N.26 data editoriale 3 luglio 2014

Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 26 - 3 luglio 2014
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Trasformare
il proletariato
in classe
Ricordate il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, che parla di
trasformazione del proletariato in classe mediante il progressivo sviluppo non soltanto
della sua unità, ma anche della sua coscienza.
(Lenin, “Imparate dai nemici”, 18 novembre1905, Opere complete,
Editori Riuniti, vol. 10, p. 50)
Rinnovando la sua fiducia a Renzi
Marchionne:
Spero che il mio
modello sia adottato
dalla “nuova Italia” e
dalla “nuova Europa”
I passi fatti da Renzi vanno nella direzione giusta
Minaccia chi sciopera: “Macchiate
l’immagine dell’Italia” PAG. 2
STUDIARE, CAPIRE, AGIRE
PAG. 5
Inchiesta di Save the Children
260mila schiavi
dai 7 ai 15 anni in Italia
PAG. 2
Sciopero generale nazionale dei dipendenti pubblici indetto dall’USB
Migliaia in piazza per dire
No alla controriforma della
pubblica amministrazione
PAG. 2
Il consiglio dei ministri accelera il processo di privatizzazioni
Il governo Renzi
svende Poste e Enav
Allarme del Censis: amianto e muri che cadono
Il 60% delle scuole non
sono sicure
inadeguato e parolaio
il piano di Renzi
PAG. 6
PAG. 5
Una messinscena di Renzi
Via i segreti sulle stragi?
Siamo proprio sicuri?
Aprire gli archivi del Quirinale e di tutti gli apparati
civili e miliare dello stato
PAG. 8
Bersani: “Il percorso di avvicinamento tra SEL e PD è maturo”. Delrio: “Chi vuole entrare nel PD lo faccia”
Sel si spacca sugli 80 euro
Ma la crisi del partito
e’ piu’ profonda
Migliore, capo dei filo PD, si dimette da capogruppo dei deputati del
partito. Già due deputati di SEL sono passati al PD
I falsi comunisti di un tempo alla fine si
autosmascherano
PAG. 4
Corrispondenza delle masse
Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che
le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico”
Le inadempienze
del sindaco di
Catania Enzo
Bianco (PD)
Da un simpatizzante della Cellula “Stalin
della provincia di Catania del PMLI
PAG. 11
Il controsemestre popolare e di lotta
Iniziativa lodevole
e utile, piattaforma
condivisibile. Ma l’UE
imperialista va distrutta
e il governo Renzi va
abbattuto
PAG. 3
Elezioni europee e amministrative
Analisi del voto
in Mugello
e a Gabicce Mare
PAG. 11
2 il bolscevico / interni
N. 26 - 3 luglio 2014
Sciopero generale nazionale dei dipendenti pubblici indetto dall’USB
Migliaia in piazza per dire No alla
controriforma della pubblica amministrazione
Per dire il proprio No alla controriforma della pubblicazione
amministrazione (P.A.) presentata
dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, migliaia di lavoratrici e lavoratori pubblici si sono
riversati nelle piazze di 13 città
della penisola con manifestazioni
regionali per aderire allo sciopero
generale nazionale di 24 ore indetto dall’Unione sindacale di base
(USB) per il 19 giugno
Alte le adesioni negli uffici pubblici di Agenzie Fiscali, Enti Locali, Ministeri, Parastato (tra cui, Inps,
Inail, Aci, Cri), Presidenza del Consiglio, Ricerca, Scuola, Università,
Vigili del Fuoco, operatori della Sanità, con una consistente rappresentanza dell’Istituto Superiore di Sanità recentemente commissariato.
La fortissima presenza in piazza dei
precari dimostra come essi abbiano
ben compreso che, al di là dei proclami, la “riforma” riserva loro concrete prospettive di licenziamento
senza nessuna possibilità di stabilizzazione.
Cortei a Roma, Milano, Geno-
Inchiesta
di Save the Children
Sono drammatici i dati sullo
sfruttamento lavorativo dei minori
in Italia presentati in occasione della giornata mondiale contro il lavoro
minorile da Save the Children.
Secondo i dati raccolti dall’organizzazione non governativa,
nel nostro Paese viene costretto
a lavorare, nell’età compresa tra
i 7 e i 15 anni, un minore su 20,
ossia 260mila, corrispondenti al
7% della popolazione di questa
fascia di età. Di essi il 73% è di
origine italiana, mentre il 27% è
costituito da ragazzi e bambini
stranieri, soprattutto di origine rumena, albanese o maghrebina.
Il 66% dei 260mila ragazzi
ha effettivamente lavorato prima
va, Napoli, Catanzaro, Torino, Palermo, Firenze, Bari, Potenza, Bologna, Venezia e Cagliari, contro
la riforma della Pubblica Amministrazione, la mobilità selvaggia,
l’attacco ai diritti sindacali e per la
riapertura dei contratti economici, la stabilizzazione dei precari,
la reinternalizzazione dei servizi
e del personale, “per una Pubblica Amministrazione al servizio
dei cittadini e non delle imprese”,
scrive l’Usb.
Una risposta forte di lotta contro i pesantissimi e sanguinosi
provvedimenti, presentati ipocritamente dalla ministra Madia come
lo “svecchiamento” necessario nella P. A. e il “toccasana” della sburocratizzazione: Ma niente di tutto questo anzi, una controriforma
piduista e neofascista che attacca i
lavoratori pubblici e i sindacati. Di
fatto si tratta di un vero e proprio
smantellamento dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione, i settori dove Renzi e Padoan,
appena varato il Def annunciarono di recuperare “circa 10 miliardi
19 giugno 2014. Una delle 13 manifestazioni regionali organizzate dalla USB
contro la riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi. Qui siamo
a Bologna. Sullo striscione, oltre a Renzi, c’è la ministra Madia
l’anno” con una “riduzione permanente della spesa pubblica”.
A Roma circa 5.000 manifestanti hanno raggiunto in corteo il
ministero della Funzione Pubblica. “Giù le mani dal lavoro e dai
servizi pubblici” era lo striscione di apertura. In piazza anche “I
precari di Casa Renzi”, lavoratori
della presidenza del Consiglio in
presidio venerdì scorso davanti a
Montecitorio.
