Management della frattura di femore nel paziente anziano E.Orlandi U.O. Ortopedia e Traumatologia, Azienda Ospedaliera “S. Maria” Terni Uno dei più rilevanti problemi sanitari che interessano gli anziani, in considerazione dell’aumento di mortalità, morbidità e spesa sanitaria è la frattura di femore. Il rischio di sviluppare nel corso della vita una frattura di femore è molto più frequente nei soggetti di sesso femminile (75% dei casi), e, secondo le stime più recenti, è in notevole aumento il numero dei casi annui. Considerando gli esiti della frattura di femore la letteratura afferma che il rischio di morte è simile a quello del tumore della mammella, con una mortalità di circa 5% in fase acuta e 15-25% entro un anno. Considerando poi la disabilità deambulatoria, questa risulta permanente nel 20% dei casi e solo il 30-40% dei casi il paziente riacquista un’autonomia compatibile con le precedenti attività di vita. Per quanto riguarda la spesa sanitaria, il computo viene fatto in base a costi diretti e cioè relativi all’ospedalizzazione del paziente per il trattamento della frattura e, in base a costi indiretti legati alla comparsa di patologie associate permanenti, alla modificazione dello stato funzionale e cognitivo del paziente, e in considerazione dell’eventuale istituzionalizzazione. In Italia si stima che ogni anno si verifichino dai 70.000 ai 90.000 ricoveri per frattura di femore. In base alle stime effettuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 si verificheranno circa 6,3 milioni di fratture del femore, circa 4,6 milioni in più rispetto al 1990. La spesa sanitaria per costi diretti ammonta a 568 milioni di euro all’anno. I dati a causa del prevedibile invecchiamento della popolazione sono in progressione. Lo scopo principale di questo articolo è quello di indirizzare gli operatori coinvolti verso un’appropriata gestione ospedaliera del paziente anziano con frattura di femore, necessaria sia per il miglioramento della qualità di vita del paziente, sia per ridurre i costi indiretti, in quanto mirata alla prevenzione, valutazione e il trattamento precoce di esiti avversi. Eziopatogenesi delle fratture di femore nell’anziano I soggetti più anziani hanno un rischio maggiore di incorrere in una frattura di femore, sia per l’aumentata prevalenza di cadute, sia perché incorrono a modificazioni della massa ossea. L’8090% della fratture riportate da individui anziani è conseguenza di cadute. Tuttavia ci sono alcuni fattori che potrebbero contribuire all’evento, come il fumo e l’immobilità, per quanto riguarda gli effetti diretti sulla massa ossea, nonché il ridotto spessore dei tessuti molli (adipe e massa muscolare) nella sede d’impatto che offre un contributo inferiore nell’assorbire energia. Di conseguenza la frattura di femore nell’anziano è perciò spesso il risultato dell’azione combinata di caduta e osteoporosi, definite fratture da fragilità o “low force fractures”. Classificazione delle fratture del collo del femore Le fratture del femore che si verificano più frequentemente sono quelle che interessano la zona del collo; tali fratture possono essere ì suddivise in mediali o intracapsulari, e laterali o extracapsulari. Quelle mediali sono le fratture del femore che interessano il collo fino alla sua base; queste possono essere a loro volta suddivise in fratture sottocapitate (al limite tra testa e collo e totalmente intraarticolari) e fratture transcervicali o medio cervicali (parzialmente articolari). Le fratture laterali del femore vengono invece a loro volta suddivise in fratture basicervicali (ovvero alla base del collo), fratture pertrocanteriche (fratture che attraversano il massiccio trocanterico) e fratture sottotrocanteriche (fratture localizzate inferiormente al grande e al piccolo trocantere). Le fratture mediali sono caratterizzate da un’elevata frequenza con cui causano un’interruzione traumatica dei vasi circonflessi e quindi della scarsa tendenza alla guarigione e dalla possibilità di incorrere nella necrosi della testa del femore. Le fratture laterali invece, non comportano un’interruzione dei vasi, tendendo a consolidare abbastanza rapidamente, salvo quando sono pluriframmentate, e raramente causano complicazioni necrotiche. Aspetti clinici Una frattura del femore può essere composta o scomposta; si parla di frattura composta nel caso in cui l’osso conservi il suo normale allineamento, mentre si ha frattura scomposta quando i