Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 26 - 3 luglio 2014 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale Trasformare il proletariato in classe Ricordate il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, che parla di trasformazione del proletariato in classe mediante il progressivo sviluppo non soltanto della sua unità, ma anche della sua coscienza. (Lenin, “Imparate dai nemici”, 18 novembre1905, Opere complete, Editori Riuniti, vol. 10, p. 50) Rinnovando la sua fiducia a Renzi Marchionne: Spero che il mio modello sia adottato dalla “nuova Italia” e dalla “nuova Europa” I passi fatti da Renzi vanno nella direzione giusta Minaccia chi sciopera: “Macchiate l’immagine dell’Italia” PAG. 2 STUDIARE, CAPIRE, AGIRE PAG. 5 Inchiesta di Save the Children 260mila schiavi dai 7 ai 15 anni in Italia PAG. 2 Sciopero generale nazionale dei dipendenti pubblici indetto dall’USB Migliaia in piazza per dire No alla controriforma della pubblica amministrazione PAG. 2 Il consiglio dei ministri accelera il processo di privatizzazioni Il governo Renzi svende Poste e Enav Allarme del Censis: amianto e muri che cadono Il 60% delle scuole non sono sicure inadeguato e parolaio il piano di Renzi PAG. 6 PAG. 5 Una messinscena di Renzi Via i segreti sulle stragi? Siamo proprio sicuri? Aprire gli archivi del Quirinale e di tutti gli apparati civili e miliare dello stato PAG. 8 Bersani: “Il percorso di avvicinamento tra SEL e PD è maturo”. Delrio: “Chi vuole entrare nel PD lo faccia” Sel si spacca sugli 80 euro Ma la crisi del partito e’ piu’ profonda Migliore, capo dei filo PD, si dimette da capogruppo dei deputati del partito. Già due deputati di SEL sono passati al PD I falsi comunisti di un tempo alla fine si autosmascherano PAG. 4 Corrispondenza delle masse Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico” Le inadempienze del sindaco di Catania Enzo Bianco (PD) Da un simpatizzante della Cellula “Stalin della provincia di Catania del PMLI PAG. 11 Il controsemestre popolare e di lotta Iniziativa lodevole e utile, piattaforma condivisibile. Ma l’UE imperialista va distrutta e il governo Renzi va abbattuto PAG. 3 Elezioni europee e amministrative Analisi del voto in Mugello e a Gabicce Mare PAG. 11 2 il bolscevico / interni N. 26 - 3 luglio 2014 Sciopero generale nazionale dei dipendenti pubblici indetto dall’USB Migliaia in piazza per dire No alla controriforma della pubblica amministrazione Per dire il proprio No alla controriforma della pubblicazione amministrazione (P.A.) presentata dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, migliaia di lavoratrici e lavoratori pubblici si sono riversati nelle piazze di 13 città della penisola con manifestazioni regionali per aderire allo sciopero generale nazionale di 24 ore indetto dall’Unione sindacale di base (USB) per il 19 giugno Alte le adesioni negli uffici pubblici di Agenzie Fiscali, Enti Locali, Ministeri, Parastato (tra cui, Inps, Inail, Aci, Cri), Presidenza del Consiglio, Ricerca, Scuola, Università, Vigili del Fuoco, operatori della Sanità, con una consistente rappresentanza dell’Istituto Superiore di Sanità recentemente commissariato. La fortissima presenza in piazza dei precari dimostra come essi abbiano ben compreso che, al di là dei proclami, la “riforma” riserva loro concrete prospettive di licenziamento senza nessuna possibilità di stabilizzazione. Cortei a Roma, Milano, Geno- Inchiesta di Save the Children Sono drammatici i dati sullo sfruttamento lavorativo dei minori in Italia presentati in occasione della giornata mondiale contro il lavoro minorile da Save the Children. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione non governativa, nel nostro Paese viene costretto a lavorare, nell’età compresa tra i 7 e i 15 anni, un minore su 20, ossia 260mila, corrispondenti al 7% della popolazione di questa fascia di età. Di essi il 73% è di origine italiana, mentre il 27% è costituito da ragazzi e bambini stranieri, soprattutto di origine rumena, albanese o maghrebina. Il 66% dei 260mila ragazzi ha effettivamente lavorato prima va, Napoli, Catanzaro, Torino, Palermo, Firenze, Bari, Potenza, Bologna, Venezia e Cagliari, contro la riforma della Pubblica Amministrazione, la mobilità selvaggia, l’attacco ai diritti sindacali e per la riapertura dei contratti economici, la stabilizzazione dei precari, la reinternalizzazione dei servizi e del personale, “per una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini e non delle imprese”, scrive l’Usb. Una risposta forte di lotta contro i pesantissimi e sanguinosi provvedimenti, presentati ipocritamente dalla ministra Madia come lo “svecchiamento” necessario nella P. A. e il “toccasana” della sburocratizzazione: Ma niente di tutto questo anzi, una controriforma piduista e neofascista che attacca i lavoratori pubblici e i sindacati. Di fatto si tratta di un vero e proprio smantellamento dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione, i settori dove Renzi e Padoan, appena varato il Def annunciarono di recuperare “circa 10 miliardi 19 giugno 2014. Una delle 13 manifestazioni regionali organizzate dalla USB contro la riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi. Qui siamo a Bologna. Sullo striscione, oltre a Renzi, c’è la ministra Madia l’anno” con una “riduzione permanente della spesa pubblica”. A Roma circa 5.000 manifestanti hanno raggiunto in corteo il ministero della Funzione Pubblica. “Giù le mani dal lavoro e dai servizi pubblici” era lo striscione di apertura. In piazza anche “I precari di Casa Renzi”, lavoratori della presidenza del Consiglio in presidio venerdì scorso davanti a Montecitorio. A Genova: “Se Renzi è la risposta allora la domanda è sbagliata”. Dietro questo striscione i lavoratori delle partecipate, delle cooperative e dei servizi in appalto hanno manifestato con un corteo che ha attraversato le vie del centro cittadino per raggiungere la sede della Regione in Piazza De Ferrari. Presenti anche delegazioni di lavoratori di La Spezia, Savona e Imperia, e delle aziende partecipate genovesi. Oltre mille a Milano, a piedi e in bicicletta, hanno fatto tappa nei punti nevralgici della città (dalla Croce Rossa alla sede dell’Expo), in particolare strutture sanitarie dove si registrano tagli al personale e attacchi ai diritti di lavoratori e lavoratrici, bloccando infine, la stazione ferroviaria Cadorna. “Dopo l’occupazione del Pirellone dello scorso 14 maggio era necessario dare un altro segnale forte e dire basta al blocco dei contratti che ormai va avanti dal 2009”. Circa mille anche a Bologna, dove ha sfilato “la Rabbia Giusta” dei lavoratori contro i pesantissimi tagli ai servizi, ai posti di lavoro e alle condizioni di vita dei pubblici dipendenti; altrettanti in corteo a Napoli, confluiti poi sotto la Prefettura. Al contrario di quanto affermato dal Ministro Madia nel Def 2014 si legge chiaramente che la parte economica dei contratti resterà bloccata fino al 2020. A Bari è stato allestito il “treno della protesta”, che in un tour immaginario tra “i ruderi dello stato sociale”, ha raggiunto diversi edifici pubblici (Inps, Inail, Rai, Presidenza della Regione). Numerosi i lavoratori uniti nella lotta alla popolazione. A Catanzaro, occupati gli uffici del dipartimento Controlli Amministrativi della Regione Calabria. Un centinaio di lavoratori si è dato appuntamento per dare vita ad un presidio itinerante con volantinaggio. Affollate manifestazioni anche a Venezia, con corteo nelle calli presso la sede della Regione Veneto, ed a Torino, Firenze, Palermo e Cagliari. Una giornata di lotta che, secondo l’Usb, ha gettato le basi per la prossima tappa del 28 giugno 2014, giorno della mobilitazione generale per l’avvio del Controsemestre Europeo. 260mila schiavi dai 7 ai 15 anni in Italia dei 16 anni, oltre il 40% ha avuto esperienze lavorative al di sotto dei 13 anni e l’11% ha svolto delle attività persino prima degli 11 anni. Il minimo comune denominatore di questo ingresso prematuro nel mondo del lavoro è la povertà delle loro famiglie: il 60% dei minori inizia a lavorare per affrontare le spese che la famiglia di appartenenza non può sostenere, e il rimanente 40% lo fa per aiutare la propria famiglia che si trova comunque in difficoltà, il 60% dichiara di aver lavorato per altre persone mentre solo il 21% ha lavorato per i propri genitori e il 18% per dei familiari. Il settore economico dove lo sfruttamento lavorativo dei minori è più diffuso è quello della ristorazione (21%) dove nei bar, ristoranti, alberghi, pasticcerie e panifici non è infrequente trovare ragazzi dai 7 ai 15 anni, come anche nel settore del commercio (17%) dove i giovanissimi sono impiegati ai mercati generali o nella vendita ambulante, segue l’edilizia dove i ragazzi sono impiegati anche in attività assolutamente inadeguate per loro, come le mansioni di manovale, imbianchino o carpentiere, e diffuso è il lavoro minorile anche nel settore agricolo dove i giovanissimi fanno gli operai addetti alla raccolta e lavorano nel maneggio degli animali, spesso anche in condizioni di pericolo. Il 71% dei ragazzi intervistati ha dichiarato di aver lavorato quasi tutti i giorni in modo continuativo e il 43% per più di 7 ore di seguito al giorno, mentre il 52% ha lavorato di sera o di notte. Alla piaga di questa forma di schiavitù si aggiunge poi l’abbandono scolastico che spesso significa interrompere le scuole medie o, nei casi più gravi, le elementari e condannare questi ragazzi non solo all’ignoranza ma anche metterli a rischio di cadere, soprattutto in certe zone del meridione, tra le mani della criminalità organizzata. Due immagini dello sfruttamento dei minori in Italia Rinnovando la sua fiducia a Renzi Marchionne: Spero che il mio modello sia adottato dalla “nuova Italia” e dalla “nuova Europa” I passi fatti da Renzi vanno nella direzione giusta Minaccia chi sciopera: “Macchiate l’immagine dell’Italia” Elogi a Renzi e al suo governo, minacce agli operai che scioperano. Questo in estrema sintesi il succo delle ultime affermazioni dell’amministratore delegato della Fiat e del gruppo automobilistico FCA. Davanti alla platea veneziana della riunione del Consiglio per le relazioni Italia-Usa, Marchionne si è autoproclamato portatore di un nuovo modello economico-sociale per l’Italia e per l’Europa. Niente di nuovo, ovviamente, ma solo la riproposizione di quelle relazioni di stampo mussoliniano che ha instaurato nelle sue fabbriche, quel famigerato “modello Marchionne” fin da subito appoggiato dai sindacalisti crumiri Bonanni e Angeletti che quando lo accettarono lo giustificarono come transitorio e specifico per la realtà di Pomigliano e che invece, com’era prevedibile, è diventato un modello da seguire per tutti i padroni, e addirittura adesso Marchionne lo vorrebbe esportare all’intera Italia ed Europa. Un modello, tanto per rinfrescarsi la memoria, che si rifà direttamente alle relazioni industriali del ventennio fascista che preve- dono, oggi come allora, un sindacato corporativo che abbia come unico scopo quello di incanalare i lavoratori alla più completa subordinazione verso il proprio padrone in fabbrica, favorendo e collaborando così al loro stesso sfruttamento, con lo scopo di aiutare e sostenere la borghesia italiana e il suo Stato nella guerra economica ( ma all’occorrenza anche militare) con gli altri Paesi. Le organizzazioni che non sono d’accordo vengono espulse dall’azienda e alla prima occasione, anche i lavoratori che non si piegano ai diktat padronali. Lo stesso Ad rivela che la Fiat è uscita da Confindustria per “liberarsi dei rimasugli dei contratti nazionali”, per parlare direttamente con i “nostri” sindacati (quelli che dicono sempre sì) e ai lavoratori, evidentemente da una posizione di maggiore forza. Questa rottura - afferma senza modestia - ha creato un nuovo sistema di relazioni sindacali “che ci auguriamo possa servire da modello per una nuova Italia e per una nuova Europa”. E qui entra in scena il suo compare Renzi. Per Marchionne il Berlusconi democristiano del PD ha tutte le caratteristiche per portare avanti la sua “filosofia” nelle istituzioni italiane ed europee, grazie alle sue caratteristiche autoritarie e fasciste di “uomo forte che parla direttamente al popolo” come lui ai suoi operai. Dopo l’appoggio del presidente di Confindustria Squinzi, Renzi incassa anche quello di Marchionne, il che dovrebbe far riflettere quella parte di elettorato di sinistra che in buona fede ripone ancora fiducia nel presidente del Consiglio. Del resto i due sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda e alcuni piccoli screzi iniziali non hanno intaccato la loro attrazione reciproca. “Dell’articolo 18 me ne può fregà di meno”, “io sto con Marchionne” sono solo alcune eloquenti affermazioni di Renzi. “Bisogna appoggiare il governo Renzi”, “Renzi ha detto esattamente quello che volevo sentire”, gli ha fatto eco Marchionne. Tutt’altro tono invece quello usato nei confronti dei lavoratori della Maserati, da lui definiti “colleghi”. Chissà cosa avranno in comune chi si ammazza di lavoro e prende uno stipendio di poco Massa, 28 gennaio 2011. Manifestazione toscana per lo sciopero generale indetto dalla Fiom. Al centro il cartello del PMLI contro il nuovo Valletta Marchionne (foto Il Bolscevico) superiore a 1.000 euro con chi guadagna 6 milioni di euro all’anno? I lavoratori dello stabilimento di Grugliasco hanno avuto la colpa di aver osato scioperare contro i durissimi ritmi di produzione ma la contestazione organizzata dalla Fiom a suo dire è “incomprensibile, irrazionale e ingiustificata” e “non ha offerto dell’Italia l’immagine che - Marchionne e Renzi - vorrebbe- ro portare nel mondo, quella di un Paese serio e di grande valore”. Chiude la sua lettera cercando di mettere i lavoratori gli uni contro li altri e minacciando apertamente i promotori dello sciopero. Vergognoso è l’aggettivo più adatto per descrivere la risposta della Cisl che si è subito prostrata ai piedi del padrone respingendo le accuse poiché il sindacato di Bonanni, effettivamente, ha sempre detto sì alla Fiat ed è stata più esplicita di Marchionne accusando la Fiom di “comportamento irresponsabile”(sic). Più cauta la Uil, anch’essa pronta a obbedire al capo della Fiat ma a cui chiede dignità e rispetto, anche economico, verso i lavoratori. Insufficiente e sulla difensiva la reazione della Fiom, sia a livello aziendale e soprattutto per bocca di Landini. Nella sua lettera di risposta alle dure critiche di Marchionne agli ultimi scioperi in Maserati il segretario dei metalmeccanici non risponde per le rime e si spende soprattutto per far capire che la Fiom non è poi quel sindacato così intransigente come viene dipinto, ed è anzi propenso alla trattativa (nonostante l’atteggiamento di Marchionne). La sua lettera si chiude con una frase che non fa presagire niente di buono e che per certi versi riecheggia gli slogan di Marchionne e Renzi: “è necessario che si scriva una storia nuova. Vivere nel passato è un errore che nessuno può permettersi e, di sicuro, che la Fiom non vuole commettere”. contro la Ue imperialista / il bolscevico 3 N. 26 - 3 luglio 2014 Il controsemestre popolare e di lotta Iniziativa lodevole e utile, piattaforma condivisibile. Ma l’UE imperialista va distrutta e il governo Renzi va abbattuto Sulla spinta dell’assemblea nazionale tenutasi il 23 aprile scorso, forze dell’opposizione di sinistra nella CGIL, del “sindacalismo di base”, movimenti sociali e reti di lotta, ossia una larga fetta delle forze politiche e sociali che hanno animato le piazze negli ultimi mesi, hanno lanciato il controsemestre popolare e di lotta in contrapposizione al semestre italiano di presidenza da parte di Renzi dell’Unione europea, che partirà il 1° luglio. L’obiettivo dichiarato è mettere in campo “la contestazione nei confronti dell’Unione europea fondata sui trattati neoliberisti, da Maastricht al Fiscal compact, e sulle politiche di austerità” e “un’alternativa politica, sociale ed economica ai Trattati dell’Unione europea”. Fra i promotori figurano CGIL/ Il sindacato è un’altra cosa, USB, Cobas, Rete 28 aprile, Clash City Workers, rete “Noi saremo tutto”, studenti di “Noi restiamo”, PRC, PdCI, PCL, Ross@-Movimento anticapitalista e libertario e altri. Il PMLI ha aderito sulla base della sua linea contro l’UE imperialista e il governo del Berlusconi demo- I numeri di Renzi non sono credibili, le sue previsioni di “ripresa” economica quantomeno “ottimistiche”, ed entro il 2014 all’Italia servirà una manovra aggiuntiva da 9 miliardi per rientrare nei parametri del patto di stabilità. Ma per ora la bocciatura è sospesa per non disturbare il manovratore e non incoraggiare i “populismi”: è questo in sostanza il succo del giudizio espresso il 2 giugno dalla Commissione europea sul Documento di economia e finanza (Def), che ha individuato diversi punti deboli nelle previsioni macroeconomiche fornite dal governo Renzi. In particolare sulle previsioni di crescita del Pil (Prodotto interno lordo), che per il governo si dovrebbe attestare sullo 0,8% a fine anno, ma che Bruxelles ridimensiona a un più modesto 0,6%. Ma soprattutto il documento contesta le cifre sulla riduzione del debito, arrivato al 135% del Pil, prevista per quest’anno dello 0,1% dal governo, mentre per la Commissione dovrebbe salire almeno allo 0,7%. Per cui, sentenzia il documento: “l’Italia deve rafforzare le misure di bilancio per il 2014 visto lo scarto rispetto alla regola di riduzione del debito, e nel 2015 deve operare un so- cristiano Renzi. Ci voleva proprio! In un momento d’oro in cui la credibilità delle istituzioni capitaliste europee è ai minimi storici, come dimostra il 45,8% di astensionismo alle elezioni del 25 maggio, questa iniziativa è veramente lodevole e utile. La piattaforma rivendicativa è condivisibile e ricca di importanti rivendicazioni potenzialmente in grado di conquistarsi un largo sostegno di massa, a partire dai giovani. Si chiede, tra l’altro, “la fine immediata delle politiche di austerità e rigore”, “che l’Italia denunci unilateralmente il Fiscal compact e il MES” e che “venga cancellato il pareggio di bilancio”; la cancellazione della legge Fornero sulle pensioni e “tutte le leggi sulla precarietà”, un programma che blocchi licenziamenti, delocalizzazioni ed esternalizzazioni; lotta agli accordi tipo quello del 10 gennaio che strozza il diritto alla rappresentanza sul lavoro; combattere “le istituzioni, i poteri dell’UE e le varie politiche di austerità”; lottare contro “la politica di guerra e di riarmo”. Le proposte dei marxisti-leninisti Volendo partecipare attivamente alla costruzione di questo percorso, i