n°2 marzo-aprile

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Numero 2/2012
Marzo/Aprile
PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
LA
MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE
IL CAF EXTERNAL FEEDBACK
Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 – DCB Milano - Contiene I.P.
ESPERIENZE: UNIVERSITÀ, GIUSTIZIA, SCUOLA
SICUREZZA E SALUTE
SUL LAVORO
ACCORDO STATO – REGIONI
VERIFICHE
AMBIENTI PARTICOLARI
VALUTAZIONE DELLA
CONFORMITÀ
ACCREDIA NEL SETTORE COGENTE
LA NORMA ISO 17021
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Associazione Italiana Cultura Qualità
FEDERAZIONE NAZIONALE
SETTORI TECNOLOGICI
20124 Milano - via Cornalia, 19
tel. 02 66712484 - fax 02 66712510
[email protected] - http://www.aicq.it
Presidente: Vincenzo Mazzaro
Vicepresidente: Marco Gentilini
Assemblea: Giovanni Romano; Federica Galleano;
Santo Paternò; Antonio Lanzotti; Ettore La Volpe; Franco
Drusiani; Marco Gentilini; Alberto Bobbo
Giunta esecutiva: Giovanni Romano; Alessandro Manzoni;
Marco Gentilini; Walter Piacentini; Claudio Rosso;
Santo Paternò; Ettore La Volpe; Alberto Bobbo
Segretario Generale: Ettore La Volpe
Segreteria Nazionale: Annalisa Rossi
Settore Alimentare
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Claudio Mariani
Settore Autoveicoli
c/o Associazione Piemontese
Presidente: Federico Rivolo
Settore Costruzioni Civili
c/o Associazione Centro Insulare
Presidente: Antonino Santonocito
Settore Elettronico ed Elettrotecnico
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Giovanni Mattana
Settore Servizi per i Trasporti
c/o Associazione Centro Insulare
Presidente: Sergio Bini
Settore Turismo
c/o Associazione Piemontese
Presidente: Caterina Fioritti
Settore Trasporto su Rotaia
c/o AICQ Nazionale
Presidente: Gianfranco Saccione
Settore Scuola
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Paolo Senni Guidotti Magnani
ASSOCIAZIONI TERRITORIALI DELLA FEDERAZIONE
AICQ - Associazione Italia Centronord
20124 Milano - via M. Macchi, 42 - tel. 02 67382158
fax 02 67382177 - [email protected]
Presidente: Giovanni Romano
AICQ - Associazione Piemontese
10128 Torino - via Genovesi, 19 - tel.011 5183220
fax 011 537964 - [email protected]
Presidente: Federica Galleano
AICQ - Associazione Tosco Ligure
c/o CIPAT Via dei Pilastri n°1/3 50121 Firenze
Tel. e fax 055 481524
Presidente: Ettore La Volpe
AICQ - Associazione Triveneta
30174 Mestre (VE) - Galleria Giacomuzzi, 6
tel. 041 951795 fax 041 940648 - [email protected]
Presidente: Alberto Bobbo
AICQ - Associazione Emilia Romagna
40129 Bologna - via Bassanelli, 9/11
tel. 3355745309 - fax 051 0544854 - [email protected]
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AICQ - Associazione Centro Insulare
00185 Roma - via di San Vito, 17 - tel. 06 4464132
fax 06 4464145 - [email protected]
Presidente: Marco Gentilini
AICQ - Associazione Meridionale
80125 Napoli - via Giulio Cesare, 101 - tel. 081 2396503
fax 081 6174615 - [email protected]
Presidente: Antonio Lanzotti
AICQ - Associazione Sicilia
90139 Palermo - via F. Crispi 120,
c/o Ordine degli Ingegneri
della Provincia di Palermo
cell. 334. 95 49 274 - fax 091 9889355
[email protected]
Presidente: Santo Paternò
COMITATI TECNICI
Comitato Ambiente
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Antonio Scipioni
Comitato Salute e Sicurezza
c/o Associazione Nazionale
Coordinatore: Diego Cerra
Comitato Metodi Statistici
c/o Associazione Nazionale
Presidente: Egidio Cascini
Comitato Metodologie di Assicurazione della Qualità
c/o Associazione Centro Insulare
Presidente: Francesco Carrozzini
Comitato Normativa e Certificazione
dei Sistemi Gestione Qualità
c/o Associazione Nazionale
Presidente: Cecilia de Palma
Comitato Qualità
del Software e dei servizi IT
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Mario Cislaghi
Comitato Risorse Umane e Qualità del Lavoro
c/o Associazione Triveneta
Presidente: Piero Dettin
Comitato Aziende Benchmarking/TQM
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sommario
Tema 2
Salute e Sicurezza sul lavoro
Le verifiche periodiche di macchine
e apparecchi
21
Francesco Taurasi, Diego Cerra
Accordo Stato-Regioni per percorsi formativi
conformi
25
Umberto Gelati, Alessandro Cafiero
In via eccezionale la rubrica corsi comparirà sul nostro sito
http://aicqna.com/redazione/qualita/
sezione “segnalazione articoli”
Formazione dei lavoratori e accordo
stato-regioni
28
Diego Cerra
Editoriale
Requisiti per lavorare in sicurezza in spazi
confinati
Bisogno di qualità. Anche ‘segnali’ di qualità? 3
Francesco Taurasi, Diego Cerra
34
Giovanni Mattana
Tema 1 Pubblica Amministrazione
Misurare la performance delle organizzazioni 4
Aziende a rischio di incidente rilevante
Giovanni Mattana
Tema 3
Valutazione della conformità
La procedura europea CAF external feedback 10
Settore cogente: il ruolo di Accredia
Claudia Migliore
Filippo Trifiletti
Il CAF per l’Università
13
Emanuela Stefani
38
Francesco Taurasi
La revisione della norma ISO 17021
44
48
Giovanni Mattana
Il modello CAF nella giustizia
15
Rubrica Eventi
Dalla Regola Benedettina alla Qualità Totale 52
Raffaele Mea. Salvatore Quercia
Performance e sistema formativo
e giudiziario
18
F. De Cillis, P. Senni Guidotti Magnani, S. La Rosa, V. Catania
Rubrica Qualità dal Mondo
56
a cura della Redazione
Ringraziamo tutti i collaboratori ed in particolare Il Comitato Salute e Sicurezza
ed il suo coordinatore Ing. Diego Cerra
n. 2 marzo/aprile 2012
Edizione Nazionale AICQ
Autorizzazione del Trib. di Torino
n. 783 del Registro del 28/11/52
ISSN 2037-4186
Direttore responsabile
Giovanni Mattana
Redazione
Annalisa Rossi
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Composto da: Giovanni Mattana (coordinatore),
Presidente AICQ, Sergio Bini, Claudio Rosso,
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Mario Cislaghi, Cecilia de Palma, Piero Dettin,
Italo Benedini.
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Giovanni Mattana
Nel momento in cui scrivo, in Italia, siamo (quasi) tutti (un po') più fiduciosi. Perché? perché è stata definita una strategia più consapevole e integrata, perché c’è maggiore chiarezza sugli impegni e nelle relazioni, perché stiamo attuando decisioni adeguate , perché siamo più credibili, perché c’è maggior coinvolgimento degli stakeholder, perché è stato ridotto il rischio di reputazione? Probabilmente sì, un po’ di tutto questo.
Ma tutto ciò non è forse Qualità? Non sono prassi adatte a tutti i contesti e supportate da strumentazioni ben note? Vi ricordate quando qualcuno sosteneva che la strategia non serviva più perché era stata sostituita dal mercato?
Ora abbiamo occhi che ci fanno cogliere molto più distintamente i grossi disastri dovuti alla non-qualità.
Ricordiamo il messaggio di Joseph Juran secondo cui la società di oggi vive dietro le dighe della qualità (si riferiva ai territori che gli olandesi hanno strappato al mare); se ci sono brecce nelle dighe della qualità i possibili danni sono incalcolabili (si tratti della difesa del territorio, della prevenzione in tutti i campi, di cadute di reputazione che distruggono le economie, di rispetto delle regole di rotta...).
Cosa intendiamo per diffusione della Qualità?
Siamo soliti utilizzare la definizione di qualità adottata per i sistemi di gestione, il grado in cui un insieme di caratteristiche soddisfa
ai requisiti; ma diffusione della qualità ha un significato più ampio: è il grado in cui i valori e i metodi della disciplina della qualità
contribuiscono alla soluzione dei problemi e allo sviluppo della società e delle organizzazioni. Un indicatore di ampia generalità e
di immediata comprensibilità.
Il clima ritrovato di una maggiore fiducia include allora varie componenti della qualità?
Anche qualche segnale di suo rilancio?
Mi piace mettere assieme alcuni segnali (certo ancora ‘deboli’) di possibile ripresa della qualità, dei quali parliamo in questo numero della Rivista.
• Mi sembra molto importante che si stia diffondendo il concetto del ciclo della performance, il quale rende tutti più consapevoli
della necessità di definire bene gli obiettivi, misurarli, ottenerli, migliorarli; la misurazione della performance ne è una componente essenziale e costituisce una innovazione nella pubblica amministrazione (e non solo), e nella cultura oltre che nelle prassi
organizzative ed operative.
• Il Miglioramento delle performance nella Giustizia ne è componente importante.
• E così pure Il ciclo di gestione della performance negli Enti Locali con Esperienze e Leading Practices.
• La recente uscita delle norme sull’Audit (ISO 19011) e sull'accreditamento degli organismi di certificazione e delle loro prassi (ISO
17021), costituisce un'occasione importante per rilanciare la competenza che deve essere definita per tutti i livelli; e non solo per
migliorare la credibilità complessiva del sistema di gestione, ma anche per costituire occasione di maggior efficacia; e naturalmente tali competenze devono essere definite, misurate con gli strumenti proposti, dimostrate e soggette a miglioramento continuo; un'occasione da non perdere: per alcuni anni non passerà un'altra occasione pari a questa sul fronte della competenza in ambito di valutazione della conformità.
• Anche per la Sicurezza sul posto di lavoro una recente legge estende l’impegno obbligatorio nella formazione ai vari livelli.
Questo insieme di segnali deboli può essere sufficiente per vedervi un cambio di tendenza?
Ma certo almeno mostra una crescita nella diffusione della qualità, come sopra definita.
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ed i to r i a l e
Bisogno di qualità.
Anche ‘segnali’
di qualità?
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
>> Giovanni Mattana
Una sfida epocale
Misurare la performance
delle organizzazioni
Il vero viaggio di scoperta
non consiste nel cercare nuove
terre ma nell’avere nuovi occhi
M. Proust
Introduzione
Negli ultimi 20-30 anni quasi tutti i Paesi si sono dovuti misurare con la necessità di una trasformazione radicale della
propria PA: quella di passare da una logica degli adempimenti ad una logica
dell’efficacia, congiunta ad una logica di
priorità delle risorse (divenute, nel contempo sempre più limitate e controllate).
D. Osborne e T. Gaebler ‘Reinventing
Government’, 1992, danno questi titoli
ad alcuni capitoli
✎ Se non si misurano i risultati, non è
possibile distinguere i successi dai
fallimenti;
✎ Se non si distinguono i successi, non
è possibile premiarli;
✎ Se non si premiano i successi, si finisce quasi sempre per premiare gli insuccessi;
✎ Se non si distinguono i successi, non
si può apprendere dai successi;
✎ Se non è possibile riconoscere gli insuccessi, non è possibile correggerli;
✎ Se si possono dimostrare i risultati, si
può guadagnare il supporto dell'opinione pubblica.
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Per un cenno alla panoramica di varie
Nazioni e un richiamo alla situazione
italiana si veda nota1.
Anche in Italia il dl. 150/09 (attuazione
legge n. 15/2009) ’Ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico ed efficienza e trasparenza delle PA’ impone
✎ “Ogni amministrazione pubblica è
tenuta a misurare e a valutare la
performance con riferimento all’amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai
singoli dipendenti” (art. 3, comma
2).
✎ Il modello su cui si basa la valutazione viene definito Sistema di misurazione e valutazione della performance.
✎ Tale Sistema deve essere stabilito da
ciascuna amministrazione in accordo alle linee guida fornite dalla CIVIT.
✎ In sede di prima attuazione spetta
agli OIV, Organismi Indipendenti di
Valutazione di ciascuna amministrazione pubblica definire il Sistema di
misurazione e valutazione della
performance (art. 30).
Che cos’è la CiVIT -Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni
pubbliche.
È stata istituita per guidare, controllare e
valutare l’attuazione delle leggi citate.
Ha emesso finora, nei suoi due anni e
mezzo di attività 160 delibere, ha tradotto la legge in prescrizioni operative e
di indirizzo, ha approvato singolarmente tutte le composizioni degli OIV (organismi indipendenti di valutazione), ha
via via monitorato gli avanzamenti e valutato quanto ricevuto secondo specifiche griglie.
Fin da subito la Civit ha fissato le scadenze per i primi urgenti adempimenti
di attuazione del ciclo di gestione della
performance:
✎ Entro dicembre 2010 gli Organi devono individuare le linee strategiche
ed operative;
✎ entro gennaio 2011 gli Organi devono presentare alla CIVIT il “Piano
della performance 2011-2013”,
✎ a cascata gli Organi devono assegnare gli obiettivi strategici a ciascuna struttura, corredati dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori (individuali e organizzativi);
✎ durante l’anno gli Organi di indirizzo, con il supporto dei dirigenti, devono monitorare l’andamento della
performance rispetto agli obiettivi
programmati.
CiVIT- Delibera 88/2010- ‘Linee Guida
per la definizione degli Standard di Qualità’
Devono essere definiti ed adottati da ogni
Amministrazione:
A. il “Piano della Performance”: è l’am-
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❙ Misurare la performance delle organizzazioni ❙
Il “Piano della
Performance”
La Delibera CIVIT n. 112/2010 (D.L.vo
150/09, art. 10) ne stabilisce i contenuti. Il Piano, che deve essere prodotto dall’organo di indirizzo politico-amministrativo, definisce indirizzi ed obiettivi
strategici ed operativi e, con riferimento
agli obiettivi finali ed intermedi ed alle
risorse, individua gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione, nonché gli
obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori. Contenuti
necessari:
1. Presentazione del Piano e indice
2. Sintesi delle informazioni di interesse
per i cittadini e gli stakeholder esterni
2.1 Chi siamo
2.2 Cosa facciamo
2.3 Come operiamo
3. Identità
3.1 L’amministrazione “in cifre”
www.aicq.it
3.2 Mandato istituzionale e Missione
3.3 Albero della performance
4. Analisi del contesto
4.1 Analisi del contesto esterno
4.2 Analisi del contesto interno
5. Obiettivi strategici
6. Dagli obiettivi strategici agli obiettivi
operativi
6.1 Obiettivi assegnati al personale dirigenziale
7. Il processo seguito e le azioni di miglioramento del Ciclo di gestione delle performance
7.1 Fasi, soggetti e tempi del processo
di redazione del Piano
7.2 Coerenza con la programmazione
economico-finanziaria e di bilancio
7.3 Azioni per il miglioramento del Ciclo di gestione delle performance
8. Allegati tecnici
L’arco temporale di riferimento del Piano è il triennio, con scomposizione in
obiettivi annuali, secondo una logica di
scorrimento. La struttura del documento deve permettere il confronto negli anni dello stesso con la Relazione sulla
performance.
Nella definizione del Piano occorre, inoltre, tenere conto di due elementi.
✎ 1. Il collegamento ed integrazione
con il processo ed i documenti di
programmazione economico-finanziaria e di bilancio
✎ 2. La gradualità nell’adeguamento ai
principi e il miglioramento continuo
Il “Sistema di Misurazione
e valutazione della
Performance”
Ha lo scopo di ‘valutare se l'organizzazione è capace di raggiungere le performance stabilite’.
Il Sistema deve essere strutturato in modo tale da consentire, fra l’altro, la misurazione, la valutazione e, quindi, la
rappresentazione in modo integrato ed
esaustivo, con riferimento a tutti gli ambiti indicati dagli articoli 8 e 9 del decreto, del livello di performance atteso
(che l'amministrazione si impegna a conseguire) e realizzato, con evidenziazione degli eventuali scostamenti;
Ricordiamo i requisiti minimi del Sistema- Contenuti indispensabili (delibere
CIVIT n. 88, 89 e 104 del 2010):
✎ Descrizione del Sistema
- Descrizione delle caratteristiche distintive dell’organizzazione
- Metodologia adottata per la misurazione e la valutazione della performance complessiva
- Metodologia adottata per la misurazione e valutazione della performance individuale
- Modalità con cui verrà garantita la
trasparenza totale del Sistema e della sua applicazione
- Modalità con cui si intendono realizzare indagini sul personale dipendente (benessere organizzativo,
grado di condivisione del Sistema e
valutazione del proprio superiore)
- Modalità con cui l’amministrazione
intende promuovere progressivamente il miglioramento del Sistema.
✎ Processo
La definizione del processo dovrà con
tenere:
- Fasi (da inquadrare nel ciclo di gestione della performance indicato
dall’art. 4 del d.lgs. 150/09)
- Tempi (la programmazione delle tempistiche dovrà garantire il rispetto
delle scadenze imposte per legge e
l’ottimizzazione dei tempi interni)
- Modalità di attuazione del processo (con particolare importanza alla
integrazione delle risorse umane e
strumentali)
✎ Soggetti e responsabilità: soggetti
chiamati a svolgere la funzione e
soggetti consultati come stakeholder
esterni ed interni.
Un Sistema di misurazione della performance si compone di tre elementi fondamentali:
1. indicatori
2. target
3. infrastruttura di supporto e processi.
Un indicatore di performance è lo strumento che rende possibile l’attività di acquisizione di informazioni.
Un target è il risultato che un soggetto si
prefigge di ottenere, ovvero il valore desiderato in corrispondenza di un’attività
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bito in cui le amministrazioni pubbliche esplicitano gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e, quindi, i
relativi indicatori e valori programmati per la misurazione e la valutazione dei risultati da conseguire.
B. il “Sistema di misurazione e valutazione della performance”: è il documento dove le amministrazioni pubbliche esplicitano le caratteristiche del
modello complessivo di funzionamento alla base dei sistemi di misurazione e valutazione;
C. la “Relazione sulla performance”, in
cui le amministrazioni pubbliche evidenziano i risultati organizzativi ed
individuali raggiunti rispetto ai target
attesi, definiti ed esplicitati nel Piano
della Performance.
D. le misure in materia di “Trasparenza
e Rendicontazione della Performance”, ossia l’attivazione di tutte quelle
azioni e strumenti che consentono ai
cittadini di accedere agevolmente alle informazioni circa il funzionamento dell’ente e i risultati raggiunti.
Nel seguito vengono illustrati i contenuti dei primi tre documenti.
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> Fig 1- Quadro di riferimento dell’azione delle amministrazioni
o processo.
Il terzo elemento di un Sistema di misurazione è rappresentato dall’infrastruttura di supporto e dai soggetti responsabili dei processi di acquisizione, confronto, selezione, analisi, interpretazione e
diffusione dei dati, garantendone la tracciabilità.
Sviluppo di indicatori e target
Affinché il processo di misurazione sia
rilevante, gli indicatori devono essere collegati ad obiettivi e devono puntare a generare risultati adeguati a questi obiettivi e non valori ‘ideali’ o a valori ‘veri’.
Vengono precisati i requisiti a cui gli indicatori debbono soddisfare.
Fasi di maturità dei Sistemi di misurazione
FASE 1 -I requisiti minimi previsti dalla
Commissione Civit corrispondono essenzialmente alle condizioni necessarie per
l’esistenza di un Sistema di misurazione
FASE 2 - Sistema di misurazione strutturato attorno a tutti gli obiettivi strategici
e di outcome previsti, specificata una
traiettoria di miglioramento per ogni
obiettivo, la mappatura di processi e attività chiarisce come gli input e i processi
di trasformazione contribuiscano al raggiungimento di output e outcome strutturato attorno a tutti gli obiettivi strategici e di outcome previsti.
FASE 3 - l’utilizzo di una mappa strategica
a livello di vertice intorno ai fattori di
successo e ai modi di raggiungere gli
obiettivi, responsabilità associate a target e indicatori report periodici di facile
fruizione.
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L’organo di indirizzo politico-amministrativo coinvolto nella valutazione della performance, e nell'adeguamento periodico del Sistema di misurazione.
Esempi di modelli di misurazione esistenti
La finalità di questa sezione non è suggerire l’implementazione di uno specifico modello di misurazione ma, attraverso un confronto tra alcuni di essi, indirizzare verso una scelta che rifletta le esigenze specifiche di ogni organizzazione. Si tratta di modelli multidimensionali che hanno trovato sovente applicazione nel settore pubblico anche in Italia. I
modelli più diffusi sono:
1 - Balanced Scorecard (BSC) – probabilmente più noto, caratterizzato da un
forte legame sia tra risultati, processi e
risorse, nonché tra obiettivi, indicatori ed azioni [15];
2 - Common Assessment Framework
(CAF) - utilizzato anche in alcune pubbliche amministrazioni italiane (principalmente negli enti locali) e ispirato
ai sistemi di qualità (EFQM, European
Foundation for Quality Management),
si fonda sull’autovalutazione e utilizza
una larga gamma di indicatori (nell’articolo citato in nota 1 è riportato un
confronto tra le caratteristiche dei due
modelli proposti).
Relazione della
Performance
Nella Relazione l’OIV deve riferire sul
funzionamento complessivo del sistema
di valutazione, trasparenza e integrità dei
controlli interni, mettendo in luce gli
aspetti positivi e negativi nell’attuazione
del ciclo di gestione della performance.
Lo scopo è quello di evidenziare i rischi
e le opportunità di questo sistema al fine
di presentare proposte per svilupparlo e
integrarlo ulteriormente (cfr. sezione 8).
La Commissione richiede, altresì, che alla Relazione venga allegata l’Attestazione dell’OIV.
La Relazione si articola nelle seguenti sezioni, paragrafi e sottoparagrafi:
1 PRESENTAZIONE E INDICE
2 FUNZIONAMENTO COMPLESSIVO
DEL SISTEMA DI MISURAZIONE E VALUTAZIONE
2.1 Performance organizzativa
2.1.1 Definizione di obiettivi, indicatori e target
2.1.2 Misurazione e valutazione della
performance organizzativa
2.1.3 Metodologia per la misurazione
e valutazione della performance organizzativa
2.2 Performance individuale
2.2.1 Definizione ed assegnazione degli obiettivi, indicatori e target
2.2.2 Misurazione e valutazione della
performance individuale
2.2.3 Metodologia per la misurazione
e valutazione della performance individuale
2.3 Processo (fasi, tempi e soggetti
coinvolti)
2.4 Infrastruttura di supporto
2.5 Utilizzo effettivo dei risultati del
sistema di misurazione e valutazione
3 INTEGRAZIONE CON IL CICLO DI BILANCIO E I SISTEMI DI CONTROLLI
INTERNI
3.1 Integrazione con il ciclo di bilancio
3.2 Integrazione con gli altri sistemi
di controllo
4 IL PROGRAMMA TRIENNALE PER LA
TRASPARENZA E L’INTEGRITÀ E IL RISPETTO DEGLI OBBLIGHI DI PUBBLICAZIONE
5 DEFINIZIONE E GESTIONE DI STANDARD DI QUALITÀ
6 COINVOLGIMENTO STAKEHOLDER
7 DESCRIZIONE DELLE MODALITÀ DI
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❙ Misurare la performance delle organizzazioni ❙
7
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> Fig 2 - Quadro complessivo dei documenti richiesti
MONITORAGGIO DELL’OIV
8 PROPOSTE DI MIGLIORAMENTO
DEL CICLO DI GESTIONE DELLA
PERFORMANCE
9 ALLEGATI
Ciclo di gestione
della Performance
E’ il quadro di riferimento dell’azione
delle amministrazioni
Il sistema si inserisce nell’ambito del ciclo di gestione della performance articolato, secondo l’articolo 4, comma 2,
del decreto, nelle seguenti fasi:
a) definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei
valori attesi di risultato e dei rispettivi
indicatori;
b) collegamento tra gli obiettivi e l’allocazione delle risorse;
c) monitoraggio in corso di esercizio e
www.aicq.it
attivazione di eventuali interventi correttivi;
d) misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale;
e) utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito;
f) rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni,
nonché ai competenti organi esterni,
ai cittadini, ai soggetti interessati, agli
utenti e ai destinatari dei servizi.
In fig 2 è riportato un quadro complessivo dei documenti richiesti e in fig3 un
quadro di connessioni tra le varie competenti.
I ruoli
La delibera 1.2012 stabilisce ruoli sia per
il Piano che per il Sistema di valutazione:
Definizione/aggiornamento del Sistema:
Dirigenza, in particolare di vertice
Adozione del Sistema: Organo di indirizzo politico-amministrativo
Attuazione del Sistema: Organo di indirizzo politico-amministrativo-Dirigenza-Personale-OIV (Struttura Tecnica Permanente)
Monitoraggio e audit del Sistema: OIV
(Struttura Tecnica Permanente)-Personale, dirigenziale e non
Scopi del Sistema di misurazione
Questo Sistema di misurazione renderà
le organizzazioni capaci di:
✎ acquisire informazioni relative agli
obiettivi e monitorare i progressi ottenuti rispetto ai target individuati;
✎ legare le fasi di pianificazione, formulazione e implementazione della
strategia allo svolgimento dei piani
d’azione;
✎ comunicare obiettivi e risultati all’in-
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
terno e all’esterno dell’organizzazione, nonché confrontare la propria
performance in un’ottica di benchmarking nel caso in cui alcuni indicatori siano comuni a più organizzazioni;
✎ influenzare i comportamenti organizzativi;
✎ generare cicli di apprendimento
L’applicazione e
valutazione nella realtà
operativa - una griglia di
analisi dei sistemi di
misurazione e valutazione
della performance
finalità
Le finalità dell’analisi dei Sistemi di misurazione e valutazione della performance possono essere riassunte nei seguenti punti:
1) L’individuazione del livello di “maturità” del Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa
2) L’individuazione delle principali criticità e, quindi, delle aree di miglioramento a maggiore priorità,
3) La promozione delle buone prassi.
In tab 1 è riportata la griglia di valutazione per i sistemi di misurazione della
performance.
Naturalmente il collegamento fra Piano
e Sistema di misurazione e valutazione
dovrebbe essere il più immediato fra quelli previsti fra i vari elementi del ciclo di
gestione della performance.
Quale è stato il grado di applicazione?
Oltre l’80% dei ministeri e oltre il 65%
degli altri Ente hanno trasmesso alla Civit quanto richiesto. Tutti questi dati sono stati tempestivamente analizzati e valutati in accordo alle griglie sopra descritte.
> Fig 3 - Connessioni tra le varie competenti
mensione qualità è significativamente più basso rispetto al punteggio
medio relativo alla dimensione
“compliance”,
✎ le Amministrazioni, in sede di prima
adozione del Sistema hanno prestato
maggiore attenzione al rispetto delle
prescrizioni normative e alle delibere CiVIT, e hanno rinviato il potenziamento della qualità dei Sistemi
adottati ad un momento successivo,
✎ per alcune Amministrazioni, tale
processo di potenziamento appare
attentamente pianificato, mentre in
altri casi non è possibile rilevare una
chiara pianificazione in tal senso,
✎ alcune Amministrazioni che non
hanno inviato il Sistema alla CiVIT e
si sono sottratte alle opportunità offerte dal sistema di monitoraggio (la
pagella dei ..cattivi!).
Vengono segnalate alcune criticità, relative in particolare a:
✎ la metodologia di misurazione della
performance organizzativa;
✎ la metodologia di definizione e revisione di indicatori e target associati
agli obiettivi;
I primi risultati complessivi
In fig 4 è riportato un esempio delle valutazioni pubblicate nella griglia Compliance vs. qualità.
Macro-criticità
emerse
✎ il punteggio medio ottenuto nella di-
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> Tab 1 - Alcuni criteri della Griglia di misurazione
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❙ Misurare la performance delle organizzazioni ❙
✎ il coinvolgimento degli stakeholder;
✎ la definizione degli outcome;
✎ le procedure di conciliazione;
✎ il collegamento con i sistemi pre-
mianti;
✎ i piani di miglioramento individuali;
✎ il dizionario delle competenze.
Azioni migliorative
La Commissione, per superare tali criticità sta seguendo una metodologia di accompagnamento, in maniera da consentire a ciascuna Amministrazione di
migliorare progressivamente il livello di
maturità dei Sistemi di misurazione e valutazione della performance. Va infine
sottolineato, ancora una volta, come la fase della misurazione, alla luce dell’analisi illustrata, rischia di costituire l’anello debole dell’intero ciclo di gestione della performance.
Per le Amministrazioni che hanno già
realizzato passi in avanti in materia di sistemi di misurazione si rende necessario
continuare tenacemente su questa strada; per tutte le altre viene richiesto un
impegno maggiore.
Le scadenze
per 2012
✎ Per le Amministrazioni e OIV:
31.1.2012 per il Piano della Perfor-
www.aicq.it
mance 2012; 31.3 per la relazione
degli OIV sul funzionamento complessivo del Sistema e’Relazione sulla performance’ delle singole
Amm.ni; 30.04.2012 – Validazione
da parte degli OIV della “Relazione
sulla performance “ delle singole
amministrazioni (art. 14, comma 4,
lett. c) d.lgs. 150/2009)
✎ Per la CIVIT:
- 31.01.2012 - Relazione al Ministro
per l’attuazione del programma di
governo (art. 13. ,comma 9 d.lgs.
150/2009)
- 30.06.2012 – Presentazione al Parlamento e adozione di altre forme
di diffusione della Relazione annuale
sulla performance delle amministrazioni centrali.
Alcune considerazioni
conclusive
✎ Sfida epocale
La capacità di padroneggiare la misurazione delle prestazioni costituisce una sfida epocale che sarà determinante sul successo e sul benessere delle nazioni oltre
che delle organizzazioni.
✎ Validità generale: stimolo e confronto per tutti i tipi di organizzazioni
Possono essere scelti approcci differen-
(Sul sito Civit www.civit.it sono consultabili tutte le delibere e le pubblicazioni
prodotte).