due capi ossei perdono tale allineamento. Le fratture scomposte possono essere esposte se uno o più frammenti ossei fuoriescono in seguito alla perforazione dei tessuti muscolare e cutaneo. Nelle fratture del femore di tipo laterale (meno gravi delle mediali in quanto la zona interessata dal problema è maggiormente irrorata), i sintomi principali sono extrarotazione e accorciamento dell’arto, dolore nella zona esterna dell’anca e impotenza funzionale totale. Nella frattura del femore di tipo mediale i sintomi principali sono il dolore inguinale e una ridotta impotenza funzionale. La diagnosi di frattura del femore si basa sull’osservazione dei segni clinici citati precedentemente che dovranno poi essere confermati dagli esami radiografici. Tuttavia le radiografie potrebbero non escludere la presenza di frattura di femore. La risonanza magnetica è l’indagine di scelta quando esiste un dubbio diagnostico. Se la risonanza magnetica non è realizzabile, dovrebbe essere eseguita una scintigrafia ossea oppure ulteriori radiografie dopo un intervallo di tempo di 24-48 ore, preferibilmente in diverse proiezioni. Gestione del paziente anziano con frattura di femore Una banale caduta, comporta l’inizio di un complesso percorso di cure che tradizionalmente prevede, nel caso della frattura di femore, il trasferimento in ospedale, l’accesso in pronto soccorso, il trasferimento nel reparto di ortopedia e traumatologia, l’intervento chirurgico, il ritorno in reparto dopo l’uscita dalla sala operatoria, e a seguire, in base alle condizioni del paziente e ai servizi disponibili, il paziente rientra a domicilio, direttamente o dopo un periodo di riabilitazione in ambiente ospedaliero, oppure trasferito in una struttura. Gestione preoperatoria Giunto in ospedale, il paziente accede in pronto soccorso, per essere sottoposto a visita specialista e indagini diagnostiche necessarie per effettuare una corretta diagnosi. In generale ai pazienti ultrasessantacinquenni che accedono al pronto soccorso con il sospetto della frattura di femore, in assenza di indicazioni per l’attribuzione di un codice di priorità superiore, dovrebbe essere attribuito il codice giallo. Diagnosticata la frattura di femore il paziente accede al reparto di ortopedia a traumatologia. All’ingresso in reparto il paziente dovrebbe essere sottoposto a una valutazione precoce, preferibilmente entro un’ora. Tale valutazione comprende il rischio di lesioni da pressione, problemi medici coesistenti, stato mentale, precedente mobilità e abilità funzionale, circostanze sociali ed eventuale presenza di una persona che assiste il paziente, dolore, temperatura corporea, continenza, idratazione e nutrizione. In considerazione della fragilità dei soggetti con frattura di femore, frequentemente dovuta alla presenza di polipatologie, il raggiungimento di un quadro clinico stabile e soddisfacente è una priorità, e non dovrebbe ritardare l’intervento chirurgico. Per tali motivi deve essere eseguita anche una valutazione pre-operatoria che comprende: Indagini cardiache, come l’esecuzione di un eletrrocardiogramma. Tale esame è essenziale per individuare aritmie ed eventi coronarici. In generale, le persone anziane con frattura di femore non necessitano di essere sottoposte di routine ad indagini cardiache aggiuntive quali, l’ecocardiogramma. Tuttavia possono essere prese in considerazione in pazienti con un elevato rischio cardiaco perioperatorio; Esami ematochimici, si considera un set minimo di esami necessari per l’intervento, composto da emocromo con formula completa, tempo di protombina (PT), tempo di tromboplastina parziale (PTT), creatinina, sodio, potassio, calcio, prima determinazione Gruppo , Type & Screen, glicemia. Tuttavia in relazione alle condizioni cliniche del paziente possono essere prese in considerazione ulteriori esami ematici. Gli esami ematochimici hanno una duplice finalità, consentire un inquadramento dello stato del paziente, acquisire elementi utili alla valutazione sull’operabilità del paziente stesso Mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico e controllo temperatura, in quanto dopo frattura di femore, i pazienti anziani presentano un rischio elevato di squilibrio idroelettrolitico e ipotermia. Pertanto è certamente utile una valutazione clinica e di laboratorio della volemia, del bilancio elettrolitico e della temperatura corporea, al fine di trattare precocemente eventuali alterazioni. Monitoraggio