A Genova: “Se Renzi è la risposta allora la domanda è sbagliata”. Dietro questo striscione i
lavoratori delle partecipate, delle
cooperative e dei servizi in appalto hanno manifestato con un corteo che ha attraversato le vie del
centro cittadino per raggiungere la
sede della Regione in Piazza De
Ferrari. Presenti anche delegazioni di lavoratori di La Spezia, Savona e Imperia, e delle aziende
partecipate genovesi.
Oltre mille a Milano, a piedi e
in bicicletta, hanno fatto tappa nei
punti nevralgici della città (dalla
Croce Rossa alla sede dell’Expo),
in particolare strutture sanitarie
dove si registrano tagli al personale e attacchi ai diritti di lavoratori e lavoratrici, bloccando infine,
la stazione ferroviaria Cadorna.
“Dopo l’occupazione del Pirellone dello scorso 14 maggio era necessario dare un altro segnale forte
e dire basta al blocco dei contratti
che ormai va avanti dal 2009”.
Circa mille anche a Bologna,
dove ha sfilato “la Rabbia Giusta”
dei lavoratori contro i pesantissimi
tagli ai servizi, ai posti di lavoro
e alle condizioni di vita dei pubblici dipendenti; altrettanti in corteo a Napoli, confluiti poi sotto la
Prefettura. Al contrario di quanto
affermato dal Ministro Madia nel
Def 2014 si legge chiaramente che
la parte economica dei contratti
resterà bloccata fino al 2020.
A Bari è stato allestito il “treno
della protesta”, che in un tour immaginario tra “i ruderi dello stato
sociale”, ha raggiunto diversi edifici pubblici (Inps, Inail, Rai, Presidenza della Regione). Numerosi
i lavoratori uniti nella lotta alla popolazione.
A Catanzaro, occupati gli uffici del dipartimento Controlli Amministrativi della Regione Calabria. Un centinaio di lavoratori si
è dato appuntamento per dare vita
ad un presidio itinerante con volantinaggio.
Affollate manifestazioni anche
a Venezia, con corteo nelle calli
presso la sede della Regione Veneto, ed a Torino, Firenze, Palermo e Cagliari.
Una giornata di lotta che, secondo l’Usb, ha gettato le basi per
la prossima tappa del 28 giugno
2014, giorno della mobilitazione
generale per l’avvio del Controsemestre Europeo.
260mila schiavi dai 7 ai 15 anni in Italia
dei 16 anni, oltre il 40% ha avuto
esperienze lavorative al di sotto dei 13 anni e l’11% ha svolto
delle attività persino prima degli
11 anni. Il minimo comune denominatore di questo ingresso prematuro nel mondo del lavoro è la
povertà delle loro famiglie: il 60%
dei minori inizia a lavorare per affrontare le spese che la famiglia
di appartenenza non può sostenere, e il rimanente 40% lo fa per
aiutare la propria famiglia che si
trova comunque in difficoltà, il
60% dichiara di aver lavorato per
altre persone mentre solo il 21%
ha lavorato per i propri genitori e
il 18% per dei familiari.
Il settore economico dove lo
sfruttamento lavorativo dei minori è più diffuso è quello della
ristorazione (21%) dove nei bar,
ristoranti, alberghi, pasticcerie e
panifici non è infrequente trovare ragazzi dai 7 ai 15 anni, come
anche nel settore del commercio
(17%) dove i giovanissimi sono
impiegati ai mercati generali o
nella vendita ambulante, segue
l’edilizia dove i ragazzi sono impiegati anche in attività assolutamente inadeguate per loro, come
le mansioni di manovale, imbianchino o carpentiere, e diffuso è il
lavoro minorile anche nel settore
agricolo dove i giovanissimi fanno gli operai addetti alla raccolta
e lavorano nel maneggio degli
animali, spesso anche in condizioni di pericolo.
Il 71% dei ragazzi intervistati ha dichiarato di aver lavorato
quasi tutti i giorni in modo continuativo e il 43% per più di 7 ore
di seguito al giorno, mentre il 52%
ha lavorato di sera o di notte.
Alla piaga di questa forma di
schiavitù si aggiunge poi l’abbandono scolastico che spesso
significa interrompere le scuole medie o, nei casi più gravi, le
elementari e condannare questi
ragazzi non solo all’ignoranza ma
anche metterli a rischio di cadere,
soprattutto in certe zone del meridione, tra le mani della criminalità organizzata.
Due immagini dello sfruttamento dei minori in Italia
Rinnovando la sua fiducia a Renzi
Marchionne: Spero che il mio modello sia adottato
dalla “nuova Italia” e dalla “nuova Europa”
I passi fatti da Renzi vanno nella direzione giusta
Minaccia chi sciopera: “Macchiate l’immagine dell’Italia”
Elogi a Renzi e al suo governo,
minacce agli operai che scioperano. Questo in estrema sintesi il
succo delle ultime affermazioni
dell’amministratore delegato della
Fiat e del gruppo automobilistico
FCA. Davanti alla platea veneziana
della riunione del Consiglio per le
relazioni Italia-Usa, Marchionne si
è autoproclamato portatore di un
nuovo modello economico-sociale
per l’Italia e per l’Europa. Niente
di nuovo, ovviamente, ma solo la
riproposizione di quelle relazioni
di stampo mussoliniano che ha instaurato nelle sue fabbriche, quel
famigerato “modello Marchionne”
fin da subito appoggiato dai sindacalisti crumiri Bonanni e Angeletti che quando lo accettarono
lo giustificarono come transitorio
e specifico per la realtà di Pomigliano e che invece, com’era prevedibile, è diventato un modello
da seguire per tutti i padroni, e
addirittura adesso Marchionne lo
vorrebbe esportare all’intera Italia
ed Europa.
