Dottorato di Ricerca in Architettura Curriculum in Architettura del Paesaggio, Referente Prof. Gabriele Paolinelli Dipartimento di Architettura - DIDA, Università degli Studi di Firenze QUADERNI della Ri-vista Ricerche per la Progettazione del Paesaggio ISSN1824-3541 I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Quaderno 3/2014 Piccolo è bello in architettura del paesaggio Firenze University Press Pubblicazione elettronica annuale del Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio Università degli Studi di Firenze Fondatore Giulio G. Rizzo, 2004 Direttore Gabriele Corsani [email protected] Redazione Daniela Corsini, Silvia Minichino, Flavia Tiberi Impaginazione Daniela Corsini Registrazione presso il Tribunale di Firenze n. 5307 del 10 novembre 2003 ISSN 1824-3541 Quaderni della Ri-vista Ricerche per la progettazione del paesaggio n. 3, luglio 2014 Editore Firenze University Press Borgo Albizi, 28 50122 Firenze e-press.unifi.it In copertina Saragozza, Estonoesunsolar 02. Foto di Daniela Corsini © Copyright degli autori. La riproduzione degli articoli è ammessa con obbligo di citazione della fonte 3 QUADERNO 3 LUGLIO 2014 Editoriale ...................................................................................................................... di Flavia Tiberi, Silvia Minichino, Daniela Corsini 4 IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO Una possibile risposta al mantenimento dei caratteri storico-identitari del territorio rurale: la messa in rete dei suoi elementi ..................................................................... di Chiara Paiola 12 Piccoli elementi di urbanità nel territorio: le potenzialità degli insediamenti isolati nel progetto di paesaggio .................................................................................................. di Alessia Lupi 21 Riflessioni sull’architettura rurale : il ruolo della cascina nel progetto di paesaggio ..... di Ana Zilo 30 I toponimi rurali delle Cinque Terre, piccoli e grandi luoghi di ieri e di oggi .................. di Maristella Storti 37 LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO Piccoli spazi e piccoli cittadini. Il paesaggio come terzo educatore ............................... di Chiara Lanzoni 46 Il Parco di Pinocchio a Collodi e il mondo dell’infanzia nella dimensione del giardino ... di Claudia Maria Bucelli 54 Il piccolo orto di Skrudur .............................................................................................. di Flavia Pastò 62 SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO Rallentamenti verdi ...................................................................................................... di Carlo Peraboni 68 Guerrilla Gardening e Paesaggio urbano: piccole azioni di bellezza clandestina ............ di Gaetano Cascino 80 Keep it local. I mercati urbani, spazi pubblici chiave di rigenerazione urbana e ambientale ................................................................................................................... di Sara Caramaschi Urban Acupuncture. Piccoli interventi nel processo di placemaking. ............................. di Aber Kay Obwona Progetto di parti mancanti: il ruolo dei “piccoli” interventi nella ricomposizione urbana. Il caso di Modena ............................................................................................ di Roberta Palumbo Piccolo è bello. Il riscatto dell’unicità di ogni paesaggio ............................................... di Maria Cristina Treu 86 94 101 112 DIARI DI VIAGGIO Lo spazio pubblico di Saragozza tra piccoli spazi e piccole pratiche .............................. di Daniela Corsini Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 120 4 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio EDITORIALE Flavia Tiberi*, Silvia Minichino*, Daniela Corsini* “Accade che nel paesaggio alcune dimensioni siano come un genere o uno stile che si presenta a scale diverse in modo simile”. (Zagari, 2013: 62) L’elevato grado di complessità che caratterizza il paesaggio, costituisce uno dei punti cardinali da cui muove la progettazione e, al contempo, rappresenta il terreno di sfida principale, perché necessita di una profonda comprensione della grande vastità degli elementi e dei fattori di definizione del paesaggio stesso, nonché delle loro reciproche relazioni. Diviene, dunque, indispensabile imparare a vedere il paesaggio, a osservare intimamente ogni sua componente e le interazioni tra le stesse, al fine di poter cogliere il significato intrinseco che deriva dalla loro combinazione, in un rapido passaggio di scala dal particolare al generale. “Dal generale al particolare e viceversa in un progetto di paesaggio i temi dovrebbero essere trattati tenendo in stretta relazione di scambio la scala del dettaglio e quella dei grandi sistemi [...]”. (Zagari, 2013: 167). In Architettura del Paesaggio, negli ultimi anni e, in particolar modo, in seguito alla stesura della Convenzione europea del Paesaggio (Firenze, 2000), il dibattito scientifico si è dimostrato prevalentemente concorde nel riconoscere l’importanza assunta dai caratteri identitari ‘minori’ e dagli ‘elementi minuti’, di varia natura e di differente morfologia, importanza comparabile, in termini di incidenza sulla percezione del paesaggio, a quella derivante dai fattori di maggiore evidenza e riconoscibilità. Questi ‘caratteri minori’ - che possono essere in primo luogo elementi di inferiore impatto o di ridotta dimensione, ma anche elementi ordinari del vissuto quotidiano, ‘caratteri fragili’ la cui salvaguardia è minacciata dai mutamenti della società e degli stili di vita, tracce della storia, permanenze ricche di significato nonostante la loro esiguità o intangibilità, opere materiali o tradizioni che testimoniano la presenza di minoranze (etniche, religiose, culturali) - rivestono un ruolo decisivo nella determinazione dei nostri ambienti di vita e nella loro caratterizzazione. Una riflessione simile a questa, seppure incentrata su tematiche diverse, quali la scienza economica ed il rapporto tra questa e i cambiamenti della società, fu esplicitata più di quaranta anni fa dall’economista e filosofo Ernst Friedrich Schumacher, che, nel 1973, pubblicò un libro destinato a diventare uno dei capisaldi nella storia dell’economia, Small is beautiful. Economics as if People Mattered. Quest’opera, dal cui titolo prende spunto il tema del presente numero dei Quaderni della Ri-Vista, mostra ancora un’evidente attualità, proprio per lo spostamento di attenzione dal ‘grande’ al ‘piccolo’ che essa suggerisce e per le riflessioni esposte dall’autore in merito all’opportunità di distogliere lo sguardo dalla consueta convinzione (tipica dell’epoca contemporanea e dell’epoca della globalizzazione) celebrativa dell’assioma “the bigger, the better” (Schumacher, 1973; ed. 1989: 68). Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Editoriale | Già negli anni Settanta, infatti, Schumacher proponeva un radicale ribaltamento del pensiero post-moderno, invitando a considerare il notevole valore del ‘piccolo’, ampiamente e differentemente declinato in ogni circostanza di indagine, per la costituzione di nuovi sistemi (economici, culturali, sociologici, urbanistici) maggiormente efficienti ed atti a fornire risposte alle esigenze reali della società. L’importanza di pensare a nuove forme di educazione e di sensibilizzazione, che siano in sintonia con le mutate condizioni sociali e che sappiano ristabilire un legame saldo con quella che Schumacher definisce “la saggezza tradizionale dell’uomo”, il bisogno di rivolgersi ad interventi ‘piccoli’, tuttavia, messi vicendevolmente a sistema alla scala vasta, il desiderio di superamento del dualismo tra ‘grande’ e ‘piccolo’ e le problematiche connesse alla questione dimensionale e di scala (“A Question of Size”, come si intitola l’ultimo capitolo della prima parte del libro), il rischio del progressivo abbandono e del degrado delle aree rurali e marginali a causa dei ripetuti spostamenti verso le grandi città e della carenza di azioni volte alla conservazione dei ‘caratteri fragili’ di questi paesaggi ‘minori’, sono alcune delle tematiche evidenziate ed analizzate da Schumacher già negli anni Settanta, aventi ancora oggi un’innegabile rilevanza. Quindi esiste una forte correlazione tra la trattazione di Schumacher e molte delle principali argomentazioni indagate dal dibattito scientifico nel campo dell’architettura del paesaggio che riguardano per esempio la questione della scala del progetto così come l’uso della transcalarità nel processo di progettazione oppure l’inclusione della cittadinanza nel processo decisionale a cui partecipa l’Architettura del Paesaggio. “What scale is appropriate? It depends on what we are trying to do. The question of scale is extremely crucial today, in political social and economic affairs just as in almost everything else. What, for instance, is the appropriate size of a city? And also, one might ask, what is the appropriate size of a country? Now these are serious and difficult questions. It is no possible to programme a computer and get the answer. The really serious matters of life cannot be calculated. We cannot directly calculate what is right; but we jolly well know what is wrong!” (Schumacher, 1973; ed. 1989: 71). Con la medesima vicinanza ideologica, rispetto alle posizioni assunte dalla ricerca in ambito di progettazione paesaggistica, con cui Schumacher presenta l’inattuabile univocità della questione della dimensione, l’autore propone altre riflessioni fondamentali ancora oggi, quali la necessità di promuovere “a system based on attention to people, and not primarily to goods” (Schumacher, 1973; ed. 1989: 79), grazie anche alla possibilità di stabilire la priorità dell’agire locale, mirando, quindi, alla tutela di ogni carattere peculiare ed identitario. I motivi, dunque, per i quali questo Quaderno prende spunto dall’opera di Ernst Friedrich Schumacher risiedono nella volontà di ricordare il quarantesimo anniversario dalla prima pubblicazione del suo libro per discutere le nuove teorizzazioni, le nuove visioni. In particolare la riflessione vuole essere sui contributi scientifici dell’architettura e della progettazione paesaggistica in merito alla possibile correlazione tra i concetti di ‘piccolo’ e di ‘bello’, esaminando anche le inaspettate similitudini tra il pensiero e la visione critica del celebre economista. A partire da queste considerazioni, gli autori dei saggi raccolti in questo numero dei Quaderni hanno esplorato, approfondendo tematiche e riportando esperienze progettuali, l’orizzonte di sperimentazione e di indagine in cui gli originari concetti di ‘piccolo’ e di ‘bello’ si fondono e trovano corrispondenza, con l’intento di verificare la loro effettiva reciprocità e di attribuire una rinnovata importanza alla dimensione del ‘piccolo’ ed alla cura dei ‘caratteri minori’ o ‘fragili’. La bellezza è qui intesa in senso ampio, è alleggerita dalla gravità dei canoni estetici del passato e si volge, piuttosto, al riconoscimento di un valore simbolico ed identitario, alla significatività, alla rappresentatività, ma anche al miglioramento della qualità Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 5 6 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio della vita delle comunità, alla sostenibilità, all’attitudine funzionale di un intervento. I contributi, suddivisi in tre distinte sezioni, sulla base dei contenuti espressi, hanno principalmente ricercato il nesso tra ‘piccolo’ e ‘bello’ nell’ambito progettuale indirizzato alla riqualificazione ed alla valorizzazione dei paesaggi, rurali ed urbani, tramite ‘piccole azioni’ o ‘piccoli interventi’ aventi come scopo il recupero di elementi altamente connotativi, la riprogettazione delle aree di margine e delle frange urbane, la cura dei luoghi e l’attribuzione di nuove o rinnovate valenze identitarie. È stata, altresì, messa in luce la vocazione educativa dei progetti di paesaggio, perseguibile per mezzo di realizzazioni finalizzate esplicitamente a fornire specifici strumenti di formazione che si basano sull’osservazione, sull’esperienza diretta, sulla percezione e sulla fruizione dell’opera. Ogni sezione è contraddistinta da una particolare interpretazione del tema del presente numero dei Quaderni: nella prima, intitolata Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio, sono protagonisti il paesaggio rurale e i suoi ‘piccoli’ elementi: gli iconemi (Chiara Paiola), i piccoli elementi di urbanità come borghi storici e corti rurali (Alessia Lupi), le cascine (Ana Zilo) e i toponimi (Maristella Storti). Due casi studio differenti, Pianura Padana e Cinque Terre, che convergono sulla necessità di affrontare un progetto capace di fare rete tra gli elementi residuali che dimostrano di possedere un profondo valore di resilienza. La messa in rete di elementi e polarità può essere considerata una risposta progettuale valida all’interno di progetti di paesaggio a diversi livelli di scala; le interazioni e le interdipendenze che possono scaturire tra i vari elementi individuati all’interno del paesaggio contribuiscono infatti a valorizzarne le risorse naturali, storiche e culturali intrinseche, in un’ottica di relazione tra il “piccolo elemento” e la “complessità del sistema paesaggio”, come asserito dalle stesse Paiola, Zilo e Lupi. Ci si trova davanti a paesaggi che rappresentavano un’eccellenza e che oggi affrontano situazioni di crisi, nel caso delle Cinque Terre l’abbandono dell’attività agricola, nel caso della Pianura Padana l’alluvione edilizia, come la definisce Turri (2000), e processi di banalizzazione e svalorizzazione, discontinuità e disgregazione. Paiola propone che il progetto di paesaggio si occupi della messa in rete sistemica degli elementi sopravvissuti per tutelarli e preservarli dai veloci cambiamenti che interessano il paesaggio della Pianura Padana. Gerarchizzare gli iconemi, intesi come portatori di valori naturali, storici, culturali e sociali, può portare a valorizzare le qualità del sistema paesaggistico della Padania. Secondo Alessia Lupi è necessaria la messa in rete di piccole località, borghi storici, cascine e corti rurali nel territorio e con il territorio a cui appartengono. Il focus è sempre sulla Pianura Padana e sulla varietà del suo paesaggio: “la diversità e la qualità del suo territorio lo rendono unico ed incredibilmente complesso, sia dal punto di vista della sua comprensione che della sua pianificazione” (pag. 22). L’autrice sottolinea l’importanza di un progetto di rete in cui “la ridefinizione di gerarchie tra le parti della città permette di configurare, al posto di un indifferenziato tessuto costellato da elementi isolati, una struttura forte con nodi riconoscibili” (pag. 27). “Il rischio in cui non si deve incorrere tramite l’astrazione dei modelli insediativi reticolari come quello padano, è quello di considerare i poli come dei semplici bolli, bensì come luoghi, tenendone presente tutte le caratteristiche e peculiarità. Il senso di appartenenza di questi luoghi ad un sistema più ampio non deve far appiattire le loro differenze e il significato della loro individualità” (pag. 23). “Tali progetti devono sempre poggiare le loro basi su analisi e progetti a scala sovra locale, che ne garantiscano l’adeguato inserimento ed interazione col contesto territoriale e paesaggistico in cui si trovano; per poi poter sviluppare un progetto locale che sia coerente con l’individualità del luogo e sensibile verso i propri elementi di diversità, in cui sta la ricchezza del territorio e la potenzialità del progetto di paesaggio” (pag. 27). Ana Zilo osserva il territorio della Pianura Padana a partire dalle cascine, che “si inseriscono nel paesaggio elevandone la qualità”, ambientale e sociale, ma che sempre più spesso ospitano una popolazione non agricola del tutto imprevista (pag. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Editoriale | 30). “Prima che di una sconfitta fisica si tratta però di una sconfitta culturale, di quella cultura del recupero e della trasformazione che rendono la corte tradizionale un organismo vivente in continua evoluzione e adattamento” (pag. 35). Se è vero che il paesaggio è destinato a trasformarsi sotto le esigenze continuamente mutevoli delle forze produttive, è anche vero che fondamentale resta il bisogno di conservazione di quegli elementi da cui esso deriva la sua identità, le sue peculiarità, che variano da una zona all’altra, anche in rapporto agli influssi che può avervi diffuso la cultura urbana, o che comunque può avervi depositato la storia. (Turri, 2000) “L’utilizzo di un progetto di rete permetterebbe di recuperare il paesaggio, valorizzando le risorse naturali e culturali; rappresenterebbe una strategia efficace per la pianificazione dell’assetto del territorio rurale. Inoltre sarebbe possibile comprendere come il territorio sia stato costruito attraverso il tempo, recuperando il senso dell’identità dei luoghi. La messa in rete e la sistematizzazione delle cascine, attraverso un percorso di fruibilità e accessibilità consentirebbe di far conoscere e valorizzare il sistema produttivo, alimentare, ambientale e sociale rappresentato da questi luoghi, il loro posizionamento rispetto al territorio metropolitano, l’offerta enogastronomica e il valore della cultura materiale, in un ottica in cui viene valorizzato «il piccolo elemento» nella «complessità del paesaggio»” (pag. 36). Maristella Storti afferma che i toponimi sono utili per la definizione di strategie e mappe progettuali. In fase di analisi i toponimi restituiscono una serie di informazioni utili alla conoscenza del paesaggio attuale. La Mappa dei Luoghi Detti, una mappa ricca di informazioni tra cui tutti i toponimi rurali che è stato possibile localizzare, può diventare “un utile strumento per orientare gli interventi attuali nel rispetto delle peculiarità del paesaggio storico e della sua fruizione nel tempo” (pag. 42). “L’auspicio è quello che la Mappa dei Luoghi Detti possa diventare uno strumento interattivo di raccolta dati e di monitoraggio dei progetti di manutenzione e tutela del paesaggio rurale. [...] grazie ad uno strumento come la Mappa dei Luoghi Detti [...] anche un piccolo intervento può assumere dimensioni maggiori perché ritorna ad essere il tassello di uno scenario in divenire, rispettoso del passato ma aperto alla progettazione dell’oggi e del domani” (pag. 44). Il concetto di ‘bello’ secondo queste interpretazioni può, dunque, essere così riassunto: “Nella società odierna [...] la ricerca di una maggiore qualità della vita porta sempre più al riconoscimento del ‘piccolo’ e del ‘bello’ come sinonimi di ‘unico’, ‘singolare’, ‘originale’: il turista apprezza la piccola ricettività dando valore alla genuinità e alla riscoperta delle tradizioni locali, il consumatore consapevole vuole sempre più trovare un proprio riferimento direttamente nel produttore, guardarlo negli occhi, visitare i luoghi di produzione, riconoscere i prodotti tipici di un territorio” (pag. 42). Più avanti, nella terza sezione, sarà possibile ritrovare il tema del paesaggio rurale, che ritorna nell’articolo di Sara Caramaschi attraverso il mercato, inteso in quanto luogo di connessione tra la campagna e la città. La seconda sezione raccoglie i contributi aventi in comune una particolare attenzione rivolta ad indagare le capacità del progetto di paesaggio di divenire forma e strumento di educazione, come si può evincere dal titolo La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio. I tre articoli raccolti nella seconda sezione declinano il tema del ‘piccolo è bello in architettura del paesaggio’ attraverso il possibile ruolo educativo del progetto di paesaggio: lo sguardo del piccolo e lo spazio per i bambini, il piccolo progettato per l’esperienza dei bambini e il progetto di piccoli spazi come processo educativo. L’interpretazione del tema di questo numero dei Quaderni che emerge dai tre articoli, propone il concetto di educazione allo spazio, al racconto e alla cura dei luoghi per e attraverso il progetto di paesaggio. Tutti gli autori osservano il ruolo del paesaggio per e come educazione attraverso progetti realizzati alla piccola scala sia nello spazio urbano (i playground realizzati nel secolo scorso in Danimarca, Stati Uniti e Olanda nell’articolo di Chiara Lanzoni) che in quello rurale di confine con la città storica (il parco di Pinocchio a Collodi per Claudia Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 7 8 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Maria Bucelli) ed infine in quello completamente naturale (il giardino di Skrudur in Islanda per Flavia Pastò). Chiara Lanzoni ipotizza che il paesaggio sia un vero e proprio soggetto educatore, Claudia Maria Bucelli, attraverso la descrizione di come è stato realizzato il parco itinerario di Collodi, racconta il processo di progetto per l’infanzia e per la dimensione psicologica dei piccoli. Infine Flavia Pastò affronta il tema del progetto di paesaggio come processo educativo per le scelte collettive. La riflessione sulla dimensione del piccolo prevale in tutti e tre i contributi: “piccolo può essere l’osservatore ed il fruitore, l’attore nel paesaggio” come esplicita Lanzoni (pag. 47) che propone la questione e poi indagata, anche se implicitamente negli altri testi della sezione, se il paesaggio può essere considerato un soggetto educatore. In tutti i contributi questa valenza del paesaggio ed in particolare dei processi di progettazione paesaggistica viene evidenziato. Il piccolo diventa bello assumendo un valore principalmente etico. La terza sezione è incentrata specificamente su tematiche ed esperienze che mirano ad indagare l’effettiva rispondenza tra interventi a piccola scala o basati su elementi minuti e ricadute positive sul progetto di paesaggio con lo scopo di garantire la valorizzazione e la riqualificazione del paesaggio urbano; da qui il titolo della sezione stessa, Smaller is better. Il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio. Nonostante le differenti tematiche ed applicazioni affrontate dagli autori, in tutti i contributi risulta evidente che l’attuazione di interventi concernenti elementi piccoli, di minore rilevanza, di minore impatto o di minore estensione, ha la capacità di produrre interessanti risultati nell’ottica del miglioramento della qualità della vita, della ri-attribuzione di specificità identitarie ai luoghi e della condivisione sociale; emerge, infine, in maniera esplicita che tramite questi progetti aventi come fondamento la cura e la trasformazione del ‘piccolo’ si è in grado di stabilire nuove connessioni e di rinnovare antiche relazioni, ormai perdute, tra i vari sistemi che generano e caratterizzano il paesaggio. Si può, quindi, in un certo senso asserire che la dimensione del ‘piccolo’ e la possibilità di azione su di esso rivestono molto spesso il ruolo di strumento di ricucitura tra ambiti, contesti, realtà e margini resi frammentari ed interrotti dai mutati stili di vita e dai cambiamenti più recenti della nostra società. Il primo esempio di tale approccio è offerto dal contributo di Carlo Peraboni, che analizza le prospettive progettuali offerte da nuovi sistemi mirati al rallentamento del deflusso delle acque meteoriche: questi interventi, pur riguardando un aspetto specifico ed apparentemente di secondaria importanza, assumono in realtà caratteristiche di grande rilevanza, perché possono promuovere la realizzazione di peculiari infrastrutture verdi funzionali anche per la città, configurandosi, inoltre, come mezzi di combinazione tra il paesaggio urbano e i vari contesti ad esso limitrofi. “Gli obiettivi del progetto risultano orientati all’integrazione tra le politiche di salvaguardia dei valori ambientali e l’estensione di attenzione ai temi della sicurezza urbana; si tratta di obiettivi di lavoro che si rivolgono sia agli interventi di nuova urbanizzazione che a quelli di riqualificazione e si attuano attraverso una molteplicità di interventi che agiscono sulle modalità di costruzione e sui sistemi di gestione delle acque meteoriche [...]” (pag. 73). “La realizzazione di questi interventi, articolati funzionalmente e diffusi spazialmente, permette di attivare un’ampia gamma di opportunità, di carattere multi-funzionale, che può avere implicazioni significative su una molteplicità di aspetti riferibili al progetto urbano [...]”, quali il miglioramento dell’ambiente naturale e la valorizzazione di azioni atte a soddisfare molteplici esigenze, tenendo anche in considerazione gli aspetti più strettamente economici dei bilanci di spesa (pag. 72). La pianificazione di tali interventi che si rivolgono alla piccola scala deve, ovviamente, essere pensata in termini di applicazione diffusa e sistemica. Con queste parole Peraboni intende rispondere alla domanda che si pone nella prima parte del contributo “Grande è bello, piccolo è meglio?”, interrogativo emblematico che può considerarsi come una sorta di introduzione alle successive trattazioni: Gaetano Cascino propone un’esplorazione delle dinamiche attuative e delle concezioni Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Editoriale | ideologiche sulle quali si fonda il movimento del Guerrilla Gardening, principalmente mirati alla difesa degli spazi pubblici nel contesto urbano, alla loro riqualificazione in caso di graduale o totale abbandono e, soprattutto, al superamento dei contrasti tra progettisti e fruitori nel conseguimento degli obiettivi di progetto. In questo contributo, il tema del ‘piccolo’, dunque, si rintraccia nell’indagine sulle modalità di “[...] realizzazione di micro-interventi non pianificati che vogliono restituire dignità ai ‘vuoti urbani’; [...] ciò è dimostrazione di quanto sia importante ripartire dalle piccole azioni, dalla costruzione dell’immagine della città ottenuta dall’insieme di tanti dettagli, per poter dare risposta ad una crescente domanda di partecipazione [...]” (pag. 85). Dall’analisi critica del fenomeno del Guerrilla Gardening, assimilabile a processi di auto-progettazione e auto-costruzione, e dall’osservazione analitica delle realizzazioni così compiute emerge, implicitamente, il connubio tra ‘piccolo’ e ‘bello’, tema a cui l’autore allude sottolineando, da un lato, la spontaneità degli interventi esaminati e, dall’altro, la loro capacità di creare nuovi paesaggi urbani in cui l’identità dei luoghi è strettamente connessa all’interpretazione percettiva dei cittadini e alla loro partecipazione diretta nelle fasi progettuali ed esecutive. In accordo con alcune delle tematiche già espresse dai precedenti contributi, il saggio di Sara Caramaschi propone un’interessante riflessione sulla rinnovata visione dei mercati urbani come spazi pubblici atti a garantire il mantenimento delle relazioni sociali, degli scambi e della connessione tra città e campagna, nell’ottica di ristabilire rapporti di vicendevole valorizzazione e di profonda interazione tra due contesti spazialmente vicini ma, spesso, concettualmente troppo distanti. Similmente ai postulati di Schumacher, anche in questo contributo il ‘piccolo’ viene inteso non soltanto come misura spaziale ridotta o come limitata significatività dell’elemento analizzato, ma anche in quanto manifestazione di appartenenza alla scala locale. “Questi luoghi piccoli ma belli reagiscono a un deficit internazionale di dimensioni enormi, innescano una serie di azioni di tutela, valorizzazione e promozione del paesaggio urbano e agricolo, riportando la comunità urbana a mostrare interesse per i temi cari all’ambiente e al territorio” (pag. 92). L’analisi offerta dall’autrice sul tema e sulle sue applicazioni progettuali vuole, quindi, dimostrare l’importanza assunta dalla tipologia architettonica del mercato urbano, che assume nuove forme e nuovi significati se considerata in un’ottica paesaggistica e sociologica, se inteso come espediente in grado di riqualificare il paesaggio urbano, di ristabilire connessioni tra questo ed il paesaggio agrario, di generare un nuovo senso di comunità. Di costituire, dunque, pur nell’esiguità della sua estensione spaziale, una “cerniera tra città e campagna”, un fattore di resilienza dei caratteri tradizionali e consolidati del paesaggio urbano moderno e contemporaneo: i mercati urbani “[...] offrono numerose opportunità, rigenerano le comunità locali, sviluppano stili di vita sostenibili e danno avvio a nuove attività produttive nelle loro vicinanze” (pag. 88). Il tema della ‘ricucitura urbana’ per mezzo di ‘piccoli’ interventi, puntuali e al contempo sistemici, è ripreso da Aber Kay Obwona: il contributo muove dall’esame di ‘piccoli’ interventi nei processi di ‘placemaking’, rivolgendo particolare attenzione alla loro capacità di intima e significativa trasformazione del paesaggio urbano e di miglioramento della qualità della vita degli abitanti. Il legame tra ‘piccolo’ e ‘bello’, tema in questo caso fortemente rivolto alla utilità degli interventi per la riqualificazione del paesaggio urbano, è esplicitato nel richiamo alla metafora medica di “urban acupuncture” proposta da Manuel de Sola Morales, espressione che racchiude intrinsecamente sia la dimensione puntuale degli interventi indagati che il loro effetto benefico per il contesto urbano in cui si inseriscono. Attraverso l’esame di alcune realizzazioni, l’autrice mette in evidenza come “In the context of the current global economic crisis, the use of small interventions in landscape architecture is very relevant because of their ability to minimize the economic costs of urban regeneration projects and simultaneously optimize the social values and quality of urban life” (pag. 95). “This methodology of plugging in small interventions to catalyze positive changes in the environment can be considered a reflection of the traditional oriental medical practice of acupuncture where pain is relieved or disease treated by using needles to Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 9 10 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio puncture specific critical points of the human body. In this same way, diseased areas are cured at a large scale by using small scale local interventions placed in strategic locations and positions in the urban areas” (pag. 95). Sulla tematica della ricomposizione urbana operata per mezzo di interventi minuti si incentra anche il contributo di Roberta Palumbo, che mira ad individuare strategie progettuali facilmente perseguibili al fine di contrastare l’attuale fenomeno della crisi strutturale delle città. I luoghi dello sprawl e dello shrinking rappresentano aree privilegiate entro le quali ripensare la città contemporanea e pensare a una possibile città futura. In questa ottica, acquisisce una particolare importanza l’opportunità di lavorare su quelle “grey areas” definite da Olmo (2000), assimilabili a vuoti urbani privi di specifica caratterizzazione e significato. “La presenza di questi vuoti (di attività, di senso e di significato) costituisce un’importante occasione di rigenerazione urbana e consente di poter riflettere sulla città contemporanea, elaborare teorie sulle caratteristiche della città futura e sperimentare nuove metodologie di progetto” (pag. 103). Oggetto della trattazione è l’ipotesi progettuale di ricomposizione della porzione occidentale della città di Modena, dove, in seguito a variazioni e alterazioni del tessuto urbano e delle sue infrastrutture, si è manifestata l’esigenza di pensare a soluzioni atte a riqualificare e riunificare l’organismo urbano; “Azioni Semplici”, costituite da interventi puntuali, sono state definite tenendo sempre in considerazione anche la necessità di programmazione a vasta scala degli interventi stessi e si rendono complementari ad “Azioni Complesse”, che interessano luoghi ‘piccoli’ estremamente problematici. “La messa in rete di interventi di diversa portata e dimensione dà vita a un progetto per la città tenuto insieme da un disegno complessivo ma che si compone di elementi la cui realizzazione è indipendente” (pag. 107). Chiude la terza sezione il contributo di Maria Cristina Treu, che analizza e commenta alcune delle tematiche maggiormente rappresentative del dibattito scientifico sul paesaggio e sulla sua progettazione. In questo contributo, la dimensione del ‘piccolo’ può essere associata al ruolo attivo che le comunità svolgono nell’individuazione dei caratteri identitari dei paesaggi, nella cura dei luoghi e nella valorizzazione dei loro significati complessi. Proprio in questi elementi, spesso di ridotta estensione e rilevanza, risiedono le basi della storia e della cultura della società contemporanea: “Sono i progetti di associazioni locali e di piccoli gruppi di singoli che ci permettono di riscoprire le tracce della nostra storia, [...]; sono le iniziative che ci fanno apprezzare i tanti fattori sottovalutati e che il lavoro di più generazioni ha contribuito a realizzare la varietà degli ambienti di cui è ricca l’Italia secondo regole consolidate e univocamente riconosciute e trasmesse” (pag. 114). Treu sottolinea la necessità di rivolgersi alla visione locale al fine di assicurare il mantenimento, la conservazione e la salvaguardia dell’unicità di ogni paesaggio, dell’equipotenzialità che ogni paesaggio esprime al di là delle consuete considerazioni espresse dalla società contemporanea. Si può, inoltre, rintracciare nel saggio una sorta di risposta alla domanda, posta in apertura della sezione, da Peraboni “Grande è bello, piccolo è meglio?”: nel paesaggio, in cui si combinano aspetti ed elementi di dimensione e di portata concettuale tanto diversi, la complessità e la dinamicità delle interazioni e delle relazioni che uniscono i singoli componenti costituiscono il principale valore da tutelare ed è, pertanto, indispensabile avere una duplicità di osservazione e di giudizio, finalizzata a conciliare l’intervento sul dettaglio, sul ‘piccolo’, e le operazioni a larga scala nell’ottica di valorizzare ciò che c’è di ‘bello’ in ogni paesaggio, vale a dire di significativo, di identitario. “L’ambiente richiede che nell’approccio alle scelte di intervento si adotti un rovesciamento del punto di vista urbano centrico, che vuol dire riconoscere nei valori di unicità dei nostri luoghi l’incidenza dei fattori ambientali, fisici, sociali, economici e culturali, che hanno permesso la formazione della bellezza dei paesaggi che abbiamo ereditato e che per quanto attiene alle cure richieste non può fare distinzione tra grandi e piccoli interventi” (pag. 114). Tale visione si richiama, infine, anche se implicitamente, a quella di Schumacher, che a riguardo della posizione dicotomica sostenuta dall’uomo nel privilegiare la dimensione del ‘grande’ o quella del ‘piccolo’ auspica un superamento di questo Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Editoriale | ancestrale contrasto, per giungere, al contrario, al loro connubio perseguibile grazie alla capacità di prestare attenzione al singolo intervento mantenendo, al contempo, una visione ampia e d’insieme: “What I wish to emphasise is the duality of the human requirement when it comes to the question of size: there is no a single answer.” (Schumacher, 1973; ed. 1989: 70). Infine il numero dei Quaderni si conclude con il diario di viaggio di Daniela Corsini che ha come soggetto la città di Saragozza in Spagna. Nel testo viene descritto come i piccoli interventi che partono dall’iniziativa dei cittadini, a mezzo dei movimenti vicinali, assumono il carattere di azioni fondamentali per la costruzione di un nuovo paesaggio urbano e rappresentano una forma altra di progetto di paesaggio. Questo modo di agire è confrontato sia nell’approccio che nella sostanza con l’organizzazione e gli esiti del ‘grande evento’ dell’ Expo 2008 che ha avuto luogo appunto a Saragozza. Infatti secondo Daniela Corsini in questa città si può osservare in maniera esemplare come “La progettazione dei piccoli luoghi, spesso sentiti come una proprietà da parte dei cittadini, può avvenire con una partecipazione attiva da parte della popolazione che, una volta inserita nel processo, può essere coinvolta anche nella fase di gestione del luogo” (pag. 130). In questo senso l’esperienza di Saragozza propone un caso concreto in cui il Piccolo è Bello in Architettura del Paesaggio. Riferimenti bibliografici Olmo C., La città e le sue storie, in Mazzeri C. (a cura di), La città europea del XXI secolo, lezioni di storia urbana, Skira, 2000. Schumacher, E.F. (1973; ed. 1989), Small is beautiful. Economics as if People Mattered, IV ed., Harper Perennial, New York. Turri, E. (2000), La megalopoli padana, Marsilio Editori, Venezia. Zagari, F. (2013), Sul paesaggio. Lettera aperta, Libria, Melfi. * Dottorato di Ricerca in Progettazione della Città, del Territorio e del Paesaggio, indirizzo Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 11 SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO Una possibile risposta al mantenimento dei caratteri storico-identitari del territorio rurale: la messa in rete dei suoi elementi | A possible answer for the maintenance of rural landscape’s local and historical identity: the networking of its elements. Chiara Paiola* abstract abstract I paesaggi rurali sono caratterizzati, sebbene ormai in maniera esigua, da un’infinità di elementi che fanno parte della percezione che abbiamo di questo scenario, sono elementi iconemici. Tuttavia le possibilità di farne strumenti per il mantenimento delle identità storico-locali sono ridotte al minimo. Una risposta a questo problema potrebbe essere la messa in rete dei singoli elementi, un insieme di nessi morfologici, funzionali e simbolici tra spazi costruiti e spazi aperti. The rural landscapes are characterized by an infinite number of elements that play a central role in the perception we have about this scenery; these are important rural landscape’s landmarks. However the opportunity to use them like an instrument for the preservation of local and historical identity is now at its lowest state. An answer to this problem could be the networking of the single elements, which can be expressed by morphological, functional and symbolical links. parole chiave key-words Iconemi; paesaggio rurale; rete di relazioni Landmarks; rural landscape; networking project * Dottoressa in Architettura, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | Introduzione “Solitamente la percezione di un paese avviene attraverso una serie di elementi costitutivi del territorio che impressionano per la loro evidenza, bellezza, grandiosità, singolarità, o perché magari si ripetono come leit-motiv caratteristici e inconfondibili. Quando si parla di elementi si fa riferimento in particolar modo a tutto ciò che si offre allo sguardo, cioè a oggetti visibili, rilevabili nel paesaggio. […] Possiamo chiamare gli elementi visivi con il termine di “iconemi”, con il quale si propone di indicare le unità elementari della percezione che poi, sommate con le altre in combinazione, formano l’immagine complessiva del paese: il paesaggio come sintesi, sommatoria e combinazione razionale di tanti elementi, di tanti iconemi. Alcuni dei quali diventano anche i riferimenti primari, le componenti imprescindibili di quel paese, i dati particolari che si memorizzano come fotografie tenute in archivio che custodiamo nel nostro patrimonio di conoscenze, al quale ricorriamo ogni volta che occorre ripensare a quel paesaggio, a quel paese, per raccontarlo, per parlarne” (Turri, 2001). È con queste parole che Eugenio Turri apre la sua trattazione sugli iconemi, che possiamo riassumere come portatori di identità storica, culturale, economica, religiosa ed artistica di un territorio (Turri, 2001). Il territorio rurale, e più in dettaglio il territorio della pianura padana, di cui ci occuperemo, è ricco di questi elementi; tuttavia il fenomeno della dispersione insediativa, negli ultimi trent’anni, ha contribuito a cambiarne il volto, un tempo carico di una propria figurabilità. Questi elementi caratteristici e percettivi infatti sono ormai stati travolti da un’alluvione edilizia (Turri, 2000) che ha contribuito a minarne l’identità. Le permanenze identitarie di questo territorio risultano ormai inglobate in un continuum edilizio che le nasconde molte volte alla vista contribuendo a sminuire la loro presenza all’interno del territorio agricolo. (fig. 1) Non è solo il formarsi della megalopoli padana (Turri, 2000) che ha portato a questa perdita di figurabilità, di valori culturali ed ecologici che si erano sedimentati in questa terra per decenni, ma anche il veloce passaggio da un’agricoltura specifica, fatta di luoghi e condizioni, ad un paesaggio agricolo “dal carattere anonimo condizionato, non dalle caratteristiche dello specifico luogo, ma dalle necessità della macchina […] e da un mercato sempre meno locale” (Fabbri, 1997). La necessità quindi di difendere il paesaggio della Pianura Padana risulta chiara poiché esso rappresenta un elemento fondamentale di identità, capace di integrare aspetti naturali, storici e locali. Sarà quindi 13 necessario trovare un concetto unificante, che li ordini secondo criteri formali, che permetterà di giungere ad identificare delle relazioni esemplificative che ne chiarifichino il ruolo. Il carattere del paesaggio della Pianura Padana Il paesaggio agricolo viene definito da molti autori, in testi legati alla storia delle trasformazioni del suolo agricolo italiano, che ne sottolineano sempre, come principale caratteristica, il ruolo dinamico, aperto, in continua trasformazione e svolgimento; viene anche rimarcato come sia un raccoglitore della storia passata e dei cambiamenti futuri legati alla lavorazione della terra, poiché ci restituisce, attraverso immagini iconiche, il vissuto delle generazioni passate ma anche i cambiamenti che lo hanno portato alla sua attuale forma. Sereni infatti definisce il paesaggio agricolo come “quella forma che l’uomo nel corso ed ai fini delle sue attività produttive e agricole coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” (1961, ed. 2007); Paola Sereno invece descrive il paesaggio agrario come il luogo “dell’ accumulazione [passata, presente e futura] di oggetti che sono segni tangibili di lavoro, di tecniche, di rapporti di produzione, [segni] che l’uomo ha lasciato nel territorio e che documentano la sua capacità e le sue modalità di intervento e di organizzazione dello spazio in cui si è insediato” (1981). La campagna deve il suo aspetto al lungo e paziente lavoro dell’agricoltore che ha contribuito, con le sue tecniche e con i suoi strumenti, ad addomesticare la natura e a renderla testimone delle identità storicoculturali locali, potrebbe quindi essere considerata un deposito ricchissimo di memoria materiale. Troviamo infatti al suo interno molti elementi come: i campi coltivati, le cascine, le ville, ma anche le strade e i sentieri per accedere ai fondi e al resto del territorio, la rete irrigua, le rogge e i rii; questi sono tutti elementi che potrebbero contribuire a mantenere e a rendere manifesta la percezione di questo territorio. È importante sottolineare come tuttavia i processi di rapida trasformazione che riguardano il paesaggio agricolo, portino sia a grandi cambiamenti sia a fenomeni di abbandono e di sottoutilizzo e come entrambi gli avvenimenti agiscano a discapito degli iconemi della campagna, contribuendo ad impoverire la grande complessità del paesaggio agrario. Alcuni paesaggi infatti collassano definitivamente e spariscono (Lanza, 2003), per esempio svanisce il paesaggio della piantata padana, cancellato dall’estesa urbanizzazione che ad oggi investe le campagne, e dall’utilizzo della coltivazione estensiva (in particolare del mais). In generale quindi il paesaggio agrario attuale, fino a qualche decennio Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 14 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 2. Aratura meccanicizzata di un campo della Pianura Padana Figura 1. Il fenomeno della dispersione insediativa invade con strade e abitazioni il territorio della campagna fa caratterizzato da un’infinita varietà di forme, “si è semplificato nella sua costruzione organizzativa con la sparizione di siepi, boschetti, filari di piantate, fossi e fossati […] elementi disegnati ad una scala minuta, quella dell’uomo e della bestia, sostituita ora da una scala più ampia, quella della macchina. Diciamo che a una trama fitta, ricca di elementi diversi, si è sostituta una trama larga, contrassegnata da pochissimi elementi diversi. È il paesaggio della monocultura, che rappresenta un disastro dal punto di vista ecologico oltre che percettivo” (Fabbri, 1997). (fig. 2) Inoltre la campagna, come già sottolineato, risulta sempre più frammentata anche a causa della crescita costante di elementi insediativi e infrastrutturali, che contribuiscono all’imponente “processo di abbandono di una fittissima rete di sentieri, di cappelle votive, di piccole canalizzazioni, di terrazzamenti, di frazioni minori e di ricoveri temporanei che si avviano a diventare ruderi di una superata vicenda di antropizzazione” (Lanza, 2003). Tutti questi processi di banalizzazione e svalorizzazione pertanto riducono le possibilità intrinseche a questo patrimonio iconemico di essere strumento conservativo delle identità storicoculturali locali. Un esempio chiarificante di questa svalutazione lo possiamo rintracciare nel territorio della Pianura Padana, dove risulta molto evidente il lungo lavoro umano, e il veloce cambiamento della fisionomia del territorio avvenuto dall’introduzione del lavoro meccanicizzato. Questa terra è stata a lungo rimaneggiata dal lavoro dell’uomo, le prime opere di bonifica risalgono al VI secolo avanti Cristo, quando gli Etruschi si insediarono nella Pianura Padana; durante la loro permanenza sul territorio eseguirono opere grandiose per costringere il fiume Po entro gli argini, così da bonificare i terreni e sfruttare le vie navigabili. Possiamo dire che in tal modo gli Etruschi gettarono le basi dell’orientamento idraulico della Pianura; opera che verrà ripresa, nei secoli successivi, dai Romani che proseguirono i lavori di bonificazione. È però nel X e nell’ XI secolo con i frati Benedettini che avvengono le maggiori opere idrauliche, queste trasformarono la piana del Po da palude a terra agricola.(fig. 3) Si giunge così ad un’antropizzazione della campagna, stabilendo un controllo sulla terra, al tempo produttrice di beni materiali; controllo che è via via aumentato, da allora in avanti la Pianura Padana ha visto infatti i suoi territori sempre più occupati da presenze che potremmo definire estranee agli usi agricoli, fino ad arrivare al fenomeno che viene battezzato da Turri “Megalopoli Padana” (2000). Le appendici urbane che formano la Megalopoli si sviluppano lungo le infrastrutture, che collegano l’alta pianura ai centri più importanti della bassa pianura, tuttavia questa diffusione edilizia è ancora fortemente legata al suo passato rurale. Infatti la Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 15 Figura 3. Il fiume Po con i pioppeti che ne sottolineano il corso Figura 4. La roggia, elemento legato alla forte caratterizzazione fluviale della pianura crescita ininterrotta di presenze legate alla sfera della città all’interno della campagna ha travolto “paesaggi agrari da cui affiorano vecchie case e corti contadine, qualche residuo lembo di campagna, alberate che un tempo fiancheggiavano strade e viali, le chiese e i campanili dei paesi, emergenze antropiche nei paesaggi padani” (Turri, 2000). La rete irrigua è quindi l’elemento connotativo di questo territorio, che prende infatti anche il nome dal suo principale corso d’acqua, il Po. Oltre agli altri fiumi e torrenti, ricordiamo l’Adda, il Mincio, l’Adige, che insieme al Po formano la rete irrigua principale, si distendono sul territorio canali, rogge, rii e colatori da cui attingere l’acqua per i campi, in una propria gerarchia ordinatrice. (fig. 4) I primi iconemi che quindi incontriamo all’interno della Pianura Padana sono proprio i fiumi, bordati da fasce di vegetazione ripariale. All’interno di questa rete irrigua si appoggia lo spazio regionale accompagnato dal suo complesso insieme di elementi puntiformi, come gli insediamenti industriali e abitativi, che fanno parte della dimensione del paesaggio costruito, e i boschi e i pioppeti, che risultano più estesi ma anch’essi generano prospettive e visuali diverse, indirizzando o bloccando la vista verso il resto della campagna; elementi naturali ed elementi artificiali dunque, che sono legati all’uomo e alla sua storia, ai suoi progetti. Tra lo spazio interfluviale troviamo l’altro elemento percettivo per eccellenza della Pianura, cioè l’ager; il campo coltivato infatti, oltre ad essere l’oggetto di attenzione, come i fiumi, dell’ingegno e del lavoro dell’uomo ai fini della produzione, è anche una manufatto costruito, “la cui dimensione, orientamento e forma corrispondo a precisi requisiti funzionali, nell’intento di migliorare la qualità pedologica del suolo e la regimentazione delle acque meteoriche” (Fabbri, 1997). Queste necessità hanno portato ad una strutturazione geometrica e regolare dello spazio che possiamo dire essere il principio ordinatore che emerge sopra tutto il resto; questa infatti viene percepita subito all’interno della regione e deve la sua origine alla delimitatio romana; l’antico quadrato di duemilaquattrocento passi costituisce la base uniforme dello sfruttamento agricolo, questa maglia, che poteva essere articolata in multipli e sottomultipli, permetteva di controllare la grande e la piccola dimensione. (fig. 5) Questa geometrizzazione dello spazio coltivato costituisce quindi l’origine del paesaggio planiziario padano, ed ha generato tutta una serie di segni di grande rilevanza paesaggistica che sono diventati il marchio identificativo di questa regione, poiché ricchi di un notevole valore storico. Altro iconema simbolo è la rete delle strade, che costituisce l’ordito del tessuto agricolo e che si integra fortemente nel paesaggio; ovviamente l’aggregazione dei campi deve rispondere alla necessaria accessibilità da parte dell’uomo e dei mezzi meccanici al campo stesso, e questa è garantita dalle strade rurali che nascono con caratteri e funzioni diverse rispetto alla strada di collegamento tra due centri urbani. In ogni caso la loro funzione era fortemente integrata agli elementi puntuali del territorio agricolo, si pensi per esempio alle residenze, ai campi, alle cappelle e all’edicole votive che, grazie a questa presenza e a questi collegamenti, risultavano appartenenti allo stesso mondo rurale. Così quindi come ben sottolinea Pompeo Fabbri nel suo “Natura e cultura del paesaggio agrario” (1997) questo reticolo, utilizzato nei secoli per il tracciamento di canali paralleli all’asse stradale e di confini di proprietà, ha inciso un disegno percettivo Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 16 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 5. Il mosaico agricolo padano Figura 6. La cascina forte, cosicché ancor oggi, “alcuni vecchi sentieri che sembrano non portare in nessun posto specifico, sono resti di centuriazione così come edicole, cappellette, sorgendo sullo stesso luogo di antichi culti pagani, rientrano nel medesimo ordinamento” (Fabbri, 1997). Purtroppo queste caratteristiche sono andate in buona parte perse a causa della costruzione delle nuove arterie stradali e autostradali, che attraversando il territorio della Pianura Padana lo frammentano; se la strada rurale si rimetteva alle regole della natura, sottomettendovisi, adesso la strada di collegamento si sovrappone al paesaggio, conquistandolo. A questi elementi maggiori che sono presenti nella piana del Po se ne affiancano altri, non certo di importanza minore, ma che con le loro caratteristiche si inseriscono all’interno di questo grande reticolo che è stato appena descritto. Reticolo che è ben riconoscibile e distinguibile se pensiamo ad una visione dall’alto, in cui dopo aver riconosciuto fiumi e canali, ordinamenti colturali e rete stradale, vedremo tutte le altre forme puntuali e di scala minore che occupano il suolo della campagna. Si pensi per esempio alle piantate d’alberi che affiancano il corso di canali e fiumi, sottolineando il loro corso; un tempo gli alberi originari della pianura erano i salici, le querce e gli olmi, ora sono stati sostituiti dal pioppo nero, che con la sua altezza e maestosità forma quinte visive, imprimendo al paesaggio un ritmo caratterizzante; a questa categoria, che potremmo definire naturale, appartengono anche tutta quella serie di siepi, arbusti e filari alberati, più o meno fitti e di minore dimensione, che ritroviamo sia sulle rive dei corsi d’acqua, sia ai bordi dei campi e delle strade. Passando poi alla categoria antropica non possiamo non ricordare la cascina, azienda ed abitazione del contadino, è alla base del sistema territoriale in quanto centro di produzione ma anche nodo territoriale che costruisce il paesaggio della campagna, sia dal punto di vista produttivo che insediativo. (fig. 6) Insieme a questo elemento vanno ricordati i piccoli borghi e gli insediamenti isolati che con le loro chiese e gli edifici religiosi, il castello, ma anche le cappelle votive, le edicole, i campanili, si innestano nello stesso sistema territoriale e ne diventano simbolo. In questa categoria rientrano anche i segni dell’industrializzazione passata e moderna, a partire dai mulini e le filande e proseguendo con gli opifici e le dighe, là dove le acque corrono veloci, arrivando infine alla nuova realtà industriale che trova il suo costituente nel capannone industriale. “Le nuove edificazioni nascondono il profilo dei monti, le piantate d’alberi sopravvissute, le antiche chiese, i nobili palazzi e persino gli orti […] Dentro questo proliferare di iconemi nuovi, di quartieri residenziali, condomini, villette a schiera, capannoni […], la scoperta del paesaggio agrario, pur così umiliato ed escluso dagli spazi del vivere, dà ancora il senso di qualche cosa che si è perduto.” (Turri, 2001). Una possibile risposta progettuale Il paesaggio della Pianura Padana è oggi contraddistinto da una importante perdita di significato, derivante dai fenomeni che sono stati brevemente delineati nel paragrafo precedente; questa crisi si potrebbe riassumere con due parole chiave: discontinuità e disgregazione. Colpendo tutti questi elementi iconici infatti mina alla base il loro Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 17 Figura 7. Individuazione delle linee visuali principali all’interno del TSL Figura 8. Il concept di progetto del TLS dove vengono indicate tutte le azioni progettuali da portare a termine Figura 9. Il sistema di connessioni del TSL, sono evidenziate: le linee degli autobus, le fermate dei treni, dei traghetti e della metropolitana, gli itinerari pedonali e quelli ciclabili Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 18 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio carattere simbolico, la loro funzione rappresentativa. La domanda quindi che sembra essere necessario porsi è: sono i valori rappresentati da questi elementi iconemici (Turri, 2001) recuperabili? Se si, in che modo potranno essere rivalorizzati e risignificati, all’interno di una progettazione del paesaggio agrario padano che riesca a far fronte a questi fenomeni di scollamento e perdita di identità, riconducendoli a quel grande contenitore di significati e segni, ormai perduti, appartenuti alla Pianura Padana? La messa in rete in modo sistemico di tutti questi valori, potrebbe essere una risposta verso la tutela e il mantenimento degli elementi sopravvissuti a questi veloci cambiamenti, in un’ottica che vede la relazione tra il piccolo iconema e la complessità del sistema paesaggistico della Pianura Padana protagonisti; infatti le interazioni e le interdipendenze che si possono generare attraverso la gerarchizzazione di questi portatori di bellezza e di valori naturali, storici, culturali e sociali possono contribuire a valorizzarne le qualità intrinseche. Si ambisce quindi ad arrivare alla strutturazione di una rete di paesaggio, una rete di connessioni cioè che raccolga varie realtà, come per esempio i paesaggi aperti, costituiti dalle piane agricole, caratterizzati da visuali brevi per la presenza delle quinte alberate, i paesaggi dell’acqua, presenti in prossimità delle zone umide, di fiumi e di canali e i paesaggi urbani, legati ai landmarks e alle presenze territoriali antropiche. È necessaria innanzitutto una procedura inventariale, attraverso la quale sia possibile individuare una gerarchia di situazioni che presupporranno strumenti progettuali differenti; sarà essenziale quindi, come ben sottolinea Fabbri (1997), “una strutturazione significativa di questi elementi in uno spazio morfologicamente ben definito, o definibile. Che creino cioè un luogo, così che questo spazioluogo, paesaggio, sia chiaramente identificabile nel contesto territoriale.” In questo progetto, che vede nelle relazioni la sua principale mossa strategica, sarà necessario considerare che le trasformazioni e i cambiamenti all’interno della campagna padana non possono essere ignorate, dovranno essere comprese pertanto anch’esse in questo percorso di conoscenza e di presa di posizione, al fine di giungere ad un’interpretazione meditata del territorio, per tradurla poi in azioni progettuali. Infatti all’interno di questa realtà, plasmata da nuovi usi e da nuove colture, sempre più mutevoli nel tempo, si va generando un paesaggio che è discontinuo e disgregato, dove tuttavia è possibile cogliere nuove unioni, nuove realtà, che certamente non hanno la pretesa di ricadere nella sfera della storicità e dell’identità, la sfera cioè occupata dagli iconemi, ma che sono senza ombra di dubbio reali, concrete e possibili generatrici di nuovi scenari di vita. Saranno necessarie quindi molte letture dei luoghi e delle relazioni possibili, letture complesse ma “funzionali al costruire visioni sistemiche capaci di contenere una pluralità di elementi di progetto” (Peraboni, 2013). Queste visioni sistemiche non si baseranno solamente su relazioni fisiche o materiali, ma anche su relazioni che potremmo definire immateriali, visuali, percettive. Le connessioni materiali possono essere banalmente riferite ai temi che riguardano l’accessibilità, l’uso e lo sfruttamento del luogo fisico; le relazioni immateriali invece ruotano attorno a meccanismi di rete capaci di conservare la possibilità di visione degli elementi identificati come capisaldi per il loro valore legato all’evoluzione e alla trasformazione del territorio. Questa rete di relazioni si fonda quindi su due dimensioni, una dimensione di tipo areale e/o puntuale, ed una di tipo reticolare; la prima dimensione è formata da tutte le presenze territoriali rilevanti, la seconda invece è descritta dai rapporti di interazione e interdipendenza che possono scaturire tra queste presenze. Il tema delle relazioni visuali e percettive assume quindi un significato importante, che potremmo identificare come primario all’interno delle varie tematiche progettuali, esso infatti costituirà la base di tutte le azioni progettuali conseguenti alla necessaria conservazione della visione degli elementi identificati come capisaldi, strutturando le trasformazioni possibili che si intendono portare avanti nella progettazione del paesaggio Padano. “Non solo gli elementi antropici possono svolgere questa funzione, anche elementi naturali quali grandi alberi isolati, elementi geo-morfologici o specchi d’acqua potranno divenire punti di riferimento significativi. Le traiettorie visuali che permettono la visione degli elementi rilevanti divengono componenti attive del progetto di paesaggio” (Peraboni, 2013). Quindi i canali, gli insediamenti isolati con le loro chiese e ville, le cascine, i pioppeti, sono tutti elementi che potranno essere assunti come punti di riferimento significativi all’interno dell’ambito progettuale della Pianura Padana. Un progetto che appare esemplificativo delle tematiche appena delineate è il Thames Landscape Strategy, attivato nel 1995 e tuttora in corso, nato dall’iniziativa di un’associazione che opera a livello provinciale per il Tamigi, per il tratto di fiume che va da Hampton e Kew. Questo progetto di riqualificazione delle sponde e degli ambienti che affacciano sul corso d’acqua ha visto l’utilizzo di scale progettuali diversissime tra loro così da permettere una progettazione che spazia dal piccolo elemento alla grande area. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | L’associazione del TLS ha ritenuto di primaria importanza svolgere studi approfonditi su tutti gli elementi che caratterizzano il corso del Tamigi: le sue sponde, la città di Londra con i suoi quartieri e i piccoli paesi extraurbani, ma anche le attività svolte da chi vive, lavora o trae beneficio dal fiume; tutte tessere essenziali per acquisire una solida conoscenza del paesaggio in cui era necessario operare. Ovviamente il Thames Landscape Strategy appoggia le sue basi anche su tutta una serie di studi approfonditi rispetto agli aspetti geologici, morfologici, storici e culturali; tutti questi studi e approfondimenti sono stati ritenuti strategici e necessari all’avvio del progetto. Il segno caratterizzante di tutto il paesaggio è proprio il fiume Tamigi, che pertanto rientrerà in tutta una serie di interventi considerati primari come: la conservazione delle sponde, delle isole, dei campi aperti e di tutti gli elementi puntuali che si possono trovare lungo le sue rive. Per portare avanti queste attenzioni progettuali è stata data fondamentale importanza al ruolo delle visuali percettive all’interno del paesaggio fluviale che, in addizione ai punti panoramici già presenti in alcuni tratti, andranno a connettere e ordinare il paesaggio attraverso una rete di relazioni immateriali. Queste viste traggono origine da una gamma molto vasta di elementi presenti sul territorio che sono risultati i capisaldi su cui basare o appoggiare i successivi interventi: • The Avenues: i viali che si irradiano dai palazzi e dalle ville posti sulla riva del Tamigi e che contribuiscono a dare una strutturazione forte al paesaggio; avendo già una chiara funzione di carattere visuale-percettivo sono stati mappati e riqualificati; • Communication sightlines: le linee di comunicazione visiva sono un’ulteriore strumento utile alle visuali lontane, vanno perciò a supportare i viali prospettici. (fig. 7) • Informal views: sono utilizzati quali punti informativi, inoltre orientano i visitatori e connettono i landmarks lungo il fiume. • The Landmarks: in questa categoria ritroviamo le chiese e i campanili, i palazzi antichi e le ville, alberi, ed elementi naturali particolari che emergendo dal paesaggio aiutano a focalizzare l’attenzione e a istituire dei luoghi identitari; lo stesso fiume Tamigi per la sua importanza evidente è un landmark. Il piano quindi si è prefigurato, attraverso l’identificazione di questi elementi, di conservare e riqualificare le aree e i landmarks individuati, con particolare attenzione a tutto ciò che riguarda le connessioni visive e percettive. (fig. 8) Tutto ciò che viene coinvolto, seppur marginalmente, dal passaggio di queste visuali, è allo stesso modo 19 oggetto di attenzioni progettuali, conservative, in modo che anch’esso diventi portatore di un elevato grado di attenzione paesaggistica. Tutti questi interventi sono accompagnati da una serie di azioni minori che rientrano nella categoria delle relazioni materiali, volte a supportare e differenziare gli spazi; passando per esempio dall’inserimento di una nuova fermata del trasporto pubblico, nei pressi di un’area ritenuta strategica, e dalla costituzione di nuovi centri di polarità (un parco giochi per bambini, un centro sportivo), fino ad arrivare all’introduzione di nuovo arredo urbano. (fig. 9) Assumere dunque il patrimonio identitario come principale protagonista del progetto di paesaggio, per far fronte ai continui processi di degrado in atto sul territorio rurale, per puntare su di uno sviluppo locale, significa riscoprire e reinterpretare “quelle regole costitutive e quegli elementi di lunga durata su cui [esso] si è consolidato” (Finotto, 2007). La sua riconoscibilità e la sua leggibilità infatti si fondano su nessi materiali e immateriali che fanno capo alla sfera della percezione, della memoria, della cultura; è quindi altrettanto importante comprendere le specificità locali, o i già presenti gradi di tutela, di gestione e valorizzazione presenti sul territorio, per arrivare a costruire uno spazio che diventi matrice, protagonista attivo della crescita della società e della qualità di vita. “Il codice identitario, nell’accezione di alimento ed ancoraggio del paesaggio, deve rappresentare, in ultima analisi, la possibilità di orientare l’azione progettuale dinanzi ad una produzione indefinita di alternative possibili, una traiettoria comune lungo la quale coniugare le attese di conservazione con l’innovazione e coi processi di sviluppo di un territorio” (Finotto, 2007). Riferimenti bibliografici Fabbri, P. (1997), Natura e cultura del paesaggio agrario: indirizzi per la tutela e la progettazione, CittaStudiEdizioni, Milano. Finotto, F. (2007), La struttura del paesaggio agrario: strumento operativo e metodo di progettazione, in «Quaderni della Ri-vista, ricerche per la progettazione del paesaggio», volume I, pp. 142-161. Lanza, A. (2003), I paesaggi italiani, Meltemi, Roma. Peraboni, C. (2013), Temi per il progetto di paesaggio, in Lanzoni, C. Marzorati, P. Peraboni, C. (2013, a cura di), Attraverso paesaggi complessi: percorsi nel territorio mantovano, Maggioli, Santarcangelo di Romagna. Sereni, E. (2007), Storia del paesaggio agrario italiano, XIV ed., GLF editori Laterza, Roma. Sereno, P. (1981), L’archeologia del paesaggio agrario: una nuova frontiera di ricerca, in Gambi, L. (1981, a cura di), Campagna e industria. I segni del lavoro, Touring Club Italiano, Milano. Turri, E. (2000), La megalopoli padana, Marsilio, Venezia. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 20 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Turri, E. (2001), L’immagine della pianura lombarda: gli elementi dell’identità, in Turri, E. et al (2001, a cura di), Gli iconemi : storia e memoria del paesaggio, Electa, Milano. Riferimenti iconografici Figura 1: aratura, di Morandi G. (1998). Figura 2: sistema urbano e mosaico agricolo, da La campagna necessaria: un’agenda d’intervento dopo l’esplosione urbana, Agnoletto, M. Guerzoni, M. (2012, a cura di), Quodlibet, Macerata. Figura 3: il Po a villa Saviola, di Gorgoni R. (1995). Figura 4: tra Cremona e Mantova, di Quiresi E. (1996). Figura 5: roggia, di Berengo Gardin G. (1984). Figura 6:Cascina, di Jodice M. (2001). Figura 7,8,9 : il Thames Landscape Strategy, tratto da http:// thames-landscape-strategy.org.uk/tlsreview, ultimo accesso 6 marzo 2014. Sitografia Thames Landscape Strategy, the review of the Thames Landscape Strategy, http://thames-landscape-strategy.org. uk/tlsreview, ultimo accesso 6 marzo 2014. Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Chiara Paiola, Una possibile risposta al mantenimento dei caratteri storico-identitari del territorio rurale: la messa in rete dei suoi elementi, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index. html, pagg. 12 - 20 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO Piccoli elementi di urbanità nel territorio: le potenzialità degli insediamenti isolati nel progetto di paesaggio| Small urban elements in the territory: the potencial of isolated settlements in the landscape project Alessia Lupi* abstract abstract Gli insediamenti isolati di cui è costellato il territorio italiano, come i centri urbani minori, i borghi storici e le corti rurali, sono piccoli elementi di urbanità strettamente legati al paesaggio che li circonda. Le potenzialità di questi luoghi, spesso indipendenti rispetto ai contesti urbani, riguardano la loro possibile messa in rete nel territorio e con il territorio a cui appartengono, valorizzandone il carattere storico ed identitario che svolgono all’interno del paesaggio. Small towns, historical villages and rural courts are small urban elements closely linked to the landscape that surrounds them. These isolated settlements dot the italian territory and are not often related to urban areas. The potencial of these places is their networking in the territory and into the territory they belong to. The networking enchanse the historical and identifying features that these places represent within the landscape. parole chiave key-words insediamenti isolati, elementi paesaggio, progetto di rete identitari del isolated settlements, landscape elements, networking project * Dottoressa in Architettura, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ indentifying 22 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Introduzione Storici, geografi, naturalisti, oltre a poeti e scrittori, da sempre hanno identificato un dato caratteristico del nostro paese: la varietà del paesaggio. La diversità e la qualità del suo territorio lo rendono unico ed incredibilmente complesso, sia dal punto di vista della sua comprensione che della sua pianificazione. “Questo paesaggio costituito da microcosmi è stato accompagnato nella storia (…) da un’opera dell’uomo che ne ha esaltato la natura del dettaglio. Elementi puntuali, distintivi di un ‘identità locale fatta di culture tese alla differenziazione, caratterizzano i siti, con netta definizione dei caratteri” (Gabrielli, 1996). Proprio l’equilibrio tra la morfologia del territorio e le opere di antropizzazione ha prodotto un paesaggio di notevole valore; fino a quando l’opera dell’uomo è stata in grado di fornire valore aggiunto all’opera della natura, nella giusta dimensione (De Matteis, 1996). Oggi questo equilibrio è andato perso, vittima delle nuove urbanizzazioni all’interno del territorio rurale e di nuovi interventi infrastrutturali e produttivi che si sono sovrapposti al sistema esistente senza un dialogo col contesto stesso. Nonostante la progressiva occupazione dei terreni da parte dell’urbanizzato, molti di questi microcosmi conservano ancora ben riconoscibile la loro struttura originaria, e con essa l’immagine identitaria del territorio. Ne è un esempio l’ambito padano, caratterizzato dalla permanenza della centuriazione romana, che continua a sostenerne l’immagine e costituisce la ragione della localizzazione di gran parte dei suoi centri. All’interno di esso si può rilevare la presenza di elementi urbani sparsi nel territorio rurale che ancora ne caratterizzano il paesaggio: è questo il caso di piccole località, borghi storici, cascine e corti rurali che ne costellano il territorio. Questi elementi di urbanità sono profondamente connessi con il paesaggio di cui fanno parte, in quanto si sono formati ed evoluti insieme ad esso. Per questo possono costituire il punto di partenza attraverso il quale recuperare il rapporto tra paesaggio ed azioni antropiche, attraverso il loro ripensamento all’interno del sistema, rivalutandone il ruolo e la composizione e, soprattutto, riconoscendoli nell’ambito di un progetto di rete nel territorio ed in sinergia con lo stesso. La messa in rete di elementi e polarità può essere considerata una risposta progettuale valida all’interno di progetti di paesaggio a diverse scale; le interazioni e le interdipendenze che possono scaturire tra i vari elementi possono contribuire a valorizzarne le risorse naturali, storiche e culturali intrinseche, in un’ottica di relazione tra il piccolo elemento e la complessità del sistema paesaggio; non considerando il territorio come immutabile, ma guidandone l’evoluzione mantenendo i rapporti più rilevanti col passato. Una rete di poli rurali: dai modelli interpretativi di sistema all’ambito locale Il territorio padano è percepibile come un unico e specifico sistema con proprie caratteristiche di riconoscibilità nel territorio nazionale per aspetti morfologici, sociali ed economici. Volendolo osservare in maniera più approfondita come ambito locale, però, si può notare come esso non sia così omogeneo e presenti innumerevoli sfaccettature. Le condizioni morfologiche sono varie, non solo per ciò che riguarda gli insediamenti antropici, ma anche in rapporto alle eredità lasciatevi dalle situazioni naturali più antiche. Il paesaggio padano, infatti, manifesta una grande varietà di ambienti, tutti caratterizzati dalla presenza di grandi opere di regimentazione idraulica. Inoltre si distingue per una elevata qualità paesistica e, nonostante la progressiva occupazione dei terreni da parte dell’urbanizzato, la sua struttura originaria è ancora ben visibile. Il geometrismo del paesaggio padano deriva dalla centuriazione romana, e il suo ordine si è in gran parte conservato perchè ad esso si legava la distribuzione della proprietà. Su di esso è stato impostato tutto l’assetto del territorio, non solo la colonizzazione della pianura, che si realizzò con la costruzione di strade minori e di centri legati alla centuriazione; ma anche la creazione di grandi assi viari e di città nodali, ancor oggi individuabili. Con l’affermazione delle città comunali, poi, si è andato definitivamente a costituire un sistema urbano-territoriale che si assesta secondo le formule christalleriane (Christaller, 1933), cioè su basi regolari, geometriche e su rapporti di gerarchia tra i nodi. In sostanza, un certo numero di città mediopiccole governano una rete di città di piccole dimensioni, formate dall’aggregazione di corti di diverse dimensioni. Questa struttura territoriale fondata su una fitta rete di centri gerarchizzata è sostanzialmente quella originaria dell’organizzazione agricola legata alle cascine, cellule elementari del sistema territoriale (Turri, 1998). Oggi questa struttura territoriale fondata su centri gerarchicamente diversificati che aveva alla sua estremità la cascina non si giustifica più e, pur avendo conservato alcune caratteristiche del suo assetto, la sua forma e il suo funzionamento si sono modificati, soprattutto in conseguenza al fenomeno dello sprawl e alle nuove urbanizzazioni di tipo produttivo ed infrastrutturale. Ne sono un esempio gli ambiti urbani disposti secondo un modello bipolare attestato lungo la rete infrastrutturale: è questo il caso dei poli di Casalmaggiore-Viadana Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | e di quelli gravitanti lungo l’asse Mantova-GoitoCastiglione delle Stiviere. In particolare il nuovo territorio della città diffusa si arricchisce di centri di governo e di poli di eccellenza, che si collocano nei centri di media e piccola dimensione esistenti al proprio interno e vedono una nuova “capacità di protagonismo di innumerevoli insediamenti minori associati da reti di relazioni plurime che nascono dal basso” (Clementi, 1996). In questo modo il territorio tende a de-gerarchizzarsi e i flussi di persone, merci e informazioni diventano multipolari. Questo implica che il territorio, pur mantenendo la sua struttura reticolare, vede il modificarsi della gerarchia dei suoi elementi, in una gerarchia di tipo “soft” (Indovina, 2009). Il sistema reticolare conserva alcuni dei suoi nodi e ne include di nuovi rivalutandone il ruolo all’interno del sistema stesso. Il mutamento del sistema ha determinato un cambiamento del paesaggio che si presenta ora molto “più ricco e articolato, denso di funzioni ed esasperato nella sua mobilità. Un paesaggio dove si possono notare: città grandi, medie e piccole, insediamenti sparsi e piccoli borghi, zone industriali-artigianali, ma anche attività produttive sparse, strade mercato e poli di specializzazione commerciale, aggregati per il divertimento, poli sportivi, centri di governo e poli di eccellenza non concentrati ma sparsi in tutto il territorio, insediamenti di edilizia economica popolare, aree agricole, campi abbandonati…”(Indovina, 2009). È questo lo scenario dell’arcipelago metropolitano di Indovina, ma anche della megalopoli padana di Turri; un sistema costituito da entità separate ma fortemente integrate, che esprimono livelli e funzionalità di una metropoli (Indovina, 2009; Turri, 2000). La peculiarità di questa megalopoli è quella di essere ancora fortemente caratterizzata dalla presenza di un territorio rurale. Il sistema urbano padano è, infatti, secondo l’interpretazione proposta da Insor1, costituita da poli rurali (e ruralissimi) che però risultano avere diversa rilevanza all’interno del territorio in maniera non strettamente legata alla percentuale di superficie verde del comune e della densità abitativa. Ciò mette in luce come l’importanza dei poli non dipenda solo dalla popolazione e dalla struttura dell’insediamento urbano, e che pur essendo “rurali”, hanno comunque una loro rilevanza dal punto di vista urbano. Questo avviene perché i poli sono parte di un sistema più ampio, di una rete, in cui ogni comune ha un ruolo particolare, spesso legato ad una specifica funzione. La rete riguarda i vari comuni, ma anche i diversi poli presenti all’interno dei comuni stessi, che interagiscono tra loro pur mantenendo una loro 23 identità. Spesso, infatti, all’interno di uno stesso territorio comunale possono esserci diverse frazioni e località, anche di dimensioni rilevanti; ne è un esempio il comune di Asola nel mantovano, il cui ambito urbano comprende il capoluogo, sei frazioni e venti località. Per capire il funzionamento del sistema urbano territoriale unitario occorre guardare al locale; se si considera la reticolarità del sistema, bisogna guardare ai nodi. Come osserva De Matteis “solo reintroducendo l’autonomia del locale, senza tuttavia ignorare la potente azione delle reti globali, possiamo aspirare a rappresentazioni sensibili del mondo moderno” (De Matteis,2011). Il rischio in cui non si deve incorrere tramite l’astrazione dei modelli insediativi reticolari come quello padano, è quello di considerare i poli come dei semplici bolli, bensì come luoghi, tenendone presente tutte le caratteristiche e peculiarità. Il senso di appartenenza di questi luoghi ad un sistema più ampio non deve far appiattire le loro differenze e il significato della loro individualità. “Si tratta di contribuire alla costruzione di una nuova immagine del territorio al tempo stesso globale ma anche di grana fine, capace di dare conto del funzionamento aggregato delle diverse parti che emergono dalla ristrutturazione in corso ma anche capace di restituire la particolarità delle situazioni specifiche, colte a una scala di dettaglio molto spinto. Un ‘immagine che sappia restituire adeguatamente quella cultura delle molteplicità che da sempre fa la ricchezza del nostro paese. Dove la felice combinazione locale tra l’ambiente fisico, l’eredità della storia e il capitale culturale esistente sembra essere la risorsa decisiva non solo per la coesione del sistema sociale ma anche per il suo successo all’interno dei moderni circuiti dell’economia globale” (Clementi, 1996). Tentando di perseguire questo obiettivo di coniugare il sistema all’ambito locale, alcuni elementi spesso esclusi o non considerati nella giusta misura nell’ambito pianificazione urbana e del territorio potrebbero avere un ruolo decisivo nell’ottica del progetto di paesaggio: gli insediamenti isolati. Essi sono gli elementi urbani di dimensione più piccola e di minor rilevanza demografica, ma spesso di una certa rilevanza dal punto di vista culturale, storico e identitario. A partire dalle cascine e dalle corti rurali, elementi urbani alla base del sistema agricolo storico, fino ad arrivare ai borghi storici e ai centri urbani minori con funzioni speciali o di carattere artistico, essi potrebbero assumere il compito di costituire un’alternativa all’invadenza delle infrastrutture e al dilagare del costruito. “Un’alternativa che si sostiene sul loro essere ambienti urbani preziosi, autentici musei en plein air in grado di riverberare la propria Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 24 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio qualità estetica su ampie zone del loro territorio. Questo è il modo per far sì che la chiarezza della struttura morfologica dell’Italia non costituisca più un problema ma ridiventi una risorsa”( Purini, 1996). Piccoli elementi di urbanità: una risorsa del paesaggio rurale Tali elementi urbani costituiscono una grande risorsa per il paesaggio rurale, per la valorizzazione della ricchezza e della diversità, che è il tratto distintivo del territorio padano e italiano. Sono elementi preziosi perché in essi si conserva ancora quell’idea di immagine del paesaggio padano che tanto ha ispirato scrittori, poeti, fotografi e registi. È questa infatti l’immagine a cui fanno riferimento foto di Luigi Ghirri e Mimmo Jodice, film come “Novecento” di Bertolucci o “Senso” di Luchino Visconti, testi di scrittori come Goethe nel suo “Viaggio In Italia”. Ciò mette in luce quanto sia importante l’aspetto legato all’immagine e alla carica simbolica di questi paesaggi: in esso è contenuta la loro identità e la loro memoria. (fig. 1) Altro aspetto da mettere in risalto è il loro stretto legame col paesaggio a cui appartengono, che in alcuni casi sono riusciti a conservare fino ad’ora. Come è stato evidenziato in precedenza la ricchezza del territorio sta nella varietà dei suoi paesaggi e dei sui centri nodali e nell’immagine ancora fortemente legata al suo passato rurale. Questa varietà del territorio ha influenzato anche gli elementi legati all’uomo e alle attività che hanno plasmato il territorio in senso cattaneo e che si sono esplicitate nel paesaggio in forme percepibili, iconemi, unità elementari della percezione (Turri, 2001). In questo senso, per quanto riguarda il rapporto tra i piccoli insediamenti urbani e il paesaggio, abbiamo “una varietà di situazioni locali corrispondenti a unità di paesaggio, cioè spazi omogenei definibili anche come micro regioni”(Turri, 1998). È proprio a queste micro regioni a cui vogliamo fare riferimento per meglio analizzare il tema degli elementi isolati del territorio padano. Noteremo infatti che ogni tipologia di elemento urbano puntuale è correlata ad uno specifico paesaggio, in cui sta la ragione della sua formazione e che trae significato e qualità estetica dall’elemento stesso. Noteremo inoltre che questi elementi, come abbiamo evidenziato in precedenza, sono molto spesso permanenze del passato rurale del territorio, formatesi ed evolutesi insieme ad esso; proprio per questo motivo in molti casi sono riusciti a mantenere i forti caratteri di relazione col contesto ed il loro carattere identitario. Cercheremo di individuare ed analizzare i piccoli elementi urbani distintivi del territorio seguendo, per alcuni versi, la lezione braudeliana (Braudel, 1995), partendo dalle tipologie di dimensione maggiore e arrivando alle tipologie più elementari, descrivendole in rapporto al contesto che li circonda e alle loro origini storiche. I primi elementi su cui rivolgere l’attenzione sono i centri urbani minori: cittadine, frazioni, piccole località. Essi hanno la stessa struttura concentrata delle città, ma non sono caratterizzati dalla sua densità di popolazione e dalle sue dimensioni. Nonostante questo, come le città, si raccolgono intorno ad una piazza, a chiese col loro campanile o ad edifici storici, spesso degni di rilevanza. Questi elementi oltre a raccontare il loro passato hanno una forte carica simbolica, “impongono nel paesaggio la forza della città”(Turri, 2001). Il campanile, in particolare, è il primo segno di urbanità all’interno del paesaggio, a poter esser visto da lontano. Questi ambiti sono rilevanti, inoltre, perché hanno promosso la valorizzazione e la trasformazione delle campagne circostanti. Esempi di questi centri minori sono, ad esempio, Sabbioneta e Pomponesco nel Mantovano; nonostante le piccole dimensioni sono centri di indiscussa rilevanza a livello territoriale per il loro valore estetico, storico e culturale. (fig.2,3) Come si pongano i centri minori nell’ordine territoriale è evidente dalla loro stessa struttura, che è fortemente correlata alla morfologia del territorio, alla sua idrografia e alla trama delle strade. In conseguenza a ciò possiamo notare come nell’alta pianura la loro struttura sia quasi sempre meridiana, con centri disposti lungo i percorsi viari o lungo i gli elementi idrografici. Nella bassa pianura, al contrario, l’organizzazione degli spazi avviene seguendo una trama prevalentemente trasversale (in relazione agli stessi fattori), ma in cui vi sono eccezioni di centri storici con funzioni speciali che si sviluppano anche con una trama opposta a quella prevalente (Turri, 2001). Altri elementi di piccola urbanità sono i borghi storici fortificati, spesso associati indissolubilmente all’elemento del castello, apparato difensivo e quindi con una funzione bellica, ma anche con funzioni simboliche, del potere e del possesso territoriale. È notevole il concentrarsi di complessi castellani arroccati a scopo difensivo sulle colline che delimitavano il confine dei ducati, come ad esempio quelli che perimetravano il confine del Ducato di Mantova nella parte settentrionale della provincia. In altri casi sistemi di borghi si ponevano lungo linee naturali difensive, come i corsi dei fiumi, ne sono un esempio i borghi franchi fortificati che si ritrovano lungo il corso dell’Oglio e dell’Adda, che rappresentavano una forma di occupazione e di popolamento dei territori, prima ancora del loro Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 25 Figura 1. L’immagine e la carica simbolica dei paesaggi del territorio padano Figura 2. Sabbioneta è un chiaro esempio di come centri urbani minori possano avere una rilevanza a livello territoriale; gli edifici del suo centro storico hanno un elevato valore dal punto di vista storico, culturale ed estetico scopo difensivo. I castelli (o le loro rovine), quasi sempre di origine medievale, costituiscono elementi storici permanenti, rappresentando spesso una sorta di icona, posti come sono, quasi sempre, su alture che dominano il borgo storico sottostante. (fig. 4,5) Spesso erano legati a famiglie importanti, come gli Sforza o i Gonzaga, rappresentandone il nome, lo stile e i princìpi. Nei secoli successivi la manifestazione del potere sul territorio che era rappresentata dal castello, viene assunta dai palazzi e dalle residenze signorili di impronta urbana, ancora più rappresentativi delle grandi famiglie che li possedevano e delle città da sui territorialmente dipendevano. Questa forma urbana non è più legata al paesaggio collinare o agli elementi fluviali, al contrario vede come suo scenario ideale il paesaggio rurale della bassa pianura. Infine vi è l’elemento urbano basilare del territorio rurale: la cascina. Come la definisce Turri “essa è insediamento e centro di produzione, fulcro dei micro territori, delle cellule territoriali elementari, e raccordo reticolare su cui si costruisce il territorio, la trama organizzata delle strutture produttive e insediative” (Turri, 2001). La cascina è l’elemento più intimamente legato al territorio a cui appartiene, per questo assume aspetti differenti in base al contesto specifico, alle micro regioni, di cui fa parte. Ciò dipende dalla sua origine e dalle corrispondenti forme dell’organizzazione produttiva. Nella pianura si contrappongono, in generale, due ordinamenti che si sono progressivamente differenziati nel tempo. Nei territori della bassa pianura, sulla scorta di una secolare vicenda di colonizzazione e bonifica, si è diffusa “un’impresa di tipo capitalista organizzata in grandi cascine a corte” (Lanzani, 2003). Gli elementi distintivi del paesaggio sono i grandi insediamenti a corte dispersi nelle campagne; l’orditura geometrica e ampia delle parcelle solcate da una fitta rete di canali, l’alberatura ai limiti dei campi e a fianco dei canali e la presenza di piccoli borghi di servizio o di città storiche medie. (fig. 6,7) Nella pianura asciutta (ma anche in quella irrigua più recentemente bonificata) troviamo un paesaggio e una struttura agraria di origine mezzadrile, con un ordinamento più geometrico e un insediamento misto, talvolta assai disperso nelle campagne (nel Veneto) talvolta concentrato in una fitta rete di borghi (in Lombardia) più rivolti ad attività manifatturiere che agricole. Negli insediamenti dell’area orientale vi sono dimore unifamiliari con rustici e abitazioni giustapposte tra loro; negli insediamenti concentrati lombardi sono presenti edifici a corte, che differiscono da quelli della bassa non solo perché concentrati nei centri anziché dispersi nelle campagne, ma anche per le dimensioni, funzioni e articolazioni differenti, caratterizzati da un più povero sistema di annessi rurali e dalla residenza di un’unica classe sociale (Lanzani, 2003). Gli insediamenti paesaggio isolati nel progetto di Gli elementi che abbiamo cercato di descrivere sono quelli da cui è possibile partire per pensare ad un progetto di paesaggio che mantenga il proprio rapporto con la storia e che si relazioni con il sistema territoriale e urbano, oltre che sociale, esistente. Il territorio padano pur essendosi fortemente modificato nell’ultimo secolo, è riuscito a mantenere ancora ben visibile la sua struttura originaria e a conservare la sua immagine. Non si può prescindere il paesaggio dalla memoria, per questo è importante Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 26 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 3. Sabbioneta ha mantenuto la sua struttura originaria di città fortificata e il suo rapporto col paesaggio circostante Figura 4. Il borgo di Castellaro Lagusello e la campagna che lo circonda che gli elementi iconemici che si sono conservati, a partire dalla centuriazione romana che li ha generati, vadano conservati ed inclusi all’interno della progettazione del territorio, per dare un significato preciso alle politiche di pianificazione (Turri, 1998). Ovviamente questo intento va perseguito in un’ottica di paesaggio in continua trasformazione, che non può essere pensato come immutabile; per questo non è possibile (né sarebbe corretto) salvaguardare tutto. Ma richiamando Lynch, occorre comunque salvaguardare un frammento, il ricordo di oggetti e di luoghi che hanno contato per le generazioni passate. Occorre salvaguardare nel paesaggio la continuità sulla quale si costruisce la storia della società (Lynch,1977), mantenere perciò dei richiami, dei riferimenti del passato al fine “di conservare un dialogo” con esso. Perché ciò avvenga, non bisogna cadere nell’errore di guardare ai singoli elementi di cui abbiamo parlato, ma vederli all’interno del sistema di rete di cui fanno parte, comprendendo il territorio che ne è la trama strutturante. I progetti di paesaggio, infatti, devono essere necessariamente progetti di relazione, sia con gli altri elementi che col sistema territoriale che li sottende. Inoltre devono tenere conto delle persone che abitano questi luoghi: non più solo contadini e agricoltori strettamente legati al territorio dalla loro attività lavorativa, ma anche famiglie in cerca di luoghi più spaziosi e più a contatto con la natura che svolgono la loro attività lavorativa altrove e persone che vi risiedono in maniera temporanea. In questo sistema di rete e di relazioni l’aspetto progettuale più importante è quello che riguarda il tema della composizione, che rifacendoci alle lezione di Kevin Lynch potremmo definire come “una gerarchia visiva o funzionale: un’individuazione sensibile dei canali chiave e la loro unificazione come elementi percettivi continui. Questo è il telaio per l’immagine urbana” (Kevin Lynch, 1975). Bisogna guardare cioè ai sistemi che legano gli elementi strutturando il territorio, a quali sono i loro ruoli e i loro legami all’interno di “visioni sistemiche capaci di contenere una pluralità di elementi di progetto” (Peraboni, 2013). Il frammento e la discontinuità sono le figure dominanti dell’ambiente urbano contemporaneo. Ripensare le logiche di composizione delle parti nell’aggregazione di un territorio già fortemente infrastrutturato pone in luce il valore processuale di un modello compositivo che si pone il problema di lavorare con la frammentarietà senza rifiutarne il ruolo innovativo nella costruzione dello spazio urbano. Verranno proposte quindi alcune possibili azioni progettuali attraverso le quali si possano includere e strutturare gli insediamenti isolati all’interno di un progetto di rete. La prima azione è sicuramente quella di individuare questi frammenti, gli elementi all’interno del paesaggio che ne costituiscono una peculiarità, un elemento caratteristico, all’interno delle tipologie che abbiamo descritto in precedenza. Questi elementi possono svolgere un ruolo di strutturazione del paesaggio attivo, o semplicemente un’azione di supporto all’interno del sistema, come semplici elementi riconoscibili a livello visivo. Per affidare il giusto ruolo ad ogni nodo del sistema le azioni di riferimento sono quelle di gerarchizzare, individuando alcuni ambiti all’interno del sistema che possano costituire luoghi emergenti; polarizzare, attraverso l’individuazione di ambiti guida rispetto al sistema di appartenenza, e infine di orientare, tramite la forma del tessuto urbano o con i percorsi esistenti o di progetto, verso elementi rilevanti del Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 27 Figura 5. I campi e i filari alle pendici di Solferino Figura 6. Non è raro trovare cascine con tanto di torri d’angolo, circondate da canali e filari d’alberi, che ne esaltino il senso di chiusura verso l’esterno. Un esempio è la torre di villa Ponzone a Rivarolo del Re, Cremona. territorio. La ridefinizione di gerarchie tra le parti della città permette di configurare, al posto di un indifferenziato tessuto costellato da elementi isolati, una struttura forte con nodi riconoscibili. La rigerarchizzazione è avviata a partire dall’identificazione di polarità a differente rilevanza urbana strategica, in termini sia di funzioni attive sia di ruolo nel contesto urbano e all’orientamento del tessuto urbano e dei percorsi lineari verso elementi rilevanti da mettere in relazione col sistema gerarchico. L’individuazione di elementi visivi nel territorio, landmarks con una valenza identitaria e memoriale per il paesaggio, va a costituire un sistema di supporto alla rete. In questa categoria non vanno pensati solo gli elementi emergenti dal punto di vista visuale, ma anche elementi antropici e naturali dal profilo più orizzontale, quali grandi alberi isolati, rogge, specchi d’acqua che possano diventare punti di riferimento significativi all’interno della rete (Peraboni, 2013). (fig.8) Tutte queste azioni devono essere attuate con estrema consapevolezza del territorio su cui la rete si struttura, cercando il più possibile di seguire la trama dei campi, i percorsi storici esistenti, i filari di alberi e i percorsi fluviali e di rispettare e valorizzare le permanenze esistenti; pur tenendo conto dei flussi di persone, delle loro attività e dei loro bisogni, che incidono sull’ambito agricolo e periurbano. La loro modalità di abitare il territorio è diversa da quella di chi vi risiedeva in passato, per questo vanno ricercati nuovi rapporti tra la sfera sociale e quella ambientale. Tali azioni vanno, perciò, pensate nell’ottica di poter ancor oggi considerare la campagna come “uno spazio alternativo allo spazio urbano, cioè spazio verde, quindi un unico grande parco, nel senso di parco agricolo”, in quell’idea di possibile rinascita del triangolo verde proposta da Turri (Turri, 1998, 2004). Uno spazio in cui all’interno del tessuto rurale debbano essere necessariamente compresi e strutturati elementi di diverso genere e con funzioni differenti per ricreare un nuovo spazio vivo, che funzioni proprio grazie alla varietà dei suoi elementi e alle loro relazioni. La sfida di questo possibile progetto di rete è quella di evitare che le nuove dinamiche si sovrappongano a quelle esistenti senza instaurare con esse la giusta relazione. I parchi agricoli e urbani, le reti delle cascine, i sistemi storici-paesaggistici sono i temi tramite i quali si può pensare a questo tipo di progetto di paesaggio, ripensando l’ambiente per mezzo dei suoi elementi e puntando sulla qualità dei luoghi. Tali progetti devono sempre poggiare le loro basi su analisi e progetti a scala sovralocale, che ne garantiscano l’adeguato inserimento ed interazione col contesto territoriale e paesaggistico in cui si trovano; per poi poter sviluppare un progetto locale che sia coerente con l’individualità del luogo e sensibile verso i propri elementi di diversità, in cui risiede la ricchezza del territorio e la potenzialità del progetto di paesaggio. Riferimenti bibliografici Braudel, F. (1995), L’identità della Francia, Il Saggiatore, Milano. Christaller, W. (1933), Die zentralen Orte in Suddeutschland, Gustav Fischer, Jena. Clementi, A. et al. (1996), Le forme del territorio italiano, Laterza, Bari. De Matteis, G. & Lanza, C. (2011), Le città del mondo: una geografia urbana, De Agostini Scuola, Novara. Indovina, F. (2009), Dalla metropolitano, Angeli, Milano. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ città diffusa all’arcipelago 28 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 7. In alcune corti oltre agli elementi funzionali, si possono ritrovare anche elementi di sola valenza architettonica, ispirati ad elementi urbani. Corte Castiglioni a Casatico (Mantova) ne è un esempio, la sua struttura è caratterizzata da una torre poligonale Figura 8. Filari di salici nel cremonese. Anche questi elementi naturali caratteristici del territorio potrebbero essere importanti riferimenti percettivi all’interno del progetto di paesaggio Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 29 Lanzani, A. (2003), I paesaggi italiani, Meltemi Editore, Roma. Lynch, K. (1977), Il tempo dello spazio, Il Saggiatore, Milano. Lynch, K. (1975), L’immagine della città, Marsilio Editori, Venezia (ed. or. 1960). Peraboni, C. et al. (2013), Attraverso paesaggi complessi, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna. Turri, E. (1998), Il paesaggio come teatro: dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio Editori, Venezia. Turri, E. (1998), Molti e complessi i paesaggi della pianura lombarda, in Negri, G. et al (1998), Comprendere il paesaggio: studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano. Turri, E. (2000), La megalopoli padana, Marsilio Editori, Venezia. Turri, E. (2001), Gli iconemi: storia memoria del paesaggio, Electa, Milano. Riferimenti iconografici Figure 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8: fotografie di Alessia Lupi, 2014. _________________________________________ 1 L’Istituto nazionale di sociologia rurale ha proposto una definizione che identifica il rurale come un’area caratterizzata dalla preponderanza di superficie verde su quella edificata. Tale definizione è stata messa a punto nella convinzione che la densità di abitanti per km2 considerata come parametro principale dall’Ocse e precedentemente dall’Istat, tendono a equiparare la ruralità a una condizione di sottosviluppo e falliscono rispetto al tentativo di cogliere la complessità dei fenomeni esistenti nei territori rurali. Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Alessia Lupi, Piccoli elementi di urbanità nel territorio: le potenzialità degli insediamenti isolati nel progetto di paesaggio, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http:// www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.html, pagg. 21 - 29 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO Riflessioni sull’architettura rurale: il ruolo della cascina nel progetto di paesaggio | Thoughts on rural architecture: the role of the farmsteads in the landscape project Ana Zilo* abstract abstract Le cascine rappresentano un patrimonio di architettura territoriale dove è possibile leggere la funzionalità e l’organizzazione dell’agricoltura passata. Esse si inseriscono nel paesaggio elevandone la qualità, nella loro complessità tipologica e formale, risultato di affinamenti secolari. Il territorio e le cascine sono due elementi intimamente interconnessi; si parla del manufatto edilizio come organismo inserito in una realtà paesistica, dove svolge il ruolo di nodo della maglia territoriale. The farmsteads represent an asset of local architecture from which it is possible to extrapolate the functionality and the organization of the past agriculture. They fit into the landscape increasing its value, in their formal and typological complexity, as a result of secular refinements. The territory and the farmsteads are two strictly interconnected elements; the building is known as an organism placed into a landscape reality, where it plays the role of tangle of the territorial net. parole chiave key-words cascina, architettura territoriale rurale, nodi della maglia farmsteads, agricultural buildings, tangle of the territorial net * Dottoressa in Architettura, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | Il paesaggio è il punto di equilibrio di un insieme di variabili naturali e umane, e in funzione di tutte queste variabili si configura come un’entità dinamica in continuo divenire. Il termine paesaggio, nel tempo, ha acquisito almeno tre significati fondamentali: il senso che gli attribuiscono gli artisti, quello che gli hanno conferito i geografi, e quello attribuito dai pianificatori del paesaggio. La sua rilevanza è affermata dalla Convenzione Europea del Paesaggio che specifica come il “paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni”; questa è stata una delle prime modalità di approccio al tema con una chiave interpretativa ereditata dal paesaggio pittorico, ma è opportuno soffermarsi sul significato di paesaggio come “bene culturale”, frutto del recente cambiamento della sensibilità collettiva nei confronti dell’ambiente. La concezione più ampia di paesaggio culturale lo fa coincidere con il paesaggio modificato dall’azione umana, il risultato fisico del cambiamento derivante da processi ecologici e sociali (Zerbi, 1998). Il paesaggio agrario rientra in questa descrizione, in quanto definito come quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente ha impresso al paesaggio naturale (Sereni, 1982). L’occupazione del territorio da parte dell’uomo per l’attività agricola ha generato perciò una serie di segni paesaggisticamente di grande rilevanza in quanto ricchi di un notevole valore informativo. Questo complesso di segni genera la tessitura percettiva oltre che funzionale del paesaggio agrario, all’interno del quale si inseriscono altri elementi (Fabbri, 1997). Quando si parla di architettura rurale, è quindi opportuno parlarne come parte della più grande architettura del paesaggio, in quanto l’architettura rurale e il paesaggio sono due elementi intimamente interconnessi. L’approccio al tema dunque deve partire dal manufatto edilizio inteso come organismo architettonico inserito in una realtà paesistica che lo ingloba e che ne è allo stesso tempo caratterizzata e qualificata. Uno dei segni distintivi del paesaggio agrario è rappresentato dalle cascine, definite da Eugenio Turri iconemi, un leit motiv della pianura lombarda e della sua identità. Questo manufatto è sia insediamento che centro di produzione, fulcro delle cellule territoriali elementari, e raccordo reticolare su cui si costruisce il territorio. Le cascine costellano le campagne, e sono i “nodi della maglia territoriale” che caratterizza l’agricoltura lombarda (Casati, 2004). fig. 1 Il disegno tracciato dalla maglia territoriale è immediatamente individuabile, anche se sottoposto agli sconvolgimenti causati dai segni dell’urbanizzazione e delle grandi opere infrastrutturali; le cascine rappresentano dei veri e 31 propri punti focali, e con la loro presenza sottolineano la presa di possesso del territorio da parte dell’uomo. Questi manufatti sono esempi di un rapporto e di una stretta relazione tra tipologia edilizia e organizzazione produttiva dei campi all’intorno. Le diverse distinzioni tipologiche sono legate a questa stretta relazione, che si è espressa attraverso forme generalmente elementari e dettate da vari condizionamenti, geografici, storici ed economici, risultato di un lungo processo evolutivo che ne ha prodotto nel corso dei secoli l’ottimizzazione e l’ha reso un manufatto in perfetto equilibrio, in armonia, con il paesaggio agricolo in cui è incluso. La cascina della Pianura Padana La bassa pianura lombarda ha i suoi elementi distintivi nella ricchezza della sua economia agricola, nell’originalità del suo sistema produttivo, e nei singolari connotati del suo paesaggio agrario, dominato dalle colture estensive di cereali e foraggere; pur determinata da un’unica condizione geomorfologica, dal dominio di condizioni idrografiche e pedologiche tendenzialmente uniformi, non mancano gli ambiti rurali di pregio, aree in cui le trame e le tessiture costituiscono un elemento strutturale e paesaggistico significativo (Lanzoni,2014). La nota dominante del paesaggio lombardo è il suo geometrismo, le prospettive che creano i rettangoli coltivati con le loro orlature di alberi. Il geometrismo deriva dalla centuriazione romana, e il rispetto per il suo ordine si è conservato spesso perché a esso si legava la distribuzione delle proprietà. Fig.2 I grandi eventi della storia hanno plasmato il territorio, e nella Pianura Padana, dalla seconda metà del Settecento, l’entità degli investimenti capitalistici nell’economia terriera ha causato la crisi dell’economia mezzadrile, e le conseguenze della “ rivoluzione agronomica” hanno impresso, allo sviluppo del capitalismo nelle campagne, un ritmo ed uno slancio notevole. La classe che qui appare come protagonista della “rivoluzione agronomica” è quella dei grandi e medi affittuari capitalisti, che assumono una parte decisiva nell’impresa agraria di queste provincie. Tra le nuove forme del paesaggio agrario, che tendono ad affermare il loro predominio nella Pianura Padana, quella che assume in sé il risultato di tutto il processo storico in esame è quella della “cascina”, il nuovo centro aziendale della grande affittanza capitalista, che diviene il centro di riorganizzazione di tutto il paesaggio agrario. Su settori sempre più larghi della Pianura Padana, ormai dalla seconda metà del Settecento alla prima metà dell’Ottocento, non è più l’azienda signorile, con la sua tradizionale ripartizione in poderi mezzadrili, che determina le linee di tale struttura, segnate Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 32 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 1. Regolarità geometrica della trama dei campi coltivati che funge da filo che unisce il paesaggio di ieri a quello di oggi. La cascina si dispone come nucleo centrale del tessuto agrario. Verrua Po (PV), Italia, Fossati Vittore (1954) Figura 2. L’immagine della cascina è sempre accostata a strade, fossati, filari alberati. Cascina Riposo, Luigi Ghisleri, 1970 dal percorso dei confini poderali e punteggiate dalle sparse dimore coloniche; ma subentra l’unità culturale della cascina, adeguata alle nuove esigenze tecniche ed economiche di un’agricoltura che dalla fase artigianale passa a quella della manifattura, con considerevoli importi di capitali fissi e circolanti e con l’impiego normale di mano d’opera salariata. Il rinnovamento delle forme del paesaggio agrario, dei tipi aziendali e dei rapporti di produzione all’interno delle aziende stesse, che sono inerenti a queste trasformazioni del sistema agrario, assumano uno slancio ed un rilievo particolare in quei settori della Padania dove ad accelerarne il ritmo interviene lo sviluppo delle opere di sistemazione idraulica; è nella Padania irrigua infatti, che dapprima si afferma e si generalizza, come nuovo tipo aziendale dominante, quello della cascina (Sereni, 1982). Una descrizione significativa di questo manufatto ci viene fornita da Gadda, che a tal proposito scrive “[…] La cascina lombarda è il primo nucleo giurisdizionale imposto alla terra lombarda da una “necessità” intrinseca alla gente: il lavoro. Una cascina si distanzia dall’altra in ragionevole misura, quanto comporta cioè la facoltà del lavoro: quanto può adempiere di lavoro una famiglia di contadini, o un gruppo di più famiglie raccolte nella unità distesa del fondo. E ogni volta che scorgiamo il fumo e poi i bruni coppi e il tetto remoto d’una cascina, ecco un sogno è suscitato nell’anima: un’idea di vigore, di saggezza operosa, tenacemente fedele alle opere necessarie. Questa dimora della vita prima e povera, della silente fatica, sorge improvvisa dopo i salici, i pioppi, nella sua ragione e nella sua pace, dal verde tenero della pianura lavorata” (Gadda, 2013). Due gli elementi da tenere in considerazione per la costruzione di una cascina: la presenza di acqua, quindi, la scelta di un luogo sicuro solitamente rialzato, anche se a volte in modo impercettibile, al riparo da eventuali pericoli di smottamenti causati da fiumi o di altro genere; inoltre generalmente è orientata verso sud per ricevere meglio i raggi del sole. La complessità tipologica e formale della cascina lombarda è il frutto di affinamenti secolari e raramente si è formata come organismo unitario, ma è cresciuta organicamente con l’aggiunta di corpi successivi, secondo uno schema planimetrico fissato, generalmente a corte. Più che valutare le forme della casa rurale dal punto di vista di oggi è corretto cercare di rintracciare nell’ambiente storico che ha prodotto la casa rurale l’espressione più o meno cosciente di una determinata intenzione estetica. I caratteri estetici non sono quindi riconducibili ai particolari decorativi, ma si riferiscono all’insieme dei rapporti formali che regolano l’architettura della casa rurale: dall’inserimento nelle forme del paesaggio, alle forme volumetriche complessive, ai singoli elementi tipologici (Barbieri & Gambi, 1970). Fig. 3 La forma esteriore della dimora a corte spesso è davvero imponente; come detto precedentemente, generalmente è formata da una serie di edifici ordinati intorno ad uno spazio quadrangolare scoperto. Il suo schema, insieme a molte varianti, è costituito da alcuni elementi fondamentali sempre presenti e di dimensioni ragguardevoli, dove il lato del quadrilatero può raggiungere una lunghezza anche di cento o centocinquanta metri. La corte è al centro del complesso edilizio e costituisce il fulcro di ogni attività agricola che vi viene organizzata. Lungo i suoi margini si allinea di solito l’abitazione del proprietario o dell’affittuario dell’azienda (generalmente caratterizzata da grande qualità estetica e da finiture sofisticate), e situata di norma nel mezzo di un lato minore; le dimore dei salariati, poste talora su più Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 33 Figura 3. La cascina, con la sua tipica tipologia a corte, è il risultato di una complessa sovrapposizione di elementi, costruiti in tempi differenti. Cremona (CR), Italia, Agostini Giampietro (1960) Figura 4. Zibido San Giacomo (MI), Italia, Italia, Agostini Giampietro (1960) piani, sono collocate di fronte alla prima; mentre nei due lati più lunghi si trovano generalmente le stalle, i magazzini, i rustici. Lo schema costruttivo della corte padana è assai vario: vi sono cascine che si raggruppano intorno a più corti, ciascuna con una funzione produttiva diversa, oppure cascine unite a formare un piccolo borgo; ma si incontrano anche dimore rurali di questo tipo fortificate da torri e fossati, in cui è evidente un’antica preoccupazione di difesa, ed altre, in numero minore, dotate di molini o cappelle (Pellegrini, 1979). Fig.4 Questo manufatto di architettura rurale perciò non presenta aspetti analoghi in tutta la pianura; c’è la cascina che rappresenta le corti più antiche legate alla conduzione semifeudale, mezzadrile, della terra, diffuse nell’alta pianura soprattutto, e la grande cascina gestita secondo le regole capitalistiche più avanzate. Questa si lega alle grandi proprietà, mentre la prima è propria degli appoderamenti minuti, risultato delle frammentazioni delle proprietà e della loro valorizzazione legata ai singoli coltivatori. Tra le due forme estreme si trovano modi di gestione intermedi, come si ha spesso nel Mantovano, dove manca la grande cascina estesa su proprietà. Questa in particolare è propria delle grandi proprietà del Cremonese, della bassa Bresciana, dove il sistema irriguo gioca una parte importante nel sistema produttivo. Qui il cascinaro si ritrova dentro un cerchio palpitante di socialità, che gode di una sua autonomia. La chiusura delle cascine verso l’esterno, la sua immagine di edificio difeso è spesso esibita, resa manifesta da strutture che ne fanno quasi una sorta di fortilizio; e non è raro trovare infatti delle cascine con tanto di torri d’angolo, proprio come i fortilizi di età romana, come detto precedentemente (Turri, 2001). Il punto nodale resta comunque quello della contrapposizione fra lo schema chiuso della cascina lombardo-milanese, e quello della corte aperta, più proprio dell’area mantovana. Roncai, riferendosi alla diversità tipologica delle cascine scrive :” l’immagine del territorio lombardo può essere percepito come un mosaico di cascine. Il fatto che poi le cascine siano delle tessere, una diversa dall’altra, che disegnano nel vario accostarsi e connettersi tra loro questo territorio, si accompagna alla constatazione documentata che esso sia stato progettato, costruito nel tempo e gestito coscientemente da una pluralità di individui specializzati e diversificati per competenze.”; questi organismi, nella loro conformazione complessiva sono ben visibili come presidi del fondo di pertinenza del territorio in generale. La cascina lombarda, in considerazione della grande varietà di ambienti che la caratterizzano, ha privilegiato sotto il profilo delle tecniche l’utilizzo dei materiali locali, secondo i principi di razionalità, efficienza ed economia, caratteristica peculiare delle culture rurali (Roncai, 2004). Per quanto riguarda la qualità estetica delle singole parti edili della cascina da non dimenticare la presenza di serramenti, non raramente rifiniti con lacche e dorature, pavimenti in legno, talvolta mosaicato, presenza di camini, ecc. Più che parlare di edilizia rurale come edilizia povera perciò, è opportuno parlarne come un’edilizia funzionale. Infatti Roncai, scrivendo a tal proposito afferma :”La cascina è una tipologia architettonica che non può essere semplicemente definita popolare o spontanea, ma al contrario deve essere considerata “colta”, caratterizzata come è da essenzialità, funzionalità, da un’estetica sempre adeguata alle risorse disponibili e da praticità nella gestione. Il territorio, inteso come sommatoria di cascine, appare allora come un’entità, una costruzione formata da plurimi componenti, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 34 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 5. Nel Mantovano, 1996, Giorgio G. Negri, 1996 ciascuno diverso dall’altro: non un territorio anonimo, bensì, si potrebbe dire, griffato in ogni sua parte” (Roncai, 2004). Questo manufatto edilizio è una forma in continua evoluzione che obbedisce alla variazione delle tre cause determinanti principali: materiale edilizio, clima ed economia agricola. Nonostante la disparità di forme che la cascina è andata assumendo sono riconoscibili alcuni elementi ricorrenti che hanno svolto un ruolo importante nella definizione di questa architettura, contribuendo alla sua ottimizzazione in funzione dell’uso e rendendola un manufatto in equilibrio con il paesaggio agrario. Questi elementi sono: • adattamento alla morfologia del sito: il manufatto edilizio è strettamente legato all’andamento morfologico del sito sul quale è collocato; • uso di materiali locali: questa necessità ha contribuito a rendere il manufatto architettonico una parte integrante del paesaggio circostante; • organizzazione spaziale strettamente legata alla produzione agricola e/o silvopastorale: la funzione produttiva dell’insediamento è sempre chiaramente leggibile nell’insediamento di tipo isolato. Fig. 5 Nell’ultimo dopoguerra, sono intervenuti nella campagna padana e nelle case rurali in cui essa organizza il suo lavoro e la sua vita, modificazioni rapidissime che hanno trasformato e spesso sconvolto realtà evolute lentamente con il lavoro di secoli. La drastica trasformazione subita negli ultimi anni dalle campagne, con la scomparsa delle piantate alberate, la sostituzione di una trama fitta ricca di elementi diversi, con una trama larga contrassegnata da pochi elementi dovuta al passaggio alla monocoltura, ha causato una semplificazione del territorio sia dal punto di vista ecologico che percettivo, dove all’occhio è consentito spingersi sempre più lontano. Dall’osservazione attuale della casa rurale padana se ne evidenziano contemporaneamente le antiche tradizioni, maturate in tempi anche lontani e, insieme, le nuove funzioni sovrappostesi alle prime in conseguenza di grandi novità intervenute nel frattempo. Queste sono la perduta supremazia delle produzioni agricole sull’economia del territorio, l’abbandono dei campi da parte degli immigrati urbani, la nuova destinazione abitativa delle antiche sedi rurali per una popolazione la cui attività prevalente si svolge ormai nel settore secondario e terziario. La casa rurale deve dunque oggi porsi al servizio di una economia agricola profondamente diversa da quella per la quale era stata costruita e, addirittura, di una popolazione extra-agricola del tutto imprevista. Ciò comporta alcuni mutamenti vistosi nello stesso aspetto delle sedi rurali, abbastanza simili in tutte le zone della Padania, che hanno subito i fenomeni appena elencati (Pellegrini, 1979). Da un paesaggio a forte identità, perché molto specifico di ogni singolo luogo e condizione, si è passati, attraverso queste trasformazioni spesso rapide e violente, a un tipo di paesaggio dal carattere anonimo condizionato non dalle caratteristiche dello specifico luogo ma dalle necessità di un mercato sempre meno locale. Il passaggio da un tipo di paesaggio agrario tradizionale a un tipo di paesaggio agrario moderno ha costituito, a parte gli aspetti produttivi, una forma di degrado, dovuta alla perdita repentina dei valori culturali ed ecologici sedimentatisi nel corso della storia. Oggi si assiste a un paesaggio agrario semplificato nella sua costituzione organizzativa: a una trama fitta, ricca di elementi diversi si è sostituita una trama larga, contrassegnata da pochissimi elementi diversi, che rappresenta un disastro dal punto di vista ecologico oltre che percettivo (Fabbri, 1997). Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | Conclusioni In questo contesto la dimora rurale, nonostante in questi anni abbia conosciuto un rapido processo di emarginazione in quanto non più funzionale ai nuovi sistemi produttivi, resta l’ultimo anello di congiungimento con quella civiltà contadina che è fiorita per secoli nella Padania, trasmettendo anche agli uomini d’oggi un grande messaggio di laboriosità e di possibilità d’umanizzare la natura, nel rispetto dei suoi equilibri essenziali (Pellegrini, 1979). Anche se i sistemi coltivati attuali sono enormemente diversi da quelli del passato, il filo che unisce il paesaggio di ieri e di oggi si trova nella regolarità geometrica della trama dei campi. Questa è la costante, il segno primario dell’antropizzazione di un territorio. In questa trama la cascina si dispone come nucleo centrale del tessuto agricolo, come permanenza nella continua variazione dell’intorno naturale, perciò l’approccio al tema progettuale deve partire dal manufatto edilizio. La gravità della situazione riguardante il futuro dell’edilizia rurale è legata proprio al venir meno dell’intimo legame evolutivo fra edificio tradizionale e territorio. La cascina storica non è più funzionale infatti alle tecniche produttive attuali, a quella industrializzazione agricola che guarda al territorio con una logica di uso e sfruttamento intensivo, ben diversa dal rispetto originario del contadino verso la terra. L’emarginazione e l’abbandono conseguenti rendono difficile la possibilità di un suo recupero, non solo dal punto di vista economico o funzionale. Prima che di una sconfitta fisica si tratta però di una sconfitta culturale, di quella cultura del recupero e della trasformazione che rendono la corte tradizionale un organismo vivente in continua evoluzione e adattamento. Oggi gli edifici produttivi sono sostituiti da prefabbricati in cemento armato totalmente indifferenti all’ambiente. Le vecchie residenze padronali sono anch’esse abbandonale. Qualora siano state risparmiate, le corti risultano spesso stravolte nei loro caratteri stilistici (Giovannini, Parmigiani, 2000). Un obiettivo della pianificazione in ambito agricolo deve essere quello di gestire lo sviluppo di questo bene, senza snaturarlo: da un lato ci sarà il bisogno di salvaguardare il bene, ma dall’altro ci sarà la necessità di usarlo con finalità spesso diverse da quelle per cui è nato, e quindi con necessità di trasformazioni anche profonde. La cascina, simbolo di una tradizione legata a memorie lontane, si propone oggi più che mai come luogo reale di equilibrio ambientale, sistema di produzione integrata basato sulla filiera corta che può valorizzare la qualità e la convenienza dei materiali. Se si interviene, la cascina può diventare avamposto di pratiche sostenibili e biodiversità e 35 reinventare il vivere ad alta qualità ambientale e sociale. Intervenendo sulle cascine, riqualificandole e mettendole a sistema è possibile mettere in campo progetti di difesa attiva contro l’erosione del territorio. La pianura lombarda fa parte di quell’ambito territoriale che Turri ha definito come megalopoli padana, in cui si assiste alla mancanza del senso dello spazio vivo e percepito, della sua unità, della sua organicità, impoverita dalla perdita dei riferimenti identitari. Tutt’oggi la bassa pianura possiede una struttura fondata su una fitta rete di centri gerarchizzati, che ricalca l’originale organizzazione agricola legata alla cascina; perché la bassa pianura sia vivibile e questo spazio si conservi come area verde, deve conservare la sua identità, diversità, e deve mantenere la produttività. Proprio le forze produttive che spingono continuamente il paesaggio a mutare, hanno contribuito a far emergere il bisogno di conservazione degli elementi identitari: tutela delle identità della pianura irrigua e difesa dall’invadenza della urbanizzazione che emana l’alta pianura, difesa che dovrebbe essere assicurata dagli stessi piani territoriali-paesistici, che impongono rispetto alla sacralità dei luoghi di valenza culturale; non solo, ma tra i compiti dei piani territoriali-paesistici ci dovrebbe essere anche quello di valorizzare ancor più le qualità della campagna, in modo che essa sia considerata non solo un territorio per la produzione ma anche uno spazio che si distingua da quello urbanizzato o semiurbanizzato: cioè il triangolo verde, il cuore agricolo padano. Perciò, se è vero che il paesaggio è destinato a trasformarsi sotto le esigenze continuamente mutevoli delle forze produttive, è anche vero che fondamentale resta il bisogno di conservazione di quegli elementi da cui esso deriva la sua identità, le sue peculiarità, che variano da una zona all’altra, anche in rapporto agli influssi che può avervi diffuso la cultura urbana, o che comunque può avervi depositato la storia (Turri, 2000). Proporre un progetto di rete significa attribuire al sistema una funzione strutturale, in grado di orientare le trasformazioni insediative, quelle ecologiche (per quanto riguarda il recupero del sistema ambientale) e una funzione relazionale per incentivare il collegamento delle risorse. Il disegno delle reti riveste un peso determinante nel progetto contemporaneo per la riqualificazione. La messa in rete di questi elementi potrebbe risultare una risposta valida all’interno del più ampio progetto di paesaggio. L’utilizzo di un progetto di rete permetterebbe di recuperare il paesaggio agrario, valorizzando le risorse naturali e culturali; rappresenterebbe una strategia efficace per la pianificazione dell’assetto del territorio rurale. Inoltre Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 36 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio sarebbe possibile comprendere come il territorio sia stato costruito attraverso il tempo, recuperando il senso dell’identità dei luoghi. La messa in rete e la sistematizzazione delle cascine, attraverso un percorso di fruibilità e accessibilità consentirebbe di far conoscere e valorizzare il sistema produttivo, alimentare, ambientale e sociale rappresentato da questi luoghi, il loro posizionamento rispetto al territorio metropolitano, l’offerta enogastronomica e il valore della cultura materiale, in un ottica in cui viene valorizzato “il piccolo elemento” nella “complessità del paesaggio”. studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano. Figura 3: Cremona (CR), Italia, Agostini Giampietro (1960), immagine tratta da Negri, G. (2004, a cura di) Il campo e la cascina, Diabasis, Reggio Emilia. Figura 4: Zibido San Giacomo (MI), Italia, Agostini Giampietro (1960), immagine tratta da Negri, G. (2004, a cura di) Il campo e la cascina, Diabasis, Reggio Emilia. Figura 5: Nel mantovano 1996, Giorgio G.Negri, immagine tratta Negri, G. et al (1998, a cura di) Comprendere il paesaggio: studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano. Riferimenti bibliografici Barbieri, G. & Gambi, L. (1970, a cura di), La casa rurale in Italia, Leo S. Olschki Editore, Firenze. Casati, D. (2004), Il campo e la cascina: appunti su un’economia agricola in evoluzione, in Negri, G. et al( 2004, a cura di) Il campo e la cascina, Diabasis, Reggio Emilia, pp. 8 -12. Fabbri, P. (2001), Natura e cultura del paesaggio agrario ( indirizzi per la tutela e la progettazione), VI edizione, Cittàstudioedizioni, Milano. Gadda, C. (2013), Verso la certosa, II ed., (Orlando, L., a cura di) Adelphi, Milano. Giovannini, A. & Parmigiani, C. ( 2000), Corti di pianura, architetture rurali nel paesaggio padano, Cierre Edizioni, Caselle di Sommacampagna. Lanzoni, C. (2014), Unità di paesaggio nel territorio mantovano, in Lanzoni, C., Marzorati, P., Peraboni, C. (2014) Attraverso paesaggi complessi. Percorsi nel territorio mantovano, Maggioli Editore, Milano. Pellegrini, G. (1979), La casa della pianura padana, in Bigi, M. 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Riferimenti iconografici Figura 1: Verrua Po (PV), Italia, Fossati Vittore (1954), immagine tratta da Negri, G. (2004, a cura di) Il campo e la cascina, Diabasis, Reggio Emilia. Figura 2: Cascina Riposo 1970, Luigi Ghisleri, immagine tratta da Negri, G. et al (1998, a cura di) Comprendere il paesaggio: Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Ana Zilo, Riflessioni sull’architettura rurale: il ruolo della cascina nel progetto di paesaggio, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/ quaderni/index.html, pagg. 30 - 36 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO I toponimi rurali delle Cinque Terre, piccoli e grandi luoghi di ieri e di oggi | The rural place names of the Cinque Terre, small and large places ancient and modern Maristella Storti* abstract abstract Nelle Cinque Terre lo studio dei toponimi rurali (o luoghi detti) permette di scoprire le trame più minute di questo contesto agrario. Sono nomi catastali, antichi e recenti, di spiagge, scogli, torrenti, sentieri, vie e mulattiere, emergenze architettoniche, appezzamenti terrieri, terrazze viticole e casette rurali, in relazione a nomi propri, tradizioni, leggende e miti. Sono tasselli di micro-storie locali da lente di ingrandimento utili per la definizione di strategie e mappe progettuali. In the Cinque Terre the study of the rural place names (also known as said places) allows us to discover the smaller elements of this agricultural context. They are ancient and modern cadastral names of beaches, rocks, creeks, roads, paths and mule tracks, monuments, landed properties, terrace-cultivations and rural cottages, associated with people names, traditions, legends and myths. The rural place names are part of local micro-stories for the construction of planning maps. parole chiave key words paesaggio storico-agrario, toponimi rurali, Mappa dei Luoghi Detti historical and agricultural landscape, Rural place names, Map of the Said Places. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze Architetto, Insegnante [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 38 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio La sfida lanciata dallo studio iniziato nel 2000 (Storti, 2004) è stata quella di cercare degli indicatori storici di livello territoriale e locale da cui attingere informazioni puntuali per avvalorare la sostenibilità di progetti volti alla conservazione e alla valorizzazione di un paesaggio. L’ambito sul quale è stata testata la praticabilità e la validità del metodo di ricerca proposto (Storti, 2007a e 2009), corrisponde al paesaggio culturale delle Cinque Terre nella Provincia della Spezia, nel 1997 dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità (con Portovenere e isole) e nel 1999 divenuto Parco Nazionale. Studiando in tempi differenti i sub-ambiti dei comuni di Riomaggiore, Vernazza e Monterosso al Mare, ci si è resi conto delle peculiarità di ogni specifico contesto territoriale ma la volontà di elaborare uno studio rigoroso e applicabile anche a realtà diverse tra loro, ha indotto a cercare un denominatore comune da cui trarre elementi di conoscenza. Poiché un altro assunto del metodo è stato quello che la giustificazione dell’eccezionalità di un paesaggio e della necessità della sua conservazione attiva va ricercata nella storia, cioè nello studio della stratificazione degli eventi naturali ed antropici che lo hanno modellato, le fonti documentali scelte sono state i catasti descrittivi del passato e la cartografia storica, a confronto con le immagini più recenti. Ciò che ha dato avvio alle ricerche svolte è la consapevolezza che l’esemplarità delle Cinque Terre non si deve all’incanto suscitato dal contesto naturale (seppur notevole), ma all’intervento dell’uomo che ha pesantemente trasformato i pendii naturali in terrazze pur di farne terreno coltivabile. Se quindi le Cinque Terre sono esempio di un paesaggio culturale altamente antropizzato, è lecito partire dai catasti storici per sapere quale fosse l’aspetto di questi luoghi in epoche ancora lontane dalle prime restituzioni fotografiche e in cui la principale fonte di sostentamento derivava dalla coltivazione delle campagne. In particolare, i catasti si sono rivelati uno strumento indispensabile per conciliare una visione utilitaristica del territorio con quella poetica e sognante che vede le Cinque Terre come un luogo mitico. In realtà, per quanto sia uno scenario affascinante, è nato dalla fatica fisica di generazioni di uomini e donne che, erigendo muretti a secco e terrazze sfidando la gravità, hanno reso coltivabili anche i pendii più scoscesi. Lo studio condotto, quindi, ha cercato di ridare dignità e visibilità al nome dei luoghi, affinché non si perda memoria di questi importanti tasselli del paesaggio rurale. Inoltre, nell’intento di cartografare i numerosi toponimi delle proprietà delle Cinque Terre, si è costruita la “Mappa dei Luoghi Detti” come il tentativo di arginare il depauperamento culturale dell’immagine del paesaggio: associando a ciascun nome la sua identità, si può suggerire un recupero rispettoso del passato e attento alla fruizione futura. Dal piccolo al grande: i nomi dei luoghi Dall’analisi dei catasti descrittivi è stato possibile risalire ai possedimenti (edifici e/o terreni) detenuti da ciascun proprietario di ogni comunità delle Cinque Terre alle epoche esaminate, ma ciò che si è rivelato più utile è stato aggregare i dati raccolti per luoghi detti e per tipo di destinazione d’uso. Nei catasti del passato per luogo detto si intende la località in cui era posto un dato bene, ma non è solo un modo per indicare un’area al tempo in cui non esisteva ancora il concetto di mappale per delimitare e quantificare una proprietà immobiliare; i luoghi detti sono i nomi delle singole proprietà di una comunità e danno vita a quella ricchezza lessicale che caratterizza il paesaggio della società tradizionale, dove ogni sasso, ogni albero, ogni scoglio, ogni angolo di terra sembra appartenere ad una precisa denominazione areale o puntuale. Questo perché la completa dominazione antropica del territorio un tempo corrispondeva ad un’attenta conoscenza dello stesso, laddove la necessità di censire a fini fiscali tutti i beni patrimoniali privati o collettivi imponeva l’individuazione precisa di ogni singola proprietà. I luoghi detti si sono rivelati degli indispensabili strumenti di lettura per andare dal “piccolo” al “grande”, dalla storia passata all’oggi, dall’ambito comunale a quello locale di ogni singolo patrimonio, poiché si portano dietro tutta una serie di informazioni utili alla conoscenza del paesaggio attuale. Nelle ricerche svolte si è visto come i nomi dei luoghi relativi alle campagne delle Cinque Terre possano avere origine dalla conformazione fisica del territorio, dall’ambiente naturale o dalle vicende storiche attraversate oppure, ancora, come vi siano toponimi che ricordano cognomi o soprannomi di determinate famiglie o personaggi di rilievo per fama, per ricchezza o perché provenienti da altre località “esterne” alle Cinque Terre. Mentre nei contesti urbani la toponomastica locale ricorda i nomi di quartieri, vie, slarghi, scalinate e piazze, quelli relativi alle proprietà coltivate sono trascritti con sistematicità solo nelle mappe catastali ma, di contro, nella maggioranza dei casi, queste cartografie riportano solo una piccola percentuale dei nomi “rurali”, cioè quelli più noti e corrispondenti ad areali abbastanza vasti. I sotto-toponimi, le peculiarità di ogni singolo luogo, sono ormai individuabili solo nei catasti descrittivi del passato o permangono nel ricordo di chi ha vissuto, fruendolo, quel paesaggio. Come in tutta l’area spezzina abbiamo nomi di diversa Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 39 Figura 1. L’Eremo di Don Fresco presso il luogo detto Beccara a Riomaggiore Figura 2. Gli orti murati “montaliani” a Monterosso al Mare provenienza1, e per quanto riguarda i toponimi delle Cinque Terre, in particolare, sembra che si possano ipotizzare delle distinzioni geografiche per la loro derivazione etimologica, cosicché se a Vernazza la maggior parte di questi risultano di origine romanza, a Corniglia si può supporre una suddivisione “altimetrica” degli stessi visto che salendo dalla costa verso il crinale spartiacque, fino ai 200 m. circa s.l.m., si hanno soprattutto toponimi di origine romana, come Perusana, Cataschi, Cerexa, Pàstine mentre oltre questa altitudine, l’origine risulta prevalentemente longobarda, come Gaginara o Fornacchi. Per quanto concerne i borghi principali, molte fonti riconoscono l’origine romana dei termini Corniglia (da Cornelius) e Vernazza (da Vulnetia) ma, ai nostri fini, sembra affascinante anche l’ipotesi di un’origine più legata alle peculiarità morfologiche e socio-economiche di queste terre e quindi Corniglia da Corno, “promontorio sul mare” e Vernazza da Vernaccia, cioè dal famoso vino esportato in epoche remote anche in Francia e in Inghilterra. Inoltre, mentre il termine Riomaggiore deriva dal nome del torrente (Rivo Maggiore) che attraversa la valle e che un tempo passava a cielo aperto all’interno del borgo fino al mare, l’origine di Manarola è più discutibile; il nome dialettale A Manaea deriverebbe da Manium Aea, la penisola dei morti, oppure da Manium Aeaee, l’isola dei morti, ossia dal nome del luogo in cui fu fondato il nuovo borgo che probabilmente nel lontano passato fu dedicato al culto dei defunti. Non a caso, la più acclive delle lame rocciose che si gettano in mare sotto al borgo, viene ancora oggi chiamata Il salto del diavolo. Infine, per il locus di Monterosso (Monte Russo), in questa sede si condivide l’ipotesi che il toponimo derivi dal colore rossiccio del terreno dei balzi che lo [Monterosso] circondano (Casalis, 1854: 265-268), piuttosto che dal colore dei capelli del Marchese obertengo che qui edificò il suo castello (Redoano Coppedè, 1962-63: 23; Gritta, 1972: 5052). Molti toponimi derivano dalle caratteristiche fisiche del territorio, come Valle Scura, Canaletto, Vallelungo (lungo scivolo), Vaipozzi (luogo dove vi erano sorgenti), l’Ombrido (zona poco soleggiata), Valletto (ruscello), Monte Acuto, Costa Piatta, Monticello. I termini “frane” e “lame” identificano ripidi pendii tipici di quest’area costiera, così nei catasti si trovano voci come Lama di Bansuola (Manarola), Frana di Serra (Riomaggiore) o Lama di Guvano (Corniglia), mentre il toponimo Le Rocche identifica in tutte le Cinque Terre le parti scoscese sul mare particolarmente favorevoli alla coltivazione della vite, grazie alla buona esposizione naturale, e richiama lo storico vitigno denominato Roccese decantato da tanti poeti e letterati del passato. Alcuni toponimi rivelano le dimensioni dei luoghi, come Monte Grosso, Bricco de Costalunga (protuberanza di una costa lunga), Campo (appezzamento di terreno più grande del tradizionale ciàn, la tipica “terrazza” coltivata a vite delle Cinque Terre) o Campetto, Costa Grossa. Altri, invece, riflettono la tradizionale destinazione colturale come Castagnoli, Ginestra, Faggiorello, Tra la Vigna, Serra di Murte (colle di mirto), Zunché (da salice), Cerexede (dal latino cerasus, ciliegi), Lardarina (dal tardo-romano aridus, terreno arido) e Olivella. Altri toponimi derivano da nomi propri come Pagano, Bordone, Cà d’Ercole, Cà di Zanetto, Capanna di Giona (dove “capanna” sta ad indicare una casetta rurale), Case Rossi, Scoglio di Galeno (Storti, 2009: 99-103). Vi sono toponimi di livello territoriale che rimandano al nome di un animale e, di conseguenza, ad un’usanza antica per indicare un passo montano Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 40 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 3. La Costa di Corniolo tra Riomaggiore e Manarola: schema esplicativo dell’orografia del sito Figura 4. L’assetto colturale della Costa di Corniolo al 1643: anche nelle Figure che seguono, si evidenziano in nero i sentieri storici, in rosso le casette rurali, le righe con tacchette evidenziano le fasce coltivate a vite, i pallini verdi le piante arboree come oliveti o impianti misti e in marrone i castagneti dove transitava una via, usando la stessa parola latina salto, la quale designava i passi montani nell’epoca romana2. Nel territorio di Monterosso al Mare si sono individuati, grazie alle testimonianze orali, nomi di particolare interesse come il Salto della Volpe e il Passo della Volpe che richiamano l’origine etimologica vista sopra, mentre dai catasti descrittivi non si rilevano voci di questo tipo ma termini che rimandano a nomi di animali con altro significato, come Cravamorta (o Capramorta) e Cavallaranga, quest’ultimo forse legato ai secoli passati e ai luoghi dove si effettuava il cambio dei cavalli. Dal nome dei luoghi, inoltre, si traggono notizie interessanti per quanto concerne l’organizzazione territoriale del tempo; se fra gli elementi di confinazione fra una proprietà e l’altra vengono citati sovente la Valle, la Costa, il Canale, il Valetto, la Strada, la Via e il Viarello, non mancano riferimenti a nomi di Beni di Chiese, Cappelle e Hospitali, nonché a luoghi di interesse collettivo come la Bandita (bosco comunale) o l’Acquedotto, dove con quest’ultimo termine viene indicata la presenza di un bèudo, cioè di una condotta dell’acqua (Calvini, 1984: 65). Dai catasti si rilevano anche riferimenti alle pratiche religiose, come le “rogazioni”, che ricordano quanto fossero forti un tempo i legami fra fede e lavoro, visto che in caso di calamità naturali o di disgrazie, il ricorrere alla preghiera individuale e collettiva (come ricorda, ad esempio, il nome Scalinata del Rosario a Manarola) era una prassi consolidata; il rivolgersi al divino significava scongiurare il peggio. Per tutte le campagne erano disseminate edicole votive, celate talvolta da piccole nicchie in pietra: erano punti di preghiera, di incontro o di devozione che testimoniano quanto il forte senso religioso aiutasse la comunità a far fronte ai disagi di una vita spesa in luoghi così impervi e difficili da coltivare. Vi sono, infine, luoghi evocati nei racconti degli abitanti delle Cinque Terre a proposito di emigrazioni di familiari, di episodi bellici, di leggende su “luoghi magici”, come l’Eremo di Don Fresco a Riomaggiore, lo scoglio di Galeno e gli orti murati a Monterosso al Mare, questi ultimi tanto decantati dal poeta Montale (figg. 1, 2); luoghi da cui emerge il forte legame fra i caratteri del paesaggio e la quotidianità, dove anche il bicchiere di vino”, u vìn dûŝe, chiamato poi lo “sciacchetrà” tipico delle Cinque Terre, entra con forza nelle descrizioni. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | Figura 5. L’assetto colturale della Costa di Corniolo al 1799 Il racconto paesistico attraverso i catasti Il riconoscimento dei nomi catastali del passato richiede una sorta di progettualità condivisa che si basa su tre operazioni fondamentali: il reperimento dei dati di tipo archivistico; le testimonianze orali e i rilevamenti sul campo. L’operazione di “ascolto” è duplice, a confronto con il paesaggio reale: dalla “voce” del passato racchiusa negli estimi catastali, si passa a quella del presente di chi abita e fruisce quel territorio3. Grazie alla localizzazione e all’analisi dei dati relativi al tipo di attività e/o colture presenti, si può seguire la “storia” di ogni luogo detto relativo ai borghi o alle campagne delle Cinque Terre, da quelli più piccoli e di poco valore a quelli più vasti e di pregio, andando a delineare in modo sempre più raffinato lo “scenario” da cui trarre un’idea di quale fosse il grado e il tipo di uso del suolo ad una data epoca. È possibile quindi rilevare il “racconto” di ogni località coltivata, o insieme di località, dove la simulazione dei cambiamenti colturali nel tempo permette di collegare i dati descrittivi del XVII secolo con quelli 41 Figura 6. L’assetto colturale della Costa di Corniolo al 1918-32 successivi e recenti4. A titolo di esempio, si riportano in estrema sintesi gli schemi interpretativi effettuati all’interno delle ricerche svolte, che riguardano la Costa di Corniolo, ovvero uno dei luoghi più interessanti del paesaggio storico-agrario terrazzato delle Cinque Terre. Situato su di un alto promontorio tra Riomaggiore e Manarola, questo luogo è visibile da ogni punto del territorio e individua oggi una vasta area facilmente riconoscibile perché caratterizzata dalle nuove terrazze viticole recentemente recuperate dal Parco Nazionale delle Cinque Terre. La lettura diacronica dei catasti permette di seguire i cambiamenti del paesaggio attraverso le destinazioni d’uso attribuite per poi passare dagli schemi esplicativi del passato alle cartoline e alle foto d’epoca, fino alle immagini più recenti, confrontando quindi la realtà con il trend evolutivo proposto. Dagli schemi esplicativi si può evincere l’estensione del vignato rispetto alle altre colture nella Costa di Corniolo nel corso del tempo5, fino all’assetto di monocoltura della vite e la modellazione a terrazze che caratterizza i fianchi del promontorio dai primi decenni del Novecento in poi, fino ad individuare quella fase decrescente della Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 42 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 7. La costa di Corniolo in una cartolina d’epoca del 1939, in primo piano il versante secondario caratterizzato dal borgo di Riomaggiore: l’immagine evidenzia l’andamento delle fasce terrazzate su tutti i versanti Figura 8. La Costa di Corniolo in una cartolina d’epoca degli anni Settanta del Novecento:l’immagine mostra la graduale risalita della macchia mediterranea che ha caratterizzato il luogo dagli anni Cinquanta del Novecento metà del XX secolo che gradualmente vede di nuovo la risalita della macchia mediterranea in conseguenza dell’abbandono delle campagne coltivate (figg. 3-9). La lettura diacronica per luoghi, estesa a tutto il territorio delle Cinque Terre, permette di elaborare gli scenari temporali sugli assetti colturali alle epoche esaminate, per poi passare all’incrocio di queste informazioni con i data-base più recenti, fino al confronto con l’ultima immagine da satellite. La sovrapposizione degli scenari temporali dà luogo ad un’unica mappa dove la lettura diacronica per epoche lascia il posto ad una composizione sincronica; una “rete” sovrapposta al paesaggio attuale, alla sua tridimensionalità. di base su cui intervenire per ridare forza e vitalità a questo “sistema” rurale (fig. 10). La MLD risulta anche “mappa delle potenzialità progettuali”, cioè un utile strumento per orientare gli interventi attuali nel rispetto delle peculiarità del paesaggio storico e della sua fruizione nel tempo. Questo perché le denominazioni delle località permettono di circoscrivere opportunamente le aree d’intervento, andando ad approfondire la conoscenza dei siti nel lungo periodo, i loro cambiamenti relativi all’assetto colturale e all’uso del suolo e le peculiarità storiche delle singole coltivazioni. La conoscenza degli assetti colturali “storici” consente di rilevare una prima serie di dati che devono poi essere approfonditi in sede di progetto attraverso precise campagne archeologiche, pedologiche e geobotaniche, mentre per quanto riguarda i percorsi, la mappa richiama a opportuni studi puntuali di ripristino e valorizzazione gerarchica degli stessi, in quanto “filtri” di questi nuovi itinerari culturali. Nella società odierna, infatti, la ricerca di una maggiore qualità della vita porta sempre più al riconoscimento del “piccolo” e del “bello” come sinonimi di “unico”, “singolare”, “originale”: il turista apprezza la piccola ricettività dando valore alla genuinità e alla riscoperta delle tradizioni locali, il consumatore consapevole vuole sempre più trovare un proprio riferimento direttamente nel produttore, guardarlo negli occhi, visitare i luoghi di produzione, riconoscere i prodotti tipici di un territorio. Mentre la MLD accompagna e conclude la lettura storicocartografica e archivistica dei luoghi detti, la costruzione su di essa di uno “straviario rurale” potrebbe costituire lo strumento capace di condurre all’implementazione della ricerca, rispondendo ad una duplice funzione: da un lato la costruzione di una “guida alle modalità di fruizione della rete La “Mappa dei Luoghi Detti” tra memoria e progetto Se con la lettura dei catasti si è passati dal piccolo al grande e viceversa, dal particolare al generale, dal privato al pubblico, il passo successivo è stato quello di creare la “Mappa dei Luoghi Detti” (MLD), cioè una mappa costruita su una foto satellitare recente sulla quale sono stati riportati tutti i luoghi detti che ad oggi è stato possibile localizzare, tutta la viabilità e la sentieristica in uso o che potrebbe essere riutilizzata, le emergenze architettoniche e quelle storico-culturali in genere, l’individuazione di punti di particolare interesse panoramico, storico, ambientale, paesistico. Le singole micro-storie entrano a far parte di un “sistema” in cui ogni luogo detto è “indicatore” di una precisa zona, grande o piccola che sia, e della sua identità, mentre i percorsi tradizionali rappresentano le modalità di fruizione della stessa6. “Polarità” (i luoghi) e “assialità” (i percorsi) risultano allora i punti fermi e densi della “rete”, il “canovaccio” Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 43 Figura 9. La Costa di Corniolo al 2006: in primo piano il borgo di Riomaggiore e alle spalle il promontorio del Corniolo dove si individuano gli interventi effettuati dal Parco Nazionale delle Cinque Terre per ripulire le terrazze viticole dalla macchia mediterranea. L’immagine mostra l’intero panorama costiero delle Cinque Terre Figura 10. Stralcio della Mappa dei Luoghi Detti, particolare sul comune di Vernazza rurale” (sentieri e percorsi praticabili); dall’altro, la trasposizione in ambiente GIS dei diversi “livelli” d’informazione spazio-temporali raccolti. Infatti, i toponimi delimitano aree sempre più vaste, così come le coltivazioni diminuiscono in numero e varietà, mentre le famiglie diversificano le proprie attività lavorative, non più necessariamente legate alla terra. Di conseguenza, lo scenario degli ultimi anni è quello di un paesaggio “anonimo”, spoglio dei suoi elementi strutturali, dove il grave scollamento tra borghi e territorio circostante ha portato all’abbandono fisico accompagnato dalla perdita della memoria collettiva dei luoghi costitutivi del paesaggio storico. I paesaggi colturali analizzati dimostrano l’importanza, per queste terre, della policoltura (che in epoche ben precise ha affiancato la monocoltura della vite), della “sapiente” e straordinaria commistione che si è creata nel tempo fra condizioni naturali di partenza e trasformazioni antropiche. Inoltre, si è approfondito il ruolo fondamentale di quella parte territoriale “al di là dei Monti” (oltre il crinale principale spartiacque) per l’intero sistema economico delle Cinque Terre. Una divisione geografica fra mare e “terra” che ha risposto alle necessità di sussistenza in periodi storici ben precisi: la montagna come risorsa, come rifugio, come contatto con le valli interne; il mare come opportunità, come via di fuga verso altri mondi e come arrivo, come porta di accesso della notorietà e del turismo. La “chiave di lettura” fornita dai luoghi detti si è dimostrata un buon filo conduttore della conoscenza, laddove questa può essere supportata dalle testimonianze orali. Questo perché le denominazioni delle proprietà coltivate riflettono tutta una cultura, raccolgono secoli di storia, si riferiscono a fatti, persone, avvenimenti che fanno parte di un microcosmo specifico. L’auspicio è quello che la MLD possa diventare uno strumento interattivo di raccolta dati e di Considerazioni conclusive Lo studio sui luoghi detti racchiude tutto un mondo di frammenti legati all’identità di ogni paesaggio rurale, apre infinite direzioni di ricerca su geografia, geologia, storia, economia, toponomastica e tradizioni dell’ambito specifico di riferimento7. Perseguendo l’obiettivo di uno studio storicocartografico dei toponimi rurali delle Cinque Terre, le diverse “immagini” raccolte lungo le tappe del nostro racconto hanno proposto diversi sguardi sul territorio d’indagine: dalla cartografia storica, alle descrizioni, alle fotografie d’epoca, fino alle foto aeree più recenti. Si è scelto di puntare lo sguardo sul paesaggio coltivato, quello meno documentato dal punto di vista storico, ma appunto per questo è stato necessario associare alle varie letture le “voci” di chi ancora ricorda e vive questa realtà. L’anello di congiunzione fra questi livelli di conoscenza antichi e recenti, l’indicatore per eccellenza, è risultata la micro-toponomastica locale e, in particolare, quella utilizzata dagli abitanti per riconoscere anche i luoghi più minuti. L’analisi condotta ha evidenziato che ogni luogo detto, già dalla sua stessa denominazione, declamava la propria identità, delimitava nello spazio e nell’immaginario una determinata zona, con le proprie colture variegate in qualità e quantità; era l’ambito in cui ogni famiglia consumava la propria esistenza perpetuando se stessa e il proprio mondo. La situazione attuale, dove vanno scomparendo le colture e i nomi dei luoghi, esprime l’impoverimento lessicale del racconto identitario del paesaggio. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 44 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio monitoraggio dei progetti di manutenzione e tutela del paesaggio rurale. Se lo scopo di questi studi è la salvaguardia di un paesaggio agrario d’eccezione, e se oggi purtroppo il grado di abbandono delle terrazze viticole delle Cinque Terre è tale che anche ingenti finanziamenti non sarebbero sufficienti per poter intervenire su tutto il territorio di pertinenza del Parco Nazionale, è proprio grazie ad uno strumento come la MLD che anche un piccolo intervento può assumere dimensioni maggiori perché ritorna ad essere il tassello di uno scenario in divenire, rispettoso del passato ma aperto alla progettazione dell’oggi e del domani. Storti, M. (2009), I luoghi detti del paesaggio rurale. Le terre di Corniglia e Vernazza, Parco Nazionale delle Cinque Terre, La Spezia. Storti, M. (in corso di pubblicazione), I luoghi detti del paesaggio rurale. Le terre di Monterosso al Mare, Parco Nazionale delle Cinque Terre, La Spezia. Riferimenti iconografici Figura 1: Collezione privata A. Crovara, per gentile concessione dell’Autore, anni Settanta del Novecento Figura 2: Foto M. Storti, 2011 Figure 3, 6: M. Storti, 2008 Figure 7: Collezione privata A. Crovara, per gentile concessione dell’Autore, anni Settanta del Novecento Riferimenti bibliografici AA.VV. (2010), Paysages d’exception, paysages au quotidien. Une analyse comparative de sites viticoles européens du Patrimoine mondial, Ministère de l’Ecologie, de l’energie, du Développement durable et de la Mer, Programme “Paysage et Développement durable”, Appel à propositions de recherché 2005 (Convention CV05000127). Calvini, N. 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(1987), «I toponimi viari nel Medioevo e nell’Età moderna e l’uso anomalo del termine ‘foce’ nell’Estrema Liguria Orientale», per gentile concessione dell’Autore; parte del lavoro contenuto in L’uso anomalo del termine ‘Foce’ nella Liguria orientale e nella Toscana Occidentale tra il Medioevo e l’Età contemporanea, Bozzi, Genova. Storti, M. (2004), Il paesaggio storico delle Cinque Terre. Individuazione di regole per azioni di progetto condivise, Tesi di Dottorato in Progettazione Paesistica, Università di Firenze, Vol. 3, Firenze University Press. Storti, M. (2006), Le Cinque Terre. Quando i luoghi perdono il nome, in «locus», III, Felici Editore, pp. 21-25. Storti, M. (2007a), I luoghi detti del paesaggio rurale. Le terre di Riomaggiore, Manarola, Groppo e Volastra, Parco Nazionale delle Cinque Terre, La Spezia. Storti, M. (2007b), Il paesaggio storico delle Cinque Terre. I luoghi detti condivisi, in Ferrara G., Rizzo G. G. , Zoppi M. (2007), Paesaggio: didattica, ricerche e progetti: 1997-2007, Firenze University Press, pp. 277-289. Figura 8: Collezione privata A. Crovara, per gentile concessione dell’Autore, anni Settanta del Novecento Figura 9: Foto Archivio Parco Nazionale delle Cinque Terre, 2006 Figura 10: Elaborazione M. Storti-A. Maddaluno, 2009 _________________________________________ A titolo di esempio, si ricordano le provenienze seguenti: ligure, come Bergalli, nome etnico dei liguri antichi, in luogo di “pianta”; preromana, come Albano/a, cioè “posto in alto”; romana, come Corsàno da Cordius/Curtius, personaggio romano e Porciàna da Porcius, gentilizio romano; longobarda, come Gaggiola, da Gahagi, “bosco recintato”, riservato; latina, come Fundega, da Fundus, nel senso di cavità ampia ed ubertosa di una certa estensione (il terreno più fertile, adatto ad ogni tipo di coltura); araba, come Fundego da Funduq o Fundaq, nel senso di “fondaco”, magazzino, “statio per i mercanti e loro domicilio”, nome assimilabile a “càneva”, cioè cantina a pianoterra o seminterrata delle case. In generale, per lo studio della toponomastica storica, si è fatto riferimento ai testi di: M. Cortelazzo & P. Zolli (1999), Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna; C. Goggi (1967), Toponomastica Ligure dell’Antica e della Nuova Liguria, Bozzi, Genova; D. Olivieri (1961), Dizionario Etimologico Italiano, Ceschina, Milano e G. B. Pellegrini (1990), Toponomastica italiana, Hoepli, Milano. 1 2 In questo gruppo rientrano toponimi liguri e toscani come il Salto del Cavallo, il Salto del Gatto, il Salto della Lepre ed il Salto del Cervo, in G. Redoano Coppedè (1987), “I toponimi viari nel Medioevo e nell’Età moderna e l’uso anomalo del termine ‘foce’ nell’Estrema Liguria Orientale”, p. 7, per gentile concessione dell’Autore; parte del lavoro contenuto in L’uso anomalo del termine “Foce” nella Liguria orientale e nella Toscana Occidentale tra il Medioevo e l’Età contemporanea, Bozzi, Genova. Oggi, alcuni nomi di luoghi sono ormai di difficile individuazione e anche gli abitanti particolarmente esperti della storia locale spesso di fronte ad un nome insolito confessano di sapere che quel luogo esiste, perché fa parte delle narrazioni ascoltate dai loro avi, ma non sanno più indicarlo su una carta. Nonostante le difficoltà, conciliando le varie fonti scritte e orali, è stato possibile individuare molti dei luoghi detti riportati sui catasti. 3 Analizzando i catasti di epoche diverse e confrontando la lettura per luoghi detti con quella delle colture censite, si rileva che nella maggioranza dei casi la prevalenza del tipo di coltura per ciascun luogo detto dà ragione della vocazione specifica di 4 Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio | 45 quell’areale. 5 Si cfr. anche AA.VV. (2010), “Paysages d’exception, paysages au quotidien. Une analyse comparative de sites viticoles européens du Patrimoine mondial”, Ministère de l’Ecologie, de l’Energie, du Développement durable et de la Mer, Programme “Paysage et Développement durable”, Appel à propositions de recherche 2005 (Convention CV05000127). In particolare, si veda il Cap. 3 di B. Davasse, I. Matyas, M. Storti (a cura di), pp. 59-84. È da sottolineare l’importanza della base catastale per l’individuazione dei toponimi: poiché i luoghi detti sono privi di chiari riferimenti geografici, questi possono essere racchiusi, come si è visto nel caso di Riomaggiore, entro i limiti dei fogli del quadro d’unione catastale, in modo che questa suddivisione “legale” del territorio possa facilitare l’individuazione geografica di entità così vulnerabili rispetto alla loro collocazione nello spazio. 6 Nel caso di Riomaggiore e Manarola, si è assistito, nel corso dei secoli, ai grandi cambiamenti colturali avvenuti tra il XVII e il XX secolo, dove il paesaggio della monocoltura della vite ha avuto la meglio su ogni altro, almeno fino ai primi decenni del Novecento. A Corniglia e Vernazza, invece, lo studio ha condotto all’approfondimento di un areale ben preciso relativo alle “terre di confine” fra queste due antiche “corti”, andando a ricercare vecchie demarcazioni amministrative che avevano causato accese dispute e litigi fra le due Comunità fin dal XVI secolo. Inoltre, si era proceduto anche alla rilevazione delle teleferiche storicamente presenti a Corniglia; infatti, della fine del XIX secolo è l’installazione delle prime di queste per permettere il veloce collegamento trasversale montagnamare per il trasporto dello strame e soprattutto del legname, quest’ultimo utilizzato in gran parte per l’esportazione. Il fitto disegno di assi trasversali “pubblici” e “privati” delle teleferiche connota il paesaggio coltivato fino agli anni Settanta del Novecento quando, con i cambiamenti di tipo socio-economico e tecnologico e la dismissione degli ultimi impianti, nelle campagne vengono installati i primi “trenini” a cremagliera. Anche nel caso di Monterosso, sappiamo che lo sfruttamento della montagna è stato molto consistente nel passato, mentre i “luoghi della devozione”, i paesaggi “del mare”, “della villeggiatura” e quelli “montaliani” sono chiavi di lettura per poter comprendere una varietà socio-economica del tutto singolare. 7 Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Maristella Storti, I toponimi rurali delle Cinque Terre, piccoli e grandi luoghi di ieri e di oggi, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/ quaderni/index.html, pagg. 37 - 45 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE II - LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO Piccoli spazi e piccoli cittadini. Il paesaggio come terzo educatore | Small spaces and young citizens. The landscape as third “bring-up landscape” Chiara Lanzoni* abstract abstract Un piccolo giardino, un piccolo utente. Spazio che non è mai dato neutro ma veicolo di messaggi e relazioni. Spazio che viene “educato” dal progettista e allo stesso tempo può costituirsi come “educatore”, luogo di vita e di cultura, non solo per i più piccoli. Il contributo propone alcune riflessioni sul tema, già considerato in campo pedagogico ma poco esplorato nell’architettura del paesaggio, dai Junk Playgrounds di Carl Theodor Sørensen alle più recenti ricerche pedagogiche e culturali per l’infanzia. A small garden, a young person. A space that is never neutral but is a vehicle of meanings and relationships. A space that is designed and developed by the designer and at the same time can become an “up-bringer”, a place of life and culture, not just for little ones. The paper proposes some reflections about that topic, already analyzed in pedagogy, but little explored in landscape architecture, from the junk playgrounds by C. T. Sørensen to the latest cultural and pedagogical researches about children. parole chiave key-words bambini, spazi per il gioco, “paesaggio educatore” children, playgrounds, “bring-up landscape” * Architetto e Dottore di ricerca in Progettazione paesistica, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | Introduzione Questo contributo prende spunto da una duplice suggestione che nasce intorno al concetto di piccolo in architettura del paesaggio. Piccola può essere la scala di lavoro e piccolo può essere l’osservatore, il fruitore, l’attore nel paesaggio. Da un lato la dimensione contenuta e “esteticamente raccolta” di un luogo, come il giardino, può descrivere in modo tangibile “la misura e il significato di un paesaggio all’interno del quale si vive. La dimensione palpabile che il giardino in sé possiede può inoltre offrire un punto di partenza utile e trasparente per maturare una percezione del paesaggio estesa, meno cerebrale e meno estetizzante e che riconosciamo come parte della nostra esistenza” (Latini, 2010: p. 49). Dall’altro lato la confidenza dei bambini nei confronti della natura (intesa anche come natura dei luoghi) può, contestualmente alla crescita personale, sociale e alla costruzione dell’identità dei soggetti, sviluppare una diversa percezione del paesaggio orientata alla produzione di nuovi significati. Nel giardino, nel parco, negli spazi urbani, i bambini “frugano” il paesaggio, osservando minuscoli dettagli: superfici, colori, luci, ombre, materiali. Quel paesaggio quotidiano che per un adulto può apparire ordinario agli occhi dei bambini diviene straordinario. I bambini sperimentano, osservano, toccano, sono in continuo movimento (figg.1,2). Allora può il paesaggio essere considerato una risorsa educativa? Non vi sono dubbi sul fatto che oggi il paesaggio sia al centro dell’interesse di numerose discipline e che questo sia espressione di un sentire comune diffuso, di quella domanda sociale di paesaggio che negli ultimi anni molti autori hanno evidenziato. Una domanda di paesaggio che può essere letta come una ricerca d’identità e senso dei luoghi, che investe i rapporti tra società e territorio e il modo in cui è possibile ridisegnarli (Gambino, 2003). Se da un lato esiste, ed è riconoscibile, questa domanda di paesaggio da parte della società, dall’altro è utile ricordare come siano gli esseri umani che raccontano loro stessi attraverso il paesaggio (Turri, 1998). Se il paesaggio è (anche) il risultato della progettualità di una comunità allora la sua trasformazione dipende in modo inscindibile dalla comunità stessa. Questa domanda di senso che il paesaggio attiva, il suo essere un contesto elettivo per la costruzione dell’identità, “che provoca processi di interpretazione e di elaborazione simbolica, di trasformazione e di cura, definiscono il paesaggio ad un tempo come un pre-testo che attende interpretazione e un contesto che, nel farsi, contribuisce a costruire l’identità personale e comunitaria” (Orlandini, 2007). 