■ NOTE
1
G. Mattana, Qualità, 1-2011, QUALITA'
NELLA PA
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te m a
> Fig 4 - Diagramma generale Compliance - qualità sistemi di misurazione e valutazione della performance
ti (con rispettivi vantaggi e svantaggi);
quello descritto costituisce un approccio certamente molto dirigistico e prescrittivo, motivato dalla necessità di coinvolgere i vertici e di fissare scadenze
molto ravvicinate.
Istituisce un forte ed essenziale collegamento tra il Piano delle Performance, il
Sistema di valutazione e la relazione sulla performance ottenuta. Suo limite (peraltro riconosciuto) è quello di non prevedere un coinvolgimento e una formazione diffusa.
Anche le aziende che avevano scelto approcci molto più graduali sono oggi sollecitate a un ripensamento della propria
velocità di marcia e sulla priorità ai fondamentali.
✎ Una fotografia della PA dell'Italia
sulla Qualità
Ne emerge una prima fotografia nuova
e trasversale, non molto lusinghiera, ma
contenente un progetto monitorato e trasparente di miglioramento e di emulazione.
✎ Un percorso accompagnato di miglioramento e crescita, ma una insufficiente partecipazione e formazione
Le valutazioni di Civit costituiscono uno
stimolo permanente per il confronto e la
riduzione delle aree da migliorare. Dalla analisi delle aree bisognose di miglioramento da segnalare quelle della comunicazione, del coinvolgimento sia dei
cittadini che del personale delle organizzazioni e la formazione.
✎ Ruolo e attività della Civit
L’attività della Civit rappresenta un esempio assolutamente virtuoso sia di gestione degli obiettivi di medio-lungo periodo sia di rigorosa puntuale e motivata verifica di quanto stabilito; tutto ciò in una
prospettiva di crescita e accompagnamento e di assoluta trasparenza.
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
>> Claudia Migliore
Centro Risorse CAF
La procedura europea
CAF external feedback
Un’opportunità per le amministrazioni
pubbliche che intraprendono la strada
del miglioramento continuo
D
alla fine degli anni ‘90, la gestione
della qualità è diventata un obiettivo importante per le amministrazioni pubbliche. Ma oggi ancor più di
allora l’efficienza del sistema pubblico
(ed in particolare di alcuni settori della
pubblica amministrazione) è diventata
una priorità a livello nazionale e a livello europeo dove si sottolinea l’assoluta
necessità di rivedere l’amministrazione
pubblica e di utilizzare sistematicamente indicatori di performance allo scopo
di migliorare l’efficienza amministrativa
(cfr. indicazioni della BCE).
In questo contesto, a cui la Legge 15, il
Dl.vo 150 e le successive delibere Civit
hanno aperto la strada, assume più che
mai valore il lavoro che da anni i Ministri dell’UE responsabili della pubblica
amministrazione e i Direttori Generali
competenti stanno promuovendo e realizzando in tema di gestione della qualità. Organizzati in un network (l’EUPAN
– European Public Administration
Network) ed articolati in gruppi di lavoro i referenti dei diversi paesi membri
dell’UE hanno lavorato alla definizione di
strumenti, metodologie e modelli per le
pubbliche amministrazioni europee con
marzo/aprile 2012
l’obiettivo di diffondere una cultura comune e condividere esperienze e prassi
innovative.
L’ultimo prodotto in ordine di tempo del
CAF Working Group (gruppo che opera
all’interno dell’IPSG - Innovative Service
Group – per la diffusione del modello
Common Assessment Framewirk) – è la
procedura europea CAF External Feedback (CEF).
La CAF External Feedback
È una procedura di valutazione esterna
che valuta le modalità con cui le amministrazioni pubbliche utilizzano il modello
CAF – modello europeo nato nel 1999 dal
lavoro congiunto delle funzioni pubbliche europee - realizzando processi di autovalutazione e di miglioramento delle
proprie performance ed intraprendendo
il percorso verso l’eccellenza che tutti i
modelli di qualità totale (primo tra tutti
l’EFQM) promuovono.
Dopo oltre 10 anni di utilizzo del modello e oltre 2000 organizzazioni utilizzatrici la procedura è nata per dare un contributo allo sviluppo delle competenze sul tema dell’autovalutazione e della pianificazione del miglioramento
La procedura persegue alcuni obiettivi:
1. Sostenere la qualità dell’autovalutazione CAF ed il suo impatto sull’organizzazione.
2. Verificare se l’organizzazione sta facendo propri i principi del TQM.
3. Rinnovare l’entusiasmo e l’impegno del
personale per il miglioramento continuo.
4. Premiare le amministrazioni che hanno avviato in modo efficace il cammino verso il miglioramento continuo e
l’eccellenza.
5. Promuovere la valutazione tra pari (peer
review) ed il benchlearning.
6. Facilitare la partecipazione degli utenti CAF ai percorsi EFQM.
Caratteristica distintiva ed essenziale della procedura, che la differenzia da altri
percorsi di valutazione esterna (quali i livelli di riconoscimento EFQM e, a livello
nazionale, il premio Qualità PPAA) è che
essa si rivolge ad uno specifico target di
amministrazioni: quelle che ad un anno
al massimo dalla conclusione di un percorso di autovalutazione (e quindi dalla
stesura di un rapporto di autovalutazione)
si trovino nella fase di attuazione di un
piano di miglioramento (probabilmente,
anche se non necessariamente, ancora in
corso).
Attraverso la valutazione esterna e il feedback di valutatori esperti provenienti dal
mondo pubblico (peer review) le amministrazioni che aderiscono alla procedu-
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❙
La procedura europea caf external feedback
Come si partecipa
alla procedura
La procedura prevede che l’amministrazione che ha condotto un’autovalutazione con il modello CAF fornisca ai valutatori la documentazione già prodotta in relazione all’utilizzo del modello (rapporto
di autovalutazione e piano di miglioramento), unitamente ad informazioni raccolte avvalendosi di appositi questionari.
Sulla base di tale documentazione i valutatori effettuano una visita per verificare
in loco la presenza dei requisiti dichiarati e raccogliere tutti gli elementi necessari ad esprimere una valutazione accurata
relativamente a:
✎ il modo in cui è stata condotta l’autovalutazione;
✎ il processo di definizione e avvio del
piano di miglioramento
✎ il livello di maturità organizzativa
raggiunto in relazione agli otto principi di eccellenza, sia in generale che
in particolare, con un esame più approfondito su due di essi scelti dall’amministrazione.
A valle della visita ciascuna amministrazione riceve un rapporto di valutazione
con indicazioni su come migliorare even-
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tuali punti di debolezza.
Le amministrazioni che raggiungono il livello richiesto dalla procedura ottengono
l’attestato europeo di “Effective CAF User”
(amministrazione che utilizza in modo efficace il modello CAF).
Entro il 15 febbraio di ogni anno vengono resi noti i periodi in cui è possibile
candidarsi prima e iscriversi poi alla procedura. In tal modo anche le amministrazioni che non abbiano ancora avviato un processo di autovalutazione possono programmarne il periodo in funzione della partecipazione alla procedura. Il Centro risorse nazionale CAF,
coordinato dal Dipartimento della Funzione Pubblica e gestito da FormezPA,
gestisce la procedura, dalla promozione,
all’acquisizione delle candidature, alla
verifica della documentazione, al supporto alle amministrazioni partecipanti,
fino alla formazione dei valutatori (gli external feedback actor) e all’abbinamento tra valutatori e amministrazioni. Il Dipartimento della Funzione Pubblica è il
soggetto che a livello nazionale individua, sulla base delle istruttorie tecniche
derivanti dalle visite, quali amministrazioni possono ottenere l’attestazione europea.
La procedura nel contesto
nazionale ed europeo
L’Italia è tra gli Stati Membri che più attivamente ha contribuito alla definizione
della procedura CAF External Feedback.
L’implementazione della procedura è stata avviata nel 2009 con la messa a punto di tutti i materiali di supporto e didattici (per la formazione dei valutatori) e la
realizzazione di una sperimentazione
che in Italia ha riguardato due amministrazioni: l’INPS de L’Aquila e l’Università di Bologna. I risultati sono stati condivisi a livello europeo nell’ambito degli
incontri del “CEF Pilot Group” e hanno
contribuito alla definitiva messa appunto della procedura.
Anche a livello nazionale nella definizione del piano annuale di diffusione del CAF
e nelle strategie di diffusione dei concetti del TQM e più in generale dei temi della pianificazione, misurazione e valuta-
zione della performance, la procedura ha
assunto un ruolo di primo piano come stimolo e sviluppo culturale.
Dal 2010, anno in cui è stata realizzata
la prima fase applicativa, alla fine del 2011
sono state realizzate 24 visite on site e rilasciate 8 attestazioni europee di “Effective CAF User)” a:
✎ l’Istituto d’Istruzione superiore F. Bottazzi di Casarano (LE)
✎ la Regione Campania – settore studio,
organizzazione e metodo, formazione
✎ il Comune di Trento, il 3° circolo San
Giovanni Bosco di Massafra (LE)
✎ V Circolo di Pistoia
✎ Istituto Fermi di Pontedera (PI)
✎ Istituto Marconi di Pontedera (PI)
✎ Università di Pisa (PI)
Sono stati inoltre formati 52 valutatori (External Feedback Actor) provenienti dagli
elenchi di valutatori CAF e formati attraverso tre edizioni del corso di due giorni
sviluppato a livello europeo.
A livello europeo, si segnalano esperienze
di realizzazione della procedura in Belgio, Slovenia, Austria e Danimarca dove
un’amministrazione ha ricevuto la label.
In Austria è stato anche realizzato un corso per External Feedback Actor. Negli altri Stati Membri invece la formazione degli External Feedback Actor è avvenuta
prevalentemente attraverso l’apposito corso realizzato all’Eipa. Nell’ambito del
prossimo evento CAF che si svolgerà a
settembre prossimo a Oslo, verrà presentato ufficialmente lo stato dell’arte rispetto all’implementazione della procedura in Europa.
Gli attori e i vantaggi
della procedura
Attori principali della procedura CAF External Feedback sono le pubbliche amministrazioni. Quelle che decidono di
intraprendere percorsi di miglioramento
continuo e di ricevere supporto per realizzarli al meglio e quelle che da tempo
sono impegnate in tali percorsi e mettono a disposizione i propri funzionari, opportunamente formati, per fornire tale
supporto.
Sono questi gli EFA (External Feedback Ac-
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11
te m a
ra possono capire se stanno procedendo
sulla strada giusta, indipendentemente dall’aver già raggiunto e misurato tutti gli effetti delle loro azioni di miglioramento.
Indipendentemente, quindi, dai risultati
raggiunti.
La procedura CAF External Feedback è il
frutto del lavoro congiunto di un gruppo
di Stati Membri, particolarmente attivi nell’attuare politiche a supporto della diffusione del CAF a livello nazionale, Belgio,
Danimarca, Italia, Slovenia ,in collaborazione con il Centro Risorse CAF Europeo,
gestito dall’Eipa (European Institute for Public Administration).
I principi generali della procedura sono
stati approvati dai Direttori Generali dell’EUPAN durante la Presidenza Slovena
dell’UE nel maggio 2008. L’attività di definizione si è conclusa a settembre 2009.
A dicembre 2009 la procedura PEF è stata approvata dai Direttori Generali delle
funzioni pubbliche dell’UE.
❙
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te m a
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
tor) personale proveniente da diverse tipologie di amministrazione e diversi territori che dopo aver fatto l’esperienza di valutazione esterna nell’ambito del Premio
Qualità PPAA viene coinvolto nella valutazione dei processi di autovalutazione e
miglioramento delle amministrazioni partecipanti alla procedura, attraverso l’analisi della documentazione fornita e attraverso la visita on site che approfondisce e
verifica quanto illustrato dalle amministrazioni partecipanti nei documenti presentati.
In occasione delle visite on site le amministrazioni partecipanti e gli EFA si confrontano apertamente, in una logica di valutazione fra pari, sulle difficoltà di applicazione del modello CAF, analizzando
nel dettaglio il processo di autovalutazione e pianificazione del miglioramento realizzato e i cambiamenti intervenuti e in
corso nella cultura organizzativa per verificare il progressivo installarsi di alcuni
principi dell’eccellenza.
Questo scambio rappresenta il primo va-
lore aggiunto della procedura perché genera conoscenza in entrambi gli attori
coinvolti attraverso la condivisione di esperienze diverse e diversi punti di vista.
L’altro valore aggiunto è rappresentato dal
feedback report rilasciato a valle del processo di valutazione. Evidenziando criticità e punti di forza dell’autovalutazione
condotta diviene uno strumento utile per
mettere a punto e rivedere il percorso intrapreso.
Il feedback report è però anche un indicatore importante per il Centro risorse nazionale CAF dal momento che consente di
approfondire, attraverso la lettura di debolezze e punti di forza comuni, di orientare al meglio le iniziative e le politiche
di diffusione del modello.
La procedura
nel 2012
In questi giorni sta partendo la promozione della procedura per il 2012.
Le amministrazioni interessate sono invitate a candidarsi on line (http://www. qua-
Un nuovo rapporto sulla gestione delle
performance nei comuni
“Il ciclo di gestione della performance negli Enti Locali - Esperienze e Leading Practices” è il titolo del Rapporto, disponibile sul portale “Per un'amministrazione di qualità” (www.qualitapa.gov.it) del Dipartimento della Funzione Pubblica, che
presenta i risultati di un percorso di analisi compiuto su sei
amministrazioni pilota (cinque Comuni e una Unione di Comuni) con l'obiettivo di mettere in evidenza le leading practice emerse nella loro esperienza di attuazione delle misure
di performance management introdotte dal Decreto Legislativo 27 ottobre 2009 n.150.
Il Rapporto nasce nell'ambito del Progetto “Valutazione
delle performance” del Dipartimento della Funzione Pubblica, realizzato con la collaborazione di Formez PA e finanziato con il PON Governance Azioni di Sistema 20072013. Obiettivo del Progetto è sostenere i Comuni con popolazione tra 20.000 e 250.000 delle Regioni Obiettivo
Convergenza nell'introduzione di sistemi di pianificazione,
misurazione e valutazione dei risultati, coerenti con le prescrizioni del D.lgs 150/2009 sul Ciclo di gestione della
performance.
Il Progetto, avviato da oltre un anno, ha coinvolto 110 comuni, ed al suo attivo ha più di 300 incontri di lavoro effettuati con le amministrazioni e 90 Piani della performance e
Sistemi di misurazione e valutazione in corso di definizione.
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litapa.gov.it/services/candidatura/) entro il
29 febbraio prossimo, indicando il periodo di visita prescelto (giugno/luglio o ottobre/novembre).
Nel mese di maggio o settembre, a seconda del periodo programmato, le amministrazioni candidate saranno contattate dal Centro Risorse CAF per la conferma dell’iscrizione e del possesso dei
requisiti richiesti.
E’ indispensabile prima di candidarsi prendere visione di tutta la strumentazione necessaria alla partecipazione e delle due
guide a disposizione nelle pagine web del
Centro risorse CAF (la guida alla partecipazione e la guida alla procedura).
Per maggiori approfondimenti, per informazioni e assistenza si rimanda:
- alla pagina del Centro http://www.qualitapa.gov.it/common-assessmentframework/centro-risorse-caf/iniziative/
procedura-europea-caf/
- ai riferimenti telefonici e email:
06/69921398 (il martedì e il giovedì dalle 10.00 alle 13.00), [email protected]
Le attività sinora realizzate hanno consentito di produrre
know how e strumenti per il Ciclo di gestione della performance utilizzabili anche da altre amministrazioni.
Si segnalano in particolare:
✎ il Reference book “Il Ciclo di Gestione delle Performance nei comuni - Definizione del sistema di misurazione
e valutazione della Performance organizzativa: Principi e
criteri” che presenta il quadro dei principali elementi sui
quali è opportuno che ogni amministrazione rifletta per
rafforzare la propria capacità di misurazione e valutazione delle performance.
✎ la Cheek list utilizzabile dai comuni più avanzati come
strumento per compiere un'autoanalisi delle caratteristiche e del- funzionamento del sistema di misurazione e
valutazione della performance organizzativa.
✎ la Check list semplificata utilizzabile dai comuni che
non abbiano ancora definito un sistema di misurazione e
valutazione utile a comprendere le fasi e gli strumenti
per avviarne la definizione.
✎ i Rapporti sulle Review realizzate nelle sei amministrazioni pilota.
Per conoscere meglio i contenuti del Progetto “Valutazione
delle performance”, le amministrazioni coinvolte e gli strumenti sviluppati si rimanda al portale PAQ - sezione “PON
Valutazione della performance”
da Redazione FORUM PA 08/02/2012
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
direttore CRUI - Conferenza dei Rettori delle Università Italiane
Opportunità
o nuovo “esercizio”?
Il CAF per l’Università
Valutazione della qualità:
una storia italiana
L’Università, al contrario di ciò che l’immaginario comune è solito pensare, non
è estranea alla valutazione della qualità.
Tutt’altro. Essa rappresenta oggi l’unico
comparto della pubblica amministrazione
ad aver non solo elaborato, ma autonomamente promosso, migliorato e adottato forme di misurazione delle performance da quasi un ventennio. Ben prima, dunque, delle attuali prescrizioni normative.
Un cammino lungo ed elaborato che, senza pretese di esaustività, mi piacerebbe
brevemente ripercorrere prima di affrontarne il capitolo più recente, ovvero il
D.lgs.150/2009. La cosiddetta Legge Brunetta stabilisce, infatti, nuovi parametri e
processi per la valutazione delle performance organizzative degli Atenei.
La storia della valutazione in ambito accademico inizia nel ’93 con la Legge 537
che istituisce i Nuclei di Valutazione. Organismi interni all’università che dovranno “verificare, mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, la corretta gestione delle risorse pubbliche, la
produttività della ricerca e della didattica, nonché l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa”. Nel
’99 la Legge 370 ribadisce il concetto con
termini quasi analoghi, istituendo inoltre
il Comitato Nazionale per la Valutazione
del Sistema Universitario. Per un decennio
il CNVSU avrà il compito di fissare crite-
www.aicq.it
ri generali, promuovere la sperimentazione, l'applicazione e la diffusione di metodologie e pratiche di valutazione, predisporre un programma annuale di valutazioni esterne e una relazione sui risultati
attività svolte. Inoltre la Legge 370 prevedeva che dall’anno 2000 il Ministero
avrebbe dovuto prevedere un'ulteriore
quota del fondo per il finanziamento ordinario delle università per l'attribuzione
agli atenei di appositi incentivi, sulla base di obiettivi predeterminati ed in relazione agli esiti dell'attività di valutazione.
In sostanza fin dagli anni ’90 l’Università
si è dotata di un sistema di valutazione
delle performance della didattica, della
ricerca e della gestione amministrativa. A
presidio del quale sono stati posti precisi
organismi nazionali e locali. I risultati della valutazione di tutte le attività degli Atenei sono stati poi correlati alla ripartizione delle risorse ministeriali.
Oggi, dopo 18 anni, tanto le Università
quanto il MIUR possono contare su banche dati di discreta affidabilità e la valutazione è entrata nella prassi quotidiana.
A riprova di ciò, quando nel 2004 si affrontò la Valutazione Triennale della Ricerca (VTR), ad opera del CIVR, nessun
Ateneo si sottrasse. Gli esiti della misurazione furono in seguito inseriti nell’algoritmo che attribuisce alle Università l’FFO.
Ad osservare ora questi eventi il fatto di
aver collegato la valutazione ai meccanismi di finanziamento ha sicuramente
contribuito a estendere la “cultura” della
valutazione e a derivare da quest’ultima
l’orientamento ai processi di miglioramento.
Un capitolo importante, sul quale tuttavia in questa sede non mi dilungherò, è
quello relativo alla valutazione didattica.
Settore in cui la CRUI, con spirito pionieristico promosse fina dalla metà degli anni ’90 il proprio modello CAMPUS e l’approccio al Total Quality Management
(TQM), utilizzando a questo scopo anche
l’incentivazione del Fondo Sociale Europeo (FSE). Ciò ha contribuito a saldare l’orientamento all’efficacia, all’efficienza e
all’economicità, imposto dalla legge e
“controllato” da Nuclei e CNVSU con l’esigenza di assicurare la qualità della formazione. In quest’ottica la valutazione è
diventata un’attività trasversale rispetto alle missioni accademiche che contribuisce a garantirne oggi unità e affidabilità.
La fase più recente di questa storia conferma il paradosso italiano: più dettagliata diventa la normativa e più aumenta il
fabbisogno di organi e strumenti di valutazione deputati a vigilare sull’osservanza
di forma e di sostanza di leggi, decreti,
delibere e note ministeriali. Ciò, a sua volta, rende sempre più complicato il raccordo e l’allineamento fra i vari soggetti.
A questo proposito, fra il 2006 e oggi almeno tre eventi hanno ribadito questo paradosso. In primo luogo la sostituzione del
CNVSU da parte dell’ANVUR. Secondo
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te m a
>> Emanuela Stefani
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❙ Il CAF per l’Università ❙
il Dpr 64/2008 che ne norma il funzionamento L’Agenzia nazionale ha il compito di sovrintendere al sistema pubblico
nazionale di valutazione della qualità. Verificando anche “efficienza, efficacia, ed
economicità dei programmi volti al finanziamento e all'incentivazione delle attività' di ricerca e di innovazione di esclusiva competenza del Ministero”. Essa inoltre propone al Ministro criteri per la ripartizione di una quota non consolidabile di finanziamento ordinario in base alla qualità dei risultati delle attività svolte.
Il secondo “evento” dell’ultima fase è rappresentato dal varo della Legge 240 e dei
relativi decreti applicativi. Provvedimenti che prevedono il passaggio di tutte le
università a un sistema di contabilità economico patrimoniale che possa rendere
conto costantemente dei risultati ottenuti
in termini di gestione delle risorse. Il
D.lgs.150/2009, oggetto del prossimo paragrafo, rappresenta il terzo evento normativo del recente passato.
La ‘Brunetta’ e il CAF
Con il D.lgs.150 si prevede, dunque, l’introduzione di sistemi interni ed esterni di
valutazione del personale e delle strutture, finalizzati ad assicurare l’offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità, nonché la “definizione di un
sistema più rigoroso di responsabilità dei
dipendenti pubblici”. Si tratta di un salto
culturale considerevole, soprattutto per gli
Atenei, in quanto per la prima volta l’oggetto della valutazione non è la struttura
ma il singolo lavoratore, che viene considerato responsabile. Ciò comporta che
debbano essere obbligatoriamente individuati, in via preventiva, “gli obiettivi che
l’amministrazione si pone per ciascun anno”.
In sostanza, ciò che viene imposto per legge è il Management by Objectives. Quindi non più accertamenti che riguardano
la corrispondenza dei comportamenti a
norme e procedure, ma controllo di gestione, basato sulla capacità dei sistemi di
correggere la rotta in itinere, riposizionando obiettivi e azioni, al fine di garantire alle strutture efficacia ed efficienza
nell’attività decisionale.
marzo/aprile 2012
All’emanazione della norma ha fatto immediatamente seguito la nomina dell’organo di controllo nazionale cioè la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche” (CIVIT) che ha il compito di emanare “delibere” che indicano i percorsi
applicativi del D.lgs.
A questo proposito, la Delibera CIVIT
89/2010 suggerisce tre modelli per la misurazione della performance: la Balanced
Scorecard, molto utile per sollecitare l’implementazione delle strategie, il Performance Prism che sottolinea le relazioni
con gli stakeholder e il Common Assessment Framework (CAF) ispirato ai sistemi di qualità. Secondo la CIVIT il CAF è
“facile da usare come profilo di partenza,
utile per avviare e promuovere il miglioramento continuo, non richiede software
sofisticato né risorse consistenti” al contrario degli altri due modelli. Principi questi che hanno guidato la scelta di indirizzare gli Atenei verso l’impiego del Common Assessment Framework.
Inoltre, il CAF è l’unico dei tre modelli
che bilancia l’approccio alla qualità con
l’applicazione dei sistemi di pianificazione, programmazione e controllo di gestione. Ciò è fondamentale, soprattutto in
presenza di un decreto ministeriale che
indirizza la programmazione delle Università per il triennio 2010-2012 e che
scende in contenuti prescrittivi e nella individuazione di obiettivi riguardanti l’attività didattica, lo sviluppo della ricerca
scientifica, i servizi agli studenti, l’internazionalizzazione e il reclutamento dei
docenti.
Questo esempio di sovrapposizione normativa non è il solo in ambito accademico. Rappresenta però un buon esempio
per comprendere come, in generale, l’unico modo che le Università hanno per
gestire l’applicazione delle leggi sia l’adozione di un modello che, secondo un
approccio olistico, crei relazioni fra le diverse attività e le attribuisca, secondo un
preciso piano di responsabilizzazione, alle strutture e alle persone chiamate a realizzarle. E ciò è proprio quanto previsto
dall’applicazione del CAF.
Scendendo più nel particolare il modello
CAF stabilisce utili legami fra i fattori abilitanti e i risultati secondo un logica di
causa-effetto per poi farne discendere, andando a ritroso attraverso i processi, lo
sviluppo di innovazione e apprendimento negli Atenei. Inoltre, l’analisi dei fattori abilitanti, che non possono che essere
caratteristici e specifici di ciascun Ateneo
segna un cambiamento rispetto ai precedenti approcci valutativi che sono stati applicati alle Università in modo indifferenziato, come se queste ultime costituissero organizzazioni uniformi in quanto caratterizzate dalla stessa finalità sociale.
Un Gruppo di Lavoro
per l’applicazione del CAF
alle Università
Al fine di trasformare la teoria in prassi,
nelle settimane successive all’emanazione della legge presso la CRUI è stato istituito un Gruppo di lavoro per sperimentare l’applicazione del modello CAF coordinato dal Dipartimento della Funzione
Pubblica e del Centro nazionale risorse
CAF. Al Gruppo, che ha ricevuto il supporto del MiUR, hanno partecipato 38
Atenei e rappresentanti di CIVIT e CONVUI. Il lavoro svolto si è rivelato proficuo
e utile per gli Atenei anche ai fini della
predisposizione del Piano della performance. 18 di tali Piani erano infatti allineati
al modello CAF.
In sostanza, il CAF rappresenta per le Università una doppia opportunità. Da una
parte consente loro di adempiere “economicamente” ed efficacemente alla normativa. Dall’altra permette una riflessione dettagliata orientata al miglioramento
continuo delle performance.
Esiste però una conditio sine qua non. In
assenza di una assunzione di responsabilità da parte dell’organo di indirizzo politico-amministrativo in ordine alla definizione di un sistema di obiettivi da perseguire, che parta da quelli strategici arrivando a quelli strettamente operativi, e
che coinvolga tutti i livelli e i relativi componenti della struttura organizzativa, la
valutazione delle performance diventa un
vuoto esercizio di misurazione quantitacontinua a pagina 27
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
Direttore Amministrativo Tribunale per i Minorenni di Salerno
Salvatore Quercia
Funzionario giudiziario presso la Corte d’Appello di Milano.
Applicazione
e prospettive
Il modello CAF
nella Giustizia
I
l modello di autovalutazione CAF,
voluto dai ministri della funzione
pubblica europei ed ispirato ai
principi di T.Q.M., ha mosso i primi
passi in ambito giudiziario grazie al
premio Qualità PP.AA. ed. 2005 ed alla
relativa applicazione avvenuta nel
Tribunale per i Minorenni di Salerno.
A seguito di tale prima attuazione e dietro la spinta propulsiva del Capo Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria Claudio Castelli e del Direttore Generale della Funzione Pubblica Pia Marconi, fu istituito il tavolo tecnico per la
personalizzazione del modello alla Giustizia.
I lavori del “Tavolo”, coordinati dalla Funzione Pubblica, con la partecipazione
autorevole di esperti di chiara fama come Tito Conti, Giancarlo Vecchi e Giovanni Xilo, a cui hanno preso parte altri
tre uffici giudiziari italiani oltre al Tribunale per i Minorenni di Salerno, sono terminati nel novembre 2008, con la produzione di una versione sperimentale del
modello.
Il percorso innovativo della Procura di
Bolzano, già noto per aver ottenuto il finanziamento del Fondo Sociale Europeo
ed aver attuato un notevole intervento
migliorativo, ha registrato, a medio termine, un importante risultato rappresentato dal conseguimento del Premio Qualità PP.AA. ed. 2007-2008, grazie all’applicazione del CAF all’organizzazione
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dell’Ufficio.
Nell’anno 2009 Il Dipartimento della
Funzione Pubblica ha attivato il Laboratorio Nazionale CAF Giustizia, a cui hanno partecipato inizialmente dodici uffici
giudiziari. Otto sono stati gli uffici che
hanno concretamente terminato il percorso, producendo un documento di autovalutazione ed un piano di miglioramento. Il predetto percorso ha avuto il
suo epilogo nel novembre 2009 in occasione di un convegno presso la Suprema Corte di Cassazione nel corso del
quale sono stati presentati i risultati del
Laboratorio e definitivamente licenziato
il modello CAF personalizzato alla Giustizia.
Particolarmente rilevante, in tale contesto, per il numero di uffici coinvolti e per
i propositi decisamente ambiziosi, si è
rivelato il Progetto Transnazionale di diffusione di Best Practice negli uffici giudiziari italiani. Il progetto, grazie al finanziamento del Fondo Sociale Europeo
e tramite le Regioni quali autorità di gestione, ha previsto quale prima, tra le linee di azione, la fase di analisi delle situazioni organizzative.
A tale riguardo, alcuni dei bandi pubblicati e volti all’individuazione delle società di consulenza a cui conferire il compito di attuare i contenuti progettuali,
hanno previsto l’adozione del modello
CAF quale strumento di analisi e autovalutazione.
Sulla stessa linea si pone il PON Governance 2007-2013 grazie al quale il Dipartimento della Funzione Pubblica ha
avviato il progetto “Il Miglioramento della performance nella Giustizia per supportare le regioni Campania, Calabria,
Puglia e Sicilia nella realizzazione del
piano nazionale di "Diffusione delle Buone Pratiche negli Uffici Giudiziari”.