Un modello, tanto per rinfrescarsi la memoria, che si rifà direttamente alle relazioni industriali
del ventennio fascista che preve-
dono, oggi come allora, un sindacato corporativo che abbia come
unico scopo quello di incanalare i
lavoratori alla più completa subordinazione verso il proprio padrone
in fabbrica, favorendo e collaborando così al loro stesso sfruttamento, con lo scopo di aiutare e
sostenere la borghesia italiana e il
suo Stato nella guerra economica
( ma all’occorrenza anche militare)
con gli altri Paesi. Le organizzazioni
che non sono d’accordo vengono
espulse dall’azienda e alla prima
occasione, anche i lavoratori che
non si piegano ai diktat padronali.
Lo stesso Ad rivela che la Fiat
è uscita da Confindustria per “liberarsi dei rimasugli dei contratti nazionali”, per parlare direttamente
con i “nostri” sindacati (quelli che
dicono sempre sì) e ai lavoratori,
evidentemente da una posizione
di maggiore forza. Questa rottura
- afferma senza modestia - ha creato un nuovo sistema di relazioni
sindacali “che ci auguriamo possa
servire da modello per una nuova
Italia e per una nuova Europa”. E
qui entra in scena il suo compare
Renzi. Per Marchionne il Berlusconi democristiano del PD ha
tutte le caratteristiche per portare
avanti la sua “filosofia” nelle istituzioni italiane ed europee, grazie
alle sue caratteristiche autoritarie
e fasciste di “uomo forte che parla
direttamente al popolo” come lui ai
suoi operai.
Dopo l’appoggio del presidente
di Confindustria Squinzi, Renzi incassa anche quello di Marchionne,
il che dovrebbe far riflettere quella
parte di elettorato di sinistra che in
buona fede ripone ancora fiducia
nel presidente del Consiglio. Del
resto i due sono sintonizzati sulla
stessa lunghezza d’onda e alcuni
piccoli screzi iniziali non hanno intaccato la loro attrazione reciproca.
“Dell’articolo 18 me ne può fregà
di meno”, “io sto con Marchionne”
sono solo alcune eloquenti affermazioni di Renzi. “Bisogna appoggiare il governo Renzi”, “Renzi ha
detto esattamente quello che volevo sentire”, gli ha fatto eco Marchionne.
Tutt’altro tono invece quello
usato nei confronti dei lavoratori
della Maserati, da lui definiti “colleghi”. Chissà cosa avranno in
comune chi si ammazza di lavoro
e prende uno stipendio di poco
Massa, 28 gennaio 2011. Manifestazione toscana per lo sciopero generale indetto dalla Fiom. Al centro il cartello del PMLI contro il nuovo Valletta Marchionne (foto Il Bolscevico)
superiore a 1.000 euro con chi
guadagna 6 milioni di euro all’anno? I lavoratori dello stabilimento
di Grugliasco hanno avuto la colpa di aver osato scioperare contro
i durissimi ritmi di produzione ma
la contestazione organizzata dalla
Fiom a suo dire è “incomprensibile,
irrazionale e ingiustificata” e “non
ha offerto dell’Italia l’immagine che
- Marchionne e Renzi - vorrebbe-
ro portare nel mondo, quella di un
Paese serio e di grande valore”.
Chiude la sua lettera cercando di
mettere i lavoratori gli uni contro li
altri e minacciando apertamente i
promotori dello sciopero.
Vergognoso è l’aggettivo più
adatto per descrivere la risposta
della Cisl che si è subito prostrata
ai piedi del padrone respingendo
le accuse poiché il sindacato di
Bonanni, effettivamente, ha sempre detto sì alla Fiat ed è stata
più esplicita di Marchionne accusando la Fiom di “comportamento
irresponsabile”(sic). Più cauta la
Uil, anch’essa pronta a obbedire
al capo della Fiat ma a cui chiede
dignità e rispetto, anche economico, verso i lavoratori. Insufficiente
e sulla difensiva la reazione della
Fiom, sia a livello aziendale e soprattutto per bocca di Landini.
Nella sua lettera di risposta alle
dure critiche di Marchionne agli ultimi scioperi in Maserati il segretario
dei metalmeccanici non risponde
per le rime e si spende soprattutto
per far capire che la Fiom non è poi
quel sindacato così intransigente
come viene dipinto, ed è anzi propenso alla trattativa (nonostante
l’atteggiamento di Marchionne). La
sua lettera si chiude con una frase
che non fa presagire niente di buono e che per certi versi riecheggia
gli slogan di Marchionne e Renzi:
“è necessario che si scriva una
storia nuova. Vivere nel passato
è un errore che nessuno può permettersi e, di sicuro, che la Fiom
non vuole commettere”.
contro la Ue imperialista / il bolscevico 3
N. 26 - 3 luglio 2014
Il controsemestre popolare e di lotta
Iniziativa lodevole e utile,
piattaforma condivisibile.
Ma l’UE imperialista va distrutta
e il governo Renzi va abbattuto
Sulla spinta dell’assemblea nazionale tenutasi il 23 aprile scorso, forze dell’opposizione di sinistra nella CGIL, del “sindacalismo
di base”, movimenti sociali e reti
di lotta, ossia una larga fetta delle
forze politiche e sociali che hanno
animato le piazze negli ultimi mesi,
hanno lanciato il controsemestre
popolare e di lotta in contrapposizione al semestre italiano di presidenza da parte di Renzi dell’Unione europea, che partirà il 1° luglio.
L’obiettivo dichiarato è mettere in
campo “la contestazione nei confronti dell’Unione europea fondata sui trattati neoliberisti, da Maastricht al Fiscal compact, e sulle
politiche di austerità” e “un’alternativa politica, sociale ed economica
ai Trattati dell’Unione europea”.
