assorbimento o proteggendo i batteri incapsulati all'interno delle
particelle sospese.
2. Disinfezione con cloro
Tale disinfettante è sicuramente il più utilizzato in tutto il mondo sotto forma di
cloro gas (Cl2), di ipoclorito di calcio [Ca(OCl)2], di ipoclorito di sodio (NaOCl) e biossido
di cloro (ClO2).
Il cloro gas viene sempre più spesso sostituito dall'ipoclorito di sodio o di calcio,
anche negli impianti di maggiore dimensione, soprattutto per ragioni di sicurezza data la
sua notevole tossicità. Il biossido di
cloro viene utilizzato maggiormente nella
disinfezione delle acque potabili, soprattutto per il fatto che non dà luogo a formazione
di cloro ammine.
La proprietà del cloro, che lo rende unico tra gli altri disinfettanti, è quella di
mantenere una capacità residua di disinfezione nel tempo. Per tale motivo, nei sistemi
di accumulo e distribuzione delle acque, quando si usa altro composto, quale l'ozono
come disinfettante principale, è invalso l'uso di aggiungere del cloro per assicurare una
potenzialità residua di disinfezione nei periodi di accumulo e distribuzione delle acque.
2.1 Proprietà chimiche delle soluzioni acquose del cloro
Quando il cloro-gas viene sciolto in acqua, si idrolizza molto rapidamente secondo
la reazione
Cl2 + H2O
HOCl + H+ + Cl-
(1)
La costante di idrolisi è:
Il valore della costante a 15°C è pari a 2,81x10-4.
20
In acque naturali contenenti alcalinità la concentrazione di H+ decresce e pertanto
l'idrolisi è consistentemente maggiore. Di conseguenza il Cl2 esercita un ruolo minore
nelle reazioni di disinfezione alle concentrazioni normalmente usate. L'acido ipocloroso,
il prodotto ossidante che si forma dall'idrolisi del Cl2, è un acido debole, che si ionizza
secondo la reazione:
HOCl
H+ + OCl-
(2)
La costante di ionizzazione è:
(3)
(4)
Nella tabella 1 sono riportati i valori del KA e pKA in funzione della temperatura
(Morris pag. 35).
Utilizzando anzichè Cl2 gas, soluzioni al 5-15% di NaOCl o Ca(OCl)2, si dà luogo
alla formazione dello ione ipoclorito OCl- che reagisce inversamente rispetto alla
solubilizzazione del Cl2, sempre secondo la reazione (2) ed (1), portando alla
formazione delle stesse miscele di sostanze ionizzate.
L'unica differenza è che il Cl2 gas disciogliendosi dà luogo alla formazione di H+,
con tendenza ad abbassare il pH, mentre l'ipoclorito utilizza l'H+ reagendo fino a
raggiungere l'equilibrio ed il pH tende così ad innalzarsi. Nei normali dosaggi di cloro <
10 mg/l, l'effetto tampone dei bicarbonati presenti nell'acqua è tale da rendere
insignificanti le variazioni di pH.
L'equazione (4) mostra che la distribuzione tra l'HOCl indissociato e lo ione
ipoclorito OCl- è funzione del pH del mezzo acquoso.
Allorché pKA = pH, le concentrazioni del HOCl e OCl- sono uguali.
Per pH < pKA predomina l'HOCl. La fig. 11 mostra la distribuzione dell'acido
ipocloroso e dell'ipoclorito a 20° C. La quantità di HOCl e di OCl- presenti nell'acqua è
chiamato "cloro libero disponibile".
21
La variabilità della ionizzazione dell'acido ipocloroso con il pH nel campo 6-8,5
corrispondenti ai valori riscontrabili in diversi sistemi acquosi naturali, riveste una
grande importanza soprattutto per il fatto che la reattività chimica ed il potere
disinfettante delle soluzioni acquose di cloro, sono dovute principalmente alla forma non
ionizzata HOCl, che ha un potenziale germicida 40-80 volte maggiore dell'OCl- .
