Personaggi | Un modenese da Formula uno Intervista a Leo Turrini, veterano del giornalismo sportivo ed esperto di automobilismo Il mio AMICO Ayrton Un’esperienza così dolorosa che per vent’anni non è riuscito a farne parola. Ma adesso nell’anniversario della morte di Senna, per il giornalista modenese è venuto il momento di raccontare. Nel suo ultimo libro c’è la storia di una grande amicizia con il pilota brasiliano e soprattutto il ricordo vissuto in prima persona di un lutto che sconvolse il mondo intero di Paolo Reggianini - Foto di Elisabetta Baracchi 92 OUTLOOK - LUGLIO/AGOSTO 2014 www.gruppobper.it Personaggi | Un modenese da Formula uno «Conobbi personalmente Ayrton Senna grazie a un’amicizia comune e mi prese in simpatia. Avevamo la stessa età» Gruppo BPER. La nostra forza è la tua forza. Banca Popolare dell’Emilia Romagna Banca della Campania Banca di Sassari Banca Popolare del Mezzogiorno Banca Popolare di Ravenna Banco di Sardegna Cassa di Risparmio di Bra Questo è il marchio del Gruppo BPER. Un gruppo bancario composto da 7 banche con 1300 sportelli e 11000 uomini. Compito facile, ma al tempo stesso difficile, intervistare Leo Turrini. Facile perché è un tipo tutt’altro che banale: lui parla, tu scrivi e l’articolo è chiuso. Difficile perché Leo, autentico fuoriclasse del giornalismo sportivo italiano, è un amico e soprattutto è quello che ha avviato l’autore di queste righe, alla professione giornalistica. Imbarazzante, no? Occasione di questa chiacchierata un libro di grande successo (dal titolo «Senna. In viaggio con Ayrton», edito da Imprimatur) che Turrini ha voluto dedicare alla memoria del grande pilota brasiliano, a 20 anni dalla morte, avvenuta durante una gara, l’1 maggio del 1994 sul circuito di Imola. Non un libro biografico, ma l’esperienza di vita di un giovane cronista che ha avuto la fortuna di incrociare nel proprio percorso professionale un campione straordinario e un uomo di grande umanità. Senti Leo, del libro parleremo tra un attimo. Prima forse è il caso di ricordare l’inizio della tua storia. Giornalistica ovviamente. Che non tutti conoscono. «Raramente me lo chiedono, ma rispondo molto volentieri. Avevo 15 anni e mi piace ricordare un collega che non c’è più, Maurizio Davolio Marani. Fu lui, era il novembre del 1975, a farmi scrivere sulla vecchia “Gazzetta di Modena”. In quel momento iniziò tutto». Poi l’esperienza al «Carlino Modena». Studiavi giurisprudenza, scrivevi, e sognavi questa professione. Il profilo Lo sport nel sangue Leo Turrini è nato a Sassuolo il 18 marzo 1960. Laureato in giurisprudenza, ha cominciato a scrivere sui giornali locali ancora giovanissimo: non aveva nemmeno sedici anni quando apparve il suo primo articolo. È uno dei più autorevoli giornalisti sportivi italiani. Attualmente è inviato speciale per le testate del gruppo Poligrafici («Il Resto del Carlino», «La Nazione», «Il Giorno») ed è opinionista di «Sky» per il campionato di Formula Uno. Sposato con Daniela ha due figlie, che, come Turrini ama spesso ripetere, «per loro fortuna non leggono gli articoli del padre». Nella sua lunga e brillante carriera giornalistica ha seguito direttamente tredici edizioni delle Olimpiadi, tra estive e invernali (e per questo ha ricevuto un riconoscimento speciale dal Comitato olimpico internazionale), quasi 400 gran premi di Formula uno e numerosissimi altri eventi riguardanti il calcio, lo sci e la pallavolo, raccontando la straordinaria ascesa di Alberto Tomba ai vertici dello sci mondiale, ma anche il boom della pallavolo italiana agli inizi degli anni Novanta sotto la guida di Julio Velasco. È autore di molti libri, dalla biografia di Enzo Ferrari a quella di Gino Bartali, dalla storia di Lucio Battisti alle memorie dei cento anni dell’Inter (sua squadra del cuore), dalla tragedia di Marco Pantani, alla vita di Michael Schumacher. L’ultima sua fatica è di quest’anno: «Senna. In viaggio con Ayrton» (edito da Imprimatur) fin dalla sua uscita ha ottenuto un grande successo editoriale in tutta Italia. Diversi i premi vinti, tra cui il premio Coni, il premio Dino Ferrari e recentemente il premio Beppe Viola. Edmondo