Il progetto dovrà supportare le amministrazioni regionali nelle attività di monitoraggio e di valutazione dei risultati del
predetto piano nazionale, con il concreto supporto alla diffusione della metodologia di autovalutazione C.A.F. già
adattata da alcuni anni dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dal Ministero della Giustizia con la citata personalizzazione del modello, per le specifiche realtà degli uffici giudiziari.
Le successive applicazioni del modello
sono state sporadiche e legate fondamentalmente ad iniziative premiali, quali le successive edizioni del Premio Qualità PP.AA., o le candidature per l’ottenimento della certificazione europea di
Effective Caf User, tramite la procedura
C.E.F. (CAF External Feedback).
Dalle applicazioni finora registrate, l’attuazione della mission affidata allo strumento sembra essere meno ambiziosa,
sostanziandosi in un mezzo per diffondere la terminologia, le tematiche e le
metodiche del Total Quality Management.
In definitiva, si ha la netta impressione
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>> Raffaele Mea
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❙ Pubblica Amministrazione ❙
che non sia stata compresa appieno la
forza dirompente del modello e le sue
potenzialità dal punto di vista strategico.
Il CAF può rappresentare, infatti, la vera
svolta dal punto di vista organizzativo
essendo uno strumento di conoscenza e
di approfondimento, assolutamente indispensabile per fornire ai decisori istituzionali gli elementi per agire.
Le metodologie di approccio e valutazione elaborate ed affinate dal Formez e
dalla Funzione Pubblica offrono il più
valido supporto in tal senso.
La stessa logica che conduce all’individuazione dei punti di forza, delle aree di
miglioramento ed all’applicazione della
matrice RADAR si muove nell’ottica di
una corretta definizione degli interventi
da attuare.
Anche la struttura del modello testimonia
un’innegabile vocazione a suggerire un
percorso ideale che conduce ad un circolo virtuoso ed al miglioramento continuo.
L’esperienza dell’applicazione del modello in ambito giudiziario sottolinea ancor di più l’importanza dello strumento
in un settore in cui l’aspetto strategico ed
organizzativo non sempre appare opportunamente curato.
Ciò vale in tutti gli ambiti, ma in particolare per le “unità di base”, vale a dire
per gli uffici giudiziari, nei quali agli
aspetti programmatici non sembrano dedicate risorse sufficienti.
Proprio la struttura del modello ed i suoi
contenuti profondamente democratici,
permettono anche all’interno degli uffici di valutare le specifiche esigenze dei
settori. La stessa enfasi riservata alla gestione per processi e lo sviluppo degli
esempi contenuti nel C.A.F. favoriscono
non solo la corretta visione organizzativa, ma anche il relativo costante monitoraggio dei servizi.
Ciò consentirebbe potenzialmente di superare anche quanto ripetutamente sottolineato, da ultimo anche in occasione
della recente inaugurazione dell’anno
giudiziario, a proposito delle diverse
velocità del processo: “al piano terra si
trattano gli arresti in flagranza, i “reati di
strada”, droga rapine, violazione della
marzo/aprile 2012
legge Bossi-Fini; gli imputati sono poveri e spesso non possono permettersi un
avvocato di fiducia; il processo è rapido
e ogni giorno vengono comminati svariati anni di galera; la prescrizione non
esiste. Al terzo piano si trattano i reati di
aggiotaggio, corruzione, falso in bilancio, per i quali non c’è l’arresto in flagranza … gli anni di galera comminati
sono di gran lunga inferiori e molti reati
vanno in prescrizione ….” (tratto da “Il
Sole 24 ore” ed. del 29/01/2012 art. di
D. Stasio).
Il punto nodale sembra, in tale contesto,
la corretta analisi di tutti i processi organizzativi e la necessità di fornire a tutti
gli uffici, ma soprattutto ai decisori istituzionali, uno strumento universalmente valido, un unico metro di valutazione, che possa considerare le eccellenze
e le inefficienze, agendo di conseguenza.
I risultati raggiunti, proprio grazie alle
azioni intraprese, negli uffici che hanno
opportunamente investito nell’applicazione del modello, appaiono assolutamente confortanti.
La sensibilità nei confronti delle tematiche di Total Quality Management e la
conseguente apertura verso il cambiamento organizzativo appare, in tali casi,
in deciso aumento.
E’ comunque auspicabile una diffusione
capillare del modello, in quanto i benefici ad essa connessi consentiranno, a legislazione invariata, di avvicinare la Giustizia italiana agli standard internazionali.
L’esperienza alla corte
d’appello di Milano
Salvatore Quercia, Funzionario giudiziario presso la Corte d’Appello di Milano
La Corte d’Appello di Milano è il collegio di secondo grado che giudica su tutte le decisioni dei giudici dei Tribunali
del Distretto di Milano, oltre alle funzioni
giurisdizionali esercita funzioni di coordinamento degli Uffici Giudiziari che
fanno capo al distretto, tranne per le Procure per le quali la competenza è della
Procura Generale. In Lombardia oltre a
Milano c’è la Corte d’Appello di Brescia.
Il Distretto di Milano è costituito da 11
Circondari di Tribunale, 39 Uffici Giudiziari, 1 Procura Generale, 11 Tribunali
ordinari (+ 11 sezioni distaccate), 11
Procure della Repubblica, 3 Trib. Sorveglianza, 1 Tribunale, 1 Procura per i Minorenni; esercita le proprie attività su
911 Comuni, 6,7 milioni di residenti, 623
mila stranieri, 558 mila imprese che costituisce ben il 10% delle imprese italiane.
L’organizzazione è costituita da:
✎ I vertici: Presidente della Corte per i
magistrati e Dirigente amministrativo
per il personale amministrativo.
✎ Due macro-aree: civile e penale
- Articolazione in sezioni (prevista la
“doppia presidenza” per ciascuna sezione): 6 civili, 6 penali
- 1 centrale civile e una penale:
- 1 coordinatore per area
✎ 18 uffici amministrativi a supporto
dell’attività giudiziaria e dell’organizzazione dell’Ente (ufficio personale magistrati e amministrativi, ragioneria, economato ed altro)
L’esperienza CAF
Il CAF è uno dei progetti previsti dall’iniziativa Best Practice, finanziata dal Fondo Sociale Europeo. Il progetto di Milano è Innovagiustizia; la Fondazione Politecnico è capofila di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese ; coinvolge anche gli Uffici Giudiziari di Varese, Monza, Brescia, Crema e Cremona. La Corte d’Appello è stato il primo
Ufficio Giudiziario del Distretto a completare un percorso di autovalutazione
avviato a Marzo 2010. Una prima autovalutazione è stata completata a febbraio
2011 ed è in via di conclusione per fine
anno.
Le difficoltà del percorso
In primo luogo, la Corte non dispone di
strumenti rodati di programmazione e
controllo interno se si eccettuano:
- la relazione annuale di apertura dell’anno giudiziario del Presidente della
Corte, che considera l’andamento dell’Amministrazione della Giustizia nel-
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❙ Il modello CAF
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cora più significativo il termine processi:
è chiaro che nel nostro ambito i processi
sono principalmente i processi civili o
penali; i reclami sono quelli delle opposizioni avverso alcuni provvedimenti del
Giudice che vengono depositate dalle
parti, nel processo civile, per chiedere
un intervento sulla sospensione di un
concesso sequestro conservativo, o sull’importo di una liquidazione di una parcella di un CTU Consulente Tecnico d’Ufficio.
Come abbiamo affrontato
le difficoltà
Alla luce di questi elementi di contesto,
il progetto CAF è stato affrontato con un
approccio graduale. Il primo periodo di
lavoro è stato interamente condotto entro un gruppo ristretto di magistrati e cancellieri della Corte, selezionati in base
all’appartenenza a diversi settori e ad una
conoscenza sufficientemente ampia delle modalità di funzionamento della Corte. L’analisi è stata condotta prevalentemente con una modalità “focus group”,
da una parte per condividere il metodo
e la terminologia CAF, e dall’altra per
massimizzare il contributo di prospettive
diverse all’analisi del funzionamento della Corte. La discussione ha preso le mosse dalla condivisione dei risultati chiave
per la valutazione della performance dell’organizzazione, due sottogruppi si sono concentrati sull’analisi, rispettivamente, delle principali misure di efficacia esterna (cosa gli utenti, cittadini, portatori d’interesse dicono di noi – coinvolgimento e partecipazione di utenti,
ordini professionali) ed interna all’organizzazione (rimostranze degli utenti –
tempi di attesa per accedere ai servizi –
tempi di erogazione dei servizi), per risalire poi all’indietro all’analisi degli altri criteri e sotto-criteri CAF.
Le riunioni sono state preparate predisponendo alcuni dati ed informazioni utili ad orientare la discussione (ad es. dati statistici interni, giudizi di alcuni portatori d’interesse (stakeholders), posizioni entro graduatorie nazionali, ecc).
Il rapporto di autovalutazione che ne è
conseguito ha restituito una fotografia
17
❙
complessiva, anche se non sempre omogenea, del funzionamento della Corte e
delle principali criticità. Questo rapporto ha costituito un’utile guida e fonte di
informazione per diversi altri progetti di
miglioramento in corso, quali ad esempio il bilancio sociale, la guida ai servizi e specifici interventi di riorganizzazione delle cancellerie.
A conclusione dei lavori sono stati proposti e selezionati alcuni interventi prioritari derivanti dalle analisi effettuate; tra
questi si è ritenuto opportuno rafforzare
ed estendere le conclusioni raggiunte includendo nell’analisi le opinioni e le percezioni di tutto il personale della Corte.
L’indagine tramite questionario ha avuto lo scopo di analizzare lo stato della
qualità dell’organizzazione e del clima
interno della Corte evidenziandone i punti critici in modo da poter stabilire alcune iniziative strategiche focalizzate alla
risoluzione dei problemi emersi. È da evidenziare, tra l’altro, la sentita e massiccia partecipazione dei dipendenti: su 182
questionari distribuiti ne sono stati restituiti compilati 115, con una coinvolgimento del 63%, segno inequivocabile
che il personale pensa di poter dare un
contributo effettivo al miglioramento dell’organizzazione dell’Ente.
A tal fine alla domanda “Sei orgoglioso
di lavorare in questa organizzazione?”
ben 80 % del personale ha risposto positivamente.
L’indagine rivolta al personale ha evidenziato significative differenze di percezioni/giudizi tra personale assegnato
ad aree diverse, esemplificative di criticità che non erano sufficientemente emerse dall’autovalutazione condotta entro il
gruppo ristretto.
Un aggiornamento dell’autovalutazione
(prevista per fine anno) potrà beneficiare dell’intenso lavoro fin qui svolto e sarà
utilizzata per realizzare un bilancio complessivo del programma Best Practices
che nel frattempo sta volgendo a conclusione. Oltre a questo aggiornamento,
l’ipotesi è quella di pianificare l’utilizzo
del metodo CAF in concomitanza con la
predisposizione del Piano triennale della Corte d’Appello.
marzo/aprile 2012
te m a
l’intero distretto; la relazione presenta
i fatti salienti relativi all’anno precedente sintetizza le criticità maggiori da
affrontare e alcuni obbiettivi strategici
da perseguire;
- il programma triennale: si tratta di un
documento in cui vengono rilevate le
criticità delle varie sezioni e vengono
proposte soluzioni organizzative al fine
di risolvere le problematiche individuate; costituisce il principale documento contenete le priorità dell’organizzazione limitatamente ai magistrati,
- le statistiche periodiche che l’Ufficio
Giudiziario invia al Ministero della Giustizia.
L’Organizzazione interna è strutturata
per settori tendenzialmente autonomi (
ad esempio tra i settori civile e penale, e
tra sezioni all’interno di questi settori),
cui si aggiunge il problema della doppia
dirigenza a capo del comparto del personale e di quello dei magistrati. Basti
pensare che l’organizzazione che ogni
presidente di sezione dà al lavoro dei
suoi colleghi incide in maniera sostanziale nell’ attività della sezione, la quale, sempre rispettando le norme del codice di procedura penale, può adottare un
comportamento diverso da quello della
cancelleria accanto; ciò favorisce la parcellizzazione delle misure d’intervento
a fronte delle criticità: un intervento o un
sistema di lavoro che va bene per una sezione può non andare bene per un’ altra.
Questa situazione è risultata aggravata
dal fatto che la Corte ha vissuto un lungo periodo , circa 1 anno, di assenza del
Presidente, ed attualmente, da più di un
anno, è vacante il posto di dirigente amministrativo, ricoperto part time da un dirigente reggente.
Altro motivo di difficoltà è dovuto al fatto che non sono presenti professionalità
interne dotate di competenze in tema di
valutazione , cui si aggiunge il fatto che
il linguaggio del CAF presenta vari ambiti
di sovrapposizione con la terminologia
giudiziaria, o comunque termini inusuali a questo tipo di amministrazione, quali politiche, leadership, stakeholder . An-
nella giustizia
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>> Federico De Cillis,
Consigliere Settore Education Aicq
Paolo Senni Guidotti Magnani
Presidente Settore Education Aicq
Salvatore La Rosa
Prof. Ordinario di Statistica Aziendale e Controllo della Qualità Univ. Palermo
Viviana Catania
Dottore di Ricerca in Psicologia Clinica, Univ. Lecce
Primi approcci
Per formanc e e sistema
formativo e giudiziar io
Q
uesto articolo contiene due contributi. Il primo, di Federico De Cillis
e Paolo Senni Guidotti Magnani, segnala la complessità, per quanto riguarda
il settore della Formazione, dell’intreccio
fra due universi normativi che reclamano
entrambi misurazioni e valutazioni: quello delle competenze e degli apprendimenti
e quello della performance individuale e
organizzativa –
Il secondo contributo, di Salvatore La Rosa1 e Viviana Catania2, presenta, tramite
questionari di gradimento, un iniziale esercizio di misurazione della Qualità dei servizi offerti da una Corte di Appello, offrendo in ciò elementi innovativi utilizzabili nel settore giudiziario.
Formazione scuola:
premessa metodologica per
integrare valutazione degli
apprendimenti
e della performance
e miglioramento continuo3.
Qualità nella formazione
e nella scuola
Una definizione per la qualità del servizio
nel settore della formazione potrebbe essere la seguente (che risulta essere una sintesi di concetti espressi nella UNI EN ISO
9000/2005 (3.1.), 9004/2009 (4.2,4.3,4.4)
e del concetto di “sistema-sottosistemaelemento”4): “Il grado di qualità di un sistema formativo, o di un suo elemento, dipende dal livello di soddisfazione, che rie-
marzo/aprile 2012
sce a mantenere/migliorare nel tempo5,
delle esigenze ed aspettative delle parti interessate del suo ambiente transnazionale6”. Tale definizione, necessita di essere
precisata in riferimento al sotto-sistema
scuola, qui preso in esame, riferito al Sistema Formativo Europeo e Nazionale, a
sua volta composto da sotto-sistemi regionali e locali fino alla singola Istituzione Scolastica (d’ora in avanti IS): elemento del sistema in quanto unità operativa
dotata di personalità giuridica e di un definito grado di autonomia “funzionale”.
Per precisione sono stati citati sistemi e sotto-sistemi formativi diversi, ma in realtà
dopo i documenti europei di Lisbona sulla formazione e l’interscambiabilità delle
competenze fra gli stati membri, è gioco
forza, anche per lo stato membro Italia fare riferimento agli obiettivi comuni e unitari di sviluppo socioeconomico della UE,
definiti per far fronte alla sfide del XXI secolo in un contesto di mercato globalizzato ed ipercompetitivo che attraversa una
fase di crisi a livello ultra-continentale.
Qualità, Valutazione, Miglioramento
Il perseguimento degli standard concordati in sede di UE per gli obiettivi formativi e di competenza implica l’applicazione di modelli di gestione e di miglioramento nonché di modelli di valutazione
sostenuti da metodi di misurazione oggettivi (il più possibile).
In riferimento al sistema formativo e scolastico nazionale in particolare, il proble-
ma della valutazione viene affrontato con
due dimensioni diverse, ugualmente normate in appositi apparati legislativi:
1. la prima dimensione risulta regolamentata essenzialmente dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca secondo una visione Europea ma
specifica del settore Educativo e afferisce soprattutto al miglioramento dell’efficacia dell’apprendimento e del possesso delle competenze. Le caratteristiche principali sono:
a. la definizione di specifici obiettivi strategici a livello di sistema formativo
europeo, da cui derivano a cascata
obiettivi chiave per i sottosistemi fino
alla singola Istituzione Scolastica;
b. l’attenzione ai risultati preponderante
per l’efficacia rispetto all’ efficienza;
c. la necessità di modelli di misurazione/valutazione condivisi dal macrosistema e quindi utilizzati da tutte le
sue componenti (singole IS);
d. centralità degli operatori del settore
(delle risorse umane), la cui valutazione è vista soprattutto in funzione
di valorizzazione e crescita di professionalità.
2. la seconda dimensione, di competenza
del Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione7 (Dipartimento Funzione Pubblica) è regolata da un
complesso di norme conclusosi al momento col Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e le cui caratteristiche
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❙ Performance e sistema formativo e giudiziario ❙
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valutazione e misurazione della performance allignano i problemi endemici delle diverse pubbliche amministrazioni.
Senza entrare in una discussione applicativa, questo breve contributo si limita ad
additare la fondamentale questione metodologica per il settore della formazione
dell’incrocio fra i due ambiti normativi,
quello della valutazione degli apprendimenti ai fine della individuazione del plusvalore e dell’efficacia e quello della misurazione e valutazione della performance
organizzativa e individuale. Si propone nonostante ciò un breve elenco diviso in nodi da sciogliere e risorse e anticipazioni
riferiti al sistema scolastico.
Nodi da sciogliere
✎ disambiguare le valenze di “ciclo del-
la performance” e di “anno scolastico”. In entrambi i casi è utile ricorrere
ad Sistema di Gestione per la Qualità
che adotti piani di miglioramenti annuali secondo il principio del ciclo
PDCA. Per la pubblica amministrazione il ciclo corrisponderà all’anno solare (gestione amministrativo-contabile) mentre per la scuola all’Anno Scolastico, in entrambi i casi in una visione di pianificazioni pluriennale;
✎ raccordare le questioni della valutazione e misurazione della performance ai fini delle differenziazioni retributive con le buone pratiche esistenti di
buon funzionamento organizzativo
nelle IS.
Risorse e anticipazioni
Sperimentazione del CAF nelle scuole del
Veneto e della Toscana8.
Diffusione del Marchio S.A.P.E.R.I. per le
Istituzioni Scolastiche nazionali ad opera
dell’Ufficio Scolastico Regionale Piemonte e della rete SIRQ (Scuole in rete per la
Qualità)9.
Diffusione della prassi dell’accreditamento con concessione di punteggi cospicui
alle IS certificate ISO (Lombardia e Marche).
Innovazioni normative in fatto di definizione delle specifiche e certificazione di
apprendimento e di competenze nella
scuola primaria, secondaria di primo e di
secondo grado.
Diffusione triennale dei dati comparati di
apprendimento nelle scuole italiane OCSE PISA – INVALSI10.
Diffusione di buone pratiche nei POF11 costruiti sugli investimenti di bilancio.
Nomina degli incarichi strategici nelle IS
quali collaboratori del Dirigente Scolastico, Funzioni Strumentali12 e altro previa
presentazione di candidatura con lista di
obiettivi da perseguire e riconoscimento
economico a seguito di verifica.
La qualità dei servizi offerti
dalla corte di appello vista
dall’utente
Introduzione
La cattedra di Gestione della Qualità dell'università degli studi di Palermo, nell'ambito di un progetto di valutazione e
miglioramento delle prestazioni erogate
all'utenza, ha aderito ad un'indagine presso la Corte di Appello del capoluogo siciliano con l'obiettivo di rilevare e di misurare la qualità percepita del servizio reso
dal personale delle cancellerie e degli uffici amministrativi al fine di individuare
possibili aree di miglioramento ed eventuali azioni correttive
Obiettivi
Analizzare la discrepanza tra il livello di
qualità dei servizi attesa e la qualità percepita, al fine di offrire un servizio sempre
più qualificato ed attento alle esigenze degli utenti.
Target
Un questionario costruito ad hoc è stato
lo strumento utilizzato per intervistare gli
utenti, costituito da tre parti: la prima raccoglie i dati personali degli utenti (sesso,
età, professione, etc.), la seconda analizza la soddisfazione della qualità dei servizi e l’ultima parte valuta il livello di chiarezza della segnaletica all’interno degli uffici della Corte di Appello, la qualità delle informazioni ricevute presso le cancellerie con i relativi tempi d’attesa per poterle ottenere ed inoltre il grado di competenza del personale addetto ed i tempi
complessivi per l’espletamento del servizio.
Duecento sono stati i questionari compilati: di questi 72 sono stati auto compilati
e imbucati nelle postazioni messe a disposizione all’interno degli uffici amministrativi e della cancelleria, 70 a mezzo in-
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te m a
principali sono :
a. la visione nazionale avente per oggetto l’intera Pubblica Amministrazione con la comune finalità di elevare la qualità dei servizi erogati ai
cittadini;
b. l’attenzione alla qualità dei risultati
sia in termini di efficacia che di efficienza;
c. il costante intreccio fra performance
organizzativa e individuale;
d. la prescrittività di una valutazione della performance del personale come
condizione necessaria per l’erogazione di salario accessorio.
Entrambe le dimensioni e relativi approcci implicano la necessità di agire secondo
il principio del miglioramento continuo e
quindi, secondo l’opinione di chi scrive,
con la conseguente ricerca ed adattamento
di modelli di TQM.
Per il sistema formativo italiano e in particolare per la scuola, in quanto settore della Pubblica Amministrazione, si pone quindi il problema di perseguire obiettivi specifici derivanti dall’universo normativo della prima dimensione (con i sopra-ricordati riferimenti al sistema formativo europeo,
che intendono l’efficacia misurata come
possesso di competenze e con un linguaggio più tradizionale come acquisizione di formazione e di apprendimento),
soddisfacendo però anche gli obiettivi ed
i vincoli derivanti dal secondo universo
normativo delineato nel decreto legislativo 150 e il ciclo della performance, che
aggancia la qualità e la produttività alla
differenziazione salariale e alla meritocrazia.
Conclusioni: nodi e risorse
Chi scrive, pur consapevole delle carattere strategico della valutazione e della misurazione della performance ai fini retributivi e migliorativi dei pubblici servizi e
in particolare di quello formativo e scolastico, non si nasconde che la sfida che si
trova davanti il sistema formativo nazionale, come qualsiasi altra pubblica amministrazione, non è poca cosa e, soprattutto, che proprio perché chi scrive cerca
di ragionare secondo i principi e la metodologia del TQM, quindi in ottica sistemica, non si nasconde altresì che dietro la
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❙ Performance e sistema formativo e giudiziario ❙
Aspetti Positivi
Vuoto
Disponibilità
77
29
Cortesia
27
Nessuno
16
Professionalità
13
Competenza
12
Elementi di insoddisfazione
Vuoto
Nessuno
Tempi di espletamento servizi
e tempi di attesa
Lamentele sul personale
Problemi legati alla ricerca
e ordine dei fascicoli
Poca disponibilità
103
28
27
20
11
109
20
18
Giudizi positivi generali: Il servizio è
buono/discreto/ottimo/continuare così
Nessuno
7
6
4
3
6
7
6
7
6
Scortesia
Aspetti riguardanti i locali e la
logistica
Orari e organizzazione udienze
Poco personale
Riduzione della tempistica nell’espletamento
dei servizi e dei tempi di attesa
Migliorare la segnaletica
Occorre maggiore vigilanza del personale
5
4
Giudizi negativi generali: Scarso/
Migliorare l’organizzazione e gli orari nelle udienze
2
2
4
3
Incompetenza
Mancanza di climatizzazione
3
2
Mancanza di aria condizionata
Il personale è disponibile
2
1
3
2
1
File in alcuni servizi
Molti
Altro
2
1
Migliorare l’ordine nelle cancellerie
Occorre un sistema preminate per il personale
Altro
1
1
Gentilezza
Efficienza
9
7
Preparazione
Tempi di espletamento
servizi e tempi di attesa
Cordialità
Capacità di risolvere
i problemi
Servizi telematici
Corridoi puliti
Tutto
Altro
tervista e 58 compilati on line.
Analisi dei dati
Dall’analisi dei dati emerge un buon grado di soddisfazione generale: infatti il 35%
degli utenti si ritiene “molto soddisfatto”
ed il 27% “abbastanza soddisfatto” della
qualità dei servizi offerti; a fronte del dato
di coloro i quali (12,5%) esprimono un
giudizio neutro, “né soddisfatti né insoddisfatti” e del restante 25% degli intervistati che ha espresso giudizi negativi (poco o per niente soddisfatto).
In particolar modo il 70% degli intervistati premia la cortesia e la disponibilità del
personale degli uffici contro un 25% che
lo giudica poco efficiente.
Il grado di soddisfazione degli utenti,
emerso dallo studio, risulta soddisfacente. Tra gli aspetti positivi maggiormente messi in evidenza, oltre quelli scritti precedentemente, emerge la capacità
di risoluzione dei problemi da parte del
personale, che si scontra invece con gli
aspetti negativi, quali l’esiguità numerica, l’organizzazione delle udienze con
tempi lunghi di attesa.
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10
Commento in generale
Vuoto
Maggiore informatizzazione e maggiore utilizzo
dei servizi on-line
Aumento personale
I risultati esposti sono solo i primi dati emersi dalla ricerca e costuiscono solo un primo passo verso un percorso di miglioramento continuo al quale bisogna tendere,
per riuscire ad individuare successivamente
i punti di forza da potenziare e i punti di
debolezza sui quali intervenire.
ramento, di cui il presente contributo è uno
sviluppo metodologico.
4
Per elemento intendiamo il sotto-sistema più
elementare di un sistema. Una ulteriore sua
scomposizione gli farebbe perderebbe le caratteristiche di sistema. Nel caso del Sistema
Formativo gli “elementi” sono costituiti dalle
singole Istituzioni Scolastiche
■ NOTE
5
“durevole”, come da ISO 9004
1
Savatore La Rosa - Prof. Ordinario di Statisti-
6
O “contesto”, come da ISO 9004
ca Aziendale e Controllo della Qualità nel-
7
Il governo Monti in carica ha mutato la de-
2
l'Università di Palermo - Vicepresidente
nominazione del Ministero nel Modo se-
AICQ-Sicilia - [email protected]
guente: Ministero per la pubblica ammini-
Viviana Catania - Dottore di Ricerca in Psicologia Clinica, Università di Lecce - Mem-
3
strazione e semplificazione
8
Sul sito ReQuS la rete per la Qualità nella
bro del Consiglio Direttivo Aicq-Sicilia con
Scuola è disponibile la versione del CAF
riferimento al settore Education - vivianaca-
(Common Assessment Framework) adattato
[email protected]
alla Scuola. Notizie su esperienze della sua
Per un aggiornamento sullo stato dell’arte
applicazione in istituti scolastici si trovano
della Qualità negli istituti scolastici vedi l’in-
nei due seguenti contributi: Caterina Pasqua-
serto nel numero 3/2011 delle “Rivista dell’i-
lin, Roberto Chiaretto, Non solo ISO: autova-
struzione – Scuola e autonomie locali” cura-
lutazione e CAF e Alfio Pelli, Qualità e certi-
to da P. Senni Guidotti Magnani, La qualità
ficazione: il modello Toscano, entrambi in
per l’Education. Oltre agli articoli citati nelle
“Rivista dell’Istruzione Scuola e autonomie
note seguenti vi è compreso anche l’articolo
di F. De Cillis, Incentivi, performance, miglio-
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>> Francesco Taurasi
di cui all’art. 71
del Testo Unico
sulla sicurezza sul lavoro
Tecnologo INAIL area ex ISPESL
Diego Cerra
Presidente Comitato Salute e Sicurezza Aicq
Le verifiche periodiche
di macchine e apparecchi
È
stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 24/1/12 il decreto interministeriale del 20 gennaio 2012 concernente il differimento - dal 24/1/2012 di
ulteriori 120 giorni - dell’entrata in vigore
del decreto 11 aprile 2011: in seguito a
questo ulteriore rinvio il dm entrerà in vigore il 23 maggio 2012.
Comunque, si ricorda che ai sensi dell'art.
71, comma 11, del d.lgs 81/2008 (testo
unico), il datore di lavoro è obbligato a sottoporre le attrezzature di lavoro riportate
nell’allegato vii a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza,
con la frequenza indicata nell’allegato. titolare della prima verifica, è l'inail (che
ha assorbito le funzioni dell’ex ispesl), mentre ricade in capo alle asl la titolarità delle verifiche periodiche successive.
Premessa
La legislazione nazionale per l’esercizio, sia
di macchine e impianti per operazioni di
sollevamento materiali e persone, che per
apparecchi a pressione ha sempre previsto
l’obbligo di controlli e verifiche periodiche e straordinarie, in considerazione delle potenziali conseguenze in caso di malfunzionamento o collasso delle stesse. L’art.
71 del D.Lgs 81/08 e smi prevede che le attrezzature di lavoro siano installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso
e oggetto di idonea manutenzione al fine
di garantire nel tempo la permanenza dei
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requisiti di sicurezza. Oltre alle operazioni di
controllo e
manutenzione previsti
dal costruttore, il comma
11 del D.Lgs 81/08, prevede che il datore di lavoro sottoponga le attrezzature di lavoro riportate in "ALLEGATO VII" a verifiche periodiche volte a valutarne l’effettivo stato di conservazione e di efficienza
ai fini di sicurezza, con la frequenza indicata nel medesimo allegato. Il D.M. 11
aprile 2011 si compone di 6 articoli e 4
allegati, dà attuazione al comma 13 per
l'effettuazione delle verifiche periodiche
di cui al comma 11 dell’articolo 71 del
D.Lgs 81/08 e disciplina:
✎ le procedure di denuncia e le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche cui sono sottoposte le attrezzature di lavoro definite all'allegato
VII del D.Lgs 81/2008;
✎ i criteri per l’abilitazione dei soggetti
pubblici o privati che possono coadiuvare gli organismi pubblici INAIL
(che ha assorbito le funzioni dell’ex
ISPESL) ed ASL nell’esecuzione di tali
verifiche.