della saturazione di ossigeno, in quanto l’ipossia può essere presente nei pazienti con frattura di femore sin dall’ingresso in ospedale, persistendo anche nel periodo post-operatorio. La saturazione dell’ossigeno deve essere monitorata di routine dal momento del ricovero fino a quando persiste l’ipossiemia o comunque il rischio, prevedendo un supplemento di ossigeno a tutti i pazienti con ipossiemia. Valutazione e trattamento del dolore - il trattamento del dolore deve essere avviato molto precocemente. .Il paracetamolo deve essere considerato il farmaco di prima scelta tra gli analgesici non-oppioidi, in considerazione del basso rischio emorragico. Qualora il paracetamolo non sia sufficiente, è possibile prevedere in aggiunta la somministrazione di oppioidi. La valutazione sistematica del dolore, attraverso le apposite scale, è raccomandata in ogni fase del percorso Trattamento dell’anemia - La condizione della frattura di femore nel paziente anziano si associa a un rischio aumentato di anemia, con possibili conseguenze negative in termini di mortalità peri-operatoria. La perdita di sangue dal sito di frattura, che può variare da pochi millilitri per una frattura intracapsulare composta a più di un litro per una frattura sub trocanterica pluriframmetata. Il ricorso all’emotrasfusione è raccomandato per valori di emoglobina inferiori a 8g/dl. Pazienti con patologie cardiache note potrebbero beneficiare di trasfusione, anche in presenza di valori di emoglobina più elevati. Un dispositivo venoso periferico dovrà essere posizionato quanto prima, evitando la fossa ante-cubitale poiché costringe il paziente a cambiare ripetutamente posizione al fine di mantenere continuo il flusso. Prevenzione delle lesioni da pressione - Per prevenire lo sviluppo di ulcere da pressione, si raccomanda di adottate durante tutto il percorso assistenziale idonee misure che includono il la valutazione dello stato nutrizionale attraverso l’utilizzo di scale come Mini Nutritional Assessment o indicatori dello stato nutrizionale che comprendono calcolo BodyMass Index (BMI), valutazione dei dati di laboratorio (albuminemia, transferrinemia, conta linfocitaria, colesterolemia, creatinina urinaria nelle 24 ore, omocisteinemia), appetito ed abilità a mangiare e a bere, eventuale calo ponderale. Inoltre fondamentale nella prevenzione delle lesioni da pressione è la formulazione di programmi nutrizionali personalizzati in base alle criticità alimentari del paziente, con registrazione dell'introito calorico quotidiano e controllo quantitativo e qualitativo di eventuali avanzi alimentari, la cura della cute con particolare attenzione alle aree più a rischio come sacro, glutei, talloni, gomiti, aree scapolari, processi spinosi, nuca, il movimento autonomo del paziente, suggerendo di variare i punti d'appoggio almeno ogni 15 minuti ed eseguendo un cambio posturale ogni ora. Nei soggetti costretti all'immobilità, eseguire il cambio di postura al massimo ogni 2-3 ore anche in presenza di presidi antidecubito evitando danni da frizione o da stiramento Mobilizzazione, nonostante vi sia l’impossibilità di mobilizzare l’arto interessato dalla frattura, è di fondamentale importanza la mobilizzazione preoperatoria, quando le condizioni del soggetto e il suo grado di collaborazione lo permettono. Tale mobilizzazione consiste, sia nella mobilizzazione attiva dei distretti articolari sani al fine di mantenere un buon tono muscolare. sia nella ginnastica respiratoria efficace a mantenere un’adeguata funzionalità respiratoria Gestione chirurgica La gestione del paziente con frattura di femore, per quanto riguarda il trattamento chirurgico è affidata esclusivamente al medico specialista. Nella chirurgia ortopedica si impone una indicazione chirurgica ben precisa. Nonostante la letteratura non mostri differenze sostanziali nei risultati di trattamento conservativo rispetto a quello chirurgico, le fratture intracapsulari composte, vengono trattate chirurgicamente con osteosintesi, tenendo in considerazione la sostituzione protesica (endoprotesi) per i pazienti biologicamente meno attivi. Tale intervento permette la mobilizzazione precoce del paziente e riduce il rischio di una successiva scomposizione della frattura. Per quanto riguarda le fratture intracapsulari scomposte, la scelta dell’intervento è influenzato non solo dal tipo di frattura, ma da una serie di fattori, tra i quali l’età, il grado di mobilità, lo