Berselli, grande giornalista e scrittore suo amico, nel libro «Quel gran pezzo dell’Emilia» lo definì il «più grande narratore orale italiano». LUGLIO/AGOSTO 2014 - OUTLOOK 95 5 BUONI MOTIVI PER AFFIDARE A NOI LA VOSTRA SICUREZZA Personaggi | Un modenese da Formula uno DIGIEYE CERTIFICATO CONFORME AI REQUISITI PREVISTI DALLA NORMATIVA PRIVACY L’ente di certificazione riconosciuto da ACCREDIA (ex Sincert), dopo le attività di verifica e audit, ha rilasciato il certificato di conformità dei DVR e NVR DigiEye ai requisiti previsti dalla normativa PRIVACY in vigore. DigiEye infatti garantisce il rispetto delle misure minime di sicurezza e di quelle idonee previste dal T.U.P. e dal provvedimento specifico in materia di videosorveglianza. INNOVAZIONE DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE Il primo DigiEye è nato nei primi anni ‘90. Questo approccio pionieristico ha permesso di guardagnare un know-how unico condiviso da anni con partner ed utenti finali. 2 AFFIDABILITA’ E CONTROLLO HARDWARE/SOFTWARE Il pieno controllo sia dell’harware che del software è uno dei nostri maggiori punti di forza. 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Più tardi arrivarono anche Luca Serafini e Claudio Fantini. Eravamo una squadra un po’ pazza, ma facevamo cose meravigliose». Ci sarà stato qualcuno che ha pesato più di altri sulla tua crescita professionale. «Dico Graziano Manni, il capo del “Carlino Modena” di allora. È ed è stato un grande giornalista e ha fatto diventare tali me, te e perfino altri che senza il suo tirocinio non ce l’avrebbero fatta». Avviciniamoci a Senna. Partendo però dalla Ferrari, che tu hai iniziato a seguire quando avevi 24 anni, arrivando a raccontare 400 gran premi di F1. E da Enzo Ferrari. LUGLIO/AGOSTO 2014 - OUTLOOK 97 Personaggi | Un modenese da Formula uno C’È SEMPRE UNA ROSSA FATTA APPOSTA PER TE. Il bello di scegliere RCM è che non ti puoi sbagliare. Con due linee complete di motoscope e lavasciuga per la pulizia professionale e una gamma di oltre 40 modelli in costante evoluzione, RCM ha esattamente la soluzione che cerchi. 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Fu lui nella primavera del 1982 a procurarmi una incredibile intervista esclusiva al Drake, che era in silenzio stampa, dopo un gran premio malamente perso da Gilles Villeneuve, che sarebbe poi morto poche settimane dopo». Perché un libro su Senna? «Ero molto legato a lui, prima di tutto per ragioni generazionali. Io sono nato il 18 marzo 1960, Ayrton tre giorni dopo. I lettori non ci fanno caso, non sono tenuti a pensarci, ma è molto diverso per un cronista raccontare di una persona che appartiene alla sua stessa fascia anagrafica, con gli stessi gusti musicali e culturali, ad esempio. Da fuori, la gente non può conoscere questi aspetti, ma visti da dentro cambiano i rapporti». Prima di parlare di motori, tu sei anche un grande appassionato di calcio. Hai scritto di pallone ai mondiali ad esempio, ma anche del Sassuolo e del Modena in gioventù. E sei pure tifoso dell’Inter. L’introduzione del tuo libro è stata scritta da Dino Zoff. Perché? «Quando ho ideato questo libro ho pensato che fosse il caso di chiedere l’introduzione non a uno specialista, non a un pilota, ma a uno di noi che vive la Formula uno guardando la tv. Sapevo che Zoff aveva una grande passione per i motori: ci siamo incontrati, conosciuti, ma non per parlare di come giocava l’Italia di Bearzot, ma di quella sua curiosità sulla Ferrari e sul mondo delle corse. Mi ha fatto un regalo meraviglioso e siamo diventati, come si dice, “cul e camicia”». Perché hai scelto Senna e non un altro protagonista di questo sport? «Non volevo scrivere una biografia. Questa è la storia della mia amicizia con lui, due persone che si incontrano: uno fa il giornalista e l’altro è un fuoriclasse dell’automobilismo. Due persone che si conoscono e fanno «La sua morte mi colpì moltissimo. Il mio direttore mi convinse a seguire il funerale in Brasile. Presi il primo volo disponibile e, senza averlo programmato, finii sull’aereo che riportava in patria le spoglie di Senna. Fu un’esperienza sconvolgente» un pezzo di strada