Il nuovo termine per l’entrata in vigore del
citato D.M. 11/04/2011 è differito al
23/05/2012 ad eccezione dell’Allegato III,
concernente le modalità per l’abilitazione, il controllo ed il monitoraggio dei soggetti pubblici e privati incaricati delle verifiche, già in vigore dal 30/04/2011. Salvo ulteriori proroghe, da tale date sarà attivo il nuovo sistema «pubblico/privato»
delle verifiche iniziali e periodiche delle
attrezzature di lavoro.
Modalità per l’abilitazione dei soggetti
pubblici o privati
I soggetti abilitati, pubblici o privati, devono essere in possesso dei requisiti riportati nell'allegato I. Le modalità per l'abilitazione, il controllo e il monitoraggio
dei soggetti di cui all'allegato I sono definite nell'allegato III al decreto in esame, il
quale definisce:
✎ le modalità di presentazione della domanda al Ministero del Lavoro, suoi
contenuti e documenti richiesti
✎ la procedura di abilitazione
✎ le condizioni e validità dell’autorizzazione
✎ le relative verifiche.
Per chiarire alcuni aspetti relativi alle istanze di iscrizione, con riferimento al punto
1.1. dell’allegato III, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la
Circolare n. 21/2011 dell’8 agosto 2011.
Va, inoltre, sottolineato che i soggetti pubblici o privati abilitati dovranno tenere un
registro informatizzato che contenga sia
copia dei verbali delle verifiche effettuate
sia ulteriori dati, la data della successiva
verifica periodica, il tipo di attrezzatura,
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❙ Salute e Sicurezza sul lavoro ❙
etc. Il registro dovrà essere trasmesso trimestralmente per via telematica all’INAIL
o alla ASL, per consentire la rispettiva attività di controllo e monitoraggio.
All’articolo 6 sono riportati alcuni decreti
che continuano a rimanere in vigore:
a) Decreto ministeriale 29 febbraio 1988;
b) Decreto ministeriale 23 settembre 2004;
c) Decreto ministeriale 17 gennaio 2005;
d) Decreto ministeriale 1° dicembre 2004,
n. 329.
Viene anche stabilito che i regimi già adottati dalle regioni a statuto speciale e nelle
province autonome di Trento e di Bolzano
sono ancora validi. Il comma 12 dell’articolo 71 del D.Lgs 81/2008, prevede che
INAIL e ASL per l’effettuazione delle rispettive verifiche nei tempi imposti dal decreto, possono avvalersi del supporto di
soggetti pubblici o privati abilitati che acquisiscono la qualifica di “incaricati di
pubblico servizio” e che rispondono alla
struttura pubblica titolare della funzione. Il
D.M. 11 aprile 2011, precisa che titolare
della prima verifica, da effettuarsi nel termine di 60 giorni dalla richiesta, è l'INAIL,
mentre ricade in capo alle ASL la titolarità
delle verifiche periodiche successive, da
effettuarsi nel termine di 30 giorni dalla richiesta da parte del datore di lavoro. Poiché la capacità organizzativa degli enti
preposti è disomogenea sul territorio è previsto che l'INAIL e le ASL, possono provvedere alle verifiche anche mediante accordi tra di loro o con le Direzioni Provinciali del Ministero del Lavoro (DPL) oppure avvalersi di soggetti terzi abilitati. A tal
proposito il comma 4 dell’articolo 2 del
DM stabilisce che presso l’INAIL e presso
le ASL è istituito un elenco di soggetti abilitati, pubblici o privati, di cui i titolari della funzione si possono avvalere. La scelta
del soggetto pubblico e privato viene fatta dal datore di lavoro all'atto della richiesta
di verifica. Procedure di denuncia prevista dal D.M. 11 aprile 2011
Messa in servizio
Il datore di lavoro che mette in servizio
un’attrezzatura di lavoro fra quelle riportate
nell'allegato VII del D.Lgs 81/2008, ne dà
immediata comunicazione all'INAIL per
consentire la gestione della relativa ban-
marzo/aprile 2012
> Fig 1 - Sequenza Verifiche Periodiche
ca dati. L’INAIL assegna all'attrezzatura un
numero di matricola e lo comunica al datore di lavoro.
La prima delle verifiche periodiche va richiesta all’INAIL, almeno 60 giorni prima
della data di scadenza del termine per l'esecuzione della prima verifica periodica,
come stabilito nell’allegato VII del DLgs
81/08, indicando il luogo presso il quale
è disponibile l'attrezzatura, e anche il nominativo del soggetto abilitato, pubblico
o privato, presente nell’elenco INAIL, di
cui intende avvalersi qualora l’ente non
possa effettuare la verifica direttamente.
Entro 60 giorni dalla richiesta, l’INAIL può
effettuare direttamente la verifica (anche
mediante accordi con le ASL o con le DPL)
o avvalersi del soggetto segnalato dal datore di lavoro.
Trascorsi i 60 giorni senza che l’INAIL abbia proceduto alla verifica, il datore di lavoro può far effettuare la verifica da qualsiasi soggetto abilitato presente nell’elenco Ministeriale comunicando all’INAIL
stesso il nominativo del verificatore.
Per le verifiche periodiche successive alla prima, il datore di lavoro richiede la verifica alla ASL di competenza, comunicando, anche in questo caso, il luogo presso il quale è disponibile l’attrezzatura, almeno 30 giorni prima della scadenza del
termine per l’esecuzione della verifica, ed
il nominativo del soggetto abilitato, pubblico o privato (presente nell’elenco ASL)
di cui intende avvalersi qualora l’ente non
possa effettuare la verifica direttamente.
L’ASL può, quindi, entro 30 giorni effettuare direttamente la verifica (anche me-
diante accordi con l’INAIL o con la DPL)
o avvalersi del soggetto segnalato dal datore di lavoro. Trascorsi i 30 giorni, senza
che l’ASL abbia proceduto alla verifica il
datore di lavoro può far effettuare la verifica da qualsiasi soggetto abilitato, presente
nell’elenco Ministeriale, comunicando all’ente stesso il nominativo del verificatore. Di seguito, in Fig. 1, è riportato uno
schema riepilogativo del flusso delle verifiche periodiche.
Ricordiamo che le violazioni dell’art. 71,
comma 11, del D.Lgs 81/08 sono sanzionate in via amministrativa (art. 87). Evidenziamo, inoltre, che l’allegato II del D.M.
11/04/2011 prevede che eventuali violazioni riferite sia alla prima verifica che a
quelle periodiche, siano comunicate all’organo di vigilanza presente sul territorio.
Definizione di verifica
periodica
La verifica periodica è finalizzata a:
✎ identificare l’attrezzatura di lavoro,
✎ accertare la conformità alle modalità
di installazione previste dal fabbricante nelle istruzioni d'uso - che la configurazione dell’attrezzatura di lavoro
sia tra quelle previste nelle istruzioni
d’uso redatte dal fabbricante, verificare la regolare tenuta del registro di
controllo, ove previsto dai decreti di
recepimento delle direttive comunitarie pertinenti o negli altri casi, dalle
registrazioni di cui all’articolo 71,
comma 9 del D.Lgs 81/08,
✎ controllare lo stato di manutenzione e
conservazione,
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❙ Le verifiche periodiche di macchine e apparecchi ❙
✎ effettuare le prove di funzionamento
Modalità di effettuazione
delle verifiche periodiche
Le verifiche sono onerose e le spese per
l`effettuazione sono a carico del datore di
lavoro. Le modalità per effettuare le verifiche periodiche sono definite nell’allegato II del D.M. 11 aprile 2011. L’allegato individua, in primo luogo, il proprio campo
di applicazione. A questo fine, le attrezzature di lavoro di cui all’all. VII del DLgs
81/08 vengono suddivise nei gruppi SC,
SP e GVR.
APPARECCHI DI SOLLEVAMENTO MATERIALI E PERSONE (Gruppo SC e SP)
Gruppo SC - Apparecchi di sollevamento
materiali non azionati a mano ed idroestrattori a forza centrifuga
a) Apparecchi mobili di sollevamento materiali di portata superiore a 200 kg
b) Apparecchi trasferibili di sollevamento
materiali di portata superiore a 200 kg
c) Apparecchi fissi di sollevamento materiali di portata superiore a 200 kg
d) Carrelli semoventi a braccio telescopico
e) ldroestrattori a forza centrifuga
Gruppo SP - Sollevamento persone
a) Scale aree ad inclinazione variabile
b) Ponti mobili sviluppabili su carro ad
azionamento motorizzato
c) Ponti mobili sviluppabili su carro a sviluppo verticale azionati a mano
d) Ponti sospesi e relativi argani
e) Piattaforme di lavoro autosollevanti su
colonne
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f) Ascensori e montacarichi da cantiere
Il decreto D.Lgs 106/2009, correttivo del
D.Lgs 81/08, ha introdotto l’obbligo di verifica anche per i carrelli semoventi a braccio telescopico, le piattaforme di lavoro
autosollevanti su colonne, gli ascensori e
montacarichi di cantiere con cabina/piattaforma guidata verticalmente e gli idroestrattori a forza centrifuga. In particolare
per i suddetti apparecchi se già messi in
servizio alla data di entrata in vigore del
presente decreto, la richiesta di prima verifica costituisce adempimento obbligatorio di comunicazione all’INAIL.
Il D.M. 11.4.2011 ha reso obbligatoria per
le attrezzature di lavoro, in particolare per
le gru mobili, le gru trasferibili e i ponti
sviluppabili su carro ad azionamento motorizzato, che superano i 20 anni di età l'indagine supplementare, cioè una verifica strutturale finalizzata ad individuare
eventuali vizi, difetti o anomalie, nonché
a stabilire la vita residua in cui la macchina potrà ancora operare in condizioni di
sicurezza con le eventuali relative nuove
portate nominali (ALLEGATO II - punto
3.2.3. - indagini supplementari di cui al
punto 2, lettera c). La novità è che tale indagine supplementare dovrà essere esibita dal datore di lavoro al funzionario addetto alla verifica periodica, e non prescritta da quest'ultimo.
IMPIANTI A PRESSIONE (Gruppo GVR)
a) Attrezzature a pressione:
1. Recipienti contenenti fluidi con pressione maggiore di 0,5 bar;
2. Generatori di vapor d'acqua;
3. Generatori di acqua surriscaldata;
4. Tubazioni contenenti gas, vapori e liquidi;
5. Generatori di calore alimentati da
combustibile solido, liquido o gassoso per impianti centrali di riscaldamento utilizzanti acqua calcia sotto
pressione con temperatura dell’acqua
non superiore alla temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica,
aventi potenzialità globale dei focolai superiori a 116 kW (D.M. 1-12-75
e specifica tecnica applicativa raccolta
R - verifica con frequenza quinquennale);
6. Forni per le industrie chimiche e affi-
ni;
b) Insiemi: assemblaggi di attrezzature da
parte di un costruttore certificati CE come insiemi secondo il decreto legislativo n. 93 del 25 febbraio 2000.
La Direttiva 97/23/CE (denominata PED e
recepita con il D.Lgs 93 del 2000) riguarda solo la costruzione e non l’esercizio
delle apparecchiature a pressione, che resta di competenza dei Paesi membri; per
quanto attiene all’installazione, utilizzo e
manutenzione delle stesse si fa riferimento ai disposti normativi disciplinati dal
D.Lgs. 93/2000, dal D.M. 329/2004 e dal
D.Lgs. 81/08. Gli artt. 4 e 6 del D.M.
329/2004 disciplinano la verifica di primo
impianto (o di controllo della messa in servizio) e gli obblighi della messa in servizio
con la relativa dichiarazione. Eseguita la
verifica di primo/nuovo impianto, di cui
all’art. 4 del D.M. 329/2004, l’utilizzatore è tenuto, all’atto della messa in esercizio dell’attrezzatura/insieme, ad inviare
una dichiarazione di messa in servizio, all’INAIL area ex ISPESL ed all’ASL, competenti territorialmente, corredata da una serie di documenti tecnici citati all’art. 6 del
D.M. 329/2004, fra cui il verbale di verifica di primo impianto (ove previsto), una
relazione tecnica, con lo schema dell’impianto recante le condizioni d’installazione e di esercizio, le misure di sicurezza,
protezione e controllo adottate.
Il D.M. 329/2004 individua inoltre:
✎ gli apparecchi esclusi dalla applica-
zione del Decreto (art. 2)
✎ le categorie di attrezzature ed insiemi
che non necessitano di verifiche obbligatorie di primo impianto (art. 5);
✎ gli intervalli di tempo delle verifiche
di riqualificazione periodica delle attrezzature;
✎ le esenzioni dalla riqualificazione periodica (art. 11).
Tra le attrezzature ed insiemi a pressione
per i quali non si deve dichiarare la messa in servizio figurano:
✎ i recipienti a pressione aventi capacità
fino a 25 litri e, se con pressione minore o uguale a 12 bar, aventi capacità fino a 50 litri;
✎ le attrezzature a pressione di cui all’articolo 3 comma 3 del D. Lgs.
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dell’attrezzatura di lavoro e di efficienza dei dispositivi di sicurezza e di
controllo.
La prima verifica periodica è la prima delle verifiche periodiche e prevede, oltre agli
adempimenti descritti, la compilazione
della scheda tecnica di identificazione dell'attrezzatura di lavoro al fine di assicurare un riferimento per le verifiche periodiche successive che costituirà parte integrante dell’attrezzatura di lavoro, secondo la modulistica riportata in allegato IV
de D.M. 11/04/2011.
Le verifiche periodiche successive alla prima, sono effettuate con le stesse modalità
della prima verifica e con la periodicità indicata nell’allegato VII del D.Lgs. 81/08.
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❙ Le verifiche periodiche di macchine e apparecchi ❙
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93/2000;
✎ le attrezzature a pressione standard di
cui all’articolo 1 comma 3 lettera a)
del D.Lgs. 93/2000;
✎ le tubazioni con DN minore o uguale
a 80.
Gli accessori di sicurezza sono esclusi dalla dichiarazione di messa in servizio di primo impianto, in quanto vengono acquisiti nel corso della verifica dell'attrezzatura
a pressione cui sono destinati o con cui
sono collegati e seguono la stessa periodicità. L'installazione di valvole di intercettazione sull'entrata e sull'uscita dei condotti delle valvole di sicurezza è consentita qualora non in contrasto con quanto
indicato nelle istruzioni per l'uso, su motivata richiesta del datore di lavoro in particolare nel caso di fluidi infiammabili, tossici, corrosivi o comunque nocivi.
Le valvole di intercettazione devono essere piombate in posizione di apertura a
cura dell'INAIL o delle ASL ai quali vanno segnalate tempestivamente le manovre che abbiano comportato manomissioni del sigillo.
Classificazione attrezzature a pressione
Il D.M. 329/2004 prevede che le attrezzature a pressione, rientranti nel campo di applicazione del decreto, debbano essere classificate in relazione alle categorie, da I a IV,
definite nell’Allegato II del D.Lgs 93/2000.
Tale classificazione è effettuata dall’utilizzatore anche per le attrezzature in uso prima dell’entrata in vigore del D.Lgs 93/2000,
tenendo conto della tipologia di attrezzatura, del valore della pressione massima
ammissibile, dell'entità delle dimensioni
V (Volume del recipente) o DN (tubazioni), inoltre ai fini della classificazione i fluidi sono suddivisi nei seguenti due gruppi:
a. Gruppo 1: comprendente fluidi pericolosi (cioè sostanze o preparati definiti
dall’art. 2 comma 2 del D.Lgs. 52/97 e
smi come “esplosivi”, estremamente infiammabili, facilmente infiammabili, infiammabili, altamente tossici, tossici,
comburenti.
b. Gruppo 2: comprendente tutti gli altri
fluidi non elencati alla lettera a).
Per verifiche di riqualificazione periodica,
secondo il DM 329/04, sono da intendersi sia le verifiche periodiche di funziona-
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mento, che le verifiche di integrità decennale. Inoltre, è possibile effettuare ispezioni alternative e con periodicità differenti da quelle elencate nelle tabelle di cui
agli allegati A e B, ma tali da garantire un
livello di sicurezza equivalente, secondo le
prescrizioni indicate al comma 5 dell’art.
10 del DM 329/04. La frequenze delle verifiche periodiche dei recipienti a pressione viene stabilita in base alla classificazione attribuita in fase di verifica di primo
impianto o dal costruttore; la cadenza è
regolamentata dalle tabelle allegate al D.M.
329/04 ed inserite anche nell’allegato VII
del D. Lgs 81/08.
Verifica di integrità decennale
È comunque prevista per tutti i recipienti
la verifica decennale di integrità strutturale che, consiste nell’accertamento dello
stato di conservazione delle varie membrature mediante esame visivo delle parti
interne ed esterne accessibili ed ispezionabili, nell’esame spessimetrico ed altre
eventuali prove, eseguite da personale adeguatamente qualificato incaricato dal datore di lavoro. Quando l'attrezzatura presa in esame ha caratteristiche tali da non
consentire adeguate condizioni di accessibilità all'interno o risulta comunque non
ispezionabile esaustivamente, l'ispezione
è integrata, limitatamente alle camere non
ispezionabili, con una prova di pressione
a 1,125 volte la pressione massima ammissibile, che può essere effettuata utilizzando un fluido allo stato liquido. Per le
tubazioni la verifica di integrità non comporta obbligatoriamente né la prova idraulica né l’esame visivo interno, ma opportuni controlli non distruttivi per l’accertamento della integrità. Per i serbatoi criogenici con intercapedine isolante sottovuoto non soggetti ad azione interna di
corrosione o di abrasione o di erosione, la
verifica d’integrità consiste in una prova
pneumatica, di norma mediante lo stesso
gas contenuto, alla pressione di 1.1 volte
la «pressione massima ammissibile» ed in
una prova di ermeticità al vuoto. Se su
un’attrezzatura/insieme/impianto sono presenti tubazioni che per loro caratteristiche
rientrano nel campo di applicazione del
DM. 329 e/o recipienti per liquidi e mai
assoggettati ad omologazioni o controlli
di legge, deve essere assolto l’obbligo di
denuncia all’INAIL, come previsto dell’art.
16 del DM. 329/04.
I generatori di vapore ed acqua surriscaldata, fatta eccezione di quelli esclusi e
quelli esonerati parzialmente o totalmente (D.M. 21/5/74), dovranno essere condotti in maniera continua da personale
qualificato, ovvero in possesso di patentino di abilitazione (D.M.1/3/1974), in funzione della producibilità e della superficie di scambio del generatore. La sorveglianza senza assistenza continua si applica a tutti i generatori che sono stati concepiti per un esercizio senza assistenza
continua di persona addetta. Il “manuale
d’uso e manutenzione” deve esplicitamente
indicare che il generatore è stato progettato
ed accessoriato per operare con questa
modalità. Le caratteristiche dell'acqua di
alimentazione e dell’acqua di caldaia devono soddisfare le caratteristiche definite
nel “manuale d’uso e manutenzione” oppure in mancanza dalle norme tecniche
applicabili. Per le attrezzature che lavorano in condizioni di regime tali per cui possono esserci significativi fenomeni di scorrimento viscoso o di fatica oligociclica, si
osservano le prescrizioni tecniche vigenti
in materia. Le autorizzazioni all’ulteriore
esercizio vengono rilasciate dall’INAIL sulla base della valutazione effettuata dal datore di lavoro.
E’ facoltà dell’utilizzatore prevedere frequenze di verifica più cautelative anche
per una più omogenea organizzazione
aziendale.
Conclusioni
Nel merito il decreto definisce in modo
dettagliato le modalità di effettuazione della prima verifica e di quelle periodiche,
anche nelle ipotesi in cui INAIL ed ASL
non ritengano di poterle effettuare direttamente.
Riferimenti bibliografici
1. DLgs 9 aprile 2008 , n. 81 e s.m.i.
2. Decreto 11 aprile 2011. G.U. n. 98 del
29 aprile 2011.
3. Francesco Taurasi. Verifiche Periodiche.
Ambiente & Sicurezza sul Lavoro. Gennaio 2012.
www.aicq.it
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Coordinatore Gruppo di Lavoro” Formazione” del Comitato Salute e Sicurezza
Alessandro Cafiero
Responsabile Settore Nazionale AIF Formazione e Sicurezza
Accordo Stato-Regioni per
percorsi formativi conformi
Quale formazione per i lavoratori,
dirigenti, preposti e datori di lavoro
ma anche requisiti più chiari
per il formatore
L’accordo
Il 21 dicembre 2011 la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni
e Province Autonome ha approvato l’accordo sulla formazione che, al di là di
eventuali criticità che saranno evidenziate in seguito, fanno ben sperare in un
più chiaro futuro per la qualità e l’efficienza della formazione per la sicurezza
in Italia, oltre che ad una più elevata
consapevolezza dell’importanza della
formazione per la prevenzione. L’Accordo riguarda le attività formative per:
✎ il datore di lavoro per lo svolgimento
diretto dei compiti di responsabile
del servizio di prevenzione e protezione dei rischi (RSPP), ai sensi dell'art. 34 (commi 2- 3) del D.Lgs n.
81/2008, regolando contenuti, articolazioni, modalità di compimento del
percorso formativo e l’aggiornamento da svolgere, nei casi previsti dal
decreto stesso, per i compiti propri
del servizio;
✎ i lavoratori e lavoratrici, ai sensi dell'art. 37 (comma 2) del D.Lgs n.
81/2008, definendo durata, contenuti
www.aicq.it
minimi, modalità della formazione e
aggiornamento come definiti all’art. 2
(comma 1 lettera a) dei preposti e dei
dirigenti, nonché la formazione facoltativa dei soggetti di cui all’art. 21
(comma 1) del medesimo decreto.
Queste nuove regole completano il
quadro avviato con l’Accordo Stato-Re-
gioni del gennaio 2006 e non vanno
considerate solo come adempimento
sostanziale degli art. 34 e 37 del D. Lgs.
n. 81, ma un punto di partenza per intendere nuove modalità della formazione nella sicurezza sul lavoro. In effetti
l’accordo:
✎ pone attenzione ai fattori più critici
(nuove assunzioni, variazione di
mansione, cambiamento dei processi
produttivi) e alla specificità di ogni
settore, in modo che la formazione
di ciascun soggetto sia coerente con i
fattori di rischio a cui è realmente
esposto;
✎ colma un vuoto che, nella formazio-
> Fonte AIFOS
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frequentare le attività (costi della formazione e costi di mancata produttività).
Ma, in relazione a infortuni e morti sul
lavoro, è doveroso riscontrare il positivo
rapporto costi/benefici al cospetto di
una migliore formazione che, per le imprese, determina meno incidenti e sgrava i costi della scarsa sicurezza.
La formazione
dei datori di lavoro
> Fonte AIFOS
> Fonte AIFOS
ne dei lavoratori, fino ad oggi ha generato molta confusione con differenti interpretazioni e attuazioni (più
o meno serie) e dando origine ad attività formative con contenuti, durata
e metodologie le più differenti e,
senz'altro, fra loro disomogenee.
L’Accordo riporta in allegato la suddivisione delle imprese (in base al Macrosettore Ateco) con 3 livelli di rischio
(basso, medio, alto). Se aumenta il livello di rischio, la richiesta dell’impegno
formativo cresce e vale per tutti l’obbligo di aggiornare, nel quinquennio, le
proprie competenze.
Inoltre, nella loro lettura si nota immediatamente un presupposto fondamentale che consiste in una chiara e precisa
avvertenza negli approcci: non va assolutamente mescolata l’attività di informazione con quella di formazione e
addestramento.
Viene chiarito che l’informazione è regolata dall’art. 36 del D. Lgs. n.
81/2008 e non va confusa con la forma-
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zione i cui percorsi sono definiti dagli
stessi Accordi. Inoltre, viene precisato
che si tratta della formazione di cui
all’art. 37 del D. Lgs. 81/2008, ovvero
quella prevista dal Titolo I del decreto,
mentre, qualora il lavoratore svolga lavorazioni e utilizzi attrezzature di cui
agli altri Titoli del decreto, vanno previsti ulteriori e disgiunti percorsi formativi. Pertanto, anche l’addestramento va
praticato in seguito e non è conglobabile con la formazione.
Certamente ciò non è un sofisma e dimostra per la formazione agìta un approccio responsabile e consapevole che
non si rapporta solo al mero e formale
conseguimento di un attestato ma, se
integralmente attuato dall’impresa, costituisce un modello innovativo di grande rilievo e valore.
Questo nuovo modello formativo comporta, sicuramente, un maggior n. di
ore e di corsi da realizzare e una prima
critica da parte delle imprese riguarderà, senz’altro, i costi da affrontare per
Le nuove modalità formative per lo
svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione da parte del datore di lavoro stabiliscono un rapporto
più equo nei confronti del ruolo e delle
funzioni svolte dal “RSPP-lavoratore”.
Infatti, era difficile giustificare come un
RSPP-lavoratore per lo svolgimento di
tale incarico dovesse realizzare, giustamente, un percorso formativo (Modulo
A, B, C) di complessive 112 ore, mentre
al datore di lavoro per svolgere le medesime funzioni ne bastavano 16.
Vengono fissati, in base alla suddivisione dei rischi aziendali, diversi livelli formativi, articolando i corsi nei 3 diversi
ambiti di rischio (basso, medio, alto).
Inoltre, i contenuti dei 4 moduli del
percorso formativo (pur differenti nelle
ore di formazione a seconda del livello
di rischio) sono uguali per tutti, a significare la necessità, da parte del datore
di lavoro, di non omettere o sopprimere
nessuno di questi contenuti.
La formazione
di lavoratori, preposti
e dirigenti
L’Accordo prevede per tutti i Lavoratori
un percorso formativo articolato in 2 sequenze:
✎ formazione generale, uguale e obbligatoria per tutti i lavoratori di tutti i
settori di attività economica;
✎ formazione specifica, successiva alla
precedente e articolata in corsi con
un numero di ore definite sulla base
della classe di rischio (basso, medio,
alto) dell’impresa interessata.
Per quanto concerne la formazione del
Preposto, questa è una logica e addizionale conseguenza della formazione
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❙ Accordo Stato-Regioni per percorsi formativi conformi ❙
Individuazione e valutazione dei rischi;
Comunicazione, formazione e consultazione dei lavoratori.
L’Accordo, che costituisce certamente
un positivo passo in avanti, segnala due
delicate questioni: quella connessa all’impatto con l’impresa e quella relativa
alla qualificazione della figura del formatore.
Per quanto riguarda la prima si può ipotizzare:
✎ un’opposizione sul complessivo
maggior peso delle ore di formazione da svolgere, innanzitutto in questa
situazione congiunturale, in relazione agli aspetti organizzativi ed economici che la vincolano;
✎ un avvilimento da parte dei datori di
lavoro-RSPP nell’impegno formativo,
continua da pagina 14
possono scaturire azioni correttive tali da
consentire il raggiungimento di miglioramenti significativi. Ed è solamente questo confronto che può legittimare la valutazione della performance e la conseguente assegnazione di incentivi premiali.
Inoltre, lo sviluppo di tale circuito virtuoso alimenterebbe la motivazione di
ogni individuo che, in quanto parte di
una squadra, sentirebbe di aver contribuito positivamente al raggiungimento
degli obiettivi.
> Fonte AIFOS
tiva di risultati senza alcun effetto di miglioramento dell’attività gestionale.
D’altra parte, è solo dal costante confronto in itinere tra obiettivi e risultati che
Alcune riflessioni
continua da pagina 20
continuo: Vito Infante, Qualità e scuola: sul-
11
locali”, Maggioli Editore Rimini, n. 3 - 2011
9
l’Istruzione Scuola e autonomie locali”,
S - servizi, A – apprendimenti, P – pari op-
Piano Offerta Formativa, obbligatorio in
ogni Istituzione Scolastica
le strade del miglioramento, in “Rivista del12
Insegnanti che si candidano e vengono elet-
Maggioli Editore Rimini, n. 3 - 2011
ti a particolare funzioni non di insegnamen-
OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e
to curriculare (es. Handicap, Qualità, POF,
mento, sperimentazione, I – integrazione
lo Sviluppo Economico) – PISA (Programme
ecc.). In genere coordinano delle Commis-
con le scuole, con il territorio e con l’Euro-
for International Student Assessment), INVAL-
sioni specifiche e vengono brevemente indi-
pa. Il seguente articolo ne fornisce filosofia
SI Istituto nazionale per la valutazione del si-
cate come FS. In ogni IS c’è un budget fisso
ispiratrice nell’ambito del miglioramento
stema educativo di istruzione e di formazione
da spalmare sulle FS prescelte.
portunità, E – etica, R – ricerca, aggiorna-
www.aicq.it
10
marzo/aprile 2012
te m a
dei lavoratori. Infatti il preposto, in
quanto lavoratore, dovrà svolgere la formazione generale e in seguito la formazione specifica.
Successivamente, dovrà acquisire la particolare formazione aggiuntiva prevista
per tutti coloro che svolgono tale ruolo.
Infine, la spinosa e articolata questione
della formazione dei Dirigenti. Tale ambito di attività rientra senz’altro nell’Accordo in quanto il D. Lgs. 106/2009 ha
perfezionato l’art. 37 del D. Lgs.
81/2008 (comma 7) inserendo la figura
del Dirigente tra i soggetti ai quali il datore di lavoro deve far svolgere la formazione. Il programma, che avvicenda
quello previsto per i lavoratori, è uguale
per tutti e si articola in 4 moduli:
Giuridico - normativo;
Gestione e organizzazione della sicurezza;
con la probabile ricerca di tale figura
all’esterno “anestetizzando” l’attenzione interna sui temi della sicurezza.