2.2 Formazione di cloroammine: la reazione al punto di rottura
La reazione dell'HOCl con l'ammoniaca avviene nella maniera seguente:
NH3 + HOCl
NH2Cl + H2O
Il prodotto della reazione, monocloroammina, mantiene l'iniziale capacità
ossidante dell'HOCl, ma il potere ossidante è considerevolmente inferiore, ivi compresa
l'attività germicida.
Poiché le cloroammine o altri composti N-cloro ossidano il reattivo utilizzato per la
determinazione del cloro residuo, sono stati messi a punto opportuni metodi analitici per
differenziare il cloro-residuo libero da quello combinato.
Ulteriori reazioni delle cloroammine in presenza di cloro residuo danno luogo alla
formazione di dicloroammine o infine azoto tricloruro
HOCl + NH2Cl
NHCl2 + H2 O
HOCl + NHCl2
NCl3 + H2O
L'azoto tricloruro è un composto indesiderato e la sua formazione, nel trattamento
delle acque, deve essere evitata perché ha diverse caratteristiche negative. Conferisce
infatti cattivi sapori ed odori all'acqua, è un forte irritante agli occhi, possiede proprietà
tossiche a livello neurologico.
Le dicloroammine sono composti instabili poiché in soluzione neutra o alcaline si
decompongono secondo la reazione
2NHCl2 + H2 O
N2 + 3H+ + 3Cl- + HOCl
attraverso la quale l'azoto ammoniacale viene ossidato ad azoto gas. Questa
reazione è quella che controlla il processo della "clorazione al punto di rottura".
22
Aggiungendo dosi crescenti di cloro a vari campioni di una stessa soluzione
acquosa, avente pH 6-8,5 e concentrazione fissa di azoto ammoniacale, e
determinando il cloro residuo dopo qualche ora di reazione, si ottengono valori simili a
quelli riportati in fig. 12.
Fino a che la concentrazione molare del cloro aggiunto è inferiore a quello
dell'ammoniaca presente, il cloro residuo sotto forma combinata è pressoché uguale a
quello aggiunto, (tratto AB). Successivamente ha inizio l'ossidazione delle cloro ammine
e il cloro residuo combinato scende rapidamente fino a che si raggiunge un rapporto
molare rispetto all'ammoniaca presente pari a
1,6 (tratto BC). In C, chiamato punto di
rottura (break point), tutta l'ammoniaca è scomparsa essendo stata principalmente
-
ossidata ad N2 con una piccola frazione di NO3 . Per concentrazioni di cloro aggiunto
superiori a quella del punto di rottura, l'eccesso di cloro è tutto sotto forma di cloro
residuo libero (tratto CD).
2.3 Reazione con composti organici
Quando l'HOCl reagisce con i composti organici, sia l'ossigeno che il cloro
possono servire come centri di azione elettrofilica. L'attacco con l'ossigeno porta alla
formazione di cloro-ioni con molecole organiche ossidate. L'attacco con il solo cloro può
portare inizialmente alla formazione di composti organici clorurati che successivamente
possono idrolizzarsi per dar luogo a cloro-ioni. In ogni caso il legame cloro-carbonio non
possiede alcuna ulteriore capacità ossidante. Ciò significa che la reazione del cloro con
la sostanza organica, in assenza di sostanze inorganiche riducenti, porta a ridurre la
capacità ossidante totale del cloro. Questa riduzione viene chiamata "domanda di cloro"
(domanda di Cl) = (Cl aggiunto) - (Cl residuo)
Normalmente l’80-90% del cloro aggiunto reagisce per formare Cl- e il 10-20%
forma composti organici clorurati. Su tali reazioni una notevole influenza viene
esercitata dalla formazione delle cloroammine che, ancorché capaci di ossidare lo iodio
e gli ioduri, sono ossidanti meno energici dell'HOCl ed incapaci di reagire con NO - e
2
Br-.
Le cloroammine esercitano quindi una minore "domanda di cloro" rispetto a HOCl, e
quindi non hanno la capacità di formare composti organici clorurati quali il cloroformio.