insieme». Come si sono incrociate le vostre strade? «Senna aveva un amico fin dai tempi in cui correva nei kart, un fotografo di Bologna che lavorava per “Autosprint”. Si chiama Angelo Orsi, e un giorno mi disse: “Se lo vuoi conoscere, non è poi così difficile. Soprattutto se vieni introdotto da qualcuno”». Quindi? «Ci incontrammo e Senna mi prese in simpatia, forse anche per quel discorso generazionale. Io all’epoca ero il più giovane tra i giornalisti che seguivano la Formula uno. Può anche darsi che non si trovasse benissimo con professionisti della comunicazione che avevano 20-25 anni più di lui. Così mi sono trovato a vivere questa esperienza che ritengo irripetibile e memorabile. Lui era già un campione, mentre io in quegli anni avevo iniziato da poco a seguire l’automobilismo. Fino all’ultimo giorno mi manifestò sempre una simpatia, una cortesia che io non sono mai riuscito a dimenticare: poi ci si è messo anche il destino». Il titolo del libro fa riferimento al tuo viaggio con Senna. «La sua scomparsa mi colpì nel profondo. Stavo male. L’allora direttore del “Resto del Carlino”, Marco Leonelli, fece una sforzo per convincermi, fino quasi a obbligarmi, ad andare a raccontare il funerale a San Paolo in Brasile. Prenotarono il primo volo disponibile, era un martedì dopo la tragedia dell’1 maggio, un Parigi-San Paolo». Il racconto di quel volo è davvero emozionante. «Erano le nove di sera; appena salito sull’aereo fui accolto da una hostess che, dopo avere letto la mia carta di imbarco, mi disse: “L’accompagno io al posto e capirà il motivo”. Avevano tolto quattro file della business class per fare posto alla bara di Senna, avvolta nella bandiera brasiliana. L’hostess proseguì: “Per noi è un eroe nazionale, le salme dovrebbero viaggiare nella stiva, ma lui no. Abbiamo voluto che volasse qui, cerchi di capire”». È stato dunque questo il «tuo» viaggio. Unico giornalista su quel volo, un altro segno del destino. «Durante quelle dieci ore di volo a diecimila metri LUGLIO/AGOSTO 2014 - OUTLOOK 99 apvd.it Personaggi | Un modenese in Formula uno di altitudine presi parte alla più incredibile veglia funebre della mia vita. Il comandante annunciò che stavamo portando a casa Ayrton e chi voleva l’avrebbe potuto salutare. Di solito in questi voli così lunghi i bambini piangono, la gente perde la pazienza. Invece, fu una cosa pazzesca, non si sentì ronzare una mosca. Un silenzio che non mi sono mai tolto dalla testa». Che ricordi hai invece del funerale? «Dopo la tragedia, il presidente del Brasile Itamar Franco chiamò il nostro presidente Oscar Luigi Scalfaro dicendogli: “Fate quello che potete, ma è importante che Senna torni a casa il prima possibile. Non teniamo più la gente che vuole riabbracciare il suo campione”. Arrivati a San Paolo mi è rimasta una sola immagine: cinque milioni di persone lungo la strada ad aspettarlo. Lui era ed è rimasto nella memoria collettiva del suo Paese perché, pur provenendo da una famiglia benestante, aveva una sensibilità nei confronti della povera gente che gli faceva davvero onore. Non cercava pubblicità, ma era risaputo che destinava ingenti somme per aiutare i bambini di strada. Non lo diceva mai in pubblico, ma lo faceva». Senna non nascose mai i suoi principi religiosi. «Il suo era un sentimento religioso molto profondo e radicato. Semplicemente lui considerava tutto ciò che gli era capitato come un dono di Gesù Cristo». La tua testimonianza fa affiorare i contorni di un uomo speciale. «Un campione speciale, direi. Così lo considera la gente. Ce lo ricordiamo non solo per le sue imprese in pista, ma anche per quel sorriso triste. Aveva capito che questo mondo non funziona. Definirei Senna una persona capace di andare oltre la dimensione del professionista del volante. Le persone lo avvertivano. Ecco perché quel giorno, al funerale erano tutti in lacrime, senza distinzioni, poveri e ricchi. Tutti. Spesso gli chiedevo: “Perché alla fine di ogni corsa ti fai dare la bandiera brasiliana?”. E lui rispondeva: «Io vivo in un Paese che è la fotografia di un mondo profondamente ingiusto, dove vivono insieme quelli che stanno bene e quelli che non hanno niente». 