Per quanto riguarda la seconda ci si
può attendere:
✎ il manifestarsi, con sempre meno garanzie, di formatori e strutture formative che si proporranno su ciò che
viene considerato un “business”
(compresa la vendita di pacchetti formativi on-line);
✎ l’elaborazione (in tempi brevi) dei
criteri di qualificazione del formatore
per la salute e la sicurezza sul lavoro
da parte della Commissione Consultiva (compito previsto dall’art. 6 del
D. Lgs. 81/2008).
In effetti, forse, questa era già una buona occasione per emanare tale provvedimento, tenendo anche conto che non
è necessario il passaggio in Conferenza
Stato Regioni.
Inoltre, per maggiore chiarezza sarebbe
auspicabile un intervento della Commissione per elaborare delle Linee Guida sulla composizione dei pacchetti
formativi in funzione dei rischi differenziati. Esistono, infatti, molte realtà
nelle quali si possono rilevare aree a Rischio Basso (ad esempio uffici) e altre
aree a Rischio Medio o Alto come magazzini, officine, ecc.
Queste linee guida contribuirebbero a
focalizzare le reali necessità e rendere,
senz’altro, la formazione più efficace.
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te m a
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❙ Salute e Sicurezza sul lavoro ❙
>> Diego Cerra
Presidente del Comitato Salute e Sicurezza AICQ
Formazione dei lavoratori
e accordo Stato-Regioni
Premessa
L’Accordo Stato Regioni del 21.12.2011
di cui alla G.U. n. 8 del 11.01.2012 ha
finalmente colmato una lacuna storica
in termini di formazione “adeguata e sufficiente” per tutti gli attori della sicurezza portatori di posizioni di garanzia, ad
eccezione del datore di lavoro, che potremmo già anticipare rimane l’unico ad
avere il diritto all’ignoranza, pur avendo
le responsabilità e gli oneri maggiori in
termini di salute e sicurezza dei lavoratori.
Pur avendo un’articolazione assolutamente contorta, l’accordo indica il percorso da seguire per ottemperare agli obblighi di formazione di cui all’art. 37 del
D.Lgs 81/2008, almeno per quanto riguarda:
✎ la formazione generale dei lavoratori
✎ la formazione specifica in relazione
al settore di appartenenza
✎ la formazione particolare dei preposti
✎ la formazione dei dirigenti
Nel presente lavoro non si accennerà all’altro documento relativo all’Accordo
Stato Regioni sempre della stessa data
che tratta la formazione per i Datori di
Lavoro che intendono svolgere direttamente il ruolo di RSPP di cui all’art. 34
del D.Lgs 81/2008.
Il presente lavoro vuole solo condividere con gli associati alcune riflessioni e
qualche schema esemplificativo.
marzo/aprile 2012
Formazione dei lavoratori
Il D.Lgs 81/2008 in realtà già distingue
in modo chiaro e netto:
✎ l’informazione
✎ la formazione
✎ l’addestramento
in relazione alla necessità di rendere
competenti e consapevoli i lavoratori.
E’ vero anche che l’informazione (art.
36 D.Lgs 81/2008) è un compito specifico del RSPP ed è ben definito nel T.U.
cosa debba trattare; non è indicato come debba essere erogata lasciando quindi al datore di lavoro il ricorso a riunioni formative, distribuzione di opuscoli
D. Lgs 81/2008
Articolo 36 - Informazione ai lavoratori
1. Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata
informazione:
a) sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in generale;
b) sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro;
c) sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli
45 e 46;
d) sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione, e del medico competente.
2. Il datore di lavoro provvede altresì affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata
informazione:
a) sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di
sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;
b) sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle
norme di buona tecnica;
c) sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.
3. <<omissis>>
4. Il contenuto della informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze. Ove la informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo.
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❙ Formazione dei lavoratori e accordo stato regioni ❙
D. Lgs 81/2008
Articolo 37 - Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti
1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:
a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;
b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.
D. Lgs 81/2008
Articolo 37 - Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti
3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente Decreto successivi al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede è definita mediante l’Accordo
di cui al comma 2.
informativi, newsletter aziendali, ecc..
Per quanto concerne la formazione, invece, è vero che l’art. 37 del D.Lgs
81/2008 precisa chiaramente che la formazione deve essere fornita dal datore di
lavoro e precisa anche quali debbano
essere gli argomenti; in particolare al
comma 1 dell’art. 37 si parla prima di
concetto di rischio e di diritti e doveri
dei vari soggetti aziendali (lettera a) e
poi di rischi riferiti alle mansioni, ai possibili danni, alle misure di prevenzione
e protezione tipici del settore dell’azienda. In realtà non si parla ancora dell’entità del rischio per i lavoratori esposti, ma solo delle situazioni tipiche, caratteristiche.
Alla lettera 2 del comma 1 dell’art. 37
viene indicato che la durata, i contenuti minimi e le modalità di erogazione saranno definiti da un Accordo in sede di
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gennaio/febbraio 2012
Conferenza Stato Regioni entro dodici
mesi dall’entrata in vigore del TU, ovvero entro il 2009; ecco quindi la pubblicazione degli accordi con due anni e
mezzo di ritardo.
Al comma 3 dell’art. 37 viene inoltre indicato che il datore di lavoro deve assicurare anche la formazione “sufficiente
ed adeguata” in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del T.U.. E anche qui
viene richiamato l’Accorso in oggetto
per fissare l’entità del “adeguato” e “sufficiente”; quanto poi questa formazione
possa essere ritenuta “sufficiente” di fronte ad un evento colposo è tutto da vedere. Ma in ogni caso adesso c’è un punto fermo, che indica cosa si può intendere per adeguato e sufficiente.
L’accordo precisa tutti i criteri per organizzare la formazione precisando nei vari casi come procedere; l’accordo preci-
sa altresì i programmi dei corsi e la durata. Viene precisato che la formazione
deve essere suddivisa in:
✎ Formazione generale con rif. art. 37,
comma 1, lettera a)
✎ Formazione specifica con rif. Art.
37, comma 1, lettera b), comma 3,
comma 4 lettere a), b) e c):
La formazione generale, della durata di
4 ore deve coprire i seguenti argomenti:
✎ Introduzione al concetto di rischio,
danno: definizioni di cui al D.Lgs
81/2008
✎ La valutazione del rischio: il concetto di rischio residuo o rischio accettabile.
✎ Differenza tra misure di prevenzione
e misure di protezione
✎ Organizzazione della prevenzione
aziendale: art. 15, misure generali di
tutela
✎ Diritti, doveri e sanzioni per i vari
soggetti aziendali: artt. 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 del
D.Lgs 81/2008
✎ Organi di vigilanza, controllo e assistenza: ruolo dell'ASL, dell'INAIL,
del Ministero del lavoro delle politiche sociali
Mentre la formazione specifica, della durata variabile (4 ore -livello di rischio BASSO, 8 ore -livello di rischio MEDIO, 12
ore - livello di rischio ALTO) deve coprire i seguenti argomenti:
✎ Rischi infortunistici: meccanici generali, elettrici generali, macchine,
attrezzature, cadute dall'alto, rischi
da esplosione
✎ Rischi per la salute: rischi chimici,
Nebbie - Oli -Fumi - Vapori - Polveri, Etichettatura, Rischi cancerogeni,
rischi biologici, videoterminali,
✎ Rischi per la salute: rischi fisici, rumore, vibrazioni, radiazioni, microclima e illuminazione, Stress lavoro
correlato, movimentazione manuale
dei carichi, DPI
✎ Organizzazione del lavoro, Ambienti di lavoro
✎ Movimentazione merci (apparecchi
di sollevamento, mezzi di trasporto)
✎ Segnaletica
✎ La gestione delle Emergenze: proce-
marzo/aprile 2012
te m a
D. Lgs 81/2008
Articolo 33 - Compiti del servizio di prevenzione e protezione
1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
a) <<omissis>>
b) <<omissis>>
c) <<omissis>>
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) <<omissis>>;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36.
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❙ Salute e Sicurezza sul lavoro ❙
dure di esodo, antincendio, di primo
soccorso
✎ Le procedure di sicurezza con riferimento al profilo di rischio specifico
✎ Incidenti e infortuni mancati
✎ Altri rischi
Aspetto fondamentale è la costruzione
del programma in relazione al settore in
cui opera l’azienda, settori indicati secondo la classificazione ATECO del 2002
e del 2007. Da qui è stata costruita dal
normatore una classificazione in termini “spannometrici” di categorie di rischio: si parla di azienda indicate con
livello di rischio BASSO (es. Alberghi,
Ristoranti), MEDIO (es. Trasporti, Istruzione), ALTO (es. Costruzioni, Lavorazioni Metalli).
Viene anche detto che se un lavoratore
non accede, anche solo sporadicamente, ai reparti produttivi, questi può seguire un percorso formativo da livello
BASSO qualsiasi sia il settore dell’azienda.
Formazione dei preposti
Atteso che il datore di lavoro ha la facoltà di organizzare come crede la sua
azienda, il TU identifica in questa figura
fondamentale il garante della vigilanza
sulle regole definite; va da se che in assenza di regole (leggi sistema di gestione) non c’è preposto. In ogni caso l’accordo precisa che l’applicazione dello
stesso per la formazione dei preposti costituisce un modo corretto di interpretare il dettame legislativo di cui al comma
7 art. 37 D.Lgs 81/2008. Viene indicato
di fornire ai preposti una formazione aggiuntiva, detta “particolare”, rispetta a
quella per i lavoratori della durata di 8
ore e secondo un programma didattico
che riprende quella dei lavoratori ed approfondisce alcuni argomenti degni di
nota, quali ad esempio la gestione degli
“infortuni mancati”, “le tecniche di comunicazione”, “modalità di esercizio della funzione di controllo….”.
Formazione dei dirigenti
Anche per i dirigenti (ricordiamo “dirigenti, intesi come coloro che organizzano il lavoro, ecc…- cfr art. 2 D.Lgs
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D. Lgs 81/2008
Articolo 2 - Definizioni
ee) «organismi paritetici»: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni
altra attività o funzione assegnata loro dalla Legge o dai Contratti collettivi di
riferimento.
D. Lgs 276/2003
Articolo 2 - Definizioni
h) “enti bilaterali”: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi
privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione
di una occupazione regolare e di qualità, l'intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la
promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei
soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e
l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità
o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza
sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.
81/2008) viene sottolineata la facoltà del
datore di lavoro di procedere anche con
soluzioni alternative. Viene indicato un
programma didattico comunque basato
su 4 moduli formativi per 16 ore complessive, che tratta si:
✎ Aspetti giuridici
✎ Aspetti gestionali ed organizzativi
✎ Individuazione e valutazione dei rischi
✎ Comunicazione, formazione e consultazione dei lavoratori
Ruolo degli enti bilaterali
Un altro fattore importante dell’accordo
è la definizione delle modalità di attuzione del comma 12 dell’art. 37, che già
precisava la opportunità di collaborazione con gli organismi paritetici. Viene
indicata come obbligatoria la collaborazione con gli enti bilaterali e degli organismi paritetici. Viene precisato che il datore di lavoro “deve” organizzare i corsi
di formazione per i lavoratori richiedendo la collaborazione preventivamente
agli enti bilaterali o agli organismi pari-
tetici, ove esistenti sia nel territorio che
nel settore nel quale opera l’azienda. Ove
la richiesta riceva riscontro occorre tener conto delle indicazioni ircevute; se invece alla richiesta non c’è seguito entro
quindici giorni dall’invio, il datore di lavoro procede autonomamente alla pianificazione ed alla realizzazione delle
attività di formazione.
Ma come si fa a sapere se nel territorio
esiste un ente bilaterale o un organismo
paritetico per il settore dell’azienda? In
realtà anche i fondi interprofessionali sono considerati enti bilateriali, anche se
in realtà si tratta di soggetti privati a tutti gli effetti. In realtà ne esistono in tutti
settori e sono trasversali alle attività. Questi enti sono sostenuti da contributi versati dalle aziende che pertanto dovrebbero sapere in anticipo quale organismo
paritetico o ente bilaterale è competente nel suo settore/territorio. Per la creazione di un ente bilaterale o un organismo paritetico l’iter non è complesso; in
attesa delle normative regionali, è necessario comunicare il possesso dei re-
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❙ Formazione dei lavoratori e accordo stato regioni ❙
effettuare il corso prima dell'inzio del lavoro; programmare
l'aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dall'assunzione
da assumere
oppure chiudere il corso entro 60 giorni dall'assunzione; programmare l’aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dalla data del corso
ha fatto già
formazione
secondo le
previsioni
normative
preposto
già
assunto
la formazione è
antecedente al 10/1/2007
effettaure l'aggiornamento di 6 ore entro il 10 gennaio 2013
la formazione è
successiva al 10/1/2007
effettaure l'aggiornamento di 6 ore entro 5 anni dalla formazione fatta
immediatamente
non ha fatto formazione secondo
le previsioni normative
il datore di lavoro ha chiuso un accordo
con un soggetto erogatore abilitato ed i
corsi sono stati formalmente e documentalmente approvati al 10/1/2012
chiudere i corsi programmati entro il 10 gennaio 2013; programmare l'aggioranmento di 6 ore entro il 10 gennaio 2018
Formazione generale con rif.art. 37, comma 1, lettera a): durata 4 ore
Formazione specifica con rif. Art. 37, comma 1, lettera b), comma 3, comma 4 lettere a), b) e c): durata 4 ore (livello di rischio BASSO), 8 ore (livello MEDIO), 12 ore (livello ALTO)
effettuare il corso prima dell'inzio del lavoro; programmare
l'aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dall'assunzione
da assumere
oppure chiudere il corso entro 60 giorni dall'assunzione; programmare l’aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dalla data del corso
ha fatto già
formazione
secondo le
previsioni
normative
lavoratore
già
assunto
la formazione è
antecedente al 10/1/2007
effettaure l'aggiornamento di 6 ore entro il 10 gennaio 2013
la formazione è
successiva al 10/1/2007
effettaure l'aggiornamento di 6 ore entro 5 anni dalla formazione fatta
il datore di lavoro ha chiuso un accordo
con un soggetto erogatore abilitato ed i
corsi sono stati formalmente e documentalmente approvati al 10/1/2012
quisiti previsti dalla legge al Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali che,
verificata la regolarità della comunica-
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immediatamente
non ha fatto formazione secondo
le previsioni normative
chiudere i corsi programmati entro il 10 gennaio 2013; programmare l'aggioranmento di 6 ore entro il 10 gennaio 2018
zione, entro 60 giorni iscrive tali soggetti nell'apposita sezione dell'albo delle
agenzie per il lavoro
Requisiti dei docenti
Le caratteristiche dei docenti sono genericamente indicate come “docenti che
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Formazione base come lavoratori: durata 8 ore (livello di rischio BASSO), 12 ore (livello MEDIO), 16 ore (livello ALTO)
Formazione particolare con rif. Art. 37, comma 7: durata 8 ore
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te m a
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❙ Salute e Sicurezza sul lavoro ❙
Formazione con rif. Art. 37, comma 7: durata 16 ore
da assumere
effettuare il corso prima dell'inzio del lavoro; programmare
l'aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dall'assunzione
oppure chiudere il corso entro 60 giorni dall'assunzione; programmare l'aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dalla data del
corso
non ha fatto
alcun corso
per dirigenti
dirigente
già
assunto
nulla è stato pianficato prima
del 11/01/2012
avviare un corso subito da concludere entro il 10 luglio
2013; programmare l'aggioranmento di 6 ore entro il 10
gennaio 2018
il datore di lavoro ha chiuso
un accordo con un soggetto
erogatore abilitato ed i corsi
sono stati formalmente e documentalmente approvati alla data del 11 gennaio 2012
chiudere i corsi programmati entro il 10 gennaio 2013;
programmare l'aggioranmento di 6 ore entro il 10 gennaio
2018
il dirigente ha seguito un corso dopo il 14 agosto 2003 ed entro la data del 11 gennaio 2012
con contenuti conformi all'art. 3 del DM
16/01/97 (corso di 16 ore per datori di lavoro)
programmare l'aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dalla
data di effettuazione del corso
il dirigente ha seguito un corso di formazione
in accordo con il modulo A per RSPP e ASPP
di cui all'accorso stato regioni del
26.01.2006 pubblicato il 14.02.02006
programmare l'aggioranmento di 6 ore entro 5 anni dalla
data di effettuazione del corso
possono dimostrare di possedere esperienza almeno triennale di insegnamento o professionale in materia di salute e
sicurezza del lavoro. L’esperienza professionale può consistere anche nello
svolgimento per un triennio dei compiti del RSPP”. Criteri troppo generici? Sicuramente non appaiono dei criteri di
qualifica.
✎ Parte della formazione per preposti
Disposizioni transitorie
formazione pregressa
Sono presenti una serie di clausole che
consento di riconoscere valida la formazione già fatta, o prevedere delle equivalenze tra percorsi formativi.
Negli schemi seguenti sono riportati i casi possibili
Metodologia di
insegnamento/
apprendimento
Cosa resta
da fare
E’ degno di nota il battesimo formale dell’e-learning che viene indicato come strumento per:
✎ La formazione generale dei lavoratori
✎ La formazione dei dirigenti
✎ I corsi di aggiornamento per i lavoratori, preposti e dirigenti
La formazione indicata dall’Accordo
Stato Regioni in realtà non copre l’addestramento, né la formazione specifica a valle della valutazioni dei rischi, di
cui ai Titoli successivi al primo. Resta
da fare la formazione e addestramento
di cui a:
Art. 45: formazione e addestramento
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squadra primo soccorso DM 388/03
Art. 46: formazione e addestramento
squadra antincendio DM 10.03.98
E per i lavoratori esposti
Art. 73: l’uso di DPI e delle attrezzature
(DPI III cat.)
Art. 174: segnaletica
Art. 169: Movimentazione Manuale dei
Carichi
Art. 177: Videoterminali
Art. 184: agenti fisici
Art. 195: rumore
Art. 227: agenti chimici
Art. 239: agenti cancerogeni
Art. 257: amianto
Art. 278: agenti biologici
Art. 294-bis: atmosfere esplosive
E comunque fornire la formazione “adeguata e sufficiente” che emerge come misura preventiva dall’esito della valutazione dei rischi.
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RECAPITARE AUTOMATICAMENTE
VIA E-MAIL STATISTICHE E INDICATORI
(DELLA QUALITÀ MA NON SOLO)
ci si deve presentare con le informazioni già pronte, non si ha ovviamente la
certezza che gli utenti eseguano le opportune interrogazioni, e che quindi utilizzino la conoscenza che deriva dall’elaborazione delle informazioni.
In altre parole, non si può essere sicuri
che l’utente prema, al momento giusto,
il pulsante che produce la statistica che
gli è stata messa a disposizione (spesso
impiegando una quantità consistente di
tempo) e gli è stato chiesto di esaminare
periodicamente.
L’omissione di questo tipo di azione,
per mancanza di tempo, mancanza di
adeguate conoscenze, o semplicemente
perché non se ne condivide l’utilità, è
una situazione purtroppo molto frequente nelle aziende. Il risultato è che
la grande quantità di informazioni di
cui si parlava all’inizio risulta ampiamente inutilizzata. O, meglio, è utilizzata solo per quanto riguarda il lavoro
di routine e non per il miglioramento
dell’organizzazione. Questo nonostante il miglioramento e la valutazione di
indicatori siano un requisito delle normative ISO 9000 e di altre dalla struttura analoga.
La soluzione per ovviare alla “pigrizia”
degli utenti è molto semplice: recapitare l’informazione “a domicilio” nella
posta elettronica, che può essere consultata in qualsiasi momento da qualsiasi dispositivo (PC, telefono, tablet, ecc.).
Per fare questo, QualiWare offre uno
strumento molto potente e con ampie
possibilità di configurazione: QualiWare Server Daemon, un servizio che consente la definizione di politiche di mailing per recapitare agli utenti, interni ed
esterni, promemoria, statistiche e documenti.
Le regole di generazione degli e-mail
sono definibili in modo estremamente
flessibile grazie alla possibilità di creare query su qualunque database (non
solo quello di QualiWare ma anche altri disponibili in azienda, come ad
esempio quello dell’E.R.P.) che specificano i destinatari, il soggetto e il testo
del messaggio. E’ inoltre possibile allegare l’output di statistiche e grafici in
formato PDF, nonché documenti presenti all’interno del sistema documentale. La tempistica di invio è totalmente
configurabile, e può essere determinata
anche dalla valutazione di specifiche
condizioni (ad esempio situazioni di
criticità come la presenza di non
conformità non risolte).
Per concludere, dividendo in 3 fasi il
processo di gestione delle informazioni
(in particolare dei Sistemi di Gestione
come quelli per Qualità, Sicurezza e
Ambiente):
•Input → raccolta dati capillare, possibilmente effettuata laddove i dati nascono
•Output → statistiche e report necessari
per estrarre la conoscenza dalle informazioni
•Delivery → recapito agli utenti al momento giusto secondo una politica
predefinita,
possiamo dire che QualiWare, grazie
alla sua versatilità e completezza funzionale, rappresenta la soluzione ideale
per implementare con efficacia ed efficienza tutte e 3 queste fasi. Ulteriori
informazioni sono disponibili su
www.qualiware.it.
da l m o nd o d e l l e i m p r es e
La grandissima quantità di informazioni
disponibili nei database aziendali pone
un problema importante legato alla rintracciabilità e alla fruibilità delle informazioni stesse.
Dando per scontato che esse siano gestite in modo strutturato (e non è sempre così, basti pensare alle grandi quantità di documenti Word ed Excel presenti sui server aziendali nella maggior parte delle organizzazioni), l’utente dovrebbe avere a disposizione apposite interrogazioni (query o reports) per estrarre dal database dati aggregati di consuntivo che consentano di evidenziare le
criticità e di conseguenza prendere le
opportune decisioni volte ad un miglioramento del sistema.
E dando pure per scontato che anche il
lavoro di definizione di tali interrogazioni sia stato fatto (e non è sempre così
dal momento che si tratta di un lavoro
non semplice che richiede da un lato
competenze informatiche e dall’altro
un’ottima conoscenza dei processi
aziendali), questo non è ancora sufficiente, perché, anche avendo a disposizione le interrogazioni, resta sempre il
problema di quando farle. Un conto è
se esse sono necessarie per il lavoro
quotidiano, un altro è se si tratta di consuntivare attività mensili o trimestrali,
per ottenerne indicatori di performance
o eventuali segnali di allarme rispetto
ad attività che non stanno procedendo
come previsto o a processi che non
stanno avendo l’efficienza e l’efficacia
programmate.
In questo caso, soprattutto se il monitoraggio avviene fuori dal contesto di apposite riunioni interfunzionali alle quali
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❙ Salute e Sicurezza sul lavoro ❙
>> Francesco Taurasi
Tecnologo INAIL area ex ISPESL
Diego Cerra
Presidente Comitato Nazionale AICQ Salute e Sicurezza
Requisiti per lavorare in
sicurezza in spazi confinati
Dal 23 novembre 2011 è in vigore il
DPR 177/2011 a norma dell’articolo 6
e 27 del DLgs 81/2008, disciplina il sistema di qualificazione delle imprese
e lavoratori autonomi che operano in
spazi confinati ovvero luoghi di lavoro nei quali vi siano rischi di sviluppo
di sostanze altamente nocive o di gas (silos, cisterne, pozzi, ecc.). Il decreto pone particolare attenzione sia alle tematiche della formazione degli addetti, sia che le attività eseguite in regime
di appalto vengano affidati solo a soggetti di comprovata esperienza e competenza.
Premessa
Per spazi o ambienti confinati si intende
un qualsiasi ambiente di lavoro circoscritto, in cui il pericolo di morte o di
infortunio grave è molto elevato, a causa
della presenza di sostanze o condizioni di
pericolo. Gli spazi confinati sono facilmente identificabili proprio per la presenza di aperture di dimensioni ridotte,
limitate aperture di accesso e ventilazione naturale sfavorevole, all’interno dei
quali non è possibile escludere la formazione di sostanze nocive o di gas, quali silos, cisterne, pozzi e simili e in cui potrebbe verificarsi un evento incidentale
tale da causare un infortunio grave. In alcune parti il D.Lgs 81/08 ha riportato alcune indicazioni per quanto concerne le
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attività in ambienti confinati e sospetti di
inquinamento, quali:
✎ Luoghi di lavoro: Pozzi neri, fogne,
camini, fosse, gallerie e in generale
ambienti e recipienti, condutture e
caldaie e simili dove sia possibile il
rilascio di gas deleteri - art. 66.
✎ Cantieri: Pozzi, fogne, cunicoli, camini e fosse in genere con presenza
negli scavi di gas o vapori tossici,
asfissianti, infiammabili o esplosivi,
in rapporto alla natura geologica del
terreno o alla vicinanza di fabbriche,
depositi, raffinerie, stazioni di compressione e di decompressione, metanodotti e condutture di gas, e in generale situazioni dove sia possibile
un’infiltrazione di sostanze pericolose - art. 121.
✎ Requisiti dei luoghi di lavoro: Vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos in cui i lavoratori debbano entrare - Allegato IV punto 3.
Non è possibile fornire una lista completa di tutti gli spazi confinati. Alcuni ambienti, infatti, possono comportarsi da
spazi confinati durante lo svolgimento
delle attività lavorative cui sono adibiti o
durante la loro costruzione, successiva
modifica o riparazione. Nella fattispecie,
sono i luoghi che sono abbastanza ampi
da permettere ad una persona di entrarci dentro per eseguire dei lavori, ma non
sono stati previsti perché ci si lavori al-
l’interno e hanno aperture di accesso e
di uscita limitate e ristrette. A fronte di un
trend crescente di infortuni mortali tragicamente accaduti in ambienti confinati:
Molfetta - maggio 2008, Mineo - luglio
2008, Sarroch - maggio 2009 e Capua settembre 2010, è stato chiesto l’innalzamento delle misure di prevenzione,
controllo e tutela dei lavoratori. A seguito di ciò è stato Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 260 dell'8 novembre 2011
il D.P.R. n. 177 del 14 settembre 2011
che introduce misure di maggiore tutela
della salute e sicurezza dei lavoratori operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Il provvedimento adottato in attuazione degli articoli 6 e 27 del
D.Lgs 81/08 e s.m.i., è in vigore dal 23
novembre 2011, introduce misure di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e la completa conoscenza dei rischi
delle lavorazioni a tutte le imprese e i lavoratori autonomi che possano svolgere
attività lavorative in ambienti sospetti di
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Pericoli legati agli spazi
confinati
Le statistiche dei dati relativi agli infortuni mostrano che un considerevole numero di morti e infortuni gravi è associato alla presenza di sostanze tossiche, asfissianti o infiammabili, con un’incidenza
maggiore nelle attività svolte in spazi confinati, all’interno dei quali possono venirsi a creare condizioni atmosferiche e
ambientali tali da favorire il verificarsi dell’evento incidentale. Le diverse situazioni pericolose che possono verificarsi, spesso sono riconducibile a:
✎ Mancanza di ossigeno;
✎ Gas, fumi, o vapori tossici;
✎ Sostanze liquide e solide che, se perturbate, possono improvvisamente
riempire l'ambiente o rilasciare gas;
✎ Incendi ed esplosioni;
✎ Residui all’interno di cisterne, serbatoi o depositi su superfici interne,
che possono emettere gas, fumi o vapori;
✎ Elevate concentrazioni di polveri, ad
esempio nei silos per la farina;
✎ Temperature elevate possono portare
ad un pericoloso aumento della temperatura dei corpi.
I possibili rischi e le relative conseguenze per le persone sono:
✎ l’asfissia;
✎ i danni alla salute per inalazione di
vapori;
✎ l’elettrocuzione;
✎ l’esplosione;
✎ l’incendio.
Qualificazione nel settore
La principale causa di infortuni, in caso
di accesso in “ambienti confinati”, è la
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scarsa consapevolezza, da parte degli
operatori, del rischio di formazione di atmosfere pericolose (asfissianti, tossiche,
infiammabili o esplosive). Si intuisce il
ruolo fondamentale della “formazione del
personale” sui fenomeni che contribuiscono a generare un’atmosfera pericolosa in un ambiente confinato, sulle misure di protezione da adottare in caso di accesso e sulle procedure da attivare in caso di emergenza. La tendenza a sottovalutare il fenomeno infortunistico relativo
all’accesso in “ambienti confinati” si riscontra soprattutto in aziende che effettuano detto accesso in maniera occasionale ovvero di tipo non ripetitivo: in questi casi si tende spesso a non pianificare
adeguatamente il processo lavorativo che,
troppo spesso viene lasciato all’improvvisazione delle squadre operative, non
sempre sufficientemente formate ed informate dei rischi cui si trovano ad essere
esposte. Mentre si ribadisce la necessità
di effettuare la valutazione dei rischi, ponendo specifica attenzione alle attività
che espongono i lavoratori a fattori di rischio per la sicurezza e la salute a causa
della presenza di sostanze tossiche, asfissianti o infiammabili. L'articolo 1 del DPR
177/2011, adottato in attesa della complessiva definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori
autonomi previsto dall'articolo 6, comma 8, lettera g) e dell'art. 27 del DLgs
81/2008, impone criteri e procedure di
qualificazione a chiunque intenda svolgere lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, definiti al comma 2
come luoghi in cui si rinvengano le condizioni di rischio di cui agli articoli 66 e
121 e all'allegato IV, punto 3, del DLgs
81/2008. L’articolo 1, comma 3 puntualizza che il provvedimento si applica
in talune sue parti a tutti i datori di lavoro, compresi quelli che svolgono "in proprio" (vale a dire con propri lavoratori che
operino nel proprio ciclo produttivo), i
lavori in parola e in altre sue parti unicamente nelle ipotesi che i lavori vengano
svolti da una impresa appaltatrice o lavoratori autonomi. In tal modo, da un lato - tramite le misure di portata "generale" - si impone a tutte le realtà produttive
nelle quali si svolgano lavori del tipo preso in esame il rispetto di livelli di formazione, addestramento, ecc., superiori a
quelli oggi imposti, determinando un innalzamento dei livelli di tutela, e dall'altro, si identificano procedure di particolare rigore nel caso di affidamento dei lavori ad una impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi.