Fra i promotori figurano CGIL/
Il sindacato è un’altra cosa, USB,
Cobas, Rete 28 aprile, Clash City
Workers, rete “Noi saremo tutto”,
studenti di “Noi restiamo”, PRC,
PdCI, PCL, Ross@-Movimento
anticapitalista e libertario e altri. Il
PMLI ha aderito sulla base della
sua linea contro l’UE imperialista
e il governo del Berlusconi demo-
I numeri di Renzi non sono credibili, le sue previsioni di “ripresa”
economica quantomeno “ottimistiche”, ed entro il 2014 all’Italia
servirà una manovra aggiuntiva da
9 miliardi per rientrare nei parametri del patto di stabilità. Ma per
ora la bocciatura è sospesa per non
disturbare il manovratore e non incoraggiare i “populismi”: è questo
in sostanza il succo del giudizio
espresso il 2 giugno dalla Commissione europea sul Documento
di economia e finanza (Def), che
ha individuato diversi punti deboli
nelle previsioni macroeconomiche
fornite dal governo Renzi. In particolare sulle previsioni di crescita del Pil (Prodotto interno lordo),
che per il governo si dovrebbe attestare sullo 0,8% a fine anno, ma
che Bruxelles ridimensiona a un
più modesto 0,6%.
Ma soprattutto il documento contesta le cifre sulla riduzione del debito, arrivato al 135% del
Pil, prevista per quest’anno dello
0,1% dal governo, mentre per la
Commissione dovrebbe salire almeno allo 0,7%. Per cui, sentenzia il documento: “l’Italia deve
rafforzare le misure di bilancio
per il 2014 visto lo scarto rispetto
alla regola di riduzione del debito, e nel 2015 deve operare un so-
cristiano Renzi.
Ci voleva proprio! In un momento d’oro in cui la credibilità
delle istituzioni capitaliste europee è ai minimi storici, come dimostra il 45,8% di astensionismo
alle elezioni del 25 maggio, questa iniziativa è veramente lodevole e utile.
La piattaforma rivendicativa è
condivisibile e ricca di importanti rivendicazioni potenzialmente in
grado di conquistarsi un largo sostegno di massa, a partire dai giovani. Si chiede, tra l’altro, “la fine
immediata delle politiche di austerità e rigore”, “che l’Italia denunci
unilateralmente il Fiscal compact
e il MES” e che “venga cancellato il pareggio di bilancio”; la cancellazione della legge Fornero sulle
pensioni e “tutte le leggi sulla precarietà”, un programma che blocchi licenziamenti, delocalizzazioni
ed esternalizzazioni; lotta agli accordi tipo quello del 10 gennaio che
strozza il diritto alla rappresentanza
sul lavoro; combattere “le istituzioni, i poteri dell’UE e le varie politiche di austerità”; lottare contro “la
politica di guerra e di riarmo”.
Le proposte dei
marxisti-leninisti
Volendo partecipare attivamente alla costruzione di questo
percorso, i marxisti-leninisti intendono dare il loro contributo al
dibattito, in una normale dialettica
di fronte unito.
Come abbiamo sopra detto,
la piattaforma è condivisibile ma
ci sembra non chiara la strategia.
Appare tutta interna alla UE e alle
sue istituzioni, senza mettere in
discussione la presenza dell’Italia in essa. Una questione di fondamentale importanza, che va discussa, altrimenti il rischio è di
finire per esaurire la grande carica antimperialista, antistituzionale e antigovernativa dei movimenti col riformismo e l’elettoralismo
europeisti.
Se si vuole mettere in campo
un’opposizione antiUE forte e radicale, che non si limiti a rivendicazioni riformiste a breve-medio
termine ma che prenda di mira
la causa che ha generato austerità, precarizzazione del lavoro, di-
soccupazione e così via, l’obiettivo strategico non può che essere
quello di distruggere l’UE imperialista e abbattere il governo Renzi.
Non è quindi sufficiente la denuncia del Fiscal compact e del
pareggio in bilancio, ma bisogna chiedere con forza l’uscita
dell’Italia dall’UE. Coerentemente alle denunce de “l’Unione europea fondata sui trattati neoliberisti”.
È necessario costruire l’opposizione di classe e di massa più
vasta possibile, coinvolgendo la
classe operaia e tutte le forze che
animano le mobilitazioni di massa: lavoratori pubblici e privati,
disoccupati, precari, studenti, pensionati, migranti, chi lotta per il diritto alla casa, NoTAV, NoMUOS,
NoMOSE. Tutte queste forze dovrebbero unirsi per buttare giù il
governo responsabile del Jobs act,
del decreto Lupi sulla casa, dello
stravolgimento neofascista e presidenzialista della Costituzione
com’era nei piani della P2 di Gelli
e Berlusconi. Ma è anche quanto
di più forte e concreto si possa fare
in Italia per colpire l’UE.
Va insomma costruita una mobilitazione forte, unitaria e duratura, con ampio respiro e con una
strategia chiaramente antimperialista e antigovernativa. La sua organizzazione deve essere fondata
sulla democrazia diretta in modo
che tutte le componenti e i singoli
aderenti del controsemestre possano partecipare all’elaborazione e
all’approvazione della linea politica, programmatica e organizzativa. Questo è l’unico modo perché
la forza che si aggregherà durante
il controsemestre possa continuare
a non dare tregua al governo del
grande capitale e della grande finanza nostrani e ai suoi patron imperialisti europei anche oltre il semestre di presidenza italiana.
Solo così il controsemestre
avrà un forte carattere anticapitalista, di cui parla nei suoi comunicati, nelle sue iniziative, fra i suoi
aderenti. Sarebbe un’ottima occasione per tornare finalmente a discutere a livello di massa su come
sconfiggere il capitalismo e con
cosa sostituirlo. Questa è la madre
di tutte le questioni, anche perché
L’Ue chiede all’Italia più tagli,
privatizzazioni, precarietà
Renzi deve trovare 9 miliardi entro il 2014
stanziale rafforzamento della strategia di bilancio affinché il debito
sia su un percorso di discesa sufficiente”.
In altre parole per aggiustare i
conti all’Italia serve un’altra manovra subito, da replicare magari
anche nel 2015. Non è specificata l’entità, ma gli esperti la valutano di circa 9-10 miliardi. E questo solo come antipasto in attesa
dell’entrata in funzione del micidiale “fiscal compact” per l’abbattimento strutturale del debito, che dal 2016 ci obbligherà, se
il Pil non salirà almeno del 3%, a
tagliare dal bilancio statale qualcosa come 50 miliardi l’anno per
vent’anni.
