Anno IV– Numero 10 Continuity and discontinuity of Activism in the “second Pietralba season” (1967-1976) Continuità e discontinuità dell’attivismo nella “seconda stagione pietralbina” (1967-1976) Evelina Scaglia Abstract The activities of study, research and experimentation born in the first Pietralba meetings were developed over the years and improved, during the Sixties, thanks to the contribution of Mario Mencarelli, a former “pietralbino”. He reread the teachings of the “master” Marco Agosti in an innovative perspective, focussed on some points of convergence between Pietralba model of research and the new paradigm of science education. In this term, he opened a “second Pietralba season”. Saper leggere i “segni dei tempi” I convegni per maestri sperimentatori, inaugurati a Pietralba nel luglio 1948 dal gruppo pedagogico di «Scuola Italiana Moderna», vissero un rinvigorimento interno fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, grazie al ruolo di guida assunto da Mario Mencarelli. Si può, a tal proposito, parlare di una vera e propria “seconda stagione pietralbina”, caratterizzata dalla ripresa del pensiero di Marco Agosti e di Vittorino Chizzolini attorno all’integralità dei processi educativi, secondo la chiave interpretativa della “continuità fra tradizione e innovazione”1. Lo scenario storico in cui avvenne tale processo fu caratterizzato dall’intersecarsi di vari eventi, come la chiusura del Concilio Vaticano II, lo scoppio della contestazione giovanile ed operaia e la crisi del sistema scolastico di fronte all’allargamento universale del diritto all’istruzione. Gli studiosi del gruppo bresciano si sentirono interpellati in prima persona di fronte al richiamo, fatto dal Concilio, ad aggiornare l’opera educativa in senso cristiano, per poter realizzare un’educazione completa, armonica, finalizzata alla fraterna convivenza fra tutti i popoli, come affermato all'interno della Gravissimum educationis. Fu, in particolare, don Enzo Giammancheri2, uno dei membri ormai centrali nell’identificazione delle strategie del gruppo pedagogico, a proporre di penetrare ed assimilare lo spirito del Concilio così da 1 Una “tradizione-innovazione” vissuta sia nell’ambito dei significati, dei contenuti e dei valori discussi, sia nell’ambito della costruzione dell’identità della pedagogia nel suo rapporto con le altre scienze dell’educazione e la politica (cfr. M. Mencarelli, Il discorso pedagogico in Italia (1945-1985). Motivi e strutture logiche, vol. I, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Magistero di Arezzo, Quaderni dell’Istituto di Pedagogia, Tibergraph s.r.l., Città di Castello 1986, p. 15). 2 Sulla figura di don Enzo Giammancheri, si rimanda a: AA.VV., Monsignor Enzo Giammancheri: ricordi e testimonianze, La Scuola, Brescia 2006; AA.VV., Enzo Giammancheri: fede cultura educazione, La Scuola, Brescia 2007. 1 Anno IV– Numero 10 produrre una sorta di metanoia, un profondo cambiamento di mentalità, abitudini, giudizi e criteri nei confronti dei processi educativi3. Egli era convinto che, per poter realizzare questa finalità, occorresse innanzitutto “amare”, cioè continuare a rispondere all’appello della “centralità dell'amore” con cui, nel secondo dopoguerra, Agosti e colleghi contribuirono al rinnovamento pedagogico e didattico italiano attraverso la proposta di una scuola per lo sviluppo integrale della persona umana. Ora si trattava di reinterpretare tale istanza secondo significati inediti, che tenessero conto della natura del Concilio quale fatto religioso, cristiano, ecclesiale, cattolico, attento a riconoscere il valore della libertà religiosa e la presenza del “religioso” quale componente costitutiva dell'essere umano4. Don Giammancheri era consapevole del fatto che la pedagogia cristiana si trovava a combattere un nuovo nemico, l’ateismo, il quale si presentava nella temperie culturale e spirituale dell’epoca alla stregua di «una “affermazione” dell'uomo e di un bisogno di autenticità della ragione e della libertà nei confronti del mondo e della storia»5. Fondamentale si rivelò, in tale battaglia, la strategia di scrutare e interpretare i “segni dei tempi” alla luce della parola di Dio, strategia che in diverse occasioni i pietralbini intrapresero nel corso delle loro ricerche teoretiche e sperimentali, così da mantenere un impegno di coerenza da parte della pedagogia cristiana nei confronti delle varie e contrastanti ispirazioni culturali dell’epoca6. Sul piano della teoria dell’educazione, il gruppo bresciano dovette fare i conti con i pericoli rappresentati dalla diffusione della cultura soggettivistica dei “maestri del sospetto”, che mise in discussione il concetto di persona quale fondamento metafisico e religioso, punto di mediazione e interconnessione fra “essere” e “dover essere”. Per questo motivo, intraprese un processo di revisione della prospettiva personalistica, descritto da Chiosso nei termini di un graduale passaggio dal primo al secondo personalismo7. «Il personalismo cristiano degli anni Cinquanta e Sessanta [n.d.r. il cosiddetto “primo personalismo”] si era manifestato come un movimento con caratteri costanti intorno al riconoscimento del fondamento metafisico e religioso della persona, rappresentando la più efficace mediazione tra “spirituale” e “temporale” e il tentativo più avanzato di autonoma presenza dei cristiani nel “sociale” e nel “politico”»8. Il secondo personalismo, invece, «[...] ebbe caratteri più vari e articolati, alla ricerca di una rinnovata giustificazione e identità capace di ricongiungere esperienze educative e valori della persona, consapevole di non più rappresentare l'espressione unitaria della pedagogia cristiana, ma soltanto una – seppur significativa – componente e ponendosi ormai “oltre” Maritain e Stefanini»9. Un “oltre” che per i pietralbini della fine degli anni Sessanta coincise con una 3 E. Giammancheri, Tempi nuovi, «Scuola Italiana Moderna», LXXVI, 1, 1966, p. 6. Sul tema si veda: A. Maffeis, Il Vaticano II, la Chiesa e la cultura contemporanea, in AA.VV., Enzo Giammancheri: fede cultura educazione, La Scuola, Brescia 2007, pp. 169-187. 4 Ivi, pp. 7-10. 5 Ivi, p. 7. 6 Il tema in questione continuò a rappresentare per diverso tempo un leitmotiv del gruppo pedagogico bresciano. Un esempio è rinvenibile nelle relazioni introduttive presentate, rispettivamente, da Giuseppe Acone e da Marcello Peretti in occasione del XXIII Convegno di Scholé (Brescia, 24-26 settembre 1984). 7 G. Chiosso, Profilo storico della pedagogia cristiana in Italia (XIX e XX secolo), La Scuola, Brescia 2001, p. 241. 8 Ivi, p. 242. 9 Ivi, pp. 242-243. 2 Anno IV– Numero 10 rilettura della centralità della persona umana nella cultura contemporanea, attraverso il confronto diretto con il portato delle scienze umane: dalla psicologia umanistica di Gordon Allport, Abraham Maslow, Carl Rogers ed Erich Fromm, allo strutturalismo di Jerome Bruner, al neocomportamentismo di Burrhus Skinner, alla teoria del curricolo di Lawrence Stenhouse, nonché alle due critiche tra loro opposte ma convergenti al neopositivismo elaborate da Evandro Agazzi e da Dario Antiseri. Si trattò, in altre parole, di «sfruttare le positive risorse della cultura contemporanea», caratterizzata dal primato dell’umanesimo tecnologico e della ragione pragmatica e programmatica, per continuare il percorso di “perenne rinnovamento” avviato anni prima dalla pedagogia della persona di Marco Agosti e Vittorino Chizzolini. Sul piano della teoria della scuola, il gruppo pedagogico di «Scuola Italiana Moderna» dovette fare i conti con la contestazione giovanile e con la protesta antiautoritaria e anti-istituzionale, che sferrò un duro colpo alla cosiddetta “scuola apparato”, cioè a una scuola concepita quale mero “strumento” amministrativo nelle mani dello Stato, come era accaduto in Italia fin dall’età liberale. Tre, in particolare, furono le critiche mosse dalla contestazione nei confronti di alcune caratteristiche strutturali della “scuola apparato”: il fatto che fosse e si presentasse come “apparato ideologico” dello Stato; la gerarchizzazione degli studenti e dei percorsi formativi fra “destinati allo studio” e “destinati al lavoro”, con la riproduzione della divisione del lavoro capitalista fra “classe dirigente” e “classe subordinata”; l'autoreferenzialità, ovvero l'essere un sistema chiuso, tutto interno alla burocrazia ministeriale, senza connessioni con il territorio e senza spazi per un protagonismo reale degli studenti e delle famiglie10. A questi rilievi si aggiunse la constatazione del fallimento della “cultura della riforma” dopo l’avvio difficoltoso della scuola media unica. L’instabilità politica dei governi e la mancanza di un’adeguata quantità di risorse economiche ed umane (insegnanti) rese necessaria l’adozione di una strategia politica differente, centrata, come nel caso del Progetto ‘80, sulla “gestione della scuola” da parte delle componenti interne (insegnanti, genitori, studenti) e dei rappresentanti delle comunità civili (Enti locali e mondo del lavoro)11. Si trattò di una possibile risposta a quanto stava accadendo a livello nazionale e internazionale. Come dichiarato di lì a poco dal Rapporto Faure (1972), le istanze della partecipazione e dell'assunzione di una diretta responsabilità educativa da parte dell'intera società rappresentarono, in quel frangente, una soluzione al pericolo della descolarizzazione e all'innescarsi di una conflittualità perenne. Si credette che la mobilitazione delle forze sociali attorno alla scuola avrebbe contribuito alla ridefinizione del suo significato culturale e del suo senso sociale in quanto “scuola della comunità”12, all’interno di un più ampio scenario improntato alla “cultura della partecipazione”. I pedagogisti cattolici di «Scuola Italiana Moderna» chiesero, a tal proposito, un maggiore protagonismo delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona, attraverso il 10 G. Bertagna, Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un'idea, La Scuola, Brescia 2008, p. 149. G. Chiosso, Pedagogia e scuola in Italia tra utopia e riformismo (1968-1983), in S.S. Macchietti (a c. di), Questioni di storia della scuola italiana (1945-1985), Università degli Studi di Siena, Facoltà di Magistero di Arezzo, Quaderni dell’Istituto di Pedagogia, Tibergraph s.r.l., Città di Castello (PG) 1986, p. 55. 