23
E' chiaro ormai che esistono una varietà di strutture molecolari che possono dar luogo
alla formazione di composti organici clorurati reagendo con il cloro.
Trattasi di composti organici parzialmente ossidati, che presentano doppi legami,
composti aromatici, o gruppi ossidrilici, carbonilici, amminici o similari. Trattamenti
preossidativi, di qualsiasi genere, possono favorire la formazione di composti organici
clorurati. Tutte le reazioni di formazione di composti organici clorurati consistono in un
attacco elettrofilico dell'HOCl su un carbonio attivo, che comportano una "domanda di
cloro" con una riduzione della sua attività germicida. Tali reazioni dipendono fortemente
dalla temperatura ed il pH (fig. 6.2).
Nella potabilizzazione delle acque superficiali, gli acidi fulvici ed unici costituiscono
in
genere
l'85-95%
delle
sostanze
organiche
presenti,
provenendo
dalla
decomposizione delle sostanze organiche quali fogliame, etc. Sono state trovate
correlazioni con il TOC non volatile come mostrato nella fig. (successiva) 6 ÷ 12% di
CHCl3 /NVTOC che corrisponde a 06 ÷ 1.2% di C convertito in CHCl3.
In America il limite massimo del cloroformio è stato fissato in 100 µg/l.
I composti organici azotati come le ammine, gli aminoacidi danno luogo a speciali
reazioni con il cloro. Il primo passo è la sostituzione di un legame idrogeno in un atomo
d'idrogeno
R1R2CHNH2 + HOCl
R1R2CHNHCl + H2O
Successivamente attraverso reazioni di idrolisi e deidro clorazione, il cloruro tende
ad attaccarsi al carbonio dando luogo alla formazione di cloruri e composti organici
clorurati. Così i composti organici azotati delle sostanze organiche naturali possono
costituire una delle principali fonti per la formazione di composti organici clorurati.
2.4 Trattamento di disinfezione delle acque di approvvigionamento o di
rifiuto con cloro (clorazione)
La ragione primaria per l'uso del cloro nel trattamento delle acque potabili o reflue
deriva dalla sua elevata potenzialità germicida, che gli permette di uccidere tutti i tipi di
germi patogeni per produrre acqua igienicamente pura, a dosaggi capaci di soddisfare
la "domanda di cloro" e mantenere un contenuto di cloro residuo di almeno 0,2 mg/l.
L'equazione fondamentale per il processo di clorazione, è in termini più generali,
24
dove:
No = concentrazione iniziale di microrganismi di un dato tipo
Nt = concentrazione ancora viva al tempo t
K = costante che esprime alta potenzialità germicida.
C = concentrazione di cloro
l'esponente n può essere assunto unitario in molti casi.
Per acque urbane sottoposte ad un trattamento primario, in cui sia stato assicurato
l'intimo contatto con il cloro mediante idonea agitazione, può essere utilizzata la
relazione di Collins
dove :
Ct = concentrazione residua amperometrica di cloro al tempo t.
Il comitato acque potabili, della NAS-USA, consiglia di confrontare il potere
germicida di vari agenti disinfettanti sulla base del prodotto Ct99, dove t è il tempo in
minuti che occorre per l'uccisione del 99% degli organismi alla concentrazione C in
mg/l.
L'equazione (1) diventa:
da cui
avendo assunto n = 1.
Più piccoli sono i valori e maggiore è il potere germicida. La tabella seguente
presenta una lista dei valori Ct99 per i composti acquosi del cloro, le cloroammine e
disinfettanti alternativi nei confronti dei principali agenti patogeni.
25
Il parametro Ct99 può essere anche interpretato come la concentrazione che
assicurerà il 99% di distruzione in 1 minuto. Poiché la maggior parte degli impianti di
trattamento prevede una vasca di contatto di almeno 30 minuti per il processo di
disinfezione, le concentrazioni sono maggiori, di almeno un fattore 10, di quelle
necessarie. I valori tabellari mostrano che soltanto HOCl, O3
e ClO2 sono
sufficientemente potenti contro tutti i principali germi patogeni. Le specie OCl- e NH2Cl
sono troppo deboli, particolarmente nei confronti degli agenti virali, mentre risultano
efficaci per mantenere una piccola capacità germicida residua nei sistemi di
distribuzione delle acque potabili.