marxisti-leninisti intendono dare il loro contributo al dibattito, in una normale dialettica di fronte unito. Come abbiamo sopra detto, la piattaforma è condivisibile ma ci sembra non chiara la strategia. Appare tutta interna alla UE e alle sue istituzioni, senza mettere in discussione la presenza dell’Italia in essa. Una questione di fondamentale importanza, che va discussa, altrimenti il rischio è di finire per esaurire la grande carica antimperialista, antistituzionale e antigovernativa dei movimenti col riformismo e l’elettoralismo europeisti. Se si vuole mettere in campo un’opposizione antiUE forte e radicale, che non si limiti a rivendicazioni riformiste a breve-medio termine ma che prenda di mira la causa che ha generato austerità, precarizzazione del lavoro, di- soccupazione e così via, l’obiettivo strategico non può che essere quello di distruggere l’UE imperialista e abbattere il governo Renzi. Non è quindi sufficiente la denuncia del Fiscal compact e del pareggio in bilancio, ma bisogna chiedere con forza l’uscita dell’Italia dall’UE. Coerentemente alle denunce de “l’Unione europea fondata sui trattati neoliberisti”. È necessario costruire l’opposizione di classe e di massa più vasta possibile, coinvolgendo la classe operaia e tutte le forze che animano le mobilitazioni di massa: lavoratori pubblici e privati, disoccupati, precari, studenti, pensionati, migranti, chi lotta per il diritto alla casa, NoTAV, NoMUOS, NoMOSE. Tutte queste forze dovrebbero unirsi per buttare giù il governo responsabile del Jobs act, del decreto Lupi sulla casa, dello stravolgimento neofascista e presidenzialista della Costituzione com’era nei piani della P2 di Gelli e Berlusconi. Ma è anche quanto di più forte e concreto si possa fare in Italia per colpire l’UE. Va insomma costruita una mobilitazione forte, unitaria e duratura, con ampio respiro e con una strategia chiaramente antimperialista e antigovernativa. La sua organizzazione deve essere fondata sulla democrazia diretta in modo che tutte le componenti e i singoli aderenti del controsemestre possano partecipare all’elaborazione e all’approvazione della linea politica, programmatica e organizzativa. Questo è l’unico modo perché la forza che si aggregherà durante il controsemestre possa continuare a non dare tregua al governo del grande capitale e della grande finanza nostrani e ai suoi patron imperialisti europei anche oltre il semestre di presidenza italiana. Solo così il controsemestre avrà un forte carattere anticapitalista, di cui parla nei suoi comunicati, nelle sue iniziative, fra i suoi aderenti. Sarebbe un’ottima occasione per tornare finalmente a discutere a livello di massa su come sconfiggere il capitalismo e con cosa sostituirlo. Questa è la madre di tutte le questioni, anche perché L’Ue chiede all’Italia più tagli, privatizzazioni, precarietà Renzi deve trovare 9 miliardi entro il 2014 stanziale rafforzamento della strategia di bilancio affinché il debito sia su un percorso di discesa sufficiente”. In altre parole per aggiustare i conti all’Italia serve un’altra manovra subito, da replicare magari anche nel 2015. Non è specificata l’entità, ma gli esperti la valutano di circa 9-10 miliardi. E questo solo come antipasto in attesa dell’entrata in funzione del micidiale “fiscal compact” per l’abbattimento strutturale del debito, che dal 2016 ci obbligherà, se il Pil non salirà almeno del 3%, a tagliare dal bilancio statale qualcosa come 50 miliardi l’anno per vent’anni. Sul rinvio del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016, fonda- Numero di telefono e fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo. mentale per Renzi per finanziare la mancia elettoralistica degli 80 euro, il documento non dice né si né no. Pare che fosse già inserita una durissima stroncatura scritta di pugno dal direttore generale del commissario economico Olli Rehn, cosa che avrebbe fatto crollare tutta l’impalcatura della manovra demagogica di Renzi, ma dopo un’estenuante trattativa telefonica notturna tra Roma e Bruxelles questo passo è stato cancellato dal documento. Così come è stata sospesa per il momento la procedura di infrazione che avrebbe reso obbligatoria la manovra aggiuntiva e commissariato l’Italia per i prossimi anni: il giudizio finale è stato pertanto rimandato al 15 novembre, quando l’Italia dovrà presentare la Legge di stabilità per il 2015. Graziato Renzi, stangate le masse Il motivo di questo trattamento “indulgente” nei confronti del governo Renzi è presto detto: “Per ora – ha confermato un alto funzionario di Bruxelles come riportato da la Repubblica – abbiamo usato un linguaggio duro ma attento, perché dopo le elezioni serve prudenza, il voto ha dimostrato che prolungare l’austerity oltre a deprimere l’economia allontana i cittadini dall’Europa e Renzi è stato il vero argine al populismo euroscettico”. Senza contare che in questo momento i voti di Renzi sono determinanti per eleggere il nuovo presidente della Commissione, e che per di più a luglio l’Italia assumerà la presidenza della Ue. Tutto ciò ha gasato non poco il Berlusconi democristiano, che lo interpreta come un via libera alla sua politica di “riforme”, come in effetti il documento ha fatto esaltando e chiedendo di rafforzare, per esempio, le misure di liberalizzazione del mercato del lavoro, quali il decreto Poletti, il Jobs Act e l’annunciata abolizione della Cig in deroga; mentre il ministro dell’Economia Padoan spande ottimismo assicurando che gli obiettivi di bilancio “saranno raggiunti senza ulteriori interventi”, ovvero che non sarà necessaria la manovra aggiuntiva da 9 miliardi. Ma le cose non stanno affatto così, perché se da una parte Bruxelles ha graziato Renzi, dall’altra il conto lo ha girato al popolo italiano, con un vero e proprio diktat in otto punti o “raccomandazioni” – sulla falsariga di quello imposto nel 2011 al governo Berlusconi e attuato dal governo Monti – che stabilisce per filo e per segno che cosa l’Italia dovrà fare o non fare di qui a fine anno per rientrare nei parametri. A parte le solite raccomandazioni ovvie sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, scendendo nel concreto si comincia con la richiesta di rafforzare e dettagliare più precisamente i tagli alla spesa pubblica previsti dalla Spending review, che prevede 4,5 miliardi nel 2014, 17 nel 2015 e 32 nel 2016, in cui sono compresi 2 miliardi di tagli alla spesa sanitaria. Su questo Bruxelles non si fida, e vuole la garanzia che i tagli siano certi e “strutturali”, ossia permanenti. Tagli, tasse e privatizzazioni Il documento della Commissione prosegue poi chiedendo di spostare la pressione fiscale dal lavoro (leggi le aziende) ai consumi, agli immobili e all’ambiente, è per salvare il capitalismo in crisi che UE, “troika” e governo Renzi (e predecessori) hanno imbastito la macelleria sociale in atto. Prima si riscopre l’estrema attualità e validità del socialismo, la società dei lavoratori con il proletariato al potere, meglio sarà per la lotta anticapitalista. Il secolo scorso, nonché gli ultimi vent’anni hanno dimostrato il fallimento di tutte le altre ricette riformiste e parlamentariste. I marxisti-leninisti sono pronti a entrare nelle strutture territoriali del controsemestre che si andranno a creare nell’ottica del lavoro di massa e di fronte unito, impegnandosi a collaborare per l’estensione e il successo delle battaglie e delle iniziative comuni, pur tenendo ferma la linea del PMLI sulla UE e sull’attuale governo italiano. Auguriamo pieno successo alla manifestazione del 28 giugno a Roma che inaugura il controsemestre popolare. Che sia il primo rintocco della campana a morto per il governo del Berlusconi democristiano Renzi. “nel rigoroso rispetto degli obiettivi di bilancio” (da cui, anche se non nominata espressamente, la manovra aggiuntiva da 9 miliardi). E di “assicurare il finanziamento per il 2015 della riduzione del cuneo fiscale (7,3 miliardi alle aziende, ndr), riesaminare le agevolazioni fiscali, adeguare le accise sul diesel a quelle sulla benzina, attuare la delega fiscale entro il marzo 2015”. Chiede inoltre la “revisione delle aliquote Iva ridotte”, la “revisione delle rendite catastali secondo i prezzi di mercato” ai fini della tassazione sulla casa, di “riorientare” la spesa sociale dagli anziani verso l’“attivazione” dei giovani (leggi nuovi tagli a previdenza e assistenza), e così via. Si parla anche di “aumentare le spese per l’istruzione”, ma scendendo nel concreto si chiede in pratica di pigiare l’acceleratore solo sui tagli al personale della scuola e ai relativi contratti di lavoro, attraverso anche la selezione degli insegnanti in base al “merito” e alla “produttività”, intensificando ed estendendo dappertutto i test Invalsi, ed esportando anche in Italia il modello tedesco della scuola al servizio della formazione professionale e dell’apprendistato. E infine si chiede di “portare a compimento l’ambizioso piano di privatizzazioni relativo al periodo 2014-2017 che prevede un risparmio di 0,7 punti l’anno” di Pil. Un piano, lo ricordiamo, che prevede la messa sul mercato delle più appetibili aziende pubbliche e dei beni immobili statali di maggior pregio, a cominciare dalla svendita già avviata di Enav e Poste italiane, per ben 12 miliardi in tre anni. 4 il bolscevico / falsi comunisti N. 26 - 3 luglio 2014 Bersani: “Il percorso di avvicinamento tra SEL e PD è maturo”. Delrio: “Chi vuole entrare nel PD lo faccia” Sel si spacca sugli 80 euro Ma la crisi del partito e’ piu’ profonda Migliore, capo dei filo PD, si dimette da capogruppo dei deputati del partito. Già due deputati di SEL sono passati al PD I falsi comunisti di un tempo alla fine si autosmascherano La spaccatura che covava da mesi all’interno di SEL si è materializzata il 18 giugno, dopo la votazione alla Camera sul decreto Irpef del governo su cui erano confluiti anche i voti dei deputati del partito di Vendola. La decisione di votare sì al provvedimento del governo contenente gli 80 euro di mancia elettorale ai lavoratori (ma anche la spending review che preannuncia altri tagli alla sanità, all’assistenza sociale e ai servizi), era stata presa la sera avanti in una concitata assemblea dei deputati di SEL a Montecitorio, con una maggioranza di 17 a 15, durante la quale per spingere con più forza verso il voto a favore del governo il capogruppo e leader della corrente filo Renzi, Gennaro Migliore (che quella stessa sera si era visto a cena col vice di Renzi, Guerini), aveva messo sul piatto le sue dimissioni. Dimissioni poi accettate da Vendola, che inutilmente si era precipitato a Montecitorio per convincere Migliore ad accettare il compromesso di un voto di astensione che avrebbe permesso di salvare capra e cavoli, dato che oltretutto alla Camera, vista la maggioranza schiacciante che ha il PD, i voti di SEL non erano determinanti per far passare il provvedimento. Ma Migliore e i suoi seguaci, ormai impazienti di salire sul carro di Renzi, dove per la gran ressa – come qualcuno ha malignamente osservato – sono rimasti “solo posti in piedi”, hanno colto l’occasione per rompere gli indugi e fare il gran salto in braccio al PD. Insieme a Migliore hanno dato le dimissioni altri tre deputati, il vice presidente vicario Titti Di Salvo, il segretario Ileana Piazzoni, il vicepresidente del Copasir Claudio Fava, mentre nei giorni precedenti se ne erano già andati i deputati Mi- chele Ragosta e Ferdinando Aiello. Ma altri parlamentari di SEL, di cui almeno sei alla Camera e due al Senato, hanno già annunciato di voler lasciare i rispettivi gruppi nei prossimi giorni. Le ipotesi che circolano sono che tutti loro potrebbero confluire temporaneamente in un gruppo misto insieme ai socialisti di Nencini e ai transfughi di Scelta civica, oppure andare subito a confluire nel PD di Renzi: dove il suo braccio destro Delrio ha già spalancato loro le porte. Due fronti diversamente opportunisti La spaccatura covava da mesi, almeno da quando per le europee nel partito era prevalsa la linea dell’adesione alla lista Tsipras, che la corrente favorevole all’alleanza col PD (del resto pienamente confermata per quanto riguarda le contemporanee amministrative) aveva mal digerito, ma comunque sopportato più o meno in silenzio fino alla data del voto. Ma immediatamente dopo, e ancor più sotto l’effetto del 40,8% (sui voti validi) di Renzi, è iniziato il rompete le righe, con la formazione di due schieramenti contrapposti (che poi tanto contrapposti non sono). Il primo era quello filo PD di Migliore, del tesoriere Sergio Boccadutri, Ileana Piazzoni, Claudio Fava e un’altra decina di deputati che, come andava teorizzando Migliore, in nome del “terremoto che ha sconvolto la geografia politica italiana ed europea”, era favorevole ad aprire subito una trattativa col PD di Renzi per la formazione di un contenitore unico, o “soggetto unitario di sinistra”, per dare ali alla vocazione di SEL come “sinistra di governo”, valutando di vol- ta in volta la collocazione politica e i provvedimenti da votare, partecipando al processo delle “riforme” costituzionali, entrando nel PSE di Schulz e Renzi, chiudendo con la vocazione di “sinistra minoritaria” di chi vorrebbe continuare nella strada della lista Tsipras, e così via. Il secondo, capeggiato da Nicola Fratoianni, affiancato da Massimiliano Smeriglio, Loredana De Petris, Paolo Cento e Fabio Mussi, era ed è invece favorevole a continuare l’esperienza della lista Tsipras trasformandola in una “costituente”, per la quale spinge anche Rifondazione, per ricostruire una “sinistra unitaria” collocata all’opposizione – beninteso di tipo “responsabile” - del governo Renzi. Continuando però la collaborazione col PD nelle giunte locali e regionali e a livello europeo. Continuando in altre parole “dall’esterno” a coprire a sinistra il PD e a fargli all’occorrenza da ruota di scorta parlamentare; mentre la destra “migliorista” proponeva di sciogliersi subito nel PD, ritenendo da una parte ormai inutile continuare a coprirlo a sinistra, avendo ora Renzi una maggioranza schiacciante, e dall’altra temendo che una “sinistra minoritaria” sarebbe cancellata dal parlamento alle prossime politiche, come già accaduto alla “sinistra arcobaleno”. Gli inutili contorcimenti dell’ “anguilla” Vendola In mezzo a queste due posizioni diversamente opportuniste si è barcamenato incessantemente Vendola, cercando disperatamente di tenere insieme i cocci di un partito ormai in frantumi e in preda alla guerra per bande, sotto l’urto dello sfondamento elettorale del PD e il risucchio irresistibile di Renzi (“bisogna stare nel gorgo”, era infatti lo slogan di Migliore che non vedeva l’ora di farsene risucchiare). Il governatore della Puglia le ha tentate tutte per nascondere lo sporco sotto il tappeto e rimandare la resa dei conti: è arrivato perfino a “narrare” per settimane, ricorrendo a tutta la sua retorica barocca e farlocca, che lo scontro interno a SEL non era “una minaccia ma una ricchezza” (“piuttosto che reprimere ci piace discutere”, si vantava coi giornalisti), inventandosi le formule più assurde e ipocrite per tenere insieme la vocazione “di opposizione” e quella “di governo” di SEL: come la formula bizantina che “una sinistra di governo non è una sinistra nel governo”; quando poi il sì al decreto Irpef lo aveva propiziato proprio lui dicendo, davanti alla Direzione del partito del 30 maggio conclusasi con un nulla di fatto: “Noi non abbiamo detto che gli 80 euro sono una mancia per il voto di scambio. Vedremo, se è ottimo lo votiamo, se è pessimo lo bocciamo, se è possibile migliorarlo non ci tireremo indietro, come sempre”. Del resto, non c’era già stato il precedente del sì al rinvio del pareggio di bilancio al 2016, quando il 17 aprile i cinque senatori di SEL avevano contribuito con i due ex M5S a far passare per il rotto della cuffia la risoluzione del governo? Quanto a Renzi, il narcisista trotzkista neoliberale aveva detto: “Dico al mio mondo che questo è il momento in cui bisogna sfidare in positivo Renzi”. Lui è “oggi il leader europeo più forte”, il suo rapporto con il Paese “è in pieno idillio”, ora “è nelle condizioni di battere il club dell’austerity. Bisogna incoraggiarlo”. Nella successiva Assemblea nazionale del 14 giugno, pur di evitare la spaccatura, aveva fatto un’ulteriore concessione ai filo PD liquidando la “costituente di sinistra”, rinviando tutto ad una futuribile “conferenza programmatica” in autunno, e aprendo ancor più audacemente a Renzi: “Caro Matteo, hai un ruolo e una forza che non ha eguali in Europa, usali”. E si era detto pronto anche ad entrare nel governo se il Berlusconi democristiano si liberasse “della destra impresentabile e delle politiche dell’austerity”. Salvo poi mascherare il suo sbracamento a destra con le solite metafore pseudo poetiche, come quella che SEL vuole essere “un’anguilla” per sgusciare da tutte le parti e “sfuggire alla cattura di chi vuole portarci indietro o ci vuole portare fuori strada”. Una fine inevitabile scritta fin dall’inizio Ma per quanti contorcimenti anguilleschi abbia tentato di fare per evitare di prendere una posizione chiara e netta e salvare la “pace” interna, le cose sono precipitate suo malgrado quando si è arrivati come si è detto al voto sul decreto Irpef, in cui i filo PD hanno deciso di rompere la fragile tregua temendo di perdere gli ultimi strapuntini rimasti ancora liberi sul carro trionfale di Renzi. Non che Vendola, e nemmeno lo stesso Fratoianni, non stessero pensando e lavorando alla stessa prospettiva, ma non subito, e non attraverso spaccature e scissioni. Anch’essi vogliono rientrare nella maggioranza, e magari nel governo, e non escludono neanche di sciogliersi nel PD, ma vorrebbero farlo con i dovuti tempi e portandoci dentro il partito tutto intero, per avere più potere contrat- tuale e più poltrone, nell’illusione di trattare da pari a pari con Renzi. Esattamente come ha suggerito loro Bersani, quando ha detto che “il percorso di avvicinamento tra SEL e PD è maturo, mi auguro che avvenga in modo ordinato e politico”, senza “improvvisazioni, personalismi, opportunismi”. Mentre invece il comportamento di Migliore e soci risponde più al tipo di invito fatto da Delrio, a mettersi subito a disposizione servile della banda vincente di Renzi, sperando di raccattare qualche avanzo della sua tavola: “Sono benvenuti – ha detto infatti degli scissionisti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio – non andiamo a caccia di parlamentari ma abbiamo bisogno di un esecutivo forte. Chi vuole entrare nel PD lo faccia, è cambiato il partito, si è concretizzato il partito leggero, è diventato una casa aperta”. In