stato cognitivo antecedenti al trauma e le condizioni articolari. In generale, nei pazienti giovani (<65-70 anni) e attivi vada considerato l’intervento di riduzione e osteosintesi, mentre nei pazienti anziani, meno attivi e con un’aspettativa di vita più breve sia più indicata la sostituzione protesica. Le fratture extracapsulari, salvo controindicazioni di carattere medico, vengono trattate tutte con riduzione e osteosintesi per mezzo di dispositivi intra- o extra-midollari, allo scopo di consentire mobilizzazione e carico precoci. Le linee guida più accreditate suggeriscono l’uso della vita placca a scivolamento nelle fratture trocanteriche e dei chiodi endomidollari nelle fratture sottotrocanteriche, tuttavia, in considerazione dell’esperienza acquisita dagli operatori e di studi che dimostrano risultati favorevoli, godono di ampia diffusione anche nel trattamento delle fratture trocanteriche i dispositivi endomidollari. Indipendentemente dal tipo di intervento, la chirurgia dovrebbe essere eseguita non appena le condizioni mediche del paziente lo permettano. Perciò, tutti i pazienti che presentano condizioni cliniche soddisfacenti dovrebbero essere sottoposti ad intervento chirurgico entro 48 ore dal ricovero, e durante il normale orario di lavoro, in quanto è stato dimostrato che il trattamento chirurgico eseguito come emergenza nelle ore notturne comporta un aumento della mortalità. Nel caso di pazienti in trattamento con farmaci antitromboembolici o antiaggreganti, si dovrebbe rinviare l’intervento di 12-24 ore per valori di INR superiori a 1,5, in tal caso può essere utile somministrare la vitamina K controllando i valori di INR ogni 6-8 ore. Gestione post-operatoria Dopo il trattamento chirurgico, il paziente accede nuovamente nel reparto di ortopedia e traumatologia. Nel post-operatorio, il paziente dovrebbe essere sottoposto a una serie di valutazioni, fondamentali per riconoscere e gestire un eventuale deterioramento delle condizioni cliniche del paziente. I punti cardine della gestione post-operatoria sono: Monitoraggio continuo dell’analgesia, in quanto, un efficace trattamento antidolorifico nel post-operatorio è generalmente associato a ridotta morbidità cardiovascolare, respiratoria, gastrointestinale e a minor incidenza di delirium, permettendo inoltre una mobilizzazione precoce del paziente. In generale, una regolare valutazione del dolore, secondo le apposite scale, e la sua registrazione deve rientrare nella pratica comune delle cure post-operatorie, al fine di assicurare una analgesia ottimale. Gestione episodi confusionali acuti (delirium), in quanto gli episodi confusionali acuti sono frequenti nei pazienti anziani con frattura di femore. Per quanto riguarda interventi di osteosintesi di frattura di femore, alcuni studi riportano un’incidenza variabile tra 7,3-14,7% nel post-operatorio. I soggetti con diagnosi di delirium in ospedale hanno un’alta percentuale di morbilità legata all’alto rischio di sviluppare disidratazione, malnutrizione, cadute, problemi di continenza e lesioni da decubito; hanno inoltre tassi più elevati di mortalità a un anno (35-40%), di riammissione e di istituzionalizzazione (rispettivamente del 47% e 18%). Inoltre la stato confusionale acuto contribuisce ad aumentare il periodo di degenza, da 9 a 21 giorni, e di conseguenza i costi di assistenza. La gestione postoperatoria deve prevedere appropriate misure di riduzione degli episodi confusionali. Tale gestione si basa in un primo momento sull’identificazione dei fattori di rischio come età avanzata >65, anni, sesso maschile, demenza e declino cognitivo, polipatologie (renali, neurologiche, metaboliche, respiratorie), ridotta capacità funzionale/immobilità e successivamente sul monitoraggio e eventualmente il trattamento di fattori come disidratazione, squilibri elettrolitici, malnutrizione, alterazione del ritmo sonno-veglia, infezioni, ipossia anemia, dolore. Uno dei più significativi fattori contribuenti allo sviluppo del delirium è il dolore sottotrattato. Gestione dell’anemia, un aspetto fondamentale, è il controllo post-operatorio dell’emoglobina. Circa il 45% dei pazienti con una frattura di femore sono anemici al momento del ricovero. Un notevole calo del livello dell’emoglobina è comune durante la degenza, e più dell’80% dei pazienti sono anemici dopo la chirurgia. Di conseguenza il ricorso all’emotrasfusione è raccomandato per valori di emoglobina inferiori