L'articolo 2 del DPR 177/2011, esprime
il principio che “Qualsiasi attività lavorativa, in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso
di determinati requisiti”, i quali, pertanto, hanno valenza obbligatoria per qualsiasi operatore, sia datore di lavoro committente che appaltatore, che lavoratore
autonomo. I requisiti richiesti per svolgere tale tipo di attività sono i seguenti:
1. richiama la necessità della integrale applicazione dei vigenti obblighi in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria, misure di gestione
delle emergenze;
2. impone alle imprese familiari e ai lavoratori autonomi l'obbligo di sottoporsi a sorveglianza sanitaria e di partecipare a corsi di formazione specifici, integrale e vincolante applicazione
anche del comma 2 dell'articolo 21 del
DLgs 81/2008;
3. impone a ciascuna impresa di avere
personale esperto, in percentuale non
inferiore al 30% della forza lavoro, con
esperienza almeno triennale in attività
"in ambienti sospetti di inquinamento
o confinati", assunto con contratto di
lavoro subordinato o con altri contratti (in questo secondo caso, necessariamente certificati ai sensi del Titolo VIII,
Capo I, del DLgs 276/2003). Tale esperienza deve essere necessariamente in
possesso dei lavoratori che svolgono le
funzioni di preposto;
4. impone alle imprese e ai lavoratori autonomi che svolgano attività negli ambienti confinati, ivi compreso il datore
di lavoro (ove svolga tale attività), l'obbligo di procedere a specifica attività
di informazione e formazione (i cui
contenuti verranno identificati con ac-
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inquinamento o confinati, disciplina il sistema di qualificazione delle imprese e
dei lavoratori autonomi destinati ad operare nel settore. I provvedimenti introdotti
riguardano la preparazione, la formazione, i DPI, le competenze professionali dei
lavoratori e delle imprese che saranno le
uniche a potere operare in ambienti confinati, la conoscenza delle misure di sicurezza e l’addestramento complementare alla valutazione di tutti i rischi.
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DPR 177/2011 - Art. 1 Finalita' e ambito di applicazione
1. <<omississ>>.
2. Il presente regolamento si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di
cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti
confinati di cui all'allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo.
3. Le disposizioni di cui agli articoli 2, comma 2, e 3, commi 1 e 2, operano unicamente in caso di affidamento da parte del datore di lavoro di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica,
a norma dell'articolo 26, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, dei
luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo.
4. Restano altresì' applicabili, limitatamente alle fattispecie di cui al comma 3, fino alla data di entrata in vigore della complessiva disciplina del sistema di qualificazione delle imprese di cui all'articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e fermi restando i requisiti generali di qualificazione e le procedure di sicurezza di cui agli articoli 2 e 3, i criteri di verifica della idoneità tecnico-professionale prescritti dall'articolo 26, comma 1, lettera a),
del medesimo decreto legislativo.
cordo in Conferenza Stato-Regioni), oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento. Finalizzate a consentire
a tutte le maestranze la piena conoscenza di tutti i rischi che sono propri
dei lavori in ambienti confinati;
5. obbliga i datori di lavoro e i lavoratori
autonomi a possedere dispositivi di protezione individuale (maschere protettive, imbracature di sicurezza, ecc.),
strumentazione e attrezzature di lavoro (rilevatori di gasi, respiratori, ecc .)
idonei a prevenire i rischi propri delle
attività lavorative in ambienti sospetti
di inquinamento o confinati e ad aver
effettuato attività di addestramento all'uso corretto di tali dispositivi, coerentemente con le previsioni di cui agli
articoli 66 e 121 e all'allegato IV, punto 3, del DLgs 81/2008;
6. richiede la effettuazione di attività di
addestramento di tutto il personale impiegato, sempre ivi compreso il datore
di lavoro, relativamente ai rischi che
sono propri degli "ambienti confinati" e
alle peculiari procedure di sicurezza
ed emergenza che in tali contesti debbono applicarsi;
7. richiama il rispetto integrale degli obblighi in materia di Documento Unico
di Regolarità Contributiva (DURC);
8. richiama il rispetto integrale degli obblighi relativi alla parte economica e
normativa della contrattazione di settore, compreso il versamento dell'eventuale contributo all'ente bilaterale
di riferimento.
In relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente
dal datore di lavoro committente e certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276. Le disposizioni del presente regolamento si applicano anche nei riguardi
DPR 177/2011
Art. 2 Qualificazione nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati
2. In relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati
non e' ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di
lavoro committente e certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni e integrazioni. Le disposizioni del
presente regolamento si applicano anche nei riguardi delle imprese o dei lavoratori autonomi ai quali le lavorazioni vengano subappaltate.
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delle imprese o dei lavoratori autonomi
ai quali le lavorazioni vengano subappaltati, evidenziando la assoluta inderogabilità del principio per cui le attività di
riferimento possano essere svolte solo da
imprese e/o lavoratori autonomi adeguatamente qualificati, secondo i livelli imposti dal regolamento.
Procedure di sicurezza
Dall’esito della valutazione del rischio
vengono definite le misure di prevenzione e protezione specifiche che vengono
indicate nelle procedure di lavoro. Tali
procedure di lavoro devono essere scritte, precise e dettagliate per ogni fase lavorativa indicando le criticità e i corretti
modi di operare (individuazione delle persone e delle competenze, identificazione dei rischi in ogni fase lavorativa, e le
modalità di lavoro nonché i dispositivi
collettivi di prevenzione e protezione, i
DPI, la segnaletica, compresa quella per
la delimitazione dell’area, le procedure
per gestire l’emergenza). Le modalità operative messe in atto e adottate durante le
attività, devono mettere in pratica gli accorgimenti necessari a eliminare potenziali fonti di rischio e ottenere condizioni di lavoro tali da tutelare la sicurezza e
la salute dei lavoratori.
L'articolo 3 del DPR 177/2011, ai commi 1 e 2 identifica le procedure di sicurezza da applicare ove i lavori vengono
dal datore di lavoro appaltati o affidati a
lavoratori autonomi. Tali procedure si vanno a sommare agli obblighi dei datori di
lavoro già previsti dall’art. 26 del D.Lgs
81/08. Si tratta di procedure che, tenendo conto delle modalità di accadimento
degli infortuni negli ambienti confinati,
impongono una reale ed efficace trasmissione a chiunque debba entrare in
una area di lavoro che possa avere i severissimi rischi di riferimento (esalazioni
letali, esplosioni e quant'altro), di conoscere tutte le caratteristiche dei luoghi,
cosa vi è stato contenuto, che tipo di reazioni possano svilupparsi in caso di lavorazioni improprie e, infine, quali siano
le procedure di emergenza da applicare
in caso di incidente sul lavoro. Il comma
1, in particolare, specifica che prima del-
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Analisi operativa
del rischio
Il datore di lavoro deve valutare preliminarmente il rischio in ambienti confinati
e l’accesso ai luoghi di lavoro deve av-
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Art. 3 Procedure di sicurezza nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento
o confinati
2. Il datore di lavoro committente individua un proprio rappresentante, in possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che abbia
comunque svolto le attivita' di informazione, formazione e addestramento di cui
all'articolo 2, comma 1, lettere c) ed f), a conoscenza dei rischi presenti nei luoghi in cui si svolgono le attivita' lavorative, che vigili in funzione di indirizzo e
coordinamento delle attivita' svolte dai lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi e per limitare il rischio da interferenza di tali lavorazioni con quelle del personale impiegato dal datore di lavoro committente.
venire soltanto dopo aver adottato le necessarie misure di prevenzione e protezione collettive ed individuali. Il principio
generale di tutela a cui attenersi è quello
di operare dall’esterno dell’ambiente pericoloso (attrezzature manovrate a distanza per l’ispezione, la bonifica e il controllo dello spazio confinato). Soltanto
quando è dimostrabile che non vi è una
modalità di operare dall’esterno è possibile accedere all’area pericolosa attuando tutte le misure specifiche e generali di
prevenzione e protezione per i lavoratori e per gli addetti al soccorso e al salvataggio.
Il DLgs 81/2008 fornisce informazioni utili alla valutazione del rischio, e precisamente:
✎ art. 66 “Lavori in ambienti sospetti di
inquinamento”;
✎ art. 121 "Presenza di gas negli scavi"
;
✎ allegato IV “Requisiti dei luoghi di
lavoro” - Capo 3 “Vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti,
silos”.
Alcuni luoghi sono immediatamente riconducibili a uno spazio confinato per le
loro dimensioni ridotte, per le condizioni di ventilazione sfavorevole e per la probabile presenza di agenti chimici pericolosi. Altri luoghi non sono immediatamente riconducibili a uno spazio confinato: le vasche degli impianti di depurazione, per esempio, non hanno dimensioni anguste, ma l’accumulo di sostanze
tossiche sul fondo di tali vasche e il conseguente sviluppo di gas nocivi durante le
operazioni di pulizia possono trasformarle
in ambienti in cui è molto alto il rischio
di avvelenamento. Ai fini di una corretta
valutazione dei rischi, occorre fare alcune considerazioni preliminari. Innanzitutto, occorre sottolineare che i rischi
possono essere già presenti nello spazio
confinato o manifestarsi durante le operazioni che al suo interno vengono eseguite, quali ad esempio saldature, utilizzo di solventi come prodotti per la pulizia e impiego di apparecchiature elettriche. Questa considerazione evidenzia il
fatto che uno “spazio confinato” è un ambiente che cambia in modo repentino. In
altri termini, potrebbe essere un errore limitare la valutazione dei rischi alle condizioni di vivibilità presenti nello “spazio
confinato” nel momento in cui l’operatore vi effettua il proprio accesso. È buona norma tenere in considerazione le condizioni di vivibilità che si determinano
all’interno dello “spazio confinato” in
conseguenza delle lavorazioni che al suo
interno vengono eseguite per tutto il periodo di permanenza dell’operatore.
In caso di incidente, gli addetti ai lavori
potrebbero essere esposti ad un serio ed
immediato pericolo. Risulta quindi di fondamentale importanza stabilire misure efficaci per la segnalazione dell'emergenza e per lo svolgimento delle operazioni
di soccorso. Le misure da adottare dipenderanno dalla natura dello spazio confinato, dal tipo di rischio individuato e
quindi dalla possibile natura del soccorso da prestare.
Conclusioni
Le situazioni più critiche sono rappresentate dalle attività occasionali, ovvero
di tipo non ripetitivo, in questi casi si tencontinua a pagina 46
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l'accesso nei luoghi di lavoro, tutti i lavoratori che verranno impiegati nelle attività (compreso, eventualmente, il datore di lavoro) siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro che appalta o affida i lavori di tutti i rischi che possano essere presenti nell'area di lavoro (compresi quelli legati ai
precedenti utilizzi). E' puntualizzato che
tale attività debba essere svolta per un periodo sufficiente e adeguato allo scopo
della medesima e, comunque, non inferiore ad un giorno. Il comma 2 chiede al
datore di lavoro committente di individuare un proprio rappresentante, adeguatamente formato, addestrato ed edotto di tutti i rischi dell'ambiente in cui debba svolgersi l'attività dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, che vigili sulle attività che in tali contesti si realizzino. Questo al fine di coordinare le attività che nel contesto lavorativo si svolgano e, comunque, per limitare il "rischio
da interferenza" delle lavorazioni. Il comma 3 richiama l'obbligo di adottare, durante tutte le fasi delle lavorazioni in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, ed efficacemente attuare una procedura di lavoro specificamente diretta a
eliminare o ridurre al minimo i rischi propri di tali attività. Viene puntualizzato che
tali procedure potranno anche essere
"buone prassi", quali definite dall'articolo 2, comma 1, lettera v), del DLgs
81/2008. Il comma 4 ribadisce espressamente, sempre in ragione dell'obiettivo,
di raggiungere un notevole innalzamento dei livelli di qualificazione, con riferimento alla salute e sicurezza sul lavoro,
di qualunque operatore, impresa o lavoratore autonomo, che intenda svolgere
attività in "ambienti confinati". Il mancato rispetto delle previsioni del provvedimento determina il venir meno della qualificazione necessaria per operare, direttamente o indirettamente, negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
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tecnologo inail area ex ispesl
Aziende a rischio
di incidente rilevante
Integrazione dei requisiti e sistema
OIMS della Exxonmobil
I
l rischio di incidente rilevante di un
azienda è caratterizzato “da una probabilità di accadimento molto bassa
ma danni potenziali gravissimi con conseguenze anche fuori dal perimetro dello stabilimento”. Tale concetto di rischio
è contenuto nella Direttiva 96/82/CE così come modificata ed integrata dalla
Direttiva 2003/105/CE – ed è strettamente
connesso alla presenza in azienda di sostanze pericolose. Queste direttive sono
state chiamate “Direttive Seveso” in relazione al tristemente noto incidente del
1976, sono state recepite dal D.Lgs.
334/99 e dal D.Lgs. 238/05. L’esigenza
di adottare sistemi di gestione si sta presentando per un numero sempre più elevato di aziende. Nasce pertanto l’esigenza di razionalizzare il complesso degli adempimenti necessari per aderire a
tali sistemi che spesso risultano coincidenti. Tale razionalizzazione può avvenire
attraverso la fusione dei diversi Sistemi
in un unico “sistema integrato” che risponda ai requisiti di tutte le norme di riferimento per l’ambiente, la qualità e la
sicurezza.
Premessa
L’inserimento nell’elenco delle aziende
classificate a rischio di incidente rilevante
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indica che quell’impianto dovrà essere
sottoposto a severi adempimenti e controlli, affinché attui tutte le misure necessarie di prevenzione e sicurezza. Il
DLgs n. 334 del 17 agosto 1999 modificato dal D.Lgs 238 del 21 settembre
2005, si applica agli stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate
nell´allegato I (art. 5 comma 2 DLgs
334/99 e s.m.i.). Il D.Lgs 334/99 stabilisce un criterio qualitativo, in base alla
classificazione delle sostanza pericolose, ed uno quantitativo, stabilendo due
valori soglia, per le sostanze chimiche
maggiormente diffuse. Il superamento del
primo limite comporta l’obbligo di notifica da parte del gestore dello stabilimento al Ministero dell’Ambiente, alla
Regione, alla Provincia, al Prefetto, al
Comitato Tecnico Regionale gestito dalla Direzione Regionale dei VVF, come
da art. 6, mentre il superamento del secondo limite implica, oltre la notifica ai
suddetti soggetti, anche la redazione del
RDS, in applicazione dell’art. 8 del citato decreto. È quindi necessario condurre, sempre da parte del gestore dell’impianto, un’analisi di sicurezza, che può
essere praticamente suddivisa in analisi
preliminare ed analisi delle probabilità
e conseguenze. L'art. 7 comma 3 del
D.Lgs 334/99 e il D.M. 9 agosto 2000,
prevedono l’obbligo per le aziende a rischio di incidente rilevante, che si dotino di un Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS), e precisa i contenuti minimi che deve avere. La documentazione
necessaria per il funzionamento di un Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS)
è essenzialmente costituita da procedure, manuali operativi, istruzioni, rapporti di sicurezza, documenti di pianificazione e di registrazione, ecc. La gestione del rischio, art. 7 del D.M. 09/08/2000,
prevede l’identificazione dei pericoli, la
valutazione dei rischi di incidente rilevante e l’adozione delle misure per la riduzione del rischio. L’analisi del rischio
è oggetto di diverse metodologie, ciascuna con vantaggi, svantaggi, limitazioni, non esistono metodologie consolidate anche se negli ultimi anni l’affermarsi di società specializzate in questo tipo di studi ha portato ad una certa uniformità e omogeneizzazione almeno nel
modo di procedere. E’ quindi necessario
condurre, sempre da parte del gestore
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❙ Aziende a rischio di incidente rilevante ❙
Il sistema SGS
e l’integrazione con altri
sistemi
Il sistema SGS può integrarsi ad altre tipologie di “sistema di gestione” già adottate dalle imprese, garantendone al contempo l’integrazione con i preesistenti
sistemi (quali quello per la qualità, per
la protezione dell’ambiente, per la sicurezza e l’igiene dei luoghi di lavoro, ecc.),
(ISO 9000, ISO 14000, Reg. (CE) n.
1221/2009 (EMAS), OHSAS 18001). Il
DLgs 17 agosto 1999 n. 334 e il DM 9
agosto 2000 lasciano la libertà di individuare gli standard internazionali più rispondenti alle specifiche esigenze. Infatti, il DM 9 agosto 2000 "Linee guida
per l'attuazione del sistema di gestione
della sicurezza" all’art. 4, c. 3, definisce
la struttura del sistema di gestione della
sicurezza (SGS): “così come definito al
comma 2, deve rispondere allo stato dell'arte in materia. In particolare, i requisiti
stabiliti dalla norma UNI 10617 ovvero,
per gli aspetti attinenti alla prevenzione
degli incidenti rilevanti, dalle norme della serie ISO 9000 o da quelle della serie
ISO 14000 o dal Regolamento EMAS, si
intendono corrispondere al detto stato
dell'arte “. La norma UNI 10617:2009
fornisce i principi e i requisiti di base per
predisporre un efficace sistema di gestione della sicurezza nell’ambito degli
impianti di processo, essa nasce dalla trasposizione alle aziende a rischio di incidente rilevante dei principi e requisiti
specificati nelle norme UNI EN ISO 90001 e UNI EN ISO 9004. La UNI 10617 ha
una struttura perfettamente rispondente al
ciclo PDCA (pianificare, attuare, verificare, agire) ed in evidenza sono i punti
dedicati alla “Pianificazione”, all’”Attuazione e Funzionamento” del sistema
di gestione della sicurezza in relazione alla "Prevenzione Incendi Rilevanti", ma
anche ai momenti di “Verifica” in prospettiva di un miglioramento continuo
del sistema. Il tutto mantenendo, tutta-
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via, “la specificità di contenuti richiesti dal
particolare comparto produttivo (ad es.
la gestione delle modifiche agli impianti, gli aspetti specifici relativi al controllo operativo e alla gestione delle emergenze)”. Per quanto attiene alla gestione della sicurezza, nella progettazione e
nell’esercizio dell’impianto, gli elementi fondamentali sono specificati in altre
due norme rispettivamente nelle norme
UNI 10672 (Procedure di garanzia della sicurezza nella progettazione) e UNI
10616 (Gestione della sicurezza nell'esercizio. Criteri fondamentali di attuazione). Il campo di applicazione della
norma copre tutte le fasi che vanno dalla progettazione (includendo le attività
di ricerca per lo sviluppo del processo, gli
studi di fattibilità dell’impianto, ecc.),
esecuzione, attivazione, manutenzione
e disattivazione dell’impianto. Un’altra
norma di interesse è la UNI/TS
11226:2007 “Sistemi di gestione della sicurezza - Procedure e requisiti per gli audit” che stabilisce i “criteri fondamentali per eseguire un audit. Essa fornisce i
criteri per verificare il sistema di gestione della sicurezza e la qualificazione degli auditor”, specificando altresì i contenuti di tale audit e i principi per la qualificazione del valutatore. La UNI/TS
11226 è quindi il riferimento per accertare la conformità della UNI 10617 attraverso la verifica dei contenuti tecnici
specificati dalla UNI 10616. Altre norme utili a cui fare riferimento nell’impostazione generale del SGS (previsto dal
DLgs 334/99) sono l’OHSAS 18001 (definisce i requisiti di un Sistema di Gestione della Sicurezza e Salute dei Lavoratori), che è compatibile con altre norme relative ai sistemi di gestione, quali
ISO 9001 (qualità) e le norme ambientale ISO 14001 e l’EMAS. I vantaggi dell'integrazione del sistema qualità, ambiente e sicurezza sono i seguenti:
1. maggiore efficienza dei sistemi grazie
alla razionalizzazione delle risorse utilizzate;
2. razionalizzazione del sistema documentale;
3. omogeneità delle metodologie di gestione aziendale;
4. uniforme politica e cultura aziendale
con minimi o assenti conflitti di interessi tra le differenti funzioni aziendali;
5. riduzione dei costi.
Documento sulla politica di
prevenzione degli incidenti
rilevanti
Per definire la Politica della prevenzione dei rischi di incidente rilevante, occorre preparare un documento sintetico,
sottoscritto dal gestore dell’impianto, cioè
da colui che detiene la massima responsabilità ed il potere decisionale ed economico di intervento. La politica deve
fornire uno schema di riferimento per
l’attività, e per la definizione degli obiettivi specifici nel campo della sicurezza,
deve essere diffusa a tutto il personale
per poter essere attuata nelle attività gestionali ed operative di ogni giorno. Inoltre deve essere sottoposta a riesame periodico da parte del gestore stesso, allo
scopo di verificarne l’efficacia. Il Documento sulla politica di prevenzione degli incidenti rilevanti è redatto dal Gestore ed emesso previa consultazione del
Rappresentante dei Lavoratori. In esso
sono riportati:
✎ Gli obiettivi che intende perseguire
nel campo della prevenzione e del
controllo degli incidenti rilevanti,
per la salvaguardia dei lavoratori,
della popolazione e dell'ambiente, e
che costituiscono, nel loro insieme,
la politica del gestore in materia.
✎ I principi generali su cui intende basare la politica, indicando, tra l'altro,
eventuali adesioni volontarie a normative tecniche, regolamenti, accordi e iniziative, non richiesti da norme cogenti.
✎ Il proprio impegno a realizzare,
adottare e mantenere un sistema di
gestione della sicurezza, in attuazione a quanto richiesto dall'art. 7 del
decreto legislativo n. 334, del 17
agosto 1999, e in attuazione della
politica stessa.
✎ L’articolazione del sistema di gestione della sicurezza che intende adottare, con l'indicazione dei principi e
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dell’impianto, un’analisi di sicurezza,
che può essere praticamente suddivisa
in analisi preliminare, analisi delle probabilità e conseguenze.
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dei criteri a cui intende riferirsi nella
sua attuazione.
✎ Il programma di attuazione dello
stesso ed i relativi tempi.
La politica di prevenzione, viene diffusa sia al personale interno che alle ditte
terze. Inoltre durante riunioni di Sicurezza, il documento di Politica costituisce argomento di formazione.
Il sistema di gestione
OIMS
Il Sistema Integrato di Gestione della Sicurezza della ExxonMobil e denominato “OIMS” (Operations Integrity Management System = Sistema di gestione per
l’integrità delle operazioni) è un sistema integrato di gestione, basato su un
approccio sistematico e strutturato per
la gestione della sicurezza, dell’igiene,
dell’ambiente e delle problematiche operative. È stato introdotto dalla società
ExxonMobil ed in vigore dal 1992, esso
è orientato al miglioramento continuo ed
è simile alla ISO 14001 e alla OHSAS
18001. OIMS è parte integrante del processo di lavoro giornaliero e stabilisce
un modello comune, è un modello di gestione progettato per identificare i pericoli
e gestire i rischi associati, ha integrato un
processo per cui continua a migliorare
arricchendosi sia delle esperienze locali sia di quelle di altre raffinerie e/o depositi. Lloyd’s register quality assurance,
ha attestato, in seguito ad una valutazione che si ripete ogni tre anni, che
OIMS soddisfa i requisiti dello standard
ISO 14001 per la gestione ambientale, e
che soddisfa anche i requisiti OHSAS
18001. Il sistema OIMS è come un ombrello che copre tutti gli aspetti delle operazioni:
✎ Impianti produttivi
✎ Centri di Tecnologia
✎ Centri di distribuzione e logistica
✎ Uffici
✎ Terzi
L'approccio OIMS è caratterizzato da
11 elementi, ognuno con delle procedure ad esso associate ed in tutto sono
60. Gli elementi del sistema OIMS sono:
1. Leadership, Impegno e Responsabilità del Management
2. Gestione & Valutazione dei Rischi
3. Progetto & Costruzione degli Impianti
4. Processo di Informazione e Documentazione
5. Personale e Formazione
6. Operazioni & Manutenzione
7. Gestione dei Cambiamenti
8. Servizi di terzi (Contrattori)
SGS - All. III del d.lgs. 334/99 e s.m.i e D.M. 9.8.00
1. ORGANIZZAZIONE E PERSONALE
2. IDENTIFICAZIONE E VALUTAZIONE DEI
PERICOLI RILEVANTI
3. CONTROLLO OPERATIVO
4. GESTIONE DELLE MODIFICHE
5. PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA
6. CONTROLLO DELLE PRESTAZIONI
7. CONTROLLO E REVISIONE
9. Indagine e Analisi degli Incidente
10. Rapporti con la Comunità circostante e Preparazione alle Emergenze
11. Valutazione e Miglioramento dell’Integrità delle Operazioni
Il sistema di gestione
integrato
Per la realizzazione del sistema documentale integrato si può partire integrando prima le procedure e poi il manuale, in maniera tale da armonizzare il
più possibile i contenuti. Le nuove procedure vanno realizzate tenendo conto
delle prescrizioni delle norme, dei documenti esistenti di ogni sistema (qualità, ambiente e sicurezza), del contenuto che deve essere descrittivo, ma non
troppo per evitare la realizzazione di un
manuale eccessivamente sintetico. Il manuale contiene gli elementi fondamentali del Sistema di Gestione della Sicurezza per la prevenzione degli incidenti rilevanti, che sono quelli descritti nell’Allegato III del D.Lgs 334/99 e s.m.i e
nel Decreto 9 Agosto 2000:
1. Organizzazione e personale
2. Identificazione e valutazione dei pericoli rilevanti
3. Controllo operativo
4. Gestione delle modifiche
SISTEMI OIMS
1 Ruolo guida, Impegno e responsabilità del Management
5A Addestramento del Personale
8A Servizi di terzi - Contrattori & Altri
2 Valutazione del Rischio
5B Sicurezza e Salute del Personale
3 Progettazione e Costruzione
6A Operazioni
6B Ispezioni e Manutenzione
6C Pratiche di Lavoro Sicuro e Permessi di Lavoro
6D Apparecchiature Critiche di Sicurezza
4A Informazione & Documentazione
8A Servizi di terzi - Contrattori & Altri
7 Gestione dei Cambiamenti
3 Progettazione e Costruzione
10 Pubblica Informazione & Preparazione della Emergenza
9 Indagine ed Analisi degli Incidenti
11 Valutazione dell'Integrità delle Operazioni e continuo
miglioramento
> Tab. 1: Correlazione tra il sistema di gestione della sicurezza (D.Lgs. 334/99 e D.M . 9 agosto 2000) ed il sistema OIMS per un deposito di prodotti petroliferi
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tazioni deve riflettere la complessità
delle operazioni, il livello del rischio
e la performance storica.
✎ Le valutazioni devono esser condotte da teams multidisciplinari, includendo possibilmente anche specialisti esterni.
✎ Le azioni raccomandate nel corso
delle valutazioni devono essere eseguite e documentate.
✎ L'efficacia del processo di valutazione deve essere rivisto periodicamente e le raccomandazioni utilizzate
per traguardare il miglioramento.
Organizzazione e
personale per la
prevenzione degli incidenti
rilevanti
L’organizzazione del sistema di gestione
della sicurezza, espressione della cultura di sicurezza, è fondata sull’impegno
ed il ruolo guida della Direzione, sull’allocazione delle risorse necessarie ed
assegnazione di chiare responsabilità a
tutti i livelli e sulla partecipazione del
personale. Tale organizzazione può essere articolata secondo i seguenti elementi chiave:
✎ Emissione del Documento sulla politica di prevenzione degli incidenti
rilevanti redatto dal Gestore ed
emesso previa consultazione del
Rappresentante dei lavoratori.
✎ Adozione di politiche in materia di:
- sicurezza;
- salute del personale;
- alcool e droga;
- protezione dell'ambiente.
✎ Assegnazione e comunicazione del-
le responsabilità e delle mansioni in
materia di sicurezza, salute ed ambiente. Le responsabilità sono indicate nei mansionari del personale e
illustrati al personale da parte del loro supervisore.
✎ Assegnazione e comunicazione delle responsabilità e delle mansioni in
caso di emergenza indicate nel Piano di Emergenza Interno.
✎ Istituzione di una posizione di Coordinatore per la Security, Sicurezza,
Igiene ed Ambiente, che si occupa
in maniera specifica di fornire supporto e coordinamento in materia di
security, sicurezza, salute, ambiente
e prevenzione degli incidenti rilevanti, assicurando la costante acquisizione delle informazioni sull’evoluzione normativa anche mediante
utilizzo di professionisti esterni qualificati.
✎ Ruolo guida ed impegno visibile della Direzione attuato mediante:
- emissione di linee guida aggiornate;
- visite programmate per verificare la
realizzazione dei programmi;
- riunioni di Direzione e partecipazione alle riunioni in materia di sicurezza, salute, ambiente.
✎ Coinvolgimento del personale attraverso sistemi strutturati di comunicazione a due vie tra Direzione, personale e terzi appaltatori.
✎ Definizione di obiettivi realistici in
materia di security, sicurezza, salute,
ambiente e controllo periodico dei
risultati da parte della direzione.
> Tab. 2: Elementi che costituiscono i regolamenti in vigore in USA e nella UE
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5. Pianificazione di emergenza
6. Controllo delle prestazioni
7. Controllo e revisione
Nella tabella 1 si fornisce una indicazione della correlazione tra il sistema di
gestione della sicurezza, SGS, ed il più
generale sistema di gestione dell’integrità
delle operazioni OIMS, della ExxonMobil.
Il manuale è realizzato coerentemente
con le “Linee guida per l’attuazione del
sistema di gestione della sicurezza” relative agli impianti di processo a rischio
di incidente rilevante e fa riferimento al
più generale sistema generale di gestione adottato dall'azienda per assicurare
l’integrità delle operazioni e la prevenzione di incidenti relativi a security, sicurezza, salute, ambiente. L’emissione
del manuale è effettuata dopo l’informazione e consultazione del Rappresentante dei Lavoratori. E’ prevista una verifica di congruenza ed il riesame del SGS
in occasione di ogni aggiornamento del
Rapporto di Sicurezza e in occasione di
ogni modifica che lo richieda e comunque entro 2 anni. Con periodicità è prevista una verifica delle aspettative del sistema mediante l’esame degli specifici
indicatori di prestazione.