un modo o nell’altro, come il PMLI ha sempre denunciato alle masse, il destino di questo partito di falsi comunisti di un tempo, era già segnato all’atto della sua nascita da una scissione a destra di Rifondazione trotzkista. E prima ancora fin dalla nascita di quest’ultima attraverso una scissione a sinistra del PCI all’atto della sua liquidazione e trasformazione in PDS. Scissioni pensate entrambe solo per recitare meglio il ruolo di copertura a sinistra del PDS, poi DS e poi PD liberale, e per tenere ingabbiati i sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo nel riformismo, nell’elettoralismo e nel parlamentarismo borghesi. Per poi, arrivati oggi al capolinea, autosmascherarsi e rientrare nel PD avendo terminata la loro sporca funzione di imbroglioni e controrivoluzionari, servi del capitalismo. Parole d’ordine del PMLI per la manifestazione nazionale del 28 giugno 2014 a Roma 1) Governo della Ue / governo delle banche / fa politiche / lacrime e sangue 2) Ma quale Ue / “pacifista” / è guerrafondaia / è imperialista 3) No all’imperialismo / No all’interventismo 8) Abbattiamo / il regime neofascista / per l’Italia unita / rossa e socialista 15) Per il lavoro / e l’aumento salariale / sciopero / sciopero / generale 9) Italia / unita / rossa e socialista 16) Tariffe e prezzi / da bloccare / salari e pensioni / da aumentare 10)Il Jobs Act / è da affossare / governo Renzi / te ne devi andare 17) L’art. 18 / che hanno cancellato / con la lotta / va ripristinato 4) Contro la Ue / imperialista / Europa dei popoli e socialista 11) Il futuro dei giovani / che Renzi ha preparato / è precariato / è disoccupato 18) Contratto nazionale / da preservare / mai lo faremo / cancellare 5) La lotta di classe / è nostro dovere / la classe operaia / al potere 12)Ai giovani / va garantito / lavoro stabile / ben retribuito 19)Ticket / tagli / facciamola finita / sanità pubblica / gratuita 6) Tutti uniti / contro il capitalismo / tutti uniti / per il socialismo 13)Contratti a termine / apprendistato / abroghiamo / il precariato 20) Spese inutili / da tagliare / missioni di guerra / da cancellare 7) Il socialismo / spazza come il vento / è la via maestra / del vero cambiamento 14) Né flessibile / né precario / lavoro stabile / a pieno salario 21) No Tav / No Mose / No Expo / No Muos / No F-35 / No Dal Molin BELLA CIAO Questa mattina, mi sono alzato, o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao questa mattina mi sono alzato e ho trovato l’invasor O partigiano portami via o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao o partigiano portami via che mi sento di morir E se io muoio da partigiano o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao e se io muoio da partigiano tu mi devi seppellir E seppellire lassù in montagna o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao e seppellire lassù in montagna sotto l’ombra di un bel fior E le genti che passeranno o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao e le genti che passeranno e diranno: “o che bel fior” È questo il fiore del partigiano o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao è questo il fiore del partigiano morto per la libertà Ed era rossa la sua bandiera o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao ed era rossa la sua bandiera come rosso era il suo cuor. interni / il bolscevico 5 N. 26 - 3 luglio 2014 STUDIARE, CAPIRE, AGIRE Noi marxisti-leninisti dobbiamo studiare in base ai problemi concreti da risolvere, in maniera mirata, con metodo, tenendo presente i consigli, le indicazioni e le priorità del Partito. Dobbiamo studiare individualmente e collettivamente, aiutandoci reciprocamente, stimolando i più pigri nello studio, esigendo che la nostra istanza faccia delle riunioni periodiche di studio. Ma non è sufficiente studiare, bisogna anche capire ciò che si studia. Capire vuol dire riflettere e trarre i dovuti insegnamenti dallo studio. Quando non si capiscono certe cose è perché non si presta sufficiente attenzione a quello che si legge, o perché è più forte l’influenza che riceviamo dalla propaganda borghese. Vedi, per esempio, l’astensionismo; per noi è un voto, mentre per la borghesia, il suo governo, le sue istituzioni, i suoi partiti e i suoi media è un “non voto”, definizione usata superficialmente e in buona fede anche da qualche compagno. Se non comprendiamo noi la linea politica e le parole d'ordine del Partito, come possiamo pensare che le capiscano senza la nostra spiegazione il proletariato e le ragazze e i ragazzi che si battono per un futuro migliore? Se non siamo ferrati, non riusciremo mai a convincerli della giustezza delle nostre posizioni, ad elevare la loro coscienza politica e a stringerli al PMLI. Una volta che abbiamo studiato e capito quello che ci dice il Partito, dobbiamo senza indugio agire per mettere in pratica ciò che abbiamo imparato. In questo ultimo periodo il Partito insiste su questi due punti: radicarsi e fare comprendere al proletariato che deve acquisire la coscienza di essere una classe per sé e che solo col socialismo può avere il potere politico. Fino a che punto abbiamo capito che bisogna andare a fondo su questi temi e cosa stiamo facendo in concreto per metterli al centro del nostro lavoro politico? Forse occorrerà studiare ancora una volta, e in maniera più approfondita, il Rapporto che recentemente il Segretario generale del Partito, compagno Giovanni Scuderi, ha tenuto al Comitato centrale. Fondamentale per lavorare con successo e dare al Partito un corpo da Gigante Rosso. Redditi fermi agli anni ’80 La Tasi sarà più cara dell’IMU Il reddito delle famiglie italiane torna ai livelli degli anni Ottanta. È questo il primo e più crudo dato di un’indagine condotta da Nomisma, “Rapporto sulla finanza immobiliare”, in base a delle rilevazioni realizzate tra il 7 ed il 21 maggio 2014. Non solo, nel 2013 il potere d’acquisto pro capite delle famiglie è diminuito dell’1,3% rispetto all’anno precedente, quindi se ne deduce che esiste un calo progressivo e continuo che, partendo dal 2007, anno precrisi, raggiunge quasi il 13% in 6 anni. Per cercare di reagire alla contrazione del potere d’acquisto le famiglie italiane hanno iniziato ad intaccare i risparmi e, come conse- guenza, si registra una contrazione della capacità di risparmio. Le famiglie hanno dovuto far ricorso al cosiddetto “tesoretto” addirittura per far fronte alle spese ordinarie. L’emergenza reddito si fa particolarmente grave per quei 3,1 milioni di famiglie italiane che possono contare unicamente su un lavoro e la protezione della rete familiare allargata. Si tratta soprattutto di famiglie di giovani adulti (35-44 anni) con redditi fino a un tetto di 1.200 euro al mese che aspirerebbero all’acquisto di un’abitazione, ma il loro reddito e la loro condizione lavorativa, spesso precaria, non lo consente. In 12 mesi si sono dimezzati gli aspiranti acquirenti della pri- ma casa, che passano da 730.000 a poco più di 324.000, rispetto a un bacino potenziale di 1 milione di nuclei. Le giovani famiglie che hanno già un mutuo si trovano a sperimentare una condizione di notevole difficoltà e la percentuale di chi prevede un ritardo nel pagamento della rata passa dal 6,9% del 2013 al 10,5% del 2014. Del resto le politiche governative sull’acquisto della casa non aiutano i redditi più bassi, da lavoro dipendente, sempre più tartassati da ingiusti balzelli. La TASI, di recente imposizione, risultata più cara dell’IMU, secondo lo studio del Centro Ricerche Economiche Educazione e Formazione della Federconsu- matori che ha preso in considerazione 105 città capoluogo di provincia italiane. Infatti, mentre con l’IMU erano fissate per legge delle detrazioni fisse, con la TASI 2014, invece è più ampia la discrezionalità dei Comuni che avranno mano libera nel fissare le aliquote e le eventuali detrazioni. Adusbef e Federconsumatori fanno notare che le detrazioni, laddove applicate, saranno inferiori a quelle che si pagavano precedentemente con l’IMU e che la nuova tassa si attesterà nella media nazionale a 231 euro. Inoltre, spiegano le due associazioni, la TASI dovrà essere pagata anche da 5 milioni di famiglie che prima, grazie alle detrazioni sulla prima casa e basse rendite ca- tastali, non pagavano l’IMU Sono dati che confermano come, nonostante i governi continuino a stangare le masse popolari e a giustificare le ondate di tagli e tasse, agitando il miraggio di una ripresa imminente, la morsa della crisi non accenni ad allentarsi. Sono dati che, ben lungi da dimostrare una ripresa, dimostrano come le politiche governative, per ultimo quelle del governo del Berlusconi democristiano Renzi, siamo recessive, creino disoccupazione e miseria, tolgano potere d’acquisto, inaspriscano le disparità sociali e territoriali, nel tentativo di salvaguardare i comitati d’affari delle borghesie nazionali e del mostro capitalista e imperialista UE. Allarme del Censis: amianto e muri che cadono Il 60% delle scuole non sono sicure Gli studenti corrono seri pericoli. Per il Sud niente nuove scuole, concentrate tutte al Nord, ma solo interventi di “decoro” Il rapporto Censis quest’anno ha presentato un quadro desolante della condizione infrastrutturale delle scuole italiane che peggiora anno dopo anno a causa dei tagli agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Sono 3.600 gli istituti che necessitano di interventi sulle strutture portanti e dove vivono e studiano giornalmente 580 mila studentesse e studenti. Il dato potrebbe anche essere sottostimato, poiché va anche considerato che sono molti di più, ben il 42%, gli istituti che non hanno il certificato di agibilità statica. Dei 41 mila istituti sono 9 mila quelli con gli intonaci che cadono a pezzi e 7.200 quelli che avrebbero bisogno di interventi per rifare tetti e coperture inefficienti o a rischio crollo. La vetustà degli edifici, oltre il 15% è stato costruito prima inadeguato e parolaio il piano di Renzi del 1945, altrettanti datano tra il ’45 e il ’60, il 44% risale all’epoca 1961-1980, e solo un quarto è stato costruito dopo il 1980, unita alla mancanza di manutenzione rende particolarmente alto il rischio sismico. Quest’ultimo riguarda in Italia il 60% degli edifici scolastici, sprovvisti di scale di sicurezza e porte antipanico. A ciò va aggiunto che il 48% degli istituti non rispetta la normativa antincendio. Il rapporto Censis lancia anche un preoccupante allarme amianto che riguarda ben duemila edifici e 342 mila studenti a contatto ogni giorno con materiali pericolosi. In 24 mila dei 41 mila, gli impianti elettrici, idraulici o termici non funzionano, non sono a norma oppure sono insufficienti alle necessità. In 24 mila istituti statali su 41 mila, gli impianti elettrici, idraulici o termici non funzionano, non sono a norma oppure sono insufficienti alle necessità. Di fronte ad una simile condizione disastrosa, e di fronte all’aumento del numero di alunni di ben 64 mila unità in due anni, i recenti governi di “centro-destra” e “cento-sinistra”, approvando la soppressione di 2mila scuole e di 200mila posti tra docenti e amministrativi, tecnici ed ausiliari, e l’innalzamento del tetto di alunni per classe nella scuola d’infanzia da 28 a 29 alunni, alla primaria da 25 a 28 ed alle superiori fino alla presenza di 33 alunni, hanno aumentato i rischi per studenti e lavoratori della scuola. Assolutamente inadeguate le misure del governo del Berlusconi democristiano destinate alla scuola con il cosiddetto decreto “sblocca Italia”. Il progetto “scuole sicure”, che prevede la messa in sicurezza degli edifici, interventi di bonifica dall’amianto e la rimozione delle barriere architettoniche può contare su appena 400 milioni di euro di investimenti distribuiti su 2.921 strutture. Per capire che si tratta di una goccia nel mare e di un’operazione propagandistica di facciata, basti considerare che nella sola Campania le scuole a rischio sismico sono 4.600, a queste vanno aggiunte le migliaia di scuole a rischio sismico in tutto il territorio, quelle con infissi in amianto, quelle senza scale di sicurezza. Senza contare che ancora una volta i fondi non sono aggiuntivi, ma sono stati recuperati “riprogrammando” le risorse del Fondo coesione 2007-2013, le quali sono state tolte a Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Insieme a questo furto è accettabile poi il fatto che il Sud, la zona d’Italia in cui gli edifici scolastici sono maggiormente a rischio, non avrà nuove costruzioni? Queste ultime, essendo legate al meccanismo antipopolare e antimeridionale del patto di stabilità interesseranno il Nord, dove sono presenti i comuni più “virtuosi”. Ma anche il Nord non avrà un granché. Le poche nuove scuole saranno costruite infatti solo nelle province di Torino, Varese, Como, Bergamo, Treviso e Udine, nel numero di una quindicina a provincia. Al Sud rimangono unicamente i fondi del progetto “scuole belle” che verranno impiegati in interventi di decoro a L’Aquila: uno schiaffo in faccia ai 6mila studenti della provincia aquilana che ancora, a cinque anni dal terremoto, vanno a “scuola” nei 31 Musp (Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio) esistenti, strutture che mostrano ormai tutti i i problemi di degrado legati alla loro provvisorietà. Gli interventi di decoro riguarderanno peraltro soltanto alcune scuole di alcuni grandi comuni del Sud: Teramo in Abruzzo, Isernia in Molise, Bari, Foggia, Taranto, Brindisi e Lecce in Puglia, Napoli, Caserta e Avellino in Campania, Potenza in Basilicata, Cosenza, Catanzaro e Reggio in Calabria, Enna, Agrigento e Caltanissetta in Sicilia, e infine Cagliari in Sardegna. Per gli altri niente. 6 il bolscevico / interni N. 26 - 3 luglio 2014 Il consiglio dei ministri accelera il processo di privatizzazioni Il governo Renzi svende Poste e Enav Col pretesto di arginare l’inesorabile aumento del debito pubblico giunto ormai a quota 2 mila miliardi e che nel 2015 sarà pari al 135% del Pil, il Consiglio dei ministri il 16 maggio ha varato due decreti legge che gli permettono di svendere fino al 40% di Poste e fino al 49% di Enav. Per quanto riguarda Poste, il governo si aspetta un ritorno da 4–5 miliardi di euro. Il 26 marzo scorso la commissione Trasporti della Camera aveva invitato il governo a usare questo gruzzoletto per “interventi che possano so- stenere efficacemente il rilancio dell’economia”: lo sviluppo della banda larga, investimenti per il trasporto o contro il dissesto idrogeologico. Invece pare che Renzi e Padoan siano intenzionati ancora una volta a favorire i grandi speculatori e le banche esattamente come hanno fatto Prodi e Berlusconi. Non a caso poche settimane fa Renzi, nell’ambito della vergognosa spartizione delle nomine delle grandi aziende, ha piazzato alla presidenza di Poste l’ex forzista Elisa Todini che a tutt’oggi mantiene anche il doppio incarico e il doppio stipendio da consigliera Rai e presidenza di Poste. Una speculazione finanziaria che fra l’altro mette a serio rischio i risparmi di milioni di pensionati, lavoratori e piccoli risparmiatori. Secondo lo schema indicato nel decreto infatti la svendita delle quote di minoranza a privati e grandi investitori potrà avvenire a scaglioni. Verrà realizzata con un’offerta pubblica di vendita rivolta ai risparmiatori italiani, inclusi i dipendenti del gruppo, oltre che a investitori nazionali e inter- nazionali. Poste è un’azienda in grande salute che è conosciuta anche perché ha investito 75 milioni di euro nel capitale di Alitalia. Conta 140 mila dipendenti ed è ormai prossima la sua quotazione in borsa anche perché nel recente passato ha avviato nuove prestazioni e servizi e ha acquisito nuove aziende come quella dei corrieri Bartolini. Per Enav invece si prevede la cessione di una quota che assicuri allo Stato il mantenimento di una quota di controllo assoluto (51%). Al ministero dell’Economia viene affidata la massima discrezionalità nella cessione. Si prevede un’offerta pubblica di vendita, rivolta anche in questo caso agli stessi dipendenti. Il governo vuole passare all’incasso sull’onda di un boom dell’azienda che gestisce e controlla il traffico aereo. Per l’azienda diretta dall’amministratore unico Massimo Garbini il 2013 si è chiuso con un utile di 50 milioni di euro. Nel 2006 Enav ha acquisito il 100% di Vitrociset Sistemi, oggi Techno Sky, internalizzando la conduzione e la manutenzione dei sistemi di assistenza al volo e dei relativi software. Nel 2012 ha acquisito il consorzio Sicta (Sistemi Innovativi per il controllo del traffico aereo) che si occupa di attività ingegneristiche di progettazione. Insomma un altro gioiello di famiglia che rischia di finire in pasto al mercato per un pugno di euro. Contro la nuova stagione di privatizzazioni si è mobilitato il movimento per i beni comuni promosso dal Forum Italiano dei movimenti per l’acqua al quale hanno aderito decine di altri movimenti e associazioni. I fondi stranieri detengono il 38% della Borsa italiana Sette anni di crisi economica e finanziaria hanno cambiato profondamente la composizione e gli assetti della Borsa capitalistica in Italia, tanto che oggi ben il 38%, pari a 200 miliardi, dell’intero portafoglio di Piazza Affari, è detenuto da fondi di investimento stranieri. Non sono più cioè le grandi famiglie industriali e i grandi gruppi statali del passato, con i loro complessi intrecci societari e di potere garantiti da Mediobanca, a fare il bello e cattivo tempo nella Borsa di Milano a loro esclusivo piacimento, ma cominciano a prendere il sopravvento, nel capitale azionario e nelle assemblee delle grandi società quotate pubbliche e private, gli umori e le decisio- ni di nuovi forti investitori prevalentemente stranieri. Che in questi anni, favoriti dalla crisi e dalla mancanza di liquidità delle vecchie famiglie italiane, abituate a comandare grazie alle scatole cinesi e agli intrecci politici e senza rischiare un soldo dei propri patrimoni, sono entrati silenziosamente ma in forze sul mercato nazionale comprandosi intere fette delle “blue chips” italiane. Investitori tanto potenti quanto sconosciuti ai più, come per esempio il fondo Scottish Widows, il fondo delle vedove scozzesi nato nel Regno Unito nel 1812 e oggi entrato in forze nel capitale della Telecom; come i fondi delle parrocchie presbiteriane, i gestori dei risparmi dei professori dell’Illinois, e così via. Per non parlare del più conosciuto fondo americano Blackrock, che gestisce ben 4.300 miliardi di patrimonio, pari a 10 volte l’intero listino di Piazza Affari, e che solo negli ultimi mesi ha comprato il 6% di Intesa e Unicredit, il 5% di Bpm, il 3,7% di Mps e altre importanti quote di Generali, Fiat, Atlantia