47 Il collegamento reciproco, nella considerazione del piccolo, tra una “dimensione raccolta” del paesaggio e i bambini, suggerisce un’interessante prospettiva ricca di potenzialità che considera il paesaggio come soggetto educatore, una sorta di insegnante esso stesso. La piccola scala e il gioco (ovvero il ruolo dei playgrounds come luoghi per il progetto di paesaggio) La riflessione sulla dimensione educativa del paesaggio nei confronti dei più piccoli deve necessariamente considerare e interpretare quei contributi di architetti e paesaggisti del passato sulle tematiche dello spazio da destinare ai bambini, progetti (realizzati o meno) accomunati dall’attenzione alle relazioni che si instaurano tra il luogo e il bambino attraverso il gioco. Fra i primi paesaggisti a occuparsi di uno spazio per il gioco, inteso come luogo per il progetto di paesaggio, fu il danese Carl Theodor Sørensen che nel 1931 immaginò un junk playground in cui i bambini “potessero creare e dare forma, sognare e immaginare una realtà”. Dopo aver osservato il gioco dei bambini all’aperto, Sørensen propose l’idea di un luogo in cui essi sarebbero stati autorizzati a giocare liberamente, con materiali di scarto, rifiuti e rottami. “Perhaps we could try to set up (on unbuilt sites) a kind of junk playground in appropriate large areas, where children would be allowed to use old cars, packing crates, branches, and that sort of thing.” (Andersson, 2001: p. 18). Il primo junk playground realizzato fu quello di Emdrup in Danimarca, progettato e costruito nel 1943, durante l’occupazione tedesca, come parco giochi per un complesso residenziale alla periferia di Copenhagen (fig.3). Per identificare questi luoghi per il gioco il paesaggista ideò una nuova parola, “Skrammellegepladser”. A proposito di questa esperienza Sørensen disse che, di tutte le opere che contribuì a realizzare, il junk playground era la più brutta, ma sicuramente la migliore. La connotazione anti-estetica di questi luoghi è già insita nel nome e nella volontà di utilizzare i materiali di scarto come strumenti di gioco.1 Il junk playground di Emdrup era un luogo non definito, privo di attrezzature ludiche già costruite, in cui l’immaginazione e la fantasia dei bambini avrebbero contribuito a modellare lo spazio attraverso l’utilizzo di diversi materiali ed attrezzi messi a disposizione; i bambini avevano così la possibilità di costruire i loro scenari di gioco e di manipolare materiali di diversa natura.2 La distruzione creativa suggerita dai junk playgrounds permetteva di Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 48 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 1. I bambini “frugano” il paesaggio, osservando minuscoli dettagli Figura 2. I bambini in movimento nel paesaggio reintegrare il senso della comunità e favorire la ricostruzione del legame tra i bambini e i loro luoghi di vita. Come sottolinea Kozlovzy (2007) le attività nei junk playgrounds (specialmente negli adventure playgrounds inglesi) possono essere interpretate come una strategia di ricostruzione dello stato sociale nel dopoguerra a partire dai bambini, futuri cittadini.3 Nei junk playground i bambini avrebbero sviluppato contemporaneamente la loro identità personale e pubblica utilizzando il gioco spontaneo come occasione di aggregazione sociale ed esercizio di democrazia. Nel suo libro Parkpolitik del 1931 Sørensen apriva il capitolo dedicato ai playgrounds con questa semplice dichiarazione: “children’s playgrounds are the city most important form of public plantation”. La responsabilità sociale, nel significato più profondo del termine, costituiva per il paesaggista le fondamenta dell’ideazione dei playgrounds (Andersson, 2001: p. 18). Questo approccio aveva un duplice significato, sociale e politico; promuoveva le abilità sociali dei bambini e dei ragazzi allo scopo di risolvere i conflitti pacificamente. Come ricorda Kozlovzky (2007), citando le parole del pedagogista progressista Inger Merete Nordentoft, questa promozione dei valori democratici attraverso il gioco rendeva i bambini “cittadini democratici, esseri umani che possono pensare indipendenti, possono essere responsabili e in grado di mostrare tolleranza verso gli altri e avere il coraggio e la fermezza per difendere le proprie convinzioni.” Negli anni in cui Sørensen proponeva il suo loosely formulated concept e si diffondeva in Europa l’idea dell’adventure playground come luogo per il gioco, la crescita e l’educazione dei bambini, negli Stati Uniti il paesaggista-scultore Isamu Noguchi dava forma alle sue idee per i playgrounds, sicuramente diverse da un punto di vista formale e concettuale, ma altrettanto poco convenzionali. Solamente uno dei progetti di Noguchi arriverà ad essere realizzato, ma nonostante questo il paesaggista può essere considerato un riferimento, per la qualità e l’innovazione delle sue proposte. Con i suoi primi progetti per i playgrounds e per le sculture di terra stabilirà le basi per le successive esplorazioni progettuali di parchi e giardini (Torres, 2000). Per Noguchi il concetto di playground è chiaro: egli parte dal presupposto che uno spazio aperto progettato per i bambini non debba necessariamente essere assoggettato alle regole del decoro urbano. Ogni luogo esprime per l’artista una propria poetica ed estetica, viene progettato per stimolare nei bambini il senso del colore, dello spazio e della forma. L’approccio fortemente scultoreo di Noguchi è evidente in Play Mountain (1933), primo playground Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | 49 Figura 3. Il junk playground di C.T. Sørensen a Emdrup Figura 4. Uno dei numerosi Speelplaatsen di Aldo Van Eyck ad Amsterdam progettato, e primo di una serie di proposte presentate e mai realizzate. Il progetto è basato sull’idea di massimizzare la superficie destinata al gioco di un dato spazio urbano inclinando le superfici e generando nuove possibilità di movimento. Lo stesso approccio si ritrova nel progetto del Countoured Playground, sviluppato nel 1941: una scultura di terra, uno spazio privo di attrezzature, dove i movimenti sinuosi del terreno costituiscono le forme, le depressioni, gli elementi di scalata per il gioco dei bambini. E lo spazio, i colori e le forme hanno anche una funzione educativa legata al movimento. Successivamente, tra il 1940 e il 1976 Noguchi sviluppa un vocabolario completo di attrezzaturesculture per i playground, i cosiddetti playscapes. A Piedmont Park ad Atlanta (1976), unico playground realizzato negli Stati Uniti, il progetto segna una svolta nell’evoluzione concettuale dell’artista: il playground da scultura (intesa come modellazione del terreno) diviene il luogo in cui le sculture vengono collocate. In questo parco per bambini ogni elemento viene pensato volutamente fuori scala e colorato con tinte brillanti e luminose allo scopo di enfatizzarne la presenza scultorea. Il posizionamento di una serie di oggetti a metà tra scultura e architettura non hanno l’intenzione di risolvere il progetto attraverso una soluzione standardizzata ma sono pensati e progettati allo scopo di instaurare e organizzare delle relazioni e determinare un controllo spaziale dell’ambiente. Noguchi può a tutti gli effetti essere considerato come un “istigatore” del progetto di paesaggio per i bambini, i suoi disegni presagirono e provocarono l’entusiasmo per le forme uniche e per gli ambienti finalizzati a stimolare l’immaginazione dei più piccoli (Larrivee, 2012). Oltre i playgrounds, nella città come quando cade la neve “When snow falls on cities the child takes over the child is everywhere rediscovering the city, whilst in turn the city rediscovers its children. Revealing that something permanent, if less abundant is missing, something which can still be provided as a modest correction where there is room […]”. Con queste parole l’architetto olandese Aldo Van Eyck descriveva in maniera efficace e suggestiva la relazione che si instaura tra i bambini e il paesaggio urbano dopo una nevicata. Quando la neve cade il bambino ri-scopre la città e a sua volta la città ri-scopre i bambini, rivelando possibilità inattese e luoghi dal valore inespresso. Avviene una mutazione temporanea (Granata, 2013) nel modo di vivere la città, i suoi spazi e i suoi ritmi, a partire dai Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 50 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 5. I bambini e il paesaggio fluviale Figura 6. I bambini e il paesaggio urbano comportamenti dei piccoli cittadini: la città cambia aspetto e i bambini conquistano spazi solitamente non destinati a loro. La suggestione della neve in città richiamava per Van Eyck l’esigenza di un nuovo modo di concepire non solo gli spazi aperti dedicati ai bambini ma la città stessa. Nella metà del secolo scorso, a partire dal 1947 e per conto dell’Amministrazione della città di Amsterdam che auspicava la presenza di un parco giochi in ogni quartiere, l’architetto realizzò oltre settecento aree di gioco, gli Speelplaatsen, concepite come aree ludiche dalle forme semplici ispirate alle teorie pedagogiche di Friedrich Fröbel (fig.4). “Nei cortili ingombri di macerie e ferraglie, nelle banchine spartitraffico, negli slarghi di risulta e ai bordi delle strade Van Eyck e i suoi collaboratori sgombrarono i detriti e livellarono il terreno; in certi casi colorarono i muri degli edifici adiacenti o vi dipinsero murales; e progettarono personalmente le attrezzature da gioco, con lo scopo di insegnare al bambino a prefigurarsi e a gestire le transizioni ambigue dello spazio urbano” (Sennet, 2008: p. 221). Gli Speelplaatsen erano disegnati e costruiti negli spazi residuali, abbandonati, privi di qualità, spesso nei vuoti lasciati dai bombardamenti, re-intepretati per rispondere alle inclinazioni naturali dei bambini e favorire la loro immaginazione. Nell’esperienza di Amsterdam Van Eyck supera il concetto di playground come area per il gioco e la sosta dei bambini, e orienta nuove possibilità progettuali nella dimensione di un paesaggio urbano inatteso: gli Speelplaatsen punteggiavano la città ispirandosi a un’idea di paesaggio urbano in divenire, a un’idea di città come luogo di crescita, di creatività e di ricostruzione.4 Nell’esperienza di Amsterdam il rapporto tra i bambini e lo spazio del gioco viene concepito al di fuori degli spazi progettati ad hoc, oltre i playground definiti e pensati per attività specifiche, e rivalutato nella sua dimensione integrata con la città. Gli Speelplaatsen erano luoghi di transizione che stabilivano una stretta dialettica con il paesaggio: la loro natura interstiziale mirava all’interazione con il tessuto urbano circostante, con la strada e l’edificio, all’interazione tra bambini e adulti. Luoghi per il progetto di paesaggio e luoghi in cui il paesaggio stesso, ancora una volta, può ricoprire il ruolo di soggetto educatore. Bambini, paesaggi, relazioni. come terzo educatore Il paesaggio I professionisti della prima infanzia e i ricercatori nel campo della pedagogia hanno evidenziato negli ultimi anni il cambiamento nella natura del gioco dei bambini nei paesi occidentali e il rapido declino delle opportunità del gioco all’aperto. Nella città e nella società occidentale contemporanea si assiste a una progressiva perdita di spazi per il gioco e di luoghi progettati per i più piccoli; le cause sono molteplici, derivate dalla complessa interazione di fattori legislativi, sociali, di progettazione urbana, ecc. (Waller, 2010). La risposta a queste problematiche non può essere fornita idealizzando i modelli e le pratiche del passato, strettamente legati a specifici contesti sociali e culturali, tuttavia è opportuno rivalutare quegli approcci alla dimensione educativa del paesaggio realizzati attraverso il progetto degli spazi aperti da destinare ai bambini. Non è una coincidenza che le scuole d’infanzia ideate agli inizi dell’Ottocento dal pedagogista tedesco Friedrich Fröebel fossero chiamate “Kindergarten” (giardino d’infanzia). Alle Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | maestre, considerate “giardiniere”, era affidata l’educazione e la crescita dei bambini. È quindi possibile impostare una riflessione critica sulle relazioni tra i bambini e il paesaggio attraverso il tema del gioco e dell’apprendimento dei bambini all’aperto, sul ruolo del paesaggio nei processi educativi e nella crescita? Gli approcci tradizionali al paesaggio sono adeguati o esistono altre opportunità nel campo dell’architettura del paesaggio che potrebbero essere esplorate? Le esperienze realizzate sul tema dell’educazione al paesaggio (Castiglioni, 2011, 2012) sono da considerarsi significative e importanti non solo ai fini della salvaguardia e del miglioramento della qualità dei paesaggi, ma anche in quanto tali, nel favorire la crescita della persona. Sul piano educativo-formativo si rende necessario oltrepassare la logica dell’ “insegnare il paesaggio”, per giungere ad “educare con il paesaggio”, nell’ottica dell’interpretare il paesaggio come uno strumento. Il ruolo del paesaggio come educatore è stato recentemente affrontato da Regni (2009), il quale evidenzia come l’esperienza del paesaggio abbia a che fare con “l’imparare a usare la lentezza e l’utilizzo di tutti i sensi di cui siamo dotati”, insegni i valori dello spazio e del tempo, i valori dei luoghi, il pensare per connessioni e relazioni la rete della vita, l’identità, la diversità, la frontiera e l’ospitalità. Lo stesso autore sottolinea come il paesaggio, secondo una chiave di lettura pedagogica, educhi al rapporto dell’uomo con la terra e inviti ad una riflessione sul rapporto tra generazioni, al fine di valorizzare il paesaggio stesso in quanto bene comune (fig. 5). L’architetto paesaggista Robert C. Moore, impegnato nella ricerca sulla “domanda di natura” come diritto dell’infanzia, afferma: “i bambini vivono attraverso i sensi. Le esperienze sensoriali collegano il mondo esterno a quello interiore nascosto e affettivo. L’ambiente naturale è la fonte principale di stimolazione sensoriale e, quindi, la libertà di esplorare e giocare con esso attraverso i sensi è essenziale per lo sviluppo sano della vita interiore” (1997). In questa direzione si muovono le esperienze educative di scuola nel bosco (con la pioggia, la neve o il sole) che si stanno sperimentando in alcuni contesti del nostro Paese riprendendo le già consolidate esperienze dei Waldkindergarten di tradizione nordica. Una tipologia di scuola dell’infanzia che propone lo svolgimento delle attività a diretto contatto con la natura e il paesaggio dei boschi. Per i bambini, piccoli cittadini di oggi e di domani, i luoghi della città contemporanea mal si coniugano con la necessità della pratica del gioco spontaneo, così come veniva inteso nei junk playgrounds: necessità di manipolare lo spazio attraverso l’autocostruzione, 51 attraverso l’utilizzo (proprio o improprio) di materiali e oggetti ri-trovati, da re-interpretare per un nuovo uso non necessariamente conforme a quello originario. Le relazioni tra i bambini e il paesaggio in questo senso non devono essere confuse con la disciplina dell’educazione ambientale, che ha sviluppato specifici obiettivi e attività mirate alla sensibilizzazione e a una maggior responsabilità verso i problemi ambientali e il concetto di sostenibilità. Piuttosto il tema del ruolo del paesaggio come soggetto educatore trova ispirazione nell’esperienza pedagogica di Loris Malaguzzi e nell’interpretazione dell’ambiente come interlocutore educativo. Malaguzzi affermava che l’ambiente è il terzo educatore e che l’educazione è un atto d’interazioni complesse, molte delle quali si verificano solo se anche l’ambiente partecipa. Sulla base di questi concetti, e a supporto delle autonomie e delle sperimentazioni di conoscenza, esistono situazioni che promuovono e diffondono un approccio educativo di qualità attento all’importanza dell’ambiente in cui i bambini crescono. È il caso di “Reggio Children – Centro Internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini e delle bambine”, che nasce nel 1994 da un’idea di Malaguzzi e si occupa della valorizzazione e diffusione del patrimonio di conoscenze sviluppato nei nidi e nelle scuole comunali dell’infanzia della provincia di Reggio Emilia.5 In questo contesto prendono forma numerosi progetti educativi indirizzati all’importanza dello spazio relazionale dedicato all’infanzia, anche in ambiti molto diversi tra loro, dai luoghi più propriamente urbani ai contesti più naturali, mediante una progettualità che sostiene l’incontro tra i bambini, le cose e i luoghi. Ne è un esempio la ricerca sulla città di Reggio Emilia pubblicata nel volume “Reggio tutta. Una guida dei bambini alla città” che restituisce le riflessioni fatte attorno all’identità della città. Riflessioni che si sviluppano come narrazioni di uno spazio relazionale, di una rete di possibili incontri, di un “luogo di luoghi”, dove i bambini non sono nella città ma sono la città. Certamente “Reggio tutta” non è una guida turistica o una descrizione precisa ed esatta della città, questo non era nemmeno il suo scopo. È piuttosto un racconto della città attraverso le parole, i segni e i disegni dei bambini. Uno dei grandi pregi di questa esperienza è vedere come gli spazi urbani della città sono visti attraverso lo sguardo dei più piccoli e come vengono reinventati grazie a loro. Lo sguardo dei bambini ridisegna la geografia dei luoghi, come suggeriva Van Eyck nel secolo scorso. E le loro competenze nel trattare con la complessità dello spazio e del luogo, che spesso rimandano a Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 52 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio significati e interpretazioni della realtà molto vicini alla cultura e alla storia del pensiero filosofico e scientifico, sono generalmente poco conosciute dagli adulti (Waller, 2010). Il paesaggio può essere strumento educatore e al contempo luogo di sperimentazione e di progetto a partire da nuovi punti di vista. Contestualmente alle relazioni tra bambini e paesaggio risulta suggestivo e significativo il contributo offerto dal manifesto sui “Diritti naturali di bambini e bambine” (Zavalloni, 2003): 1. Il diritto all’ozio, a vivere momenti di tempo non programmati dagli adulti; 2. Il diritto a sporcarsi, a giocare con la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, l’acqua, i sassi, i rametti; 3. Il diritto agli odori, a percepire il gusto degli odori, a riconoscere i profumi offerti dalla natura; 4. Il diritto al dialogo, ad ascoltare e poter prendere la parola, ad interloquire e dialogare; 5. Il diritto all’uso delle mani, a piantare chiodi, segare e raspare legni, scartavetrare, incollare, plasmare la creta, legare corde, accendere un fuoco; 6. Il diritto ad “un buon inizio”, a mangiare cibi sani fin dalla nascita, a bere acqua pulita e respirare aria pura; 7. Il diritto alla strada, a giocare in piazza liberamente, a camminare per le strade; 8. Il diritto al selvaggio, a costruire un rifugio-gioco nei boschetti, ad avere canneti in cui nascondersi, alberi su cui arrampicarsi; 9. Il diritto al silenzio, ad ascoltare il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua; 10. Il diritto alle sfumature, a vedere il sorgere del sole e il suo tramonto, ad ammirare, nella notte, la luna e le stelle. Un manifesto che nelle relazioni tra i bambini e i luoghi definisce molteplici spunti utili per individuare un nuovo ruolo del paesaggio nei confronti dell’infanzia. I bambini elaborano teorie e le modificano, con gli altri e individualmente, interpretano il mondo e le cose. Il paesaggio può diventare il luogo per le loro ricerche. Gli esempi presentati forniscono la prova di come gli spazi all’aperto siano essenziali nella vita dei bambini, di come le relazioni tra spazi e bambini promuovano nuove opportunità di approccio al paesaggio. Tornando al tema iniziale, da cui questa riflessione è partita: è possibile pensare al paesaggio come terzo educatore, come uno strumento attraverso il quale promuovere la comprensione del luogo in cui viviamo e dei valori di cui è portatore, a partire dai più piccoli. Il paesaggio come terzo educatore aiuta a costruire una partecipazione attiva e costruttiva alla vita della propria comunità (fig. 6). Riprendendo le parole dell’educatore americano Richard Louv (2006) “[…] la natura non è soltanto uno spettacolo, è anche quello, e meraviglioso, ma per entrare nel mondo naturale dobbiamo interagire con i suoi elementi, ritrovare quel rapporto diretto che nasce dal fare e non solo dal guardare”. Allora il giardino, la piazza, il cortile, ma anche il bosco e la campagna, divengono luoghi di esperienze molteplici e continue, luoghi di ricerca e di crescita. Il paesaggio, nel suo ruolo di terzo educatore, può stimolare la creatività, il gioco, l’espressività e l’estetica, ma anche il tempo della riflessione, della conoscenza e della scoperta. Riferimenti bibliografici Andersson, S. (2001), C.Th. Sørensen landscape modernist, The Danish Architectural press, Copenhagen. Castiglioni, B. (2011). Il paesaggio, strumento per l’educazione geografica, in Giorda, C. & Puttilli, M. (a cura di), Educare al territorio - educare il territorio. La geografia per la formazione, Carocci editore, Roma. Castiglioni, B. (2012), Il paesaggio come strumento educativo, [Online]. Disponibile su: http://www.unirioja.es/, ultimo accesso marzo 2014. Davoli, M. & Ferri, G. (2000, a cura di), Reggio tutta. Una guida dei bambini alla città, Reggio Children, Reggio Emilia. Gambino, R. (2003), Progetto e conservazione del paesaggio [Online]. Disponibile su: http://www.rivistaarchitetturadelpaesaggio.unifi.it/, ultimo accesso marzo 2014. Granata, E. 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(2007), Lo sguardo sul paesaggio da una prospettiva pedagogico- ambientale, in Castiglioni, B., Celi, M., Gamberoni, E. (a cura di), Il paesaggio vicino a noi. Educazione, consapevolezza, responsabilità, pp. 39-50. Atti del convegno, Padova, 24 marzo 2006, Museo Civico di Storia Naturale e Archeologia, Montebelluna. Zavalloni, G. (2003), Diritti naturali di bimbe e bimbi…perché un manifesto? [Online]. Disponibile su: http://scuola.regione. emilia-romagna.it Riferimenti iconografici Figure 1, 2, 5: foto di bambini all’aperto, Scuola d’infanzia Scutellari Soliani di Brescello (RE), coordinamento pedagogico Bassa Reggiana. Figura 3: il junk playground di Emdrup, immagine storica tratta da http://architekturfuerkinder.ch/index.php?/pioniere/ c-th-sorensen/, ultimo accesso marzo 2014. Figura 4: una delle piazze progettate da Aldo Van Eyck ad Amsterdam, immagine storica tratta da http://www. architekturfuerkinder.ch/index.php?/pioniere/aldo-van-eyck/, ultimo accesso marzo 2014. Figura 6: foto di bambini in un contesto urbano, Nido La Rondine e Nido Pollicino di Guastalla (RE), coordinamento pedagogico Bassa Reggiana. Credits/Ringraziamenti Si ringrazia la dott.ssa pedagogista Alessandra Ferrari per i consigli e i materiali forniti durante la redazione del documento. _________________________________________ È interessante notare come il termine danese avesse una connotazione positiva, a differenza del corrispondente termine inglese junk che porta con sé un’accezione negativa. 1 2 Nella proposta del paesaggista danese è riscontrabile l’influenza delle idee pedagogiche di Friedrich Fröebel, Rudolph Steiner e Maria Montessori riguardanti il gioco indipendente dei bambini e l’educazione naturale. 3 Nel secondo dopoguerra i junk playgrounds divennero un modello di successo in Inghilterra dove ebbero diffusione con il nome di Adventure playgrounds grazie alle attività di Lady Allen di Hurtwood che nel 1946 visitò Emdrup e ne rimase molto colpita. Il testo “Aldo Van Eyck: the playgrounds and the city” (2002) restituisce in modo efficace l’importanza del ruolo dei playgrounds all’interno dello sviluppo urbano delle città nel dopoguerra. 4 Il riconoscimento internazionale a questa esperienza e la collaborazione con molti Paesi hanno generato un Network Internazionale di rilievo che oggi conta 32 Paesi. 5 Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Chiara Lanzoni, Piccoli spazi e piccoli cittadini. Il paesaggio come terzo educatore, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index. html, pagg. 46 - 53 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE II - LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO Il Parco di Pinocchio a Collodi e il mondo dell’infanzia nella dimensione del giardino | The Park of Pinocchio in Collodi and the world of infancy in the dimension of a garden Claudia Maria Bucelli* abstract abstract ‘Piccolo’ spazio di esteticità raccolta a giardino nell’esteticità diffusa dello storico paesaggio della Valdinievole, ‘parco-giardino’ declinato artisticamente in finalità ricreativa ed educativa, il Parco di Pinocchio, già ‘piccolo’ in quanto ‘frammento’, ‘parte’, ‘piccola variazione’ del ‘parco della campagna’ circostante, è anche ‘piccolo’ nei ‘minimi’ universi a giardino che lo compongono e che, sulle orme delle avventure del burattino, dialogano ludicamente ed eticamente con la dimensione psicologica dei ‘piccoli’. A small beautiful garden space situated in the middle of the historical Valdinievole landscape, Pinocchio’s Park is a garden park designed for educational and recreational purposes. It is already ‘little’ because it’s a ‘fragment’, a ‘part’, a ‘little variation’ of the surrounding ‘country park’. It is also ‘little’ because it’s made up of minimal garden universes which recreate the puppet’s adventures and also because it refers to the psychological dimension of the ‘little’ kids. parole chiave key-words Pinocchio, arte, infanzia, giardino, piccolo Pinocchio, art, childhood, garden, little/small * Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | Introduzione Forse nessuno dei riferimenti all’amato burattino è tanto esplicito nella dimensione ideale e fisica dell’infanzia quanto quel luogo-percorso in veste di giardino costruito nel Parco di Pinocchio sulla rievocazione delle celebri avventure. Armonizzato nei luoghi, nelle folies, nella statuaria, negli arredi, nel procedere da un’ambientazione all’altra in successione di scenografie quasi cinematografiche - separate visivamente le une dalle altre da quinte verdi ma connesse nel continuativo stimolo al proseguo del viaggio e costruite sulle dimensioni fisiche e mentali dei bambini - esso traduce il mondo ‘altro’ delle avventure pinocchiesche nel fantastico mondo artificiale del parco. Lo traspone in ambientazioni fittizie tagliate nella viva vegetazione e raccoglie in un ambito spazialmente limitato una incredibile lunghezza di narrazione. Quel racconto “che, tradotto in tutte le lingue del mondo, è capito da tutti i popoli della terra” (Bargellini, 1956: 7), si srotola sotto gli occhi dei visitatori in un percorso di salite, discese, angusti anditi e passaggi, piazzuole, slarghi, cunicoli, sentieri sinuosi, cammini lineari, falsi percorsi e diramazioni in un itinerario deputato al divertimento e al favorire azione e riflessione in modalità educative. Esso traduce la dimensione astorica e ageografica di arguzia, velocità e diversione delle celebri avventure, “schema universel, un discours unique irréductible à tout autre, originale en un mot” (Genot, 1970: 9) in spazi a giardino in cui tutti i ‘piccoli’, di ogni cultura, possano riuscire a ritrovare, nella misura ‘minima’ loro congeniale, luoghi ed eventi associati al carattere irriverente, ribelle e giocoso di Pinocchio. Se dunque ”Pinocchio è un libro che parla di un ragazzo ed è scritto, forse, anche per i ragazzi; offre un «modello» di ragazzo e, come testo pedagogico, veicola insegnamenti agli educandi” (Cambi, 1985: 33), il Parco di Pinocchio traduce l’impegno educativo del romanzo creando un dominio tematico caratterizzato da ambientazione paesaggistica finalizzata a complemento dell’opera d’arte, costituendo una forma di arte ambientale ante litteram (Mazzanti, 2004: 88) scolpita a giardino sulla dimensione della puerizia che, riecheggiando gli eventi e i luoghi della favola, similmente articola “to the measures of infancy” (Cope, 2001: 188), gli spazi, i percorsi, i manufatti, i colori, legandosi alla dimensione artistica ivi custodita e allo splendido scenario del paesaggio valdinievolino. La dimensione dell’infanzia e la ‘piccola’ scala delle avventure di Pinocchio raccontate attraverso un giardino 55 L’infanzia è “un tema centrale nell’opera collodiana e uno dei pochi temi (…) che la percorrono da cima a fondo, vi occupano uno spazio al tempo stesso filologico e simbolico” (Cambi, 1985: 36). Se l’opera di Collodi “contiene una visione dell’infanzia, oltre che narrare «una» infanzia” (Cambi, 1985: 33-34), e Pinocchio, definito da Benedetto Croce come il più bel libro della letteratura infantile italiana, “contiene una grande allegoria dell’infanzia. Il burattino si afferma, ad un tempo, come un fanciullo elementare e universale” (Cambi, 1985: 49), il Parco di Pinocchio riesce a tradurre la dimensione dei più piccoli nella creazione architettonica, artistica e paesaggistica di un luogo ‘altro’ rispetto a quello dell’esperienza giornaliera, un ‘altrove’ che permette di lasciare il paesaggio quotidiano e di vivere momenti di fantasia in un piccolo mondo-giardino che prima di essere costruito era già immagine mentale per tanti bimbi che avevano letto e sognato con l’amato burattino. Una successione di eventi, molti dei quali dislocati lungo tornanti quasi tangenti gli uni agli altri, così moltiplicando lo spazio e rendendo vicinissimi, benché visivamente separati, episodi concettualmente distanti nel percorso della narrazione, offrono tragitti sia obbligati che arbitrari e incontri inattesi. Rievocano le molteplici avventure di Pinocchio lungo un itinerario variegato da percorrere camminando su saliscendi di sentieri variamente lastricati, dimensionati sui protagonisti di sempre, i bambini che sulle orme del burattino rivivono le fantasiose peripezie, sono ospitati in una realtà dimensionalmente loro congeniale e sono soprattutto chiamati ad interagirvi ludicamente, muovendosi fra spazi fisici evocativi e talvolta illusori, architetture, statuaria, arredi, oggetti modellati sulla loro piccola taglia, rimandi mnemonici e simulazioni di paesaggi fantastici. Il Parco di Pinocchio costituisce dunque lo spazio della libertà necessaria all’immaginazione nel contatto con qualcosa che diverge dal concreto quotidiano e che permette, specie ai più piccoli cui si rapporta in ogni dimensione, di entrare nella favola in modalità pur fantasiosa ma reale, personale, partecipativa, protagonista. Questa interazione fra infanzia, gioco, arte e paesaggio costruendo un ‘mondo altro’ misurato sul ‘piccolo’ nel mondo già ‘altro’ del giardino – ‘piccola’ esteticità raccolta nell’esteticità diffusa del paesaggio storico circostante - in finalità di intrattenimento educativo dell’infanzia sulla falsariga delle avventure di Pinocchio venne assecondata, in termini differenziati ma complementari, sia nella realizzazione del primo nucleo del parco che nella successiva addizione del Paese dei Balocchi. Spazio già ‘piccolo’ in quanto ‘frammento’, ‘parte’, ‘piccola variazione’ del ‘parco della campagna’ circostante e paesaggio in qualche modo virtuale, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 56 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 1. Collodi, Parco di Pinocchio, la piazzetta dei mosaici ma sempre strettamente connesso al paesaggio reale, il Parco di Pinocchio venne fondato nei suoi caratteri costitutivi quando nel 1953 la commissione giudicatrice del concorso nazionale per il “Monumento ricordo di Pinocchio a Collodi”, indetto due anni prima dal neoeletto sindaco di Pescia Carlo Anzilotti per celebrare il settantesimo anniversario della pubblicazione de “Le Avventure di Pinocchio” di Carlo Lorenzini, proclamò vincitori ex aequo la scultura di Emilio Greco e il progetto della poi ribattezzata ‘Magic Square’ che gli architetti Renato Baldi e Lionello de Luigi avevano concretizzato assieme a Venturino Venturi1. Fu designato al secondo posto il percorsoparco presentato dall’architetto Marco Zanuso e dallo scultore Pietro Consagra. Nella consecutiva prima traduzione dei due ex aequo verrà costruito, nella frazione di Pescia che all’autore della famosa novella dette i natali e lo pseudonimo di Collodi, il primo nucleo del parco. Fra il 1953 e il 1956 fu messa in opera la piazzetta mosaicata quadrata, circondata da una fitta piantagione quadrilatera sempreverde di specie mediterranee e delimitata da muri a profilo mistilineo decorati a fregio musivo continuo polimaterico con 22 scene mosaicate evocative degli episodi della novella. Nei pressi verrà collocata la statua bronzea di Emilio Greco, Pinocchio che assistito dalla Fata diventa un bambino. (fig. 1, 2, 3) Lo spazio messo in opera nel circuito quadrilatero della piazzetta fu decorato da Venturino Venturi in una modalità nuova per l’artista, il mosaico, eseguito con grandi tessere irregolari marmoree e pietre di fiume scelte singolarmente e posizionate affiancandole a tasselli di pasta vitrea colorata, da lui sperimentato per la prima volta proprio a Collodi. I pannelli mosaicati, prima montati a terra in studio e poi incollati in verticale sui supporti in muratura, come da documenti fotografici dell’epoca, instaurano un dialogo compositivo con la geometrica ripartizione del rustico lastricato nelle tonalità grigie, rosse e bianche. Già studiato in monotipi realizzati in acquerello e china su carta – alcuni, risalenti al 1948 e da Venturino stesso ribattezzati ‘monotipi piazzetta’, tutti prototipi di una ipotetica piazza quadrata, furono ripresi dall’artista per la piazzetta di Collodi – il lastricato verrà anch’esso personalmente tradotto dal maestro2. Per l’altezza e per numerosi pertugi e passaggi di diverse dimensioni la Magic Square, concepita da Venturi come unicum volumetrico il cui muro circuitale era finalizzato a dialogare in primis con la dimensione dei ‘piccoli’, doveva, aprendosi alla loro minima statura in molteplici punti, stimolarli a sollecitazioni cinetiche, a muoversi e giocare in uno spazio scenico racchiuso da una quinta decorata a immagini fantasiose. Un teatro ludico a trecentosessanta gradi che con ogni probabilità prevedeva nella volontà di Venturi un circuito verde mantenuto a media altezza per permettere la continuativa connessione visiva dal paesaggio virtuale del monumento verso il reale paesaggio agrario storico circostante3. La piazza costituiva una scultura mistilinea da scoprire percorrendola anche da dietro il muro, e suggeriva ai bimbi un’interazione attiva con il monumento, spazio ludico e di socializzazione da interagire fisicamente in tutte le sue parti, scalandolo, valicandolo, attraversandolo e percorrendolo in lungo e in largo, da dentro e da fuori. Quasi un rivivere in omologia alla fiaba, di avventura in avventura, l’itinerario emozionale dell’amico burattino, modalità poi riproposta anche nell’addizione successiva. All’attuale realizzazione Venturino Venturi pervenne dopo un percorso creativo che lo portò a considerare altre ipotesi per il Monumento a Pinocchio, prevedendo Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | 57 Figure 2. 3. Alcuni dei monotipi -studio realizzati in acquerello e china su carta da Venturino Venturi per il Monumento a Pinocchio in tali soluzioni alternative l’ingresso alla piazza in corrispondenza all’ingresso di Villa Garzoni, quindi con un orientamento, una ipotetica fruizione e una continuità visiva all’intorno completamente diversa. La costante in entrambe le ipotesi era l’integrazione monumento-giardino dimensionato all’infanzia per cui, riprendendo gli inconfondibili lineamenti del burattino, il monumento si trasformava in un caso in un bosco di lecci sagomato su Pinocchio con al centro, in corrispondenza dell’occhio, uno spazio aperto circuitale pavimentato. Nell’altro in un giardino simil formale, vagamente labirintico e ugualmente sagomato sul caratteristico profilo di Pinocchio, da percorrere ed esplorare incontrando i personaggi della novella in ampi mosaici su muretti verticali. Successivamente il progetto virò da giardino all’ariosa piazza mosaicata poi realizzata, una ‘piccola’ geometria architettonica e artistica circoscritta dalle scene musive e tuttavia in contemporanea peculiare referenzialità alla densità percettiva ed evocativa dell’ampio paesaggio circostante. Uno spaziomonumento costruito nella scala della ‘piccola’ dimensione dei ragazzi, permettendo loro una giocosa interattività nei confronti della creazione artistica. Un luogo d’arte da poter decifrare riconoscendovi eventi e protagonisti ed esperire, toccare e interagire, arrampicandovisi e attraversandolo nei numerosi piccoli pertugi, realizzati a varie altezze nell’esclusiva disponibilità e riferimento dimensionale ai più ‘piccoli’. (fig. 4, 5) Inizialmente gli episodi mosaicati erano stati progettati da Venturi come una continuità e disegnati in successione, senza interruzioni, su un lungo rotolo di carta. Sucessivamente materializzatasi l’idea di un supporto murario che li raccogliesse, fu la sorella Rina a suggerirgli di dividere il lungo foglio in quattro parti, da cui l’idea immediatamente successiva dei quattro setti murari attorno ad uno spazio quadrato. Subito dopo vennero sagomate in carta e poi anche su legno, dallo stesso Venturino, le quattro maquettes dei muri della piazza. Furono proprio le maquettes in legno, oggi ne sopravvivono solo tre, a ricreare in fotografia l’illusione della piazza con al centro il bozzetto sul quale successivamente realizzare la statua di Pinocchio - era questa l’idea, a lungo perseguita, di Venturino Venturi - che avrebbe dovuto fungere da meridiana, fluendo con la sua ombra sugli episodi tradotti artisticamente tutto attorno e indicandoli, nello scorrere del giorno, a uno a uno. Fu questa sorta di fotomontaggio che venne poi pubblicato nei giornali coevi quale realizzazione del monumento a Pinocchio, inducendo alcune incertezze interpretative e orientando a ritenerlo il progetto effettivamente realizzato4. (fig. 6, 7) Visto il grande successo del Monumento a Pinocchio, sulla base del secondo progetto classificato, incrementato da un’ulteriore addizione a definire l’ibrida soluzione finale completata dal sostanziale contributo non solo paesaggistico di Pietro Porcinai, fra il 1956 e il 1972 venne realizzato a sud-est l’ampliamento del Paese dei Balocchi. Un luogo- Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 58 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figure 4. 5. Le due alternative soluzioni per il Monumento a Pinocchio, modellate da Venturino Venturi sugli inconfondibili lineamenti del burattino. Esse prevedevano l’ingresso alla piazza in corrispondenza all’ingresso di Villa Garzoni e, nell’integrazione monumento-giardino, l’ipotesi di un bosco di lecci (sx) e di un giardino formale simil labirintico (dx) itinerario in continuità concettuale con l’attiguo spazio d’arte costruito su ispirazione di quel paese fantastico evocato da Collodi nella novella quale luogo finalizzato esclusivamente ad attività ricreative. “Il luogo deputato alla gioia e al gioco, lo spazio libero e utopico, ma realissimo nell’universo del desiderio” (Cambi, 1985: 51), a Collodi tradotto in un ambizioso progetto paesaggistico finalizzato a “provocare la partecipazione attiva dei visitatori e, soprattutto, dei più giovani di essi, alla vicenda che si sarebbe snodata loro innanzi”, e a trasporre in geografia analogica lo spirito della novella offrendo ai bambini “divertiti ed eccitati per aver appena rivissuto la fiaba meravigliosa del burattino del Collodi […] gli ambienti sempre sognati per i loro giuochi”5. Ulteriori ambientazioni fantastiche quali un castello medioevale, un porticciolo con il galeone corsaro, una grotta dei pirati difesa da una soprastante fortificazione, il forte delle giubbe rosse con l’antistante accampamento sioux, ispirati all’epopea americana e a quelli che ne furono gli avventurosi protagonisti, una pista aerea per trasferirsi dall’altra parte del fiume ed ammirare il grattacielo sovrastato dalla torre per il lancio del missile in procinto di allontanarsi dalla Terra, che avrebbe dovuto rivelare agli amici di Pinocchio le meraviglie e i segreti del futuro, avrebbero dovuto affiancarsi a quanto poi effettivamente realizzato che, il nome lo testimonia, si ispirava nello spirito ludico alla famosa descrizione collodiana del Paese dei Balocchi. Essa dipinge le dinamiche disimpegnate e giocose di quel luogo fantastico dove Pinocchio e Lucignolo sono condotti dal carro tirato da dodici pariglie di ciuchini e dove perdura la “libertà dalla legge e della libera espressione di sé che vige, come regola e come atmosfera” (Cambi, 1985: 51-52) in veste di puro divertimento: “chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani interra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo”. (Collodi 1881; ed. 1996: 161). Nell’addizionale area era dunque chiamata a collocarsi l’espressione dello spirito di Pinocchio tradotta in itinerario didatticointerattivo costruito, sulla dimensione fisica e psicologica dell’infanzia, fra natura, statuaria e folies architettoniche. Attraverso lo scenografico percorso del parco plurimi stimoli orientativi, cinetici, visuali, visivi, olfattivi, tattili, dovevano indirizzare i piccoli immergendoli nell’immaginario pinocchiesco. Non solo: veniva proposta anche una loro diretta interazione con alcune realizzazioni a statuaria che erano previste con movimento da indursi da parte dei piccoli visitatori. Il Carabiniere avrebbe dovuto abbassare le braccia e il busto evocando il tentativo Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | 59 Figure 6. 7. Il bozzetto di Pinocchio realizzato da Venturino Venturi quale prototipo per la statua da collocarsi al centro della piazzetta mosaicata e il fotomontaggio del bozzetto e delle maquettes in legno dei pannelli mosaicati quale anticipo della futura realizzazione del Monumento a Pinocchio nella completezza auspicata dal Maestro. di cattura; il Grillo parlante alzare e abbassare le braccia enfatizzando i propri ammonimenti al riottoso burattino. Il Gatto e la Volpe, evocando i rimandi collodiani che ne descrivono i caratteri, avrebbero dovuto oscillare gli occhi da destra a sinistra e muovere il braccio fasciato, e gli stessi, travestiti da Assassini, alzarsi e abbassarsi a simulare una andatura zoppicante. La Fata Bambina avrebbe dovuto battere le mani, la Padella del Pescatore Verde sobbalzare sul proprio supporto suggerendo l’idea del friggere, il Ciuchino-Pinocchio ondulare la coda, il Granchio e il Serpente, unici realizzati, spruzzare acqua il primo, e sibilare dalla bocca, fumando vapor acqueo dalla coda “come una cappa di camino”, il secondo. Altri episodi poi, come la Casa della Fata e il Pescecane, sulla cui lingua-cuscino rossa opportunamente dimensionata i bambini erano invitati nei primi anni di apertura del parco a giocare e saltare, si presentano ad una differente ma sempre diretta interattività. Possono essere percorsi, circumnavigati, esplorati e scalati, ed altri ancora, come la Fata e i Coniglietti, raggiunti inerpicandosi lungo ripide salite variamente selciate, scoprendo così una supplementare modalità di scoperta e divertimento indirizzata ai piccoli. Furono in realtà due gli spazi autonomi nei quali in un primo momento venne concepita la realizzazione dell’ampliamento del primo nucleo del parco. Il primo destinato alla traduzione del secondo progetto classificato al concorso, quello di Zanuso e Consagra, percorso narrativo e interattivo di sculture, piccole architetture, arredi evocativi dei luoghi e dei personaggi della novella tali da far rivivere, lungo un itinerario serpeggiante nel verde, le stesse avventure vissute dal burattino. Il secondo, realizzazione di un progetto aggiuntivo sempre a firma Zanuso, che doveva consistere nella concretizzazione del Paese dei Balocchi, un luogo chimerico mai descritto da Collodi nella favola. Un paese fantastico in una località misteriosa, una geografia più psicologica che reale, associata alla pura azione ludica. Successivamente solo il primo ambito venne realizzato, seppure con plurime varianti. La seconda addizione si ridusse a una integrazione della prima, con l’inserimento di alcuni episodi contigui – Il Labirinto, La Nave dei Corsari, La Grotta dei Pirati – a fronte degli altri mai posti in opera – marginalmente al percorso narrativo del parco. L’intero progetto prevedeva una continuativa variazione paesaggistica, specifico apporto di Pietro Porcinai, costruita come sovrastruttura vegetale, in modalità vigorosamente plastiche, su quanto già parzialmente delineato da Zanuso e incrementato da Porcinai con ulteriori sopraelevazioni sulle quali si posizionano L’Albero degli Zecchini d’Oro, miraggio di futura ricchezza ricorrente nella novella e reiterato riferimento visivo da più punti del percorso, La Fata, collocata in cima ad una sorta di struttura totemica sulla quale i bimbi possono divertirsi in un’avventurosa scalata e dietro la quale emerge lo splendido quadro paesaggistico di Villa Garzoni e del paese di Collodi, Pinocchio che saluta, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 60 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figure 8. 9. Lo stimolo interattivo sulla dimensione dell’infanzia ricreato nel supporti lapidei del primo nucleo del parco, la piazzetta mosaicata, e dell’espansione successiva, qui nell’esempio della salita dei Coniglietti, misurati al rapporto percettivo e spaziale dei piccoli. da dove si intensifica la percezione dell’intorno. Integrate l’una all’altra in un intervento equilibrante a collegamento, giustificazione e valorizzazione, le sculture di Consagra e le folies di Zanuso vennero racchiuse in una successione di ‘stanze verdi’ adeguate alla dimensione percettiva e spaziale dei piccoli, così creando una coinvolgente dimensione fruitiva a misura di bambino. Un fantastico mondo artificiale popolato dai personaggi della fiaba, una serie di brani di racconto tradotti in ambientazioni fittizie dimensionate sui piccoli visitatori cui è destinata l’opera. Un percorso d’arte sagomato nella vegetazione in cui ogni episodio stimola al proseguimento e alla scoperta del successivo in un avvicendarsi di scenografie separate visivamente le une dalle altre e allestite, per i previsti movimenti interattivi di alcune sculture, come teatrini di automi protagonisti con i bambini della sequenza narrativa. La suddivisione si ordinava inoltre in seno a tre ambiti paesaggistici dominanti, percepiti, nella dimensione non solo infantile, quali mondi a sé con volumetrie, densità e specificità botaniche, luminosità, schermature, cromatismi, profumi differenti e caratterizzanti: una vegetazione sempreverde mediterranea dal Villaggio al Bosco degli Assassini, dominanza di alloro e pittosporo con fioriture di rose e altre specie dalla Fata Bambina all’Albero degli Zecchini d’Oro, dominanza di Bambusa in varietà –fra cui Bambusa aurea, Bambusa mitis, Bambusa nana e Bambusa kuamasasa - e altre specie esotiche quali Erba della Pampas, Yucca, Cycas nana per il percorso dal Serpente al Pescecane. (fig. 8, 9, 10) Riferimenti bibliografici Bargellini, P. (1956) Pinocchio, favola eterna, “Montecatini e le sue terme”, 1. Bucelli C. M. (2012) Committenza privata e pubblica: i giardini di villa e il parco di Pinocchio, in Claudia Maria Bucelli, Claudia Massi (2012, a cura di), Pietro Porcinai a Pistoia e in Valdinievole, Leo S. Olschki, Firenze, pp. 131-180. Cambi, F. (1985) Collodi, De Amicis, Rodari. Tre immagini d’infanzia, Edizioni Dedalo, Bari. Casazza O. and Moretti M., 2003. Pinocchio a Collodi 50°. Mezzo secolo d’arte contemporanea. San Gimignano: Nidiaci Grafiche, 2003. Collodi C., (1996) Le avventure di Pinocchio, Firenze, Polistampa. Cope J., (2001) The beauty of ‘Pinocchio’, in The poetics of place, Leo S. Olschki, Firenze. Genot, G. (1970) Analyse structurelle de «Pinocchio», Quaderni della Fondazione Nazionale “Carlo Collodi”, 5, Insustria Tipografica Fiorentina, Firenze. Mazzanti A. (2004, a cura di), Sentieri nell’arte. Il contemporaneo nel paesaggio toscano, Firenze, Maschietto. 88. Riferimenti archivistici FNCC = Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Collodi, Pescia AVV = Archivio Venturino Venturi, Loro Ciuffenna Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | 61 loro ho potuto agevolmente visionare. In particolare le inedite notizie qui riportate derivano dall’intervista a Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio 2014. 2 AVV, Cartella Parco di Pinocchio, carte sciolte, e intervista a Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio 2014. 3 Intervista a Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio 2014. Cfr in proposito anche un filmato dell’Istituto Luce del luglio 1959 dove il monumento di Venturino Venturi appare circondato da specie botaniche in crescita, presumibilmente lecci, di media altezza, e quindi ancora protagonista dell’interazione visiva con il paesaggio circostante in http://goo.gl/15bRqj, ultimo accesso 22 marzo 2014. Ringrazio l’Arch. Guido Pantani per la segnalazione. 4 Intervista a Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio 2014; ringrazio Fabio Rovai per avere chiarito quanto sopra, consentendomi in questa sede di rettificare quanto erroneamente affermato al riguardo. Figura 10. Le dimensioni modulate sui ‘piccoli’ visitatori, cui è finalizzata l’opera, evidenziano l’atmosfera fantasiosa e irreale del parco nel quale ritrovarsi come in una fiaba, in un ‘altrove’ dove rivivere con Pinocchio le famose avventure. 5 FNCC, Documenti, 12, Il Paese dei Balocchi a Collodi, Relazione di Rolando Anzilotti a Giovaoirnni Michelucci, Marco Zanuso, Pietro Consagra, s.d. Riferimenti iconografici Figure 1, 8, 9, 10 di Claudia Bucelli Figure 2, 3, 4, 5 6, 7, Archivio Venturino Venturi, Loro Ciuffenna Sitografia Fondazione Nazionale Carlo Collodi, www.pinocchio.it/ fondazione-carlo-collodi-c3/, ultimo accesso 20 febbraio 2014. Archivio Storico Istituto Luce, www.archivioluce.com/archivio/ ultimo accesso 22 marzo 2014. ______________________________ 1 Il legame di Venturino Venturi con il personaggio di Pinocchio viene da lontano, da quando la sua famiglia, fuggitiva dal regime fascista, si trasferì prima in Francia, a Aix en Meuse, vicino al confine con il Lussemburgo, e poi direttamente ad Aixe sur Alzette, in Lussemburgo. Venturino, di idioma francotedesco, crebbe e studiò in Lussemburgo, mantenendo con l’Italia, specie con l’identità toscana, dove volle tornare maggiorenne per iscriversi all’Accademia di Firenze, un profondo legame affettivo e culturale derivato dai racconti orgogliosi del padre e da due volumi portati nell’esilio: La Divina Commedia e Le avventure di Pinocchio. Fu su questi testi che Venturino apprese la migliore lingua italiana e strutturò la propria identità di italiano. L’amore al celebre burattino fu per lui dunque qualcosa di profondo, connesso alle origini, alla cultura, alle proprie radici identitarie ed artistiche, tanto che anni dopo, accudito in casa dalla sorella Giuseppa, aveva realizzato maschere di carnevale, dove la sua era quella di Pinocchio, e quella della sorella era la Fata Turchina. Ringrazio Fabio Rovai e Lucia Fiaschi per le preziose informazioni generosamente elargitemi e la documentazione che grazie a Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Claudia Maria Bucelli, Il Parco di Pinocchio a Collodi e il mondo dell’infanzia nella dimensione del giardino, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi. it/ri-vista/quaderni/index.html, pagg. 54 - 61 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE II - LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO Il piccolo orto di Skrudur | The small garden of Skrudur Flavia Pastò * abstract abstract Il mondo è insieme macro e micro. Noi interveniamo con piccoli progetti per sollevare le sorti del paesaggio che ci circonda, altri in futuro raccoglieranno la sfida. Quando si manifesta, la bellezza crea dei luoghi apparentemente diversi tra loro, in realtà ricchi di comuni valori che solo lei è in grado di donare ed evocare. Skrudur, un piccolo orto sulla riva dei fiordi islandesi, è diventato il simbolo di una civiltà che vi si identifica. Un piccolo giardino che combatte contro le avversità della natura, in una terra di ghiaccio e neve. The world is composed at the same time by macro and micro. We act with small projects to get better the landscape around us, others in the future will reap the challenge. When the beauty appears, it creates some place apparently different, but in reality full of common values. Only the beauty is able to donate and evoke this values. Skrudur, a small garden on the banks of the Iceland’s fjords, has become the symbol of a civilization that is identified. A small garden that fights against the adversities of nature, in a land of ice and snow. parole chiave key-words valore, manifestazione, identità value, event, identity * Architetto paesaggista, dottoranda in Progettazione Paesistica presso Università degli studi di Firenze [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | Introduzione “La nostra realtà è insieme locale e globale, macro e micro, e a volte risposte alla difficoltà di interpretarla ci giungono da paesi antipodici, cioè dotati di un angolo critico che in virtù di una grande distanza, di un estraniamento rispetto ai nostri codici abituali di tempo e di spazio, vede il nostro mondo con occhi ormai diversi” (Franco Zagari,2013). Viviamo in uno spazio dove convergono allo stesso tempo realtà enormi e microscopiche. Il paesaggio della terra rappresenta il massimo grado di questa realtà, è il macro per eccellenza, rigoglioso e fiorente nei suoi tratti migliori, povero e degradato nelle zone più distrutte dall’azione nociva dell’uomo. All’interno di questa enorme Pangea troviamo, al contempo, un’infinità di micro-paesaggi, esempi di minor scala, piccoli per estensione territoriale, ma non per l’importanza che hanno nel sistema del nostro vivere. Essi, infatti, gravano sulla nostra esistenza proprio come il macro paesaggio e ci permettono di apprezzarne ogni giorno la loro infinita bellezza. Quando però, purtroppo, ci troviamo di fronte a paesaggio distrutti, a quell’enormità deforme la cui causa purtroppo è da imputare solo a noi stessi, ci rendiamo conto che è necessario risollevare le sorti del nostro pianeta. Un intervento per fare tornare il paesaggio alla sua bellezza iniziale non è cosa semplice né banale, ci sono voluti secoli per ridurre il nostro intorno come oggi ci appare e nessun progetto unitario ci permetterà una soluzione definitiva. È necessario procedere per gradi, con piccoli interventi mirati a riportare lo splendore nelle piccole cose, nei piccoli paesaggi che ci circondano, nella speranza che si crei una sorta di network di aiuto al nostro mondo e che i nostri figli, e chi verrà dopo di essi, possa accettare questa sfida e prodigarsi allo stesso modo per salvare l’ambiente e rendere i piccoli paesaggi un grande paesaggio dotato di estremo fascino. L’uomo odierno, sazio e soddisfatto del benessere e dai molteplici comfort che a fatica si è creato, stenta a mettersi alla prova per cambiare il mondo. Solo un piccolo gruppo di persone illuminate, una minoranza che, come in ogni epoca storica, si è distinta per particolari capacità, in questo caso per la propria sensibilità verso la bellezza, ha iniziato a prendersi a cuore l’interesse del proprio paese. Certo, si tratta di piccoli interventi, piccoli gesti che si spera in futuro diventino sempre più numerosi, così come la piccola e solitaria gocciolina d’acqua che, insieme a milioni di altre sue gemelle, ha formato con il tempo i mari e gli oceani. La bellezza e il paesaggio “La bellezza del cosmo è proprio quel suo manifestarsi” 63 (J. Hillmann, 1999): dal più piccolo granello di sabbia al cosmo stesso. E nel nostro mondo, composto da grandi e minuscoli elementi, questo valore, a prima vista così soggettivo e difficile da catalogare, ci si manifesta in maniera apparentemente diversa. Ogni singolo paesaggio rappresenta la massima espressione di quanto la natura sia in grado di offrirci e dimostra, spesso, le capacità dell’uomo di trasformarla in qualcosa definibile con quel sostantivo apparentemente ineffabile che è la bellezza. Affermare che un paesaggio è bello significa attribuire alla composizione che stiamo osservando, naturale o artificiale che sia, non solo un valore di carattere estetico, ma anche, come afferma Zagari (2013), un alto valore di creatività, di coraggio e di inattesa libertà al suo autore, arrivando quindi a dare un valore etico e civile a chi ha pensato, progettato e realizzato quell’opera così ricca. Certo, questo comporta una grande responsabilità nei confronti di chi si adopera a modificare la natura di un luogo, perché questo processo deve essere guidato da una mente ricca di talento, per evitare di rovinare ogni singolo elemento che la compone. Uno degli elementi più incantevoli e più piccoli che troviamo in natura è il fiore: un’esile gambo che sostiene una corolla, dei petali leggeri e colorati e un calice che sembra disegnato da un artista. Ogni parte, presa singolarmente, rappresenta una meraviglia, perfetta nel disegno e regolata da leggi matematiche, ma solo quando sono tutte insieme e formano il fiore allora ci si accorge della sua bellezza. Come a teatro, quando sul palcoscenico decine di attori mettono in scena uno spettacolo: l’esito finale dipende dalla bravura dei singoli, allo stesso modo succede in natura. L’uomo osserva un fiore che fiorisce e ne rimane estasiato. Ma se questo fiore si trovasse in un piccolo giardino, e oltre a lui ce ne fossero altri dieci, cento, mille, non rimarrebbe ulteriormente colpito da questo capolavoro? Certamente un fiore è bello, ma diventa più facile assimilarlo alla bellezza che cogliamo nel paesaggio dove è piantato, senza considerare più i singoli elementi che lo compongono e che ne stanno determinando il suo aspetto così apprezzato. In ogni giardino ciascun elemento naturale diventa parte attiva di un’unica armonia, ed è compito del progettista capire la trama, gli attori e il degno finale di quest’opera che sta per realizzare. Ogni elemento materico che vediamo nel mondo è degno di nota per il suo carattere estetico, ma spesso il più piccolo non è così evidente agli occhi di tutti e non viene considerato