La valutazione dell'efficacia del Sistema
Integrato costituisce elemento essenziale che permette di realizzare il continuo
miglioramento:
✎ Le operazioni devono essere valutate
secondo una frequenza predeterminata in maniera tale da stabilire la
conformità con le aspettative.
✎ La frequenza e l'oggetto delle valu-
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Regolamentazione
nell’Unione Europea
e negli USA
Il principale riferimento normativo per la
sicurezza e la salute nel settore degli impianti di processo con rischi rilevanti, al
di fuori dell’Unione Europea è quello degli Stati Uniti, nei quali la produzione
legislativa, con riferimento alle attività di
progettazione, montaggio ed esercizio
degli impianti con rischio rilevante si sviluppa, analogamente al processo Europeo e con analogo criterio di priorità, a
livello federale, di Stato e locale. Analogamente all’UE, anche negli USA è previsto l’obbligo, da parte dei responsabili degli impianti, di adottare sistemi di
gestione della sicurezza allo scopo di
prevenire, contenere e gestire i rischi di
incidenti rilevanti all’interno e all’esterno dei siti produttivi. Il Regolamento PSM
OSHA è entrato in vigore nel 1992, mentre il Programma EPA RMP è entrato in
vigore nel 1996. Anche se i requisiti di
prevenzione del Regolamento PSM
OSHA e del Programma EPA RMP sono
simili, quest'ultimo contiene una serie di
requisiti aggiuntivi che vanno oltre lo
standard PSM. Il Programma EPA RMP
prevede tre livelli, per ciascun di esso la
norma definisce i requisiti che riflettono
il livello di rischio. La tabella 2 mostra
gli elementi dei diversi regolamenti.
Conclusioni
Nelle aziende a rischio di incedente rilevante è immediato pensare ad un vantaggio nell’integrazione dei requisiti del-
le norme cogenti con i requisiti delle norme volontarie di riferimento, l’approccio
integrato sintetizza elementi comuni alle diverse norme in un’unica soluzione,
visione complessiva dell’organizzazione
e trae le sue origini dall’esigenza di snellire l’insieme di procedure e dei loro sistemi attraverso l’accorpamento degli elementi comuni.
Bibliografia
[1]ing. Alberto Ricchiuti, ing. Giorgio
Macchi. Principi Guida dell’OCSE per
la prevenzione, la preparazione e l’intervento nei casi di incidente. [online]. [consultato luglio 2011]
[2]Taurasi F., Cerra D. I modelli di organizzazione e di gestione: l’interazione tra normative cogenti e volontarie. ISPESL - Supplemento della rivista Prevenzione Oggi numero 3/4,
2009 .
[3]Taurasi F., Approccio integrato alla
gestione della sicurezza nelle azien-
de a rischio di incidente rilevante.
28° Congresso Nazionale AIDII” pagg. 46-50
[4]Torretta Vincenzo. Sicurezza e analisi di rischio di incidenti rilevanti, Sistemi Editoriali, 2006.
[5]Salomone R, Franco G.. Dalla “qualità
totale” alla “qualità integrata”. L’integrazione dei sistemi di gestione qualità, ambiente, sicurezza ed etica per
il vantaggio competitivo. Franco Angeli, 2006.
[6]Italia. Decreto Ministeriale 9 agosto
2000. Linee guida per l'attuazione del
sistema di gestione della sicurezza.
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 22 agosto 2000, n. 195.
[7]Taurasi F., I sistemi di gestione nelle
aziende a rischio di incidente rilevante
e gli standard tecnici internazionali. VI
Convegno scientifico nazionale "sicurezza nei sistemi complessi" - Politecnico di Bari - C.R.I.S.M.A. - Ottobre 2011
In via eccezionale la rubrica corsi comparirà sul nostro sito http://aicqna.com/redazione/qualita/ sezione “segnalazione articoli”
EVENTI AICQ 2012
Evento
Luogo
DALL’ACCREDITAMENTO ALL’ECCELLENZA IN SANITA’ MESTRE - Ospedale dell’Angelo
SALUTE e SICUREZZA
BOLOGNA
EDUCATION
FIRENZE
TURISMO
TORINO
TRASPORTI
FIRENZE
CONVEGNO-PREMIO AICQ FEDERMANAGER
in definizione
SETTIMANA EUROPEA QUALITA’
MILANO e altre sedi
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Data
11 maggio 2012
14 giugno 2012
8 ottobre
1 novembre 2012
1 settembre 2012
in definizione
5-11 novembre 2012
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❙ Valutazione della conformità ❙
>> Filippo Trifiletti
Direttore Generale ACCREDIA
Settore cogente: il ruolo
di Accredia
L’accreditamento degli organismi di
certificazione ai fini della notifica
Il mandato
Il cambiamento strutturale del sistema nazionale di valutazione della conformità
ha una data storica: il 1° gennaio 2010,
quando è entrato in vigore in tutti i Paesi
dell’Unione Europea il regolamento
765/2008/CE in materia di accreditamento
e vigilanza del mercato.
Il regolamento fa parte di un “pacchetto” normativo, che comprende la decisione 768/2008/CE relativa a un quadro
comune per la commercializzazione dei
prodotti e il regolamento 764/2008/CE
che stabilisce procedure relative all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro.
I tre provvedimenti hanno dato forma al
nuovo quadro legislativo comunitario,
elaborato in sede di revisione del “Nuovo Approccio” – così definito in funzione del cosiddetto “Vecchio Approccio”
dei primi anni Settanta – per garantire e
favorire la libera circolazione dei prodotti nell’UE attraverso un rafforzamento del mutuo riconoscimento delle norme tecniche nazionali e della vigilanza
del mercato.
Il “Nuovo Approccio”, che dagli anni Ottanta ha portato all’emanazione di un’articolata serie di direttive (oltre 20), ha in-
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trodotto alcuni principi fondamentali:
✎ la conformità a determinati requisiti
ritenuti essenziali (salute, sicurezza,
ambiente), con rinvio alle norme tecniche “armonizzate” per la definizione degli specifici requisiti tecnici applicabili;
✎ la presunzione di conformità ai requisiti essenziali di un prodotto se sussiste la conformità ai requisiti della norma armonizzata applicabile;
✎ la prassi di fornire al mercato evidenza chiara e visibile della conformità
con l’apposizione della marcatura CE
sul prodotto coperto da direttiva.
L’esperienza ha però evidenziato alcuni
problemi, sostanzialmente riconducibili
alla mancanza di omogeneità nell’applicazione delle regole tecniche comunitarie (direttive e regolamenti) da parte degli
Stati membri.
A tali “difficoltà” si è inteso ovviare con la
revisione del “Nuovo Approccio”. In particolare, con il regolamento 765/2008 si
è fornito il riconoscimento giuridico e la
definizione strutturale dell’istituto dell’accreditamento, già operativo in Europa
da circa 20 anni, stabilendo, in particolare, che l’attività possa essere svolta anche
da organismi non pubblici.
Significativi sono gli impegni che gli Sta-
ti membri sono chiamati ad assolvere dal
reg. 765/2008. Devono infatti designare
le Autorità nazionali responsabili per le
notifiche (in Italia, i Ministeri responsabili dell’attuazione delle varie direttive) e
notificare alla Commissione e agli Stati
membri gli organismi di parte terza autorizzati a condurre valutazioni di conformità ai sensi della legislazione comunitaria.
In questi termini, il 22 dicembre 2009 ACCREDIA è stata riconosciuta dal Governo
come Ente unico nazionale di accreditamento, ai sensi del DM 22 dicembre 2009
"Designazione di ACCREDIA quale unico organismo nazionale italiano autorizzato a svolgere attività di accreditamento
in conformità al regolamento (CE) n.
765/2008, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, della legge 23 luglio 2009, n. 99".
Oggi, l’Ente, attraverso i suoi quattro Dipartimenti, accredita:
✎ gli organismi di certificazione e ispezione,
✎ i laboratori di prova,
✎ i laboratori di prova per la sicurezza
degli alimenti e
✎ i laboratori di taratura;
le corrispondenti attestazioni di conformità sono riconosciute a livello internazionale in virtù dell’adesione di ACCREDIA agli Accordi internazionali di mutuo
riconoscimento EA, IAF e ILAC MLA/MRA,
per tutti gli schemi coperti (qualità, ambiente, prodotto, personale, ispezione,
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❙ Settore cogente: il ruolo di Accredia ❙
L’attuazione
del mandato
Nel 2011, ACCREDIA ha avviato un rigoroso e sistematico programma anche per
gestire le attività di verifica in settori obbligatori (in conformità a direttive e regolamenti) di competenza di altre Pubbliche Amministrazioni (Ministeri dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e
trasporti, dell’Ambiente).
Fatta salva l’autorità dei Ministeri pertinenti – per la relativa autorizzazione e la
sorveglianza del mercato – spetta oggi ad
ACCREDIA svolgere la funzione dell’accreditamento, istituzionalmente attribuitole, anche nell’attuazione delle direttive
di Nuovo Approccio. Ciò in forza di una
serie di collaborazioni, formalizzate da
protocolli e convenzioni ad hoc, con i Ministeri competenti per le proprie attività
di notifica, così da rispondere alle esigenze di accreditamento degli organismi
italiani.
Il primo di questi atti di attribuzione è
del 13 giugno e riguarda la convenzione
stipulata con il Ministero dello Sviluppo
economico con cui si affida all’Ente uni-
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co l'accreditamento degli organismi di
valutazione che operano in conformità
a sei direttive del nuovo approccio, sicurezza dei giocattoli (2009/48/CE); MID
- strumenti di misura (2004/22/CE); caldaie ad acqua calda (1992/42/CE); PED
- Attrezzature a pressione (1997/23/CE);
ATEX - apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera
potenzialmente
esplosiva
(1994/09/CE); compatibilità elettromagnetica (2004/108/CE).
Successivamente, ACCREDIA ha siglato il
protocollo d’intesa con il Ministero delle
Infrastrutture e dei trasporti sul servizio
europeo di telepedaggio (SET), e la convenzione tripartita con Ministero del Lavoro, salute e politiche sociali e Sviluppo
economico per la marcatura di ascensori
(1995/16/CE); macchine (2006/42/CE),
bassa tensione (2006/95/CE) e dispositivi
di protezione individuale (1989/686/CEE).
In applicazione della direttiva 2010/35/CE,
e coerentemente con quanto indicato in
apposita circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti - DG Motorizzazione, ACCREDIA ha avviato anche l'attività di accreditamento degli organismi
notificati per le attrezzature a pressione
trasportabili.
Da ultimo, a fine 2011, è stata attivata una
nuova ed importante collaborazione con
il Ministero dell’Ambiente, che ha ampliato sensibilmente l’attività dell’Ente in
materia ambientale, già consolidata nel
settore volontario, con l’accreditamento
delle certificazioni di sistemi di gestione
ambientale (ISO 14001) e per l’energia
(ISO 50001) nonché per le dichiarazioni
ambientali di prodotto (14025).
Le norme europee coperte dall’accordo
con il MATTM sono le direttive:
2000/14/CE - riguardante l’emissione
acustica delle macchine ed attrezzature destinate a funzionare all’aperto;
2003/87/CE - che istituisce un sistema
per lo scambio di quote di emissioni dei
gas a effetto serra nella Comunità Europea; 2009/28/CE - sulla promozione dell'uso dell’energia da fonti rinnovabili;
2009/30/CE - sul controllo e riduzione
dei gas serra; e i regolamenti CE
1221/2009 - sull’adesione volontaria del-
le organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), e
842/2006 - sull’emissione di taluni gas
fluorurati ad effetto serra.
In particolare, si segnala l’importanza delle attività di accreditamento ai sensi del
regolamento EMAS, del regolamento su
taluni gas fluorurati a effetto serra e della
direttiva “Emission trading”.
Emas è lo schema di eco-gestione e audit (Eco-Management Audit Scheme, alla
III formulazione con il reg. CE/1221/2009),
che prevede l'adesione volontaria delle
organizzazioni ad un sistema di registrazione gestito dalla Comunità Europea.
L'adesione al sistema prevede una verifica delle organizzazioni da parte di soggetti accreditati. L'organizzazione che intende registrarsi deve dimostrare di mantenere attivo un sistema di gestione ambientale conforme alla ISO 14001, con
alcune aggiunte e precisazioni. La verifica è volta a validare la dichiarazione ambientale dell'organizzazione.
La registrazione Emas viene concessa dagli organismi competenti nominati dagli
Stati membri (in Italia il Comitato per l'Ecolabel e l'Ecoaudit), secondo una procedura che, oltre ad esaminare nuovamente l'adeguatezza complessiva della
dichiarazione ambientale validata dal verificatore accreditato, prevede la richiesta
di parere alle autorità ambientali locali (in
Italia ARPA e APPA).
In ambito cogente si inserisce l’accreditamento ai sensi del reg. 842/2006, che
riguarda il contenimento, l'uso, il recupero e la distruzione di taluni gas fluorurati ad effetto serra.
Il MATTM ha emesso un decreto attuativo che prevede la certificazione dei soggetti che effettuano l’installazione, manutenzione e ricarica dalle apparecchiature e impianti contenenti gas fluorurati
(impianti di refrigerazione, condizionamento d’aria, antincendio ecc).
ACCREDIA, in accordo con il Ministero,
procederà alla definizione dei requisiti di
accreditamento per gli schemi certificazione del personale; del prodotto/servizio
delle imprese che erogano servizi di installazione, manutenzione e riparazione;
e del servizio di erogazione di corsi pro-
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prova, taratura).
Il regolamento ha affidato la vigilanza del
mercato, di competenza degli Stati membri, alle strutture pubbliche deputate, ma
ha previsto che l’attività di accreditamento copra tutte le attività di valutazione della conformità, sia nel volontario che nel cogente.
ACCREDIA si è prodigata insieme alle Autorità competenti in Italia per la corretta
attuazione delle norme europee e in ottemperanza al principio della sussidiarietà
pubblico-privato, che ha sempre ispirato
la sua attività, si è messa a disposizione,
facendosi parte diligente per supportare
il Ministero dello Sviluppo economico nell’adeguamento al quadro legislativo comunitario.
L’Ente è attivo da tempo nel settore regolamentato delle produzioni biologiche e
delle certificazioni di prodotto a marchio
di qualità agroalimentare, in virtù della
proficua e consolidata relazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
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fessionali per il personale addetto agli impianti di condizionamento d’aria in determinati veicoli a motore contenenti taluni gas fluorurati ad effetto serra.
Per quanto riguarda la direttiva
2003/87/CE, in applicazione del Protocollo di Kyoto la UE ha realizzato uno
schema per rendicontare e ridurre nel tempo le emissioni di gas serra (GHG) di impianti relativi a specifici settori produttivi
ed al di sopra di definite soglie di produzione. Lo schema EU ETS - Emission Trading, ha delle evidenti ricadute di natura
economica, obbligando le realtà meno
virtuose all’acquisto nel “mercato della
CO2” dei crediti corrispondenti agli eccessi delle proprie emissioni. In questo
ambito cogente si inserisce l’accreditamento dei verificatori deputati al controllo delle emissioni delle organizzazioni.
L’obiettivo di riduzione delle emissioni di
gas serra sarà perseguito anche quando
nei prossimi mesi partirà il sistema di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti, a cui si dovranno sottoporre tutti
i soggetti della filiera: da chi produce la
materia prima, per arrivare a chi fornirà il
prodotto finale.
Il sistema di valutazione della conformità,
come previsto nel regolamento 765/2008,
è stato applicato per la prima volta sulla
direttiva 2009/48/CE sicurezza dei giocattoli, attuata in Italia con il D.Lgs. n. 54
dell'11 aprile 2011 e in vigore dal 12 maggio.
Questo recante il primo atto normativo di
applicazione del reg. 765/2008, in virtù
del quale ACCREDIA è incaricata dell'attività di valutazione degli organismi che
operano nell'ambito delle attività propedeutiche alla marcatura CE dei giocattoli
da parte dei produttori.
Con il decreto 54 - 11 e in virtù delle intese sottoscritte, l’accreditamento è diventato formalmente pre-requisito per l’autorizzazione ministeriale e successiva notifica alla Comunità Europea da parte del
Ministero dello Sviluppo Economico o degli altri Ministeri interessati.
continua da pagina 37
razioni da porre in essere. L'autorizzazione ai lavori assicura che siano stati eseguiti tutti i controlli formali per garantire
la conformità ai requisiti di sicurezza dello spazio confinato prima dell'inizio dei
lavori. Un'autorizzazione ai lavori deve
prevedere obbligatoriamente:
✎ l’individuazione dei soggetti autorizzati a predisporre l’esecuzione di attività pericolose e dei responsabili alla
selezione delle misure di sicurezza;
✎ le disposizioni per le ditte appaltatrici;
✎ la formazione ed istruzione in mate-
de spesso a non pianificare adeguatamente il processo lavorativo, e troppo
spesso i lavoratori addetti alle operazioni non sono sufficientemente formati ed
informati dei rischi cui si trovano ad essere esposti. Bisogna eseguire un’approfondita e corretta valutazione dei rischi, un addestramento efficace, prevedere l’impiego di attrezzature idonee e
pianificare sia le attività ordinarie sia gli
scenari di emergenza, codificando le ope-
marzo/aprile 2012
Gli organismi notificati
e la banca dati NANDO
L’attività in ambito cogente (o obbligatorio) prevede infatti a carico degli uffici ministeriali l’adempimento dell’inserimento
degli organismi di valutazione della
conformità nella banca dati comunitaria
Nando.
Per gli organismi, la pubblicazione sul sito Nando, garantisce la riconoscibilità e
la validità sui mercati internazionali dell’autorizzazione rilasciata dallo Stato membro.
Le convenzioni interessano settori portanti
dell’economia, in cui operano centinaia
di migliaia di aziende in tutto il territorio
italiano e la collaborazione tra ACCREDIA e i Ministeri consente di organizzare
e razionalizzare le attività di accreditamento nei diversi comparti in coerenza
con i principi della qualità, della sicurezza, della salute, della tutela ambientale e
della protezione dei consumatori.
L'intervento di ACCREDIA è volto ad accrescere la certezza per gli utenti dei prodotti a marcatura CE (siano essi consumatori finali, come nel caso dei giocattoli, o partner nelle relazioni BtoB), perché
possano fare affidamento sui risultati delle valutazioni effettuate dagli organismi di
certificazione che solo in virtù dell'accreditamento sono poi autorizzati dal MSE
e notificati alla Commissione per l'iscrizione nella banca dati Nando.
Il sistema della notifica è essenziale, sia
per gli organismi di certificazione autorizzati sia, di riflesso, per le aziende per apporre la marcatura CE sui loro prodotti.
L’inclusione degli organismi notificati
nell’elenco, infatti, rende l’autorizzazione ministeriale valida non solo a livello nazionale ma nell’intero territorio
comunitario. La gestione delle notifiche
è risultata per un periodo difficoltosa e
molti organismi per qualche tempo si sono trovati esclusi dalla banca dati comunitaria.
Per le aziende, l’iscrizione nella banca dati degli organismi responsabili, significa
sbloccare una situazione che nel tempo
avrebbe potuto compromettere la libera
circolazione dei loro prodotti sul mercato comunitario.
Per gli organismi, l'accreditamento ACCREDIA rappresenta un valore aggiunto
nei termini dei vantaggi operativi che derivano dall'iscrizione al registro Nando e
dalla garanzia di valutazioni imparziali e
indipendenti assicurate da un corpus ispettivo di professionisti impegnato ogni anno
sul campo per oltre 10.000 giornate uomo
di verifica, senza costi aggiuntivi rilevanti. ACCREDIA applica infatti il proprio tariffario, nel rispetto delle determinazioni
della Commissione di sorveglianza interministeriale, costituita con Decreto dell’MSE del 27 luglio 2011.
ria di autorizzazioni;
✎ il monitoraggio e il controllo teso a
garantire che le procedure vengano
applicate come previsto.
Bibliografia
[1]Fucile Antonio: “Lavori in spazi confinati”, Ambiente, Lavoro e Sicurezza,
EPC Periodici, via dell’Acqua Traversa 187/189, Roma, Italy, ottobre 2010.
[2]D.P.R. n. 177 del 14 settembre 2011.
[3]www.ispesl.it/documenti_catalogo/ambienticonfinati.pdf
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❙ Valutazione della conformità ❙
>> Giovanni Mattana
La revisione della norma
ISO 17021
Valutazione della conformità: Requisiti
per gli organismi che forniscono audit e
certificazione di sistemi di gestione
Q
uesta nuova norma UNI CEI EN
ISO/IEC 17021, 2011, contiene i
principi ed i requisiti per la competenza, la coerenza e l’imparzialità dell’audit e della certificazione dei sistemi
di gestione di tutti i tipi (per esempio sistemi di gestione per la qualità o sistemi
di gestione ambientale) e per gli organismi che forniscono queste attività.
Importanza della Norma
La norma conserva il ruolo di documento essenziale, anche contrattuale, per l’accreditamento degli organismi di certificazione.
Ma assume anche un valore, enormemente accresciuto rispetto all’edizione
precedente, in quanto diventa il riferimento
✎ per il processo di audit per la certificazione di parte terza, sostituendo in
tale ruolo la Iso 19011
✎ per i requisiti di competenza attinenti al processo di certificazione.
Diventa cioè un documento essenziale
anche per le organizzazioni e per i valutatori, non solo per gli organismi di certificazione.
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Peculiarità della Norma
La presente norma sostituisce la UNI CEI
EN ISO/IEC 17021:2006, conservando il
titolo precedente ma allargando lo scopo e l’ambito.
Principali motivazioni per la revisione
dell’edizione del 2006 sono state le seguenti:
✎ includere tutti i requisiti per gli audit
di parte terza e quindi togliere dalla
Norma ogni riferimento alla ISO
19011 (che continua a trattare anche
gli Audit di Parte seconda e Prima);
✎ estenderne la validità a tutti i Sistemi di Gestione (non più ai soli sistemi di gestione per la qualità e l’ambiente, come in precedenza);
✎ incrementare il ruolo della competenza in tutte le fasi del processo e
per tutte le funzioni implicate nella
certificazione; indicando anche i
modi per specificare la competenza,
valutarla, mantenerla aggiornata;
✎ incorporare indicazioni recepite dalle Guide IAF;
✎ rimpiazzare le Guide ISO-IEC 62 e
66;
✎ prevedere che in futuro ci siano dei
completamenti specifici per la competenza per ogni tipo di Sistema di
gestione, come mostrato nella seguente figura; in altre parole, questa
norma non entra nello specifico dei
sistemi di gestione per la qualità o
per l’ambiente, demandando questi
a future pubblicazioni specifiche (da
notare che per la Qualità e per
l’Ambiente tali lavori sono già iniziati).
I capitoli che hanno visto modifiche sostanziali rispetto all’edizione precedente sono il 3, il 7, il 9, quest’ultimo derivato, in precedenza, dalla ISO 19011.
La norma contiene anche 6 Allegati (1
normativo e 5 informativi).
La Norma UNI EN ISO contiene anche il
testo inglese.
L’Introduzione della Norma
La presente norma internazionale specifica i requisiti per gli organismi di certificazione.
L’osservanza di tali requisiti ha lo scopo
di garantire che gli organismi di certificazione realizzino la certificazione del
sistema di gestione in modo competente, congruente ed imparziale, facilitando così il riconoscimento di tali organismi e l’accettazione delle loro certificazioni su base nazionale ed internazionale. La certificazione di un sistema di
gestione fornisce una dimostrazione indipendente che il sistema di gestione del-
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Indice della Norma
1 SCOPO E CAMPO DI
APPLICAZIONE
2 RIFERIMENTI NORMATIVI
3 TERMINI E DEFINIZIONI
4 PRINCIPI
4.1 Generalità
4.2 Imparzialità.
4.3 Competenza
4.4 Responsabilità
4.5 Trasparenza
4.6 Riservatezza
4.7 Rapida ed efficace risposta ai reclami
5 REQUISITI GENERALI
5.1 Aspetti legali e contrattuali
5.2 Gestione dell’imparzialità
5.3 Responsabilità e risorse finanziarie
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6 REQUISITI STRUTTURALI
6.1 Struttura organizzativa e alta direzione
6.2 Comitato per la salvaguardia dell’imparzialità
7 REQUISITI PER LE RISORSE
7.1 Competenza della direzione e del
personale
7.2 Personale coinvolto nelle attività di
certificazione
7.3 Impiego di auditor ed esperti tecnici
esterni singoli
7.4 Registrazioni del personale
7.5 Affidamento all’esterno
8 REQUISITI RELATIVI ALLE INFORMAZIONI
8.1 Informazioni accessibili al pubblico
8.2 Documenti relativi alla certificazione
8.3 Elenco dei clienti certificati
8.4 Riferimento alla certificazione ed utilizzo dei marchi
8.5 Riservatezza
8.6 Scambi di informazioni fra un organismo di certificazione ed i propri clienti
9 REQUISITI DI PROCESSO
9.1 Requisiti generali
9.2 Audit e certificazione iniziale
9.3 Attività di sorveglianza
9.4 Rinnovo della certificazione
9.5 Audit speciali
9.6 Sospensione, revoca o riduzione del
campo di applicazione della certificazione
9.7 Ricorsi
9.8 Reclami
9.9 Registrazioni relative ai clienti ed ai
richiedenti la certificazione
10 REQUISITI RELATIVI AL SISTEMA DI
GESTIONE DEGLI ORGANISMI DI CERTIFICAZIONE
10.1 Opzioni
10.2 Opzione 1: Requisiti di un sistema
di gestione conforme alla ISO 9001
10.3 Opzione 2: Requisiti di un generico sistema di gestione
APPENDICE A (normativa) - CONOSCENZE E ABILITÀ RICHIESTE- prospetto A.1 Prospetto delle conoscenze e abilità
APPENDICE B (informativa) -POSSIBILI
METODI DI VALUTAZIONE
APPENDICE C (informativa) -ESEMPIO
DI UNO SCHEMA DI FLUSSO PER DETERMINARE E MANTENERE LA COMPETENZA -figura C.1 Esempio di uno
schema di flusso per determinare e mantenere la competenza
APPENDICE D (informativa) -COMPORTAMENTI PERSONALI ATTESI
APPENDICE E (informativa)-PROCESSO
DI AUDIT E CERTIFICAZIONE DI TERZA PARTE - figura E.1 Schema di flusso
tipico per un processo di audit di terza
parte e un processo di certificazione
APPENDICE F (informativa)- CONSIDERAZIONI PER IL PROGRAMMA, IL CAMPO DI APPLICAZIONE O IL PIANO DI
AUDIT
BIBLIOGRAFIA
I contenuti principali della
Norma
Nel seguito ci limitiamo ad illustrare quelli che sono più nuovi e che vanno oltre
la specifica attività di accreditamento.
Cioè, essenzialmente:
✎ il processo di audit
✎ gli aspetti di competenza
Tratteremo separatamente i due temi.
A-IL PROCESSO DI AUDIT in dettaglio
- LA STRUTTURA E I REQUISITI DEL
PROCESSO
9.1 REQUISITI GENERALI
9.1.1 Programma di audit
9.1.2 Piano di audit
9.1.2.2 Determinazione degli obiettivi,
del campo di applicazione e dei criteri
di audit
9.1.2.3 Elaborazione del piano di audit
9.1.3 Selezione e assegnazione del gruppo di audit
9.1.4 Determinazione della durata di audit
9.1.6 Comunicazione dei compiti del
gruppo di audit
9.1.7 Comunicazione riguardante i membri del gruppo di audit
9.1.8 Comunicazione del piano di audit
9.1.9 Conduzione di audit su campo
9.1.9.2 Conduzione della riunione iniziale
9.1.9.3 Comunicazione nel corso dell’audit
9.1.9.5 Raccolta e verifica delle infor-
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te m a
l’organizzazione:
a) è conforme ai requisiti specificati;
b) è capace di conseguire in modo coerente la politica e gli obiettivi definiti
dall’organizzazione;
c) è attuato in modo efficace.
Nella presente norma internazionale il
punto 4 descrive i principi su cui si basa una certificazione credibile. Tali principi aiutano il lettore a comprendere l’essenza della certificazione e costituiscono una necessaria premessa ai punti da
5 a 10. Le attività di certificazione comportano l’audit del sistema di gestione di
un’organizzazione.
La presente norma internazionale fornisce un insieme di requisiti per le attività
di audit di sistemi di gestione ad un livello generale, finalizzato a fornire una
determinazione affidabile della conformità ai requisiti applicabili per la certificazione, condotta da un gruppo di audit
competente, con adeguate risorse e seguendo un processo coerente, con risultati riportati in un modo altrettanto coerente.
La presente norma internazionale è applicabile per le attività di audit e di certificazione di ogni tipo di sistema di gestione. Si riconosce che alcuni requisiti,
ed in particolare quelli relativi alla competenza degli auditor, possono essere integrati con criteri aggiuntivi al fine di soddisfare le aspettative delle parti interessate.
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❙ Valutazione della conformità ❙
mazioni
9.1.9.6 Identificazione e registrazione delle risultanze dell’audit
9.1.9.7 Elaborazione delle conclusioni
dell’audit
9.1.9.8 Conduzione della riunione di
chiusura
9.1.11 Analisi delle cause delle non
conformità
9.1.12 Efficacia delle correzioni e delle azioni correttive
9.1.14 Decisione di certificazione
9.1.15 Azioni prima di prendere una
decisione
9.2 AUDIT E CERTIFICAZIONE INIZIALE
9.2.2 Riesame della domanda
9.2.3 Audit iniziale di certificazione
9.2.3.1 Audit di fase 1
9.2.3.2 Audit di fase 2
9.2.4 Conclusioni dell’audit iniziale
di certificazione
9.2.5 Informazioni per il rilascio della certificazione iniziale
9.3.2 Audit di sorveglianza
9.3.3 Mantenimento della certificazione
9.4.2 Audit di rinnovo della certificazione
9.4.3 Informazioni per il rilascio del
rinnovo della certificazione
9.5 Audit speciali
9.5.1 Estensione del campo di appli-
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cazione
9.5.2 Audit senza preavviso
9.6 Sospensione, revoca o riduzione
del campo di applicazione della certificazione
9.7 Ricorsi
9.9 Registrazioni relative ai clienti ed
ai richiedenti la certificazione
L’APPENDICE E (informativa) - PROCESSO DI AUDIT E CERTIFICAZIONE
DI TERZA PARTE
Presenta lo Schema di flusso tipico per
un processo di audit di terza parte e un
processo di certificazione.Vedi fig. E.1
(presente sul nostro sito: http://aicqna.com/
redazione/qualita/ nella sezione "segnalazione articoli").