12 Sul tema si vedano, seppure con due prospettive differenti: G. Ricuperati, La scuola e il movimento degli studenti, in AA.VV., L’Italia contemporanea, 1945-1975, Einaudi, Torino 1976, pp. 435-460; G. Chiosso, Dalla pedagogia della “società educante” al Rapporto Faure, «Pedagogia e Vita», LVI, 2, 1998, pp. 90-107; Id., La “società educante” negli anni Settanta tra educazione permanente e descolarizzazione, «Pedagogia e Vita», LVI, 3, 1998, pp. 58-79. 11 3 Anno IV– Numero 10 sostegno alla tesi agazziana della “società come ordine educante” (1965)13 , ed attuarono una rilettura del concetto di “integrazione scolastica” proposto inizialmente dai socialisti nel programma elettorale del 196814. Ci si avvalse, a tal proposito, della tesi di Giovacchino Petracchi15, secondo il quale l’integrazione doveva essere operata nei confronti del fanciullo affinché favorisse l’integrazione del processo formativo, così che il tempo delle attività pomeridiane fosse complementare all’impegno del mattino, salvaguardando il fanciullo da programmi e schemi rigidi. L’ambiente più favorevole per una produttiva integrazione del processo formativo era quello extrascolastico, con il riconoscimento del primato educativo della famiglia e l’importanza di avere a disposizione una pluralità di iniziative pomeridiane, anche non statali. Occorre sottolineare come tali riflessioni, in ambito cattolico, erano maturate dapprima in realtà associative come l’AIMC o sindacali come il SINASCEL e, solo in un secondo tempo, furono accolte dalla DC a livello di dibattito parlamentare, soprattutto in occasione dell’approvazione della L. 820/71 in materia di attività integrative della scuola elementare16. La nuova guida dei pietralbini: Mario Mencarelli Uno dei principali protagonisti della seconda “stagione pietralbina” fu il senese Mario Mencarelli17, docente incaricato di Storia della pedagogia presso la Facoltà di Magistero dell’Università Cattolica di Brescia nell’anno accademico 1966-67 e di Pedagogia dal 1967-68 al 1968-1969, per poi passare dal 1969-1970 con medesimo incarico alla Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Siena, sede di Arezzo18. Egli ereditò dal “maestro” Agosti il compito di guidare il gruppo di Pietralba, proseguendo in linea di continuità la sua opera di rinnovamento pedagogico, didattico e professionale 13 A. Agazzi, La società come ordine educante, in AA.VV., Educazione e società nel mondo contemporaneo. Studi in onore di Sua Santità Paolo VI, La Scuola, Brescia 1965, pp. 13-36. 14 «[Q] se allora l’integrazione era ancora per lo più considerata sotto il profilo del superamento dell’assistenzialità tradizionale per giungere ad un nuovo, e più efficiente, servizio scolastico “integrato” (trasporti, mense, attrezzature di gioco e sportive, soppressione dei patronati scolastici), cominciava però ad essere recepita – sotto la spinta delle ipotesi avanzate dal sindacato laico della scuola elementare, lo Snase – l’esigenza di un nuovo modello di scuola di base per realizzare il quale era assolutamente insufficiente il ricorso, seppur in forma più qualificata, al tradizionale doposcuola (cfr. G. Chiosso, Scuola e partiti politici tra contestazione e decreti delegati, La Scuola, Brescia 1977, p. 209). 15 Tra i contributi di Petracchi, si rimanda in particolare al volume L’integrazione scolastica, La Scuola, Brescia 1969 e ad alcuni articoli coevi apparsi su «Scuola Italiana Moderna»: Problemi ed equivoci a proposito della “scuola integrata”, «Scuola Italiana Moderna», LXXVI, 11, 1967, pp. 5-7; Problemi di riorganizzazione strutturale della scuola elementare, «Scuola Italiana Moderna», LXXVIII, 12, 1969, pp. 5-7; Id., Una “riforma permanente” della scuola, «Scuola Italiana Moderna», LXXVIII, 15, 1969, pp. 5-6. 16 Sulla questione si rimanda a: G. Chiosso, Scuola e partiti politici tra contestazione e decreti delegati, cit., p. 65, che a sua volta cita il volume: AA.VV., La scuola democratica: la riforma della scuola secondaria superiore, l'iniziativa della Dc, il documento della direzione centrale, l'incontro nazionale di Roma del maggio 1971, le relazioni, le comunicazioni, gli interventi, Cinque Lune, Roma 1971, pp. 16-17. 17 Per una prima ricostruzione della figura di Mario Mencarelli, si rimanda a: Mencarelli Mario, in AA.VV., Enciclopedia pedagogica, a c. di M. Laeng, vol. IV, La Scuola, Brescia 1990, coll. 7583-7587 (voce curata da S.S. Macchietti); AA.VV., Mario Mencarelli: per una pedagogia di frontiera, a c. di S.S. Macchietti, Bulzoni, Roma 1998. Altri contributi su Mencarelli sono stati raccolti in due fascicoli monografici della rivista da lui fondata «Prospettiva EP» (n. 5/1989 e n. 4/1997). 18 Mencarelli Mario, in AA.VV., Enciclopedia pedagogica, a c. di M. Laeng, vol. IV, cit., col. 7583. 4 Anno IV– Numero 10 della classe magistrale, in un contesto storico e sociale inedito rispetto a quello dell’immediato dopoguerra. «I pietralbini d’oggi hanno davanti l’ansia d’un mondo tormentato, che sembra negligere i valori ostentando scetticismo e indifferenza: ma il bisogno di ricerca, d’una ricerca franca e persino spregiudicata, è lo stesso; e lo stesso è il bisogno di lavorare insieme per conseguire una più precisa coscienza della propria forza educativa»19. Mencarelli faceva parte già da qualche anno del gruppo pedagogico bresciano. Il primo contatto era avvenuto all’inizio del 1956, su segnalazione della signorina Bianciardi del Centro didattico nazionale per la scuola elementare e di completamento dell’obbligo scolastico, di cui Chizzolini era membro della Consulta20. Il giovane senese era passato da poco al ruolo di docente di Lettere nella scuola media, dopo essere stato dal 1948 insegnante di ruolo nella scuola elementare e dall’anno scolastico 1954-1955 direttore didattico. Nella prima lettera che scrisse a Chizzolini il 3 febbraio 195621, Mencarelli tacque il suo precedente percorso di studi, che l’aveva visto acquisire nel 1949 il diploma di abilitazione alla Vigilanza scolastica nella scuola elementare e nel 1951 la laurea in Pedagogia presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Firenze22. Il Magistero di Firenze era all’epoca la culla di una cultura neoilluministica, improntata al laicismo azionista, promossa dall’opera di Ernesto Codignola, Lamberto Borghi e di alcuni giovani allievi come Francesco De Bartolomeis e Aldo Visalberghi, che costituirono la cosiddetta “scuola di Firenze”. Essa rappresentò una sorta di “fronte laico” alternativo al gruppo pedagogico bresciano nel panorama italiano dei primi anni Cinquanta23, che contribuì alla diffusione del pensiero di John Dewey attraverso la traduzione dei suoi principali testi. Mencarelli si formò in tale contesto, laureandosi con Codignola con una tesi intitolata Metodologia, naturalismo ed umanesimo in John Dewey. La scelta di non fornire questo tipo di informazioni a Chizzolini fu dettata, secondo Bertagna, dal fatto che Mencarelli fosse interessato al suo futuro, piuttosto che al suo passato, in quanto motivato a dare un contributo personale alla maturazione di una «intensa e qualificata attività pedagogica»24, attraverso una riflessione sull’educazione “comunque” e “dovunque” si manifestasse. Come confermato da Sira Serenella Macchietti, «Mario Mencarelli si è aperto alla pedagogia in un periodo caratterizzato da una forte ansia democratica e da un grande fervore educativo quindi in un clima culturale e sociale che sollecitava la sua tensione culturale, il suo bisogno di agire e di testimoniare la propria presenza nel mondo»25. 19 M. Mencarelli, Prefazione, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, [1974], contributi di E. Damiano, M. Mencarelli, F. Montuschi, C. Scurati, G.L. Zani, III ediz., La Scuola, Brescia 1976, p. 7. 20 G. Bertagna, Il progetto pedagogico di Mario Mencarelli e l’Editrice La Scuola di Brescia, in C. Scaglioso (a c. di), Per una paideia del terzo millennio, vol. IV: Mencarelli, un pedagogista alla prova, Armando, Roma 2007, p. 32. 21 Lettera di Mario Mencarelli a Vittorino Chizzolini, datata 3 febbraio 1956, conservata presso l’Archivio Storico dell’Editrice La Scuola di Brescia, citata in G. Bertagna, Il progetto pedagogico di Mario Mencarelli e l’Editrice La Scuola di Brescia, in C. Scaglioso (a c. di), Per una paideia del terzo millennio, vol. IV: Mencarelli, un pedagogista alla prova, cit., p. 32. 22 Ivi, p. 33. 23 G. Chiosso, Novecento pedagogico, [1997], La Scuola, Brescia 2012, pp. 300-304. 24 G. Bertagna, Il progetto pedagogico di Mario Mencarelli e l’Editrice La Scuola di Brescia, in C. Scaglioso (a c. di), Per una paideia del terzo millennio, vol. IV: Mencarelli, un pedagogista alla prova, cit., p. 34. 25 S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in AA.VV., Mario Mencarelli: per una pedagogia di frontiera, a c. di S.S. Macchietti, cit., p. 21. 