Sul rinvio del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016, fonda-
Numero di telefono e fax
della Sede centrale del PMLI
e de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del
PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo
liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è
interessato al PMLI e al suo Organo.
mentale per Renzi per finanziare
la mancia elettoralistica degli 80
euro, il documento non dice né si
né no. Pare che fosse già inserita una durissima stroncatura scritta di pugno dal direttore generale
del commissario economico Olli
Rehn, cosa che avrebbe fatto crollare tutta l’impalcatura della manovra demagogica di Renzi, ma
dopo un’estenuante trattativa telefonica notturna tra Roma e Bruxelles questo passo è stato cancellato dal documento. Così come è
stata sospesa per il momento la
procedura di infrazione che avrebbe reso obbligatoria la manovra
aggiuntiva e commissariato l’Italia per i prossimi anni: il giudizio
finale è stato pertanto rimandato al
15 novembre, quando l’Italia dovrà presentare la Legge di stabilità
per il 2015.
Graziato Renzi,
stangate le masse
Il motivo di questo trattamento “indulgente” nei confronti del
governo Renzi è presto detto: “Per
ora – ha confermato un alto funzionario di Bruxelles come riportato da la Repubblica – abbiamo
usato un linguaggio duro ma attento, perché dopo le elezioni serve prudenza, il voto ha dimostrato che prolungare l’austerity oltre
a deprimere l’economia allontana i cittadini dall’Europa e Renzi
è stato il vero argine al populismo
euroscettico”. Senza contare che
in questo momento i voti di Renzi sono determinanti per eleggere il nuovo presidente della Commissione, e che per di più a luglio
l’Italia assumerà la presidenza
della Ue.
Tutto ciò ha gasato non poco il
Berlusconi democristiano, che lo
interpreta come un via libera alla
sua politica di “riforme”, come in
effetti il documento ha fatto esaltando e chiedendo di rafforzare,
per esempio, le misure di liberalizzazione del mercato del lavoro,
quali il decreto Poletti, il Jobs Act
e l’annunciata abolizione della
Cig in deroga; mentre il ministro
dell’Economia Padoan spande ottimismo assicurando che gli obiettivi di bilancio “saranno raggiunti
senza ulteriori interventi”, ovvero
che non sarà necessaria la manovra aggiuntiva da 9 miliardi.
Ma le cose non stanno affatto
così, perché se da una parte Bruxelles ha graziato Renzi, dall’altra
il conto lo ha girato al popolo italiano, con un vero e proprio diktat
in otto punti o “raccomandazioni”
– sulla falsariga di quello imposto nel 2011 al governo Berlusconi e attuato dal governo Monti –
che stabilisce per filo e per segno
che cosa l’Italia dovrà fare o non
fare di qui a fine anno per rientrare nei parametri. A parte le solite
raccomandazioni ovvie sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, scendendo nel concreto si
comincia con la richiesta di rafforzare e dettagliare più precisamente i tagli alla spesa pubblica previsti dalla Spending review, che
prevede 4,5 miliardi nel 2014, 17
nel 2015 e 32 nel 2016, in cui sono
compresi 2 miliardi di tagli alla
spesa sanitaria. Su questo Bruxelles non si fida, e vuole la garanzia
che i tagli siano certi e “strutturali”, ossia permanenti.
Tagli, tasse e
privatizzazioni
Il documento della Commissione prosegue poi chiedendo di
spostare la pressione fiscale dal
lavoro (leggi le aziende) ai consumi, agli immobili e all’ambiente,
è per salvare il capitalismo in crisi
che UE, “troika” e governo Renzi (e predecessori) hanno imbastito la macelleria sociale in atto. Prima si riscopre l’estrema attualità e
validità del socialismo, la società
dei lavoratori con il proletariato al
potere, meglio sarà per la lotta anticapitalista. Il secolo scorso, nonché gli ultimi vent’anni hanno dimostrato il fallimento di tutte le
altre ricette riformiste e parlamentariste.
I marxisti-leninisti sono pronti
a entrare nelle strutture territoriali
del controsemestre che si andranno a creare nell’ottica del lavoro di
massa e di fronte unito, impegnandosi a collaborare per l’estensione
e il successo delle battaglie e delle
iniziative comuni, pur tenendo
ferma la linea del PMLI sulla UE
e sull’attuale governo italiano.
Auguriamo pieno successo alla
manifestazione del 28 giugno a
Roma che inaugura il controsemestre popolare. Che sia il primo rintocco della campana a morto per il governo del Berlusconi
democristiano Renzi.
“nel rigoroso rispetto degli obiettivi di bilancio” (da cui, anche se
non nominata espressamente, la
manovra aggiuntiva da 9 miliardi). E di “assicurare il finanziamento per il 2015 della riduzione
del cuneo fiscale (7,3 miliardi alle
aziende, ndr), riesaminare le agevolazioni fiscali, adeguare le accise sul diesel a quelle sulla benzina, attuare la delega fiscale entro
il marzo 2015”. Chiede inoltre la
“revisione delle aliquote Iva ridotte”, la “revisione delle rendite
catastali secondo i prezzi di mercato” ai fini della tassazione sulla
casa, di “riorientare” la spesa sociale dagli anziani verso l’“attivazione” dei giovani (leggi nuovi
tagli a previdenza e assistenza), e
così via.
Si parla anche di “aumentare le spese per l’istruzione”, ma
scendendo nel concreto si chiede
in pratica di pigiare l’acceleratore solo sui tagli al personale della
scuola e ai relativi contratti di lavoro, attraverso anche la selezione
degli insegnanti in base al “merito” e alla “produttività”, intensificando ed estendendo dappertutto
i test Invalsi, ed esportando anche
in Italia il modello tedesco della
scuola al servizio della formazione
professionale e dell’apprendistato.
E infine si chiede di “portare
a compimento l’ambizioso piano
di privatizzazioni relativo al periodo 2014-2017 che prevede un
risparmio di 0,7 punti l’anno” di
Pil. Un piano, lo ricordiamo, che
prevede la messa sul mercato delle più appetibili aziende pubbliche e dei beni immobili statali di
maggior pregio, a cominciare dalla svendita già avviata di Enav e
Poste italiane, per ben 12 miliardi
in tre anni.