come parte attiva che mi determina la bellezza generale dell’insieme. Quando però si arriva a comprendere questo sistema di sottomultipli e ci si imbatte in qualcosa dall’indubbio valore estetico, ecco che subito si cerca di farla propria, di rubare quell’oggetto che a noi sembra Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 64 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 1. La montagna di Núpur si erge alla sinistra della fotografia. Il paese di Núpur con la fattoria e la scuola e più a destra il giardino di Skrudur così bello e di modificarlo in qualcosa di ancora più piacevole, spesso accorpandolo con altri suoi simili o utilizzando scale diverse. L’insieme di tutte queste azioni per trasformare e migliorare il territorio dove viviamo è dettata dal desiderio di progettare il paesaggio secondo dei personali canoni estetici. Da sempre l’uomo cerca di manipolare l’ambiente che lo circonda, definendo così il paesaggio come la “natura trasformata dall’uomo nel corso della storia” (M. Venturi Ferriolo, 2002), secondo la propria idea di piacere e bellezza. Il fascino di un panorama può essere tale per alcuni, mentre per altre persone può risultare assolutamente insignificante, poiché non c’è una scala univoca in grado di stabilire il valore estetico del paesaggio, o di comparare la bellezza di un giardino rispetto ad un altro. Nel termine stesso di paesaggio vi è insito il fatto che per apprezzarlo, per comprenderlo e perché esso esista, ci deve essere qualcuno che lo guardi o che lo vivi in un dato momento. Come sostiene M. Augè (2004) per parlare di paesaggio è necessario che ci siano degli osservatori che lo guardino e che descrivano lo spazio che vedono ad altri uomini. La bellezza di un oggetto, la bellezza di un paesaggio e il paesaggio stesso, sono legate alla percezione e quindi alla soggettività di chi ammira: ogni soggetto riceverà da uno stesso paesaggio delle sensazioni diverse, dettate dal proprio bagaglio storico, culturale e morale. A Skrudur la popolazione locale, restia a dedicarsi alla coltivazione degli ortaggi a causa delle condizioni avverse che caratterizzano il paesaggio islandese, non riusciva a cogliere la bellezza di quel luogo e le sue potenzialità, ma poi si è dovuta ricredere. Ha seguito con ammirazione le azioni di un pastore che non voleva darsi per vinto e che grazie alle proprie conoscenze e alla forza di volontà ha dimostrato come fosse possibile realizzare un orto-giardino dal quale poter trarre sostentamento, piacere e insegnamenti. L’identità e la bellezza Figura 2. L’orto-giardino di Skrudur Figura 3. Particolare dell’asse all’interno del giardino con la fontana di pietra Ogni cosa ci identifica. Voltaire scriveva che la bellezza, per il rospo, è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Quello che per il piccolo rospo è bello, per un altro animale può non esserlo altrettanto, e allo stesso modo avviene di fronte ad un paesaggio. Affermare, infatti, che un giardino o una parte di esso è più o meno bello, dipende dalla cultura che in quel luogo si riflette e vi si riconosce, perché non vi può essere una univoca interpretazione di ciò. Per capirlo occorre conoscere il fondamentale bisogno di valori estetici di ogni popolo che si riversa nelle quotidiane azioni: dall’abbellimento dei corpi, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | Figura 4. Il reverendo Sigtryggur e la seconda moglie Hjaltlína al lavoro nell’orto degli utensili, alle movenze nella danza, alla poesia o al canto, ciascuno di noi ha un proprio modo di esprimere la grazia e l’eleganza. Ma quando il soddisfacimento di questo desiderio di bellezza viene sposato nei confronti della natura, ci troviamo di fronte ad un bivio: a seconda dell’autore di questi gesti la natura ne può trarre giovamento o, se si esagera, può esserne modificata a tal punto da non riuscire più a riconoscerla, arrivando addirittura ad una sua feroce deturpazione. Cercare di realizzare un giardino rigoglioso, tipico delle foreste pluviali, in territori aridi e inospitali come per esempio il deserto, spinti dal mero desiderio contemplativo di un bel paesaggio, non è certo operare con consapevolezza nella natura, né tantomeno ritrovare l’identificazione di qualche valore etico in quel luogo. È necessario, invece, cercare di costruire paesaggi apportando modifiche coerenti allo stato reale, unendo in un sapiente progetto elementi del passato e del presente per ottenere una realtà estetica, ma soprattutto etica, 65 legata all’azione dell’uomo stesso che l’ha realizzata. Il bagaglio che porta con se, fatto di ragionamenti legati all’ambiente, alla comunità dove risiede, alla società a cui appartiene, è il fattore che determina una scelta progettuale del luogo rispetto ad un’altra. Si può sostenere che in ogni progetto di paesaggio non vi sono solo decisioni guidate dai gusti estetici, di moda o stile, ma soprattutto scelte di tipo etico personale, legate alle proprie esperienze di vita, come nel caso del pastore Sigtryggur Gudlaugsson che ha realizzato l’orto di Skrudur guidato principalmente dal suo sapere e dalla sue conoscenze in materia. Cogliere la bellezza del paesaggio significa scoprire attraverso i nostri sensi quelle peculiarità legate al nostro bagaglio culturale che ci permettono di percepire il valore estetico che in esso risiede. Il riconoscimento dell’identità di un paesaggio e quindi della sua bellezza implica l’individuazione di un valore particolare che lo differenzia da un altro luogo. Questo valore è la sintesi di tutte le caratteristiche intrinseche ed estrinseche di questo paesaggio. L’aggettivo bello, quindi, applicato ad un paesaggio, non si lega solamente al suo lato estetico, al suo aspetto, ma fa capo anche e soprattutto alle sue caratteristiche di composizione formale, alle scelte che sono state fatte a priori e che lo rendono come noi lo cogliamo. L’ armonia di un luogo è ricercabile anche nel legame indissolubile che esso ha con la comunità che in lui si identifica e che lo rappresenta, sia esso grande o piccolo. Pertanto la vera bellezza non potrà essere colta da tutti, indistintamente, nello stesso paesaggio, ma sarà legata alla propria esperienza passata e alla memoria, impressa nella storia che contraddistingue quel luogo. Il fascino non è soltanto nei grandi giardini o nei parchi delle ville imperiali d’Europa, ma è soprattutto nelle piccole cose che ci circondano. Occorre spalancare i nostri sensi, resi ormai ottusi dalle enormità del mondo e carpire lo splendore della natura, che solo l’occhio esperto riesce a cogliere. Che si tratti di piccoli giardini o di paesaggi lontani, vicino a noi o negli angoli irraggiungibili e remoti del continente, in luoghi accessibili o ai piedi di grandi montagne, in terre accoglienti o aspre e avverse, saranno sempre i piccoli luoghi ad affascinarci maggiormente. Il piccolo orto di Skrudur Un piccolo paesaggio può essere un grande esempio di come la natura possa manifestarsi in tutto il suo splendore, facendosi portavoce dell’eredità identitaria di un popolo. Come il piccolo orto di Skrudur, vincitore del premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino nel 2013, quale luogo che contiene patrimonio di memoria e natura. È situato in Islanda, un’ affascinante isola dalle Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 66 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 5. Vista all’interno dell’orto: il ruscello che sgorga dalle pendici del monte scorre nel giardino in una condotta particolari caratteristiche morfologiche che la contraddistinguono dalle altre terre che circondano il circolo polare artico. Essa, infatti, è costituita da duecento vulcani, trenta dei quali ancora attivi, seicento geyser e ghiacciai che ricoprono quasi un quarto della sua superficie. Nella sua punta più a ovest, su un declivio che guarda il fiume Dyrafjörôur, si trova Núpur, una piccolissima comunità costituita da una scuola, una chiesa e una fattoria (fig.1). Nel 1905 il reverendo protestante Sigtryggur Gudlaugsson, divenuto vedovo prematuramente, decise di raggiungere il fratello Kristinn nella contea di Myrahreppur, per occupare il posto vacante di Pastore nella parrocchia di Núpur. Una volta giunto in questo fiordo si insediò nella piccola fattoria che Kristinn aveva acquistato qualche anno prima. Accumunati dalla passione per l’insegnamento e l’amore per la cura della terra, decisero di fondare una scuola, che entrò in funzione nel 1907, e di costruirci accanto un giardino didattico per tenere le lezioni all’aperto. Il sette agosto 1909 si inaugurò Skrudur (fig.2), l’orto-giardino ispirato alle teorie del Pastore danese Stevain, che si stavano diffondendo già da qualche anno anche nell’estrema Islanda. Non si trattava, come lo stesso Sigtryggur scrisse nel suo diario che quotidianamente aggiornava, di un giardino ornamentale, bensì di un vero e proprio orto che, come prolungamento della scuola, potesse aiutare nella didattica delle discipline botaniche, per mostrare le potenzialità di semi, alberi e arbusti anche sui terreni brulli, tipici dell’isola. Questo appezzamento di terreno si estendeva in un pendio leggermente inclinato ai piedi di una montagna, che ne garantiva una protezione contro il gelo della terra durante i rigidi inverni islandesi. Sebbene fosse stato più semplice e comodo costruirlo nello spazio adiacente alla fattoria del fratello, il Pastore decise di spostarsi verso il versante della montagna, proteggendosi così anche dal vento marino, dagli animali presenti nella fattoria stessa e dalle piante erbacee infestanti. Inoltre avrebbe potuto sfruttare il dislivello del terreno della collinetta sopra Stekkjarlag per avere una buona pressione dell’acqua, utile per annaffiare le aiuole attraverso un sistema di tubature. “Ho trovato il paesaggio bellissimo per un colloquio privato con la natura, più intimo che a casa, nella fattoria, soleggiato dal mattino fino a mezzogiorno. La bellezza è spesso più evidente in quel che non si vede, che in quello che è sotto gli occhi ogni giorno” (Sigtryggur Gudlaugsson, 1909-1949; trad. it. 2004). Nel suo manoscritto il Pastore annotava non solo le sue vicende autobiografiche, i suoi pensieri, ma anche tutti i lavori svolti nell’orto, i cambiamenti climatici, le piante scelte dagli studenti e gli ortaggi che riuscivano a superare gli inverni. E grazie a questo preziosissimo diario oggi possiamo capire con quanta difficoltà è stato realizzato questo splendido angolo di terra coltivata e come si è proceduto nella sua costruzione. Utilizzando le comuni modalità, conosciute dai pastori che cercavano di operare sul terreno in condizioni di particolare asperità climatica, fu tracciato un perimetro, dissodato il suolo, recintata l’area, convogliate le acque e iniziata la semina. Lungo sessantasei metri e largo trentatré, l’orto di Skrudur presenta una planimetria che sembra ispirarsi ai giardini europei dell’epoca barocca e rinascimentale. Con le pietre provenienti dalle pietraie nelle vicinanze è stata realizzata la cornice esterna dell’orto, alta circa un metro e mezzo, mentre al suo interno le sei diverse aree di coltivazione sono state separate sempre da muretti in pietra. Un ruscello che sgorga dalle pendici del monte attraversa il giardino in diverse forme, giungendo nella fontana centrale in pietra (fig. 3). Furono poi stabiliti tre ingressi: due realizzati in legno, e uno con le ossa della mandibola di un’enorme balena, donata da un contadino della zona che se le aggiudicò ad un’asta, e fissata su dei basamenti di calcestruzzo. Negli anni seguenti vennero poi eseguiti diversi lavori di manutenzione: il terreno fu più volte livellato e spianato per permettere la semina dei vari ortaggi, tra i quali patate, rape, cavoli, carote, rabarbaro, insalata, spinaci, cipolle e pure fragole e pomodori; furono lasciati in alcune parti degli avvallamenti per il riparo alle piante ornamentali, e si arrivò ad averne quasi trenta specie diverse, cosa assai rara in Islanda. Nell’area dell’appezzamento venne costruita anche una piccola serra, utile per seminare piante commestibili in primavera e proteggere le piante ornamentali che necessitavano di temperature particolari, e infine fu realizzato un piccolo deposito scavato nella terra per l’inverno, costruito in pietra all’interno. Gli studenti che frequentavano la scuola Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio | venivano portati in orto per imparare sul campo come si coltivavano le piante, come si poteva ottenere un buon raccolto anche da terreni aridi come quelli islandesi, come riconoscere e consumare gli ortaggi. Inoltre, una volta terminati gli studi, potevano piantare alberi nel giardino e prendersene cura come fossero una loro proprietà, garantendo così un aiuto continuativo nella manutenzione dell’orto-giardino. Delle specie arboree quella che crebbe meglio fu il sorbo rosso, ma diedero una discreta soddisfazione a ragazzi anche la Betula pendula, gli aceri, i pini e abeti provenienti dalla Norvegia, la Caragana arborescens, i ribes rossi e neri, il caprifoglio, le rose e il Symphoricarpus albus. Skrudur, sotto lo sguardo costante di Sigtryggur e della seconda moglie Hjaltlina,(fig.4) crebbe sempre più, diventando nella stagione estiva meta di visite di diverse centinaia di persone che venivano a constatare con i propri occhi le capacità di questo spettacolo della natura. Dopo una fase di abbandono negli ultimi decenni del Novecento, un gruppo di seguaci delle teorie del Pastore ha deciso di rimettere in vita questo orto botanico, restituendolo alla coltivazione e alle esplorazioni dei turisti (fig.5). Conclusioni Oggi la scuola non c’è più, ma lo spirito del reverendo Sigtryggur continua ad esserci. E il piccolo orto con lui. Si continua a coltivare il terreno, a convogliare le acque, a togliere le erbacce e a raccogliere i frutti maturi. Coltivare la terra a Núpur significava allora, ma significa anche oggi, aver cura di un processo che porta alla conoscenza, al benessere e all’educazione sociale di chi vi partecipa. La forza con cui gli ortaggi riescono a cresce nell’orto-giardino, vincendo le forze, a loro contrarie, generate dalla natura di un luogo così inospitale , quali sono le terre del circolo polare artico, è un prezioso insegnamento. La buona pratica di gestione dei luoghi permette di ottenere paesaggi belli e rigogliosi, anche in territori che ne farebbero presagire il contrario, rimanendo fedeli alla propria identità e senza stravolgere gli equilibri naturali insiti in quell’ambiente. L’esperimento coraggioso di un Pastore islandese che, dopo essersi a lungo documentato, ha deciso di intraprendere questa avventura, ci consente di ammirare ancora oggi un piccolo orto botanico di straordinaria bellezza, cresciuto in una terra a lui avversa. Da ogni pietra che compone i recinti, come da ogni pianta seminata e messa a dimora nel terreno, trapela il massimo rispetto che Sigtryggur aveva nei confronti dell’ambiente dove si accingeva a lavorare, e contemporaneamente viene rilasciato il fascino che li contraddistingue quali piccoli e perfetti elementi naturali. Questa oasi educativa si manifesta 67 portando con se la storia e la cultura che l’ha fatta nascere, cresce e giungere fino a noi, come monito per i tempi futuri. Il rapporto tra natura e cultura, tra il buon governo e la giusta attenzione alla natura sia da esempio non solo per il popolo islandese, ma anche per tutti gli altri popoli, presenti e futuri. Riferimenti bibliografici Augè, M. (2004), Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino. Boschiero, P. & Latini, L. & Luciani, D.(2013), Skrudur, Núpur: Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino XXIV edizione, ed. Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso. Fontanari, E. (2005), Beauce. Riflessioni su paesaggio e territorio, EdicomEdizioni, Monfalcone. Hillmann, J. (1999), Politica della bellezza, ed. Moretti & Vitali, Bergamo Modica M, Che cos’è l’estetica, ed. Riuniti, 1997, Roma Venturi Ferriolo, M. (2001), Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano, Editori Riuniti, Roma. Zagari, F. (2013), Sul paesaggio lettera aperta, ed. Libria, Melfi. Riferimenti iconografici Figure 1,2,4: foto di Brynjolfur Jonsson (1996) Figure 3,5: foto di Luigi Latini (settembre 2012) Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Flavia Pastò, Il piccolo orto di Skrudur, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/ quaderni/index.html, pagg. 62 - 67 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO Rallentamenti verdi | Green Stormwater Management Carlo Peraboni* abstract abstract Il tema proposto è quello della realizzazione di interventi di nuovo paesaggio urbano a partire dalla sistematica applicazione di strategie di progetto volte al rallentamento del deflusso delle acque meteoriche. L’attenzione a queste tecniche di intervento permette un significativo rallentamento del deflusso delle acque piovane, assicurando un rilascio graduale ed al contempo permette la costruzione di nuovi paesaggi urbani. The proposed theme is the implementation of new urban landscape actions starting from the systematic application of design strategies aimed at slowing down the flow of stormwater. The attention to these intervention techniques allows a significant slowdown of stormwater flows, ensuring a timed release and all the while allows the construction of new urban landscapes. parole chiave key-words paesaggio urbano, infrastrutture verdi, deflusso acque meteoriche urban landscape, green infrastructure, stormwater management * Politecnico di Milano, Ricercatore, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 69 Introduzione Sono spesso eventi catastrofici ad innescare processi di ripensamento delle strategie di progetto. Nella loro drammaticità alcune evenienze inducono riflessioni e ripensamenti di carattere strutturale inducendo mutamenti di direzione altrimenti non di realizzabili. Significativo è ad esempio l’impatto avuto sulla città di New York dall’uragano Sandy1, che ha devastato le zone costiere della città ed ampie porzioni di territorio del New Jersey, provocando oltre cinquanta miliardi di danni. L’evidenza, confermata da numerosi rapporti di ricerca, è che gli effetti del riscaldamento climatico porteranno nel prossimo futuro ad un accrescersi di situazioni di crisi e ad una maggiore frequenza di questo genere di eventi. Un rapporto della Columbia University, curato tra gli altri dal climatologo Radley Horton (2013) che da anni studia il fenomeno, individua tre fattori ambientali come determinanti al verificarsi della tempesta; l’aumento del livello del mare, il riscaldamento delle temperature oceaniche ed il conseguente scioglimento dei ghiacci. I modelli climatici prevedono che a parità di incremento verificato negli ultimi trent’anni sarà possibile registrare un ulteriore innalzamento del livello delle acque intorno a New York nei prossimi anni; questo potrebbe aumentare di tre volte il rischio di inondazioni costiere. Un secondo elemento di problematicità è rappresentato dal progressivo indebolirsi delle correnti provenienti dalla regione artica che hanno in passato protetto la città deviando le tempeste e spingendole oltre l’Atlantico. L’affermarsi di queste evidenze scientifiche ha avviato un ampio dibattito nella città circa le soluzioni da adottare per ridurre l’impatto di questi eventi sul sistema urbano aprendo la discussione intorno ad una molteplicità di posposte che, pur partendo dalle medesime premesse, si articolano secondo prospettive e logiche di intervento sostanzialmente differenti. Da evento a regola In occasione del primo anniversario dell’uragano Sandy, il City Panel on Climate Change ha pubblicato un report (NYC/PCC, 2013) in cui si dava evidenza scientifica alla teoria secondo cui fenomeni analoghi per intensità all’uragano Sandy potrebbero diventare un evento annuale entro il 2100. Ecco, allora, emergere una molteplicità di proposte – alcune orientate a percorrere soluzioni più tradizionali, altre sicuramente più fantastiche, ma tutte accreditate come praticabili per ridurre gli effetti degli eventi meteorici in alcuni quartieri di New York valutati come particolarmente vulnerabili. (fig. 1) Figura 1. Proiezioni della crescente esposizione ad eventi meteorici estremi (NYC/PCC, 2013) Il primo progetto elaborato dall’architetto Stephen Cassell e dall’Architecture Research Office, denominato Rising Currents, assume come ipotesi progettuale la costruzione di un sistema di bordi erbosi paludosi funzionali ad evitare il progredire dell’acqua nei tessuti urbani della città. Il gruppo di progettisti ha immaginato di proteggere Lower Manhattan con un sistema di isole frangiflutti in tubi di geo-tessile e coperti di impianti marini. La realizzazione di questi avamposti potrebbe essere costruita attraverso l’aggiunta di un intero “blocco” – da realizzare attraverso lo stoccaggio di materiale di discarica - per creare lo spazio per un nuovo parco intervallato da paludi salmastre. L’obiettivo perseguito è quello di progettare una città meglio capace di resistere alle maree e resistente attraverso un sistema di nuovi bordi posti a protezione delle strade della città. L’obiettivo di assorbire l’enorme energia generata dall’evento meteorico viene perseguito attraverso la predisposizione di una zona umida estesa e resistente, in grado di assorbire l’energia e proteggere la costa. Interventi complementari interessano le strade del quartiere le cui sezioni vengono ridefinite al fine di rendere l’area maggiormente sicura ed in grado di gestire l’impatto delle onde. L’intervento viene presentato dagli autori come in sostanziale continuità con la storia di Manhattan, proponendosi di utilizzare la natura dentro un contesto di infrastruttura artificiale. L’immagine del progetto evidenzia l’estensione dell’intervento e il consistente impatto che lo stesso avrebbe sull’immagine urbana della costa cittadina. (fig. 2) Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 70 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio figura 2. “Rising Currents” per trasformare Lower Manhattan in una infrastruttura ecologica figura 2a. “Rising Currents” per trasformare Lower Manhattan in una infrastruttura ecologica Il secondo progetto discusso dalla città, denominato Marshy Edges, Absorptive Streets, è stato redatto dall’architetto e paesaggista Kate Orff. La sua strategia di progetto nasce dalla convinzione che la protezione della città non possa avvenire attraverso la messa in atto di opere infrastrutturali di tipo convenzionale. Si tratta allora di aprire l’attenzione progettuale ad interventi che valorizzino l’interazione ecologica e rendano il limite della città un elemento attivo nel controllo dell’energia marina. La proposta, sviluppata in collaborazione con lo studio Scape / Landscape Architecture, prevede un articolato sistema di barriere artificiali poste a protezione del canale e della baia. L’originalità dell’idea è quella di prevedere come elemento costitutivo delle barriere una coltura di ostriche da utilizzare, secondo la progettista, come “attenuatori naturali dell’energia marina”. Lo spirito del progetto è quello di ottenere un effetto combinato tra elementi propri dell’ambiente marino e del sistema urbano. La sicurezza idraulica della città viene affidata ad un progetto di interazione tra “assetto urbano ed ecologia” opportunamente bilanciato e orientato alla ricerca di soluzioni innovative. In realtà la scelta per la localizzazione dell’intervento richiama strategie di progetto consolidate, the Bay Ridge Flats, uno specchio d’acqua che si trova al largo della costa del Brooklyn Army Terminal, era in tempi passati sede di un piccolo arcipelago di isole che proteggevano la costa di Brooklyn. Queste formazioni, da tempo scomparse a causa dei lavori di dragaggio, verrebbero ricostituite con gabbie di ostriche, che nel tempo, formerebbero una sorta di “barriera ecologica” capace di attenuare le impetuose maree provocate dagli uragani. (fig. 3) Il terzo progetto, denominato Bridge in Troubled Waters, riprende una proposta da tempo in discussione e orientata al costruire un sistema di paratie mobili funzionali al proteggere la parte settentrionale di Staten Island dalle maree. Staten Island è stata una delle parti della città maggiormente danneggiata dall’uragano Sandy e una petroliera di 168 metri si è schiantata provocando danni materiali e vittime. È ritenuto dagli esperti senza dubbio il quartiere più esposto di New York in quanto esposto alle correnti oceaniche. Il progetto, presentato da Murphy e Thomas Schoettle, prevede la realizzazione di una struttura di contenimento con torri sospese attraverso l’Arthur Kill (il corso d’acqua che separa il New Jersy da New York) che attraverso un sistema di paratie mobili funzionali al controllo delle escursioni di quota delle maree da attivare, se necessario, a protezione delle coste. Un progetto che prevede anche la realizzazione di generatori che sfruttando le correnti sottomarine garantirebbe una completa autonomia energetica e quindi la possibilità di funzionare anche in situazioni di black-out elettrico. L’intervento non ha trascurato anche aspetti di carattere turistico-ricreativo e il progettista assicura che “[…] l’inserimento paesaggistico dell’intervento è stato molto curato e l’opera permetterà di fruire Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 71 Figura 3. “Marshy Edges, Absorptive Streets” un tentativo di costruire un’interazione ecologica Figura 4. “Bridge in Troubled Waters” un’infrastruttura per la sicurezza urbana di molteplici opportunità ricreative”. Un intervento dunque mirato alla risoluzione di un problema di sicurezza idraulica ma al contempo capace di fornire prestazioni significative anche in altre direzioni. Questo piano (NYC/DEP, 2014) finalizzato alla costruzione di infrastrutture verdi sviluppa progressivamente un approccio più complessivo; al tema della interazione tra natura e ambiente urbano si aggiunge il tema del controllo del deflusso delle acque meteoriche, di interventi volti a migliorare la qualità dell’acqua, della capacità di estendere i luoghi della connessione verde integrando elementi differenti e prevedendo una molteplicità di interventi, diffusi e di piccole dimensioni, mirati ad ottimizzare il sistema esistente. Un approccio articolato e modulare, adattivo nel processo e responsivo nelle finalità. Il progetto dell’infrastruttura verde si rafforza, in questo caso, attraverso il forte sostegno pubblico e di governo che l’iniziativa genera, aprendo la strada ad investimenti capaci di perseguire una molteplicità di obiettivi, attraverso interventi diffusi e complementari. Il progetto di infrastruttura verde, che assume come prioritaria la necessità di gestire il deflusso delle acque meteoriche attraverso la creazione di aree vegetate, ambiti di laminazione e sistemi drenanti a rilascio differenziato, diviene occasione per ripensare al rapporto tra natura e città, al ruolo che gli interventi di infrastrutturazione ordinaria possono avere nel costruire ambienti di rilevante significato naturalistico. Grande è bello, piccolo è meglio? Se, come dicono gli esperti climatologi, il tema della gestione delle acque meteoriche diverrà progressivamente uno dei problemi ricorrenti della vita urbana, la domanda a cui dare risposta diviene: quali sono le strategie di intervento più efficaci? E soprattutto, come fare in modo che le pratiche quotidiane diano un contributo riconoscibile ed alternativo all’idea di costruire nuove infrastrutture, costose ed impattanti, grado di contrastare il fenomeni naturali ed il loro impatto sulla città? In questo contesto il gruppo di lavoro che da alcuni anni lavora al Green Infrastructure Plan di NYC (NYC/DEP, 2014) avverte l’esigenza di affrontare la sfida inserendo il progetto entro un programma organico, ma dal forte contenuto operativo, volto alla riduzione degli effetti catastrofici generati dai cambiamenti climatici. Il programma messo in atto si fonda sulla convinzione che la pianificazione e lo sviluppo urbano non possano prescindere, nel loro attuarsi, dal fornire risposte efficaci e misurabili ai rischi derivanti dal cambiamento climatico; si chiede in particolare alla pianificazione e alla progettazione di mettere in atto processi capaci di rendere i nostri sistemi urbani e territoriali meno vulnerabili. Il Green Infrastructure Plan della città si struttura a partire da cinque obiettivi: • migliorare l’efficacia delle infrastrutture “grigie” Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 72 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 5. Schema evolutivo del processo di urbanizzazione e possibili opere mitigative 5a) Azioni del sistema idrologico naturale • • • • esistenti e garantire il completamento degli interventi in corso di realizzazione; ottimizzare il sistema esistente di raccolta e smaltimento delle acque reflue limitando la realizzazione di nuovi interventi infrastrutturali “grigi”; gestire, attraverso un deflusso controllato mediante le infrastrutture verdi, non meno del 10% delle acque meteoriche raccolte dalle superfici urbane impermeabili; istituzionalizzare una modalità di gestione adattativa e un processo decisionale iterativo dove l’efficacia incrementale della singole opere realizzate possa essere monitorata alimentando un percorso progettuale “learning-by–doing”; coinvolgere i differenti soggetti interessati alla gestione delle acque nella predisposizione di un programma di sensibilizzazione culturale esteso e differenziato, capace di raggiungere i cittadini potenzialmente esposti ai rischi causati da questo tipo di eventi catastrofici. Questa serie di obiettivi muove da alcune considerazioni di ordine generale relative alle riconosciute interferenze che le trasformazioni antropiche generano sui sistemi di deflusso e drenaggio naturali. La ridotta permeabilità dei bacini di raccolta, legata all’introduzione di superfici impermeabili come parcheggi, strade ed edifici, si traduce spesso in un aumento dei volumi da smaltire e nella riduzione dei Figura 5b. Gestione delle caratterizzazione antropica acque meteoriche a forte tempi di deflusso con il conseguente aumento dei picchi di flusso a valle degli interventi. Se a questo aggiungiamo l’effetto provocato dalla alterazione delle falde freatiche, che può avere gravi effetti sul funzionamento delle zone umide e sulla sopravvivenza di molte comunità vegetali terrestri, e l’alterazione dei regimi di deflusso naturali nei sistemi fluviali appare evidente la necessità di prevedere attività di carattere compensativo e mitigativo relativamente alle prestazioni assicurate dai sistemi idrologici naturali. La figura 5 schematizza nell’insieme questi effetti e prefigura l’approccio necessario per la riduzione delle problematicità legate alla mancata gestione delle acque piovane all’interno del contesto urbano. La realizzazione di questi interventi, articolati funzionalmente e diffusi spazialmente, permette di attivare una un’ampia gamma di opportunità, di carattere multi-funzionale, che può avere implicazioni significative su una molteplicità di aspetti riferibili al progetto urbano: • migliorare la qualità dell’ambiente naturale dentro le città e caratterizzare positivamente il sistema urbano. L’attenzione a questi temi permetterebbe di caratterizzare i progetti con elementi di naturalità diffusa capaci di ridurre la pressione antropica generata dalle trasformazioni e consentire una migliore integrazione tra ambiente naturale e urbano; • valorizzare interventi multifunzionali ovvero interventi capaci di soddisfare una pluralità di Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 73 Figura 5c. Approccio di gestione delle acque equilibrato Figura 6. Schema evolutivo del processo di urbanizzazione e possibili opere mitigative (NYS/DEC, 2003) 6a) Esempi di interventi Micropool Extended Detention Pond esigenze, partendo dalla gestione delle acque meteoriche arrivando alla qualificazione dei percorsi urbani; • da ultimo equilibrare il rapporto, non sempre percepito in termini corretti, tra i costi iniziali di realizzazione di un intervento urbano e quelli da sostenere nel lungo termine, comprensivi della soluzione delle problematiche ambientali legate ad uno sviluppo urbano disarmonico. Risulta importante prevedere questi interventi in modo contestuale alla predisposizione del progetto prevedendo una forte integrazione tra le differenti fasi, anche attraverso la costruzione di un piano di azione complessivo che propone azioni e progetti di varia natura, dalle infrastrutture alle politiche sociali, dalle azioni per il miglioramento della qualità della vita al sostegno al tessuto economico e produttivo. In questo senso diventa prioritario prevedere una forte flessibilità attuativa in modo da tradurre progressivamente gli obiettivi nei processi amministrativi ordinari e di governo della città, verificando puntualmente la formula attuativa meglio rispondente agli specifici caratteri del progetto. urbanizzazione che a quelli di riqualificazione e si attuano attraverso una molteplicità di interventi che agiscono sulle modalità di costruzione e sui sistemi di gestione delle acque meteoriche e una varietà di tecnologie, tra cui la ritenzione nel sottosuolo, pozzi di infiltrazione, pavimenti porosi e permeabili, tetti verdi e blu. Una varietà di interventi che hanno mostrato evidenti benefici nella gestione delle acque meteoriche, la cui caratteristica è quella di potersi gradualmente integrare con i caratteri del progetto di infrastruttura verde. Le strategie di intervento si possono distinguere come articolate secondo in tre differenti tipologie: la prima riferibile ad una ridefinizione dell’assetto della rete idrica; la seconda riferibile ad interventi nel sottosuolo; la terza riferibile ad interventi che interessano le strutture edilizie. Per quanto riguarda gli interventi di ridefinizione dell’assetto della rete idrica, occorre ricordare come in passato alcuni progetti hanno applicato un approccio prevalentemente orientato al convogliamento/ allontanamento delle acque meteoriche facilitando la rimozione rapida ed efficiente delle acque senza considerare altri aspetti, quali ad esempio il miglioramento della qualità delle acque lungo il percorso, il comfort sociale ed estetico proprio dei corridoi di acqua, la riabilitazione o la creazione di zone umide e habitat fluviale. Interventi legati alla realizzazione di “canali scolmatori” o di “diversivi” hanno rappresentato spesso una soluzione incapace di assicurare la sicurezza dei territori. La proposta Dal dire al fare… Gli obiettivi del progetto risultano orientati all’integrazione tra le politiche di salvaguardia dei valori ambientali e l’estensione di attenzione ai temi della sicurezza urbana; si tratta di obiettivi di lavoro che si rivolgono sia agli interventi di nuova Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 74 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio 6b) Esempi di interventi Wet Extended 6c) Esempi di interventi Multiple Pond 6d) Esempi di interventi Pocket Pond Detention Pond System tende quindi a sostituire questi interventi con una serie di iniziative dal forte significato paesaggistico funzionali al gestire il deflusso delle acque ed evitarne il rapido convogliamento nei sedimi fluviali. Una sapiente progettazione di aree a deflusso controllato permette il realizzarsi di combinazioni tra bacini a ritenzione idrica prolungata ed ambiti a deflusso programmato capaci di ospitare una varietà di vegetazione di straordinario interesse in funzione di un diffusione della biodiversità urbana. Le differenti tipologie di intervento previste sono (NYS/DEC, 2003; NYC/DEP, 2012): Micropool Extended Detention Pond (figura 6a) – si tratta di un sistema di regolazione del deflusso delle acque che prevede la predisposizione di una vasca naturale capace di assicurare una prolungata detenzione delle acque; incorpora una vasca di laminazione all’uscita dello per evitare eccessi di sedimenti. Wet Extended Detention Pond (figura 6b) - prevede la predisposizione di una vasca naturale che tratta una porzione rilevante del volume dell’acqua meteorica rallentandone il deflusso. Il volume d’acqua viene mantenuto in un sedime sagomato per favorire un accumulo permanente per un tempo specificato. Multiple Pond System (figura 6c) – si tratta di una variante progettuale che prevede una maggiore articolazione progettuale e configura un sistema di vasche che trattano collettivamente un rilevante volume di acque meteoriche. Pocket Pond (figura 6d) – si presenta come una configurazione più semplice, e pertanto più facilamente ripetibile, che raccoglie le acque meteoriche in corrispondenza di una zona umida adattata per il trattamento con piccole aree di drenaggio. Per il mantenimento di quote di acqua permanente si sfrutta la presenza di falde sotterranee affioranti. Questi interventi, a prescindere dalla dimensione, divengono opportunità per l’inserimento nello spazio urbano di zone umide vegetate ed i terreni circostanti, interessati da eventi di riempimento con ricorrenze meno frequenti, possono essere modellate con pendenze laterali adeguate ad un uso ricreativo e piantumate con essenze resistenti agli eventuali ristagni di acqua. La loro localizzazione permette la costruzione di continuità ambientali dal grande significato in termini di diffusione e mantenimento della biodiversità urbana. Per quanto riguarda i sistemi di intervento nel sottosuolo, questi si presentano come interventi di minore complessità, di più facile realizzazione e di ampia diffusione. Ad essi è affidato il compito di ridurre l’effetto di corrivazione delle acque meteoriche attraverso un pluralità di soluzioni Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 75 Figura 7. Esempi di impianti di accumulo posizionati nel sottosuolo (NYC/DEP, 2012) Figura 7b. legate sostanzialmente a due approcci differenti: la ritenzione ed il progressivo rilascio, la raccolta ed il convogliamento in aree capaci di garantire un adeguato assorbimento. Per quanto riguarda la prima tipologia di interventi (vedi figure 6a, b) la loro realizzazione prevede la costruzione di una serie di vasche, prevalentemente interrate, poste in corrispondenza di superfici impermeabilizzate e funzionali ad accumulare volumi d’acqua originati da eventi meteorici; le stesse acque verranno rilasciate in tempi differiti secondo una gradualità programmata. (fig. 7) Di maggior interesse paesaggistico le soluzioni che prevedono la costruzione di ambiti di assorbimento graduale, denominati ambiti di bioritenzione. Questi elementi, che possono assumere una forte connotazione paesaggistica, sono costituiti da uno, o più, invasi drenanti caratterizzati dalla presenza di vegetazione autoctona e da elementi capaci di rallentare il deflusso delle acque meteoriche favorendone l’assorbimento. Il sistema di bioritenzione prevede inoltre la possibilità che le acque vengano filtrate in modo naturale attraverso il transito nel terreno prima di essere convogliate a valle da un sistema drenante (naturale o artificiale) posto nel sottosuolo. Il ruolo della vegetazione è duplice, da un lato di garantire un effetto di filtro legato all’assorbimento di inquinanti e dall’altro favorire il deflusso per assorbimento mantenendo attraverso l’apparato radicale una buona capacità di infiltrazione nel suolo; in questo senso le aree di bioritenzione permettono di rimuovere una vasta gamma di inquinanti, come ad esempio i nutrienti, i metalli, gli idrocarburi e più in generale i batteri contenuti nelle acque piovane. La progettazione di queste aree prevede la costruzione di piani di scorrimento leggermente inclinati per favorire uno scorrimento controllato delle acque superficiali e un adeguato bacino di stoccaggio funzionale al favorire l’assorbimento dell’acqua. A differenza degli interventi illustrati in precedenza l’acqua non dovrebbe stagnare nel sistema bioritenzione per un periodo superiore ai tre giorni. La lunghezza minima deve essere almeno il doppio della larghezza. I punti di forza di queste soluzioni possono essere schematicamente riassunti nella loro valenza paesaggistica, nella versatilità di inserimento in spazi residuali, come ad esempio aiuole spartitraffico ed elementi separatori dei parcheggi, nei ridotti costi di realizzazione e manutenzione. Relativamente agli interventi che interessano le strutture edilizie, i più significativi in termini di efficacia sono sicuramente quelli che intervengono sulle coperture degli edifici trasformando le ampie superfici impermeabili in elementi attivi del processo di controllo del deflusso delle acque meteoriche. Gli interventi funzionali al rallentamento del deflusso posizionati sul tetto degli edifici sono una pratica potenzialmente efficace in quanto implementabili in un’ampia varietà di situazioni urbane. Occorre Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 76 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 8. Esempi di interventi orientati alla bioritenzione (PlanNYC, 2008) tuttavia sottolineare come la progettazione di un tetto a deflusso controllato richieda una revisione attenta delle caratteristiche costruttive dell’edificio e delle sue prestazioni statiche. Per alcuni edifici gli interventi posizionati sul tetto possono essere collegati a sistemi di raccolta collocati nel sottosuolo, in modo da gestire in termini coordinati il deflusso. Agli impianti posizionati sul tetto degli edifici possono anche essere abbinati sistemi di riciclaggio delle acque meteoriche, sistemi di raccolta dei flussi funzionali all’utilizzo per finalità irrigue o produttive. Dentro questa ampia gamma di tipologie di interventi, sono schematicamente individuate due tipologie di possibili interventi: la prima, denominata “coperture blu”, funzionale al controllo degli scarichi e al regolare la velocità di deflusso dalla copertura; la seconda, definita “coperture verdi”, che prevede la messa in opera di più strati di terreno sulla parte superiore della copertura. Le coperture blu si caratterizzano per la messa in opera di un articolato sistema di controlli degli scarichi funzionale al regolare la velocità di deflusso. Lavorando su differenziali di quota, barriere e travasi opportunamente collegati si ottiene una corrivazione lenta delle acque meteoriche alle fognature. Il ristagno dell’acqua sulla superficie del tetto è previsto per un breve periodo successivo all’evento e il volume accumulato viene lentamente rilasciato attraverso uno scarico graduale. Il numero e dimensionamento degli invasi è da programmare con riferimento all’effetto di rallentamento e con un rapporto predeterminato tra lo spessore del manto d’acqua e la portata dello scarico. Importante risulta la posa di sistemi di impermeabilizzazione che devono essere installati come parte integrante del sistema di copertura ed in modo funzionale all’assicurare una corretta tenuta delle acque meteoriche. Le coperture verdi sono costituite da strati di terreno coltivabile che si dispongono sulla parte superiore Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 77 Figura 9. Esempi di interventi sulle coperture degli edifici (NYC/DEP, 2012) 9a) Esempi di interventi di coperture blu caratterizzati da un differenti numero di invasi 9b) Esempi di stratigrafie del manto di copertura verde dell’edificio con lo scopo di rendere drenanti le coperture. Le coperture verdi trattengono sul tetto le acque meteoriche e permettono di ridurre la velocità di deflusso durante gli eventi di pioggia; al contempo possono anche mantenere le acque meteoriche e ridurre in maniera consistente il deflusso delle stesse nel sistema fognario. In questo senso non si tratta semplicemente di un sistema di deflusso ritardato ma di una vera e propria modalità di riduzione del carico idrico sul sistema fognario. Le coperture verdi non sono solitamente progettate per avere una utenza pedonale, che potrebbe causare danni alla vegetazione e provocare una compattazione del suolo. In ogni caso potranno essere messe in opera passerelle o pavimentazioni per l’accesso alle diverse parti del tetto per le attività di manutenzione o ripristino. Queste soluzioni generalmente non limitano l’utilizzo della copertura per altre funzioni o scopi, come ubicazione di attrezzature meccaniche, uscite di sicurezza, evacuazione fumi, accumuli antincendio. I possibili usi della copertura dell’edificio devono essere considerati nella progettazione e possono comportare una specifica definizione delle modalità d’impiego. Deve essere tenuto in conto tuttavia che questa tipologia di impianti è progettata per contenere solo alcuni centimetri di acqua e per brevi periodi, che vanno da pochi minuti ad alcune ore dopo un evento meteorico; si tratta spesso di situazioni meteo-climatiche che rendono improbabile un uso alternativo della copertura stessa. Conclusioni Il progetto di infrastruttura verde diviene strumento per contribuire in maniera significativa al miglioramento dell’efficienza e della sostenibilità urbana. I percorsi di realizzazione del progetto possono essere differenti ed articolarsi in funzione dei caratteri ambientali del contesto urbano, dalla presenza di ambiti di trasformazione, da condizioni di carattere congiunturale che ne sostengano la Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 78 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 10. Diagramma delle competenze e degli Enti coinvolti nel progetto (NYC/DEP, 2014) rilevanza. In ogni caso le esperienze realizzate segnalano come un elemento di successo possa essere la capacità di creare un quadro di sostegno ampio che favorisca e incentivi l’integrazione del progetto nel quadro degli strumenti giuridici, politici e finanziari esistenti. plan 2008, City of New York, , New York, USA. Riferimenti bibliografici Figura 3: http://www.oprah.com/spirit/Kate-Orff-MarineGardening-With-Oysters Horton, R.M., Tiantian, L., Kinney, P. L. (2013), Projections of seasonal patterns in temperature- related deaths for Manhattan, New York, Nature Climate Change, Volume 3, Issue 8, New York: p.717 – 721 NYC/DEP - New York City Department of Environmental Protection (2012), Guidelines for the Design and Construction of Stormwater Management Systems, New York, USA. NYC/DEP - New York City Department of Environmental Protection (2014), NYC Green Infrastructure. 2013 Annual Report, New York, USA. http://www.nyc.gov/html/dep/pdf/ green_infrastructure/gi_annual_report_2014.pdf (consultato nel febbraio 2014) NYC/PCC - New York City Panel on Climate Change (2013), Climate Risk Information 2013: Observations, Climate Change Projections, and Maps. C. Rosenzweig and W. Solecki (Editors), NPCC2. Prepared for use by the City of New York Special Initiative on Rebuilding and Resiliancy, City of New York, New York, USA. NYS/DEC - New York State - Department of Environmental Conservation (2003), Stormwater Management Design Manual, Department of Environmental Conservation, Albany, NY, USA PlanNYC – Mayor’s Office of Long-Term Planning and Sustainability (2008), Sustainable stormwater management Riferimenti iconografici Figura 2: http://archinect.com/firms/project/12183539/ new-urban-ground-rising-currents-projects-for-new-york-swaterfront/14750432 Figura 4: https://cityofwater.wordpress.com/category/ architecture/page/4/ Sitografia http://www.nytimes.com/2012/11/04/nyregion/protectingnew-york-city-before-next-time.html?pagewanted=all http://www.nyc.gov/planyc2030 http://www.nyc.gov/html/dep/html/stormwater/nyc_green_ infrastructure_plan.shtml http://www.dec.ny.gov/chemical/8468.html _________________________________________ 1 Sandy si è sviluppato da un’onda tropicale nel Mare dei Caraibi occidentali il 22 ottobre 2012, in modo rapido rafforzato, ed è stato aggiornato a tempesta tropicale Sandy sei ore più tardi. Sandy si muoveva lentamente verso nord in direzione delle Grandi Antille e gradualmente si intensificava. Il 24 ottobre, Sandy è diventato un uragano, ha impattato vicino a Kingston, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 79 Giamaica, poche ore dopo, riemerse nel Mar dei Caraibi e si rinforzò diventando di categoria 2. Il 25 ottobre, Sandy colpì Cuba, poi si indebolì a categoria 1. All’inizio del 26 ottobre, Sandy mosse attraverso le Bahamas. Il 27 ottobre, Sandy in breve si indebolì a tempesta tropicale e poi si rirafforzò a uragano di categoria 1. Il 29 ottobre, Sandy curva verso nordnord-ovest e poi si spostò sulla terraferma vicino ad Atlantic City, New Jersey, come un post-ciclone tropicale con venti da uragano. Poco dopo, i media hanno chiamato la tempesta “Superstorm Sandy”. Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Carlo Peraboni, Rallentamenti verdi, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/ quaderni/index.html, pagg. 68 - 79 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO Guerrilla Gardening e Paesaggio urbano: piccole azioni di bellezza clandestina | Guerrilla Gardening and urban landscape: small actions of illicit beauty Gaetano Cascino* abstract abstract Il paesaggio urbano contemporaneo è disseminato di spazi non costruiti abbandonati o sottoutilizzati: l’esperienza del Guerrilla Gardening pone un nuovo paradigma di azione, dove lo spazio urbano è considerato campo di battaglia di una guerra estetica contro l’incuria e l’abbandono; analisi delle dinamiche di un fenomeno basato su interventi non pianificati né progettati, improntati alla riappropriazione dello spazio pubblico da parte dei cittadini. Contemporary urban landscape is plenty of abandoned or undervalued spaces: the experience of Guerrilla Gardening introduces a new paradigm in action, where urban spaces are considered as the battlefield of an aesthetic war against carelessness and negligence. this social dynamic, based on unplanned actions, aims to let the citizens regain public spaces. parole chiave key-words Guerrilla pubblico Gardening, paesaggio * Architetto, PhD student in Università degli Studi di Firenze [email protected] urbano, Progettazione spazio Guerrilla Gardening, urban landscape, public space Paesistica, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | Introduzione Nella vasta gamma di letture ed interpretazioni che del paesaggio si possono fare, uno degli interrogativi più spinosi e irrisolti riguarda il rapporto tra progettisti e fruitori, in riferimento principalmente al diritto di progettare e modificare l’immagine stessa del paesaggio; tale riflessione si ritiene necessaria per poter porre la questione, la cui risposta è di ardua definizione, su dove sia collocato, nel campo della progettazione del paesaggio, il limite dell’intervento non specializzato. In ambito urbano la spinta partecipativa dei cittadini, profani della progettazione dal punto di vista tecnicoaccademico, è sicuramente più forte e fa emergere delle domande pressanti: che cosa deve essere esclusivamente appannaggio dei professionisti nella costruzione dell’immagine di una città? E cosa viceversa non può esulare dalle scelte degli abitanti che vivono quotidianamente uno spazio? Qual è la corretta reazione di fronte alle carenze di chi progetta/amministra il territorio urbano? Come si è detto, non è semplice dare risposte a queste domande: l’equilibrio tra esigenze di protagonismo dei cittadini e rigido controllo tecnico-teorico di un progetto, l’interminabile ma necessaria negoziazione politica delle scelte progettuali, le doverose considerazioni di ampia prospettiva temporale, le crescenti difficoltà economiche e la paradossale spinta verso progetti faraonici sono tutte condizioni che mettono in crisi molti concetti alla base del processo progettuale; la stessa definizione di progettazione partecipata oggi, seppur con decenni di studi e sperimentazioni acquisite, possiede un campo d’applicazione talmente vasto che “con disinvoltura si utilizza il termine partecipazione sia che siano attivate forme di comunicazione od informazione, sia che si operino vere e proprie costruzioni del consenso, sia che si portino avanti difficoltosi processi di self management (autogoverno, autocostruzione, etc.)” (Rimondi, 2013: pag. 19). Tutte queste contraddizioni che animano il dibattito contemporaneo sono riscontrabili nel fenomeno del Guerrilla Gardening: una pratica che fonda le sue radici nel dettaglio, nella cura del più piccolo frammento di città come parte di un mosaico unitario che è il paesaggio urbano; come “è oramai un certezza che la riqualificazione degli ambiti urbani degradati passa attraverso la riqualificazione degli spazi pubblici aperti” (Ippolito, 2013: pag. 12), così possiamo considerare necessario trovare un nuovo rapporto tra città e cittadini partendo dalla definizione dell’immagine stessa dell’agglomerato urbano e della sua capacità di essere descritta: già negli anni Sessanta Lynch scrisse che “un ambiente urbano piacevole e bello è un’eccezione” e che, di 81 conseguenza, “benché la chiarezza o leggibilità non sia la sola proprietà importante in una bella città, essa acquista speciale importanza se l’ambiente è esaminato nelle dimensioni urbane di estensione, tempo e complessità. Per comprendere questo, noi dobbiamo considerare la città non come un oggetto a sé stante, ma nei modi in cui essa viene percepita dai suoi abitanti” (Lynch, 1960: pagg. 23-24); oggi la percezione della città procede dall’identificazione di piccoli dettagli verso una costruzione complessiva che appare sfrangiata e senza identità: il percorso e le attività dei Guerrilla Gardeners permettono di restituire, in una società affetta dalla ricerca perenne di qualcosa di più grande, la giusta importanza alla bellezza di ciò che è piccolo. Origine e sviluppo del fenomeno La genesi del Guerrilla Gardening risale all’inizio degli anni Settanta, quando a New York un gruppo di attivisti, animati dall’artista Liz Christy, organizzò un ‘attacco armato’ in un lotto non costruito ed abbandonato usando delle Seed Bombs (palline forate riempite di terra e semi); grazie a questa iniziativa simbolica cominciò un dialogo con l’amministrazione comunale che decise di autorizzare i Peace Corpstypes from the Post-flower Power Generation (gli attivisti si autodefinivano in questo modo) ad accedere in quest’area tra Houston Street e Bowery Street e trasformarla in un giardino. A seguito di questo primo successo, convinti che fosse la strada giusta da percorrere per riappropriarsi della città, i Peace Corps-types nel 1973 si sciolsero per dar vita all’associazione Green Guerrillas: inizialmente con l’obiettivo di lavorare nel quartiere di Loisaida, l’associazione si prodigò per permettere ad altri gruppi di cittadini di prendere possesso dei lotti disponibili e trasformarli in aree verdi liberamente fruibili; quando la Christy si rese conto del successo di tale meccanismo fondò anche l’Open Space Greening Program per il Council on the Environment di New York, mirando a replicare l’esperienza in altri quartieri della città. Parallelamente al successo di questa nuova pratica, si cominciarono a delineare le difficoltà connesse al Guerrilla Gardening: appropriarsi di spazi pubblici e privati era illegale; per risolvere questo problema nel 1978 nacque l’agenzia governativa Operation Green Thumb, con lo scopo di assegnare in affitto i terreni di proprietà pubblica a quanti volevano intraprendere delle operazioni di giardinaggio urbano. In seguito alla creazione di una struttura pubblica che legittimava la pratica del Guerrilla Gardening, tale fenomeno si diffuse e prese campo sviluppandosi negli anni anche al di fuori della città di New York, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 82 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio divenendo, a cavallo tra XX e XXI sec., un fenomeno globale contemporaneo abbastanza radicato in varie aree del pianeta. Un ampio panorama sulle varie forme di giardinaggio d’assalto diffuse sul pianeta è visibile, oltre che in una sempre più vasta produzione scientifica, nel sito internet guerrillagardening.com: il portale fondato da Richard Reynolds permette di avere una chiara visione d’insieme del percorso compiuto da questo movimento negli ultimi due decenni, oltre ad essere un grande archivio di informazioni dove azioni ed assalti verdi sono documentati con fotografie e video amatoriali. I portali web sono importanti non solo come spazio comune dove incontrarsi o associarsi ma anche come diffusori di pratiche d’azione e fondamenti basilari di giardinaggio per i Guerrilla Gardeners meno esperti. Insieme alla piattaforma internet sono stati pubblicati diversi manuali pratici in versione cartacea, con intere parti dedicate alle tecniche di giardinaggio ed alla progettazione e gestione del verde urbano. (fig. 1) Con Guerrilla Gardening oggi si intende una forma di ‘giardinaggio politico’, una forma di azione non violenta diretta, praticata soprattutto da ambientalisti che agiscono in ambito urbano. Si è definito ‘giardinaggio politico’perché, attraverso una veloce panoramica, si può notare come molti di questi movimenti sono legati anche alle battaglie per la difesa dello spazio pubblico o alle problematiche del consumo di suolo; la pratica degli ‘attacchi verdi’ è inserita all’interno di un contesto più ampio che coinvolge anche lo studio del paesaggio urbano e la sua progettazione, chiaramente in chiave esplicitamente sbilanciata a sfavore degli spazi costruiti. In questa prospettiva, ma fatta propria con realistica concretezza, gli attivisti rilevano un pezzo di terra abbandonato, che non appartiene a loro, per farvi crescere verde, piante, fiori, verdure. L’intento è allo stesso tempo provocatorio, simbolico e pedagogico, e la maggior parte dei gruppi compie le proprie azioni durante la notte, in relativa segretezza, per seminare e prendersi cura di un nuovo tappeto vegetale o fiorito; altri gruppi, invece, lavorano più allo scoperto per tentare di coinvolgere gli abitanti o le comunità locali: questa strategia vuole privilegiare l’intento didascalico e partecipativo, individuando inoltre nel coinvolgimento una forma di garanzia di successo, si potrebbe dire, di attecchimento della pratica del Guerrilla Gardening nelle aree attaccate. Costruzione sociale Il paesaggio contemporaneo, nelle sue diverse declinazioni e nelle sue singole forme, cerca e sperimenta nuove identità. In molte grandi città europee, ad esempio, l’immagine e l’organizzazione Figura 1. Guerrilla Gardener spaziale di considerevoli porzioni urbane sono state radicalmente cambiate nel giro di pochi anni. Possiamo affermare che l’architetto del paesaggio oggi sia parte di un processo di costruzione dell’identità che trasforma lo spazio in luogo; allo stesso modo, ma con strumenti e dinamiche differenti, lo è anche un Guerrilla Gardener, che, in modo più o meno consapevole, considera la natura urbana contemporanea come parte fondante del paesaggio urbano, quasi sottolineando come quest’ultimo sia “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (C.E.P., 2000, art.1). Benché il tema della costruzione sociale, ovvero della partecipazione, presenti un indiscutibile interesse anche sul piano teorico-architettonico, coloro che agiscono come ‘costruttori di paesaggio urbano’ sono da considerare innanzitutto nella loro competenza tecnica e nella loro azione sociologica; l’interdisciplinarietà è perciò un quadro ineludibile. Tanto nella Convenzione Europea del Paesaggio quanto all’interno del quadro legislativo italiano le relazioni tra il paesaggio e le attività di partecipazione si collocano in uno spazio di chiara evidenza e indiscutibilità, la cui rilevanza diventa un elemento imprescindibile dal quale partire. La significativa apertura in direzione sociale assunta dalla Convenzione Europea del Paesaggio non si riscontra soltanto nei termini definitori del paesaggio ma anche nella messa a punto di politiche del paesaggio che mettono in stretta relazione la dimensione paesaggistica del territorio e la partecipazione della popolazione alla definizione di tali politiche. In questa relazione tra paesaggio e Guerrilla Gardening si vuole aggiungere un’ulteriore chiave di lettura e narrazione del fenomeno urbano, ben più audace e di difficile individuazione: la partecipazione come autocostruzione ed iniziativa spontanea; Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 83 Figura 2. Piazza Mediterraneo (Palermo) tenuto conto della innegabile dimensione soggettiva del paesaggio, occorre rilevare che la popolazione è necessariamente e sistematicamente coinvolta nel processo decisionale pubblico che la riguarda, in quanto la partecipazione e la condivisione (sociale) in questi processi è intimamente legata alla definizione stessa di paesaggio, ma inoltre bisogna affrontare con attenta analisi lo sviluppo di nuove forme di protagonismo non mediate da strumenti e teorizzazioni consolidate: nella costruzione dell’immagine di una città, un giardino ottenuto con mediante un ‘attacco verde’ è meno rilevante di un altro progettato o inserito nel corretto percorso decisionale? La lettura sociologica della stretta connessione tra il concetto di paesaggio espresso dalla Convenzione e le attività di partecipazione più o meno normate, si può affrontare attraverso un percorso fatto di riflessioni e interrogativi, ma sicuramente non è possibile non tener conto, anche nell’ottica di una governance sempre più complessa, di quali possibili prospettive future si possano aprire all’azione spontanea per la definizione del paesaggio urbano. Occorre registrare infine la forte relazione che intercorre tra le dinamiche spontanee di intervento dei cittadini e la conseguente riconoscibilità dello spazio come luogo, ovvero la maggiore presenza di un senso di appartenenza e di comunità che rende descrivibile, all’interno della storia di una città, il suo paesaggio. Percezione Individuare o costruire dei codici per riuscire a descrivere e interpretare le caratteristiche della città fisica è un’operazione molto complessa e di dubbia fattibilità. Se accettiamo di guardare agli spazi urbani come spazi di relazione, se focalizziamo non sui singoli oggetti ma sulle relazioni che tra essi intercorrono, ci troveremo ad affrontare la lettura di un testo ancora più complesso, dove alla struttura narrativa portante (rappresentata, appunto, dalla struttura urbana), si intrecciano e si sovrappongono le trame degli individui e dei gruppi sociali. Accanto alla città oggettiva, basata sulla fisicità della materia dura, esiste dunque un mondo parallelo fatto di città soggettive, rappresentate da ciascun individuo, che non abita solo lo spazio fisico della città, ma vive simultaneamente anche negli spazi affettivi, estetici e simbolici, della propria privata e personale città mentale. Le ricerche sulla rappresentazione soggettiva dell’ambiente hanno evidenziato come sia possibile distinguere tra uno spazio architettonico, inteso come realtà obiettiva e fisica del territorio, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 84 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio ed uno spazio personale, inteso come modalità individuali di utilizzazione ed immaginazione della realtà. Potremmo definire la figura del Guerrilla Gardener come quella di ‘paesaggista dello spazio personale’: nel suo agire in gruppo raccogliendo scarti di città e trasformandoli secondo i propri canoni esteticofunzionali, egli porta avanti un percorso di costruzione dello spazio immaginato, una rappresentazione reale di una fantasia immaginata. È semplice capire quanto questa dinamica sia rischiosa, di difficile controllo e di incerti risultati, ma rimane comunque una delle più forti dimostrazioni fisiche misurabili di attenzione della cittadinanza alla qualità dello spazio urbano, all’importanza della percezione del paesaggio nella costruzione del senso di comunità già citato. In questo contesto appena descritto riveste una posizione assolutamente centrale il concetto di appartenenza ad un luogo: lo spirito del luogo corrisponde ad un concetto articolato e difficilmente esplicabile con una nozione lineare, in quanto dipende sia dalle caratteristiche proprie di un territorio (che nel loro insieme costituiscono ciò che si può definire l’identità del luogo), che dalla connotazione che tali lineamenti assumono nel vissuto di ciascun individuo. È evidente la difficoltà che si incontra nel cercare di delineare questo sentimento di appartenenza nei confronti di un luogo, inteso come significato che riveste per l’individuo come idea e non come spazio fisico. La percezione dello spazio in ambito urbano è una complessa operazione che deve tener conto, oltre che dell’immagine che ci si pone dinnanzi, anche della base temporale di chi osserva: un individuo analizza e definisce ciò che osserva anche in base a ciò che ha visto prima e ciò che vedrà dopo, mettendo in moto dei processi di valutazione qualitativa basati sul confronto; di conseguenza, per comprendere la relazione tra Guerrilla Gardening e paesaggio urbano, è anche necessario inserire la comparazione (e, come si è detto, internet in questo è fondamentale) come percorso di costruzione mentale di un’aspettativa (spazi urbani verdi di qualità) che non si incontra con la realtà (spazi urbani verdi abbandonati). Oggi è un dato indiscutibile, guardando al panorama dei progetti di verde contemporaneo, la considerazione del fatto che risulta superata la separazione tra estetica ed ecologia, tra la Bellezza della “naturaartificiale” di un parco progettato e plasmato secondo regole architettoniche e la non-Bellezza della “natura-naturale” incolta e abbandonata, come ugualmente al contrario che sia bello solamente ciò che è “puro” mentre sia brutto ciò che è “finto”; a tal proposito, in conseguenza delle caratteristiche del guerrilla gardening, si pone una necessaria riflessione sulla necessità di “riabilitare” la percezione sociale del nostro paesaggio, soprattutto in ambito urbano dove il termine “verde”, di tipica matrice urbanistica, va spesso di pari passo con l’idea che un prato ben rasato, il tipico “prato all’inglese”, sia sinonimo di cura, decoro e qualità, mentre la presenza di erbe e fiori spontanei denotino un’area incolta e degradata. Emerge dunque chiaramente che il tema della sostenibilità ambientale ed economica non può prescindere dalla formazione, dall’educazione e dalla partecipazione e deve puntare quindi al riconoscimento e alla condivisione sociale. (fig. 2) Irrazionalità La progettazione del paesaggio condivide con altre scienze sociali alcuni strumenti cognitivi e diverse metodologie d’intervento, le quali spesso risultano essere portatrici di verità parziali e molteplici; tra questi dubbi e queste incertezze troviamo tante questioni di fondamentale importanza, per esempio quali sono le conoscenze necessarie per una buona progettazione del paesaggio, chi può verificare la qualità del progetto, cosa si intende per buon progetto. Questo non vuol dire non tener conto del patrimonio di conoscenza, dei riferimenti di qualità e di una vasta normativa che la materia ha accumulato nei secoli, ma che oggi, in una società sempre più liquida e multiforme, è necessario considerare nuovi fattori. Uno dei rischi maggiori è quello di “produrre” paesaggio urbano che rispetta i canoni di qualità tecnici e formali, ma che non viene riconosciuto ed accettato dai cittadini chiamati a viverlo (il vandalismo e l’incuria tipiche di molte città sono un buon esempio); questo pericolo è conseguenza della poca attenzione verso il tema dell’appartenenza ai luoghi, intesa come una conoscenza locale e identitaria prodotta dall’esperienza concreta della città e del territorio, una conoscenza frutto di una compromissione affettiva con i luoghi che esprimono nuovi valori in funzione delle comunità sempre più plurali che li fruiscono e li animano. In questo quadro si inserisce l’aspetto irrazionale del paesaggio urbano e la sua possibile individuazione nelle esperienze di Guerrilla Gardening: superando la razionalità delle norme e delle tecniche, i cittadini che diventano ‘guerriglieri verdi’ cercano di esprimere la loro appartenenza al paesaggio urbano e quindi operano per far sì che esso somigli alle loro aspettative; tutto ciò si può descrivere come un ‘racconto urbano clandestino’, dove la mancanza di un linguaggio comune nella città contemporanea diventa un valido motivo per procedere in autonomia. Che tale dinamica si verifichi principalmente negli spazi aperti urbani, oltre che per una ovvia motivazione funzionale, è conseguenza del fatto che il disagio e le conflittualità presenti nelle nostre città hanno come Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | teatro privilegiato gli spazi non costruiti presenti sul territorio, percepiti spesso come luoghi incontrollati, trascurati, insicuri e quindi conquistabili. Il paesaggio è una delle parti irrazionali dell’essere umano che concorrono alla scrittura della propria storia inserita in un contesto di luoghi descrivibili, è anche tutto quello che percepiamo con i nostri sensi ma soprattutto è una proiezione dell’immagine nella realtà mediata anche dalla parte irrazionale dell’uomo. Conclusioni Il fine ultimo dei gruppi di Guerrilla Gardening è la realizzazione di micro-interventi non pianificati che vogliono restituire dignità ai ‘vuoti urbani’; facendo un parallelo con la visione contemporanea del progetto di paesaggio, ciò è dimostrazione di quanto sia importante ripartire dalle piccole azioni, dalla costruzione dell’immagine della città ottenuta dall’insieme di tanti dettagli, per poter dare risposta ad una crescente voglia di partecipazione, perché la domanda pressante è quella di trovare un nuovo futuro. Si dovrebbe ripartire da un’etica e da norme di comportamento rivolte a mettere ogni cittadino nelle condizioni di contribuire alla qualità del paesaggio: legare la responsabilità dei cittadini a precise condizioni e strumenti che possano assicurare la qualità del loro apporto nella costruzione di piccole parti dell’immagine urbana; ripartire da ciò che permette ai cittadini di contribuire alla qualità dei paesaggi, anche attraverso la possibilità di scrivere parti della narrazione urbana in modo autonomo. Come si è detto, la costruzione del paesaggio passa anche dall’identità dei luoghi in relazione alla percezione dei cittadini ed alla loro capacità di essere parte dell’insieme: il paesaggio viene fuori dall’uomo nel suo ambiente, egli ne è spettatore e al tempo stesso attore. Il livellamento dei paesaggi urbani conseguente all’omologazione delle città contemporanee tende a produrre luoghi in cui riconoscersi è difficile perché non presentano alcuna particolarità, tanti paesaggi simili a molti altri che, non avendo una propria identità ben definita, faticano ad alimentare quella degli abitanti e a suscitare in loro sentimenti di appartenenza. Trasformare gli spazi urbani abbandonati in giardini attraverso l’azione diretta dei cittadini è dunque un modo per sottolineare il valore identitario assunto dal paesaggio urbano, spostando il punto d’osservazione dalle caratteristiche fisiche del progetto alle variabili culturali e sociologiche della costruzione del senso di comunità. Inoltre è necessario tenere presente che la popolazione urbana occidentale è sempre più variegata e multiforme, perciò i paesaggi quotidiani non possono più essere espressione di una estetica 85 unica e condivisa, ma necessitano di un continuo mescolarsi di segni diversi da tanti punti di vista, perciò tali paesaggi spontanei hanno un valore ancora maggiore proprio perché si fanno mezzo per affermare e rendere visibile la presenza dei tanti gruppi sociali tra loro differenti. In conclusione la sfida per il futuro è trovare una nuova prospettiva in cui le conoscenze tecniche e teoriche dei progettisti del paesaggio diventino uno strumento che consenta ai fruitori del paesaggio – i cittadini – di diventare responsabili e partecipi di un’immagine urbana a cui appartengono, per poter costruire un nuovo rapporto tra città e abitanti, con l’obiettivo di costruire un mosaico di piccoli contributi che restituiscano bellezza alla visione d’insieme. Riferimenti bibliografici Ippolito A. (2013), Il paesaggio urbano contemporaneo, letture e prospettive. Franco Angeli Editore, Milano. Lynch K. (1960), The image of the city. Massachusetts Institute of Technology, USA [Edizione Italiana: Lynch K. (1964), L’immagine della città. Marsilio Editore, Venezia]. Prampolini R., Rimondi D. (2013), Friendly Landscape – La costruzione sociale del paesaggio. Franco Angeli Editore, Milano. Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Gaetano Cascino, Guerrilla Gardening e Paesaggio urbano: piccole azioni di bellezza clandestina, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/ quaderni/index.html, pagg. 80 - 85 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO KEEP IT LOCAL. I mercati urbani, spazi pubblici chiave di rigenerazione urbana e ambientale | KEEP IT LOCAL. Public Markets, key public space for driving city regeneration Sara Caramaschi* abstract abstract Nella storia il mercato è stato luogo di relazioni e scambi, rivelandosi centrale nell’organizzazione del territorio e incidendo sulla qualità del paesaggio. I mercati, ancora oggi, mettono in rapporto città e campagna, poiché l’intima connessione tra i prodotti e l’attività agricola risveglia la preoccupazione dei cittadini per i problemi paesaggistici. Questo legame è così in parte ricucito, opponendosi al fenomeno del consumo di suolo e rigenerando lo spazio urbano. In the history the market has been the site of relations and exchanges, proving its centrality in the organization of the territory and affecting the quality of the landscape. Today markets still relate city and countryside, since the intimate connection between products and farming awakens the citizens’ concern for the landscape dilemma. This link is thus recovered, protecting it from the phenomenon of the soil consumption and regenerating the urban space. parole chiave key-words piccola distribuzione, rigenerazione urbana, qualità paesaggistica small retailer, urban regeneration, landscape quality * Dottoranda di Ricerca, Università degli Studi di Roma Tre, Paesaggi della Città Contemporanea – Architettura e Studi Visuali, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | Introduzione Keep it local vuole porsi come piccolo contributo in grado di accrescere la sensibilità paesaggistica e il rispetto per quei luoghi che rappresentano le nostre origini e il nostro territorio. In una situazione come quella attuale, caratterizzata dalla crisi dello spazio urbano e sociale, non abbiamo bisogno di nuove immagini, ma richiediamo una riflessione che ci porti a comprendere in quale relazione viviamo, o in quale si potrebbe vivere, con i luoghi che ci circondano. Questa riflessione ci porterà a comprendere che, per porci nuovamente e direttamente in contatto con il paesaggio e con la città, abbiamo bisogno di azioni puntuali che giocano un ruolo vitale nella quotidianità delle persone; azioni che, partendo da progetti minuti, portano risposta a problemi certamente più ampi. I mercati urbani sono stati riscoperti da molte città come spazi pubblici importanti, aperti, dinamici, interattivi. Luoghi del primato delle relazioni, i mercati sono strettamente legati al territorio, radicati nella storia e nelle abitudini delle persone, esprimendo la città e comunicando i suoi paesaggi. Il mercato rende possibile l’esperienza del paesaggio senza inseguire modelli lontani o novità, grazie alla sua capacità di riconciliare l’intimo rapporto tra città 87 e campagna e portando effettivamente a conoscere meglio entrambi. Come sostiene Zagari (2013) abita veramente un luogo solo colui il quale non lo sente come qualcosa di cui disporre e neppure come una cornice casuale di cui potrebbe disfarsi, ma come qualcosa di essenziale alla definizione della propria stessa identità, qualcosa che va salvaguardato non come strumento di sopravvivenza ma come parte di noi stessi. I mercati, essendo luoghi urbani spontanei, densi e complessi, offrono un rapido sguardo alla cultura della città, esprimono la vita quotidiana e la cultura di un territorio, producono e riproducono relazioni, cultura locale e stili di acquisto. Questi luoghi si distinguono dalla spazialità anonima, grazie alla loro intersezione tra territorio e comunità, portando i cittadini a vivere veramente la città e salvaguardando i suoi paesaggi. Nascita, crisi e rivalutazione dei mercati urbani (fig. 1) Nella storia il mercato è sempre stato un luogo di relazioni e di scambi materiali e immateriali. II suo ruolo è stato centrale nell’organizzazione della città e del territorio, differenziando, nel tempo, il suo modulo insediativo per tipologia, dimensione, conduzione Figura 1. Il mercato e la città. Evoluzione storia di un rapporto secolare Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 88 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 2. L’ecosistema dei mercati urbani e localizzazione. Quando le attività del mercato si ponevano al servizio delle necessità quotidiane della collettività urbana, il commercio si svolgeva in modo diffuso nella città, separato in spazi minuti, punti di convergenza di strade lungo le quali si sviluppavano le medesime funzioni commerciali. Quando invece le attività del mercato erano legate a rapporti di lunga distanza, il mercato svolgeva la fondamentale funzione di cerniera tra città e campagna. Qualunque fosse la loro posizione, gli spazi del mercato hanno rappresentato i luoghi della socialità, animati e vitalizzanti, luoghi in cui la comunità locale si è identificata e a cui anche un’utenza esterna ha sentito di appartenervi. È da questa naturale familiarità che, in seguito, ci si è concentrati sulla cura dell’ambiente fisico e lo sviluppo del paesaggio agrario. Per secoli la società si è organizzata e insediata in funzione di precisi obiettivi economici, fondamentali anche per lo sviluppo civile, ed ha impresso alla città un’impronta organica. Anche in epoca moderna l’insediamento di centri produttivi e commerciali, complementari ai centri d’impronta medievale-rinascimentale, ha stimolato il confronto, affinato i gusti senza mai produrre squilibri alla funzionalità organica della città. Quando il commercio si è separato però dalle altre funzioni urbane sono nate le periferie-dormitorio, la specializzazione della città e la segregazione sociale. Tutta la logica di sviluppo, rapporti, funzioni ha cominciato ad alterarsi, fratturando l’intero organismo urbano. L’incremento della mobilità, la dilatazione dei tempi della città e lo scardinamento della forma tradizionale degli insediamenti hanno portato la funzione commerciale a insediarsi in edifici legati alle grandi arterie automobilistiche, sempre più spogli di valori e significato e impermeabili rispetto al sistema degli spazi aperti. La città ha superato i propri confini e, insieme alla residenza, si sono diffuse anche altre funzioni e altri centri di attività che hanno provocato fatali squilibri funzionali nei luoghi storicamente preposti alle attività di aggregazione, di servizio e di commercio. Gli esiti sono una rarefazione dei negozi di prima necessità nei centri urbani e nei quartieri più abitati, la crescita di attrattività dei grandi centri commerciali, il depauperamento di preziose aree edificabili a vantaggio di un’unica funzione, danni al sistema economico e ambientale, cambiamento negli stili di vita, aumento degli sprechi, consumismo, omologazione, crisi dell’agricoltura, perdita di valori. La città del terzo millennio non è più né urbana né rurale e, per riconoscersi, i cittadini si rifugiano in landmark, centri storici e borghi congelati in epoche ormai passate, parchi naturali e riserve protette; i cittadini si rifugiano in paesaggi che riescano a stimolare un senso di appartenenza a un luogo. Dopo una stagione in cui spazi e pratiche della vita in pubblico sono stati concepiti quasi esclusivamente in relazione a grandi strutture, sembra utile tornare a immaginare spazi urbani ordinari, componibili entro relazioni di prossimità e di utilità con le varie situazioni insediative di cui si costituisce la città. Sempre più organizzazioni coinvolte nella rivitalizzazione delle comunità e delle città hanno preso consapevolezza che comunità sane richiedono spazi pubblici vivi. Partire dagli spazi pubblici per rafforzare e unire una comunità non può che essere il primo step: spazi pubblici ben organizzati incoraggiano l’interazione sociale, l’orgoglio locale per un luogo e migliorano la qualità della vita nelle città. Il mercato ha dimostrato una resistenza alle trasformazioni urbane moderne e contemporanee, grazie alla forza e al legame che intrattiene con spazio urbano e comunità. Numerosi studi hanno riconosciuto l’importanza dei mercati come parte integrante dell’economia locale, dimostrando i benefici che essi generano a livello paesaggistico e sociale. Questi importanti fatti urbani offrono numerose opportunità, rigenerano le comunità locali, sviluppano stili di vita sostenibili e danno avvio a nuove attività produttive nelle loro vicinanze. Il paesaggio, come reazione collaterale, torna a essere percepito e considerato dai cittadini, riportando i valori identitari e il senso dei luoghi che per lungo tempo sono andati perduti. Il mercato e i benefici su ambiente e collettività (fig. 2) I mercati urbani hanno molte forme e dimensioni; coperti, all’aperto, specifici su un particolare prodotto o genere alimentare, misti, collocati in uno stesso luogo o itineranti. Nonostante questa eterogeneità, i mercati urbani hanno alcuni elementi comuni: hanno luogo tra le comunità locali, rappresentano un legame con le produzioni agricole, coinvolgono i modi di vivere e lavorare nelle comunità e sono vetrine per città e quartieri. In definitiva, i mercati portano vita nelle città. Questi luoghi avrebbero la capacità e la forza di diventare un elemento chiave di sviluppo della rigenerazione urbana, di stili di vita sostenibili, di recupero ambientale e paesaggistico. Investire sui mercati significa, infatti, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 89 Figura 3. Infografica. Il mercato generatore di effetti benefici investire sulla qualità delle città, sulla vita dei cittadini, sul benessere pubblico e, più in generale, sul rispetto e sulla valorizzazione del paesaggio urbano e agrario. A differenza dei centri commerciali, suburbani o urbani che siano, slegati dal contesto, sempre più studiati nei loro interni o simili a capannoni, i mercati fanno leva sul loro essere luoghi urbani, spontanei, densi e complessi, luoghi che offrono un rapido sguardo alla cultura della città. Essendo spazi di aggregazione, trascendono la mera dimensione economica, diventando luoghi sociali delle persone, in cui la merce principale è la parola. Il mercato è il luogo primato della socialità, spazio vivace ed energico, in cui la comunità locale può identificarsi e a cui anche un’utenza esterna può sentire di appartenervi. I mercati, ancora oggi, sono necessari poiché rispondono a problemi importanti delle nostre città, quali il bisogno di rinvigorire il contesto urbano e di realizzare spazi pubblici invitanti e sicuri, il bisogno di supportare le attività legate alla piccola economia e affrontare il problema degli ambulanti, il bisogno di fornire prodotti freschi e di qualità ai cittadini che risiedono nelle città e, ultimo ma non meno importante, la necessità di proteggere gli spazi aperti, preservando le attività agricole intorno alle città. (fig. 3) Grazie alle attività di mercato sono promossi i prodotti alimentari locali, rafforzando il rapporto cittàcampagna e incoraggiando politiche slow food. Queste azioni preservano l’agricoltura e le attività a essa connesse, attivando uno spazio pubblico che attrae un numero sempre maggiore di persone. Il risultato è la concettualizzazione del mercato come spazio di relazione, incontro, scambio, lavoro e ricerca. La loro aggregazione ne aumenta l’importanza, ne migliora la gestione e sensibilizza l’importanza di prodotti freschi e locali nell’ambito della tutela dell’ambiente e del paesaggio. Molti paesi europei stanno supportando la rivitalizzazione delle aree rurali attraverso politiche e legislazioni, progetti di cooperazione transazionale volti a elaborare strategie per lo sviluppo locale sostenibile ed equilibrato dei territori periurbani. Queste azioni si basano sulla valorizzazione, commercializzazione e promozione del consumo delle risorse agroalimentari locali. La via è lo sviluppo e il consumo di prodotti di qualità, nell’auspicio che detto consumo serva a valorizzare gli spazi periurbani non urbanizzati e generi un contesto sociale propizio alla loro salvaguardia. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 90 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 4. RURale+URBano+Alimentazione Figura 5. Locandina della manifestazione Gastronomare, Marsiglia. Appuntamento annuale dedicato all’enograstonomia marina, organizzato dalla Conservatoria Internazionale delle Cucine del Mediterraneo (fig. 4) Valorizzare le produzioni agroalimentari di qualità, scommettere sui prodotti tipici locali, promuovere metodi di produzione rispettosi dell’ambiente e della salute sono solo alcuni degli effetti generati dal rilancio dei mercati urbani che, più in generale, mirano alla sensibilizzazione del pubblico per un consumo locale, equo e sostenibile. Supportando la presenza dei mercati contadini e/o la presenza di produttori locali nei mercati, si ricongiunge la storica ed evolutiva unione tra città e campagna, rapporto che sta alla base dei metodi produttivi sostenibili per la produzione di cibo. L’aumento di produttori locali riduce inoltre la catena logistica e, grazie alla diminuzione della distanza percorsa da un alimento dal luogo di produzione a quello di consumo, è ridotto l’impatto ambientale, in particolare l’emissione di anidride carbonica che incrementa i livelli di inquinamento. A questo proposito, nella Charte Agriculture Périurbaine du Grand Toulouse la città francese ha mostrato come il commercio ecologico, sviluppato su ampia scala, possa salvare oltre 130 tonnellate di anidride carbonica equivalente l’anno. (fig.5) Le città di Barcellona, Torino e Genova, insieme all’Associazione Conservatoria del Piemonte e al Conservatoire des Cuisines Méditerranéennes, hanno lanciato il progetto europeo MedEmporion, con l’obiettivo di conoscere e coniugare idee e attività, rafforzando così la collaborazione e individuando le migliori soluzioni e modelli per il futuro del mercato. L’obiettivo generale del progetto MedEmporion è studiare l’importanza dei mercati alimentari nell’area mediterranea come strumento di sviluppo urbano e promozione economica, intraprendendo una ricerca sull’importanza dei prodotti locali e sul ruolo del mercato come strumento di coesione sociale. A questa ricerca si affianca una serie di attività, come l’organizzazione di festival alimentari, per diffondere la realtà dei mercati mediterranei, i loro valori e i prodotti caratteristici, e l’attivazione di progetti pilota per sperimentare nuove strategie volte a incrementare le iniziative di coesione sociale dei mercati alimentari e la responsabilità sociale. (fig. 6) Un altro interessante progetto è Central Markets, del programma Central Europe. Anche in questo caso l’obiettivo principale è sviluppare una cooperazione territoriale promuovendo e rivitalizzando la tradizione dei mercati dell’Europa centrale. A questo programma, che vede Venezia come precursore, hanno partecipato Torino, Cracovia, Bratislava e altri enti regionali, con l’impegno comune di riscoprire l’attrattiva dei mercati e di sviluppare innovative strategie di rivitalizzazione, in modo da rinforzare e bilanciare la relazione tra città, regioni e mercati. I partner si sono focalizzati in modo specifico sulla valorizzazione, rinforzo e integrazione del mercato in zone centrali o marginali della città, incrementando la coscienza, sperimentando azioni e identificando effettive strategie d’intervento. Le attività correlate si concentrano sullo sviluppo di concetti e piani che spingono gli stakeholders a organizzare, coordinare e implementare interventi di lunga durata a favore dei mercati. Il risultato è l’aumento di attrattiva e Progetti europei e interesse internazionale A livello europeo il dibattito sull’importanza del mercato è iniziato solo recentemente riscontrando comunque ottimi risultati. Fino a questo momento, i mercati non sono stati riconosciuti a livello europeo, essendo combinati spesso al generico commercio, all’agricoltura o ad altri corpi amministrativi e, soprattutto, mancando di uno specifico ente o dipartimento a essi legato. Tuttavia, sempre con maggiore frequenza, l’interesse rivolto ai mercati e ai loro effetti benefici sull’organismo urbano e sulla comunità ha spinto associazioni, enti e autorità a stipulare programmi d’azione, a promuovere progetti pilota e a usufruire di fondi internazionali in modo da creare un dialogo tra città, con l’obiettivo comune di valorizzare e rilanciare i mercati urbani. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 91 Figura 6. Central Markets. Progetto europeo di rivitalizzazione e promozione dei mercati tradizionale europei Figura 7. Logo del progetto Urbact Markets di partecipazione di città e regioni, coinvolgendo consumatori, cittadini, produttori e amministrazioni nel processo di rivitalizzazione dei mercati, affiancato a un obiettivo più ampio che riguarda il miglioramento dei servizi e degli spazi per raggiungere mercati urbani e periurbani sostenibili. (fig.7) Urbact II ha dato avvio nel 2012 al progetto Urbact Markets. Urbact è un programma europeo di scambio e apprendimento che promuove lo sviluppo urbano sostenibile. I progetti proposti permettono alle città di cooperare, sviluppando soluzioni per le principali sfide urbane e riaffermando il ruolo chiave delle città nell’affrontare sfide sociali sempre più complesse. L’obiettivo principale del progetto Urbact Markets, cui partecipano le città di Barcellona, Torino e Londra, è creare e implementare piani d’azione grazie allo sviluppo di best practice legate ai mercati urbani, col fine di promuovere città migliori. Barcellona guida il gruppo di lavoro focalizzato sulla rigenerazione del centro cittadino tramite lo sviluppo di mercati urbani, analizzando l’impatto sociale che il rinnovamento dei mercati ha sui quartieri e precisando come questi luoghi favoriscano l’integrazione sociale e lo sviluppo di un senso di appartenenza a una comunità. Londra si concentra invece sulla sostenibilità e sulle forniture locali, dimostrando che i mercati migliorano la qualità di vita delle comunità coinvolte e che l’aumento delle reti urbane-rurali, essenziali alla filiera di approvvigionamento, sono fondamentali per il potenziamento e l’intensificazione dei rapporti urbani. Oggetto di studio sono anche le economie a bassa emissione di CO2, l’approccio dei sistemi di stoccaggio nei mercati e la gestione dei rifiuti nei confronti della sostenibilità e della filiera di approvvigionamento. Torino analizza infine le questioni legate all’occupazione, provando la forza dei mercati nello sviluppo di opportunità economiche e posti di lavoro. L’importanza del tema ha trovato riscontri non solo a livello europeo, ma anche oltre oceano. In America, dove i centri commerciali hanno rappresentato una delle più solide tradizioni, si è registrato un forte calo di interesse dovuto alla incapacità dei malls di trovare nuove funzioni e soluzioni e all’ascesa dell’e-commerce, che esaspera le componenti dei centri commerciali portandoli al fallimento. (fig.8) Consapevoli degli effetti che la grande distribuzione ha sullo stile di vita e sulla forma della città, PPS Project For Public Spaces, un’organizzazione no profit di educazione, design e pianificazione, ha sviluppato progetti pilota di grande riuscita e promosso importanti ricerche sull’argomento. Uno dei programmi più interessanti è il Public Market Program, il cui obiettivo principale è incoraggiare il ruolo dei mercati pubblici nel ricongiungimento tra economie locali e comunità, sottolineandone il ruolo chiave nella salute pubblica e nel sistema di consumo di prodotti locali. Per venticinque anni PPS ha assistito sponsor, manager e comunità, incrementando lo sviluppo dei mercati pubblici in più di duecento città e paesi in tutto il mondo e aiutando i mercati a diventare centri economici sostenibili per la vita della comunità. Conclusioni (fig. 9) Nell’epoca contemporanea la parola comunità ha perso la sua capacità di descrivere rapporti tra gruppi di persone, se non per attività condivise molto definite. Il decentramento della mobilità, del lavoro, del consumo ha causato un muro di individualismo che riesce ad essere abbattuto solo grazie all’osservazione e alla presa di coscienza dei paesaggi che ci circondano. Tale approccio intende liberare le energie urbane, in modo da reagire al deficit che caratterizza il nostro paese, promuovendo comportamenti di reciproco rispetto fra cittadini e fra questi e i paesaggi urbani. Le città non devono essere considerate semplicemente i luoghi del consumo intensivo di risorse, dell’inquinamento, dell’insicurezza e del disagio, ma Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 92 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 8. I benefici dei mercati urbani. I mercati veicolo di integrazione sociale e mobilità Figura 9. Promoterroir. Programma di cooperazione territoriale con lo scopo di realizzare una campagna promozionale dei prodotti agro-alimentari del territorio transfrontaliero puntando sui principi della filiera corta e del rapporto diretto tra produttori e consumatori deve essere riconosciuta e riproposta la loro forza, la loro efficacia nell’organizzazione delle attività umane, nella promozione dell’impresa, della ricerca e del lavoro, la loro capacità di liberare la creatività e rendere fertili gli scambi e le aggregazioni. Per questo è dalle città e dai suoi successi che parte la costruzione di una società che riesce a guardare al futuro. Per tutta la storia, i mercati sono stati un campo neutro, hanno incoraggiato persone diverse a incontrarsi e a creare connessioni, hanno favorito la vendita di prodotti stagionali locali, portando il territorio urbano e periurbano a essere considerato una risorsa insostituibile. Ancora oggi i mercati possono giocare un ruolo vitale nella quotidianità delle città poiché, nonostante le dimensioni minute, hanno la forza di trovare risposta a problemi decisamente più ampi. I mercati possono e devono essere studiati come luoghi chiave nelle politiche degli spazi pubblici, come opportunità non solo per lo sviluppo economico locale e l’occupazione, ma anche per le interazioni e l’inclusione sociale, per la mescolanza di diverse culture e per la formazione di un senso di comunità. Questi luoghi piccoli ma belli reagiscono a un deficit internazionale di dimensioni enormi, innescano una serie di azioni di tutela, valorizzazione e promozione del paesaggio urbano e agricolo, riportando la comunità urbana a mostrare interesse per i temi cari all’ambiente e al territorio. In un periodo di crisi economica, consumo di suolo, privatizzazione e individualismo, la proposta di spazi pubblici puntuali, in cui la creatività e l’apporto delle persone sono elementi fondanti, può riqualificare parti di città ed esaltare l’importanza e l’unicità del territorio. Il mercato incoraggia i cittadini a usare gli spazi, creando una comunità unita e interessata alla città e ai luoghi in cui vive. La perdita dei paesaggi, dei luoghi appartenenti alla nostra vita, trasforma lo spazio in qualcosa di ripetitivo e rinvenibile a ogni latitudine e in ogni cultura. I paesaggi della città contemporanea devono ritrovare la loro essenziale funzione e tornare a essere parte fondamentale della vita di ognuno di noi. La rigenerazione della città e del paesaggio parte anche dai mercati, da una nuova densità fatta di persone, merci, parole, confusione; da una densità fatta d’identità e tradizione, creatività e curiosità. La rivalutazione del paesaggio parte da azioni che risveglino la partecipazione cittadina, il senso di appartenenza, l’amore per le tradizioni e la cultura locale e i mercati urbani rispondono bene a queste necessità. Riferimenti bibliografici CORSINI P. (2002), La città tra comunità e mercati, Grafo edizioni, Brescia DESIDERI P. & ILARDI M. (1997) Attraversamenti: i nuovi territori dello spazio pubblico, Costa & Nolan, Genova DI MACCO, S. (1993), Architettura dei mercati: tecniche dell’edilizia annonaria, Kappa, Roma FLOURNOY, R. & TREUHAFT S. (2005) Healthy Food, Healthy Communities ,Policylink MORANDI, C. (2003), Il commercio urbano: esperienze di valorizzazione in Europa, Clup, Milano PAPARELLI R. & DEL DUCA M. 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Rururbal, Sito ufficiale di rururbal, http://www.rururbal.eu/ projecte/projecte/l_it, ultimo accesso aprile 2013. Riferimenti iconografici Figure 1,2 3: graphic design © Sara Caramaschi Figura 4: rurale+urbano+alimentazione, tratto da http://www. rururbal.eu/welcome/index/l_it ultimo accesso 4 marzo 2014. Figura 5: Locandina Gastronomare, manifestazione organizzata dalla Conservatoria internazionale delle cucine del Mediterraneo, tratto da http://www.medemporion.eu/index. php/contents/details/the-marseille-gastronomare-festival-abig-success ultimo accesso 4 marzo 2014. Figura 6: Central Markets Europe, tratto da http://www. centralmarkets.eu ultimo accesso 4 marzo 2014. Figura 7: Urbact Markets Logo, tratto da http://urbact.eu/en/ projects/urban-renewal/urbact-markets/our-project/ ultimo accesso 4 marzo 2014. Figura 8: Benefits of Public Markets, tratto da http://www.pps. org/reference/the-benefits-of-public-markets/ ultimo accesso 3 marzo 2014. Figura 9: Opuscolo Promoterroir, tratto da http://www. cucinemediterranee.net/?page_id=43 ultimo accesso 3 marzo 2014. Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Sara Caramaschi, KEEP IT LOCAL. I mercati urbani, spazi pubblici chiave di rigenerazione urbana e ambientale, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http:// www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.html, pagg. 86 - 93 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO URBAN ACUPUNCTURE. Piccoli interventi nel processo di placemaking | URBAN ACUPUNCTURE. Small landscape interventions in the process of Placemaking Aber Kay Obwona* abstract abstract Gli usi dei piccoli interventi per trasformare paesaggi urbani ed effettivamente la vita degli abitanti sono fondamentali nella progettazione del paesaggio e del territorio in questi tempi di crisi mondiale. In questo paper si esplorano il potere di questi piccoli interventi e il loro ruolo nel “placemaking” e nella percezione come una strategia sostenibile per la riqualificazione del paesaggio urbano. The use of small-scale interventions to transform urban landscapes and consequentially the lives of people at an even larger scale is becoming a fundamental element in landscape architecture particularly in the context of the global economic crisis. This paper will look into the potency of smallscale design landscape interventions and their role in placemaking and perception as a sustainable strategy for urban regeneration. parole chiave key-words placemaking, agopuntura urbana, piccoli interventi placemaking, interventions urban acupuncture, landscape * Dottoranda di Ricerca, Università Degli Studi di Firenze, Progettazione della Citta, Del Territorio e del Paesaggio, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | Introduction In the context of the current global economic crisis, the use of small interventions in landscape architecture is very relevant because of their ability to minimize the economic costs of urban regeneration projects and simultaneously optimize the social values and quality of urban life. In this paper small interventions are described as subtle projects or small relative to the scale of the project context. Although small, they have a significantly big impact of creating changes in the way the landscape is experienced and perceived. These small interventions which can be either temporary or permanent projects, are often used as plug-ins in different public spaces with the aim of healing ‘diseased neighbourhoods’ bringing to mind the idea of acupuncture. This methodology of plugging in small interventions to catalyze positive changes in the environment can be considered a reflection of the traditional oriental medical practice of acupuncture where pain is relieved or disease treated by using needles to puncture specific critical points of the human body. In this same way, diseased areas are cured at a large scale by using small scale local interventions placed in strategic locations and positions in the urban areas. These interventions are sustainable owing to the fact that they cost less in financial terms, are more effective at the local scale and because they are often constructed using locally available materials and appropriate technologies can be managed by the communities. Just like in acupuncture the projects can be singular or placed in series in different spots resulting in a complex rejuvenating effect on the general project area. The paper will look into the idea of using urban acupuncture as defined by Morales (1999) and small landscape interventions in placemaking in the urban landscape to improve the quality of urban life. In this it is key to analyze the role of ‘place’ as a concept in urban landscape dynamics and its relevance in renewal interventions. Placemaking In the field of environmental psychology which directly relates to landscape architecture, the theory of place has evolved from a subject that reflects on the physical aspects of the environment to one which is more focused on the human interactive approach as was explored by Canter in his book the Psychology of space (1977) where he defined the term place as not just being physical positions or locations but place being that which is shaped and formed as an effect of the experiences, actions and interactions of people without being limited to the mental representations of environments. Basing 95 on Canter’s interpretation of place, placemaking is interpreted as the process of making place; the process by which outdoor spaces are transformed into places with significant meaning, character, identity and human interaction. Two years later Christian Norberg Schulz (1979:68) defines place as a wholistic phenomenon,“What then do we mean with the word “place”? Obviously we mean something more than abstract location. We mean a totality made up of concrete things having material substance, shape, texture and color. Together these things determine an “environmental character”, which is the essence of place. In general a place is such with character or “atmosphere”. A place is therefore a qualitative, “total” phenomenon, which we cannot reduce to any of it’s properties, such as spatial relationships, with-out losing it’s concrete nature out of sight.” This definition further emphasizes a more wholistic view of place which supersedes just physical location, includes terms like atmosphere and demonstrates the realm of intangible experience as a valid component in the composition of Place. The term place also has a functional element to it, seen as a container where different activities take place in specific places that are adapted for the proper functioning of that particular activity resulting in the multitude of places. Placemaking is therefore the conscious intentional act of creating place as defined above, catalysts for deep human interaction with the landscape. In line with this, urbanists and city planners have taken it to mean making urban spaces and cities more liveable and capable of enabling the communities to thrive and generally improve the quality of their urban life. The aim of placemaking which also encompasses different professional disciplines like sociology, landscape architecture, architecture, planning, economics and politics is to transform urban spaces into landscapes that are desirable and meaningful to the users and eventually aid in creating healthier communities. Using appropriate small landscape interventions to transform urban spaces into places is a viable approach that brings meaning and enhances associative tendencies in the community. To support the role of interventions in placemaking, Hamdi (2010) points out the relevance of place in the process of place attachment in communities because attachment enhances the sense of belonging and also has an impact on the ambitions, networking ability and the general quality of life. Landscape Interventions Small scale intervention has become a term that is used in urban discourse within the context of Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 96 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figure 1. New Public Space along the Waterfront of the favela. Figure 2. New reclaimed openspaces urban acupuncture. The idea of Urban acupuncture was first attributed to Spanish architect Manuel de Sola Morales in 1999 and promoted by the Brazilian architect and urban planner Jaime Lerner who was also a three time mayor of Curitiba and is recognized for implementing it in many social and urban reform projects in Curitiba. The medical metaphor of the traditional practice and it’s application in urban planning and design is explained by Lerner’s speech in 2007, “I believe that some medicinal “magic” can and should be applied to cities, as many are sick and some nearly terminal. As with the medicine needed in the interaction between doctor and patient, in urban planning it is also necessary to make the city react, to poke an area in such a way that it is able to help heal, improve, and create positive chain reactions. It is indispensable in revitalizing interventions to make the organism work in a different way”. Urban acupuncture is therefore a proactive approach to city planning in that it is a method in which the immediate need is addressed and catalyst projects are put into action in a shorter timeframe than that required by the traditional planning process. The essence of the theory is based on a localized approach using strategically located small interventions to create immediate urban renewal through a chain reaction effect into the larger context. This catalyst idea or project is often initiated either from top-down, where the authorities commission the interventions, or bottom-up, where the community comes up with interventions on how to address their need and then involves the people who make it work maintaining community participation and involvement at the core of the project. In line with community participation, Hamdi (2010) proposes the strong involvement of the community in the decision making process of finding the appropriate interventions to address the specific problem, the analysis of the options, trade offs, feasibility and viability of the project. He goes on to emphasize the importance of identifying possible stake holders within the community and actively involving them in the process through role assignment to create a sense of ownership which is very vital in the acceptance and positive welcome of the intervention. In landscape architecture, practitioners are confronted with projects where the use of interventions at different scales in the rural or urban landscape in design projects, planning, management, the use of social strategies and the arts is the preferred scenario. These interventions that come in the the form of material, physical and conceptual form are an integral part of the practice of landscape architecture. More so in the context of the economic crisis, the use of small interventions in landscape architecture is more relevant by the day as a tool in minimizing the economic costs of revitalization and renewal projects and simultaneously optimizing the social values and quality of urban life. As earlier mentioned, small interventions are technically described as small relative to the scale of the context in which they are used. For social rejuvenation in the urban landscape at the human scale and experience of daily life, the small and not the elaborate changes in the environment and landscape are more credited to result in significant changes to the quality of life as expressed by Thwaites, Mathers and Simkins (2013). They go on to argue that for the small interventions to be successful, they must be visible, and above all meaningful to the public realm but still maintain a level of control at the human scale. The strategy to cure the problem and the type of Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 97 Figure 3. New Community vegetable and fruit gardens Figure 4. The open spaces created for the community like the children’s playground small landscape interventions is determined by the underlying problem, the context, stakeholders, the initiator of the intervention, available budget and the chain reaction effect it is likely to have in the urban landscape. The different types of the interventions can be formal or informal, physical or intangible, bold or subtle and permanent or temporary. Formal small landscape interventions are those that are proposed and initiated by the authorities under urban planning and renewal projects for the urban landscape while the informal interventions are proactive projects initiated at the individual or community level to address local problems and spatial needs in the urban environment. Most urban acupuncture projects are informal owing to the fact they take a shorter time to implement as they cut out the formal bureaucratic processes involved in formal planning and procurement processes. Temporary interventions that are also often informal are the community and social interactive artistic installations in public spaces that last for a limited period of time but have a lasting impact on the society in that they ignite a creative artistic revival of the public spaces that were once abandoned by giving them a new sense of ambience and cultural significance. More than often temporary interventions are intangible leaving no physical impact on the urban landscape but their role in placemaking should not be underestimated because they create an awareness and give an insight into the potential of sites enabling the public to visualize and appreciate the space which in the long run has a long lasting impact. This aspect of small temporary interventions in the process of placemaking, which is to say the conversion of abandoned and underutilized places to places that are desirable and alive is particularly useful in contemporary urban rejuvenation projects from a sociological perspective using the existing public spaces and urban landscape. Formal Interventions- Parque Royale Close to one fifth of the population of Rio de Janeiro lives in informal settlements commonly known as favelas, with no particular regulations, poor infrastructure, housing, services, social and economic conditions. Parque Royale is one of the smaller favelas of Rio de Janeiro bordered by the Guanabara bay in the North and to the south the much bigger Mare favela. The history of the favela dates back to 1973 however it’s growth in terms of area was physically restricted by the existence of the bay and the highway on the southern boundary. After many previous trials to address the urban problem of favelas which included demolition and relocation policies, the government of Brazil set up the Favela-Bairros Program in 1993 with a new approach which aimed at integrating the informal and formal cities through community driven projects and participation to improve the quality of life in the favelas by providing services, infrastructure and public spaces. Under the program, many projects using interventions in the urban landscape and public spaces have been able to significantly transform the quality of urban life in the favelas resulting in the replication of the urban-renewal model. The renewal of Parque Royale was one of the first projects to be undertaken using small landscape interventions under the Favela- Bairro Program by an architectural firm from Rio de Janeiro, Archi 5. Much like the concept of urban acupuncture, the team identified strategic points in which to set up small interventions in different locations of the slum that would have an impact on most of the slum dwellers; Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 98 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio 1. A permanent intervention to reclaim the Waterfront by adding a bike lane and a walkway effectively putting an end to the expansion of the slum along the water. This created a new place for gathering and interaction of the residents with the water.