La fig. 15 mostra le concentrazioni germicide in funzione del t99 per l'HOCl e OClnei confronti di E.coli, la fig. 16 mostra il diverso potenziale germicida dei vari composti
del cloro sempre nei confronti di E.coli a 15° C.
Il fatto che le cloroammine non reagiscono per formare cloroformio o altri composti
organici clorurati, ha portato ad una pratica dei processi di clorazione nella quale il cloro
liquido viene usato come disinfettante primario per circa 1h, aggiungendo poi
ammoniaca per formare cloroammine per mantenere una potenzialità germicida nei
sistemi di distribuzione impedendo nel contempo la formazione degli aloformi ed altri
composti organici clorurati, con una riduzione significativa nella concentrazione degli
stessi composti.
2.5 Altre applicazioni della clorazione
Il cloro è un attivo biocida non solo verso i germi patogeni, ma contro tutti i
microrganismi quali ad esempio i batteri saprofiti, batteri produttori di depositi, alghe e
funghi, etc. che possono formarsi sulle superfici di scambio o nelle vasche di
trattamento delle acque, causando disfunzioni. Dosaggi anche discontinui, di alcuni
p.p.m. di cloro vengono effettuati per mantenere pulite le condotte di adduzione,
soprattutto di acqua marina.
La preclorazione a volte viene fatta fino al punto di rottura prima dei trattamenti di
potabilizzazione per proteggere, con la presenza del cloro libero, tutte le
apparecchiature di trattamento contro la crescita di microrganismi dannosi. La
postclorazione serve, oltre che per motivi igienici, anche per evitare formazione di cattivi
odori o di microrganismi filamentosi capaci di ostruire le apparecchiature di
distribuzione. Si è potuto osservare che le cloramine non sono sufficienti allo scopo,
26
soprattutto nei confronti degli organismi filamentosi che possono intrappolare e far
sopravvivere germi patogeni.
La clorazione al punto di rottura, soprattutto come preclorazione, è stata utilizzata
per ridurre la formazione di odori derivanti della secrezione di molte specie di alghe o
dalla degradazione di sostanze vegetali, attraverso l'ossidazione di tali sostanze.
Occorre ricordare che le cloroammine non sono efficaci per tali applicazioni
mentre la pratica della preclorazione può dar luogo alla produzione di aloformi e
cloroderivati.
Un'altra sorgente di cattivi sapori ed odori è costituita dalle sostanze fenoliche
derivanti da decomposizioni vegetali o inquinamento industriale in quanto i clorofenoli e
diclorofenoli
formatisi
nella
prima
fase
della
clorazione,
sono
percettibili
a
concentrazioni dell'ordine di 1 µg/l. La clorazione in eccesso, al punto di rottura, ossida
ulteriormente tali composti per dar luogo a prodotti non emananti cattivi odori. Le
cloroammine non sono in grado di eliminare tali odori.
La clorazione può essere utilizzata per rompere i complessi tra acidi umici e fulvici
con il Fe e Mn, migliorando nel contempo la rimozione per coagulazione di tali sostanze
che tra l'altro colorano l'acqua. Il processo di preclorazione può in definitiva permettere
di ridurre il dosaggio di coagulanti con miglioramento della rimozione di colore ed
aumento di chiarezza dell'acqua filtrata.
2.6 Conclusioni
Come visto in precedenza, la clorazione oltre che per la disinfezione delle acque,
può essere utilizzato come ossidante in aiuto al processo di coagulazione, per
controllare odore, sapore e colore dell'acqua trattata. Inoltre può essere usata per
prevenire crescite biologiche indesiderate nelle apparecchiature di trattamento e nei
sistemi di distribuzione. Molte di queste funzioni comunque richiedono la presenza di
cloro residuo libero piuttosto che cloroammine.