e Mediaset. Gli effetti di questo sommovimento cominciano già a farsi sentire, come il 16 aprile scorso all’assemblea di Telecom Italia, dove a Telco, la holding finanziaria del gruppo partecipata per il 22,8% da Generali, Mediobanca e Intesa San- paolo, non è riuscito imporre un proprio Consiglio di amministrazione già deciso a tavolino, per via dell’opposizione dei grandi investitori internazionali che sono riusciti a far eleggere tre loro rappresentanti nel Cda. Lo stesso è successo più o meno alle assemblee di Eni e Finmeccanica, dove il maggior azionista, il Tesoro, non è riuscito a far passare il nuovo piano di regole fissato per le assemblee per l’ostilità dei fondi stranieri verso quella che hanno considerato un’intrusione indebita dello Stato nel “libero mercato”. Il legale che ne tutela gli interessi in Italia, Dario Trevisan, che si è presentato all’assemblea di Gene- rali col 15%, a quella di Telecom col 27% e a quella di Eni col 30%, così spiega la fame di soldi che ha spianato la strada ai fondi stranieri in Borsa: “Le vecchie famiglie non li hanno. Le banche di riferimento nemmeno. Il meccanismo del do ut des, delle operazioni gestite chiamando a raccolta un gruppo ristretto di amici si è inceppato. Le aziende per crescere o per non morire sono costrette a cercarli dove ci sono: dal mercato e dai fondi”. Stando così le cose c’è da chiedersi allora: perché veniamo bombardati quotidianamente - da Napolitano, da Renzi e dalla schiera degli economisti liberali di regime - con interminabili giaculatorie sugli in- vestitori stranieri che non investono in Italia perché non vengono fatte le “riforme”? La risposta è contenuta nella domanda stessa: è solo una tesi strumentale per far passare appunto le “riforme” di Renzi, tra cui il famigerato Jobs Act che liberalizza il precariato e l’apprendistato e legalizzerà i licenziamenti, il ridimensionamento del ruolo del sindacato e la imminente svendita e privatizzazione delle aziende pubbliche in attivo. Come Enav, Poste, Eni, Enel, Terna, ecc., su cui i fondi di investimento stranieri sono pronti a gettarsi in forze dalla testa di ponte di Piazza Affari, già quasi per metà da loro controllata. Terremoto in Bankitalia Indagati Saccomanni e Tarantola per usura Coinvolti anche Abete (Bnl), Profumo e Ghizzoni (Unicredit), Mussari e Caltagirone (Montepaschi) La procura della Repubblica di Trani, molto attiva nel campo delle indagini finanziarie, ha notificato un avviso di conclusione delle indagini (che prelude a un rinvio a giudizio) a sessantadue esponenti del mondo bancario italiano tra cui spiccano i nomi dell’ex ministro dell’Economia del governo Letta Fabrizio Saccomanni e dell’attuale presidente della Rai Anna Maria Tarantola con la gravissima accusa di usura continuata e aggravata consumata ai danni di alcuni imprenditori della provincia di Bari. All’epoca dei fatti, tra il 2005 e il 2012, Saccomanni era direttore generale e la Tarantola a capo della Vigilanza di Bankitalia. Tra gli alti dirigenti bancari che hanno ricevuto lo stesso av- viso di conclusione delle indagini figurano poi nomi eccellenti del panorama finanziario italiano. Per la Bnl il presidente del consiglio di amministrazione Luigi Abete, l’amministratore delegato Fabio Gallia, l’ex vicepresidente Piero Sergio Erede e il presidente del collegio sindacale Pier Paolo Piccinelli. Per Unicredit figurano l’ex amministratore delegato e quello attuale, rispettivamente Alessandro Profumo e Federico Ghizzoni, il vicepresidente vicario Candido Fois, l’ex presidente Dieter Rampl, il direttore generale Roberto Nicastro, l’ex presidente del consiglio di amministrazione di Unicredit Banca di Roma Paolo Savona, l’ex presidente di Unicredit Banca d’Impresa Mario Fertonani ed il figlio dell’ex ministro Cancellieri, Piergiorgio Peluso, ex amministratore delegato di Unicredit Banca d’Impresa. Per il Monte dei Paschi sono coinvolti l’ex presidente Giuseppe Mussari ed il suo vice Francesco Gaetano Caltagirone, infine per la Banca Popolare di Bari l’attuale presidente del consiglio di amministrazione nonché amministratore delegato Marco Jacobini, l’ex presidente Fulvio Saroli e il direttore generale Pasquale Lorusso. Sono coinvolti allo stesso modo anche altri dirigenti della Banca d’Italia come l’ex direttore generale Vincenzo Desario e gli ex capi della Vigilanza Francesco Maria Frasca, Giovanni Carosio, Stefano Mieli e Luigi Federico Signorini, oltre a Giuseppe Maresca, a capo della quinta direzione del dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia. Ai funzionari di Bankitalia e del ministero dell’Economia i magistrati tranesi contestano la gravissima accusa di avere, tra il 2005 e il 2012, dolosamente emanato una serie di atti amministrativi in assoluto contrasto con la legislazione in tema di usura, e quindi di aver fornito la necessaria copertura burocratica e istituzionale agli atti di usura materialmente commessi dalle banche coinvolte ai danni di alcuni imprenditori del barese nell’ambito di finanziamenti concessi sotto forma di anticipazioni su conto corrente: secondo i pm i funzionari pubblici prescrivevano alle banche di calcolare gli interessi sui finanziamenti concessi in rapporto al credito accordato anziché a quello effettivamente erogato e utilizzato dal cliente come invece prescrive la normativa. Queste circolari provenienti dagli organi di controllo e vigilanza (Bankitalia e ministero dell’Economia), apertamente dichiarate illegittime dalla Cassazione lo scorso anno, permettevano alle banche di elaborare tassi effettivi globali (i Teg) che risultavano da un punto di vista contabile notevolmente più bassi di quelli effettivamente praticati, i quali - ad un attento esame dei magistrati - hanno superato di gran lunga la soglia determinata trimestralmente dall’Ufficio Italiano Cambi facendo scattare il reato previsto dall’articolo 644 del codice penale. Con questo meccanismo la Bnl avrebbe lucrato illegalmente oltre 53.000 euro, il gruppo Unicredit più di 15.000, Mps circa 27.000 euro mentre la più piccola Banca Popolare di Bari soltanto 296 euro: sembrano cifre piccole, ma sono relative esclusivamente a quegli imprenditori che hanno sporto denuncia, ma i magistrati hanno la certezza che questo era un meccanismo collaudato e certamente applicato in tutta Italia, per cui sospettano che decine di migliaia di risparmiatori o investitori siano stati raggirati nello stesso modo. interni / il bolscevico 7 N. 26 - 3 luglio 2014 Per le nomine ai vertici delle aziende pubbliche Renzi usa le donne borghesi e manager Tra esse Marcegaglia, ex presidente di Confindustria e Luisa Todini di Forza Italia che privatizzerà le Poste Il genere femminile non cambia la funzione dei manager: servire il capitalismo e il governo che ne cura gli affari L’annunciata “rivoluzione” di Renzi ai vertici delle principali aziende pubbliche o controllate dallo Stato non cambia di un millimetro la vecchia pratica clientelare utilizzata da tutti i suoi predecessori, da Berlusconi a Prodi, da Monti a Letta, di piazzare i propri uomini nei gangli vitali delle istituzioni e dell’economia. La tanto sbandierata differenza di genere non cambia la funzione dei manager. Che siano donne o uomini la missione è sempre la stessa: servire il capitalismo e il governo che ne cura gli affari. La riprova sta nel fatto che il Berlusconi democristiano ha piazzato Emma Marcegaglia, fino a pochi mesi fa presidente di Confidustria, al vertice di Eni. Marcegaglia insieme al papà Steno e al fratello Antonio è anche alla guida dell’omonimo gruppo. Alla berlusconiana Luisa Todini Renzi ha affidato la presidenza di Poste, nota per le sue apparizio- ni nei talk show televisivi, dove ha sempre difeso a spada tratta gli interessi dei padroni primo fra tutti, Berlusconi. Il nome della Todini è stato spesso tirato in ballo per incarichi politici mentre l’azienda di famiglia, la Todini Costruzioni, che ha guidato per qualche anno, fa parte dal 2010 del gruppo Salini. Il suo obiettivo è di completare al più presto la privatizzazione dell’azienda. A Patrizia Grieco è andata la poltronissima dell’ Enel, dopo una carriera divisa fra Italtel e Olivetti di cui è tuttora presidente. Infine Catia Bastioli, scelta per presiedere il Cda Terna, molto nota nel mondo industriale per la sua esperienza al vertice della Novamont, un’azienda novarese nata dalle ceneri del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini morto suicida dopo il suo coinvolgimento in tangentopoli. Insomma donne borghesi con un’estrazione di classe tutt’altro che popolare, smaniose di dimostrare di essere capaci di spremere e supersfruttare più dei pescecani capitalisti uomini i lavoratori e le masse popolari. Donne e uomini che spesso ottengono queste prestigiose e renumerative poltrone non tanto per meriti professionali, quanto per le sponsorizzazioni politiche di cui godono. Il caso più eclatante riguarda l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, che Renzi ha riconfermato alla presidenza di Finmeccanica, ignorando che l’ex capo della polizia dal 2000 al 2007, coinvolto nella mattanza del G8 a Genova, ex direttore del Dipartimento per le informazioni per la sicurezza (Dis), l’organo che sovrintende all’attività dei servizi segreti esterni (Aise) e interni (Aisi), promosso da Monti a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti; è stato premiato anche dal governo Let- ta-Berlusconi con la presidenza del colosso pubblico Finmeccanica non certo per il suo curriculum manageriale in campo economico e finanziario ma in sostituzione dell’ex numero uno Giuseppe Orsi, arrestato per gli scandali delle commesse e delle nomine. Anche per quanto riguarda gli stipendi dei nuovi presidenti di Enel, Eni, Finmeccanica e Poste Italiane, che Renzi si vanta di aver bloccato al tetto massimo di 238mila euro lordi, c’è da dire che Renzi non ha minimamente toccato tutti gli altri privilegi e benefit, a caminciare dalle stock option, pensioni e buonuscite d’oro di cui godono i superpagati manager di Stato. Basti pensare che secondo i calcoli de “L’Espresso” le buonuscite degli amministratori delegati Scaroni (Eni), Conti (Enel), Cattaneo (Terna) e Sarmi (Poste italiane) ammontano a circa 20 milioni di euro. Secondo il settimanale la liquidazione di Conti dovrebbe ammontare a non meno di 6,4 milioni. Mentre quella di Scaroni a oltre 8,3 milioni. Altro che “sobrietà” di cui ciancia Renzi. Di seguito la lista completa della nuova infornata di manager pubblici piazzati nelle quattro principali aziende di Stato: 1. Paola Camagni (Sindaco effettivo) 2. Alberto Falini (Sindaco effettivo) 3. Marco Seracini (Sindaco effettivo) 4. Massimiliano Galli (Sindaco supplente) 5. Stefania Bettoni (Sindaco supplente) ENEL 1. Patrizia Grieco 2. Francesco Starace 3. Alberto Pera 4. Alberto Bianchi 5. Andrea Gemma 6. Paola Girdinio FINMECCANICA 1. Gianni De Gennaro 2. Mauro Moretti 3. Marta Dassù 4. Guido Alpa 5. Alessandro De Nicola 6. Marina Calderone 7. Fabrizio Landi ENI 1. Emma Marcegaglia 2. Claudio Descalzi 3. Fabrizio Pagani 4. Luigi Zingales 5. Diva Moriani 6. Salvatore Mancuso Collegio Sindacale POSTE 1. Luisa Todini 2. Francesco Caio 3. Roberto Rao 4. Antonio Campo dall’Orto 5. Elisabetta Fabbri. Gasparri (FI) a processo per peculato Il politicante borghese - nonché fascista ormai ripulito - Maurizio Gasparri (FI) è stato rinviato a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare di Roma Cinzia Parasporo lo scorso 16 aprile con l’accusa di peculato, per essersi appropriato di 600.000 euro destinati all’allora gruppo PDL che invece il senatore di Forza Italia utilizzò per stipulare un contratto assicurativo - una polizza vita “Bnl Private Selection” - per fini strettamente personali: la prima udienza del dibattimento si terrà il 1° ottobre prossimo presso la decima sezione penale del Tribunale di Roma. Secondo l’accusa Gasparri quando era presidente del gruppo PDL al Senato ed approfittando di tale funzione - si sarebbe “Prese 600 mila euro dal PDL”. Verrà processato anche l’ex ministro Pecoraro (Verdi) per scambio di favori con imprenditori appropriato di 600.000 euro utilizzandoli nel marzo 2012 per la stipula di una polizza vita a suo nome, indicando come beneficiari in caso di morte i suoi eredi legittimi. Nel febbraio del 2013 poi dovette riscattare la polizza - ottenendo dalla compagnia assicuratrice 610.697,68 euro per gli interessi maturati in poco meno di un anno - e, a seguito di specifiche e pressanti richieste della direzione amministrativa del PDL che si era accorta dell’ammanco, versò i 600.000 euro nelle casse del partito con due bonifici di 300.000 euro ciascuno, il 20 febbraio 2013 e il 12 marzo 2013, trattenendo per sé la differenza costituita dagli interessi. Anche se la somma è stata restituita, non vi è alcun dubbio che Gasparri abbia consumato il reato di peculato, che si perfeziona nel momento in cui chiunque abbia la disponibilità di denaro pubblico se ne impossessi a fini personali, cosa che non lascia dubbi nel caso in questione, perché nel corso di un anno (ma presumibilmente sarebbero stati molti di più se il senatore non fosse stato scoperto) il senatore si è messo in tasca senza colpo ferire oltre diecimila euro utilizzando tale denaro. Gasparri ha reagito all’ordinanza di rinvio a giudizio del gup con una nota il cui contenuto farebbe addirittura sorridere se non si trattasse di un politicante borghese che fa i suoi porci comodi con il denaro pubblico, sostenendo di essersi “limitato a tutelare il gruppo parlamentare in previsione di una serie di contenziosi ai quali stava andando incontro”: per quanto ci si possa sforzare, ri- Per conoscere direttamente dai lavoratori e dagli studenti quali sono i loro problemi, le loro rivendicazioni, il loro parere sulla situazione politica, il loro stato d’animo, non c’è modo migliore di intervistarli durante le manifestazioni e le occupazioni. Naturalmente bisogna prepararsi bene prima dell’intervista avendo in mente le domande da porre in linea di massima e avendo con sé un registratore (o almeno un taccuino) e una macchina fotografica. Abbiamo già due modelli cui ispirarsi. Le interviste fatte dalla compagna Giovanna Vitrano e dal compagno Federico Picerni pubblicate rispettivamente su “Il Bolscevico n. 38/13 e n. 21/13. Si possono fare delle interviste anche durante i banchini. Le interviste sono utili pure per attirare l’attenzione sul PMLI e il suo organo . Coraggio, intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta! Chi saranno i prossimi compagni a farle? mane difficile pensare a come una polizza vita - i cui beneficiari sono lo stesso Gasparri in caso di vita e i suoi eredi in caso di morte - possa minimamente tutelare il gruppo parlamentare presieduto dallo stipulante, che evidentemente oltre ad aver tentato di beffare anche il suo stesso partito (ma gli è andata male) cerca disperatamente, da buon politicante borghese, di salvare la faccia davanti all’opinione pubblica, così come a cominciare dal prossimo ottobre tenterà di confondere le acque ai giudici romani. A proposito di politicanti borghesi, mai come in questo caso vale il detto ‘mal comune mezzo gaudio’ riferito sia alla destra sia alla “sinistra” borghese: infatti nelle stesse ore in cui si decideva la sorte processuale di Gasparri anche l’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio (dei Verdi) è stato rinviato a giudizio, insieme a suo fratello e ad altre persone, dal gup romano Giulia Proto con l’accusa di finanziamento illecito dei partiti. La prima udienza dibattimentale è stata fissata per il prossimo 29 settembre, e nel processo l’ex ministro risponderà - insieme a suo fratello Marco, all’epoca senatore dei Verdi - alle accuse di avere ottenuto nel 2008 l’uso di un elicottero per un trasferimento, vacanze pagate e l’acquisto a prezzo agevolato di un terreno nella zona del lago di Bolsena in cambio di favori a vari imprenditori per la costruzione in quella zona di un agriturismo. Marco Pecoraro Scanio poi dovrà rispondere in proprio anche dell’accusa di essere intervenuto, sempre nel 2008, per far ottenere un appalto per la bonifica di un terreno a Crotone per la società degli imprenditori Francesco Ferrara e Gualtiero Masini, anche essi rinviati a giudizio. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI Associato all’USPI ISSN: 0392-3886 Unione Stampa Periodica Italiana chiuso il 25/6/2014 ore 16,00 8 il bolscevico /stragismo N. 26 - 3 luglio 2014 Una messinscena di Renzi Via i segreti sulle stragi? Siamo proprio sicuri? Aprire gli archivi del Quirinale e di tutti gli apparati civili e miliare dello stato “Abbiamo deciso di desecretare gli atti delle principali vicende che hanno colpito il nostro Paese e trasferirli all’Archivio di Stato. Per essere chiari: tutti i documenti delle stragi di Piazza Fontana, dell’Italicus o della bomba di Bologna. Lo faremo nelle prossime settimane. Vogliamo cambiare verso in senso profondo e radicale”. Con questo annuncio pirotecnico di sicuro effetto mediatico ed elettorale, fatto scoppiare all’interno della lunga e compiacente intervista a la Repubblica del 20 aprile, Matteo Renzi ha anticipato la firma, il giorno successivo, della direttiva che dispone la declassificazione degli atti coperti da segreto, a cominciare da quelli riguardanti l’omicidio di Ilaria Alpi, in attuazione della decisione presa il 18 aprile dal Comitato nazionale per la sicurezza della Repubblica (Cisr). La firma è avvenuta alla presenza del sottosegretario con delega ai Servizi segreti, Marco Minniti, e del direttore del Dis, ambasciatore Giampiero Massolo, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza già diretto fino al maggio 2012 dal discusso Gianni De Gennaro, colui che ordinò e coprì la mattanza alla scuola Diaz durante il G8 di Genova. “Uno dei punti qualificanti della nostra azione di governo - ha dichiarato Renzi dopo la firma dell’atto - è proprio quello della trasparenza e dell’apertura. In questa direzione va la decisione che considero un dovere nei confronti dei cittadini e dei familiari delle vittime di episodi che restano una macchia oscura nella nostra memoria comune”. “È una decisione epocale, la più importante opera di declassificazione nella storia della nostra Repubblica”, ha aggiunto il più volte sottosegretario ai Servizi segreti (governi D’Alema 1 e 2, Letta e Renzi), Marco Minniti. Un falso messaggio di “svolta” sulle stragi Il messaggio inculcato perciò nella testa dell’opinione pubblica è che per la prima volta un governo della Repubblica – il governo Renzi – toglie il segreto di Stato sulle stragi che hanno insanguinato il Paese per quasi un trentennio, dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 all’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avvenuto a Mogadiscio nel 1994, passando per le stragi di Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Brescia (1974), Italicus (1974), Ustica (1980), Bologna (1980), rapido 904 (1984). Il governo Renzi, insomma, è il primo che solleverà il velo e permetterà di stabilire la verità sui tanti misteri che ancora avvolgono la storia del nostro Paese degli scorsi decenni. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Intanto c’è subito da dire che la direttiva di Renzi non abolisce affatto il segreto di Stato, come invece l’intervista a la Repubblica suggeriva furbescamente (“Via subito il segreto sulle stragi”), anche perché per legge il segreto di Stato non può essere opposto per i reati di strage, di terrorismo e di mafia. Tant’è vero che, per esempio, la direttiva non riguarda minimamente il segreto di Stato sul rapimento in Italia di Abu Omar per mano della Cia e del Sismi (l’ex servizio segreto militare); segreto opposto alla magistratura da ben quattro governi (Berlusconi, Prodi, Monti e Letta), e che resta tuttora in vigore dal momento che neanche il governo Renzi si sogna di chiederne la revoca. La direttiva riguarda soltanto i documenti classificati come “riservati”, “riservatissimi”, “segreti” o “segretissimi”, inaccessibili al pubblico per almeno 15 anni e fino a un massimo di 30, ma ufficialmente protocollati e già accessibili - previa autorizzazione delle fonti che li hanno in custodia - alla magistratura e alle commissioni parlamentari inquirenti, nonché agli altri soggetti “autorizzati” come storici e studiosi. Già una legge del 2007 fissava più precisamente i criteri di “trasparenza” a cui questi archivi avrebbero dovuto adeguarsi, ma i decreti attuativi non sono mai stati emanati, e manca anche un inventario preciso di tutti questi documenti che il governo Monti aveva annunciato ma mai attuato in realtà. Perciò la direttiva di Renzi, al massimo, non farà altro che attuare quanto già stabilito dal parlamento sette anni fa. sono stati i fascisti ad eseguirle, col supporto diretto della P2 e di Gladio, e i governi di allora, gli apparati dello Stato, la Cia e la Nato ad ordinarle e coprirle. Non sono mai stati scovati e condan- sparenza bisogna disporre degli archivi militari, del ministero degli Esteri e di quello dei carabinieri”. Anche per Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime di Ustica, oc- Dove sono i veri documenti segreti? Il vero problema non sono i documenti di cui si conosce l’esistenza, già abbondantemente scandagliati dai magistrati e dagli studiosi, e il cui deposito nell’Archivio di Stato non aggiungerà assolutamente nulla a quanto non si sapesse già, ma quelli non protocollati in mano al ministero degli Interni, ai servizi segreti, carabinieri, guardia di finanza e corpi speciali dell’esercito. Quelli custoditi nell’archivio del Quirinale, che non ha mai risposto alle richieste di visionarli da parte della magistratura, neanche per esempio per chiarire la vicenda del golpe Borghese del 1970. Quelli nascosti in depositi segreti di cui nessuno, tranne pochissimi alti funzionari occulti, conoscono l’esistenza e l’ubicazione, come il deposito abbandonato dell’Ufficio affari riservati del Viminale che fu scoperto sulla circonvallazione Appia dal ricercatore Aldo Giannuli nel 1997, quando al Viminale sedeva Giorgio Napolitano. E soprattutto quelli assolutamente inaccessibili giacenti negli archivi della Nato, la cui desecretazione richiederebbe il consenso contemporaneo di tutti gli Stati membri, cosa quantomeno fantascientifica. “Lì nessuno può entrare”, conferma infatti in un’intervista a il manifesto l’ex generale Paolo Inzerilli, già capo di Gladio poi passato allo stato maggiore del Sismi, che racconta: “Quando la magistratura chiese di accedere all’archivio di Gladio bloccammo l’accesso alla documentazione con classifica Nato, documenti che non sono mai usciti dai caveaux”. Del resto la verità storica e politica sulla “strategia della tensione” e sulle stragi degli anni ‘70-’80 è già stata ampiamente acclarata anche nei processi: responsabili delle trame stragiste e dei depistaggi che le hanno coperte. Paradossalmente, come ha avvertito un magistrato che indagò sulla strage di Bologna, “se fatta senza controlli e garanzie di terzietà, questa operazione può diventare una distribuzione di polpette avvelenate, o addirittura un colossale depistaggio. Non più dei processi, ormai andati come sono andati, ma della storia”. Potrebbe cioè servire ad avvalorare tesi artefatte e mistificatorie come quella ostinatamente sostenuta e propalata dal NCD Giovanardi, che l’aereo di Ustica non fu abbattuto da un missile della Nato ma da una bomba collocata nella toilette da terroristi arabi. Un annuncio ad effetto ben studiato San Benedetto Val di Sambro (Bologna). La strage del treno Italicus del 4 agosto 1974. Ancora oggi, dopo 40 anni, è coperta da segreto di Stato nati i mandanti e quasi mai neanche gli esecutori, ma che cosa ci si potrebbe mai aspettare a questo riguardo dalle carte desecretate di Renzi e Minniti? Scetticismo di magistrati e familiari delle vittime Nessuno dei magistrati e personaggi che da decenni si battono affinché venga fatta piena luce sulle stragi ha dato molto credito alle eclatanti promesse del premier. Come ha osservato amaramente la presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, “sulle stragi di mafia del ’93-’94 non c’è segreto di Stato, ma documenti nascosti e persone che non vogliono parlare”. Lo stesso presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, pur essendo deputato dello stesso partito di Renzi e pur apprezzandone gli intenti, ha dichiarato che l’iniziativa non è sufficiente e che “per avere normali livelli di tra- correrebbe “aprire tutti gli archivi, di tutti gli apparati dello Stato, senza esclusione, per confrontare quello che ci è stato riferito in aula con quello che fu realmente redatto, solo così avremo finalmente la verità”. Manlio Milani, presidente dell’Associazione vittime della strage di Brescia, citando il caso della velina dell’ex generale del Sid, Gianadelio Maletti, inviata alla magistratura ma mai arrivata a destinazione, e ritrovata poi nel deposito abbandonato della via Appia, facendo riaprire una nuova inchiesta sulla strage di piazza della Loggia, si chiede: “quanti documenti riservati non sono mai arrivati all’autorità giudiziaria”? E avverte il governo che “nel momento in cui gli archivi saranno aperti, la gestione deve essere separata da chi li ha prodotti”. C’è da temere infatti (come è già successo in passato con gli archivi di Gladio affidati alla custodia del Sismi, che è stato come mettere la faina a guardia del pollaio), che la gestione degli elenchi e la selezione dei documenti sia delegata proprio a quegli stessi servizi segreti già In conclusione l’uscita di Renzi sull’abolizione dei segreti sulle stragi è solo l’ennesimo annuncio ad effetto basato sul nulla, come tutti quelli sparati in aria un giorno sì e l’altro pure da quando è salito a Palazzo Chigi. Una tecnica che ha imparato alla perfezione dal suo maestro Berlusconi, e forse addirittura superandolo in rapidità ed efficacia, visto che si dimostra insuperabile nell’arte di inventarsi un nuovo annuncio sensazionale prima ancora che la gente abbia il tempo di accorgersi che dietro quello precedente non c’era nulla di vero. In questo caso l’annuncio del Berluconi democristiano è particolarmente ben studiato, sia perché fatto alla vigilia del 25 Aprile (e ad un mese dalle elezioni europee), per darsi una verniciatina democratica e antifascista; sia perché così può rafforzare l’idea di essere di una generazione “nuova” e del tutto diversa da quelle precedenti degli ex revisionisti ed ex democristiani che ha battuto e rimpiazzato (come D’Alema, Napolitano, Prodi ecc.), che pur avendone avuta la possibilità quando erano al governo, non hanno mai fatto nulla per aprire gli archivi e scoprire la verità sulle stragi. Due soldati lo rivelano alla trasmissione “Le iene” Camere della tortura italiane in Iraq E continuano a chiamarli “contingente di pace” e “intervento umanitario” Lo scenario è la base italiana di White Horse, alla periferia di Nassirya, il periodo la “missione di pace” del 2003. Leonardo Bitti, un ex militare, svela l’esistenza di camere della tortura italiane, dove picchiatori incappucciati “con il passamontagna in testa, alcuni con il manganello”, costringevano i prigionieri iracheni a stare nudi, tutti nella stessa posizione: inginocchiati, con i piedi incrociati e con le mani chiuse da fascette da elettricista. Bitti denuncia che i prigionieri avevano sul corpo segni di manganellate. Il racconto trova una pesante conferma nella testimonianza di un militare che prestava servizio nella stessa base italiana in Iraq. Inconsapevole, non sa di essere ripreso, egli fornisce ulteriori raccapriccianti particolari. I detenuti vivevano in queste camere della tortura, in mezzo agli escrementi fino a quando non fornivano notizie all’esercito italiano. Durante gli interrogatori venivano incatenati a testa in giù. “chi prendeva queste persone?” chiede il giornalista de “Le Iene” il militare risponde che era il Sismi, cioè il Servizio segreto militare italiano operativo “dentro la base a Nassirya”. Non si tratta della prima denuncia di atti di tortura compiuti dall’esercito imperialista italiano. Già nel 1997 alcuni militari ita- liani in missione in Somalia furono accusati di violenze e stupri su donne somale durante la missione “Ibis” (dal dicembre 1992 al marzo 1994). Comportamenti che sono spesso stati giustificati con la “durezza” delle condizioni in cui si trovano a lavorare i militari. In verità vanno chiarite alcune cose. La rivelazione delle torture confermano che i militari italiani non si trovano in “missione di pace” ma agiscono da esercito occupante. Del resto le torture ai danni dell’opposizione irachena sono praticate da tutti gli eserciti imperialisti, compreso quello italiano. Non sono un’anomalia e un’eccezione su iniziativa di qualche mela marcia, ma piuttosto una pratica scientifica e sistematica. Ma c’è un altro elemento non sempre citato ed indagato a sufficienza. È quello politico che risiede nelle responsabilità delle massime istituzioni borghesi italiane in quanto è successo. In primo luogo è grave la responsabilità di governi e parlamento che sostengono le missioni di guerra all’estero continuamente rifinanziate con piogge di milioni di euro. Ma è bene chiarire che le responsabilità politiche, di entrambi gli schieramenti, destra e “sinistra” borghese, non risiedono unicamente nell’incentivazione mastodontica delle spese di guerra. Le istituzioni borghesi hanno progressivamente attuato a partire dagli anni ’90 un nuovo “modello di difesa” trasformando l’esercito italiano in un esercito professionale e interventista pronto ed efficiente nelle sue “missioni di pace”, un esercito ideologizzato alla conquista e all’oppressione, che, evidentemente, ha la sua schiera di torturatori, professionisti di mutilazioni, esperti di waterboarding al seguito, come denuncia inconsapevolmente il militare che non sa di essere ripreso. Un esercito protetto dall’estensione delle misure del codice militare di guerra alle “missioni di pace”, coperto da fiumi di demagogia e di retorica patriottarda, nonché dalla militarizzazione dell’informazione di guerra. Difficile far finta di niente su queste sconcertanti rivelazioni, eppure la piddina ministra della guerra Roberta Pinotti c’è riuscita. Ma il suo silenzio omertoso è assordante e ci conferma quanto già sapevamo: non ci sarà nessuna marcia indietro con il governo del Berlusconi democristiano Renzi sulle missioni di guerra all’estero, sul rafforzamento dell’esercito professionale della borghesia imperialista, non ci sarà nessun dubbio a Palazzo Chigi sui metodi militari mutuati dai nazifascisti ai danni dei paesi occupati. stragismo / il bolscevico 9 N. 26 - 3 luglio 2014 Il processo è da rifare La Cassazione: “furono ignorate le prove contro i neofascisti per la strage di Brescia” Il processo di appello per la strage di Brescia è da rifare perché la scandalosa sentenza del 14 aprile 2012 che ha assolto tutti gli imputati e condannato i familiari delle vittime a pagare le spese processuali era viziata da un “ipergarantismo distorsivo” che ha portato la Corte di Assise di appello a delle assoluzioni “ingiustificabili e superficiali”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza depositate il 15 aprile scorso in cui spiega la decisione di accogliere parzialmente il ricorso della Procura generale di Brescia e delle parti civili contro la sentenza di appello, decisione che la suprema corte aveva preso lo scorso 21 febbraio con la sentenza n. 16397 che annullava le assoluzioni dei neofascisti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, annullando anche il pagamento delle spese processuali a carico delle parti civili. Confermate invece le assoluzioni per insufficienza di prove dell’ex comandante dei carabinieri, ex membro del Sismi e accusato dei primi depistaggi, Francesco Delfino, e di Delfo Zorzi, membro di Ordine nuovo e accusato di essere l’esecutore materiale della strage, che oggi vive da ex latitante in Giappone e fa l’imprenditore sotto il nome di Hagen Hoi. Dopo quarant’anni dalla strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, quando durante una manifestazione sindacale antifascista una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti esplose provocando 8 morti e 103 feriti, anni che hanno visto ben tre lunghi processi caratterizzati da una serie infinita di depistaggi, omissioni e manipolazioni e conclusi invariabilmente con assoluzioni di tutti i neofascisti imputati, resta dunque ancora un ultimo tenue filo per portare all’accertamento della verità giudiziaria e alla punizione di almeno alcuni dei responsabili di quell’ef- sono da ritenersi “ingiustificabili e superficiali”, perché ottenute praticando sistematicamente, come dice la relazione del giudice Paolo Demarchi Albengo, un “ipergarantismo distorsivo” a favore degli imputati, in particolare di Maggi e Tramonte, che per tale motivo tornano ad essere processati come presunti mandanti e forse anche esecutori della strage. ferato crimine fascista coperto dagli apparati dello Stato. 40 anni di processi finiti nel nulla Il primo filone d’indagine (prima e seconda istruttoria) inizia nel 1974 e si conclude con la sentenza di Cassazione del settembre 1987; quasi subito le indagini vengono depistate su un gruppo di piccoli delinquenti e giovani estremisti di destra della Brescia-bene. Figura chiave del processo è Ermanno Buzzi, noto neofascista che traffica in opere d’arte nonché assiduo frequentatore dei covi di estrema destra. Condannato in primo grado, alla vigilia del processo d’Appello (aprile 1981) Buzzi fu trasferito nel carcere speciale di Novara, dove fu subito strangolato dai terroristi neri Mario Tuti e Pierluigi Concutelli per impedirgli di fare possibili rivelazioni. Il secondo filone d’indagine parte nel 1984, con la terza istruttoria che viene avviata sulla base delle rivelazioni fatte in carcere da alcuni ex camerati “pentiti” fra cui Angelo Izzo. Gli imputati per strage (tutti assolti nell’89) sono Alessandro Stepanoff, Sergio Latini e Cesare Ferri: estremista di destra, quest’ultimo, collegato al gruppo ordinovista milanese de “La Fenice” di Giancarlo Rognoni e alle S. A. M. (Squadre armate Mussolini) di Giancarlo Esposti. L’iter giudiziario si conclude nel 1993 con la sentenza-ordinanza della quarta istruttoria emessa dal Giudice istruttore Gianpaolo Zorzi che per la prima volta parla di un quarto livello di responsabilità, “non concentrico - scrive - ma intersecantesi con gli altri e quindi sempre presente, come un comune denominatore: quello dei sistematici, puntuali depistaggi”, dal lavaggio della piazza subito dopo l’eccidio, alla misteriosa scomparsa di Una sistematica azione di depistaggio Brescia, 28 maggio 1974. Una agghiacciante immagine della strage fascista di Piazza della Loggia Ugo Bonati, figura chiave nel primo processo, all’omicidio che ha chiuso per sempre la bocca a Buzzi; depistaggi che sono arrivati persino a sabotare la rogatoria in Argentina per impedire l’interrogatorio di Guido Gianni, criminale legato all’estrema destra e latitante. Nella quinta e ultima istruttoria le indagini ruotano intorno alla cellula mestrina dell’organizzazione eversiva neofascista Ordine Nuovo (la stessa di piazza Fontana), in collegamento al gruppo milanese de “La Fenice” di Rognoni. Il giudice Zorzi identificò nel giovane missino Maurizio Tramonte la fonte “Tritone” (che era l’informatore dietro una mole di documenti emersi dagli archivi del Sid a partire dalla fine degli anni Ottanta). Nel 1995, Tritone-Tramonte comincerà a collaborare con i ROS dei Carabinieri e le sue dichiarazioni insieme agli atti provenienti dall’istruttoria di Guido Salvini per la strage di piazza Fontana sono alla base del terzo processo conclusosi nel 2010 con l’assoluzione di tutti e cinque gli imputati, sentenza confermata poi in appello nel 2012. Per questo terzo processo sono state centrali anche le dichiarazioni del pentito Carlo Digilio, alias “zio Otto”, l’armiere di Ordine Nuovo, unico condannato nell’ultimo processo per la strage di piazza Fontana. A partire da “Tritone” e Digilio, l’imputazione per concorso in strage era stata infatti estesa anche ai vertici mestrini di Ordine Nuovo (Maggi e Zorzi), a Pino Rauti e al generale Delfino, che fu incaricato delle indagini alla base della prima istruttoria. Oggi le motivazioni depositate dalla Cassazione rappresentano già di per sé una inequivocabile e autorevole conferma che in questi quarant’anni, da parte dello Stato, dei servizi segreti e dei settori reazionari della magistratura è stato fatto di tutto per ignorare ed inquinare le prove, nascondere o prosciogliere gli esecutori e i mandanti della strage e pilotare i processi verso il nulla di fatto e l’assoluzione di tutti gli imputati. Assoluzioni che per la Cassazione Contrariamente alle conclusioni della sentenza di secondo grado, definite dalla Cassazione “assolutamente illogiche e apodittiche” (ossia giudicate talmente evidenti da non avere bisogno di essere dimostrate), Tramonte non sarebbe stato un esterno o un semplice informatore, bensì un “intraneo”, cioè appartenente organicamente alla destra eversiva veneta, che peraltro “non raccontava al maresciallo Felli tutto ciò che sapeva o aveva fatto”. E Maggi sarebbe a sua volta un vero “propugnatore” della linea stragista, assolto