100 OUTLOOK - LUGLIO/AGOSTO 2014 Il libro scritto da Leo Turrini, «Senna. In viaggio con Ayrton» (edito da Imprimatur), non è un libro biografico, ma l’esperienza di un giovane cronista diventato amico del pilota brasiliano, scomparso l’1 maggio del 1994 sul circuito di Imola È quasi un’adorazione la tua. «Lo adoravo per la sua trasparenza. Guai però a definirlo un santo: in gara era uno che per vincere avrebbe asfaltato la mamma. Me lo diceva lui, capito?». Ritieni che Senna sia stato il più grande di sempre? «Non so rispondere. Lo definirei uno degli ultimi eroi del mondo sportivo. Ed è stata una grande fortuna per me averlo conosciuto». Dal tuo libro si avverte la tua partecipazione emotiva fortissima in quell’ultimo viaggio con Senna. Confesso che non immaginavo tanto. «Questa vicenda mi annientò dentro. E per questo non sono mai riuscito a parlarne. Mi avevano chiesto di farlo già dieci anni fa, ma non mi sentivo pronto. Questa volta grazie anche alla mia famiglia ho aperto il mio libro dei ricordi. E ho raccontato tutto». Non abbiamo ancora toccato il tema dell’incidente in quel tragico weekend di Imola dove morì anche il pilota austriaco Ratzenberger. «Sbagliando, eravamo convinti, che il livello di sicurezza fosse tale da precludere situazioni del genere. Poi all’improvviso venimmo stuprati dalla realtà. Senna non mi aveva raccontato che, appena passato alla Williams, si era subito lamentato delle dimensioni dell’abitacolo. Aveva ottenuto che gli abbassassero il piantone dello sterzo, ma il lavoro non venne fatto al meglio e lui quella domenica si trovò a guidare una macchina che non curvava più. Anche dalla immagini tv di quel giorno si vede che lui capisce ciò che sta succedendo e tenta una decelerazione pazzesca, cercando di ridurre la velocità sperando che l’angolo di impatto sia il meno devastante possibile. Purtroppo un braccetto staccatosi della sospensione si trasformò in un proiettile, lo prese sulla visiera e gli entrò nel cervello. Se avesse preso il casco, come poi capitò a Felipe Massa sul circuito di Budapest nel 2009, forse se la sarebbe cavata. Si vede che era destino che dovesse andare così. L’unica consolazione è che, dopo quel tragico weekend, vennero imposte modifiche alle macchine, cambiarono i circuiti e da allora sono passati vent’anni e nessuno ha più dovuto raccontare lutti come quelli». 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È vero, invece, che pochi mesi prima di morire incontrò Montezemolo e Todt sul lago di Como e disse loro che era disposto a parlare del passaggio alla Ferrari, ma solo nel momento in cui gli fosse stata fornita una vettura non più lenta di mezzo secondo dalla migliori. Perché quel mezzo secondo ce l’avrebbe messo lui con il suo talento. Non fu possibile, e la Ferrari il suo grande investimento lo fece più avanti andando a ingaggiare Schumacher, il più grande dopo Senna». Cosa possiamo aggiungere ancora? «Sono felice di aver conosciuto una persona così. Ti faceva sentire meglio solo il fatto di sapere che c’era un uomo simile al mondo. La sua conoscenza è l’unica cosa a cui sento di non poter rinunciare in 35 anni di carriera». Torniamo alla domanda di partenza, a proposito di anni e di carriera: quanto è cambiata la professione del giornalista? «Probabilmente, quelli come me e come te saranno gli ultimi dei mohicani. Oggi ovviamente tutto è cambiato: Internet e la digitalizzazione hanno completamente cappottato il nostro mondo. Una volta si cominciava cercando di presentare un testo di venti righe in una redazione e poi si seguiva una certa trafila. Non voglio dire che oggi sia peggio, però il modo in cui cercare di diventare giornalisti è diventato diversissimo: da un verso forse più facile, perché sul web può scrivere chiunque e di qualunque cosa, dall’altro senz’altro più arduo. Rendere la passione un mestiere che dia da vivere è una avventura complicatissima. Lo dico soprattutto ai giovani». Ultima cosa, il prossimo libro? «Non so, forse questo è stato l’ultimo. Volevo scriverlo da 20 anni e questa opera chiude idealmente un cerchio». •
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