5 Anno IV– Numero 10 Chizzolini accettò di buon grado la sua richiesta di collaborazione e gli comunicò che «subito l’amico Agosti le rivolgerà urgente invito a collaborare alla nostra iniziativa di assistenza per i candidati al concorso direttivo [n.d.r. Scuola fraterna]»26. L’anno dopo, precisamente nella settimana dal 12 al 18 luglio, Mencarelli partecipò al suo primo incontro pietralbino nella suggestiva cornice di Montecastello del Garda. Descrisse quell’esperienza in un breve ricordo autobiografico, dal titolo Certezze e valori, pubblicato nel fascicolo di «Scuola Italiana Moderna» del luglio 1960 dedicato a Pietralba: itinerari e testimonianze. «Dovrei poter distinguere, quando parlo del Gruppo dei pietralbini, quanto mi detta il cuore e quanto la riflessione. Sento di non esserne capace. Né di questo mi dolgo: ho la certezza, anzi, che la nota peculiare del Gruppo sia proprio questa: ti impegna nei sentimenti e nella riflessione. Avvertii questa certezza nel momento stesso in cui mi inserii nella vita del Gruppo. Era un momento, per me, particolarmente difficile: avevo perduto da poco il giovanile sostegno e il forte affetto di mio padre. Altre e ben diverse difficoltà, urgenti sul piano professionale, mi facevano avvertire la precarietà d’una sperimentazione avviata da tempo ma scarsamente concludente. Salii a Montecastello col cuore chiuso. Per giunta non conoscevo nessuno. Avevo, è vero, le calde espressioni che mi recavano le corrispondenze e l’invito. Ma la pena che avevo dentro mi pesava. Le parole mi davano un senso di sconforto e di vuotezza. Nel pomeriggio, poco dopo il mio arrivo, il Gruppo si compose. Giunsero Don Enzo, e gli Amici. Li conobbi nell’abbraccio e nella loro forza d’amore, scolpita dal silenzio. Il momento, più che viver nel ricordo, è sempre vivo nella mia interiorità. Non mi sentii più un estraneo. Dentro nacquero forti speranze. Ai lavori del Gruppo non potevo recare, né arrecai, contributi apprezzabili. Avevo bisogno di ricevere. Ed ebbi molto. Da tutti. È questa, senza dubbio, un’altra forza dei pietralbini. Ebbi la parola e la fede del Sacerdote e degli Amici. Riscopersi la certezza. Nella silenziosa partecipazione, conobbi un metodo di lavoro fortemente articolato e severamente moderno, fondato su valori certi, sostenuto da una critica costruttiva. Fu una settimana decisiva. Scesi da Montecastello, recando con me, oltre alla tela di amicizie operanti, un impegno nuovo, che ha investito la mia attività di studio e di scuola. È questo impegno che mi ha sollecitato ad approfondire il concetto di professionalità magistrale e a considerarlo nei suoi rapporti col metodo naturale»27. Dopo Pietralba, Mencarelli venne ben presto coinvolto in altre attività di formazione promosse dal gruppo pedagogico bresciano, come la Scuola estiva di pedagogia a La Mendola e i convegni periferici dell’“estate pedagogica”, nonché in numerose attività editoriali. In particolare, proseguì la collaborazione a “Scuola fraterna”28, scrivendo per il 26 Lettera di Vittorino Chizzolini a Mario Mencarelli, datata 18 febbraio 1956, conservata presso l’Archivio Storico dell’Editrice La Scuola di Brescia, citata in G. Bertagna, Il progetto pedagogico di Mario Mencarelli e l’Editrice La Scuola di Brescia, in C. Scaglioso (a c. di), Per una paideia del terzo millennio, vol. IV: Mencarelli, un pedagogista alla prova, cit., p. 37. 27 M. Mencarelli, Certezze e valori, in Pietralba. Itinerari e testimonianze, fascicolo speciale di «Scuola Italiana Moderna», LXIX, 22, 1960, p. 36. 28 “Scuola fraterna” era un’iniziativa dedicata all’assistenza dei candidati ai concorsi direttivi, che si avvaleva anche della pubblicazione di un inserto intitolato Itinerari, pubblicato periodicamente in «Scuola Italiana Moderna». Sul tema si rimanda a: F. De Giorgi, Alla ripresa della vita democratica, in Editrice La Scuola, 1904-2004, Catalogo storico, a c. di L. Pazzaglia, La Scuola, Brescia 2004, pp. 60-68. 6 Anno IV– Numero 10 supplemento di «Scuola Italiana Moderna» Itinerari, e dal 1958 iniziò a pubblicare per «Scuola e Didattica», chiamato in qualità di docente di scuola media dal direttore Aldo Agazzi per redigere i corsivi introduttivi alla rubrica metodologico-didattica Orientamenti e spunti di scuola in atto29. Fondamentale per l’assunzione di un ruolo di rilievo nelle iniziative dell’Editrice La Scuola fu l’interesse di Mencarelli per la formazione professionale degli insegnanti, di qualunque ordine e grado, centrata sull’«esemplarità della testimonianza»30. Una testimonianza che l’educatore cristiano era chiamato a dare, ancora di più, in un contesto caratterizzato da “invadenti” irrazionalismi, abdicazioni, timori e incertezze, attraverso la «possibilità di amare, di comunicare e di far libera e aperta comunità, di sperare la salvezza e di costruirla serenamente in tutta solidarietà»31. A questo primo richiamo, Mencarelli aggiunse alcune idee per elaborare una proposta pedagogica originale: «a) criticare il metodologismo attivistico e la diversità irrelata delle esperienze educative e delle riflessioni pedagogiche; b) ricercare sotto e al di là di queste diversità l’unità del lógos, l’unico che può garantire il consolidamento di una scuola secondo l’ordine cristiano»32. L’assidua partecipazione ai successivi incontri pietralbini, oltre che l’impegno a sostenerne l’attività di ricerca attraverso un’ampia e aggiornata conoscenza di prima mano della letteratura pedagogica contemporanea, “consacrarono” Mencarelli quale “erede” naturale di Agosti. Quest’ultimo riconobbe in lui uno dei modelli più desiderabili di leader della comunità pietralbina grazie al suo impegno su molteplici fronti33. Sul piano organizzativo, Mencarelli si occupò del coordinamento dei convegni annuali con quelli di più stretta periodicità, così come della strutturazione dei reparti per il lavoro di gruppo, che stavano per estendersi allo studio delle materie fondamentali. Sul piano umano, spiccò per disponibilità, tatto, competenza pedagogica, sensibilità educativa nel condurre i giovani pietralbini ad affrontare le diverse situazioni, a commentare le relazioni presentate dai loro colleghi, a valutare e valorizzare le comunicazioni da loro tenute, a moderare le discussioni. Sul piano pedagogico, si impegnò nella revisione del concetto di sperimentazione alla luce delle nuove esigenze avanzate dall’epoca34, attento a mantenersi fedele all’originaria ispirazione “agostiana” e a garantire un sempre maggiore livello di scientificità, tenuto conto dell’estensione dei rapporti fra la pedagogia e le allora chiamate “scienze ausiliarie dell’educazione”35. «Al presente, egli sta portando avanti, sul piano critico e speculativo, il nostro discorso pedagogico relativo ad uno degli aspetti della pedagogia integrale che è al tempo 29 G. Bertagna, Il progetto pedagogico di Mario Mencarelli e l’Editrice La Scuola di Brescia, in C. Scaglioso (a c. di), Per una paideia del terzo millennio, vol. IV: Mencarelli, un pedagogista alla prova, cit., p. 39. 30 Ivi, p. 45. 31 M. Mencarelli, La pedagogia cristiana oggi: l’orizzonte internazionale, in AA.VV., Orizzonte culturale contemporaneo e pedagogia cristiana, cit., p. 53. 32 G. Bertagna, Il progetto pedagogico di Mario Mencarelli e l’Editrice La Scuola di Brescia, in C. Scaglioso (a c. di), Per una paideia del terzo millennio, vol. IV: Mencarelli, un pedagogista alla prova, cit., p. 36. 33 M. Agosti [con la collaborazione di R. Bernacchia], Continuità della ricerca pietralbina, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, [1974], contributi di E. Damiano, M. Mencarelli, F. Montuschi, C. Scurati, G.L. Zani, cit., p. 19. 34 M. Mencarelli, La sperimentazione nella ricerca pedagogica e nella attività scolastica, La Scuola, Brescia 1968. 35 Id., Servizio educativo e sperimentazione, «Scuola Italiana Moderna», LXXIX, 10, 1970, pp. 3-4. 7 Anno IV– Numero 10 stesso ipertrofico e caotico. Sta infatti per essere pubblicata da “La Scuola” un’opera dal titolo Potenziale educativo e creatività, con la quale l’autore, Mencarelli, sostanzialmente propone un’aggiornata antropologia pedagogica. Se poi ricordiamo altre sue pubblicazioni quali Professione magistrale, Problemi di pedagogia scolastica, La didattica nella scuola dell’obbligo – delle quali si sta preparando una nuova edizione accresciuta –, possiamo aggiungere che il nostro diletto amico, a tutti esempio di feconda attività, ha realizzato pure una metodologia didattica e educativa secondo il modulo epistemologico pietralbino. Pertanto è lecito attenderci, nel prossimo avvenire, anche la disponibilità a contribuire alla risoluzione del problema delicato e ingente della teleologia pedagogica pietralbina»36. Con queste parole, Agosti delineò il percorso intrapreso da qualche anno da Mencarelli al fine di riproporre la validità del modulo epistemologico agostiano, tripartito in antropologia pedagogica, teleologia pedagogica e metodologia pedagogica37. A partire dal 1970, l’impegno di Mencarelli si espresse anche con la pubblicazione di una seconda serie di quaderni pietralbini, al fine di ribadire l’originalità e la validità del “messaggio di Pietralba” a due decenni di distanza dalla sua fondazione. Pietralba era una «bella pagina di pedagogia cristiana», disse l’ormai ottuagenario Agosti, nella quale confluivano «il risorgente pensiero pedagogico cattolico, la tradizione educativa della famiglia italiana, i migliori frutti della critica all’attivismo spurio nonché le poche ma non insignificanti esperienze nostre di scuola attiva dell’ordine cristiano [Q]»38. Una pedagogia chiamata, ancora una volta, a ribadire la centralità dello sviluppo della persona umana promosso attraverso l’educazione integrale, frutto dell’impegno di ciascun maestro a costruire una nuova civiltà, la «civiltà della persona, la cui pietra angolare è il diritto di ogni minore al suo integrale sviluppo»39. Il riferimento “magisteriale” a cui si ispirava non coincideva più con la Divini Illius Magistri di Pio XI, risalente al lontano 1929, ma con la più recente Populorum progressio di Paolo VI (1967), secondo la quale lo sviluppo del singolo uomo non poteva avere luogo senza lo sviluppo solidale dell’intera umanità. Lo scenario di un “umanesimo plenario” fungeva, così, da cornice alla costruzione di una “scuola di base” formativa per tutti e per ciascuno. Gli elementi di continuità40 con la tradizione pietralbina inaugurata nel 1948 erano dati, da un lato, dal riconoscimento dell’integralità quale cifra caratterizzante la pedagogia 36 M. Agosti [con la collaborazione di R. Bernacchia], Continuità della ricerca pietralbina, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, [1974], contributi di E. Damiano, M. Mencarelli, F. Montuschi, C. Scurati, G.L. Zani, cit., pp. 18-19. Come sottolineato da Giorgio Chiosso, Mario Mencarelli rappresentò nel periodo compreso fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta un “caso originale”, per via della presenza nella sua produzione di uno stretto intreccio fra psicologia umanistica e personalismo pedagogico, come esemplificato dagli studi sulla creatività condotti fra il 1972 e il 1977 (cfr. G. Chiosso, Profilo storico della pedagogia cristiana in Italia (XIX e XX secolo), cit., p. 257). 