4 il bolscevico / falsi comunisti
N. 26 - 3 luglio 2014
Bersani: “Il percorso di avvicinamento tra SEL e PD è maturo”. Delrio: “Chi vuole entrare nel PD lo faccia”
Sel si spacca sugli 80 euro
Ma la crisi del partito
e’ piu’ profonda
Migliore, capo dei filo PD, si dimette da capogruppo dei deputati del partito. Già due deputati di SEL sono passati al PD
I falsi comunisti di un tempo alla fine si autosmascherano
La spaccatura che covava da
mesi all’interno di SEL si è materializzata il 18 giugno, dopo la votazione alla Camera sul decreto Irpef
del governo su cui erano confluiti
anche i voti dei deputati del partito di Vendola. La decisione di votare sì al provvedimento del governo contenente gli 80 euro di mancia
elettorale ai lavoratori (ma anche
la spending review che preannuncia altri tagli alla sanità, all’assistenza sociale e ai servizi), era stata
presa la sera avanti in una concitata assemblea dei deputati di SEL a
Montecitorio, con una maggioranza di 17 a 15, durante la quale per
spingere con più forza verso il voto
a favore del governo il capogruppo
e leader della corrente filo Renzi,
Gennaro Migliore (che quella stessa sera si era visto a cena col vice
di Renzi, Guerini), aveva messo sul
piatto le sue dimissioni.
Dimissioni poi accettate da Vendola, che inutilmente si era precipitato a Montecitorio per convincere
Migliore ad accettare il compromesso di un voto di astensione che
avrebbe permesso di salvare capra
e cavoli, dato che oltretutto alla Camera, vista la maggioranza schiacciante che ha il PD, i voti di SEL
non erano determinanti per far passare il provvedimento. Ma Migliore
e i suoi seguaci, ormai impazienti di salire sul carro di Renzi, dove
per la gran ressa – come qualcuno
ha malignamente osservato – sono
rimasti “solo posti in piedi”, hanno
colto l’occasione per rompere gli
indugi e fare il gran salto in braccio al PD.
Insieme a Migliore hanno dato
le dimissioni altri tre deputati, il
vice presidente vicario Titti Di Salvo, il segretario Ileana Piazzoni, il
vicepresidente del Copasir Claudio
Fava, mentre nei giorni precedenti
se ne erano già andati i deputati Mi-
chele Ragosta e Ferdinando Aiello.
Ma altri parlamentari di SEL, di cui
almeno sei alla Camera e due al Senato, hanno già annunciato di voler
lasciare i rispettivi gruppi nei prossimi giorni. Le ipotesi che circolano sono che tutti loro potrebbero
confluire temporaneamente in un
gruppo misto insieme ai socialisti
di Nencini e ai transfughi di Scelta
civica, oppure andare subito a confluire nel PD di Renzi: dove il suo
braccio destro Delrio ha già spalancato loro le porte.
Due fronti diversamente
opportunisti
La spaccatura covava da mesi,
almeno da quando per le europee
nel partito era prevalsa la linea
dell’adesione alla lista Tsipras, che
la corrente favorevole all’alleanza
col PD (del resto pienamente confermata per quanto riguarda le contemporanee amministrative) aveva
mal digerito, ma comunque sopportato più o meno in silenzio fino alla
data del voto. Ma immediatamente dopo, e ancor più sotto l’effetto
del 40,8% (sui voti validi) di Renzi, è iniziato il rompete le righe, con
la formazione di due schieramenti
contrapposti (che poi tanto contrapposti non sono).
Il primo era quello filo PD di
Migliore, del tesoriere Sergio Boccadutri, Ileana Piazzoni, Claudio
Fava e un’altra decina di deputati
che, come andava teorizzando Migliore, in nome del “terremoto che
ha sconvolto la geografia politica
italiana ed europea”, era favorevole ad aprire subito una trattativa
col PD di Renzi per la formazione
di un contenitore unico, o “soggetto unitario di sinistra”, per dare ali
alla vocazione di SEL come “sinistra di governo”, valutando di vol-
ta in volta la collocazione politica
e i provvedimenti da votare, partecipando al processo delle “riforme”
costituzionali, entrando nel PSE di
Schulz e Renzi, chiudendo con la
vocazione di “sinistra minoritaria”
di chi vorrebbe continuare nella
strada della lista Tsipras, e così via.
Il secondo, capeggiato da Nicola
Fratoianni, affiancato da Massimiliano Smeriglio, Loredana De Petris, Paolo Cento e Fabio Mussi, era
ed è invece favorevole a continuare
l’esperienza della lista Tsipras trasformandola in una “costituente”,
per la quale spinge anche Rifondazione, per ricostruire una “sinistra
unitaria” collocata all’opposizione
– beninteso di tipo “responsabile”
- del governo Renzi. Continuando
però la collaborazione col PD nelle giunte locali e regionali e a livello europeo.
Continuando in altre parole
“dall’esterno” a coprire a sinistra il
PD e a fargli all’occorrenza da ruota di scorta parlamentare; mentre la
destra “migliorista” proponeva di
sciogliersi subito nel PD, ritenendo
da una parte ormai inutile continuare a coprirlo a sinistra, avendo ora
Renzi una maggioranza schiacciante, e dall’altra temendo che una “sinistra minoritaria” sarebbe cancellata dal parlamento alle prossime
politiche, come già accaduto alla
“sinistra arcobaleno”.