La "domanda di cloro" che causa in genere il consumo della maggior parte del
cloro aggiunto, discende in gran parte dalle sostanze organiche e dal colore presenti
nelle acque grezze. In aggiunta, la reazione al punto di rottura consuma all'incirca 10
parti di cloro per ciascuna parte di azoto presente. Molte acque naturali colorate e
contenenti sostanze organiche, contengono anche sostanze azotate. In tal caso i
dosaggi di cloro a volte arrivano fino a 10-20 mg/l con pericoli di formazione di aloformi
e sostanze organiche clorurate. Per tale ragione attualmente il punto di immissione del
27
cloro tende a spostarsi sempre più avanti nei processi di potabilizzazione, tenendo
presente che la coagulazione in genere permette di rimuovere il 50-60% delle sostanze
organiche clorurate con conseguente riduzione del potenziale di formazione degli
alometani. Lo spostamento a valle dell'iniezione del cloro fa perdere così alcuni
vantaggi connessi con la pratica della preclorazione, rendendo necessario un maggior
uso di coagulanti. La formazione di cloroammine, con aggiunta di ammoniaca, consente
di ridurre la produzione di alometani ma non protegge sufficientemente i sistemi di
distribuzione dalla formazione di batteri filamentosi. Comunque tutta la pratica della
clorazione deve ora essere vista tenendo presente i limiti sulla concentrazione degli
aloformi e del recente limite guida di 30 µg/l, raccomandati dal WHO tenendo altresì
conto di tutti gli altri cloroderivati formati nelle acque. Tutte queste considerazioni sono
valide per le acque potabili. Per le acque reflue occorre tener conto che la presenza di
ammoniaca tende a formare le cloroammine con minor efficacia germicida. Occorre
così cercare di ridurre il più possibile, con sistemi fisici, quali coagulazione e filtrazione,
la concentrazione di microrganismi prima della disinfezione.
4. Disinfezione con ozono
La riduzione dei costi di produzione dell'ozono rende possibile tale trattamento di
disinfezione oltre che per le acque potabili, anche per le acque reflue soprattutto per il
maggior potenziale virucida rispetto al cloro. L'ozono può essere anche usato nel
trattamento delle acque reflue per la rimozione delle sostanze organiche solubili
biorefrattarie, al posto dell'adsorbimento su carboni attivi. Viene prodotto attraverso
scariche elettriche in una miscela gassosa contenente ossigeno, direttamente
nell'impianto di trattamento essendo un gas instabile.
Quando l'ozono viene aggiunto all'acqua, si trasforma rapidamente in ossigeno
203
302
senza lasciare residui persistenti da rimuovere, ma non assicurando capacità
disinfettanti residue. Non dà luogo a formazione di solidi disciolti e non reagisce con
azoto ammoniacale. Pertanto l'ozono è molto utile come preossidante o disinfettante
primario, nel controllo di sapori, odori e colore. E' un ossidante selettivo agendo
soprattutto sui doppi legami e permette riduzioni del TOC del solo 10-15%. Sono state
evidenziate aumenti della mitogenicità di composti intermedi prodotti dall'ozonizzazione,
soprattutto alcune forme epossidiche.
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5. Disinfezione con ClO2
Il potenziale germicida è molto simile a quella dell'HOCl, ma non è influenzato dal
pH della soluzione. E' un prodotto instabile allo stato prodotto puro. Deve essere quindi
preparato sul posto. Le soluzioni acquose sono stabili. E' molto utile come ossidante
essendo un buon reattivo per controllo di odori e sapori e nell'ossidazione dei fenoli.
Non dà luogo alla formazione di cloro derivati. Preoccupazioni sanitarie derivano dalla
-
interazione del ClO2 o il ClO 2, con l'emoglobina del sangue, che danno luogo
all'insorgere del morbo blu. Tale azione è simile a quella dei nitrati ( riduzione della
capacità di assunzione dell'ossigeno da parte del sangue).
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