37 Si vedano, in particolare, le seguenti pubblicazioni di Mencarelli: M. Mencarelli, Professione magistrale, La Scuola, Brescia 1960; Id., Problemi di pedagogia scolastica, La Scuola, Brescia 1962; La didattica nella scuola dell’obbligo, La Scuola, Brescia 1964 (II ediz. 1967); Potenziale educativo e creatività, La Scuola, Brescia 1972 (II ediz. 1975). 38 M. Agosti [con la collaborazione di R. Bernacchia], Continuità della ricerca pietralbina, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, [1974], contributi di E. Damiano, M. Mencarelli, F. Montuschi, C. Scurati, G.L. Zani, cit., p. 13. 39 M. Agosti, Tempi nuovi, «Scuola Italiana Moderna», LXXIX, 2, 1969, p. 4. 40 Id. [con la collaborazione di R. Bernacchia], Continuità della ricerca pietralbina, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, [1974], contributi di E. Damiano, M. Mencarelli, F. Montuschi, C. Scurati, G.L. Zani, cit., p. 16. 8 Anno IV– Numero 10 della persona umana e, dall’altro lato, da uno spirito di apostolato civile, morale e religioso tenuto vivo dalla conduzione di una «ricerca didattica scientificamente controllata» e dal riferimento ad alcune «linee di forza delle ricerche teoriche: pedagogia della persona, scuola integrale, metodo naturale»41. Queste ultime andavano aggiornate, secondo Agosti, alla luce del “portato dei tempi”, pur nella consapevolezza che fosse necessario continuare a dare vigore educativo a una scuola di tutti e per tutti, in un periodo storico in cui da più parti era stata annunciata la “morte della scuola”. Ripresa di una tradizione? La promozione di un esprit expérimental e il confronto con lo strutturalismo bruneriano Una prima testimonianza della linea di continuità mantenuta nei confronti del pensiero di Agosti dalla prospettiva pedagogica della “seconda stagione pietralbina” è contenuta nella seconda serie dei quaderni di Pietralba, pubblicata presso l’editrice La Scuola dal 1970 al 1978 per un totale di 6 volumi. Particolare attenzione verrà attribuita alle premesse e alle relazioni introduttive con cui Mario Mencarelli delineò la cornice teorica e metodologica entro la quale si inserirono i contributi dei nuovi pietralbini, molti dei quali sarebbero divenuti docenti universitari, come Elio Damiano, Cesare Scurati, Ferdinando Montuschi, Mauro Laeng, Luciano Corradini, Lucio Guasti. Nella Presentazione al primo volume intitolato Discipline di studio e didattica formativa (1970), Mencarelli richiamò nella temperie contestataria dell’epoca la «forza rinnovatrice e contestativa attribuita, fin dal principio, al metodo naturale, liberato dalla sua angusta ed equivoca dimensione didattica, per non dire didatticistica»42. Il quaderno raccolse alcune delle relazioni presentate dai partecipanti ai convegni di Pietralba del 1967 e del 1968, in risposta alla duplice esigenza di «continuare la ricerca pietralbina mettendola alla prova richiesta dai tempi che corrono e allargare il colloquio alla grande famiglia magistrale»43. La sua articolazione interna in sei saggi fu legata alla necessità di fornire, innanzitutto, un’analisi dell’“essenza” delle discipline di studio, per cogliere nell’ampia area occupata da ogni disciplina il posto delle strutture e la coessenzialità con tutte le altre componenti. Alla relazione introduttiva di Mario Mencarelli, seguirono: un intervento in cui Cesare Scurati confrontò il metodo naturale di Agosti con lo strutturalismo bruneriano, per verificare se e come tali prospettive garantissero il raggiungimento di una sintonia fra le diverse istanze (psicologiche, logiche, ambientali e culturali) implicate nei processi di insegnamento e nell’educazione; un contributo di Sigismondo Zamborlini (direttore didattico a Trieste) sul ruolo e sulla portata di una ricerca che volesse, nel contempo, appagare le istanze psicologiche affermate dalla pedagogia attivistica e quelle logiche rese sempre più urgenti nell’ambito dell’insegnamento della lingua; un’analisi svolta da Sergio Spini (direttore didattico a Lecco) a partire da esempi concreti dell’incontro fra osservazione, riflessione e struttura riferiti all’insegnamento della lingua e una medesima analisi svolta dal direttore didattico Angelo Liotta concernente l’insegnamento della storia, della geografia e delle scienze; una relazione conclusiva di 41 Ivi, p. 17. M. Mencarelli, Presentazione, in AA.VV., Discipline di studio e didattica formativa, con contributi di Angelo Liotta, Mario Mencarelli, Cesare Scurati, Sergio Spini, Sigismondo Zamborlini, La Scuola, Brescia 1970, p. 6. 43 Ivi, p. 8. 42 9 Anno IV– Numero 10 Mario Mencarelli sull’insegnamento della “moderna” matematica e la formazione della personalità44. Il metodo naturale, con la sua rispondenza alle esigenze dell’educazione integrale, rappresentò il filo conduttore comune ai sei contributi, perché rappresentava la colonna portante di una prospettiva pedagogica e didattica centrata sulla pratica quotidiana della sperimentazione, pronta a rispondere alle necessità emergenti anche dalla recente prospettiva della “scuola integrata”. In altre parole, esso costituiva il motivo ispiratore di un vero e proprio esprit expérimental, espressione con cui un autore frequentato dai pietralbini – il belga Raymond Buyse, direttore del Laboratorio di pedagogia sperimentale dell’Università di Lovanio – indicava l’impegno continuo ad affrontare l’attività educativa in chiave sperimentale e a sviluppare una conseguente riflessione pedagogica, senza cadere in forme di dilettantismo o di improvvisazione45. Scopo principale dell’esercizio dell’esprit expérimental era l’identificazione di ciò che vi era di “nuovo” in ogni azione educativa46, partendo dalla constatazione che la sperimentazione rappresentava una sorta di “formalizzazione” del metodo naturale. Costante fu il riferimento, da parte dei pietralbini, al modulo epistemologico47 elaborato decenni prima da Marco Agosti con la sua pedagogia integrale, centrato sul concetto di persona e articolato in tre prospettive di studio: antropologia pedagogica, teleologia pedagogica e metodologia pedagogica48. Inedita fu, invece, l’attenzione nei confronti delle sollecitazioni provenienti dalle proposte didattiche nate in quel periodo (strutturalismo, didattica delle scienze e della “nuova” matematica, ecc.), al fine di coniugarle con uno scenario improntato all’«umanesimo dell’autenticità»49. Particolarmente frequentato fu lo strutturalismo bruneriano50, per via del valore educativo da esso riconosciuto alle discipline di studio, valore che la «pedagogia della spontaneità» e la «didattica ispiratrice dell’insegnamento episodico» non avevano tenuto nel dovuto conto51. Lo studio che ne fecero in quel periodo Mario Mencarelli, Mauro Laeng 44 M. Mencarelli, Discipline di studio e didattica formativa, pp. 9-26; C. Scurati, La germinazione delle discipline di insegnamento dalla esperienza ambientale spontanea e indotta, pp. 27-56; S. Zamborlini, Nuove prospettive per una didattica della ricerca, pp. 57-100; S. Spini, Esempi concreti dell’incontro fra osservazione, riflessione e struttura riguardanti la lingua, pp. 101-112; A. Liotta, Esempi concreti dell’incontro fra osservazione, riflessione e struttura, riguardanti storia, geografia e scienze, pp. 113-154; M. Mencarelli, Insegnamento della matematica e formazione della personalità, pp. 155-176. 45 R. Buyse, L’expérimentation en pédagogie, M. Lamertin ed., Bruxelles 1935. Sulla figura di Buyse e sul suo contributo alla pedagogia sperimentale, si rimanda a: K. Montalbetti, La pedagogia sperimentale di Raymond Buyse: ricerca educativa tra orientamenti culturali e attese sociali, Vita e Pensiero, Milano 2002. 46 E. Damiano, Ripresa, in Id. (a c. di), La centralità dell’amore. Esplorazioni sulla pedagogia di Vittorino Chizzolini, La Scuola, Brescia 2009, p. 265. 47 M. Mencarelli, Prefazione, in AA.VV., Orizzonte culturale contemporaneo e pedagogia cristiana, contributi di Elio Damiano, Mario Mencarelli, Cesare Scurati, La Scuola, Brescia 1972, p. 6, nota n. 2. 48 M. Agosti, Tendenze integrali della pedagogia in Italia, «Supplemento pedagogico a Scuola Italiana Moderna», X, 1, 1948, p. 110. 49 M. Mencarelli, Presentazione, in AA.VV., Discipline di studio e didattica formativa, cit., p. 7. Il suo umanesimo dell’autenticità era anche un umanesimo dell’intenzione, totale, democratico, cristiano (cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in AA.VV., Mario Mencarelli: per una pedagogia di frontiera, a c. di S.S. Macchietti, cit., pp. 33-34). 50 Fondamentale fu la lettura delle opere di Bruner da poco tradotte e pubblicate in italiano dalla casa editrice Armando: J.S. Bruner, Dopo Dewey, il processo di apprendimento nelle due culture, [1960], tr. it., Armando, Roma 1964; Id., Verso una teoria dell’istruzione, [1966], tr. it., Armando, Roma 1967. 