(Fig.1) 2. Connecting the dead-end streets within the favela to create continuity and permeability in the settlement making it whole as opposed to the fragmented zones that were as a result of the dead-end streets. 3. Reclaiming two previously existing soccer fields from the control of drugs and decay to healthy public spaces. This was done through intervention and community participation in creating smaller soccer fields and incorporating stay areas by inserting children landscape elements that encourage interaction and rest for the public as well as play areas and elements for sitting. (Fig.2) 4. Lastly a permanent architectural intervention which was a new community centre was built. From observing the project the new landscape interventions used in placemaking changed the character of the favelas by creating new wholistic places that have aided in evoking a sense of ownership of the landscape. For instance the waterfront area formally a rubbish dumping ground and backyard area to the slum that was expanding on stilts in the water, was transformed into a place that has a new identity, character as a gathering place where residents take walks, ride bikes and take time to interact with the tranquility offered by the water as opposed to the chaos in the favela. From a backyard place of decay to a new refreshing go-to place the small landscape intervention has transformed the Parque Royale waterfront. Simple landscape interventions like introducing benches and playgrounds within the existing soccer fields went a long way in placemaking as they transformed the then urban public space with negative connotations into a place which is now a container for healthy human interaction and experience. In this case the architects used five different small interventions (taking the acupuncture metaphor needles) inserted in critical strategic locations to catalyze and ignite a healing process of the favela without extensively disrupting the underlying social and morphological character of the slum. Although the project instigator was the government, there was a significant amount of community participation involved in the project with them having an active role which made the interventions more welcome to the community. Informal Interventions- Kibera Slum Located five kilometres from the city centre of Nairobi, Kibera slum is the largest slum agglomeration in Africa with an official population of one hundred and seventy thousand as of the 2009 Kenya Population. However other estimates of the population range from five hundred thousand to over one million people depending on the extents of the slum taken into consideration. Like any other slum in Africa, Kibera is no exception to the problems that are common to the slum dwellers; insufficient basic services of water and electricity, sanitation, infrastructure, public spaces, accessibility to community and social services. This is the background of the informal settlement in which the Koukney design initiative together with the local community launched their landscape interventions. The design initiative was started in 2006 by a group of design students from Harvard as a partnership of different members in the built sciences landscape architects, architects, engineers and urban planners who collaborate with affected communities to create changes through small interventions in Kibera. The concept of their proposals was to use a bottomup approach of participatory planning where the communities are the instigators of the projects which were to be flexible and integrated within the community so the interventions do not appear alien but fit right into the existing morphology. In the Kibera project, the Koukney Design Initiative together with the chosen members of the community were able to identify the main problems and collectively come up with small landscape interventions in strategic areas of the slum: 1. Productive Public space and interventions for urban agriculture by setting up vegetable gardens for the residents.(Fig.3) 2. Creating new open spaces in the area by reclaiming uninhabitable flood prone areas of the settlement for use of the inhabitants for example by designing a simple gabion system which was then constructed by the locals so as to retain the water.(Fig.4) 3. Interventions for making the slum more accessible through pedestrian bridges over canals which were previously barriers that fragmented the settlement. 4. A community pavilion which is a sheltered public structure that is used for community activities can be adapted to whatever use built by the residents using locally available materials and construction techniques. In this particular project the role of community participation was fundamental in the choice, Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | type and location of interventions to be used as elaborated by Hamdi (2010: 33-34) “Placemaking could mediate the interests and values, cultural norms and religious practices of all the different and sometimes conflicting kinds of community we find in place: communities of interest, culture, practice and resistance. Engaging these groups as partners through participatory planning would be as if to “dance with conflict” both literally and metaphorically, to acknowledge their role as agents of change.” This is the case in Kibera slum which is composed of different community groups as they were unified in the setting up of small interventions to create places that they could collectively use and relate to in their day to day life. Conclusion In conclusion the potency of small interventions and urban acupuncture in the revitalization and rejuvenation or the reversal of urban decay is highly relevant in the context of the economic crisis. In particular their relevance in the global south and developing world which is characterized by the problems of rapid urbanization and informal settlements with low budgets for urban rejuvenation projects becomes stronger. However care should be taken in the manner in which these interventions are placed so as to ensure their success. And from the case studies mentioned, although there is no clear cut solution for the success of small landscape interventions owing to the fact that they should be site specific and the interventions vary from place to place depending on the existing set of problems, there are some key aspects to consider so as to increase the chances of success; human scale, context and community participation. The human scale of the landscape intervention in terms of it being perceived as controllable by the average user of the space creates a level of intimacy and closer affiliation to the place. The adaptability and flexibility of the interventions are also factors in the success of small interventions in that they should be able to respect the genius loci (Norberg-Schulz, 1979), create positive changes in the public spaces without creating drastic changes in the fabric, identity and character of the area in which they are placed thus strengthening and preserving the socio-cultural, urban and spatial identity. Given the importance of the desired catalyst effect of small interventions, care should be taken in the study and identification of the character and typology of intervention depending on the desired impact on the urban landscape. For example in some cases, interventions are more successful when their relevance and creative elements are designed and 99 placed in such a manner so as to spark dialogue and social interaction creating vibrant and intriguing ambiences in places that were underutilized. Context is very relevant to the success of the intervention as it should be specific and responsive to the spirit of the place and the human experience. In urban acupuncture urban rejuvenation success is closely linked to the strategic choice of location and the choice and quality of the small intervention. So for success in the strategy careful study and research should be made of not only the socio-economic, ecology, heritage and cultural elements but should include an intensive study of the urban fabric so as to identify the key pressure points with strategic linkages in which to administer the interventions. Community participation is very key in urban rejuvenation interventions in the landscape because it not only eases it’s integration into the sociological space but also increases a sense of ownership and commitment to the place. However the top-down aspect an d in particular the role of the authorities in small interventions should not be under-looked and instead the ideal situation should be one where there exists an adequate strategic balance between the bottom-up and top-down approach. In conclusion, small investments in the form of small interventions in landscape architecture are a complex and useful tool in urban regeneration; transforming places into place because of their potency and ability to ignite creativity and their role as catalysts and igniters of social, cultural and community revival of public spaces in the urban landscape. Together with the contemporary idea of urban acupuncture, these small interventions when incorporated in a unified strategy are an essential and sustainable approach to addressing inadequate, abandoned and underutilized public spaces. It is indeed a sustainable key tool in urban regeneration and should be explored further in both the western and developing world as a viable solution to the urban space decay in the context of the economic crisis. Bibliographic References Brown, L., Dixon, D. & Gilham, O. (2009), Urban Design for an Urban Century: Placemaking for People, Chicester: J.Wiley, New York. Canter, D. V. (1977), The Psychology of Place, Architectural Press, London. Hamdi, N. (2010), The Placemaker’s Guide to Building Community, Earthscan, London, Washington, Dc. Killing, A. (2012), Urban Tactics, Temporary Interventions & Longterm Planning, [Online]. Accessed on: http:// www.killingarchitects.com/wpcontent/uploads/2012/05/ UrbanTactics_TempInterventions+LongTermPlanning.pdf last accessed 1 March 2014. Morales M. (1999), Progettare città/ Designing Cities, Lotus Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 100 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Quaderni Documenti Electa, Milan. Norberg-Schulz, C. (1979), Genius loci: Towards Phenomenology of Architecture, Rizzoli, New York. a Thwaites, K., Mathers, A. & Simkins, I. (2013), Socially Restorative Urbanism: The Theory, Process and Practice of Experiemics, Routledge, NewYork. Thwaites, K. & Simkins, I. (2007), Experiential landscape: An Approach to People, Place and Space, Routledge, New York. Waldheim, C. (2006), The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, NewYork. Werthman, C. & Beerdsley, J. (2006), Dirty work. Landscape in the Non-Formal City, http://www.gsd.harvard.edu/images/ content/5/1/517525/proj_dirty_work.pdf, last accessed 3 March 2014. Iconographic References Figure 1: New Public Space along the Waterfront of the favela. Source: Parque Royal: Favelo Bairro’s Dimming Star? http:// favelissues.com/2010/04/24/parque-royal-favela-bairrosdimming-star/ last accessed 28 February 2014. Figure 2: New reclaimed openspaces, Source: Parque Royal: Favelo Bairro’s Dimming Star? http://favelissues. com/2010/04/24/parque-royal-favela-bairros-dimming-star/ Figure 3: New Community vegetable and fruit gardens, Source: Kiunkeuy Design Innitiative, Kibera Project. http:// www.kounkuey.org/Kibera_PPS1.html last accessed 24 February 2014. Figure 4: The open spaces created for the community like the children’s playground, Source: Kiunkeuy Design Innitiative, Kibera Project. http://www.kounkuey.org/Kibera_PPS1.html last accessed 24 February 2014. Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Aber Kay Obwona, URBAN ACUPUNCTURE. Piccoli interventi nel processo di placemaking, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/ quaderni/index.html, pagg. 94 - 100 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO PROGETTO DI PARTI MANCANTI: il ruolo dei “piccoli” interventi nella ricomposizione urbana. Il caso di Modena | Design missing parts: the role of “little” projects in urban renewal strategy. The case of Modena Roberta Palumbo* abstract abstract Lo spazio della città contemporanea è dilatato e frammentato e genera paesaggi confusi. Pensare la città futura significa ricercare una vision (Secchi, 2003) che dia nuova conformazione alla compagine urbana operando sul e nel costruito. Il contributo indaga questi temi attraverso un progetto per la città di Modena che mette a sistema azioni semplici, piccole per definizione, e azioni complesse che coinvolgono luoghi “piccoli”: un monumento incompiuto, la fitta trama di un villaggio artigiano, una ferrovia che non serve più. Modern city is sprawling and fragmented. The space of future cities requires a vision that gives new meaning and order to the urban landscape whilst working with the existing sprawl. In the next article this vision is explored via both simple and complex actions; the first are small as definition, the second involve project on “small” locations as an incomplete construction, the dense texture of a craft village or a disused railway line. parole chiave key-words CITTÀ futura, PROGETTO per parti, RIUSO del territorio Future CITY, DESIGN of urban parts, Land REUSE * Dottoressa in Architettura, [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 102 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Introduzione Questo breve testo si pone l’obiettivo di far riflettere sull’importanza dei “piccoli” interventi nel progetto della città futura. Per raggiungere tale scopo si ripercorreranno le tappe principali di un percorso di tesi che ha avuto come fine ultimo il riprogetto di un brano consistente della città di Modena. L’iter progettuale parte dall’inquadramento delle principali problematiche delle città contemporanee fino all’individuazione di alcune strategie di progetto calate nella realtà modenese toccando tematiche differenti quali l’individuazione dello spazio privilegiato di progetto della città e l’identificazione di una possibile vision per la città futura. La forma, le caratteristiche e, più in generale, il paesaggio delle città variano, nello spazio e nel tempo, a seconda del mutare delle esigenze socioeconomiche e culturali dell’essere umano. Per questi motivi è relativamente semplice riconoscere la compattezza della città Medioevale o la “cattura dell’infinito” (L. Benevolo, 1991) della città del Seicento che, uscendo dalle mura cittadine, dà vita a spazi più specializzati ma, allo stesso tempo, teatrali o, ancora, brani di città risalenti alla prima rivoluzione industriale, nella quale la continuità tra gli elementi costituisce la conditio sine qua non per la vita e l’economia della città stessa. Lo spazio della città contemporanea è, invece, “uno spazio molto confuso […] che non ha questa chiarezza (tipica dei modelli precedenti di città, n.d.a); è uno spazio che è stato quasi completamente tecnicizzato, che viene disegnato dai servizi delle strade, delle fognature e che è poco conviviale. La città si è dispersa, si è frammentata […] e quindi abbiamo questo spazio che è un po’ il residuo di quello che è rimasto dopo che si è edificato” (B. Secchi, 2002). Infatti, alcune delle problematiche maggiormente trattate negli ultimi anni in letteratura sulla città contemporanea riguardano i fenomeni di urban sprawl e urban shrinkage. Il primo termine, trasposto dal neologismo Sprawltown coniato da Richard Ingersoll nell’omonimo testo, indica un modello di crescita, e quindi di città, basato su autostrade congestionate, centri commerciali e grandi parcheggi tutti rigorosamente separati gli uni dagli altri e isolati (G. Tachieva, 2010). Sono realtà dove non esistono unità di vicinato, si riscontra un forte utilizzo dell’automobile personale data la distanza tra gli elementi che compongono la città stessa, le aree urbane sono prevalentemente monofunzionali e quelle residenziali ospitano una limitata varietà di tipologie edilizie e relazioni. Il secondo termine, invece, descrive un’area un tempo densamente popolata caratterizzata, oggi, da una forte diminuzione demografica e che è oggetto di una trasformazione economica che presenta i primi sintomi di una vera e propria crisi strutturale (C. Martinez-Fernandez et al.). Se queste sono alcune delle caratteristiche delle città del passato, quali caratteristiche dovrebbero avere le città del futuro? In cosa dovrebbero differire dai modelli precedenti? E, soprattutto, quali potrebbero essere gli strumenti attraverso i quali far divenire realtà queste previsioni? Un valido punto di partenza consiste nell’elaborare una vision (B. Secchi, 2003) della città futura che costituisca un orizzonte di senso per l’intera collettività. Si tratta di una visione, un progetto, un’idea di città chiara e definita come quella di Sisto V per il futuro di Roma, o quella di Oriol Bohigas per l’inisieme di progetti per i quali la città di Barcellona è divenuta riferimento obbligato alla fine del XX secolo. Oltre alla vision occorre individuare quale sia lo spazio di progetto di questo tipo di città e, infine, pensare a strategie di realizzazione che non coinvolgano enormi progetti di riconfigurazione urbana da realizzare interamente ma che mettano in rete grandi e piccoli interventi. Questi tre passaggi saranno analizzati nei paragrafi successivi. Lo spazio del progetto della città futura In questo ipotetico iter verso l’individuazione di strategie di progetto per la città futura, il primo passo da compiere è riflettere sullo spazio entro il quale questa vision potrà trovare espressione. Le riflessioni metodologiche, infatti, devono essere precedute da un altro tipo di ragionamento che prenda atto del grande cambiamento dell’oggetto stesso del progetto di città. Venendo meno, come è ormai largamente noto e documentato, la necessità di consistenti espansioni urbane, principali spazi di previsione delle epoche passate, l’oggetto dell’azione progettuale è oggi costituito dalla riconfigurazione dell’intera compagine urbana affidata a interventi puntuali e limitati, collocati spesso tra gli elementi che compongono la città stessa; interventi, in sostanza, ”piccoli”. La necessità di lavorare tra gli elementi che compongono la città contemporanea, in quei luoghi che Olmo definisce grey areas (C. Olmo, 2000) formati sia da vuoti urbani sia da aree dismesse è diretta conseguenza dei fenomeni di sprawltown e urban shrinkage ai quali si è accennato in precedenza. Infatti, tanto la diminuzione della popolazione e la crisi del sistema economico tradizionale quanto la dispersione degli elementi che compongono la città, sono responsabili della formazione di spazi in Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 103 negativo, vuoti urbani o aree dismesse a carattere prevalentemente produttivo o infrastrutturale, ma non solo, che rappresentano, per motivi differenti, un “futuro che gli eventi hanno scartato” (G. De Franciscis, 1997: 10). La presenza di questi vuoti (di attività, di senso e di significato) costituisce un’importante occasione di rigenerazione urbana e consente di poter riflettere sulla città contemporanea, elaborare teorie sulle caratteristiche della città futura e sperimentare nuove metodologie di progetto. Una vision per la città futura: dieci parolechiave Il concetto di vision non si esprime attraverso gli strumenti prescrittivi, propri dell’urbanistica moderna europea, tesi a regolamentare l’ampliamento delle città esistenti; non è un piano in quanto esso è, allo stesso tempo “assai meno dettagliato e più complesso” (B. Secchi, 2003) e mira a delineare orizzonti di senso entro i quali il progetto della città si deve muovere in modo aperto e flessibile. L’individuazione di una possibile vision per la città del futuro costituisce il secondo elemento di riflessione e coinvolge temi differenti e di ampio respiro. Sicuramente una posizione di rilievo è occupata dalle tematiche ambientali in parte connesse alle teorie della terza rivoluzione industriale che avrebbe origine, secondo i suoi sostenitori, in seguito alla convergenza tra i nuovi sistemi di comunicazione legati all’informatica e la ricerca di fonti di energia rinnovabili (J. Rifkin, 2011). I pilastri concettuali sui quali si fondano queste teorie sono sostenibilità, accumulo e distribuzione dell’energia mediante un “internet dell’energia” e riduzione delle emissioni di CO2 tramite lo studio di una mobilità sostenibile elettrica. A livello insediativo, sarà di grande importanza la scelta delle tipologie abitative da inserire, con l’intento di ridurre lo spopolamento delle città e il conseguente invecchiamento della popolazione (contrastando, così, il fenomeno dello shrinking) e la creazione di spazi pubblici di qualità che incentivino la socialità e diano modo all’Homo Sapiens di divenire “Homo Empathicus” (J. Rifkin, 2010). In aggiunta a quanto detto, si dovrà evitare di ricadere in trappole progettuali già sperimentate, come quelle che hanno portato allo shrinking e allo sprawl urbano, problematiche che possono essere risolte facendo ricorso al concetto di continuità fisica e d’intenti. Infatti, per ridurre la frammentazione e la porosità dei tessuti delle città contemporanee, gli spazi che compongono la città futura dovranno essere contermini, permeabili gli uni con gli altri e accessibili da qualsiasi categoria di fruitori. Allo stesso tempo tali interventi non potranno divenire realtà se manca la continuità di intenti a causa dei cambiamenti delle Amministrazioni o del fluttuare della quantità di risorse di cui esse dispongono. Questo strumento non prescrittivo ma d’indirizzo preso in prestito da Bernardo Secchi e chiamato vision può essere ragionevolmente rappresentato da tutti i concetti ai quali si è appena accennato. Di seguito sono elencate dieci parole-chiave che, sulla base delle ricerche e riflessioni effettuate durante il percorso di tesi, potrebbero costituire l’orizzonte entro il quale il progetto di città potrebbe verosimilmente muoversi: la vision, appunto. • La sostenibilità ambientale costituisce, sicuramente, una delle tematiche maggiormente inflazionate e dibattute. La sua importanza è innegabile e rappresenta uno dei principali obiettivi che le nostre città dovranno perseguire. • La continuità è un utile strumento per combattere i problemi della città contemporanea; non si tratta solo della continuità fisica degli spazi nel tentativo di creare una Compact city1 (M. Sorkin, 2004), ma anche di reti di trasporto, con particolare attenzione per la mobilità pubblica e la mobilità lenta, e, soprattutto, d’intenti. • L’innovazione rappresenta il motore della città del futuro e comprende tanto l’aspetto economico quanto l’ambito urbano con particolare attenzione a forma, tipologia e qualità dello spazio urbano. • L’interazione è la parola chiave che rimanda la concetto di empatia cui si è accennato in precedenza. Essa è ottenibile tramite lo studio e la collocazione di aree per l’interazione sociale a livello di quartiere con servizi condivisi e zone comuni. • Il riuso del territorio rappresenta, contemporaneamente, un’opportunità e una strategia per ripensare la città e costituisce il principale strumento di trasformazione urbana da adoperare. • La storia della città rimane riferimento imprescindibile per il progetto di città. Pensare la città futura, infatti, non vuol dire negare il passato, elemento di riferimento da valorizzare e tutelare, ma, piuttosto, trarre da esso insegnamenti e strategie operative. • I servizi come singoli elementi attrattori di carattere comunale e come rete consentono la vitalità della città e ne contrastano lo spopolamento e, quindi, la riduzione. • Il verde, inteso sia come singolo intervento sia come sistema messo in rete, rappresenta una componente centrale nella progettazione dello spazio urbano al quale conferisce qualità e bellezza. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 104 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio • La sperimentazione è il principale strumento da adoperare per la rigenerazione di parti urbane “mancanti”. • La società incarna sempre e comunque l’orizzonte di senso entro il quale far muovere le azioni di progetto che devono tener presente la particolare attenzione della città per tutte le categorie, anche quelle meno agiate. Come si mostrerà di seguito grazie a un esempio di progetto per la città di Modena, è importante comprendere come queste tematiche coinvolgano sì la grande scala urbana, ma trovino, allo stesso tempo, espressione e concretezza in interventi di minore portata. Strumenti per il progetto della città futura: l’importanza del “piccolo” nel riprogetto di un brano della città di Modena Un ottimo terreno sul quale studiare questi fenomeni e sperimentare nuove tipologie di intervento è la città di Modena sia per le sue caratteristiche morfologiche e demografiche, sia per la sua tendenza a “ripensarsi”, a trasformare i suoi spazi, a sperimentare nuove soluzioni. Questa città si trova oggi alla ricerca di una nuova identità che spera di poter raggiungere attraverso il riuso e la riqualificazione delle numerose aree dismesse a carattere prevalentemente produttivo presenti nel tessuto urbano e il riprogetto generale della mobilità su ferro. L’amministrazione modenese, infatti, sta lavorando da tempo sia sulla “Città del Nord” (porzione di città sita a nord della stazione ferroviaria e formata da grandi aree produttive oggi in trasformazione) sia su tre diverse strategie di riqualificazione e riassetto della mobilità su ferro esistente che comprendono: lo spostamento dello scalo merci, attualmente collocato presso la stazione centrale, a Marzaglia- Cittanova, l’interramento di parte della linea ferroviaria Modena-Sassuolo e il definitivo spostamento del tratto urbano della linea ferroviaria storica Bologna-Milano, realizzata all’interno del più complessivo progetto dell’Alta Velocità. Anche se questi tre progetti coinvolgono tratti lineari, essi innescano politiche di recupero e rigenerazione urbana che hanno come intento fondamentale quello di dare vita a un nuovo assetto urbano e a un livello di mobilità nuovo e più efficiente che abbia come cardine il trasporto pubblico e la mobilità dolce. Per il progetto di tesi si è colta l’occasione offerta dalla dismissione del tratto ferroviario della BolognaMilano per ripensare un brano consistente di città agendo su un’area che presto perderà identità e che verrà svuotata. Infatti, la dismissione, nel breve periodo, del tratto ferroviario storico che attraversa e divide da circa centocinquant’anni la città, rappresenta per Modena un vero e proprio big bang, una svolta epocale che rivoluzionerà l’equilibrio su cui si è andata costruendo questa parte di città e consentirà di cominciare a ripensare la “Modena contemporanea” in vista di una “Modena futura”. Il tratto ferroviario in questione attraversa la zona ovest della città creando una profonda fenditura larga dai quindici ai venti metri, alta in media un metro e mezzo rispetto alla quota della città e lunga circa dodici km costeggiando paesaggi differenti: aree d’interesse storico-artistico, zone residenziali costruite durante il Novecento, quartieri specializzati, grandi vuoti urbani, importanti aree a servizi e campi coltivati, passando più volte sopra o sotto altre infrastrutture. (FIG.1) Poiché la dismissione della ferrovia, pur coinvolgendo un tratto lineare, insiste su numerose aree, i suoi effetti riverberano in tutto il quadrante urbano e pertanto tale dismissione rappresenta per la città un’irripetibile occasione da cogliere velocemente e portare a termine in tempi rapidi in modo da evitare che il sedime ferroviario si trasformi in una pozione lineare di territorio vuota di attività e di significati. Questo brano di città, definito dall’amministrazione “Quadrante urbano di Modena Ovest” rappresenta un territorio complesso e denso di attività e problematiche. La sua formazione attraversa un intero secolo e, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi decenni, la sua costruzione appare dettata più da ragioni economiche che da reali disegni e intenzioni di pianificazione urbana. In linea con quanto è avvenuto in molte città italiane, fino alla fine del XIX secolo, le mura della città di Modena hanno diviso nettamente ciò che era città da ciò che non lo era relegando nei territori esterni alle mura quelle attività che si riteneva dovessero stare lontane dal tessuto urbano a prevalenza residenziale; per questo motivo la storia delle espansioni della città di Modena, e quindi anche dell’area di Modena ovest, ha inizio solo con l’abbattimento delle mura, a partire dal 1890, a cui segue il piano regolatore del 1909 che prevede, oltre all’abbattimento di quella porzione di mura della città ancora in piedi e al risanamento del centro storico, anche il primo ampliamento della città esistente al di fuori del perimetro delle mura. Fino a quel momento fuori dalle mura della città erano collocate prevalentemente attività non gradite all’interno. Per quanto riguarda l’area del quadrante urbano di Modena Ovest, già a metà Ottocento erano presenti due elementi che diverranno caratteri distintivi e peculiari dell’intera area: il cimitero monumentale (collocato fuori dalle mura in seguito all’editto di Saint Cloud) e parte della ferrovia Bologna Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 105 Figura 1. Tracciato ferroviario. Vista del sedime ferroviario dal Cavalcavia della Madonnina. Si notino: a sinistra le case del Villaggio artigiano, a destra il vuoto urbano, incolto, presente nel quartiere Madonnina. Figura 2. Villaggio Artigiano. A sinistra vista dall’alto, a destra alcuni edifici del villaggio artigiano – Milano. In questi anni gli insediamenti residenziali presenti oltre le mura erano pochi, disomogenei ed erano situati prevalentemente lungo via Emilia, arteria distributiva principale dell’intera città. La situazione rimase invariata fino al secondo dopo guerra con il piano di ricostruzione del 1948 il quale non intervenne sulla forma della città ma trasformò aree specifiche seguendo i dettami dell’architettura moderna di derivazione razionalista aumentando densità e altezze degli edifici e trascurando lo spazio pubblico con conseguenti peggioramenti della qualità di queste parti di città. A questi anni risalgono altri due elementi caratterizzanti l’area: l’aeroautodromo (1949) e il Villaggio Artigiano (1953 circa). Il primo comprendeva contemporaneamente sia le strutture tipiche di un aeroporto (pista in cemento lunga 3,8 km, torre di controllo e aviorimesse) sia quelle di un autodromo (direzione gara, box e tribune), dalla compresenza di queste due attività deriva, infatti, la particolare denominazione. La pista fu usata soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. All’inizio degli anni Settanta il circuito venne dismesso e tra l’inizio degli anni Ottanta e la fine dei Novanta fu trasformato nel maggiore parco della città intitolato ad Enzo Ferrari e progettato dall’architetto paesaggista Sir Geoffrey Jellicoe. Il Villaggio Artigiano nasce all’inizio degli anni Cinquanta per volere del Sindaco Alfeo Corassori e dell’assessore ai lavori pubblici Mario Pucci con l’intento di dare lavoro e risposte a numerosi operai che avevano perso il lavoro in seguito alla seconda guerra mondiale. Incoraggiandoli a divenire piccoli imprenditori, l’amministrazione ha ceduto loro a prezzo agevolato lotti di terreno posti nella zona ovest della città a ridosso della ferrovia con l’obiettivo di insediare attività artigianali in edifici dalla classica tipologia dalla casa-bottega. Questa politica ha dato vita a quello che oggi è uno dei quartieri più densi, per tessuto e tipo di attività dell’intera città. Nonostante il quartiere sia stato costruito senza la supervisione comunale in merito alle scelte architettoniche (ogni artigiano, infatti, era libero di costruire nel proprio lotto l’edificio che meglio rispondeva alle proprie esigenze) tuttavia esso presenta oggi un “disordine armonico” (Doc. degli indirizzi per Modena Ovest) che costituisce carattere identitario dell’intero Villaggio e che è ben distinguibile sia in pianta (il suo tessuto denso formato da elementi puntuali lo rende facilmente identificabile anche dal satellite) che in alzato. (FIG.2) A partire dal piano del 1958, poi, l’intera area di Modena ovest si andò via via saturando completandosi con ulteriori quartieri residenziali e un’importante area produttiva collocata su via Emilia che hanno conferito alla città l’aspetto odierno. Oggi il quadrante urbano di Modena ovest comprende cinque quartieri a prevalenza residenziale forniti di servizi che coinvolgono differenti bacini di utenza tra i quali molti di interesse sovra comunale, un’importante area produttiva, la zona del cimitero (che comprende sia il cimitero monumentale sia il famoso cimitero progettato da Aldo Rossi) e il più grande parco urbano della città (oltre 400.000 mq) il tutto attraversato trasversalmente da via Emilia ovest e longitudinalmente dalla ferrovia Bologna– Milano che rappresenta un limite invalicabile che divide la città in due parti distinte il cui solo collegamento è rappresentato dall’ “imbuto” del cavalca-ferrovia di via Emilia, unico “passaggio ad ovest” oggi esistente. (FIG.3) Come detto l’Amministrazione Comunale ha deciso di dismettere il tratto ferroviario che attraversa la Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 106 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 3. Il quadrante urbano di Modena Ovest. In evidenza: i quartieri che compongono questo brano di città, la ferrovia in dismissione (in nero) e via Emilia ovest (in arancione) con il suo cavalcavia. Il perimetro rosso definisce i principali luoghi della trasformazione. Le aree che compongono il Quadrante urbano di Modena Ovest sono: 1 Area industriale, 2 Quartiere Madonnina, 3 Cimitero San Cataldo, 4 Villaggio Artigiano, 5 Parco Enzo Ferrari, 6 Area a servizi d’interesse sovracomunale Figura 4. Schema concettuale degli indirizzi del POC per il quadrante urbano di Modena ovest Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 107 zona ovest della città deviando il traffico su ferro sul tracciato dell’alta velocità costruito a nord del cimitero di san Cataldo e inaugurato nel 2008. Le principali problematiche che investono il progetto dell’area riguardano il destino del “sedime della ferrovia” (Doc. degli indirizzi per Modena Ovest) in dismissione e la relazione del tessuto urbano con le infrastrutture, la riqualificazione delle aree esistenti e il disegno di quelle vuote o senza vocazione. L’amministrazione pensa, in sostanza, a un generale progetto di ricucitura e ricomposizione urbana da attuarsi tra il costruito tramite interventi puntuali che coinvolgono scale e ambiti differenti. L’idea dell’Amministrazione per questo brano di città è racchiusa nel Documento degli indirizzi per il quadrante urbano di Modena Ovest e ben riassunta dalla figura 2. Il Comune identifica l’idea-base che governa l’intero progetto di riqualificazione nell’insediamento sul sedime della ferrovia di un sistema di trasporto pubblico al discreto alimentato con energia elettrica che metta in connessione la stazione centrale esistente con il nuovo polo commerciale-direzionale “Cittanova 2000”, collocato appena fuori il margine della città. La dismissione eliminerebbe la grande cesura costituita dal tratto ferroviario ponendo fine alla separazione della città e favorendo la nascita di un unico brano di città più complesso e completo. (FIG.4) In questo contesto s’inserisce il progetto di tesi che tenta di dare forma agli intenti che l’amministrazione ha racchiuso nello schema riportato nella figura 4 tentando contestualmente di dare nuova identità alla città lavorando sul e tra il costruito. Le volontà dell’amministrazione fin qui elencate insieme con le dieci parole chiave individuate come guida per l’elaborazione di un progetto di città futura, hanno dato vita a un progetto di tesi che ha per oggetto l’intero brano di Modena ovest. Si tratta di un progetto di città per parti che opera tramite azioni “piccole” per dimensione, costi oppure per tipologia dei luoghi trattati. Tali strategie progettuali sono state suddivise, nel lavoro di tesi, in Azioni Semplici e Azioni Complesse catalogate in un abaco degli interventi. La messa in rete di interventi di diversa portata e dimensione dà vita a un progetto per la città tenuto insieme da un disegno complessivo ma che si compone di elementi la cui realizzazione è indipendente. Le Azioni Complesse individuate sono cinque e coinvolgono le aree più problematiche di questa parte di città: il sedime della ferrovia, l’area cimiteriale, il cavalcavia della via Emilia che sovrasta la ferrovia, la zona villaggio artigiano - quartiere Madonnina e i vuoti urbani posti al margine sud della città. Gli interventi comprendono trasformazioni urbane la cui portata risulta rilevante sia per le conseguenze che l’eventuale applicazione avrebbe sull’economia generale della città sia per la complessità dell’interazione tra le politiche che mette in campo. (FIG.5) Traslando un concetto mutuato da una riflessione di Giuseppe Marinoni, potremmo dire che quelle che qui vengono definite come azioni complesse possono essere paragonate all’approccio al progetto urbano da lui denominato “coordinato” (G. Marinoni, 2005: 13). “Il progetto urbano coordinato”, infatti, “è finalizzato alla realizzazione di ampie parti di città, in un arco temporale relativamente breve rispetto ai secolari tempi di costruzione della città. Le componenti edilizie, infrastrutturali e paesaggistiche sono integrate per produrre un assetto morfologico d’insieme e una complessità negli usi capace di indurre processi di innovazione per ampie aree urbane. […] Esso si rivela una delle poche vie ora praticabili per dare forma a parti di città ampie e complesse costruite nell’unità di tempo, di spazio e di processo economico” (G. Marinoni, 2005: 14). Le cinque azioni definite complesse (presenti nella figura 6) ampliano e ristrutturano la città esistente condividendo i presupposti della forma urbis e accettando, in larga misura, l’opzione insediativa compatta in opposizione allo sprawl. Nonostante la complessità di cui tali strategie sono portatrici, esse sono individuate da un semplice verbo accompagnato da uno schema concettuale (conceptplan) che indica le linee progettuali di massima. (FIG.6) Le Azioni Semplici, invece, comprendono interventi puntuali, ripetibili, riassumibili in un simbolo le cui caratteristiche principali sono la dimensione limitata e, appunto, la ripetibilità in modo pressoché invariato nello spazio della città. Esse sono complementari alle Azioni Complesse ma, allo stesso tempo, indipendenti da esse. Nello specifico, nel progetto per l’area di Modena ovest sono state individuate venti diverse azioni che coinvolgono in modo analogo i sistemi insediativo, infrastrutturale e ambientale. Tali azioni si configurano a volte come interventi strategici dalle dimensioni limitate che talvolta sollecitano reazioni urbane di rigenerazione introducendo nuovi usi e nuove modalità fruitive (Azione semplice 14 – Potenziamento dei luoghi d’interesse sovra comunale), altre volte, invece, sono semplicemente portatrici di nuove immagini urbane dal carattere più simbolico (Azione semplice 1 – Localizzazione di fermate della metrotranvia di superficie in progetto). (FIG.7) Dal punto di vista del sistema insediativo, particolare attenzione è riservata nei confronti dei luoghi di margine (che siano essi i fronti degli edifici che affacciano su strade principali o il limite tra urbanizzato e non urbanizzato o, ancora, tra tessuti Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 108 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 5. Individuazione delle Azioni Complesse per il progetto di Modena ovest Le azioni complesse comprendono interventi su luoghi all’apparenza non rilevanti nell’economia di un progetto di rigenerazione urbana dalle grandi dimensioni. Esse sono cinque e comprendono: Connettere, Valorizzare, Polarizzare, Rigenerare e Ricomporre, Urbanizzare. Ognuna di esse fa riferimento a una specifica porzione di territorio e alle sue problematiche Figura 2. Figura 6. Schemi concettuali di esplicitazione delle Azioni Complesse di progetto Azioni complesse 1 Connettere, 3 Polarizzare e 4 Rigenerare e Ricomporre con relativi conceptplan Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 109 Figura 7. Individuazione delle Azioni Semplici per il progetto di Modena Ovest Le azioni semplici di progetto sono venti e sono suddivise in base al sistema territoriale di riferimento (sistema infrastrutturale, insediativo ed ambientale). Le loro caratteristiche principali sono la dimensione limitata, l’economicità dell’intervento e la ripetibilità nello spazio della città in modo pressoché invariato con destinazioni d’uso prevalenti differenti) e della riqualificazione dell’esistente. Le azioni sul sistema infrastrutturale mirano in particolar modo a conferire continuità alla rete della mobilità e a riqualificare quella esistente. Esse coinvolgono in primo luogo il nuovo sistema di trasporto urbano al discreto voluto dal Comune, ma anche la creazione di nuovi collegamenti carrabili, l’inserimento di attraversamenti pedonali o l’utilizzo di strategie per la fluidificazione del traffico veicolare. Dal punto di vista delle azioni sul sistema ambientale, invece, particolare attenzione è stata posta nei confronti della riqualificazione di parchi e orti urbani, presenti in gran numero in questa porzione di città, e della loro messa a sistema. (FIG.8) Tutte le azioni semplici individuate fanno riferimento e sono espressione di una delle parole chiave cui si è accennato in precedenza. Infatti, per fare qualche esempio: • sostenibilità e continuità possono essere raggiungibili tramite l’aumento e la riqualificazione delle piste ciclopedonali esistenti e il completamento della rete stradale (Azioni semplici del sistema infrastrutturale); • l’interazione può essere agevolata grazie alla valorizzazione dei piccoli luoghi di aggregazione esistenti riqualificati tramite interventi di autocostruzione da parte dei cittadini o politiche che incentivino il riutilizzo dei piccoli capannoni del villaggio artigiano inutilizzati o sottoutilizzati inserendo, per esempio, un nuovo hub per le imprese presenti (Azioni semplici del sistema insediativo); • l’attenzione per il verde può manifestarsi nei piccoli interventi di inserimento di percorsi o allestimenti di land art che mirano a riqualificare parco Ferrari (Azioni semplici del sistema ambientale). Tali osservazioni mostrano come anche i piccoli interventi, se ben progettati e messi in rete, concorrano a creare nuovi spazi urbani più piacevoli e vivibili e siano fondamentali per la realizzazione di un nuovo paesaggio urbano. Conclusioni L’intento di questo testo era mostrare come dalla messa in rete di interventi piccoli, per dimensione e costi (azioni semplici), e interventi su luoghi “piccoli”, in quanto incompiuti o in trasformazione o fragili perché indefiniti (azioni complesse), si possano attivare azioni di rigenerazione urbana di grande portata capaci di contrastare le principali problematiche della città contemporanea e dare vita Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 110 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 8. Esempi di Azioni Semplici di progetto divise per sistema territoriale Figura 9. Estratto di Masterplan di progetto Le aree presenti in questo masterplan fanno riferimento a tutte le azioni semplici e alle azioni complesse 1, 3 e 4 (Connettere, Polarizzare, Rigenerare e Ricomporre) Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 111 a un nuovo e più articolato paesaggio urbano. Per fare ciò si è fatto ricorso a un progetto di tesi che si è posto l’obiettivo di contrastare le principali problematiche della città contemporanea e tentare di porre in essere un nuovo modello di città tramite un progetto su un’area dismessa (come si è visto, luogo privilegiato del progetto della città futura). L’esito progettuale ha portato alla realizzazione di un Conceptplan fatto di Azioni Complesse e Azioni Semplici e a un Masterplan del quale si riporta una porzione in figura 9. (FIG.9) La messa sistema dei due elaborati mostra come nel progetto di città sia necessaria una vision di ampio respiro che tenga insieme l’intero progetto ma che questa si realizza mediante interventi che possono apparire di minore importanza. In sostanza, in questo caso, “piccolo è bello” in quanto concorre a creare paesaggi nuovi all’interno di progetti di riconfigurazione d’interi brani di città; senza l’attenzione per questi interventi, infatti, nessuna vision della città futura potrà divenire realtà. Riferimenti bibliografici De Franciscis G., I vuoti lasciati dalla civiltà industriale, in Rigenerazione urbana, il recupero delle aree dismesse in Europa, Eidos, Napoli 1997 Olmo C., La città e le sue storie, in Mazzeri C. (a cura di) La città europea del XXI secolo, lezioni di storia urbana, Skira, 2000. indirizzi del quadrante urbano di Modena ovest, settore pianificazione del comune di Modena, febbraio 2010. Figura 4: Schema tratto dal Documento degli indirizzi per il quadrante urbano di Modena ovest, redatto dal settore Pianificazione del Comune di Modena, febbraio 2010. Ringraziamenti Si ringrazia il professor Carlo Peraboni per la guida e il supporto sia nella fase di ricerca sia nella redazione del progetto per la città di Modena. _________________________________________ 1 Il termine Compact city descrive quelle città caratterizzate da un tessuto compatto. La sola densità edilizia, tuttavia, non costituisce di per sé una qualità della città in quanto “la densità può produrre efficienza e piacere, oppure generare un incubo” (M. Sorkin, 2004). In quest’ottica si può facilmente comprendere come il concetto di Compact City da solo non possa garantire la qualità di una città e si debba necessariamente legare a quello di Complete Community (G. Tachieva, 2010) caratterizzata da stretti rapporti di vicinato, mix funzionale e differenti alternative alla mobilità veicolare grazie a un trasporto pubblico efficiente, alla vicinanza degli elementi di interesse e alla fitta rete di piste ciclo-pedonali che la attraversa. Piroddi E., Le regole della ricomposizione urbana, Franco Angeli Editore, Milano, 2000 Secchi B., Pensare la città, puntata de “Il Grillo”, RAI Educational, mandata in onda il 2 gennaio 2002 Secchi B., Progetto, vision, scenario, Planum Magazine, n°7, 2003 Sorkin M., Pensieri sulla densità, Lotus, 2004, n°117 Marinoni G., Metamorfosi del progetto urbano, F. Angeli, Milano, 2005 Tachieva G., Urban Sprawl Repair, Island Press, Washington, 2010 Rifkin J., La terza rivoluzione industriale: come il “potere laterale” sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo, Mondadori, Milano, 2011 Martinez-Fernandez C., Audirac I., Fol S., Cunningham-Sabot E., Shrinking Cities: Urban Challenges of Globalization, in International Journal of Urban and Regional Research, Volume 36.2, March 2012 Battistini S., Sprawltown: per una governance della città diffusa – Intervista a Richard Ingersoll, in Globus et locus (www.globusetlocus.org/Press/Interviste_Glocal/Richard_ Ingersoll) Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimenti iconografici Riferimento per la citazione con numero di pagine Roberta Palumbo, PROGETTO DI PARTI MANCANTI: il ruolo dei “piccoli” interventi nella ricomposizione urbana. Il caso di Modena, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index. html, pagg. 101 - 111 Figure 1, 3, 5, 6, 7, 8, 9: redatte dall’autore Contatti: [email protected] Figura 2: Foto del Villaggio estrapolata dal Documento degli Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO Piccolo è bello. Il riscatto dell’unicità di ogni paesaggio Maria Cristina Treu* * Politecnico di Milano, Professoressa Ordinaria, [email protected] “Campo di lotta tra Bene e Male è dappertutto dove c’è un uomo capace di pensare: in Italia il loro contendere ha sempre coinvolto la bellezza, l’ha avuta come suprema moderatrice, oggi per vittima.” dalla presentazione di Giorgio Montefoschi della ristampa di “Un viaggio in Italia” di Guido Ceronetti1 Il progetto Ambiente e il progetto paesaggio Negli anni Ottanta, con la legge Galasso, la pianificazione si è trovata a doversi confrontare con la tematica del paesaggio estesa all’intero territorio urbanizzato e a doversi misurare con gli strumenti di una cultura della tutela, consolidatesi con le esperienze di conservazione di specifici beni patrimoniali e naturalistici. Contestualmente, la presa di coscienza delle problematiche ambientali mette la progettazione delle grandi opere e la stessa pianificazione di fronte all’urgenza dell’applicazione dello strumento della VIA, seguito poi dalla VAS, caricato di attese salvifiche e sostitutivo, secondo più di una posizione interpretativa, degli stessi strumenti di piano. Un bilancio, seppure sintetico, delle esperienze di quegli anni anche alla luce della più recente stagione della legislazione urbanistica regionale, maturata dopo la riforma del Titolo V2, evidenzia che la disciplina urbanistica si trova a dover affrontare fenomeni, vecchi e nuovi, come il consumo di suolo e la sovra produzione edilizia, unitamente agli aspetti ambientali e paesaggistici con strumenti le cui difficoltà, accentuate dalla crisi e dalla più generale caduta di autorevolezza delle politiche urbane, cercano un riscatto con i grandi progetti di riqualificazione urbana. Nella valutazione ambientale prevalgono gli aspetti analitici delle risorse e il rispetto degli standard e delle soglie normative, spesso in assenza di alternative reali e in presenza di una sottovalutazione del coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, sopratutto dei committenti investitori, la cui assenza comporta l’autoreferenzialità anche della più raffinata delle valutazioni. Il paesaggio viene fa tto rientrare nella voce cultura con analisi orientate alla tutela delle permanenze storiche e al suggerimento delle mitigazioni, compatibilmente con le indicazioni delle linee guida della strumentazione urbanistica a valenza paesaggistica e il rispetto di particolari capisaldi e visuali, mentre rimangono invariate le difficoltà di separare il peso delle motivazioni economiche da quello della qualità e della funzionalità dei grandi progetti urbani e infrastrutturali che richiedono rilevanti investimenti pubblici e privati. D’altra parte, il territorio e il paesaggio della città diffusa sono sopraffatti da una moltitudine di interventi, di grande e piccola dimensione, molti che aspirano a distinguersi dal contesto con modelli edilizi di una presunta modernità, altri con un linguaggio connotato da innovazioni materiche e formali, i più senza tener conto dei paesaggi del contesto. È la produzione edilizia che incontriamo nelle frange urbane e nella campagna urbanizzata e che si estende lungo ogni tipo di viabilità con modelli indifferenti ai luoghi e alla gerarchia dei percorsi che Jane Jacobs, ben a ragione, definiva il sistema della rete viva dei nostri grandi e piccoli centri abitati3. L’approccio ambientale richiede di fare riferimento a un sistema di risorse da misurare e da monitorare nei tempi lunghi di ogni riqualificazione urbana e territoriale, l’approccio del progetto di paesaggio richiede la capacità di fare sintesi tra storia, ambiente e modernità con un linguaggio che si distingua per Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 113 Figura 1. Le unità geografiche provinciali. Fonte PTCP Mantova 2000-2008, Il sistema dei comuni raggruppati per insiemi denominati Circondari e caratterizzati da una comunanza di tradizioni amministrative e storico-culturali (resp.scientifico prof.MCTreu) Figura 2. 