Omelia dell’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti pronunciata durante la solenne celebrazione eucaristica della festa di san Costanzo, vescovo e martire, patrono della città e dell’Archidiocesi (martedì 29 gennaio 2013, cattedrale di San Lorenzo) “Cercherò le mie pecore, dice il Signore e farò sorgere un pastore che le conduca al pascolo”. Così aveva detto il Signore al profeta Ezechiele e Egli fu fedele con Israele, ma lo è stato anche per la nostra Chiesa, suscitando il santo vescovo e martire Costanzo: l’eroe della cristianità perugina, l’effettivo fondatore della nostra Chiesa secondo il concorde giudizio di molti studiosi. Carissimi fratelli e sorelle, Costanzo, con la predicazione e il martirio, portò i nostri padri alla conoscenza di Cristo e fece nascere, fecondata dal suo sangue, questa Chiesa che ancor oggi continua ad annunciare Cristo e a proclamare le meraviglie di Dio. Egli fu autentico annunciatore del Vangelo, portando il lieto annuncio della salvezza, fasciando le piaghe dei cuori spezzati e proclamando la libertà degli schiavi. Rimase, indomito, nell’amore di Cristo e, come Cristo donò la sua vita per i suoi amici, ed ha maturato frutti di santità, che giungono fino a noi. Il suo martirio fu denso di torture e di eventi straordinari, che sottolineano la singolarità della sua vita e della sua testimonianza diffuse per tutta l’Umbria. Ho più volte affermato che, sulla testimonianza dei nostri Santi Patroni, Costanzo ed Ercolano, e sulla fede dei primi cristiani di Perugia - spesso misurata con il sangue - si fonda ancora oggi saldamente la nostra Chiesa e la nostra fede. E sebbene i tempi attuali siano così diversi da quelli nei quali il nostro patrono si spendeva per la diffusione del Vangelo e per l’edificazione di una solida e fervente comunità cristiana, anche la nostra fede è messa alla prova, ed il nostro gregge è minacciato dai lupi. I falsi idoli, che ispiravano l’ostilità dei pagani verso i cristiani si ripresentano oggi nell’“indifferenza” che abita spesso la nostra società, nella diffusione di modelli di vita contrari al Vangelo e nel manifestarsi di comportamenti che offendono la dignità e la sacralità della vita. Non posso non pensare ai drammi di ragazze e donne che arrivano da noi, col miraggio di un avvenire migliore, e che, invece, vengono avviate alla prostituzione. Dobbiamo dar atto alle Forze dell’Ordine, di tanti loro positivi interventi, ma questo non può bastare a sradicare una piaga solidale, che annulla la dignità della persona e la riduce a puro oggetto di rudimentale piacere. Certo, va condannato con forza lo sfruttamento a fini sessuali delle persone (in particolare quando si fa leva sulla miseria, sul ricatto e sulla violenza), ma va deplorato con altrettanta determinazione una cultura edonistica che si nutre di un vero e proprio commercio dei corpi. Purtroppo, l’ho detto tante volte e lo ripeto, viviamo in una società che tende a banalizzare l’esperienza dell’amore della sessualità, che sono dono di Dio, per esaltare gli aspetti effimeri della vita oscurandone così i valori fondamentali. Tornando a san Costanzo, va ricordato anche il senso di giustizia che guidava le sue azioni. Per questo fu anch’egli, come Cristo, il pastore buono delle pecore. Non cessò di difendere il gregge che Cristo gli aveva affidato, offrì la sua vita per le pecore, anche per quelle lontane, e le condusse tutte sui pascoli erbosi e alle acque tranquille, cantate dal re Davide nel salmo 22. Costanzo, pastore buono, sia l’antidoto alla nostra indifferenza. “Mi sta a cuore” ripeteva spesso don Lorenzo Milani ai suoi ragazzi di Barbiana. Anche a noi deve stare a cuore l’altro sia vicino oppure lontano. Anche a noi devono stare a cuore le sorti del mondo, un mondo che continua ad essere funestato da scontri più o meno dimenticati, ma che sono vere e proprie guerre. Dietro ai sommovimenti avvenuti di recente nel Nord Africa, emergono inquietanti tentativi di discriminazione e in troppi Paesi ai cristiani non è consentito alcun segno di appartenenza religiosa. Gli esperti parlano di oltre centomila cristiani delle varie confessioni (cattolici, ortodossi, evangelici) uccisi nel solo 2012. Una cifra spaventosa che non può non lasciare indifferente nessuno. Quanti, come san Costanzo, muoiono e soffrono per Cristo e lo fanno anche per noi, e noi li sentiamo nostri fratelli nonostante qualsiasi distanza o diversa appartenenza di razza e cultura. Se le nostre parrocchie tenessero viva, anzi, alimentassero una sistematica memoria dei fratelli che nel mondo sono perseguitati e soffrono per Cristo, anche la locale vitalità della fede, ne sarebbe rimotivata. Fratelli e sorelle, mi auguro che i semi di fede e di speranza incarnati nella vita di san Costanzo possano fruttificare anche nel cammino della nostra comunità diocesana, durante questo Anno della Fede. Le nostre comuni radici cristiane possano aiutarci a rimotivarci. Nella messa di mezzanotte del 24 dicembre 2012, Papa Benedetto XVI si è posto questa domanda: “Abbiamo veramente posto per Dio, quando egli cerca di entrare in noi? Abbiamo tempo e spazio per lui? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora di più in profondità. Dio ha veramente un posto nel nostro pensiero?”. Ho parlato di semi di speranza: affidiamoli, questi semi, alla protezione di san Costanzo. Con il suo esempio aiuti tutti i sacerdoti in servizio alla nostra Chiesa, perché siano modelli di fede per il gregge loro affidato. Con la sua intercessione egli ottenga che Cristo buon Pastore vegli sul suo gregge, parli ai cuori delle pecore sperdute e smarrite, sani quelle ferite e malate, confermi quelle sane e forti. E tutti coloro che hanno responsabilità istituzionali nel governo della città e della nostra terra, abbiano la consapevolezza che: “Dire Costanzo significa dire la nostra identità di popolo di civitas e di ecclesie, unite da lui in una naturale simbiosi. Amen. + Gualtiero Bassetti arcivescovo metropolita
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