Gli inutili contorcimenti
dell’ “anguilla” Vendola
In mezzo a queste due posizioni diversamente opportuniste si è
barcamenato incessantemente Vendola, cercando disperatamente di
tenere insieme i cocci di un partito ormai in frantumi e in preda alla
guerra per bande, sotto l’urto dello
sfondamento elettorale del PD e il
risucchio irresistibile di Renzi (“bisogna stare nel gorgo”, era infatti
lo slogan di Migliore che non vedeva l’ora di farsene risucchiare). Il
governatore della Puglia le ha tentate tutte per nascondere lo sporco
sotto il tappeto e rimandare la resa
dei conti: è arrivato perfino a “narrare” per settimane, ricorrendo a
tutta la sua retorica barocca e farlocca, che lo scontro interno a SEL
non era “una minaccia ma una ricchezza” (“piuttosto che reprimere
ci piace discutere”, si vantava coi
giornalisti), inventandosi le formule più assurde e ipocrite per tenere
insieme la vocazione “di opposizione” e quella “di governo” di SEL:
come la formula bizantina che “una
sinistra di governo non è una sinistra nel governo”; quando poi il sì
al decreto Irpef lo aveva propiziato proprio lui dicendo, davanti alla
Direzione del partito del 30 maggio conclusasi con un nulla di fatto: “Noi non abbiamo detto che gli
80 euro sono una mancia per il voto
di scambio. Vedremo, se è ottimo
lo votiamo, se è pessimo lo bocciamo, se è possibile migliorarlo non
ci tireremo indietro, come sempre”.
Del resto, non c’era già stato il precedente del sì al rinvio del pareggio di bilancio al 2016, quando il 17
aprile i cinque senatori di SEL avevano contribuito con i due ex M5S
a far passare per il rotto della cuffia
la risoluzione del governo?
Quanto a Renzi, il narcisista
trotzkista neoliberale aveva detto:
“Dico al mio mondo che questo è
il momento in cui bisogna sfidare in positivo Renzi”. Lui è “oggi
il leader europeo più forte”, il suo
rapporto con il Paese “è in pieno
idillio”, ora “è nelle condizioni di
battere il club dell’austerity. Bisogna incoraggiarlo”. Nella successiva Assemblea nazionale del 14 giugno, pur di evitare la spaccatura,
aveva fatto un’ulteriore concessione ai filo PD liquidando la “costituente di sinistra”, rinviando tutto
ad una futuribile “conferenza programmatica” in autunno, e aprendo ancor più audacemente a Renzi:
“Caro Matteo, hai un ruolo e una
forza che non ha eguali in Europa,
usali”. E si era detto pronto anche
ad entrare nel governo se il Berlusconi democristiano si liberasse
“della destra impresentabile e delle politiche dell’austerity”. Salvo
poi mascherare il suo sbracamento
a destra con le solite metafore pseudo poetiche, come quella che SEL
vuole essere “un’anguilla” per sgusciare da tutte le parti e “sfuggire
alla cattura di chi vuole portarci indietro o ci vuole portare fuori strada”.
Una fine inevitabile
scritta fin dall’inizio
Ma per quanti contorcimenti
anguilleschi abbia tentato di fare
per evitare di prendere una posizione chiara e netta e salvare la “pace”
interna, le cose sono precipitate
suo malgrado quando si è arrivati
come si è detto al voto sul decreto
Irpef, in cui i filo PD hanno deciso
di rompere la fragile tregua temendo di perdere gli ultimi strapuntini rimasti ancora liberi sul carro
trionfale di Renzi. Non che Vendola, e nemmeno lo stesso Fratoianni,
non stessero pensando e lavorando
alla stessa prospettiva, ma non subito, e non attraverso spaccature e
scissioni.
Anch’essi vogliono rientrare
nella maggioranza, e magari nel
governo, e non escludono neanche di sciogliersi nel PD, ma vorrebbero farlo con i dovuti tempi e
portandoci dentro il partito tutto
intero, per avere più potere contrat-
tuale e più poltrone, nell’illusione
di trattare da pari a pari con Renzi. Esattamente come ha suggerito
loro Bersani, quando ha detto che
“il percorso di avvicinamento tra
SEL e PD è maturo, mi auguro che
avvenga in modo ordinato e politico”, senza “improvvisazioni, personalismi, opportunismi”.
Mentre invece il comportamento di Migliore e soci risponde più al
tipo di invito fatto da Delrio, a mettersi subito a disposizione servile
della banda vincente di Renzi, sperando di raccattare qualche avanzo
della sua tavola: “Sono benvenuti –
ha detto infatti degli scissionisti il
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio – non andiamo a caccia
di parlamentari ma abbiamo bisogno di un esecutivo forte. Chi vuole entrare nel PD lo faccia, è cambiato il partito, si è concretizzato
il partito leggero, è diventato una
casa aperta”.
In un modo o nell’altro, come
il PMLI ha sempre denunciato alle
masse, il destino di questo partito
di falsi comunisti di un tempo, era
già segnato all’atto della sua nascita da una scissione a destra di
Rifondazione trotzkista. E prima
ancora fin dalla nascita di quest’ultima attraverso una scissione a sinistra del PCI all’atto della sua liquidazione e trasformazione in PDS.
Scissioni pensate entrambe solo
per recitare meglio il ruolo di copertura a sinistra del PDS, poi DS e
poi PD liberale, e per tenere ingabbiati i sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo nel riformismo,
nell’elettoralismo e nel parlamentarismo borghesi. Per poi, arrivati
oggi al capolinea, autosmascherarsi e rientrare nel PD avendo terminata la loro sporca funzione di
imbroglioni e controrivoluzionari,
servi del capitalismo.