2. Le unità tipologiche di paesaggio. Fonte PTCP Mantova 2000-2008, Gli ambiti territoriali, denominati Unità di paesaggio, identificati sulla base della di fattori fisici e geomorfologici, del sottosuolo e del suolo e dei caratteri percettivi e storico-culturali (resp.scientifico prof.MCTreu). l’attenzione all’ambiente e per la qualità di ogni scelta costruttiva, anche di dettaglio. I due approcci rinviano a processi progettuali strettamente correlati: il primo perché si fonda sui vincoli strutturali delle leggi fisiche che regolano le relazioni tra le risorse, il secondo in quanto espressione di una cultura dei luoghi e della geometria dello spazio che ci può sorprendere con soluzioni inedite. Il paesaggio è anche una manifestazione corale che appartiene alla cultura del fare di ogni comunità: in questo senso è urgente ricostruire la conoscenza del valore del paesaggio per orientare, semplificandoli, gli stessi strumenti della progettazione urbana passando dall’astrazione delle linee guida all’operatività delle esperienze di intervento su tutti i temi di progetto, anche se apparentemente piccoli e banali, come un marciapiede o le sedute e il verde di un piccolo spazio intercluso4. Il coinvolgimento della comunità è la condizione perché la cittadinanza si attivi e sappia come esprimersi anche sulla qualità dei grandi programmi di riqualificazione urbana e territoriale . sono quelli della perequazione urbanistica e della incentivazione, strumenti di negoziazione prevalentemente volumetrica ed economica, integrati dalla compensazione con cessioni di aree, di opere e di interventi di mitigazione. Negli esiti tende a prevalere una programmazione strategica in cui l’idea di urbanità appare più interessata dalla ricerca di investimenti con attese di rendite finanziarie crescenti che alla riqualificazione e allo sviluppo economico e sociale delle città. D’altra parte, l’urbanistica oscilla tra più scuole, da quelle ancorate al sapere tecnico e altre orientate da argomentazioni estetico/formali e sociali, a quelle che tra molte difficoltà cercano di integrare più contributi disciplinari come, per esempio, quelli della geomorfologia, per orientare le scelte insediative e le tecniche costruttive e altre ancora che promuovono l’attenzione e le azioni sulla riqualificazione del patrimonio esistente, sottoutilizzato e abbandonato, coinvolgendo la cittadinanza attiva. In altri termini, l’urbanistica si deve confrontare con una moltiplicazione degli strumenti di piano tra neologismi esperti e esperienze di comunità alla ricerca di una linea di continuità tra le azioni che interessano le relazioni di area vasta e quelle locali attraverso la ricerca della più appropriata dimensione della scala intermedia6. In questo contesto, le esperienze di comunità ci impongono la rivalutazione dei fattori che hanno influito sulla formazione dei centri abitati, come il primato dell’acqua e la disponibilità di suolo coltivabile: un ritorno alla terra per salvaguardare la biodiversità in continuità con gli spazi liberi interclusi nei territori antropizzati della espansione metropolitana. Sono i progetti di associazioni locali e di piccoli gruppi di singoli che ci permettono di riscoprire le tracce della I progetti urbani tra neologismi esperti e esperienze di comunità I progetti che intersecano la città in estensione5 e che alimentano la concorrenza tra le grandi capitali del mondo ripercorrono, da un lato, quelli della grande dimensione dell’architettura e della commercializzazione dei centri storici e di ogni nuova centralità urbana e, dall’altro lato, le problematiche ambientali, come la tutela del suolo agricolo e del paesaggio e la domanda di spazi di uso pubblico. Gli strumenti adottati dalla progettazione urbana, quando si passa dalle linee di indirizzo del Piano Strategico al dimensionamento degli interventi Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 114 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 3. Il sistema delle polarità urbane. Fonte PTCP di Mantova 2000-2008, la mappa delle polarità urbane ordinate rispetto alla struttura demografica e al grado di accessibilità delle infrastrutture su gomma e su ferro (resp.scientifico MCTreu) nostra storia, i tratti dimenticati e cementificati dei corsi d’acqua e dei sentieri che un tempo ci portavano dalla campagna alla città, la multifunzionalità del suolo e dei servizi dell’ambiente che resistono all’invadenza dell’urbanizzazione; sono le iniziative che ci fanno apprezzare i tanti fattori sottovalutati e che il lavoro di più generazioni ha contribuito a realizzare la varietà degli ambienti di cui è ricca l’Italia secondo regole consolidate e univocamente riconosciute e trasmesse. La bellezza dei nostri paesaggi sono invenzioni della natura, non fenomeni pittoreschi, come spesso vengono descritti i centri abitati delle nostre regioni del sud7. Sono la sapienza e la tecnica che hanno costruito anche i nostri paesaggi più famosi, come quelli toscani e veneti. Le regole dei Georgofili indicavano come il terreno più adatto per la costruzione delle ville fosse quello delle sommità dei rilevati collinari in quanto meno fertile di quello situato più a valle. Nei suoi quattro libri il Palladio si dilunga su come scegliere la posizione delle ville e su come orientare verso sud l’esposizione dell’ingresso principale. Sullo sfondo, il ripensamento del ruolo della disciplina urbanistica riconoscendo le esperienze che già indicano alcuni nuovi percorsi di piano e di progettazione sostenuti dalle comunità locali, come: le proposte che permettano uno sviluppo ordinato/armonico tra le tante soluzioni possibili, rispettando i vincoli strutturali dei rischi naturali e antropici e evitando le scelte irreversibili che compromettono le risorse per le generazioni future; la ricerca di coniugare gli strumenti di piano formali, costretti entri i confini amministrativi, con la conoscenza delle unità di paesaggio8 e la pratica di progetti coordinati tra enti locali che siano di guida Figura 4. Milano, Progetto Cives 20011-2012. Il Parco delle Risaie nell’area della città densa compresa tra il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese per la negoziazione tra pubblico e privato; le tante esperienze di cittadinanza attiva con i progetti, avviati e gestiti che indicano più alternative d’uso, anche temporaneo, di aree e immobili abbandonati o sottoutilizzati e che esprimono le forme possibili del paesaggio di un’altra città rispetto a quello della città dei grandi progetti urbani. L’unicità del paesaggio tra tutela e valorizzazione e la tragedia delle competenze concorrenti L’ambiente richiede che nell’approccio alle scelte di intervento si adotti un rovesciamento del punto di vista urbano centrico, che vuol dire riconoscere nei valori di unicità dei nostri luoghi l’incidenza dei fattori ambientali, fisici, sociali, economici e culturali, che hanno permesso la formazione della bellezza dei paesaggi che abbiamo ereditato e che per quanto attiene alle cure richieste non può fare distinzione tra grandi e piccoli interventi. L’accordo tra le discipline che intersecano le scelte di progetto del territorio9 deve, inoltre, transitare dalla comunità degli esperti Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 115 Figura 5. Milano, immagini prese dal Parco delle Risaie verso La città densa in momenti diversi dell’anno Figura 6. Fonte. AA:VV. La città e l’altra città. ed..Palazzo Bonaretti, 2013, Novellara (R.E.).La riqualificazione da parte di volontari e di cittadini di un parco urbano alla periferia di Roma Figura 7. Fonte, AA.VV., La città e l’altra città, op. cit. , Edificio dismesso da riqualificare Figura 8.Fonte, AA.VV., La città e l’altra città, op. cit., Installazione temporanea di un Box di servizi in un’area urbana alle comunità locali mettendo a confronto, in un unico bilancio, le attese di convenienza economica e di equità sociale tra i cittadini con le caratteristiche del suolo, delle acque e delle aree verdi da tutelare e da non consumare. Si tratta di una molteplicità di competenze, non solo tecniche, e di interessi che per valutare e migliorare le scelte devono trovare una convergenza operativa, responsabilizzando le azioni delle amministrazioni e della stessa cittadinanza attiva. Le immagini dei casi riportate, anche con riferimento a passaggi dei paragrafi precedenti, ci riportano esperienze di costruzione di quadri conoscitivi di riferimento e esperienze di iniziative di cittadinanza attiva che anticipano, come già accennato, le forme di paesaggio dell’altra città10. Da un lato, ci sono le mappe tematiche del sistema di conoscenza del suolo e delle acque per sostenere la valutazione delle idoneità insediative il cui esito sono le unità di paesaggio che attraversano i confini dei perimetri amministrativi degli enti locali; da accostare alla rappresentazione delle polarità urbane e delle reti infrastrutturali su cui generalmente vengono valutate le attese di crescita11. Dall’altro lato, ci sono le immagini delle iniziative di cittadinanza attiva che rappresentano altrettante esperienze di cura del luogo dove una comunità vive e si riconosce rafforzando con una sequenza anche di piccoli interventi le relazioni di vicinato, la sicurezza e la qualità dell’abitato12. Sullo sfondo c’è anche il travisamento del significato originario dell’Articolo 9 della Costituzione13. L’articolo, sostenuto fermamente da alcuni padri costituenti e dalla mobilitazione di molte personalità della cultura, fu inserito tra i principi fondamentali che dovevano dare un volto alla repubblica14. Le questioni centrali del confronto di allora furono: il riconoscimento di un patrimonio di bellezze materiali e immateriali che fa dell’Italia un paese unico al mondo; la necessità di centralizzare la salvaguardia di tali bellezze per preservare e rafforzare l’unicità dell’identità paese; l’attribuzione al termine di tutela del significato di prevenzione e di cura costante dei beni storici e culturali, non assimilabile a quello della sola conservazione. Questo è anche il significato profondo ripreso dal testo della Commissione Europea sul Paesaggio laddove sottolinea che la cura dei beni materiali e immateriali deve essere radicata nella comunità locale limitando gli interventi Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 116 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 9. Immagine di una porzione di campagna coltivata a confronto con una immagine di campagna destrutturata dall’attraversamento di una grande arteria. Foto di nostra elaborazione Figura 10. Immagine di percorsi dalle aree rurali verso la città sede di presenze biotiche da valorizzare, foto di nostra elaborazione di emergenza e evitando ogni valorizzazione che tenda a riproporre stereotipi progettuali più attenti alla resa economica che alla conoscenza della storia e dell’identità di ogni territorio: l’economicità della gestione dei beni culturali non è infatti l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione. Inoltre, come recita l’articolo 6 della stesura definitiva del Codice dei beni culturali: “La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio [...] al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”. Purtroppo con la scoperta dei giacimenti culturali, “il petrolio d’Italia”,come i nostri beni furono definiti negli anni Novanta, si fece strada la rivendicazione di valorizzare il nostro patrimonio, condannando l’immobilismo della tutela e sostenendo l’opportunità di riqualificarli con la loro messa sul mercato. Questa posizione, che tace sulla cronica scarsità di risorse destinate al giovane Ministero dei beni culturali, viene ratificata con la modifica del Titolo V della Costituzione che tra le competenze concorrenti assegna la tutela allo Stato e la valorizzazione alle Regioni, poi estesa anche ai singoli Comuni con una delle modifiche del Codice dei beni Culturali del 2008. L’articolazione della attribuzione di competenze apre la strada a più interpretazioni di uno stesso bene paesaggistico e, più di recente, con la cessione a privati di pezzi unici del nostro patrimonio a ripetute offerte di pregiate residenze di ospitalità temporanea in nome della scoperta di un rinnovato ruolo economico del turismo15. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 117 Figura 11. Immagini di tessuti peri urbani conservati e alterati dalla dispersione insediativa. Fonte PGT di Suzzara 2012 (resp. scientifico prof.MCTreu) capitolo, L’importanza dei marciapiedi. _________________________________________ 1 Il testo, ristampato nel 2014 dalla casa editrice Einaudi, è il resoconto scritto tra il 1981 e il 1983 di un viaggio attraverso grandi città e piccole località di provincia, ricco di osservazioni storiche e sociali sulle visite di piazze, di monumenti, di musei, ma anche di carceri, di cimiteri, di distretti di polizia,di manicomi. Inoltre. ci sono le molte annotazioni sui manifesti affissi sui muri, sulle insegne dei negozi, e sui tanti innesti di edilizia contemporanea e che sono altrettante denuncie sulle volgarità che, equamente ripartita in tutte le nostre regioni, feriscono il nostro paesaggio come se la bellezza dai luoghi fosse sparita e le persone fossero abbrutite e istupidite da una ricorsa della modernità. 2 cfr., la legge costituzionale n.3 del 2001 3 cfr., Jane Iacobs, Vita e morte delle grandi città,Saggio sulle metropoli americane,Piccola biblioteca Einaudi, 2009, cfr., il 4 cfr., Lewis Mumford, Storia dell’utopia , universale Donzelli, 1997. L’autore, nel capitolo XII, “ I mondi incompleti scompaiono e può sostituirli l’utopia; quello che dobbiamo fare prima di potere costruire Gerusalemme in una terra verde e ridente”, parla dell’obbligo degli scienziati di non fermarsi alla stesura di un rapporto scientifico così come invita gli artisti di occuparsi di tutti i temi anche di quelli che non sono di moda. Un piccolo progetto può avviare un ” eutopiano” come un tempo il primo insediamento industriale ha aperto la strada alla diffusione della” coke town”. 5 cfr., M.C.Treu, Margini e bordi nella città in estensione in M.C.Treu e D.Palazzo(a cura di) Margini. Descrizioni, strategie, progetti, Alinea editore 2006, pagg.11-61 e le immagini 5, 6, 10, 11,12,13 6 A proposito della scala intermedia: per capire il luogo su cui si deve intervenire è necessario allargare il campo di studio così come se si deve intervenire su un oggetto, per quanto piccolo, si deve approfondirne le caratteristiche interne, cfr., M.C.Treu, Riferimenti e ipotesi per una procedura di pianificazione Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 118 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 12. Progetto di ricucitura del tessuto perturbano Fonte Esercitazione del Laboratorio di Urbanistica, aa mctreudi23Suzzara. maggio 2011 64 2008/2009 studenti Valeria Fervorari, Andrea Guatta Caldini e Alice Negretti, prof. MC Treu ambientale, in AA.VV., Territorio sistema complesso, Franco Angeli , 1993, pagg. 211-235 Sulla bellezza dei nostri paesaggi, cfr., Astolphe De Custine che descrivendo i terrazzamenti della Costa Viola, smentisce il carattere pittoresco e dice”le forme e la luce di questi siti sfarzosi sono quasi troppo belli per essere veri e tuttavia non sono quadri, ma sono campagne reali, invenzioni della natura”in, S.Di Fazio e G.Modica, Le pietre sono parole, Liriti editore, Reggio Calabria, 2008 7 e il patrimonio storico e artistico della Nazione” cfr.,Tomaso Montanari, L’articolo 9: una rivoluzione (promessa) per la storia dell’arte in, Leone, Maddalena,Montanari,Settis, Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente, Einaudi, 2013, pagg.9-55 14 15 cfr., M.C.Treu, Opportunità e vincoli per le aree demaniali, in WWF, Riutilizziamo l’Italia , Rapporto on line 2014 8 Per un confronto tra gli ambiti geografici provinciali e le unità tipologiche di paesaggio si vedano le immagini 1 e2 9 cfr., M.C.Treu, Le discipline che attraversano il territorio (Ita.),Trans–territorial disciplines (Ingl.) in, Ritorno alla terra, n°2, 2014, Rivista delle Scienze del Territorio, SdT, on line, Firenze university Press Si veda il testo di AAVV, La città e l’altra città. Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile, Palazzo Bonaretti editore, ottobre 2013 e le immagini 7, 8,9, 10 Si vedano le immagini 3 e 4, il processo di costruzione delle mappe tematiche e le polarità urbane 11 crf., Daniela Monaco Avantgarden, Il paesaggio dei Community gardens, Palazzo Bonaretti editore, ottobre 2013 e le immagini 14,15 e 16 12 cfr., Il testo dell’art.9 “La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio 13 Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 119 Figura 13. Fonte D. Monaco Avantgarden., op.cit., La Plaza Cultural, East 9th Street and Avenue C Figura 14. Fonte D. Monaco Avantgarden.Il paesaggio dei community gardens, ed.Palazzo Bonaretti,Novellara.(R.E.). Liz Christy Bowery-Houston Garden, 110 East Houston Street At Bowery Figura 15. Fonte D. Monaco Avantgarden. All People’s Garden, 293 - 295 East 3rd Street Figura 16. Fonte D. Monaco Avantgarden., op.cit., Liz Christy Bowery-Houston Garden, 110 East Houston Street At Bowery Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Maria Cristina Treu, Piccolo è bello. Il riscatto dell’unicità di ogni paesaggio, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index. html, pagg. 112 - 119 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ DIARI DI VIAGGIO Lo spazio pubblico di Saragozza tra piccoli spazi e piccole pratiche | Small spaces and small practices in Zaragoza’s public space Daniela Corsini* abstract abstract La struttura capillare e complessa formata da piccoli spazi e piccole pratiche contribuisce alla vita sociale della città di Saragozza molto più che i grandi interventi realizzati in occasione dell’Expo 2008. Nell’articolo sono presentati e analizzati il progetto del Jardin en Altura (2008), un piccolo spazio dilatato dal progetto, e il programma Estonoesunsolar (20082009), che nella sua prima fase ha agito su spazi interstiziali della città con interventi light e piccoli budget. In Zaragoza there is a capillary and complex structure of small spaces and small practice. This structure contributes to the social life of the city much more than the great interventions made on the occasion of Expo 2008. This paper presents and analyzes the project of the Jardin en Altura (2008), a small space expanded by the project, and the programme Estonoesunsolar (2008-2009), that in its first phase acted on the interstitial spaces of the city with light action and small budgets. parole chiave key-words piccoli spazi, piccole pratiche, budget limitati small spaces, small practices, limited budget * Architetto, Dottoranda in Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 121 | Diari di viaggio Figura 1. La stazione intermodale di Zaragoza-Delicias, una delle grandi opere infrastrutturali incluse nel Plan de Acompañamento de la Expo 2008. Figura 2. Interno del Pabellón Puente, una delle principali opere all’interno del Recinto Expo 2008. Disegnato dall’architetto Zaha Hadid, attualmente è poco utilizzato sia come ponte che come padiglione. Introduzione Asociaciones de Cabezas de Familia (associazioni dei capi famiglia), come risposta alla mancanza di servizi nei quartieri operai e come reazione a una situazione politica che si traduceva con l’assenza dei diritti fondamentali. Queste associazioni costituirono il germe delle Associazioni dei Vicini, che si estesero negli anni a tutti i quartieri di Saragozza e che nel 1978 si consorziarono formando la Federaciòn de Asociaciones de Barrios de Zaragoza «Saracosta» (FABZ). Principale obiettivo dei movimenti delle associazioni di vicinato è stato da sempre migliorare le condizioni di vita degli abitanti, ma la lotta per i diritti nel tempo si è evoluta e adattata ai cambiamenti economici, sociali e politici. Alle sue origini, il movimento vicinale esigeva il riconoscimento dei diritti politici e civili più basilari, poi ha richiesto un miglioramento delle condizioni abitative, ha reclamato servizi ed attrezzature pubbliche di qualità per i barrios (scuole, centri di salute, attrezzature sportive, culturali, assistenziali, ecc.), rivendicato migliorie dello spazio pubblico (strade, piazze, parchi) e una mobilità equilibrata e sostenibile. In particolar modo dagli anni Ottanta, il movimento vicinale ha avuto un ruolo attivo nella definizione della città e ha proposto alternative costruttive che hanno avuto un impatto sull’attuale configurazione della città. L’urbanistica è stata una preoccupazione del movimento vicinale sin dalle sue origini. Inizialmente i vicini rivendicarono strade asfaltate, copertura dei fossati e illuminazione pubblica. In La città di Saragozza, Spagna, è diventata nota al grande pubblico in occasione dell’Esposizione internazionale del 2008 soprattutto per le sue grandi opere: il recinto Expo, il Parque del Agua, la stazione intermodale firmata dall’architetto Ferrater (figure 1-4). Ho scelto questa città come caso studio per la tesi di dottorato sugli spazi pubblici per la diversità e la ricchezza di situazioni individuabili, e vi ho trascorso alcuni mesi. Quello che mi ha maggiormente colpito non sono i grandi interventi, ma la struttura capillare di piccoli spazi e piccole pratiche che, con la loro complessità ed eterogeneità, vanno a comporre la vita pubblica della città. L’articolo tratta del modo in cui le associazioni cittadine abbiano contribuito enormemente alla qualità e alla vitalità dello spazio pubblico e descrive come abbiano influito, con modalità ed esiti differenti, nel progetto del Jardin en Altura di Calle Delicias e nel programma Estonoesunsolar. Come il caso di Saragozza interpreta il concetto di “piccolo è bello” in architettura del paesaggio, offrendo spunti per la progettazione, la pianificazione e la gestione dei luoghi? La nascita dei movimenti cittadini Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta a Saragozza vanno comparendo le Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 122 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 3. Dopo la Expo 2008, lo spazio aperto tra i padiglioni è diventato un grande spazio pubblico. In Plaza Lucas Miret Rodriguez, nella foto, si svolgono numerose attività fisiche e sportive ed è luogo di ritrovo dove andare con lo skate e sui rollerblade. Figura 4. Le plazas tematicas della Expo dopo l’evento sono state trasformate in un grande spazio pubblico con affaccio sul fiume Ebro. Alcune più verdi, altre attrezzate con giochi per bambini o attrezzi sportivi per adulti, sono un luogo amato soprattutto dagli abitanti del Distrito de Actur. particolar modo il movimento vicinale ha impedito o ridotto la costruzione di residenze nei lotti liberi ritenuti rilevanti per la localizzazione di servizi ed attrezzature necessarie (scuole e asili, centri culturali e civici, parchi e zone verdi e ricreative, residenze per anziani e centri diurni, centri di salute, ecc.). Sin dalle origini, il movimento vicinale appoggiò attivamente l’integrazione sociale delle donne (Comisiones de Mujer nei barrios, Edicaciòn de Adultos, ecc.), successivamente dei giovani (Talleres Ocupacionales y empresas de inserciòn, programmi di prevenzione della tossicodipendenza, Casas de Juventud, Centros de Tiempo Libre, ecc.) e in tempi più recenti della popolazione immigrata. Le associazioni di vicinato e la FABZ hanno da sempre cercato di coinvolgere attivamente tutti i cittadini in processi partecipativi. Uno strumento di comunicazione importante a tal scopo è la rivista “La Calle de todos” che, come organo di espressione ufficiale della FABZ, informa delle sue attività, dei dibattiti e delle proposte che scaturiscono nelle associazioni vicinali. La FABZ è stata promotrice anche della stesura del Reglamento de Participiaciòn Ciudadana. Nei due progetti che verranno di seguito presentati, i temi sopra citati si declinano in azioni concrete. Il progetto del Jardin en Altura è stato promosso dall’Associazione di Vicinato Manuel Viola che, a seguito della demolizione di un edificio fatiscente, reclamò quello spazio per la costruzione di uno spazio pubblico, un luogo rappresentativo che potesse convertirsi in un punto di incontro per la comunità e in uno spazio per il tempo libero, di integrazione sociale e di relazione con la natura. Situato in un quartiere fortemente multietnico, negli spazi del Jardin si svolgono numerose iniziative a favore della integrazione della popolazione immigrata. Nel programma Estonoesunsolar, il coinvolgimento delle associazioni e degli abitanti che avrebbero vissuto quei luoghi è stata la chiave di volta per individuare le funzioni di cui si sentiva maggiormente la mancanza, e, una volta realizzate le attrezzature per svolgerle, la popolazione e le associazioni rivestono un ruolo importante nella gestione e nell’animazione dei solar. La dilatazione di un piccolo spazio: il caso del Jardin en Altura di Calle Delicias Las Delicias è il barrio più densamente popolato di Zaragoza e con la popolazione più eterogenea. Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’arrivo di emigranti dalle zone rurali di tutta la Spagna provocò una crescita rapida e disordinata del tessuto urbano, che da allora soffre un deficit manifesto di attrezzature, zone verdi e luoghi riconoscibili. Negli anni Ottanta vennero realizzate alcune opere di miglioria, come la pedonalizzazione del suo asse principale, la calle de Las Delicias, o la attuazione di alcune aree verdi e ricreative. Tuttavia, nel corso delle due decadi successive, il barrio ha ricevuto una nuova ondata di migrazioni provenienti da tutto il mondo e ha visto incrementare la sua densità, i suoi conflitti e Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 123 | Diari di viaggio Figura 5. Plaza Delicias e il Jardin en Altura, gli spazi pubblici più amati del Distrito di Delicias. Figura 1. Figura 2. Figura 6. Particolare di una rampa del Jardin en Altura. Figura 7. Plaza Delicias e il Jardin en Altura visti da Calle Delicias (incrocio Calle Caspe), una delle strade commerciali più importanti della città di Saragozza. il deterioramento di molti dei suoi edifici, alcuni dei quali presentavano un elevato rischio di crollo. Tra gli edifici a rischio di crollo vi era anche la costruzione posta alla confluenza tra calle Caspe e calle de Las Delicias, che alla fine del secolo venne demolita preventivamente. L’associazione dei vicini del barrio di Las Delicias promosse così un intervento per convertire il lotto dell’edificio abbattuto in uno spazio pubblico. Date le carenze del barrio, si trattava di approfittare della superficie del lotto, tangente alla principale strada del quartiere, per costituire un nuovo spazio pubblico rappresentativo per il quartiere. Lo spazio vuoto risultante lasciò scoperte le facciate cieche dei due edifici adiacenti e questo si aggiungeva alle sfide che il progetto avrebbe dovuto risolvere. L’Associazione dei Vicini espresse le proprie esigenze all’architetto Joaquin Sicilia. Obiettivi principali riguardavano la costituzione di una “piazza verde”, un luogo identitario dove svolgere attività ludiche e ricreative e ritrovarsi coi vicini. A questi punti l’architetto Sicilia aggiunse come obiettivi la massima semplicità dell’attuazione (dato il carattere innovativo del progetto si avvertiva la necessità di limitare il rischio di fallimento) e la necessità di una manutenzione minima nel tempo. Con un costo di costruzione di 1.319.000 euro, l’intervento ha dato luogo a una nuova piazza pubblica e a una struttura metallica che supera i quattordici metri di altezza che supporta un giardino pensile, il Jardin en Altura (figura 5). La struttura è addossata alle due facciate cieche che rovinavano il paesaggio urbano e in questo modo le nasconde completamente. Sotto al livello della piazza c’è un seminterrato nel quale sono collocati i nuovi uffici dell’associazione di vicinato Manuel Viola, responsabile della gestione del giardino e del suo uso come spazio educativo. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 124 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 8. Un pomeriggio di settembre in Plaza Delicias: bambini che giocano, persone sedute, sdraiate, che consumano un gelato, intente in una conversazione. Figura 9. Tre volontarie del comitato di limpieza. Ogni martedì mattina compiono una profonda pulizia del Jardin e della piazza, comprendente la rimozione della sporcizia, la cura delle essenze vegetali e la manutenzione ordinaria del luogo. A partire dalla quota zero, la struttura può essere attraversata mediante una serie di rampe (figura 6) che ruotano attorno a un patio triangolare e che sono completamente accessibili a persone con mobilità ridotta (l’accessibilità del giardino doveva completarsi con un ascensore da alloggiarsi nella torre verticale, ma che poi non è stato realizzato). La sequenza delle rampe forma un percorso in salita concepito come una passeggiata botanica che permette di contemplare più di ottanta specie vegetali differenti1 . I parapetti delle rampe contengono fioriere lineari provviste di un sistema di irrigazione a pioggia. Sopra alle fioriere ci sono maglie metalliche riciclate da altre costruzioni - demolite - che fanno le veci della gelosia e che facilitano la crescita delle piante rampicanti. Gli sbarchi che separano le differenti sezioni di rampa formano ampliamenti che costituiscono zone di riposo dotate di sedute. Come afferma il progettista Joaquin Sicilia, il giardino verticale è una metafora dell’albero sul quale i bambini si arrampicano per evadere dal mondo di routine degli adulti, e fornisce ai residenti di un quartiere carente di spazi aperti e riconoscibili un luogo ludico ed educativo nel quale si impartiscono lezioni di botanica e si possono allestire installazioni artistiche. Il progetto del Jardin ha dilatato lo spazio pubblico a disposizione lungo Calle Delicias, una delle strade più frequentate del barrio. L’Associazione di Vicinato Manuel Viola è molto attiva nell’organizzazione di attività che coinvolgono anche la piazza e il barrio. Il Jardin e la piazza sono un luogo importante per il quartiere e per l’intero distrito di Delicias, di incontro e di svago, frequentato sostanzialmente da tutti: bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani, di ogni sesso e provenienza (figura 8). In molti considerano la piazza e il Jardin, insieme alla sede dell’associazione Manuel Viola, spazi importanti per le politiche di integrazione tra le differenti etnie che vivono il distrito. La comunità è però divisa su questo intervento: le critiche maggiori riguardano la mancanza di privacy delle abitazioni adiacenti, altri si lamentano per il rumore e per la sporcizia generati dall’uso intensivo del luogo (e da un comportamento non sempre civile di chi lo frequenta). Il servizio Parchi e Giardini attua una manutenzione ordinaria del sito, ma questo non è uno spazio ordinario e necessita di attenzioni specifiche1. Un gruppo di volontari, il “comitato di limpieza”, ogni martedì mattina si occupa della cura del luogo, con una pulizia profonda del Jardin e la manutenzione del verde (figura 9), ma non hanno un budget a disposizione e i volontari sono pochi (circa sette). Sempre ad opera di un gruppo di cittadini volontari, nell’aprile 2012 venne fatta una manutenzione straordinaria per rimuovere un murales dalla facciata, opera di un atto vandalico. I venti volontari approfittarono delle due giornate di manutenzione straordinaria per fare una pulizia completa del Jardin con acqua a pressione, per ripiantare le specie vegetali morte e per prendersi cura di quelle rimaste. Anche grazie a questa manutenzione aggiuntiva Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 125 | Diari di viaggio Figura 10a. Un esempio di solar, in questo caso il lotto di Estonoesunsolar 2 prima dell’intervento. Figura 10b. Estonoesunsolar 2 in calle Las Armas 92, uno spazio produttivo dove promuovere la coesistenza di gruppi diversi. Il tema dell’orticoltura è stato inserito nel piano didattico di una scuola pubblica, nella più importante associazione di infanzia del quartiere, e in altri importanti collettivi. L’orto è stato suddiviso in sei parcelle, ognuna offerta per la gestione ad un centro o associazione distinta del Rione di San Pablo. da parte di gruppi di cittadini volontari, il progetto risponde molto bene al trascorrere del tempo. quelle del programma Estonoesunsolar, ma i concetti erano gli stessi. I lotti erano stati scelti con cura e strategicamente, in modo da rendere appetibili certi percorsi che avrebbero permesso di promuovere flussi insoliti; scopo ultimo era che queste infiltrazioni temporanee nel tessuto urbano avessero la capacità di rivitalizzare zone altamente degradate. Fu un primo momento in cui sperimentare la reazione dei cittadini davanti a una serie di spazi inattesi. Da queste proposte si trassero una serie di considerazioni che permisero di affrontare il programma Estonoesunsolar con strategie concrete per facilitare l’appropriazione degli spazi pubblici da parte dei cittadini. Gli interventi artistici di “Vacios Cotidianos” erano provocatori e non erano stati concordati con i collettivi cittadini; questo portò a un effetto successivamente denominato “un extraño en mi vida” (“un estraneo nella mia vita”). Questa fu una grande lezione: non bastava l’idea dell’architetto per dar risposta alle necessità di un quartiere, qualunque proposta doveva nascere da un processo di partecipazione cittadina4. In seguito all’iniziativa “Vacios Cotidianos” e alle sue proposte, le associazioni di vicinato presentarono delle petizioni al Comune affinché si continuassero ad utilizzare i solares come spazi pubblici di uso transitorio. La Giunta Municipale del Casco Histórico decise di appoggiare i progetti di futuri interventi nei lotti; l’incarico della gestione dell’iniziativa venne conferito alla Società Municipale Zaragoza Vivienda Rivitalizzare la città con piccoli spazi e piccoli budget: il caso di Estonoesunsolar Estonoesunsolar è un programma sperimentale a livello nazionale in cui, per la prima volta, un Piano di Occupazione si lega ad un Progetto di Riqualificazione Urbana. Il programma Estonoesunsolar ha origine nel 2009 con l’obiettivo iniziale di elaborare un Piano di occupazione (Plan de Empleo) per cinquanta lavoratori disoccupati da lungo tempo. Il programma prevedeva la pulizia e la chiusura dei solares3 (figura 10a) presenti nel Casco Historico (centro storico) della città di Saragozza. In breve si mostrò la possibilità di aggiungere agli obiettivi del programma l’occupazione transitoria di questi lotti non edificati, offrendo una serie di riusi a carattere temporaneo con lo scopo di rendere questi spazi utilizzabili. Per la prima volta si propone la riqualificazione di quanti più vuoti urbani possibili, sulla base di accordi con i proprietari dei lotti stessi che, a breve termine, non siano interessati ad una loro edificazione e conseguente risanamento. Queste proposte hanno origine nel programma “Vacios Cotidianos” (vuoti quotidiani) realizzato nell’ambito del festival di arte urbana “En la Frontera 2006” a Saragozza. In quella occasione si cominciarono a esplorare le opportunità date dall’occupazione temporanea di lotti urbani, in un contesto artistico. Le caratteristiche di realizzazione differivano da Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 126 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 11. Estonoesunsolar 5 “San Agustin”: in collaborazione con la Associazione Ludica Infantile Gusantina si è deciso di realizzare un playground dove i giochi sono disegnati direttamente sulla pavimentazione: in particolare sono molto amati il grande gioco dell’oca e la pista per i tricicli. L’area è delimitata da una serie di sedute a forma di mattoncino per le costruzioni, a richiamare il carattere ludico del lotto. Figura 12. Estonoesusolar 5 durante un festival di danza. L’assenza di oggetti tridimensionali all’interno della piazza permette una grande flessibilità nel suo utilizzo: i bambini possono giocare a palla, si possono praticare attività di gruppo, e può anche ospitare eventi e manifestazioni come mercatini e spettacoli di danza. e permise di dare inizio a questo progetto con il nome di Estonoesunsolar. La scelta dei lotti su cui sarebbe intervenuto Estonoesunsolar fu il frutto di un’attenta analisi dei luoghi degradati della città che, per la loro posizione, si sarebbero potuti trasformare in nuove potenzialità riconsegnando luoghi di vita comune alla popolazione. Già in occasione di “Vacíos Cotidianos” erano stati presentati una serie di studi incentrati sul centro storico di Saragozza nei quali si trasmettevano alle istituzioni pubbliche le grandi possibilità offerte dalle irregolarità della trama urbana, dai luoghi degradati o marginali, che potevano offrire una nuova visione della città e recuperare l’energia latente nei numerosi spazi dimenticati. Per questo motivo si realizzò un Piano Integrato del Centro Storico (PICH) nel quale si riflettevano i possibili punti strategici di intervento che potevano diventare una fonte di nuova vitalità. Ai lotti “strategici” si aggiunsero poi le aree indicate dalle associazioni e dagli enti attivi nei quartieri in questione. I primi esperimenti si fecero nei quartieri periferici del centro storico, il barrio di San Pablo e il barrio de la Magdalena, altamente degradati, socialmente destrutturati e con un’alta domanda di attrezzature e spazi pubblici. Si trattava di quartieri che avevano a disposizione associazioni vicinali e gruppi di cittadini molto attivi e fortemente coinvolti nelle azioni proposte. Una volta scelto il lotto, è stato definito un meccanismo che permette di realizzare semplici servizi di quartiere in breve tempo: • in caso di lotti di proprietà privata, si stabilisce un accordo con il proprietario che cede gratuitamente il suo lotto per un tempo determinato, la cui data di fine resta legata alla decisione del proprietario del lotto stesso, ed é pertanto soggetta a variazioni; • si avvia un nuovo processo di analisi, urbana e socio-economica, che studia i servizi esistenti e quelli maggiormente utilizzati, gli spazi verdi, la popolazione che li vive e vi abita, così come le carenze di ogni zona e gli spazi reclamati; • si contattano le associazioni di quartiere, le scuole, i centri anziani, si ascoltano le loro proposte e i suggerimenti, fino ad arrivare alla definizione di un progetto concreto che si realizza in tempi brevi, con un budget ridotto e con il frequente ricorso a materiale riciclato. • in seguito alla realizzazione, si stabiliscono gli organismi responsabili della gestione e del mantenimento degli spazi di nuova formazione. In questo meccanismo gli attori coinvolti sono numerosi: uno degli aspetti più appassionanti di tutto il programma risiede nella volontà di mettere d’accordo sensibilità diverse e apparentemente contrapposte. I lotti sono di proprietà sia pubblica che privata, tutti gli usi proposti sono pubblici. Questo è un aspetto di grande importanza, perché ha implicato un mix di sensibilità diverse che alla fine sono state convogliate in un’unica direzione; in ogni spazio confluiscono attori differenti e relazioni complesse, per ogni lotto sono stati portati avanti Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 127 | Diari di viaggio Figura 13. Estonoesunsolar 11 “Calle Coso 182”: il teatro della fortuna, esito del concorso di progettazione urbana per bambini. Elemento protagonista dello spazio è un palcoscenico a forma di quadrifoglio, circondato da alberi illuminanti e sedute a forma di foglia d’albero. Figura 14. Estonoesunsolar 8 “Calle Boggiero 20-22” dimostra che si può giocare a calcio anche in un campo angolare. accordi intricati e mai facili con i proprietari per la cessione temporanea dello spazio. Allo stesso modo gli interventi sono stati frutto del coinvolgimento di associazioni di quartiere, asili, scuole, eccetera, con la mediazione della Sociedad Municipal Zaragoza Vivienda che ha gestito il processo di partecipazione cittadina, processo intenso e delicato ma dal quale in gran parte dipendeva l’esito delle proposte. Infine i lavoratori del Piano di Occupazione, per la loro uniforme, sono facilmente associabili al lavoro che stanno svolgendo: questo chiude il circuito di interazione con i cittadini, e si cerca il riscatto sociale di queste persone, lavoratori disoccupati da lungo tempo spesso disadattati. Ad ogni operaio è infatti stata data una maglietta da indossare, con riportata sopra una delle parole del nome del programma: “esto”, “no”, “es”, “un”, “solar”. A seconda delle combinazioni che si venivano a creare nelle squadre di lavoro, potevano comporsi frasi diverse, dettate dal caso (“esto no”, “un solar no es esto”, “este solar no es”, “esto es un solar”, “un solar no es un solar”...). Attraverso questo gioco semantico si è cercato di dare visibilità a concetti come frammentazione, disordine o casualità, interpretati come valori capaci di apportare nuovi significati. Per il successo del programma, è stato importante mantenere un atteggiamento ludico durante tutte le fasi del processo. Il nome stesso del programma, Estonoeunsolar (“questonon-é-un-lotto-abbandonato”), è una provocazione per generare suggestioni e sollecitare un nuovo sguardo: “questo non è un lotto abbandonato, non è quello che sembra, guardalo con altri occhi”. In definitiva, si tratta di un invito a pensare in modo nuovo, a immaginare possibili contenuti, a proporre nuove situazioni e a realizzare spazi coinvolgenti. Tutti gli aspetti relativi alla comunicazione sono stati attentamente ponderati. Estonoesunsolar mira ad essere una piattaforma di unione tra i differenti soggetti ed etnie presenti nei quartieri ove si interviene, attraverso un intenso processo di partecipazione cittadina. Il rapporto si è stretto incontrando personalmente i possibili fruitori di questi spazi, dialogando con loro, rendendoli parte integrante del progetto esecutivo, attraverso la trasformazione in disegni tecnici dei loro desideri, ma si è cercato di catturare anche virtualmente altri interlocutori. Per facilitare su un altro piano il processo di partecipazione cittadina, diffondere informazioni e creare un altro livello di comunicazione, è stato realizzato un blog (http://Estonoesunsolar. wordpress.com/). Si tratta di uno strumento attivo, che ha consentito di saggiare il polso di ogni intervento. Il blog incentiva la partecipazione degli abitanti, divulga le informazioni sugli sviluppi progettuali, crea un nuovo ambito di comunicazione e scambio di idee tra proponente e fruitori degli spazi. Si tratta di un forum aperto, dove qualunque cittadino può entrare in contatto in maniera veloce e agile con l’amministrazione. Molte energie sono state impiegate nella diffusione delle informazioni, con lo scopo di condividere questa esperienza con altri forum di discussione, altre città Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 128 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio Figura 15. Estonoesunsolar “Calle Santa Rosa”, nel Distrito di San Josè. Lo spazio è situato nei pressi di un centro per la cura dell’Alzheimer e di un asilo infantile. Sembrò pertanto interessante lavorare con i concetti di ricordo e di memoria. Si poteva interpretare lo spazio come un punto di contatto tra quei bambini, che cominciavano a memorizzare ricordi, e gli anziani, che cominciavano a perderli. Dopo aver parlato con i responsabili del centro e aver raccolto indicazioni sui problemi dell’Alzheimer e i metodi di lavoro, i progettisti misero a punto una serie di dispositivi che sarebbero potuti servire ad attivare ed esercitare la memoria. Un percorso attraversa il lotto: parte da una pavimentazione in cemento e poi progressivamente va perdendo materialità e si diluisce come i ricordi, per tornare di nuovo al punto di partenza. Un percorso che con cui si attraversano varie tappe, tra piante aromatiche, cartelli con immagini ed esercizi mnemonici. Figura 16. Embarcadero de Vadorrey. L’intervento ha sfruttato il dislivello presente tra il fiume e il Paseo de la Ribera per impiantare un ampio pendio verde che unisce i due livelli e che accoglie tre grandi “morsicature” sul terreno. Questi tre spazi van formando differenti piazze che si connettono attraverso una passerella di legno che favorisce un percorso alternativo tra le piante aromatiche e la vegetazione preesistente. Le tre piattaforme hanno texture e usi differenti: una zona di gioco con gradoni di cemento (antiteatro) e pavimentazione ammortizzante in gomma; una zona centrale con un bosco autoctono e un passerella sinuosa; una terza zona di relax con una piazza-spiaggia attrezzata con lettini, con struttura in ferro rivestiti in legno, orientati verso il sole e il fiume, nuovo protagonista della città. Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 129 | Diari di viaggio Figura 17. Estonoesunsolar Embarcadero de Vadorrey, la piattaforma destinata a spiaggia urbana. Questo è uno dei luoghi preferiti lungo il fiume degli abitanti di Saragozza, che vengono a prendere il sole o che, durante la loro attività sportiva sul lungofiume (corsa, bicicletta, camminata), fanno qui una sosta. Figura 18. Estonoesunsolar “Octavio Paz”, Distrito di Actur. Il progetto venne sviluppato in forte connessione con il Centro de Tiempo Libre Os Mesaches, che oggi utilizza questo spazio per lo sviluppo delle sue attività con i bambini e i ragazzi. Questo spazio pubblico è oggi un luogo importantissimo per il quartiere, frequentatissimo nel dopo scuola dai bambini, ma anche dagli adulti che alla sera si ritrovano a giocare a basket. e altri paesi, attraverso conferenze e pubblicazioni. In questo senso, il programma Estonoesunsolar ha suscitato interesse in ambito professionale, universitario e istituzionale e ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi internazionali. Entrando nel merito delle proposte, occorre distinguere due fasi di realizzazione dei progetti, quella del 2009 e del 2010, che hanno un carattere diverso pur trattandosi sempre di interventi temporanei su vuoti abbandonati. A queste fasi vanno ad aggiungersi gli interventi estemporanei che sono stati portati avanti negli anni successivi e che sono tuttora in corso. Nei primi 13 mesi di durata (dal giugno a dicembre 2009 e da maggio a dicembre 2010), il programma è intervenuto su 28 spazi aperti, per un totale di più di 42.000 metri quadrati di superficie urbana rigenerata (9.800 m² nel 2009 e 32.000 m² nel 2010), collaborando con sessanta associazioni di vicinato e con i consigli e gli uffici dei quattordici municipi (distritos) della città. Nel 2009 sono stati spesi 800.0000 euro (di cui 240.000 euro per il costo dei materiali, il resto stipendi) e nel 2010 un totale di 1.840.000 (di cui 700.000 euro per il costo dei materiali, il resto stipendi), con una media di 25 euro al m² mano d’opera inclusa (oppure 20 euro al m² mano d’opera esclusa). operativa assai ridotta, che in molti casi interessava piccoli spazi aperti interstiziali del tessuto storico. L’intenzione dei progettisti era di dare coerenza a questi spazi, considerata la vicinanza fisica tra i vari lotti, così che si potesse ottenere una leggibilità di sistema formando una rete di vuoti, per risolvere una serie di problemi specifici all’interno di un progetto complessivo per il quartiere. Per enfatizzare questi sottili legami i progettisti hanno deciso di utilizzare una simbologia comune, e alcune caratteristiche che rendono gli spazi facilmente leggibili e riconoscibili. Ad esempio, si è proceduto a segnalare ciascun lotto assegnandogli un nome e un numero da 1 a 14, assegnato in base all’ordine di occupazione. Una volta collocato il punto di Estonoesunsolar nelle coordinate, lo spazio è pronto per essere colonizzato dagli abitanti e diventa “100% utilizzabile”. Questa strategia è stata adottata in particolare nei quartieri di San Pablo, Magdalena e Arrabal, i più carenti di spazi pubblici e servizi. Tutte le proposte sono consapevoli della loro temporaneità e lo trasmettono tanto nei materiali quanto nel sistema costruttivo, proponendo un linguaggio leggero, legato alla sua “data di scadenza”. Sono interventi che devono essere effettuati dagli operai assunti, escludendo così qualsiasi acquisto di mobili appositamente progettati. Le proposte presentano diverse intensità di intervento sulla base delle previsioni di cessione dei terreni, divenendo più leggeri quanto minore è l’aspettativa di durata. Il primo intervento (Estonoesunsolar 1), realizzato Le operazioni del 2009, iscritte esclusivamente all’interno del centro storico, riguardavano una scala Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 130 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio nel Quartiere di San Pablo nella calle San Blas, ha avuto un carattere speciale, considerato che rappresentava il momento di contatto iniziale con i cittadini nell’ambito di un programma sperimentale. Si decise così di realizzare un giardino urbano composto da piattaforme realizzate con pallet di legno alternate ad essenze come lavanda, rosmarino e varie specie di piante, come in un giardino botanico. Dopo questo intervento, accolto dagli abitanti con grande entusiasmo, si passò alla realizzazione di un orto urbano che, proprio come il giardino, è stato ideato come luogo in cui mescolare insieme differenti componenti (Estonoesunsolar 2, figura 10b). Anche altri interventi della prima fase hanno cercato di portare elementi vegetali nel tessuto denso del Casco Historico, talvolta anche solo collocando alberature in forma temporanea, all’interno di contenitori. Si completò anche il solar già iniziato durante “Vacíos Cotidianos” con un campo da calcetto, gestito da una associazione ludica per l’infanzia (Estonoesunsolar 9). Molti progetti di questa prima fase sono interventi minimi in piccoli spazi, come nel caso della costruzione di un campo di bocce in un vuoto abbandonato in prossimità di un circolo per pensionati: ora quello spazio è diventato il luogo di ritrovo dove i frequentatori del circolo si riuniscono e organizzano attività (Estonoesunsolar 4). Nel Barrio de la Magdalena sono state realizzate diverse azioni di infiltrazione urbana, destinate soprattutto ai bambini e ai più giovani abitanti del quartiere. In un lotto è stato creato uno spazio ludico con un gioco dell’oca formato gigante e una pista per tricicli dipinti sulla pavimentazione (Estonoesunsolar 05, figure 11 e 12). Oggi questo spazio viene utilizzato da varie associazioni del quartiere (soprattutto associazioni di infanzia), ma resto aperto a tutta la città. Il primo anno del programma si è concluso con un concorso di progettazione urbana per bambini. La proposta vincitrice doveva essere realizzata con la massima coerenza possibile rispetto all’idea originale. Il progetto scelto, dal titolo “il teatro della fortuna”, proponeva uno spazio a forma di quadrifoglio, con alberi illuminanti e sedute a forma di foglia d’albero. Tradotto in soluzioni costruttive dal team di “Estonoesunsolar”, il nuovo giardino è stato realizzato in pochi giorni, con la supervisione dei bambini, che hanno potuto vedere realizzata in breve tempo la loro idea (Estonoesunsolar 11, figura 13). Alla fine del 2009, considerato il successo dell’operazione, l’amministrazione comunale decise di continuare il programma, estendendolo questa volta ad altri quartieri della città e applicandolo esclusivamente a lotti di proprietà pubblica. Nella fase del 2010 Estonoesunsolar lavorò pertanto su spazi più eterogenei, con differenti geometrie, dimensioni e contesti urbani; la filosofia del programma, basata sul principio della partecipazione cittadina, rimase invariata. La volontà dell’Amministrazione era di realizzare un intervento Estonoesunsolar in ogni distretto della città; ciascun distretto della città propose una serie di lotti disponibili che vennero valutati attentamente dall’equipe di Estonoesunsolar e, dopo le riunioni con la giunta del distretto di ciascun quartiere, le associazioni vicinali e i gruppi di cittadini, si selezionarono i più adeguati. Particolarmente amato è il progetto della spiaggia urbana sul Fiume Ebro a Vadorrey (Embarcadero di Vadorrey), con il solarium, l’area gioco per i bambini e uno spazio verde (figure 16 e 17). Nelle belle giornate vi si trova sempre qualcuno intento a prendere il sole e molti ciclisti o corridori ne approfittano per una pausa durante la loro attività sportiva. Oltre alla spiaggia urbana sono stati costruiti alcuni parchi (Parque de la Cruz Roja, Rubì), piazze (Monasterio de Pueyo, Estonoesunsolar Oliver, Calle Santa Rosa), aree per il gioco o per lo sport in zone carenti (Rosales del Canal, Valdespartera, Octavio Paz, Valle del Broto, Rebolledo), aree per la sosta e il relax (Calle Antonio Labordeta, Avenida Movera) e orti urbani (Caminos de las Huertas). Nel 2011 l’ufficio Estonoesunsolar ha chiuso, ma il programma è faticosamente continuato attraverso Zaragoza Vivienda e gli architetti Patrizia di Monte e Ignacio Gravalos. Nel 2013 sono stati realizzati altri quattro interventi temporanei in tre quartieri della città, nel 2014 due interventi sono già stati conclusi e altri quattro sono in programma. A causa della crisi economica moltissimi altri lotti attendono di essere edificati e sarebbero nel frattempo disponibili per utilizzi temporanei, ma è sempre più difficile trovare le risorse per attrezzarli. Conclusioni Come il caso di Saragozza interpreta il concetto di “piccolo è bello” in architettura del paesaggio, offrendo spunti per la progettazione, la pianificazione e la gestione dei luoghi? Le esperienze presentate mostrano come gli spazi interstiziali e abbandonati presenti nel contesto urbano possano essere riutilizzati attuando interventi capaci di rispondere ai bisogni ed alle necessità dei cittadini di attrezzature e spazi per l’incontro e per il tempo libero. Come afferma l’architetto Patrizia di Monte, con il programma Estonoesunsolar si vuole sottolineare che il riciclaggio, oltre al riuso dei materiali, avviene anche per gli spazi. Dall’attuazione di questo programma emerge la predilezione per Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ 131 | Diari di viaggio lo sviluppo della città compatta, che concretizza le soluzioni ai propri problemi all’interno del contesto urbano, rifuggendo da uno sviluppo spaziale troppo spesso inefficace. I piccoli luoghi possono essere fondamentali, da soli o meglio in rete, per rivitalizzare e riqualificare interi quartieri della città. La progettazione dei piccoli luoghi, spesso sentiti come una proprietà da parte dei cittadini, può avvenire con una partecipazione attiva da parte della popolazione che, una volta inserita nel processo, può essere coinvolta anche nella fase di gestione del luogo, come avvenuto nel programma Estonoesunsolar. Nel caso di Estonoesunsolar il “bello” si riferisce più alla funzionalità e al piacere di vivere il luogo, che all’estetica dello spazio. I progettisti Ignacio Gravalos e Patrizia di Monte si riferiscono a una poetica dell’indeterminatezza, a un carattere fondamentalmente neutro degli spazi che permette il verificarsi di eventi imprevisti; l’indeterminatezza genera varietà e di conseguenza vitalità della scena urbana pubblica. I murales realizzati da numerosi artisti internazionali durante diverse edizioni del Festival Asalto, festival di arte urbana di Saragozza, contribuiscono ad arricchire il carattere dei luoghi, unici nel loro genere. La bellezza del luogo, il piacere della contemplazione e della passeggiata botanica si concretizzano nel progetto del Jardin en Altura, un luogo molto amato dalla maggior parte degli abitanti del barrio di Delicias. È proprio dall’attaccamento al luogo che nasce in alcuni volontari la voglia di manutenzione del luogo. Come ha affermato Silvia Ortín, tecnico dell’associazione di vicinato Manuel Viola, in un’intervista su Heraldo: “Se trata de una construcción única en Europa que no debemos dejar que acabe degradándose. Es muy bonito y, como tal, así queremos que se conserve. Limpiarlo es una forma de concienciar a los vecinos de que hay que cuidar nuestro barrio para mejorar el bienestar en el mismo” (T. Martìn, 12/04/2012, Zaragoza). anche di lotto vuoto, abbandonato. Le prime attuazioni di Estonoesunsolar confermarono che gli interventi concordati con le associazioni di quartiere erano ben accolti e gli spazi erano vissuti e curati con attenzione. 4 _________________________________________ 1 Il verde è opera del giardiniere Lazaro Vela. Il progettista Joaquin Sicilia aveva anche realizzato un manuale per la manutenzione del luogo con particolare attenzione al verde pensile; delle ottantadue specie vegetali inizialmente presenti molte sono morte perché necessitavano di una maggiore manutenzione. 2 Secondo il dizionario de la Real Academia Espanola, “solar” è una porzione di terreno destinato a essere edificato. A causa della crisi economica molti di questi lotti sono abbandonati, non si ha certezza di se e quando verranno edificati e versano spesso in condizioni igieniche precarie (alcuni sono ad esempio ricoperti di spazzatura o utilizzati come piccole discariche). Nella quotidianità il termine “solar” diviene quindi sinonimo 3 Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. Riferimento per la citazione con numero di pagine Daniela Corsini, Lo spazio pubblico di Saragozza tra piccoli spazi e piccole pratiche, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index. html, pagg. 120 - 131 Contatti: [email protected] Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Quaderno 3/2014 Piccolo è bello in architettura del paesaggio ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/ Dottorato di Ricerca in Architettura Curriculum in Architettura del Paesaggio Referente Prof. Gabriele Paolinelli http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ | [email protected] Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura - DIDA QUADERNI della Ri-vista Ricerche per la Progettazione del Paesaggio
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