a 8g/dl, tuttavia nei pazienti con patologie cardiache note si può ricorrere alla trasfusione anche in presenza di valori di emoglobina più elevati. In generale, il controllo dell’emoglobina dovrebbe essere effettuato a 4-6 ore dall’intervento chirurgico e successivamente ogni 24 ore fino in 3°/4° giornata, salvo diverse indicazione dovute alle condizioni cliniche , includendo anche sideremia, transferrina, livelli di vitamina B12, livelli plasmatici ed eritrocitari di folati. Monitoraggio della saturazione, in generale la saturazione dell’ossigeno dovrebbe essere monitorata di routine per ridurre l’incidenza di ipossiemia. Un supplemento di ossigeno è raccomandato per almeno 6 ore dopo l’anestesia generale o regionale, durante la notte nelle prime 48 ore dopo l’intervento e fino a quando persiste l’ipossiemia, sulla base del valore ottenuto alla pulsiossimetria Monitoraggio bilancio idro-elettrolitico, in considerazione del fatto che gli squilibri elettrolitici, in particolare iponatriemia e ipokaliemia, sono comuni nel periodo postoperatorio. La situazione può essere peggiorata dall’utilizzo di diuretici e fluido terapia. Di conseguenza, l’equilibrio idro-elettrolitico dovrebbe essere regolarmente monitorato e eventuali squilibri dovrebbero essere tempestivamente ripristinati. Mobilizzazione, una precoce mobilizzazione può prevenire le lesioni da pressione, la trombosi venosa profonda, riducendo anche le complicanze polmonari. Inoltre migliora l’ossigenazione tissutale. La mobilizzazione e la riabilitazione dovrebbe iniziare entro 24 ore dall’intervento, salvo complicanze dal punto di vista clinico. La riabilitazione dovrebbe coinvolgere altre figure professionali quali il fisiatra e il fisioterapista, i quali dovrebbero redigere un percorso riabilitativo personalizzato. Gli obiettivi della riabilitazione sono quelli di contrastare tutti i rischi legati all’allettamento, mirare ad una rapida verticalizzazione e al recupero dell’autonomia nei passaggi posturali rispettando una logica successione. In generale nell’immediato postoperatorio è fondamentale sia la mobilizzazione attiva dell’arto operato attraverso movimenti del piede e della caviglia e contrazioni isometriche del tricipite surale, sia la ginnastica respiratoria e la mobilizzazione attiva dei distretti articolari sani. Nei giorni successivi all’intervento, si dovrebbe procedere con la mobilizzazione attiva-assistita del ginocchio e contrazioni isometriche del quadricipite femorale, elevazione assistita dell’arto a ginocchio esteso, esercizi di adduzione-abduzione dell’anca. Progressivamente tra la terza e la quinta giornata il paziente può assumere la posizione seduta sul bordo del letto e può effettuare il trasferimento letto-poltrona e viceversa, senza caricare sull’arto operato. Costipazione, l’uso di analgesici oppioidi, anche se usati a bassi dosaggi, la disidratazione, la riduzione di fibre nella dieta e la mancanza di mobilità, sono fattori che favoriscono la stitichezza. Di conseguenza la prevenzione e il trattamento della stitichezza consiste principalmente nell’aumento della mobilità, in un maggiore introito di liquidi e di fibre nella dieta, ricorrendo alla somministrazione di lassativi ove necessario. Conclusioni La frattura di femore nell’anziano rappresenta un problema di grande rilievo, sia per le conseguenze negative che si ripercuotono sulla qualità di vita del paziente, sia dal punto di vista della spesa sanitaria. In letteratura sono riportati studi che sostengono l’efficacia di interventi, come la mobilizzazione precoce, gestione del dolore, gestione degli episodi confusionali acuti nel paziente con frattura di femore, nella riduzione dell’incidenza di eventi avversi quali trombosi venosa profonda, lesioni da pressione, complicanze polmonari, responsabili dell’aumento della disabilità, dell’istituzionalizzazione e dell’aumento dei costi sanitari indiretti. Di conseguenza una gestione multidisciplinare appropriata ed efficace, potrebbe ridurre con ragionevole certezza l’impatto negativo degli eventi avversi. BIBLIOGRAFIA 1. Best Practice Evidence Based Guideline. 2003 “Acute management and immediate Rehabilitation after Hip Fracture amongst people aged 65 years and over”. New Zealand Guidelines Group 2. Brauer C, Morrison R.S, Silberzweig SB, Albert L.S, The Cause of Delirium in Patients With Hip Fracture, Arch Intern Med. 2000 3. 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