51 M. Mencarelli, Discipline di studio e didattica formativa, in AA.VV., Discipline di studio e didattica formativa, 10 Anno IV– Numero 10 e Cesare Scurati non comportò un’adesione in toto nei suoi confronti, bensì un accoglimento consapevole di alcuni suoi aspetti che erano compatibili con il metodo naturale di Agosti. Quest’ultimo, infatti, presentava il doppio vantaggio di rispettare l’intima natura di ogni disciplina di studio e, nel contempo, la natura di ogni allievo, così da garantire un equilibrio fra le potenzialità emergenti dalla disciplina e le forze della persona. «L’essenza del metodo naturale non va dunque vista solo nel rispetto della natura umana strettamente intesa, ma anche nel rispetto, sintonizzato col primo, di tutti i processi e le operazioni, educativamente rilevanti, che gli universi extra-personali possono produrre e sostenere»52. Per questo motivo, era in grado di garantire una forma di educazione «autenticamente umana» e di assumere l’aspetto di un vero e proprio «metodo della riscoperta». Grazie ad esso, infatti, l’allievo che agiva nei panni del “piccolo geografo”, del “piccolo storico”, ecc., si imbatteva nei problemi umani legittimatori dell’impegno conoscitivo e individuava, così, percorsi e strumenti per trovarne una conveniente soluzione mettendo in pratica direttamente le relative operazioni, come l’osservazione esplorativa per la geografia e la ricostruzione documentaria per la storia. Questo processo era stato definito da Marco Agosti alla stregua di un «attivismo intrinseco della riscoperta»53, perché capace di sottolineare la fecondità dell’inferenza alla natura della disciplina di insegnamento e la novità dei procedimenti che essa suggeriva, così da poter cogliere l’“elementarità” delle singole discipline. Ne conseguiva che il confronto fra la tradizione pietralbina e le nuove istanze avanzate dallo strutturalismo assunse – fin dall’inizio – i connotati di un’analisi critica, il cui punto di forza risiedeva nella consapevolezza che la struttura faceva parte della natura di ogni disciplina, ma la natura (intesa al modo di Agosti come natura cosmica, natura umana, natura individuale, natura di ciascuna fase dell’età evolutiva, natura delle varie discipline di insegnamento54) non era riducibile alla sola struttura55. La struttura era l’«ordine portante»56 del significato dei contenuti e del potere logico in cui si rapportavano, ma anche «solidarietà delle parti, intese nel loro rapporto e in rapporto con l’unità che compongono»57. Solamente una struttura concepita in questo senso dinamizzante, vitale, funzionale rispondeva a quelle forze alle quali il metodo naturale di Agosti ricorreva per sostenere o liberare le potenzialità personali, al fine di realizzare un felice connubio fra la psicologia personale e la logica disciplinare58. Un testo particolarmente frequentato dai pietralbini a sostegno di queste riflessioni fu la Didattica psicologica59 di Hans Aebli, in cui il pragmatismo sociale di John Dewey si coniugava con cit., p. 9. 52 Ivi, p. 14. 53 M. Agosti, Senso di una esperienza, «Pedagogia e Vita», XXII, 4, 1961, p. 315. 54 Id., Fondazione del metodo naturale, in AA.VV., Dal metodo globale al metodo naturale, note di Marco Agosti, Sergio Salucci, Zeno Paganelli, Mauro Laeng, Matteo Perrini, Marcello Peretti, La Scuola, Brescia 1956, pp. 11-13. 55 M. Mencarelli, Discipline di studio e didattica formativa, in AA.VV., Discipline di studio e didattica formativa, cit., p. 17. 56 Ivi, p. 21. 57 Ivi, p. 22. 58 Ivi, p. 25. 59 H. Aebli, Didattica psicologica: applicazione alla didattica della psicologia di Jean Piaget, [1951], tr. it., I ediz. it., Editrice Universitaria, Firenze 1953. 11 Anno IV– Numero 10 la teoria operatoria della mente di Jean Piaget60. Quasi in contemporanea al primo quaderno pietralbino ne uscì un secondo, intitolato Educazione e sperimentazione, che raccolse gli interventi di Mario Mencarelli61 e di Ferdinando Montuschi62 al convegno pietralbino di Montecastello sul Garda (8-12 settembre 1969). Essi si occuparono, nello specifico, di analizzare la definizione del metodo naturale e di sviluppare una più puntuale considerazione del metodo sperimentale, così da pervenire ad alcune affermazioni di massima sulle quali innestare i successivi progressi della ricerca pietralbina. Questo perché la legittimazione del metodo sperimentale, dal punto di vista pedagogico, chiedeva di confrontarsi con il significato del termine “natura”, soprattutto nelle sue implicazioni con l’uomo, i mondi di relazione e la cultura. Nello specifico, la verifica della struttura del metodo naturale consentiva di approfondire «la problematica, ripresentata con singolare fervore dalla contestazione, che si pone con la richiesta di un umanesimo della genuinità»63. La verifica della natura del metodo sperimentale permetteva, invece, «di porre a fuoco l’atteggiamento che si richiede all’educatore, che, nella complessa problematica educativa di oggi, non può ormai utilizzare meccanicamente metodi più o meno sperimentati né affidarsi soltanto all’estro e all’intuito»64. Mencarelli richiamò, a sostegno di questa argomentazione, due punti critici65 emersi dalle più recenti ricerche pietralbine: in primo luogo, la consapevolezza del fatto che i “messaggi” dell’attivismo e delle scuole nuove non erano stati ascoltati in tutta la loro portata, poiché non ci si era resi conto che essi intendevano recuperare la proprietà della funzione educativa, la portata formativa dell’insegnamento, l’attenzione alle necessità “reali” dell’allievo. In secondo luogo, lo sviluppo di nuove attese educative che, dopo il primato attribuito alle attività espressive e alle attività spontanee, riproponevano il significato dell’educazione logico-matematica, dell’educazione scientifica e, più in generale, dei contenuti. Ne emerse un’idea di metodo sperimentale come itinerario di «produzione educativa, che si percorre con la consapevolezza che la libertà di chi educa non incontra la libertà di chi è educato se non provando e riprovando»66, cioè seguendo il modus operandi tipico di un “approccio scientifico” alla realtà. In altri termini, il metodo sperimentale richiedeva l’utilizzo di una “forza vettrice” che è propria di ogni conoscenza e che sollecita a conseguire ulteriori conoscenze e traguardi sul piano operativo67. A titolo di esempio, Mencarelli presentò nel corso del convegno alcune proposte operative in linea di 60 Sulla questione si rimanda a: N. Filograsso, Il cognitivismo e la pedagogia italiana nel periodo della guerra fredda, in CIRSE, Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa, Educazione e pedagogia in Italia nell’età della “guerra fredda” (1948-1989), a c. di E. Catarsi, N. Filograsso, A. Giallongo, Edizioni Goliardiche, Trieste 1999, pp. 45-79. 61 M. Mencarelli, Metodo naturale e metodo sperimentale, in M. Mencarelli, F. Montuschi, Educazione e sperimentazione, La Scuola, Brescia 1970, pp. 7-78. 62 F. Montuschi, Approccio di tipo sperimentale del problema didattico educativo, in M. Mencarelli, F. Montuschi, Educazione e sperimentazione, cit., pp. 79-159. 63 M. Mencarelli, Prefazione, in M. Mencarelli, F. Montuschi, Educazione e sperimentazione, cit., p. 6. 64 Ibidem. 65 Id., Metodo naturale e metodo sperimentale, in M. Mencarelli, F. Montuschi, Educazione e sperimentazione, cit., pp. 12-13. 66 Ivi, p. 35. 67 Ivi, p. 39. 12 Anno IV– Numero 10 continuità con la prospettiva teleologica, antropologica e metodologica pietralbina, partendo da temi a lui cari come l’educazione permanente, la creatività e il rapporto fra civiltà e tecnologia (con le relative questioni della programmazione, dell’automazione e della cibernetica)68. Il valore aggiunto della pedagogia cristiana e il tema della valutazione Il terzo quaderno pietralbino, dal titolo Orizzonte culturale contemporaneo e pedagogia cristiana69, uscì nel 1972 in occasione del venticinquesimo anniversario di Pietralba, per illustrare come la tradizione pietralbina – in quanto nata e cresciuta in un orizzonte pedagogico cristiano – fosse in grado di rispondere alle sfide avanzate da un periodo storico caratterizzato dal pluralismo culturale, politico e religioso. Le relazioni raccolte nel volume erano state presentate in occasione dell’incontro pietralbino di Desenzano del Garda (settembre 1971), durante il quale Mencarelli ribadì che la proposta di un’educazione cristianamente al servizio della persona e la pratica di una ricerca sperimentale continua garantivano «al lavoro magistrale la forza di legittimarsi e di “esprimersi creativamente”»70. Il fatto che tali attività di ricerca e sperimentazione si svolgessero in un contesto di tipo comunitario rappresentava un “valore aggiunto” del contributo pietralbino, da valorizzare all’interno di un dibattito pedagogico nazionale sempre più interessato a promuovere le istanze della collaborazione, del dialogo, della progettazione e della realizzazione in comune delle attività educative. Una dimensione comunitaria che già all’epoca dei primi incontri rappresentò una valida alternativa al rischio rappresentato dal “collettivo” di stampo comunista. Alla luce di questa premessa, i pietralbini presero in considerazione la posizione della pedagogia cristiana nel panorama internazionale, seguendo un ritmo espositivo che consentisse loro di analizzare, in primis, la posizione politica e culturale in cui operava tale prospettiva, per poi concentrarsi sul suo contributo alla definizione di un discorso pedagogico articolato attorno a tre ambiti già individuati da Agosti: l’antropologia pedagogica, la metodologia pedagogica e la teleologia pedagogica71. «Questi appunti [scriveva Mencarelli] intendono denunziare l’inutilità sostanziale di una pedagogia cristiana (e della conseguente azione educativa) che dalle difficoltà dei nostri tempi trae soltanto le sollecitazioni ad una educazione anacronistica e superata, con ciò ponendosi nella condizione di rifiutare la forza promozionale che la verità cristiana riconosce anche davanti alle situazioni più amare e dolorose. Il giusto richiamo ai “segni dei tempi” compiuto dal Vaticano II è, nella sostanza, un richiamo all’impegno attivo, nel 68 Ivi, pp. 40-50. Nel quaderno trovarono spazio i seguenti contributi: M. Mencarelli, La pedagogia cristiana oggi. L’orizzonte internazionale, pp. 13-56; E. Damiano, La pedagogia cristiana oggi. Contributi italiani, pp. 57-90; C. Scurati, Sperimentazione e tecnologie didattiche nella pratica educativa, pp. 91-120; M. Mencarelli, Attività scolastica e metodo sperimentale, pp. 121-124; G. Cavallo, Per un atteggiamento critico davanti alla civiltà delle immagini, pp. 125-143; G. Dorigo, Lavoro a gruppi ed effetti sulla socialità, pp. 144-167; A. Fiozzi, Come avviare alla lettura silenziosa, pp. 168-189. 