nonostante la “gravità indiziaria” delle dichiarazioni di Battiston, che unite ad altri elementi avrebbero dovuto fornire ai giudici di appello una “visione complessiva” di “straordinaria capacità dimostrativa” delle accuse. Quanto all’ordigno della strage, la suprema corte afferma che non doveva essere ignorato che “sia stato confezionato utilizzando la gelignite di proprietà di Maggi e Digilio, conservato presso lo Scalinetto”. Un dato di fatto “importantissimo che muta notevolmente il quadro indiziario rispetto al giudizio di primo grado”, che però i giudici di appello hanno completamente ignorato, non traendo “da questa diversa ricostruzione in fatto le necessarie implicazioni sul piano probatorio”. E non si tratta di un caso fortuito, poiché la “erronea applicazione della legge processuale – si legge sempre nella relazione – è un vizio ricorrente nel processo per la strage di piazza della Loggia, se si pensa che anche nel procedimento cautelare sulla misura irrogata a Tramonte, Zorzi e Maggi la Cassazione ebbe a osservare l’esasperata opera di segmentazione del quadro complessivo”, che “rifuggiva dalle regole di coerenza e completezza”. In altre parole la tattica dei giudici è sempre stata quella di isolare dal contesto e trattare separatamente le singole prove e responsabilità a carico degli imputati in modo da confondere il quadro generale e suffragare la tesi dell’“insufficienza di prove”: “Ogni volta che si è trovata a valutare un indizio di colpevolezza a carico degli imputati, si è soffermata sulla potenziale esistenza di diversi significati, finendo per distruggere il valore delle prove raccolte”, dice infatti la relazione a proposito dell’operato della Corte di Appello di Brescia. Ed inoltre sono state “sottovalutate le dichiarazioni del collaboratore Carlo Digilio” e “liquidata troppo frettolosamente la ritrattazione di Tramonte”. Le motivazioni della sentenza della Cassazione sono state accolte con lacrime di commozione dai sopravvissuti e dai parenti delle vittime di piazza della Loggia, per i quali essa riaccende una sia pur debole luce di speranza che sia fatta almeno in parte giustizia: “Ritrovo il senso di una giustizia che ha dato risposta alla storia. Ritrovo qui i compagni che non ci sono più”, ha detto Manlio Milani, il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, che nella strage ha perso la moglie. “Finalmente – ha aggiunto – si certifica fino in fondo che la strage è ascrivibile all’estrema destra e che ci sono stati depistaggi”. Lo rileva un comunicato ufficiale di Vodafone “I governi hanno il controllo diretto delle telefonate” “È un sistema di intercettazioni spaventoso e senza precedenti”, accusano le associazioni per la difesa dei diritti civili Si aggiunge lo spionaggio dei segreti stranieri Con un doppio intervento sia ni di ascoltare tutte le conversa- ve, anche se si è guardata bene sul quotidiano inglese Guardian sia tramite un comunicato ufficiale della multinazionale britannica della telefonia Vodafone, vi è stata una rivelazione che, come definiranno le Associazioni per la difesa dei diritti civili “è spaventosa e senza precedenti”. In sostanza, esiste una rete di cavi segreti che permetterebbero ai servizi segreti e di intelligence di diversi gover- zioni sui network telefonici, ossia una vera e propria rete di spionaggio ramificata e sovrapposta ai sistemi di comunicazioni per tenere sotto controllo chiunque. La Vodafone afferma che l’attività è diretta sia all’ascolto delle chiamate, sia per localizzarne la provenienza, ed è attualmente utilizzata da ben 29 paesi in cui la società telefonica opera in Europa e altro- dall’elencarne i nomi per non avere ripercussioni economiche negative. Diversamente il Guardian ha direttamente pubblicato una mappa delle richieste specifiche avanzate dai governi, dalle forze di polizia o dalla magistratura per avere informazioni sulle comunicazioni: al primo posto c’è l’Italia dove ne arrivano di più, per un totale di 606 mila richieste legali di “meta- dati”, cioè di indicazioni sulla localizzazione di un apparecchio, sugli orari e le date delle chiamate, e sui soggetti con cui è in comunicazione. Un livello di intrusione decisamente alto che il quotidiano britannico tenta di giustificare sbrigativamente collegandolo alle esigenze della lotta alla mafia e alle altre cosche di criminalità organizzata. Un prospetto invasivo che non convince più la compagnia telefonica inglese che richiede la rimozione immediata di tutti i cavi di accesso diretto al proprio network di comunicazioni installati da servizi di spionaggio, proponendo, al contempo, che siano cambiate le legislazioni che in vari paesi rendono legale un simile apparato di controllo di massa. Durissima e netta la reazione delle Associazioni in difesa dei diritti civili: “è un sistema di in- tercettazioni spaventoso e senza precedenti”, afferma Shami Chakrabarti, direttrice dell’associazione per la difesa dei diritti civili britannica Liberty. “Il Datagate portato alla luce della rivelazioni di Edward Snowden – continua la Chakrabarti - aveva già rivelato le dimensioni dello spionaggio digitale. Questo rapporto conferma che occorre una radicale modifica delle leggi in materia per tutelare i cittadini”. Dunque la richiesta delle Associazioni è quella di allargare a macchia d’olio i controlli antispionaggio anche alle altre compagnie telefoniche dedite a questo servizio. “Si tratta di un’ammissione coraggiosa”, da parte dell’azienda guidata dall’amministratore delegato, l’italiano Vittorio Colao, osserva Gus Hosein, direttore di Privacy International, un’associazione che ha avviato cause giudiziarie contro il governo britannico per il programma di intercettazioni svelato da Snowden. E per evitare prossimi scandali, Deutsche Telekom, che aveva già pubblicato dati parziali, ha già annunciato che lo farà “per tutti i paesi in cui sia permesso”. Non convincono, invece, le solite promesse invocate dal garante della privacy, l’ex DC Antonello Soro (PD) per cui bisognerebbe “spostare il baricentro verso il rispetto della persona, della sua libertà e dignità”. Sta di fatto che l’attuale governo antipopolare del Berlusconi democristiano Renzi non ha detto una parola sull’incredibile denuncia relativa alla rete di spionaggio di comunicazioni, soprattutto telefoniche: chi tace acconsente. N. 23 - 12 giugno 2014 falsi comunisti / il bolscevico 9 Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze elezioni del 25 maggio / il bolscevico 11 N. 26 - 3 luglio 2014 Avanzata dell’astensionismo in Mugello Dal corrispondente della la tornata elettorale del 25 maggio scorso. Alle comunali si sono avuti incrementi fortissimi specialmente a Vicchio con un più 13,4%, sul corpo elettorale, sulle comunali del 2009 e del 20,4% sulle politiche del febbraio 2013, ed ha raggiunto la ragguardevole cifra del 40,6%, pari a 2.692 elettori che hanno votato astensionismo. A Borgo S. Lorenzo, anche se vi sono stati incrementi minori Squadra di propaganda dell’astensionismo marxistaleninista del Mugello e Val di Sieve Come rilevavamo tra la popolazione durante la campagna elettorale per l’astensionismo marxista-leninista nelle settimane scorse, nel Mugello (Firenze) soffiava un forte vento astensionista. Cosa pienamente confermata dai risultati del- dell’astensionismo e dove vi è stata una forte frammentazione del voto con ben tre liste civiche presentate alle comunali. Col 28,6%, pari a 4.033 elettori, l’astensionismo (diserzione delle urne, voto annullato o scheda bianca) raggiunge il primo posto nel maggiore e più importante comune del Mugello. Anche alle europee l’astensionismo ottiene un bel risultato, piazzandosi al secondo posto, sia a Vicchio col 33,7%, pari a 2.210 voti, che a Borgo col 28,1%, pari a 3.933 voti, con forti incrementi anche qui sulle precedenti europee in ambedue i comuni. Tra i partiti borghesi la vittoria è andata al PD anche se non ha certo ottenuto le percentuali che ostentano i suoi vertici, che calcolano le percentuali sui voti validi, invece di rapportare i voti di ciascun partito al corpo elettorale. Questo infatti è l’unico metodo veritiero, quello che ������������������������������� �������������� ������ ����������������������� ������ ����������������������� ������ ���������� ������ ������������������� ������ ������������������� ������ ������������ ������� +�,�-." �.�!!��" �!" �� �������� )� �)�����%����� ����������� *����������������������� ��� ������������������� ��������*������ �������� ������������������������ ���������� ���� ������������� �����)����)��� ������������������ ���� #$���� �$���� �$���� ��'� (��� �(�� ���� ���� '#� ��� ��� �%� ��� ��� �%&�� �'&�� '&�� #&%� %&�� �&�� �&#� �&%� �&#� �&�� �&�� �&�� �� �� ������������ +�,�"� /�!"� /0."1" +�,�-." �.�!!��" �!" #�&�� ��&�� ��&�� �&�� (&�� �&(� �&�� �&�� �&�� �&�� �&�� �&�� �� �� ������ ����$� ��� ������ ������ "��� ��� ���� ��� "��� ��� �� ���� �$�� +�,�"� /�!"� /0."1" ��#�� ��#�� �� �$#�� ��#�� �#�� �� �#�� �� �#�� �� ��� �#�� �#�� ��#�� ��#$� �� ��#�� ��#�� �#�� �� �#�� �� "#$� �� ��� �#�� �#$� ���������� �"22$� �"22$� �"22$ +�,�-." +�,�"� �,,�.�!0 �.�!!��" /�!"�/0."1" �$�'(� ��&�� ��#� �&�� �$���� '&�� ��$%��� ���&�� �(��� �%&�� ����� ��&%� ���� �&#� ���'� ��&�� '#� �&#� �##�� ��&(� ��� �&�� ��� �&�� ��%%� ��&'� ��('� ��&�� ������������� +�,�-." �.�!!��" �!" ��&�� %&�� ��&�� ���&�� �#&'� ��&�� �&�� ��&�� �&�� �#&�� �&�� �&�� ��&%� ��&(� ������ ��$��� ������ ������ ��"� ���� ���� ��� ��� ��� ���� ��� ��� �"�� �"#�� ��#$� ��#�� ��#�� "#�� �#�� �#�� �#$� �� �� "#�� �� �� �#�� +�,�"� /�!"� /0."1" ��#�� ��#�� ��#�� ��#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �� �� �#�� �� �� �#�� ���������� �"22$� �"22$� �"22$ +�,�-." +�,�"� �,,�.�!0 �.�!!��" /�!"�/0."1" �$�'#� �$���� �''�� �%�#� ��'�� (�� (�� ��#� '#� ��� �'#�� �%� ��� ��#�� '&'� '&�� �#&%� ��&�� ��&�� �&�� �&%� �&'� �&#� �&�� �#&�� �&�� ��� ��&�� �(&%� ��&#� �#&'� ��&�� ��&�� �&�� �&�� �&�� �&�� �&�� �(&'� �&�� ��� ��&�� ������������������������������� ������������� ����������� ������ ���������������������� ����� �������������������� ����������������� !��#�#� $�%� ��#��#� ���""� !� "�)�(� ���#����$��������������� ��(�*� �����$������������������� ���� �������$����������������+ ���� ��$���#��*��#�� &�&� !�� ))�� ������#���� (�"� �� "�)� !���!,�� ��� ���#����$����!������� ��� ����$������������� ��� �����#��� �#������� � ��� !������� ��� ���#����$�����������#� ��� ��$����������$�� ��� ��� ��� ��#�����-�#���� ��� �������� ��� ���!�� ��� ����������� ��� !�� ��� ��#�� ��� �&'(� �('(� ��')� )'�� ('*� *'&� *'*� �'�� �'&� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� ����� ��� �������������������������� ������������� .�/�0�� 1�1%%�2� ������ ������������� .�/��� 3�%�� 3���,� .�/�0�� 1�1%%�2� $�%� ��')� ")'&� �('(� ��'�� �'"� &'"� )'&� ('�� �'�� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� ������ ���$�� ��� ��� ��� ��� ��� ������ ��� ��$��� ���� ��$� �$�� $��� ��� ��� ��� ��� ��� ��� ��� ��� �$#�� ��#�� �� �� �� �� �� ��#�� �� ��#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �� �� �� �� �� �� �� �� ��#�� ��#�� �� �� �� �� �� ��#�� �� �$#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �� �� �� �� �� �� �� �� ������ ������ ��� �� .�/��� 3�%�� 3���,� ����������������������� ��������������������� ���� ��44�� ��44�� .�/�0�� .�/��� 1�1%%�2� 3�%��3���,� ��44� �//���%� ���� �')� ����� ��')� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� ������� �&')� �� �� ���*��� ���'&� ���"� �('&� �(&*� ��'�� ��*)� ��'�� �*&)� ��'�� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� �� !�������" .�/�0�� 1�1%%�2� $�%� "'"� �"'�� �� �� �� �� �� ���'&� �� ��*'(� ��')� �)'�� ��'(� �('�� �� �� �� �� �� �� �� �� ������ $����� ��� ��� ��� ������ ��� ������ ���� ��� ��� ��� ��� ��� ���� �$�� ���� ���� ��� ��� ��� ���� ��#�� ��#$� �� �� �� �$#�� �� ��#�� �#�� �� �� �� �#$� �� $#�� �#�� �#$� �#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �� .�/��� 3�%�� 3���,� ��#$� �$#$� �� �� �� ��#�� �� ��#�� �#�� �� �� �� �#�� �� �#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �#�� �#�� ��44� �//���%� ������ �����)� �� �� �� ���"�"� �� �&��� �"*� �� �� �� �(�� �� �)))� ��*�� ����� ����� ��&� ���� �&"� ��")� ���� ��44�� ��44�� .�/�0�� .�/��� 1�1%%�2� 3�%��3���,� )'"� ��'�� �� �� �� ��'(� �� �('�� ��'"� �� �� �� ��'*� �� �*'(� �"'"� ��'*� ��'�� ��')� ��')� ��'(� ��'�� ��'�� �)')� �� �� �� ���'&� �� �(')� �'�� �� �� �� ��'(� �� �)'�� ��'�� ��'&� ��'"� ��'�� ��'&� ��')� ��'�� ��������������������� ��������������� ����� ��������������� ����� ��������������� ����� ���������� ����� ���������� ����� ���������� ����� ������������ ������� +�,-. �.����� ��� �� �&������ '���'�����%�&����� �(������������������&����& ������������ ����������(������� ���������������&������� ��)������ ��������������)����������� ����������������� &������������� �����'*���'��� ����� ��&������������*����� ��!"#� ������ !"�� ���� ��#� ��"� #�� !!� ��� ��� �#� !� ��� ��� ��$�� ��$#� ��$�� �$�� �$#� �$�� �$�� �$�� �$!� �$�� �$�� �$�� �� �� ������������ +�, � /�� � /0. 1 +�,-. �.����� ��� !�$�� %�$�� �%$#� #$�� #$�� �$�� �$!� �$%� �$�� �$%� �$�� �$�� �� �� ����� ��!�� � !�� ����� � ��� ��� � ��! 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In base a questo calcolo il partito del Berlusconi democristiano Renzi ottiene percentuali ben inferiori dal 41 (europee di Vicchio) al 45,3% (europee Borgo San Lorenzo), con l’eccezione delle comunali a Borgo San Lorenzo dove ottiene il 26,6%. Qui ha risentito della presenza a queste amministrative di ben tre liste civiche, una delle quali creata dalla lotta intestina nel vertice borghigiano di questo partito; vicenda che ha portato alla bocciatura alle primarie del “centro-sinistra” della candidata ufficiale del PD ed alla vittoria di Paolo Omoboni proveniente dal partito socialista. Anche nel Mugello il Movimento 5 stelle ha perso una fetta consistente di elettorato alle europee rispetto alle politiche 2013 con un - 6,5% sia a Vicchio che a Borgo S. Lorenzo. In quest’ultimo comune ha presentato anche un candidato alla carica di sindaco, Matteo Gozzi, risultato bocciato: anche in quest’ultimo caso i 5 stelle hanno perso sulle politiche con un -9,6%. Evidentemente tante illusioni riposte in questa forza stanno cadendo. Tonfo che appare ancora più forte di fronte alla supposizione che un certo numero di voti di elettorato dell’ultradestra, vista la mancanza di una lista neofascista in questa tornata, sia confluito sui pentastellati, vista la loro contiguità in occasione della battaglia di un anno fa contro il cosiddetto “sistema Forteto”, cioè la vicenda delle giovani vittime di soprusi nella cooperativa agricola che è stata al centro delle cronache nazionali. In caduta libera, sia alle europee che alle comunali, anche Forza Italia che rispetto alle due tornate elettorali corrispondenti del 2009 ha ridotto a circa un terzo l’elettorato di allora. Questo malgrado a Borgo S. Lorenzo abbia presentato un “volto nuovo” come candidato alla massima carica cittadina, Luca Ferruzzi, che in passato ha operato all’estero. Il PRC alle comunali di Vicchio non si è neanche presentato mentre ha dimezzato i propri voti alle comunali di Borgo rispetto a cinque anni fa. La lista “l’altra Europa con Tsipras”, nei due comuni, ha dimezzato i voti presi alle precedenti europee da PRC-Sinistra EuropaPdCI e da SEL. Ridotta al lumicino l’Italia dei Valori, poche decine di voti nei due comuni che nelle elezioni suppletive del ’97 videro diventare senatore il presidenzialista Di Pietro, allora candidato della coalizione di “centro-sinistra”. Stessa sorte è toccata a Scelta europea che ha perso gran parte dell’elettorato. A Vicchio è stato eletto sindaco Roberto Izzo candidato del PD e del PSI col voto del 43,44% dell’elettorato, ben lontano da quel vantato 73,15% calcolato sui soli voti validi. A Borgo S. Lorenzo è stato eletto Paolo Omoboni candidato del “centro-sinistra” col 41,41% sugli aventi diritto al voto. Costui è espressione del PSI che nel Mugello è capeggiato dal vice ministro Riccardo Nencini. È noto per il suo impegno con il comitato “Attaccati al treno” in “difesa” della linea ferroviaria Faentina e con l’AVIS locale. Ha dimostrato in questi anni di “impegno politico e sociale” di essere persona che sa quello che serve per arrivare al vertice delle istituzioni borghesi locali. Da notare che la lista “Borgo migliore”,che lo appoggia insieme a PD e SEL, è la sommatoria di una diaspora del PD locale con vecchi e giovani volponi del PSI craxiano locale ed elementi marcatamente di destra. È una lista nata in funzione di “raccogli preferenze” per costringere il PD ad essere minoranza all’interno della maggioranza. In seconda posizione si è classificato il candidato della Lista civica “Dal cuore di Borgo” l’insegnante Franco Frandi che, trombato anni fa dal PD locale, ritenta l’avventura con una lista civica formata in larga parte da suoi ex studenti. È celebre per la sua incoerenza politica e per il suo continuo smanettare per arrivare ad occupare una poltrona. Tanto che ha strombazzato “largo ai giovani” salvo candidarsi egli stesso a sindaco. Una mossa ben studiata per ottenere almeno un posto in Consiglio comunale, vista la riduzione imposta dalla legge del numero dei consiglieri. È un grande risultato questa avanzata dell’astensionismo, ancora più grande se si pensa che con l’abolizione della possibilità di affiggere sui tabelloni elettorali da parte di chi non presenta candidati è venuta meno la propaganda tramite manifesti del PMLI che dovevano essere affissi dalla Squadra di propaganda dell’astensionismo marxista-leninista del Mugello-Val di Sieve, cosa che ci ha fortemente penalizzati. Certo abbiamo realizzato i banchini tra la popolazione, però il danno c’è eccome, specialmente in zone dove leggere i manifesti è cosa ben radicata. Comunque, siamo fieri di aver dato il nostro contributo all’avanzata dell’astensionismo secondo le nostre possibilità. Al confine tra Marche ed Emilia-Romagna Elezioni comunali a Gabicce Mare L’astensionismo avanza e si conferma come primo “partito” (+6%) Dal corrispondente dell’Organizzazione di Gabicce Mare del PMLI Anche in questa tornata elettorale, con le poche forze a disposizione il PMLI ha propagandato l’astensionismo tattico marxista-leninista per le elezioni comunali di Gabicce Mare (Pesaro Urbino) diffondendo alcune centinaia di volantini in diverse zone della città come il mercato settimanale e il centro. Il primo “partito” a trionfare anche quest’anno l’astensionismo, che tra coloro che hanno disertato le urne, schede nulle e bianche raggiunge il 33,17% contro il 27,13% delle precedenti amministrative, quindi cresce del 6%. Le liste presenti invece non con- vincono le masse popolari che le sfiduciano; la lista “Gabicce Del Popolo” conquista solo il 7,66%, riferito all’intero corpo elettorale, la lista “Per Gabicce” 8,67%, il Movimento 5 Stelle 21,33%. Il “vincitore” ufficiale della tornata elettorale risulta essere la lista “Insieme Per Cambiare” col 29,18%. Dunque la sfiducia delle masse verso le istituzioni e i partiti borghesi continua ad aggravarsi ad ogni tornata elettorale; essa va indirizzata verso la costituzione delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, organismi che rappresenteranno veramente gli interessi delle masse e non della borghesia locale, regionale e nazionale! 