B-LA COMPETENZA
4 -PRINCIPI
4.3 Competenza
Per rilasciare una certificazione che trasmetta fiducia è necessaria la competenza del personale, supportata dal sistema di gestione dell’organismo di certificazione.
Competenza è la capacità di applicare
conoscenze e abilità per ottenere i risultati desiderati.
7 -REQUISITI PER LE RISORSE
7.1.2 Determinazione dei criteri di competenza
Gli elementi in uscita del processo devono essere i criteri documentati della
conoscenza richiesta e delle abilità necessarie per eseguire i compiti di audit e
di certificazione al fine di ottenere i risultati attesi. L’appendice A specifica la
conoscenza e le abilità che un organismo di certificazione deve definire per
le particolari funzioni.
L’organismo di certificazione deve disporre di un processo documentato per
determinare i criteri di competenza per
il personale coinvolto nella gestione ed
esecuzione degli audit e della certificazione. I criteri di competenza devono essere determinati con riferimento ai requisiti di ogni tipo di norma o specifica
di sistema di gestione, per ogni area tecnica e per ogni funzione nel processo di
certificazione. Gli elementi in uscita del
processo devono essere i criteri documentati della conoscenza richiesta e delle abilità necessarie per eseguire i compiti di audit e di certificazione al fine di
ottenere i risultati attesi. L’appendice A
specifica la conoscenza e le abilità che
un organismo di certificazione deve definire per le particolari funzioni. Nei casi in cui, per uno schema specifico di certificazione, per esempio ISO/TS 22003
(Sistemi di gestione per la sicurezza alimentare), siano stati stabiliti criteri specifici di competenza aggiuntivi, questi
devono essere applicati.
Nota Il termine “area tecnica” può essere applicato differentemente in funzione
della norma di sistema di gestione considerata. Per ogni sistema di gestione, il
termine è relativo a prodotti e processi
nel contesto del campo di applicazione
della norma di sistema di gestione. Le
aree tecniche possono essere definite da
uno specifico schema di certificazione
(per esempio ISO/TS 22003) o possono
essere determinate dall’organismo di certificazione.
APPENDICE A
7.1.3 Processi di valutazione
L’organismo di certificazione deve disporre di processi documentati per la valutazione iniziale della competenza e per
il monitoraggio continuo sia della competenza sia della prestazione di tutto il
personale coinvolto nella gestione e conduzione degli audit e della certificazio-
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7.2.11 Le procedure documentate di monitoraggio per gli auditor devono comprendere una combinazione di osservazioni su campo, riesami di rapporti di audit ed informazioni di ritorno dai clienti
o dal mercato e devono essere precisate
in requisiti documentati. Tale monitoraggio deve essere concepito in modo da
minimizzare il disturbo arrecato ai normali processi di certificazione, soprattutto dal punto di vista del cliente.
APPENDICE C (informativa) - MOSTRA
UN ESEMPIO DI SCHEMA DI FLUSSO
PER DETERMINARE E MANTENERE LA
COMPETENZA.
Impatti operativi
Poiché la iso 17021 è un documento cogente, a differenza della Iso 19011 che è
una Guida, ne nascono importanti implicazioni operative, tra cui ( ):
✎ Per rilasciare una certificazione che
trasmetta fiducia è necessaria la
competenza del personale coinvolto
nel processo di certificazione (non
limitata a quella degli auditors).
✎ L’organismo di certificazione deve
avere pertanto un processo documentato
a) per determinare i criteri di competenza per il personale coinvolto nella gestione ed esecuzione dell’audit e della certificazione. I criteri di competenza devono essere determinati con
riferimento ai requisiti di ogni tipo norma o specifica di sistema di gestione,
per ogni area tecnica e per ogni funzione nel processo di certificazione,
oltre che per area geografica, se applicabile ALLEGATO A,
b) per la valutazione della competenza
iniziale e per il monitoraggio della
competenza nel tempo e della prestazione di tutto il personale coinvolto
nella gestione e prestazione degli audit e della certificazione, applicando
determinati criteri di competenza.
✎ Gli ODC devono riqualificare tutti i
propri auditor utilizzando i metodi
suggeriti nell’ ALLEGATO B
✎ Non si deve più ragionare in termini
di requisiti minimi per la competenza
(ad es. 10 audit, 3 anni di esperienza,
laurea, anche se tutto ciò può rimanere) ma innanzitutto sulle conoscenze
richieste per lavorare in un’area tecnica definita, e quindi sui metodi utilizzati per verificare questa competenza.
✎ Gli ODC devono predisporre un piano di transizione da rendere disponibile ad Accredia prima della verifica
di transizione, e comunque entro il 1
Febbraio 2012. Accredia verificherà
il rispetto del piano proposto in occasione della prima verifica ispettiva
presso la sede dell’OdC interessato;
✎ Piano di transizione.-IAF ha emesso
un documento informativo (IAF ID
2:2011), disponibile sul sito IAF, dove
viene definito un periodo di transizione di 24 mesi dalla data di pubblicazione; pertanto, entro il 1 febbraio
2013 tutti gli Organismi Accreditati
ISO/IEC 17021:2006 dovranno adeguarsi alla nuova norma al fine di evitare provvedimenti sanzionatori.
✎ A partire dal 1 Febbraio 2012 Accredia emetterà nuovi accreditamenti solo a fronte della ISO/IEC 17021:2011.
✎ Dal 1 febbraio 2013 tutti gli accreditamenti emessi a fronte della ISO
17021:2006 verranno revocati.
■ NOTE
1
Emanuele Riva, UNI / ACCREDIA - Ottobre
2011, Aspetti applicativi della UNI CEI EN
> Prospetto A.1 - prospetto delle conoscenze e abilità
www.aicq.it
ISO/IEC 17021.
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ne, applicando i criteri di competenza
stabiliti. L’organismo di certificazione deve dimostrare l’efficacia dei propri metodi di valutazione. Gli elementi in uscita da questi processi devono essere idonei ad identificare il personale che possiede il dimostrato livello di competenza
richiesto per le differenti funzioni del processo di audit e di certificazione.
Nota Un numero di metodi di valutazione che possono essere utilizzati per
valutare la competenza e le abilità sono
descritti in appendice B e comprendono
i seguenti:
✎ Riesame delle registrazioni
✎ Informazioni di ritorno
✎ Interviste
✎ Osservazioni
✎ Esami
APPENDICE D -COMPORTAMENTI PERSONALI ATTESI (informativa)
Riporta esempi di comportamenti personali, che sono importanti per il personale coinvolto nelle attività di certificazione, per ogni tipo di sistema di gestione.
7.2.5 L’organismo di certificazione deve
disporre di un processo per poter conseguire e dimostrare l’efficacia dell’attività
di audit, compresi l’impiego di auditor e
di responsabili di gruppi di audit che posseggano abilità e conoscenze generali
circa gli audit, nonché abilità e conoscenze appropriate per effettuare audit
in aree tecniche specifiche.
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ev en t i
>> Aicq Centro Insulare
Dalla Regola Benedettina
alla Qualità Totale
Nell’ambito delle molteplici iniziative promosse ed organizzate dall’Associazione
Italiana Cultura per la Qualità centro insulare AICQ-ci per celebrare la settimana europea per la Qualità 2011 - svoltasi quest’anno all’insegna dello slogan «Quality
for best impact» - meritano di essere segnalate due che si sono svolte con il medesimo titolo e che hanno attratto un numerosissimo e qualificatissimo pubblico:
“dalla Regola Benedettina alla Qualità Totale”.
Entrambe hanno avuto come relatore il
qualitologo, prof. ing. Sergio BINI, noto
studioso della materia ed assiduo ricercatore di nuove frontiere della Qualità e di
modelli di gestione delle organizzazioni,
oltre che consigliere e socio fondatore della stessa AICQ-ci.
Le manifestazioni, strutturate come “seminari – conversazioni”, si sono tenute a
Roma:
✎ il 9 novembre 2011, presso la sala
conferenze della centralissima sede
dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Roma. L’incontro è stato dedicato agli iscritti all’Ordine;
✎ il 19 dicembre 2011, presso il Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo, la prestigiosa ed antica Università internazionale dei monaci benedettini sull’Aventino. L’incontro è stato aperto dal Magnifico Rettore ed ha richiamato in sala
anche numerosi docenti dell’Ateneo.
Per poter rispondere alle richieste provenienti da parte di coloro i quali non hanno potuto partecipare ai due incontri, si
provvederà ad organizzare altre due repliche dell’evento.
Comunque, al fine di mettere tempestivamente a disposizione di tutti i Soci dell’Associazione i principali contenuti affrontati durante i due seminari, si vogliono
sintetizzare - di seguito e per grandi linee
- sia il quadro tematico affrontato, sia i principali aspetti trattati.
La Regola Benedettina
Da quasi quindici secoli c’è un documen-
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to che continua a costituire, silenzio-samente, la base della struttura organizzativa, produttiva e culturale dell’Italia, dell’Europa e - più in generale - del mondo
occidentale: la «Regula Benedicti».
Il documento elaborato da San Benedetto
da Norcia nel 530 d.C. - anche se è stato
definito dallo stesso Santo “una piccolissima Regola per principianti … con la quale risulta possibile raggiungere finalmente
le più alte vette di dottrina e di virtù …” ha consentito di avviare ed alimentare un
inesorabile circolo virtuoso che ha cambiato il corso della storia e dell’economia,
il concetto di lavoro ed ha stimolato un
processo di miglioramento continuo della stessa qualità della vita delle persone e
delle società coinvolte.
Dallo studio attento di questa Regola (e
della sua progressiva attuazione ed e-spansione in abbazie e monasteri) si può scoprire che effettivamente il concetto stesso
di Europa poggia le proprie basi sulle direttive tracciate dal grande Santo umbro:
✎ concetti-base della vita delle organizzazioni: parlamento, elezioni, scrutinio, ballottaggio, rappresentanza, arbitrato, cooperative, fondazioni, e così
via;
✎ parole e forme: “avere voce in capitolo”, rubrica, scomunica, breakfast,
gris-sino, biscotto, indispensabile, e
così via;
✎ invenzioni e soluzioni tecnologiche: i
vari tipi di mulino (ad acqua e a vento); la bussola, l’aratro, l’organizzazione tecnica dell’agricoltura, dell’itticoltura, la stampa, la ferratura dei cavalli,
l’orologio (lo svegliarino); l’altoforno;
le tecniche di costruzione delle cattedrali e dei monasteri, insieme con una
moltitudine di prodotti innovativi e di
altre “cose nuove”.
La “Regola” ha costruito
la vera cultura occidentale
dell’Europa
Come affermava, infatti, lo studioso Léo
MORIN «… i monaci sono all’origine, inconsapevole ed involontaria, di un movimento economico e sociale così profondo, così diverso e vasto che l’evoluzione
del Medio Evo sarebbe difficilmente spie-
gabile senza la loro presenza e la loro azione. In questo senso, San Benedetto e con lui
i benedettini sono i “padri dell’Europa” nel
senso pieno del termine, sia da un punto
di vista storico che sociologico …» [Léo
Morin, 2008].
Sono molti, fortunatamente, gli studiosi nel
mondo che dedicano i propri studi e le proprie ricerche per approfondire sia questo
prezioso testo, sia le sue applicazioni che
hanno consentito nei secoli di far migliorare
progressivamente la qualità della vita e di
far accrescere la cultura dei popoli, a partire da quelli gravitanti nelle aree di influenza dei monaci e dei monasteri.
Tra questi, non sono pochi quelli che ritengono la Regola benedettina un testo che
vada ben oltre la dimensione “religiosa”;
essa è, soprattutto, una guida metodologica che aiuta a mettere ordine nella vita delle persone e delle comunità (organizzazioni; aziende; imprese; reti di imprese;
gruppi; famiglie; sistemi; network; e così
via).
Dagli Stati Uniti Skrabec jr. - un importante studioso di Qualità- conferma con determinazione che, grazie alla Regola di San
Benedetto, «le comunità benedettine furono la dinamo economica della loro epoca.
Erano centri agricoli, di produzione e di conoscenza… all’inizio la loro attività fu agricola, ma ben presto seguirono la strada …
per raggiungere l’indipendenza economica, ottenendo i loro primi successi nella
pesca, nella lavorazione della lana, nella
macinazione del grano e nell’allevamento
dei cavalli.
Queste comunità monastiche erano organizzazioni culturali in cui venivano promossi studi ed esperimenti nel campo della manifattura di beni. Nel XV se-colo, ormai i monasteri europei gestivano attività
come la fabbricazione della birra, l’estrazione dei minerali, la molitura del grano,
la produzione del ferro e la lavorazione del
vetro. …. Queste comunità “industriali” ed
i loro monopoli con-trollavano l’Europa attraverso dipendenze (“masserie”) …. L’efficienza organizzativa è l’eredità che esse
hanno lasciato al nostro secolo, alla cui base troviamo alcuni principi benedettini: armonia, lavoro di gruppo e stabilità … ».
[Quentin R. Skrabec jr., 1998]
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❙ Eventi ❙
Gli aspetti innovativi
nella gestione delle
organizzazioni, come
“sistemi”
In occasione delle due conversazioni, il relatore si è soffermato, in particolar modo,
sulla interpretazione delle declinazioni applicative della Regola soprattutto nei riguardi dei seguenti ambiti:
✎ eliminazione delle negatività all’interno delle organizzazioni;
✎ ottimizzazione del lavoro di squadra,
servendosi della cooperazione per
vincere;
✎ capacità di integrare nel lavoro le dimensioni materiali (tangibili) con quelle spirituali (intangibili);
✎ possibilità di raggiungere il vertice della “piramide dei bisogni” di Maslow
(cioè l’autorealizzazione) da parte di
tutte le persone;
✎ sviluppo di un’organizzazione creatrice, con continuità, di conoscenza e di
innovazione.
L’attenzione del relatore si è focalizzata,
inoltre, su come la “Regola” abbia svolto nella realtà dei fatti – il ruolo indiscutibile
di vera e propria antesignana dello standard internazionale ISO 9001 (prima) e,
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successivamente, dei principi-base del Total Quality Management (la cosiddetta Qualità Totale).
La Regola, infatti, ha introdotto concetti oggi attualissimi come: miglioramento continuo; circoli della qualità; team work; leadership; brainstorming; standardizzazione;
benchmarking; autovalutazione; just in time; knowledge management; e così via.
La Regola - sintetizzata egregiamente dallo slogan «ora et labora» - è quindi un semplice progetto di vita, un insieme di principi
chiaramente più vicino al significato originario della parola latina «regula», o guida,
piuttosto che al termine «lex» o legge.
Infatti, «Regula» - la parola che oggi viene
tradotta con “regola” - nell’accezione originaria significava, invece “indicatore stradale”, oppure “ringhiera”, cioè qualcosa a
cui aggrapparsi e sorreggersi nel buio e/o
nella stanchezza, qualcosa che indica la
strada e che aiuta ad andare verso una determinata (corretta) direzione, nel “deserto
della vita” quotidiana.
Non è, quindi, solo una serie di istruzioni,
ma aiuta a costruire uno stile di vita!
Forse anche per questo, la Regola costituisce uno strumento estremamente vivo e
sempre attuale e la si può applicare anche
in un momento così complesso e difficile
come quello attuale - sia per i singoli, che
per le organizzazioni-.
Con la “Regola”, la persona
viene posta al centro
dell’organizzazione
La Regola benedettina - o meglio la “Regula Benedicti” -, questo antico testo del
VI secolo d.C. scritto nell’Abbazia di Montecassino, non può e non deve essere con-
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ev e n ti
Ancora oggi, senza saperlo, dopo 1500 anni la “Regola di Benedetto da Norcia” continua a regolare la vita e le relazioni all’interno delle piccole imprese; infatti, con la
guida “paterna” del proprietario-imprenditore si tende a rafforzare una serie di principi che non regolano solo le ore, i riti, le attività, i ruoli, i compiti e le responsabilità di
ciascun protagonista, ma anche i processi
di crescita personale dei singoli.
siderato un trattato di teologia, bensì una
guida di sapienza per l’uomo di sempre compreso (o forse ancor di più) per quello
di oggi - per poter:
✎ comprendere meglio l’Uomo, come
entità e come singolo;
✎ comprendere meglio il Gruppo;
✎ costruire un processo virtuoso nel
Gruppo, cioè un miglioramento continuo dei singoli, della comunità e delle attività svolte.
In tale ambito metodologico, la «sapienza» per San Benedetto è un qualcosa di sapido, di saporoso, di interessante che consente:
✎ di penetrare nei significati delle cose e
delle azioni umane;
✎ di conoscere l’uomo in tutte le sue
manifestazioni evidenti come e parole
e le azioni, e nascoste, ma non del tutto (i cosiddetti “segnali deboli”).
Le tre virtù principali fissate dalla “Regola” per il processo di miglioramento - che
devono essere prima riconosciute e poi
esercitate - sono:
✎ l’obbedienza, che è un mettersi in
ascolto (ob-audire), in piedi, e pronti
ad agire secondo saggezza e conoscenza (cioè, le competenze) [capitolo
5°];
✎ il silenzio, che non è un vuoto mentale o l’assenza di proposte, ma il momento e il modo che le fa maturare.
Collegate al silenzio, e funzionale ad
esso, ci sono la sobrietà e la proprietà
di linguaggio [capitolo 6°];
✎ l’umiltà, che è un sentirsi permanentemente vicini alla terra (humus) - cioè
vicini ai problemi ed attenti alle realtà
quotidiane -. L’acquisizione di questa
virtù consente di avere la reale percezione della propria fallibilità e della
propria fragilità in ogni situazione [capitolo 7°].
Le suddette tre “virtù” vanno, comunque,
declinate alla luce di un quarto concet-to
unificante, quello di persona, come essere razionale, libero e autocoscien-te.
La “Regola benedettina” è costituita da un
prologo e da 73 capitoli, che pos-sono essere letti immaginandoli organizzati in quattro parti:
Di tutta la “Regola” si vuole, di seguito, ri-
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portare solo le prime righe del “prologo”
che recitano così:
«ASCOLTA, figlio, i precetti del maestro,
PORGI attento il tuo cuore,
RICEVI di buon animo i consigli
di un padre che ti vuole bene e
METTILI risolutamente in pratica,
per RITORNARE con la fatica dell’obbedienza
a Colui dal quale ti eri allontanato …».
Da una lettura particolarmente attenta (e
forse anche molto laica) di queste ri-ghe
traspaiono le fasi «plan-do-check-act» del
modello operativo a base del mi-glioramento continuo rappresentato dal ciclo di
Deming; che, quindi, risulterebbe poter essere stato tracciato con circa 1.500 anni di
anticipo.
La guida è affidata alla
leadership di un uomo
scelto dalla comunità
Uno dei principali pilastri della “Regola
benedettina” è costituito dalla “leadership”
esercitata dall’Abate, il capo della comunità; attraverso sia la sua opera quotidiana, sia le sue particolari caratteristiche umane, «deve riuscire a costruire la comunità
per mezzo dell’organizzazione».
E’ indispensabile che l’Abate «detesti i vizi, ma ami i fratelli …» e nel corregge-re
agisca con prudenza e senza eccessi, perché volendo raschiare troppo la ruggine,
non gli capiti di rompere il vaso; abbia sempre presente la sua fragilità e si ricordi che
“non si deve spezzare la canna incrinata”
[Anselm Grün, 2004].
All’Abate la Regola ricorda che deve operare cercando di «essere amato più che temuto» [capitolo LXIII]; «l’Abate si ricordi
sempre di quello che è e di come viene
Figure della REGOLA benedettina
ABATE
PRIORE
CELLERARIO
DECANI
CIRCATORES
ARMARIUS (Capo Biblioteca)
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chiamato, e sappia che a chi fu dato molto, molto sarà richiesto. Sia inoltre consapevole della difficoltà e della delicatezza del
compito che si è assunto di governare le
anime, adattandosi ai diversi temperamenti,
che richiedo-no alcuni la dolcezza, altri il
rimprovero, alti ancora la persuasione; sappia adat-tarsi e conformarsi a tutti, secondo l’indole e l’intelligenza di ciascuno, così da non subire perdite nel gregge affidatogli, rallegrandosi invece per il suo incremento» [capitolo II].
San Benedetto, nel suo modello di conduzione dell’organizzazione della comunità
monastica, vuole che l’Abate si debba liberare dall’orgoglio di dirigere una comunità di grande fama e che, invece, presti la
massima attenzione al singolo - da rispettare con tutta le sue debolezze - e se ne
occupi come il buon pastore. In questo
modo, mentre segue il singolo (nelle sue
debolezze) potrà conoscere meglio anche
le proprie e troverà il modo per combatterle. Si deve, cioè, comportare come il
bravo medico che vive in se stesso le ferite del paziente.
Walter Nigg definisce San Benedetto «costruttore di uomini», uno che realizza con
grande energia e determinazione, ciò che
in quel momento era più necessario, cioè
degli uomini riaggiustati da cima a fondo
in senso positivo [A. Grün, 2004]; diventare
uomini positivi che sanno costruire senza
demolire gli altri: proprio questa è una delle più importanti raccomandazioni di San
Benedetto valide anche per i cittadini del
terzo millennio.
Per assicurare la gestione operativa dell’organizzazione era stata prevista anche
la presenza di altre figure che sono in qualche modo riconducibili alle figure presenFigure dell’impresa moderna
Amministratore Delegato
Direttore Generale
Direttore Amministrativo e finanziario
e Direttore Approvvigionamenti
Dirigenti, responsabili di Strutture
organizzative
Internal Auditing
Responsabile Formazione e cultura d’impresa
(gestore del know how)
ti oggi nelle aziende:
Comunque, «ogni volta che in monastero
si devono trattare cose d’importanza, l’Abate
raduni tutta la comunità ed esponga egli
stesso di che si tratta. E udito il parere dei
fratelli, consideri dentro di sé la cosa, e faccia quello che gli sembre-rà più utile.
Abbiamo detto di chiamare tutti a consiglio, perché spesso il Signore ispira al più
giovane il partito migliore. … consigliati
in tutto ciò che fai e dopo non avrai a pentirtene» [capitolo III].
Ma l’organizzazione e la gestione della comunità secondo la Regola Benedettina è
scandita e regolata da un nutrito ed importante dizionario farcito di concetti la cui
attenta analisi semantica meriterebbe giornate intere di approfondimento. Di seguito si riportano, ad esempio, alcuni tra i più
importanti con-cetti benedettini, presenti
nella Regola: la stabilitas; humilitas (da “humus”); obsculta/ausculta; la discretio; la taciturnitas; la statio; la mormorazione; l’hora competens; la con + solatio; la responsabilitas (da “responsum + abilis”); la sopportazione; lo zelo; l’autorità (da “auctoritas”); decidere (da “de + caedere”); la consapevolezza; tras-formare; e così via.
Il prof. ing. Sergio Bini conclude la conversazione con una riflessione finale dedicata alla ricerca delle possibili motivazioni che hanno portato l’Unione Europea a voler negare (non solo formalmente, ma anche fattualmente) la matrice cristiana/benedettina delle origini della propria cultura occidentale. L’Unione Europea sembra
concentrare le proprie attenzioni quasi
esclusivamente all’economia ed alla finanza; infatti, sembra quasi che per le burocrazie europee non esistano più né le
persone, né i “cittadini”, ma solo dei “consumatori”. Non sembrano meritevoli di attenzione nemmeno i “lavoratori”, considerati es-senzialmente come “forza lavoro” e considerati quasi una “merce” intercambiabile, grazie all’adozione di soluzioni
delocalizzate sempre più economiche.
Forse si sta realizzando proprio quanto previsto, con preoccupazione, da George
Orwell quando avvertiva che “chi si appropria del nostro passato, si appropria del
nostro futuro”, come stava accadendo anche ai tempi di San Benedetto.
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❙ Qualità dal mondo ❙
q u a l it à d a l m on d o
>> A cura di Giovanni Mattana
ITALIA, PA
Continuità operativa
Pubblicata sulla Gazzetta del 27 dicembre 2011 la Circolare n.58 con le indicazioni necessarie per adempiere a quanto
previsto dall'articolo 50-bis (Continuità
Operativa) del Codice dell'Amministrazione Digitale. In particolare, la circolare
chiarisce le informazioni da inviare a DigitPA per il rilascio del parere sullo studio
di fattibilità tecnica e per l’attività di verifica dell’aggiornamento dei piani di Disaster Recovery. Alla sicurezza dei dati e delle applicazioni informatiche DigitPA dedica particolare attenzione, specie in un
quadro di progressiva e radicale digitalizzazione dei servizi a cittadini e imprese. Il
Disaster Recovery è il primo passo necessario a garantire la piena ed efficace continuità dei servizi online delle pubbliche
amministrazioni.
La continuità operativa è l’insieme di attività volte a minimizzare gli effetti distruttivi, o comunque dannosi, di un evento
che ha colpito un’organizzazione o parte
di essa, garantendo la continuità delle attività in generale. La sfera di interesse della continuità operativa va oltre il solo ambito informatico, interessando l’intera funzionalità di un’organizzazione, ed è pertanto assimilabile all’espressione “business continuity”. La continuità operativa
può quindi essere intesa come “l’insieme
di attività volte a ripristinare lo stato del sistema informatico o parte di esso, compresi gli aspetti fisici e organizzativi e le
persone necessarie per il suo funzionamento, con l'obiettivo di riportarlo alle
condizioni antecedenti a un evento disastroso”.
La continuità operativa comprende sia gli
aspetti strettamente organizzativi, logistici
e comunicativi che permettono la prosecuzione delle funzionalità di un’organizzazione, sia la continuità tecnologica, che
nel contesto delle pubbliche amministrazioni riguarda l’infrastruttura informatica
e telecomunicativa (ICT). Pertanto, le soluzioni per garantire la continuità dei servizi non considerano soltanto le compo-
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nenti tecnologiche utilizzate, ma anche
tutte le altre risorse (personale, impianti,
ecc.). La continuità operativa considera i
mezzi tecnici impiegati nei procedimenti
amministrativi come strumenti per l’erogazione dei servizi ed estende la sua sfera di interesse alle tematiche più generali
di natura organizzativa.
La continuità operativa rappresenta un
aspetto di estrema importanza per l’e-governement, poiché consente di garantire
realmente una disponibilità dei servizi on
line superiore a quella degli accessi tradizionali tramite sportello. In tal modo, è
possibile fornire al cittadino il pieno esercizio del suo diritto ad accedere ai servizi pubblici per via telematica, come previsto dall’Articolo 3 del Codice dell’Amministrazione Digitale. L’importanza di
questo tema ha trovato conferma in occasione della revisione del CAD operata dal
decreto legislativo 30 dicembre 2010, n.
235 che ha inserito un nuovo articolo, il 50bis, “Continuità operativa”.
Linee guida per il disaster recovery delle
Pubbliche amministrazioni -http://www.
digitpa.gov.
Piano Nazionale
per la Banda Larga
È del 29 dicembre scorso l’annuncio del
Ministero dello Sviluppo Economico, del
proseguimento Piano Nazionale per la
Banda Larga, che in questa quarta trance
metterà a disposizione 95 milioni di euro
attraverso la società Infratel-Invitalia per la
realizzazione di un’infrastruttura a banda
larga nei territori a digital divide di Sicilia,
Basilicata, Campania, Molise, Lazio, Marche, Toscana, Sardegna e Veneto.
Forum Pa 2012
Il tema del prossimo FORUM PA 2012 (
Fiera di Roma,15-18 maggio) sarà l’OPEN
GOVERNMENT
in quanto considerata come strada obbligata per la PA del futuro, capace di promuovere innovazione e speranza a cittadini e imprese. In questo contesto di “innovazione necessaria” FORUM PA si propone come luogo della divulgazione e
messa a sistema delle esperienze italiane
di Open Government, come catalizzato-
re di nuove alleanze, come stimolo culturale, lobbistico e operativo per rimuovere
gli ostacoli e le chiusure normative, organizzative e tecnologiche che si oppongono ad una PA realmente aperta.
La convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti
delle persone con disabilità
L’Italia ha ratificato La convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilità
La capacità di risposta ai bisogni delle persone disabili è uno degli indicatori principali di un Welfare moderno, maggiormente
inclusivo, equo ed efficiente e l’Italia ha
fatto un passo avanti decisivo in tale direzione.
La Convenzione rappresenta pertanto uno
strumento condiviso dalla comunità internazionale che segna valori e obiettivi per
ampliare il grado di inclusione sociale delle persone disabili.
La persona al centro, lo sviluppo integrale di ciascuna persona: è questa la stella
polare per riconoscere e promuovere il valore infinito della persona per il solo fatto
che esista, così come è.
“Gli Stati Parti riaffermano che il diritto alla vita è connaturato alla persona umana
ed adottano tutte le misure necessarie a
garantire l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità
(…)”,art.10.
Il concetto di disabilità non indica più un
assoluto della persona come in passato ma
riguarda il rapporto tra la persona e il suo
ambiente di riferimento. Educazione e lavoro sono due ambiti particolari cui la Convenzione fa riferimento invitando a un impegno preciso istituzioni e società civile.
Come per ogni persona, il percorso di istruzione e formazione e l’esperienza lavorativa rappresentano momenti essenziali anche per la vita di una persona disabile. E’
necessario pertanto sviluppare percorsi,
servizi e tecnologie nuove che permettano
di rispondere adeguatamente a tali necessità.
Nessuna legge o convenzione può però
sostituire la responsabilità dei singoli e ciascuno di noi è chiamato, su questo tema,
a una responsabilità grande.
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