70 M. Mencarelli, Prefazione, in AA.VV., Orizzonte culturale contemporaneo e pedagogia cristiana, cit., p. 6. 71 Id., La pedagogia cristiana oggi: l’orizzonte internazionale, in AA.VV., Orizzonte culturale contemporaneo e pedagogia cristiana, cit., pp. 14-15. 69 13 Anno IV– Numero 10 quale, in ultima analisi, sta la ragione e la funzione di ogni dottrina pedagogica»72. Questo impegno attivo risiedeva nella partecipazione della pedagogia cristiana alla fondazione interdisciplinare del discorso pedagogico, combattendo le varie forme di unilateralismo di matrice filosofica, psicologica o sociologica che stavano sorgendo in quegli anni. A ulteriore riprova, Mencarelli invitò i giovani pietralbini a rivalutare la portata dell’attivismo cristiano come «“espressione corale” della pedagogia cristiana in ordine agli eccessi della psicologizzazione e della socializzazione dell’azione educativa» e come risposta al bisogno di «tenere viva una tensione filosofica ed axiologica dell’educazione», quest’ultima auspicata anche da autori da loro studiati come Sergej Hessen e Eduard Spranger. Sul piano della teleologia, la via cristiana all’attivismo si era presentata come «via per una considerazione più piena del potenziale educativo che è proprio dell’uomo»73, al fine di costruire quella «civiltà personalistica e comunitaria» dominata dal primato dell’umanesimo integrale, di cui scrisse Maritain ne L’educazione al bivio (1943). Sul piano dell’antropologia pedagogica, essa aveva operato la fruizione critica del contributo della ricerca positiva (come nel caso di Dévaud nei confronti della teoria dei bisogni di Decroly), la difesa della centralità della persona come microcosmo e la riproposta di esigenze di autenticità umana in un tempo “scettico e amareggiato”74. Sul piano della metodologia pedagogica, invece, la questione era più complessa, perché chiamava in gioco il rapporto fra pedagogia cristiana, ricerca pedagogica e sperimentazione, di fronte al tentativo pluridecennale di ridurre la pedagogia a pedagogia sperimentale e agli interrogativi sui limiti della legittimità della sperimentazione avanzati, in periodi diversi, da studiosi cattolici come Raymond Buyse, Émile Planchard, Mario Casotti e don Luigi Calonghi. Tale rapporto era al centro del dibattito pietralbino sin dalle sue origini e risultava ancora particolarmente in auge, viste le più recenti discussioni attorno alle sperimentazioni scolastiche estemporanee nate in risposta all’“emergenza educativa” sollevata dalla contestazione. «Sono i medesimi interrogativi, che, e non solo al livello della pedagogia cristiana, sollecitano a considerare la sperimentazione anche come metodo educativo (metodologia didattica e educativa) che attua per via ipotetico-deduttiva le sollecitazioni che provengono dal corpus delle conoscenze che si hanno in sede di antropologia pedagogica e può quindi sottendersi alle finalità dell’educazione (teleologia pedagogica). Attraverso questa mediazione, quindi, la sperimentazione appare apprezzabile sia nel quadro della ricerca pedagogica [Q] che nel quadro della metodologia didattica e educativa. I pietralbini hanno risolto il problema alla luce di questa mediazione»75. Una mediazione che Mencarelli pose al centro del suo «personalismo scientifico», espressione con la quale Macchietti e Chiosso indicano la sua attenzione a coniugare l’eredità del pensiero di Agosti e di Casotti con l’affermazione del modello delle scienze dell’educazione, al servizio della persona76. La medesima prospettiva venne ripresa e ulteriormente articolata in occasione del 72 Ivi, pp. 21-22. Ivi, p. 28. 74 Ivi, pp. 34-40. 75 Ivi, p. 33. 76 S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in AA.VV., Mario Mencarelli: per una pedagogia di frontiera, a c. di S.S. Macchietti, cit., pp. 32-33; G. Chiosso, Profilo storico della pedagogia cristiana in Italia (XIX e XX secolo), cit., p. 258. 73 14 Anno IV– Numero 10 venticinquesimo convegno pietralbino, tenutosi a Brescia dal 19 al 23 settembre 1972, da cui venne tratto un quarto quaderno intitolato Pedagogia della valutazione scolastica77, uscito nel 1974 con due edizioni successive nel 1975 e nel 1976. In tale consesso, alla presenza dell’anziano “maestro” Agosti, venne celebrata la promozione dal punto di vista sperimentale di uno stile educativo all’insegna della pedagogia cristiana, impegnata in un colloquio puntuale con le più aggiornate ricerche sul fronte pedagogico e psicologico. Al centro del dibattito fu posta l’elaborazione di una “pedagogia della valutazione”, analizzata nei suoi rapporti con la ricerca ambientale, l’educazione linguistica, l’educazione matematica e l’educazione religiosa. La valutazione venne considerata, dai pietralbini, una questione “essenziale” per la “scuola di base” e per lo sviluppo di un “magistero educativo”, anche in risposta alle critiche mosse nei suoi confronti dalla contestazione studentesca. L’idea di “scuola di base” sostenuta dai giovani convenuti si ricollegava alla concezione “agostiana” di scuola popolare, aperta a tutti, ispirata alla pedagogia della persona. In essa l’insegnante valutava i suoi allievi non «per giudicare, ma per conoscere e per educare», cioè per promuovere quell’originale umanità espressione del potenziale educativo di ciascun individuo. Per questo motivo, i pietralbini non considerarono la rinuncia alla pratica della valutazione, attuata in alcune esperienze di educazione non autoritaria, come una presa di distanza critica e polemica nei confronti di un’azione educativa asservita alle pratiche di potere, ma come un atto di abdicazione alla responsabilità educativa da parte dell’insegnante. Quest’ultimo, secondo la migliore lezione “agostiana”, era chiamato a saper «comprendere il fanciullo»78 attraverso un’osservazione e un’analisi attente delle sue caratteristiche e della sua situazione di vita, ricorrendo anche alle più recenti scoperte della psicologia dello sviluppo. Si trattava di una ripresa, non troppo velata, di un’istanza dell’attivismo disattesa nel dibattito pedagogico coevo: «è la lezione che invita ad osservare sistematicamente l’alunno, e quindi a conoscerlo, per potergli proporre un lavoro motivato ed invitarlo a valutarlo da solo, con i compagni, con l’insegnante: è la lezione che invita, ancora, a superare il fiscalismo e a porre l’educazione in funzione promozionale dell’alunno (si intende, ovviamente, la promozione della personalità)»79. Senza la conoscenza dell’allievo fornita dalla pratica dell’osservazione sistematica e dallo studio dell’antropologia pedagogica, ricordava Mencarelli, anche le più avanzate tecniche di ricerca docimologica sarebbero risultate «prive di anima», con il rischio di divenire strumenti di una scuola «deteriormente selettiva ed alienante»80. Solamente tale conoscenza avrebbe garantito una maggiore qualificazione pedagogica della pratica valutativa, così da farla divenire parte integrante di uno stile educativo capace di dare “mordente” a una scuola aperta alla più qualificata e qualificante promozione umana di 77 Nel volume trovarono spazio i seguenti contributi: M. Agosti [con la collaborazione di R. Bernacchia], Continuità della ricerca pietralbina, pp. 9-24; M. Mencarelli, Ragioni e finalità della valutazione scolastica, pp. 25-60; F. Montuschi, Tecniche di valutazione e di accertamento, pp. 61-74; F. Montuschi, Dalla pagella al libretto scolastico: oltre il libretto scolastico, pp. 75-94; E. Damiano, Dalla valutazione alla definizione dei piani di lavoro, pp. 95-134; C. Scurati, Dalla valutazione dell’insegnante all’autovalutazione dell’alunno, pp. 135-170; G.L. Zani, Il problema della valutazione scolastica in Europa, pp. 171-190. 78 M. Mencarelli, Prefazione, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, cit., p. 6. 79 Id., Ragioni e finalità della valutazione scolastica, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, cit., pp. 37-38. 80 Id., Prefazione, in AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, cit., p. 6. 15 Anno IV– Numero 10 ogni allievo. «Gli elementi di conoscenza raccolti attraverso l’osservazione e la valutazione vanno funzionalizzati alla definizione dei piani di studio e di lavoro che consentano ad ogni alunno di farsi libero, e perciò capace di auto valutarsi [Q]»81. Piani di studio e di lavoro che avevano dato vita a un’ipotesi didattico-metodologica dalle profonde radici “agostiane”: la scuola come “centro di ricerca” di Alfredo Giunti82, membro della redazione di «Scuola Italiana Moderna» e “allievo” acquisito di Agosti83. La professionalità dell’insegnante ne avrebbe tratto ulteriore giovamento, poiché un esercizio della valutazione di questo tipo non poteva che essere concepito da una «forma di intelligenza pedagogica», in grado di tracciare l’itinerario metodologico attraverso il quale potesse realizzarsi la “naturalezza” a cui anelava il metodo naturale, contro l’astrattezza di molto “didattismo” diffuso all’epoca. Per una “pedagogia della partecipazione” all’interno della scuola come “centro di ricerca” Gli ultimi due quaderni pietralbini furono pubblicati in concomitanza del dibattito nato a seguito dell’approvazione della legge delega 477/73 e dei suoi decreti attuativi (i cosiddetti “decreti delegati” del 1974), in un clima contrassegnato dalla promozione di una “cultura della partecipazione”. Il gruppo pedagogico di «Scuola Italiana Moderna» prese posizione proponendo il modello della scuola come “centro di ricerca”, perché era in grado di rispondere appieno all’idea di “scuola della comunità84” e all’esigenza di delineare una vera e propria “pedagogia della partecipazione”. Si trattava, cioè, di una scuola in grado di collocarsi lungo la linea critica tracciata dai documenti internazionali (come il Rapporto Faure) contro il pericolo della descolarizzazione e, nel contempo, di mettere in crisi e superare la concezione illuministica della scuola come luogo deputato esclusivamente all’istruzione e non all’educazione85. 