12 il bolscevico / cronache locali Il sindaco M5S di Pomezia nega il dolce ai bambini più poveri Protestano i genitori e lo accusano di razzismo Una vera e propria misura di discriminazione classista è quella presa dal sindaco M5S di Pomezia (Roma), Fabio Fucci, che ha deciso che dal prossimo anno scolastico nelle mense delle scuole materne ed elementari del comune laziale in provincia di Roma compariranno due menù, uno meno costoso (4 euro) e uno più costoso (4,40 euro), uno senza e l’altro con la merenda, ossia un dolce. Come se non bastassero le discriminazioni di classe che i proletari adulti subiscono quotidianamente sulla loro pelle, così ora anche i figli dei più poveri sin dalla più tenera età dovranno subire sulla loro pelle l’umiliazione di un diverso trattamento per il semplice fatto che i loro genitori non sono in grado di pagare qualche soldo in più. L’indignazione dei genitori, che hanno vivamente protestato contro la decisione del sindaco, non è tanto per il mancato apporto nutritivo della merendina quanto per il valore sprezzante del gesto che, palesemente discriminatorio, è destinato a incidere negativamente anche sullo sviluppo psicologico dei bambini in così tenera età: e tale cultura discriminatoria portata avanti dal Movimento 5 stelle arriva al punto di far subire a dei bambini nell’età più delicata l’espe- rienza più terribile, quella della diseguaglianza sociale, e questo proprio nella scuola pubblica che dovrebbe invece garantire senza eccezioni un eguale trattamento degli alunni. Sotto accusa dev’essere anche il principio dell’autonomia scolastica che permette queste meschinità: non per nulla il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, interpellata sul caso, ha dichiarato che il fatto non la scandalizza per niente nell’ottica dell’autonomia scolastica. Scandalizzati e indignati sono invece i genitori dei bambini di Pomezia che hanno accusato di razzismo il sindaco che, per tentare di giustificarsi dalle accuse, sosteneva di averli informati preventivamente, fatto smentito però da molti di loro in interviste agli organi di informazione. Molti genitori del resto sono infuriati con Fucci anche per il drastico taglio dei percorsi effettuati dai pulmini scolastici, dal momento che per risparmiare denaro, il Comune ha preso la decisione di fare accompagnare i bambini non alla scuola effettivamente frequentata bensì a quella più vicina a casa loro, ma quel che è peggio è che la decisione era stata diffusa solo tramite internet, per cui moltissime famiglie non ne sapevano nulla. N. 26 - 3 luglio 2014 Tre sgomberi al giorno. Aumentano le occupazioni di case popolari sfitte Si aggrava l’emergenza casa a Milano Conseguenza della politica delle giunte comunale Pisapia e regionale Maroni che deviano sulla mangiatoia EXPO ingenti fondi utili all’edilizia residenziale pubblica Redazione di Milano Nella Milano amministrata dalla giunta arancione del neopodestà Pisapia l’emegenza casa è sempre più forte: aumentano gli sgomberi, che sono arrivati a una media di tre al giorno, ma anche le occupazioni “abusive”. Nel 2009 sono stati eseguiti 744 sgomberi, nel 2013 salgono a quota 1.135 (+150%). E quest’anno la faccenda non è migliorata: da gennaio a metà maggio sono stati 225 gli sgomberi andati “a buon fine” (più di uno al giorno), e 368 quelli falliti (per la resistenza degli occupanti - per far valere il proprio diritto all’abitare – opposta alla polizia in tenuta antisommossa), a cui se ne aggiungono altri 49 di occupazioni consolidate. A fronte di una domanda abitativa in crescita (attualmente sono 23.388 singoli o nuclei idonei in attesa di un’assegnazione) dimi- nuiscono gli alloggi messi a disposizione dall’Azienda lombarda edilizia residenziale (ALER, ex IACP, controllata dalla giunta regionale del dittatore fascioleghista Maroni): sui 40mila di cui è proprietaria ne ha messi a disposizione solo 22, mentre l’assessorato al demanio della giunta comunale di Pisapia ne ha liberati e assegnati 121 dei suoi 28mila. Davvero una minima parte, se si pensa che ALER e Comune hanno rispettivamente 5mila e 2.500 alloggi sfitti. La naturale conseguenza di ciò è l’aumento delle occupazioni “abusive”, dieci al giorno, circa. Intanto sono pronti 50 appartamenti da ristrutturare spettanti ai nuclei disposti a sostenere il costo degli interventi, da scalarsi successivamente dai canoni di affitto; l’ammontare dei costi arriva a 200mila euro, in media 4.000 per famiglia. La mafia avvelena la Puglia con rifiuti e discariche clandestine Dal nostro corrispondente della Puglia I numeri parlano chiaro: il 18,6% delle indagini nazionali sul traffico dei rifiuti riguardano la Puglia dove, dal 2002 sono state avviate più di 40 inchieste. Le dichiarazioni di Carmine Schiavone, “pentito” di camorra che ha vuotato il sacco sull’orribi- Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico” Indagato assessore regionale UDC per intrecci con le ‘ndrine calabresi dei Trematerra. Secondo gli inquirenti la cosca avrebbe avuto monopolio esclusivo nello spalamento della neve, nel taglio dei boschi, nella vendita del legname, nella gestione delle cave, nella gestione di servizi, nel controllo sulle ditte operanti, sempre le stesse, alle quali venivano di volta in volta affidati i servizi, anche grazie al prestito ad interessi altissimi agli imprenditori coinvolti e a loro collegati. Insieme a Trematerra sono indagati altri 16 imputati, con accuse di associazione mafiosa, concorso esterno, usura, estorsione, porto e detenzione illegali di armi, corruzione. Fra gli altri l’ex sindaco di Acri Luigi Maiorano e l’ex consigliere comunale dello stesso comune Angelo Gencarelli. Quest’ultimo, secondo l’ipotesi accusatoria del pubblico ministero Pierpaolo Bruni, oltre ad essere uno dei massimi esponenti del clan Lanzino, era segretario politico di Trematerra, un ruolo, secondo la DDA che gli avrebbe consentito di essere “elemento di darli nelle tangentopoli di EXPO, della Città della Salute e di altre inutili “grandi opere”), risanare e riusare vecchi edifici di proprietà del Comune e dell’ALER, forti agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa per le famiglie con un reddito medio-basso, abrogare la legge Zagatti 431 del 9 dicembre 1998 sulla liberalizzazione degli affitti, vietare gli sfratti fino a che non sia offerta un’adeguata abitazione alternativa. Inoltre che le amministrazioni comunali eroghino contributi economici per pagare l’affitto agli indigenti. Tuttavia, solo nel socialismo sarà effettivamente soddisfatto il bisogno abitativo mediante l’edilizia popolare, slegata dalle logiche di profitto capitalista, in grado di dare a tutti un adeguato alloggio in base al nucleo familiare e alle esigenze di ciascuno, senza lasciare case sfitte e mettendo fine alla piaga degli sfratti. I regali del capitalismo nella Puglia del rinnegato Vendola Corrispondenza delle masse Ennesima scottante inchiesta antimafia in Calabria che svela l’intreccio e il legame profondo fra le ’ndrine ed esponenti politici di spicco delle istituzioni locali, espressione della destra e della “sinistra” borghese nella martoriata punta dello Stivale. La Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Catanzaro sta indagando su Michele Trematerra (UDC), assessore regionale all’Agricoltura della dimissionaria giunta regionale del fascista malripulito, condannato e trombato alle ultime europee Giuseppe Scopelliti (NCD). Michele Trematerra (figlio di Gino Trematerra, anche lui dell’UDC di Casini, ex sindaco di Acri in provincia di Cosenza, ex senatore ed ex eurodeputato) è accusato di aver favorito la famigerata cosca dei Lanzino di Cosenza, una delle ’ndrine più potenti dell’intera Calabria, fino a far diventare alcuni dei suoi esponenti i veri e propri padroni di gran parte delle montagne del cosentino e dello stesso comune di Acri, feudo Quanto alle occupazioni, ALER invece se ne occupa creando una task-force per gli sgomberi a “tutela del patrimonio” e per “combattere la criminalità che sta dietro il racket delle occupazioni abusive”. Per eliminare il giro criminale che sta dietro parte delle occupazioni (un racket che fa pagare agli occupanti dei propri affitti, un racket che è utilizzato come pretesto dall’assessore al Demanio, Daniela Benelli, nell’avallare gli sgomberi polizieschi che buttano in mezzo a una strada intere famiglie occupanti senza che alla criminalità sia torto un capello) è necessario garantire legalmente il diritto alla casa per tutti eliminando lo sfitto, mediante l’obbligo per le amministrazioni comunali di requisire gli alloggi liberi da più di un anno e di darli in affitto a prezzi popolari, aumentare i finanziamenti pubblici destinati dal governo alla politica abitativa (piuttosto che dilapi- congiunzione tra l’associazione mafiosa in questione e le istituzioni pubbliche, quali la regione Calabria e gli Enti ad essa collegati e il comune di Acri; nonché soggetto in grado di condizionare, grazie al rapporto collusivo instaurato con pubblici funzionari, le scelte amministrative degli Enti appena richiamati e di orientarne le procedure amministrative riguardanti gli appalti pubblici di seguito indicati a favore di società o “cartelli” di società facenti capo ad imprenditori organici alla cosca”. Gencarelli viene dunque descritto nell’indagine come una sorta di braccio destro del reggente del clan Lanzino, Giuseppe Perri (condannato ad 8 anni e 4 mesi nell’ambito dell’inchiesta “Twister” condotta dalla Procura antimafia di Catanzaro contro un’organizzazione criminale che avrebbe gestito a Cosenza e in provincia, tra il 2001 e il 2004, un giro di estorsioni e di usura) e dall’altra come personaggio di piena fiducia di Michele Trematerra; quindi la sua è una posizione sintomati- ca dell’intreccio fra politica, istituzioni borghesi e ’ndrangheta in Calabria, una regione nella quale, si può dire, con una punta di amara ironia, “non si muove foglia che ’ndrangheta non voglia!”. Giordano - provincia di Cosenza le realtà causa di morte e malattia nonché inquinamento per intere regioni, ha dato ulteriore impulso all’attività di investigazione per scoprire ulteriori “tombamenti” ossia fosse e canali in cui, in barba a qualsiasi legge, sono stati accatastati e coperti con terra e sabbia interi bastimenti di rifiuti dei generi più disparati: dai rifiuti ospedalieri agli scarti di pellami, dai pneumatici usati ai cascami di gomma, materiale tessile, rifiuti ferrosi ed elettrodomestici. In combutta con la criminalità organizzata i pescecani capitalisti sono pronti a tutto, assieme ai politicanti borghesi locali, pur di mantenere alti profitti e prebende corruttive: tutto a scapito dell’agricoltura, dell’ambiente e delle masse popolari che così languono e si ammalano anche gravemente. Poco tempo fa sono stati scoperti rifiuti ammontanti a migliaia di tonnellate, provenienti da impianti di compostaggio e stoccaggio siti in Campania nelle province di Salerno, Caserta e Avellino. Si tratta persino di rifiuti speciali, pericolosi e tossici quindi, trasportati illegalmente verso la Puglia, a Ordona in provincia di Foggia: si stimano oltre 500.000 tonnellate di rifiuti (per dare un’idea della gravità di tali quantitativi, basti pensare che un’automobile mediamente pesa 1,5 tonnellate). Mostruose risultano le notizie che arrivano dalle zone promiscue a Brindisi: qui 13.000 tonnellate di fanghi tossici, provenienti da Taranto, sono state cosparse su terreni agricoli dove si coltivano frutta e ulivi. Ma non è tutto: il traffico capitalistico-mafioso dei rifiuti arriva persino ad esportarli illecitamente verso nazioni più povere spesso dominate dalle mafie e da oligarchi e tiranni senza scrupoli: nel porto di Bari sono state sequestrate 180 tonnellate di rifiuti diretti verso l’Europa dell’Est o l’Estremo Oriente. Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] a i v o m a i z z a Sp N. 23 - 12 giugno 2014 falsi comunisti / il bolscevico 9 PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it Stampato in proprio Solo il socialismo può cambiare l'Italia e dare il potere al proletariato Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) i n o c s u l r e B l e d o n r il gove i z n e R o n a i t s i r c o dem 14 il bolscevico / cronache locali N. 26 - 3 luglio 2014 Sempre più disoccupati toscani si rivolgono alla Caritas Dal corrispondente della Toscana La fotografia di povertà che emerge dal dossier 2014 della Caritas Toscana è agghiacciante. Un dossier che riguarda 152 centri di ascolto regionali con un totale di 25mila persone che si sono rivolte nel 2013 alla Caritas. Se da una parte si contrae il numero di nuove persone rispetto al 2012 con un -6,3%, dall’altra aumentano dal 53,4% al 59,7% le persone già conosciute, con il 20,7% che da almeno 6 anni si rivolge alla Caritas. Segno evidente dell’abbandono completo da parte delle istituzioni borghesi di coloro che si sono ritrovati a dover affrontare la pesante crisi economica capitalistica e che affannano o non si riprenderanno mai economicamente. A chiedere aiuto economico e sociale sono sia italiani che stranieri e in Toscana i primi sono i più numerosi che nel resto dell’Italia centrale (66,9%), oltre che nel Paese (61,8%). L’età media è di 43 anni, sia per gli uomini che per le donne, la media per gli italiani è di 50,1 anni, mentre per gli stranieri è di 39,6 anni. La causa principale di richiesta d’aiuto è la disoccupazione che nel 2012 ammontava al 74% del totale, mentre nel 2013 sale al 76,4% con un incremento che è il più alto dall’inizio della crisi. Chi ha una casa di proprietà non è immune dalla povertà e chi già da anni si rivolge alla Caritas generalmente vive in abitazioni precarie il 39,9% o ne è privo (il 9,6%) e si adatta in roulotte, baracche, case abbandonate, auto. Dati che fanno ben riflettere sull’ingiustizia economica e sociale perpetrata che il regime capitalistico riserva al proletariato e alle masse popolari. E mentre si allarga la forbice della disuguaglianza sociale, le politiche governative e delle amministrazioni locali tendono a ridurre ulteriormente persino quelle forme di assistenzialismo che finora rappresentavano una sorta di ultima spiaggia contro la povertà e che ora risultano del tutto inadeguate e inefficaci. A Firenze MANIFESTAZIONE DEI LAVORATORI ESAOTE CONTRO LO SPACCHETTAMENTO Solidarietà del PMLI Redazione di Firenze Mercoledì 18 giugno centinaia di lavoratrici e lavoratori dell’Esaote, importante eccellenza nel biomedicale, hanno manifestato per le vie del centro di Firenze in difesa del posto di lavoro. Insieme a loro sono scesi in piazza anche i lavoratori degli appalti delle pulizie e della mensa che lavorano all’interno dello stabilimento fiorentino in quanto, come affermato nel loro comunicato stampa, “la battaglia dei lavoratori Esaote non può che essere una battaglia comune che vede impegnati tutti i lavoratori a difesa dei posti di lavoro e dello storico stabilimento fiorentino”. Lo spacchettamento voluto dai vertici aziendali è la motivazione della giusta protesta che vedrebbe il coinvolgimento in Cigs di 120 lavoratori tra Firenze e Genova e la costituzione di due società sulle quali verranno inglobati 77 dipendenti a partire dal prossimo settembre, 76 esuberi di cui 31 a Firenze e il trasferimento di 22 in- gegneri a Genova, depotenziando il sito fiorentino di “know-how”, ovvero di conoscenza e modernità all’avanguardia. La protesta si rivolge anche contro la “sordità” della dirigenza aziendale che invece di avviare un tavolo di confronto che coinvolga lavoratori e sindacati, prosegue con le sue decisioni, ignorando del tutto le proposte che salverebbero tutti i posti di lavoro. Evidentemente Sergio Marchionne a.d. della Fiat insegna agli altri capitalisti, vedi l’Esaote, ma anche il recente accordo sempre a Firenze della GE Transportation (settore del treno), realtà del gruppo americano General Electric che recentemente con una mail indirizzata ai lavoratori informava della vendita dell’azienda alla francese Alstom, il tutto senza il minimo coinvolgimento dei lavoratori, dei sindacati e neanche dei dirigenti italiani. Per il 4 luglio prossimo è in programma un tavolo nazionale al È utile battersi contro lo stravolgimento della Costituzione da parte di Renzi? Vorrei sapere se ritenete utile portare avanti iniziative contro lo stravolgimento della Costituzione che il governo Renzi sta facendo a completamento di quelle già realizzate dai governi precedenti e se ci sono iniziative in tal senso. A me sembra che ciò sia necessario non solo ai fini della difesa dei diritti della persona, ma anche per difendere uno spazio di agilità politica da parte di chiunque. Mara – email Certo che sì, ma ci sembra che ormai i buoi siano scappati. Da tempo è stata fatta carta straccia della Costituzione democratico borghese e antifasci- Sono pronto a tornare in campo Firenze, 18 giugno 2014. Manifestazione di protesta dei lavoratori Esaote (foto Il Bolscevico) ministero dello Sviluppo Economico. Oltre ad esprimere sostegno e solidarietà ai lavoratori Esaote, come marxisti-leninisti li invitiamo a non abbassare la guardia e a proseguire la protesta, perché l’esempio emblematico dei lavoratori della Seves di Firenze, dimostra la politica antioperaia del Berlusconi democristiano Renzi. Cari compagni, ho alzato la vigilanza rivoluzionaria. Per quanto riguarda il lavoro di massa tra gli studenti, ho bisogno di qualche dritta. Sono pronto a tornare in campo per la causa del socialismo, più attivo che mai! Saluti marxisti-leninisti. Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Angelo – Palermo sta del 1948. Il nostro Partito e il nostro giornale l’hanno denunciato puntualmente, all’inizio da soli o quasi, ma mano che veniva compiuto lo scempio, e avanzava la riscrittura della Costituzione secondo il piano fascista della P2. Adesso Renzi e Berlusconi, con l’abolizione del Senato e la “riforma” del Titolo V, vi pongono il sigillo. Fino all’ultimo, comunque, è giusto e doveroso lottare, ma senza farsi illusioni costituzionali. La lotta va proseguita contro il regime neofascista e piduista e per l’abbattimento del governo del Berlusconi democristiano Renzi. “Anche per difendere uno spazio di agilità politica da parte di chiunque”, come lei dice. La Tasi nuova tassa ai danni delle famiglie La nuova tassa sulla casa, la Tasi, è una tassa che va a colpire l’abitazione principale fatta con tanti sacrifici dalle famiglie italiane. Si tratta di una vera vergogna, di una presa di giro, dove il governo con una mano ha dato la mancia di circa 80 euro per prendere i voti e con l’altra svuota le tasche delle famiglie con la Tasi. Ai politicanti borghesi basta avere la poltrona e lo stipendio e basta. Questa è l’Italia e non è messa molto bene. Adolfo Sasso - Vicopisano (Pisa) Campi Bisenzio (Firenze) Le inadempienze del sindaco di Catania Presidio contro i licenziamenti voluti Enzo Bianco (PD) dalla Pam Panorama Il PMLI solidarizza Campi Bisenzio (Firenze), 22 giugno 2014. Un momento del presidio organizzato dall’USB contro i licenziamenti (foto Il Bolscevico) Redazione di Firenze Le lavoratrici e i lavoratori della Pam Panorama, organizzati dall’USB, hanno manifestato domenica 22 giugno davanti all’ingresso del grande centro commerciale di Campi Bisenzio, contro i 47 licenziamenti dichiarati dall’azienda a livello regionale, di cui 16 nel punto vendita di Campi, le decisioni di fare lavorare tutte le domeniche e la mancata apertura di un tavolo di confronto che coinvolga lavoratori e sindacato. I marxisti-leninisti fiorentini sono solidali con i lavoratori della Pam in lotta, in difesa del posto di lavoro e contro lo sfruttamento da parte dell’azienda. Il sindaco di Catania, Enzo Bianco, a capo dell’amministrazione “progressista” ha pubblicato un e-book ad uso dei catanesi, nel quale si autoglorifica per 124 cose fatte in un anno di sindacatura, ma omettendo di comunicare di non avere neppure messo mano a nessuna delle emergenze dei suoi concittadini: comunitari, indigeni ed “extra-comunitari”. Il liberista Bianco, ha gettato la maschera, attivando una politica in favore di chi sta bene economicamente e dei cavalieri della finanza speculativa/ imprenditoriale. L’attuale manutentore di Catania non si cura e disattende alle emergenze/sofferenze di cittadini sotto sfratto(circa 2.000), della mancanza della casa per 15.000 famiglie che da anni attendono che venga loro assegnata la casa popolare, delle sanatorie della pre-oasi del Simeto, della mancanza di un progetto di riqualificazione/ripristino del centro storico e delle zone riperimetrate. I catanesi non possono avere questi finanziamenti regionali perché il sindaco Bianco non ha redatto e presentato il piano particolareggiato. Per l’emergenza migranti il comune deve attingere ai ricavi delle tasse dei cittadini in quanto c’è l’impossibilità di accedere ai fondi del programma nazionale SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) da tempo operativo finanziariamente, ma Bianco, non avendo redatto e presentato il progetto finalizzato e comprensivo dell’integrazione con il territorio di fatto sottrae queste risorse ai migranti, penalizzando i cittadini incolpevoli! A Catania c’è una emergenza casa che registra 2.000 sfratti esecutivi e 15.000 famiglie in attesa di assegnazione di casa popolare. In merito corre l’obbligo ricordare che anni fa (2006-2010) la GdF ha eseguito un’indagine molto circostanziata, che coinvolgeva sia il segretario provinciale del SICET-CISL di Catania sulla gestione molto “familiare” dell’IACP, sia i vertici dell’istituto per “convivenza” speculativa in favore di dipendenti e familiari per l’assegnazione e/o la vendita degli alloggi popolari. Il processo è ancora in corso, ma i dirigenti dell’istituto, sia quelli andati in pensione che quelli ancora in servizio, come anche il segretario sindacale, non hanno a loro carico sanzioni e/o sospensioni di sorta alcuna. Da notare come a tutt’oggi le varie associazioni politiche, richiamandosi al bene comune dei cittadini, seguono stancamente e con distanza gli accadimenti giudiziari in corso d’opera. Il “progressista” Bianco ha dribblato su finanziamenti cui non si può accedere perché il comune non ha presentato i progetti previsti per legge relativi alle emergenze del lavoro agricolo. C’è una carenza di progetti mirati, come sul diritto alla casa in merito a interventi di bonifica/ristrutturazione/ riqualificazione del centro storico della città. Se si desse seguito al finanziamento regionale si consentirebbe ai cittadini di costituirsi in cooperativa di produzione e lavoro e quindi di autogestire il finanziamento, contraendo contratti chiavi in mano con ditte edili, oppure assumendo temporaneamente la manovalanza qualificata per l’esecuzione dei lavori nel rispetto del progetto del comune. Ma la giunta Bianco non è interessata a produrre un progetto mirato, utilizzando al meglio il fi- nanziamento regionale, in quanto ha già deliberato, con il concorso finale del consiglio comunale, il progetto “Stella polare”, che interessa il litorale ove insiste la sabbiosa spiaggia di Catania e che cementificherà ulteriormente la città, con la costruzione di unità abitative su terreni agricoli da tempo acquistati a prezzi irrisori da coloro che in silenzio hanno beneficiato di una più che benevola variazione di destinazione d’uso. I sindacati edili non hanno minimamente contestato questo piano/progetto speculativo presentato da una società che ha un capitale sociale di 50.000 euro a fronte di un investimento che contabilizza 500.000 euro, escludendo gli oneri di urbanizzazione e le opere connesse che non saranno in carico alla società titolare del programma. Il sindaco Bianco prima delle elezioni aveva tuonato contro questa operazione attivata dall’ex-sindaco di Forza Italia Stancanelli ma dopo è cambiato tutto. Come mai? Da un simpatizzante della Cellula “Stalin” della provincia di Catania del PMLI esteri / il bolscevico 15 N. 26 - 3 luglio 2014 Agli ordini delle multinazionali La Ue da’ via libera alle coltivazioni transgeniche I singoli Stati membri hanno però il diritto di vietarle su una parte o sulla totalità del proprio territorio nazionale Il Consiglio Ambiente dell’Unione europea ha raggiunto il 12 giugno scorso l’accordo politico sul testo predisposto dalla Presidenza greca sulla proposta della Commissione di modifica della Direttiva 2001/18/CE, nella parte che riguarda la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm) sul loro territorio, decidendo che la materia non è di competenza dei regolamenti comunitari e demandando la decisione ad ogni stato membro. Il testo approvato al consiglio Ambiente dovrà tornare al Parlamento europeo per la seconda lettura. Il compito di autorizzare l’utilizzo di sementi geneticamente modificate tocca alla Commissione, una volta sentito il parere dell’agenzia alimentare europea, che ha sede a Parma. Finora Bruxelles ha autorizzato la coltivazione di mais e di un tipo di grano prodotto dalla multinazionale Monsanto. Molti Stati membri, tra cui l’Italia, si sono rifiutati di applicare la decisione della Commissione, anche se le ragioni del rifiuto legate alla tutela della salute erano regolarmente respinti dall’Agenzia alimentare che li riteneva ingiustificati. Negli ultimi anni le multinazionali del settore hanno intentato cause e presentato ricorsi alla Commissione, che non riusciva a imporre ai governi la liberalizzazione delle culture autorizzate anche perché alcuni paesi contrari agli ogm riuscivano a bloccare ogni decisione determinante del Consiglio europeo. L’accordo raggiunto dai ministri dell’Ambiente, se confermato dal Parlamento, consentirà di superare questa situazione di stallo, facilitando le coltivazioni transgeniche. Se l’Efsa (European Food Safety Authority) e la Commissione esprimeranno un parere negativo su un Ogm, nessuno Stato membro potrà farne utilizzo. Viceversa, se si esprimono favorevolmente approvando un Ogm, ogni Stato membro dell’Unione Europea può scegliere se accogliere la decisione o vietarne l’utilizzo sul proprio territorio, oppure di limitarlo ad alcune aree geografiche adducendo motivazioni relative all’uso dei suoli, alla tutela ambientale, all’impatto socio economico, alla pianificazione territoriale o all’esigenza di evitare contaminazioni. La definizione di una lunga lista delle motivazioni contrarie all’uso degli Ogm non tranquillizza affatto gli ambientalisti che chiedevano “una base legale più solida, capace di garantire che le valutazioni di impatto su ambiente e salute non siano basate unicamente sui dati forniti dalle stesse aziende biotech che richiedono la vendita o coltivazione degli Ogm”. Erano le stesse perplessità espresse dai ministri di Belgio e Lussemburgo che si sono astenuti sull’accordo denunciando “il ruolo troppo rilevante lasciato alle industrie di biotecnologie” che potranno esercitare pressioni sui governi nazionali. Secondo le organizzazioni Greenpeace e Slow Food il testo attuale “rischia di trasformarsi in una trappola per i paesi che non vogliono gli ogm”, dato che “il testo dà poche garanzie di reggere in sede legale. Quei paesi, come l’Italia, che vogliono dire no agli ogm sarebbero esposti alle ritorsioni legali del settore biotech”. Questo testo, sostengono le due organizzaioni, “impedisce agli Stati membri di utilizzare le motivazioni legate ai rischi per salute e l’ambiente derivanti da colture ogm per limitarne la coltivazione a livello nazionale”. Senza contare che gli Stati non hanno tutti pari forza legale e pari capacità di negoziazione e una decisione come questa può significare la consegna degli Stati più deboli ai voleri delle multinazionali. L’Europa coltiva legalmente Ogm dal 1996 su una piccolissima percentuale, lo 0,03%, della superficie coltivata. Il paese che più ne coltiva è la Spagna e l’unico prodotto che si coltiva in quantità significative è il mais. Il grano geneticamente modificato è coltivato liberamente in Spagna, Portogallo, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca. Una situazione rimasta per quasi venti anni invariata e che potrebbe essere modificata a vantaggio della multinazionali capitaliste dall’intesa dei ministri dell’Agricoltura del 12 giugno. Tra Hamas e Fatah Costituito un governo di “consenso nazionale” nei Territori occupati Il nuovo governo di “consenso nazionale” palestinese, presieduto da Rami Hamdallah, e appoggiato esternamente da Hamas e Al Fatah ha giurato di fronte al presidente Abu Mazen lo scorso 2 giugno nella Muqata, il parlamento, a Ramallah. Si tratta di un esecutivo tecnico provvisorio, formato da 17 ministri indipendenti, guidato dal premier Rami Hamdallah, che avrà come compito principale quello di organizzare e gestire le elezioni presidenziali e quelle politiche nei territori occupati entro la fine del 2014. Dei 17 convocati, 5 non hanno potuto partecipare alla cerimonia del giuramento, perché dovevano venire da Gaza ma le autorità sioniste non hanno concesso loro il permesso di recarsi in Cisgiordania. La formazione del nuovo esecutivo segna la ricomposizione della frattura di sette anni fa quando Abu Mazen e Fatah, sotto la pressione degli imperialisti e dei sionisti, mollarono il governo presieduto dall’esponente di Hamas Ismail Haniyeh che nel 2006 aveva vinto le prime elezioni nei territori occupati. E Hamas cacciò i rappresentanti di Fatah dalla striscia di Gaza. L’unico governo Critiche da sinistra. Il sionista Netanyahu annuncia misure punitive e mette a ferro e fuoco la Cisgiordania alla ricerca di tre giovani dispersi palestinese finora eletto è rimasto in carica fino all’1 giugno quando Haniyeh ne ha annunciato lo scioglimento. Era stato lo stesso ex premier palestinese ad annunciare lo scorso 23 aprile la conclusione dei colloqui fra Hamas e una delegazione di Fatah su un progetto di “riconciliazione nazionale” che prevedeva la formazione di un nuovo esecutivo. In risposta il premier sionista Netanyahu convocava il gabinetto di guerra e decideva l’adozione di nuove sanzioni economiche contro l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Già il regime di Tel Aviv ha bloccato i trasferimenti di tasse e dazi doganali per un valore di cento milioni di dollari al mese all’Anp, per rappresaglia dopo le recenti richieste di adesione dello Stato palestinese a 15 trattati e convenzioni internazionali. Il blocco dei trasferimenti all’Anp è stata una delle spinte alla “riconciliazione nazionale” per lo screditato Abu Mazen, che si è legato mani e piedi alla trappola del fallimentare, per i palestinesi, “processo di pace” determinato da imperialisti e sionisti. Hamas è rimasta orfana dell’appoggio della Fratellanza musulmana in Egitto, con entrambe le organizzazioni dichiarate fuorilegge dal Cairo, e sembra puntare sulla pacificazione nazionale per uscire dall’isolamento. Hamas e Fatah ritentano la strada che fallì dopo l’accordo del 4 maggio 2011 che prevedeva la formazione di un governo congiunto e la preparazione di elezioni parlamentari e presidenziali in 8 mesi. “Oggi con la formazione di un governo di consenso nazionale - ha affermato il presidente Abu Mazen il 2 giugno - annunciamo la fine di quelle divisioni in seno al popolo palestinese che hanno danneggiato la nostra causa nazionale”; questo “è il governo di tutto il popolo palestinese”, commentava un portavoce di Hamas, formato da “tecnici” e non da esponenti ufficialmente delle due organizzazioni. Il presidente dell’Anp e leader di Fatah Abu Mazen “ha formato un governo di tecnocrati che non include membri di Hamas. Pertanto, alla luce di quello che sappiamo, lavoreremo con questo governo” affermava un portavoce del dipartimento di Stato americano. Precisando che gli aiuti economici, che tenevano in vita l’amministrazione collaborazionista dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), “saranno calibrati sulla base delle azioni dell’esecutivo”. “Un governo palestinese di vera unità nazionale deve puntare ad avere una piattaforma politica riconosciuta e accettata da tutto il nostro popolo nei Territori occupati e in esilio e non cercare il consenso degli Usa”, denunciava il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che pure ha appoggiato la riconciliazione nazionale. Il nuovo governo di Ramallah, criticava l’organizzazione palestinese, mantiene inoltre gli impegni di cooperazione sulla sicurezza con Israele e alle condizioni poste da Stati Uniti ed Europa. Impegni che hanno definito la collaborazione tra i servizi segreti dell’Anp e quelli sionisti che hanno riempito le carceri di Tel Aviv di dirigenti, militanti e simpatizzanti di Hamas in Cisgiordania. La conferma nella cronaca degli ultimi giorni dopo la scomparsa di tre giovani israeliani mentre facevano l’autostop nel blocco colonico illegale di Gush Etzion, in piena area C dei territori occupati sotto totale controllo militare israeliano, e la conseguente caccia all’uomo scatenata dai sionisti contro militanti e dirigenti di Hamas, accusata del rapimento. Nella Cisgiordania messa a ferro e fuoco, i soldati sionisti hanno ucciso una decina di palestinesi; al 24 giugno i palestinesi arrestatati erano quasi 400, dei quali 300 vicini ad Hamas, chiusi nella prigione di Ofer, o meglio in “detenzione amministrativa”, la formula che permette alle autorità sioniste di tenere in carcere i palestinesi a tempo indeterminato. L’intervento dell’esercito di Tel Aviv ha innescato le proteste palestinesi in tutta la Cisgiordania, protesta e rabbia dirette anche contro la complice Anp e il presidente Abu Mazen che anche nella recente visita in Arabia Saudita ha riaffermato la volontà di cooperare con le forze di sicurezza sioniste. E il 23 giugno, dopo l’ennesimo raid dei soldati nel centro di Ramallah, tra l’altro a breve distanza dal quartier generale di Abu Mazen, decine di giovani hanno preso a sassate una sede della polizia dell’Anp. In Russia Nell’ambito delle manifestazioni per le ricorrenze della Seconda Guerra Mondiale dei primi di giugno il presidente russo Vladimir Putin aveva proposto di far decidere agli abitanti di Volgograd se tornare alla precedente denominazione di Stalingrad legata all’omonima famosa e decisiva battaglia per le sorti della guerra. Sulla scia della proposta di Putin si è inserito il leader del partito revisionista russo Gennady Zyuganov che ha proposto un referendum per ripristinare anche il precedente nome di San Pietroburgo, Leningrad. A favore del ritorno ai precedenti nomi si è espressa anche la Chiesa ortodossa russa. San Pietroburgo, l’ex capitale degli zar ribattezzata Leningrado, aveva ripreso il vecchio nome dopo il crollo dell’Urss, nel 1991. La città intitolata a Stalin aveva mantenuto il suo nome fino al 1961, modificata in Volgograd dopo il controrivoluzionario XX Congresso del Pcus dal revisionista Nikita Kruscev; ancor prima si chiamava Zarizin, re- Proposti referendum per ripristinare i nomi di Stalingrado e Leningrado sidenza ufficiale dello “zarevic”, l’erede al trono di “tutte le Russie”. Precedenti proposte di referendum per ripristinare le denomina- zioni di Stalingrado e Leningrado erano state osteggiate e bocciate dal governo di Mosca. La posizione espressa da Putin sulla possibi- lità del cambio del nome potrebbe questa volta portare ai referendum nelle due città. Iniziative che nascono escluVolgograd. Il Monumento ai martiri di Stalingrado e della guerra patriottica contro l’aggressione nazifascista. La città ha ripreso il nome di Stalingrado ai primi febbraio 2013, per una settimana, in occasione del 70° anniversario della vittoria sull’esercito fascista, dopo che negli anni Sessanta era stata ribattezzata come Volgograd 7 Novembre 1917 (25 Ottobre 1917). L’assalto al Palazzo d’inverno a Pietrogrado che segnò la presa del potere da parte del proletariato russo. Successivamente, dal 1924 al 1991, verrà ribattezzata in onore a Lenin, Leningrado sivamente dalla volontà di Mosca di sostenere la forza del crescente nazionalismo, rispolverato da Putin ben prima dell’inizio della cri- si ucraina allo scopo di rilanciare l’imperialismo russo nell’arena mondiale nella contesa con i concorrenti imperialisti. Facendo comunque leva su Lenin e Stalin che evidentemente non sono stati dimenticati dal popolo russo; altrimenti una volta cancellati sarebbero finiti nel dimenticatoio. 2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI N. 23 - 12 giugno 2014 il governo del Berlusconi democristiano Renzi per l’Italia unita, rossa e socialista Stampato in proprio LAVORO STABILE AI GIOVANI Spazziamo via PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it
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