81 Ibidem. Per una prima contestualizzazione dell’opera svolta da Giunti, si veda: G. Bertagna, La didattica della ricerca. Un patrimonio da riscoprire, in A. Giunti, La scuola come centro di ricerca, [1973], II ediz., La Scuola, Brescia 2012, pp. 5-19. In particolare, sono 5 i punti di convergenza fra la scuola come “centro di ricerca” e la scuola integrale di Agosti individuati da Bertagna: la centralità della persona; la realtà come punto di partenza e come punto di arrivo dell’educazione e della didattica; la disciplina come “germinazione” dall’incontro della persona con la realtà; la cultura come discernimento e presa di posizione; la ricerca come attività di base (cfr. G. Bertagna, La didattica della ricerca. Un patrimonio da riscoprire, in A. Giunti, La scuola come centro di ricerca, cit., pp. 5-10). 83 Sul rapporto di filiazione diretta di Alfredo Giunti da Marco Agosti, si rinvia al ricordo biografico stilato dal figlio Roberto Giunti: Maestro Giunti, in A. Giunti, La scuola come centro di ricerca, cit., pp. 295-300. Nello stesso volume è stato riprodotto alle pp. 283-290 un articolo di A. Giunti, Ricordo di un maestro e amico: Marco Agosti, comparso in «Scuola Italiana Moderna» il 10 agosto 1984, pp. 12-14. 84 Sul tema della “scuola della comunità” si rimanda a Luciano Corradini, che all’interno del volume La difficile convivenza: dalla scuola di Stato alla scuola della comunità (1975), sottolinea come con la L. 477/73 non venne eliminata la “scuola di Stato” (cioè una scuola come strumento che lo Stato istituisce, gestisce e controlla), ma venne avviato un processo di convivenza difficile fra questo tipo di scuola e la “scuola della comunità” (frutto della graduale emersione di istanze personalistiche e comunitarie) (cfr. L. Corradini, La difficile convivenza: dalla scuola di Stato alla scuola della comunità, La Scuola, Brescia 1975, p. 63). 85 E. Giammancheri, Le nuove norme di fronte alle istanze universali della pedagogia moderna, in AA.VV., La nuova scuola della partecipazione, Vita e Pensiero, Milano 1975, p. 20. 82 16 Anno IV– Numero 10 Un’ipotesi per la scuola della comunità: la scuola “come centro di ricerca”86 fu, quindi, il titolo assegnato al quinto quaderno pietralbino, che raccolse nel 1977 riflessioni e proposte avanzate nei convegni annuali del 1973, 1974 e 1975. L’incontro pietralbino del 1973 si tenne poco tempo dopo l’approvazione della legge delega 477/73. Fu l’occasione per discutere l’ipotesi della scuola come “centro di ricerca”, quale scuola democratica, educativa, promozionale di umanità e di socialità, attenta alla dimensione morale ed assiologica dell’educazione, pronta ad andare di pari passo con la formazione di una nuova coscienza deontologica degli insegnanti e l’elaborazione di piani di lavoro funzionali e gratificanti87. La scuola come “centro di ricerca” nacque nell’alveo dei piani di lavoro elaborati dal Gruppo di Aggiornamento e Sperimentazione di Brescia coordinato da Alfio Zoi (direttore didattico) e composto dal già ricordato Alfredo Giunti, da Andreina Cavadi-Gerardini (insegnante di matematica e scienze nella scuola media), Piero Segala (maestro di scuola elementare) ed Ennio Draghicchio (direttore didattico). Essi misero alla prova fin dal 1972 la sua attendibilità sperimentandola nell’attività scolastica quotidiana, perfezionandola nei corsi di formazione estivi tenuti in vari luoghi d’Italia e nelle riflessioni offerte con i loro interventi sulle pagine di «Didattica di base», un supplemento a «Scuola Italiana Moderna» nato nel 1965. Ne sottolinearono, fin da subito, il carattere di “alternativa culturale e didattica” al programma svolto tradizionalmente nell’allora scuola elementare88, perché presentava un itinerario culturale completo, frutto dell’attuazione dei principi della ricerca ambientale già sperimentati da Marco Agosti con la sua scuola integrale. Per questo motivo, la scuola come “centro di ricerca” non era né una scuola di nozioni, né una scuola di occasioni, poiché non offriva ai suoi allievi conoscenze prefabbricate e non accettava per buona, sul piano formativo, qualsiasi realtà che, più o meno occasionalmente, intersecava l’ambito scolastico. Essa, infatti, metteva a loro disposizione attività finalizzate ad organizzare sistemi di idee, riscoprire e usare procedimenti logici e linguaggi specifici, nonché formulare modelli dinamici di pensiero e di azione. In questo modo, sarebbe stata in grado di rispettare una molteplicità di esigenze (culturali, strutturali, psicologiche, formative), al pari della scuola integrale di Agosti, pur all’interno di un contesto storico, sociale e culturale completamente mutato. Particolarmente enfatizzato fu il ruolo attribuito alle discipline di studio, considerate «mezzi di indagine della realtà», «strumenti e linguaggi del processo di conoscenza e di spiegazione degli aspetti particolari indagati», «modelli di pensiero», «itinerari esemplari per l’organizzazione dei risultati delle indagini, per la formazione intellettuale, per l’attività 86 A. Giunti, E. Damiano, A. Zoi, C. Scurati, G. Staluppi, M. Mencarelli, Un’ipotesi per la scuola della comunità: la scuola come “centro di ricerca”, La Scuola, Brescia 1977. Il volume raccolse i seguenti saggi: A. Giunti, La Scuola come «Centro di ricerca» - Una proposta per il cambiamento, pp. 9-28; E. Damiano, La ricerca come modello istituzionale, pp. 29-48; E. Damiano, Una griglia per l’analisi della ricerca, pp. 49-74; A. Zoi, La ricerca storica e i suoi rapporti con la ricerca sociologica nella scuola elementare, pp. 75-110; C. Scurati, Ricerca sociostorica e pedagogia istituzionale, pp. 111-128; G. Staluppi, Considerazioni sulla ricerca geografica nella scuola elementare, pp. 129-144; M. Mencarelli, Educazione alla «ricerca» e sviluppo sociale, pp. 145-162; M. Mencarelli, Per una nuova coscienza professionale, pp. 163-196. 87 M. Mencarelli, Premessa, in A. Giunti, E. Damiano, A. Zoi, C. Scurati, G. Staluppi, M. Mencarelli, Un’ipotesi per la scuola della comunità: la scuola come “centro di ricerca”, cit., pp. 5-6. 88 A. Giunti, Ambiente e ricerca, in AA.VV., La scuola come “centro di ricerca”. Ipotesi di un piano di lavoro alternativo al “programma” tradizionale, inserto pubblicato all’interno della rivista «Scuola Italiana Moderna», LXXXI, 17, 1972, p. 3. 17 Anno IV– Numero 10 culturale, per l’azione didattica»89, in ottemperanza alla concezione della realtà come radice della formazione culturale sostenuta da Marco Agosti. Una formazione culturale a 360 gradi, che coinvolgeva svariate dimensioni: linguistica, matematica, sociale, storica, scientifica, fisica e geografica. Del resto, erano più d’uno gli aspetti di somiglianza fra l’ipotesi elaborata dal gruppo di Giunti e l’esperienza vissuta da Agosti, a partire dall’itinerario seguito per avviare il processo di ricerca con l’individuazione dei contenuti ambientali, la scelta dei procedimenti, la preparazione dei materiali, la formazione dei gruppi di lavoro e lo svolgimento delle attività intergruppo. Emblematica fu, in tal senso, un’affermazione effettuata da Giunti qualche tempo prima: «realizzare una scuola come piccolo “centro di ricerca” significa realizzare una scuola in cui la realtà diventa maestra di scienza. Studiare, in questa scuola, vuol dire imparare a “leggere”, a interpretare razionalmente questa realtà non tanto per le informazioni che se ne possono ricavare quanto per imparare a “pensare” organicamente sulla base di fatti attentamente ed esaurientemente investigati, elaborati e interpretati per mezzo di metodi corretti di lavoro, espressi con linguaggio proprio»90. Nel convegno pietralbino del 1974, l’ipotesi della scuola come “centro di ricerca” venne approfondita soprattutto dal punto di vista della ricerca socio-storica, per la funzione che quest’ultima poteva svolgere nella costruzione di una scuola democratica basata sulla pratica dell’autogoverno, reinterpretando, in questo modo, l’idea di scuola come piccola polis veicolata da Agosti fin dagli anni Trenta con il suo «sistema dei reggenti»91. Particolare rilievo venne attribuito al suo carattere “contestativo”, da intendersi nel senso di “innovativo”: «è appena necessario avvertire che l’ipotesi della scuola come “centro di ricerca” espresse subito la sua forza contestativa nei riguardi dei metodi, dei programmi, della vita della scuola come istituzione: la ricerca libera infatti l’iniziativa degli alunni e degli insegnanti, ma rivela anche l’urgenza e l’essenzialità della collaborazione, che travalica il piano didattico e investe tutti i momenti della vita scolastica, rivelando la squisita dimensione politica dell’educazione»92. Nel 1975, i pietralbini ripresero nuovamente le fila del discorso, partendo dal punto di vista della ricerca geografica, per ribadire la funzione pedagogica della ricerca “comunitaria” e il valore aggiunto che essa assegnava al ruolo della scuola. «Le esperienze presentate, le discussioni, le relazioni hanno dimostrato che la scuola che affida alla ricerca l’educazione della libertà può legittimamente costituirsi come “centro della comunità”, cioè come il luogo al quale tutte le parti sociali e politiche possono guardare con gelosa premura perché ognuna di esse, per i valori che rappresenta, vive della stessa libertà delle persone che la compongono [Q]»93. 89 Id., La scuola come «centro di ricerca»: una proposta per il cambiamento, in A. Giunti, E. Damiano, A. Zoi, C. Scurati, G. Staluppi, M. Mencarelli, Un’ipotesi per la scuola della comunità: la scuola come “centro di ricerca”, cit., p. 16. 90 Id., Scuola come piccolo “centro di ricerca”, in AA.VV., La scuola come “centro di ricerca”. Ipotesi di un piano di lavoro alternativo al “programma” tradizionale, inserto pubblicato all’interno della rivista «Scuola Italiana Moderna», cit., p. 16. 91 Sul tema si rimanda a: M. Agosti, Il sistema dei reggenti. Verso la scuola integrale, [1950], La Scuola, Brescia 1961, pp. 19-20. 92 M. Mencarelli, Premessa, in A. Giunti, E. Damiano, A. Zoi, C. Scurati, G. Staluppi, M. Mencarelli, Un’ipotesi per la scuola della comunità: la scuola come “centro di ricerca”, cit., p. 7. 93 Ibidem. La questione venne particolarmente sviluppata da Mario Mencarelli nella sua relazione: Educazione alla «ricerca» e sviluppo sociale, pp. 145-162. 18 Anno IV– Numero 10 La continuità dell’impegno, dell’esperienza e della ricerca dei pietralbini trovò ulteriore espressione nel sesto ed ultimo quaderno della seconda serie, pubblicato nel 1978 con il titolo Pedagogia, politica e promozione umana94, nel quale vennero raccolte le relazioni presentate al ventinovesimo incontro pietralbino (1976). La scelta di un tema come quello del rapporto fra pedagogia, politica e promozione umana non fu dettata, in prima battuta, dall’esigenza di dare una risposta alle urgenze del momento storico, quanto dall’importanza di richiamare l’impegno pedagogico, politico e civile sostenuto dai maestri sperimentatori fin dal primo convegno del 1948. Un impegno che continuava – attraverso il loro agire educativo e didattico quotidiano – ad essere tradotto in un «ideale storico concreto»95. Tre furono i filoni di riflessione presi in considerazione: il rapporto fra fede, politica e presenza cristiana nella scuola (con gli interventi di Armando Rigobello e di Mario Mencarelli)96; il curricolo e l’educazione alla critica (con i contributi di Cesare Scurati e di don Enzo Giammancheri)97; la pedagogia dell’istituzione scolastica, i distretti scolastici e la comunità locale (con le relazioni di Luciano Corradini e di Elio Damiano)98. I principi di una pedagogia personalistica, di una concezione cristiana della vita e di un’educazione popolare trovarono, ancora una volta, nella scuola come “centro di ricerca” il proprio terreno di valorizzazione e riaffermazione, di fronte a una scuola sempre più chiamata allo scoperto sul piano della funzione politica dell’educazione, a una classe magistrale sempre più spinta a riconoscersi come nuova “identità” e nuovo “ruolo”, a una comunità impegnata ad elaborare una politica educativa improntata alle nuove istanze “curricolari”99, nel solco del processo di democratizzazione scolastica100. Ai pietralbini fu affidato il compito di riscoprire quelle pratiche di partecipazione e promozione umana che, ispirate ad una concezione personalistica della vita e dell’uomo, erano in grado di proporre idee per un’«educazione pluralistica e democratica» nella scuola della comunità, al fine di costruire un sistema educativo che trovasse nel pluralismo democratico il vigore necessario. La proposta da loro elaborata riprese, come sottolineato da Mencarelli, i migliori caratteri della scuola come “centro di ricerca”, fucina di istanze quali il rispetto della libertà dell’alunno e degli alunni, il «senso liberatorio» dell’educazione, la tensione ideale implicita nella ricerca, la forza generativa insita in una comunità disposta a considerare la scuola come «preziosa sorgente di umanità» da preservare da qualsiasi forma di contaminazione101. 94 A. Rigobello, M. Mencarelli, C. Scurati, E. Giammancheri, L. Corradini, E. Damiano, Pedagogia, politica e promozione umana, La Scuola, Brescia 1978. 95 M. Mencarelli, Premessa, in A. Rigobello, M. Mencarelli, C. Scurati, E. Giammancheri, L. Corradini, E. Damiano, Pedagogia, politica e promozione umana, cit., p. 6. 96 A. Rigobello, Politica, fede, cultura, pp. 13-34; M. Mencarelli, Libertà d’insegnamento e cultura cristiana, pp. 35-80. 97 C. Scurati, Curricolo, innovazione, decisione, pp. 81-96; E. Giammancheri, Primato critico della scuola, pp. 97-111. 98 L. Corradini, Identificazione cristiana e impegno civile nella scuola: primo bilancio dei decreti delegati, in vista dei distretti scolastici, pp. 115-150; E. Damiano, Funzione docente e partecipazione, pp. 151-176. 99 M. Mencarelli, Premessa, in A. Rigobello, M. Mencarelli, C. Scurati, E. Giammancheri, L. Corradini, E. Damiano, Pedagogia, politica e promozione umana, cit., p. 6. 100 G. Chiosso, Pedagogia e scuola in Italia tra utopia e riformismo (1968-1983), in S.S. Macchietti (a c. di), Questioni di storia della scuola italiana (1945-1985), cit., p. 62. 101 M. Mencarelli, Premessa, in A. Rigobello, M. Mencarelli, C. Scurati, E. Giammancheri, L. Corradini, E. Damiano, Pedagogia, politica e promozione umana, cit., p. 8. 19 Anno IV– Numero 10 I propulsori della scuola come “centro di ricerca” dovevano essere, ancora una volta, i maestri in quanto educatori cristiani, «convinti della forza liberatrice contenuta nei Vangeli, oltre che portatori di una coscienza pedagogica scientificamente sostenuta, e con ciò disposti a interpretare i “segni dei tempi” e a tradurre questa interpretazione in “ideali storici concreti” senza perdere di vista il destino comune degli uomini»102. Un confronto franco ed oggettivo con i problemi derivati dall’attuazione della leggedelega 477/73 e dei suoi decreti attuativi avrebbe consentito, secondo Mencarelli, di ribadire la necessità di un’educazione autenticamente liberatrice, capace di mettere a frutto i prodotti della battaglia pluridecennale condotta dal gruppo pedagogico di «Scuola Italiana Moderna» a favore del riconoscimento della libertà di insegnamento e del primato cristiano della scuola. Una battaglia iniziata con l’opera intrapresa da Giuseppe Tovini alla fine dell’Ottocento, continuata nel tempo, fatta propria dai primi pietralbini nell’estate del 1948 e ora rinvigorita dal confronto con la «carica di ambiguità» che il testo del DPR 417/74 portava con sé in materia di libertà di insegnamento103, in stretta relazione all’evoluzione subita in quel frangente dalla professionalità docente, ai sensi dell’art. 2 del medesimo DPR. Per Mencarelli, la libertà di insegnamento attendeva di essere messa alla prova nelle “forme positive”, frutto della forza costruttiva che è propria della libertà autentica: per questo motivo, tali forme rappresentavano anche il metro di verifica delle sue possibilità di attuazione. La valorizzazione della professionalità docente, dal canto suo, non poteva essere perseguita senza una volontà decisa e impegnata, né senza l’esplicita partecipazione di coloro che di quella professione erano i diretti protagonisti104. Questo perché tale professionalità implicava una stretta connessione fra preparazione scientifica e maturazione di una morale professionale, ovvero, riprendendo i termini utilizzati da Marco Agosti e Vittorino Chizzolini nell’opera Maturità magistrale (1959), un connubio di maturità etico-religiosa (carattere, fede, vocazione), maturità umanistico-professionale (cultura, arte, disposizione naturale) e maturità politico-sociale (anelito alla giustizia sociale, coscienza civica e amore della Patria, slancio di apostolato)105. Un altro richiamo, a tal proposito, era contenuto anche nel titolo I e nel titolo II del 102 Ivi, p. 9. L’art. 1 del DPR 417/74 recita: «Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dalle leggi dello Stato, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento. L'esercizio di tale libertà è inteso a promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni culturali la piena formazione della personalità degli alunni. L'esercizio di tale libertà è inteso a promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni culturali la piena formazione della personalità degli alunni». Nell’art. 2 si legge: «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità». 104 M. Mencarelli, Libertà di insegnamento e cultura cristiana, in A. Rigobello, M. Mencarelli, C. Scurati, E. Giammancheri, L. Corradini, E. Damiano, Pedagogia, politica e promozione umana, cit., p. 43. 105 M. Agosti, V. Chizzolini, Maturità magistrale, La Scuola, Brescia 1959, pp. 11-13 e 22-26. Sul tema della formazione dei maestri promossa da «Scuola Italiana Moderna», si vedano: R. Sani, «Scuola Italiana Moderna» e il problema dell’educazione popolare negli anni del secondo dopoguerra, 1945-1962, in M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a c. di), Maestri, educazione popolare e società in «Scuola Italiana Moderna», 18931993, La Scuola, Brescia 1997, pp. 265-319; L. Caimi, «Scuola Italiana Moderna» e la formazione del maestro nel secondo dopoguerra (1945-1968), «Pedagogia e Vita», LV, 1, 1997, pp. 43-63; P. Todeschini, I maestri e la scuola del popolo. Vittorino Chizzolini a «Scuola Italiana Moderna» (1929-1958), in E. Damiano (a c. di), La centralità dell’amore. Esplorazioni sulla pedagogia di Vittorino Chizzolini, cit., pp. 76-100. 103 20 Anno IV– Numero 10 DPR 419/74, dedicati rispettivamente ai temi della “sperimentazione e ricerca educativa” e dell’“aggiornamento culturale e professionale”. Come precisato da don Enzo Giammancheri in un’altra occasione, il DPR 419/74 rappresentò un fatto di capitale importanza nella scuola italiana, perché la sperimentazione didattica condotta con metodo scientifico – come quella realizzata dai pietralbini fin dal 1948 – era un’assoluta novità, a fronte della constatazione che per lungo tempo fu del tutto ignorata e supplita dal buon senso, dall’estro inventivo, dall’amore per gli alunni, dalla personalità dell’educatore e dell’insegnante106. Anche in questo caso, la “lezione” pietralbina risultava quanto mai attuale e ricca di spunti per il futuro. Evelina Scaglia Assegnista di ricerca – Università degli studi di Bergamo Research Fellow – University of Bergamo 106 E. Giammancheri, Le nuove norme di fronte alle istanze universali della pedagogia moderna, in AA.VV., La nuova scuola della partecipazione, cit., p. 25. 21
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