Parole d’ordine del PMLI per la manifestazione
nazionale del 28 giugno 2014 a Roma
  1) Governo della Ue / governo delle banche / fa politiche / lacrime e
sangue
  2) Ma quale Ue / “pacifista” / è guerrafondaia / è imperialista
  3) No all’imperialismo / No all’interventismo
  8) Abbattiamo / il regime neofascista /
per l’Italia unita / rossa e socialista
15) Per il lavoro / e l’aumento salariale / sciopero / sciopero / generale
  9) Italia / unita / rossa e socialista
16) Tariffe e prezzi / da bloccare / salari e pensioni / da aumentare
10)Il Jobs Act / è da affossare / governo Renzi / te ne devi andare
17) L’art. 18 / che hanno cancellato /
con la lotta / va ripristinato
  4) Contro la Ue / imperialista / Europa dei popoli e socialista
11) Il futuro dei giovani / che Renzi ha
preparato / è precariato / è disoccupato
18) Contratto nazionale / da preservare / mai lo faremo / cancellare
  5) La lotta di classe / è nostro dovere / la classe operaia / al potere
12)Ai giovani / va garantito / lavoro
stabile / ben retribuito
19)Ticket / tagli / facciamola finita /
sanità pubblica / gratuita
  6) Tutti uniti / contro il capitalismo /
tutti uniti / per il socialismo
13)Contratti a termine / apprendistato
/ abroghiamo / il precariato
20) Spese inutili / da tagliare / missioni di guerra / da cancellare
  7) Il socialismo / spazza come il vento / è la via maestra / del vero
cambiamento
14) Né flessibile / né precario / lavoro
stabile / a pieno salario
21) No Tav / No Mose / No Expo / No
Muos / No F-35 / No Dal Molin
BELLA CIAO
Questa mattina, mi sono alzato,
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
questa mattina mi sono alzato
e ho trovato l’invasor
O partigiano portami via
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
o partigiano portami via
che mi sento di morir
E se io muoio da partigiano
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
e se io muoio da partigiano
tu mi devi seppellir
E seppellire lassù in montagna
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
e seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra di un bel fior
E le genti che passeranno
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
e le genti che passeranno
e diranno: “o che bel fior”
È questo il fiore del partigiano
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
è questo il fiore del partigiano
morto per la libertà
Ed era rossa la sua bandiera
o bella ciao bella ciao,
bella ciao ciao ciao
ed era rossa la sua bandiera
come rosso era il suo cuor.
interni / il bolscevico 5
N. 26 - 3 luglio 2014
STUDIARE, CAPIRE, AGIRE
Noi marxisti-leninisti dobbiamo studiare in base ai problemi concreti da risolvere, in maniera mirata, con metodo, tenendo presente i consigli, le indicazioni e le priorità del Partito. Dobbiamo studiare individualmente e collettivamente, aiutandoci reciprocamente, stimolando i più pigri nello studio, esigendo che la nostra istanza faccia delle riunioni periodiche di studio.
Ma non è sufficiente studiare, bisogna anche capire ciò che si studia. Capire vuol dire riflettere e trarre i dovuti insegnamenti dallo studio.
Quando non si capiscono certe cose è perché non si presta sufficiente attenzione a quello che si legge, o perché è più forte l’influenza che riceviamo dalla
propaganda borghese. Vedi, per esempio, l’astensionismo; per noi è un voto, mentre per la borghesia, il suo governo, le sue istituzioni, i suoi partiti e i suoi
media è un “non voto”, definizione usata superficialmente e in buona fede anche da qualche compagno.
Se non comprendiamo noi la linea politica e le parole d'ordine del Partito, come possiamo pensare che le capiscano senza la nostra spiegazione il proletariato e le ragazze e i ragazzi che si battono per un futuro migliore? Se non siamo ferrati, non riusciremo mai a convincerli della giustezza delle nostre
posizioni, ad elevare la loro coscienza politica e a stringerli al PMLI.
Una volta che abbiamo studiato e capito quello che ci dice il Partito, dobbiamo senza indugio agire per mettere in pratica ciò che abbiamo imparato. In
questo ultimo periodo il Partito insiste su questi due punti: radicarsi e fare comprendere al proletariato che deve acquisire la coscienza di essere una classe per sé e che solo col socialismo può avere il potere politico.
Fino a che punto abbiamo capito che bisogna andare a fondo su questi temi e cosa stiamo facendo in concreto per metterli al centro del nostro lavoro
politico?
Forse occorrerà studiare ancora una volta, e in maniera più approfondita, il Rapporto che recentemente il Segretario generale del Partito, compagno
Giovanni Scuderi, ha tenuto al Comitato centrale. Fondamentale per lavorare con successo e dare al Partito un corpo da Gigante Rosso.
Redditi fermi agli anni ’80
La Tasi sarà più cara dell’IMU
Il reddito delle famiglie italiane torna ai livelli degli anni Ottanta. È questo il primo e più crudo
dato di un’indagine condotta da
Nomisma, “Rapporto sulla finanza
immobiliare”, in base a delle rilevazioni realizzate tra il 7 ed il 21
maggio 2014.
Non solo, nel 2013 il potere
d’acquisto pro capite delle famiglie è diminuito dell’1,3% rispetto all’anno precedente, quindi se
ne deduce che esiste un calo progressivo e continuo che, partendo
dal 2007, anno precrisi, raggiunge
quasi il 13% in 6 anni.
Per cercare di reagire alla contrazione del potere d’acquisto le
famiglie italiane hanno iniziato ad
intaccare i risparmi e, come conse-
guenza, si registra una contrazione
della capacità di risparmio. Le famiglie hanno dovuto far ricorso al
cosiddetto “tesoretto” addirittura
per far fronte alle spese ordinarie.
L’emergenza reddito si fa particolarmente grave per quei 3,1 milioni di famiglie italiane che possono contare unicamente su un
lavoro e la protezione della rete familiare allargata. Si tratta soprattutto di famiglie di giovani adulti (35-44 anni) con redditi fino
a un tetto di 1.200 euro al mese
che aspirerebbero all’acquisto di
un’abitazione, ma il loro reddito e
la loro condizione lavorativa, spesso precaria, non lo consente.
In 12 mesi si sono dimezzati
gli aspiranti acquirenti della pri-
ma casa, che passano da 730.000
a poco più di 324.000, rispetto a
un bacino potenziale di 1 milione di nuclei. Le giovani famiglie
che hanno già un mutuo si trovano
a sperimentare una condizione di
notevole difficoltà e la percentuale
di chi prevede un ritardo nel pagamento della rata passa dal 6,9% del
2013 al 10,5% del 2014.
Del resto le politiche governative sull’acquisto della casa non aiutano i redditi più bassi, da lavoro
dipendente, sempre più tartassati
da ingiusti balzelli.
La TASI, di recente imposizione, risultata più cara dell’IMU,
secondo lo studio del Centro Ricerche Economiche Educazione
e Formazione della Federconsu-
matori che ha preso in considerazione 105 città capoluogo di provincia italiane. Infatti, mentre con
l’IMU erano fissate per legge delle detrazioni fisse, con la TASI
2014, invece è più ampia la discrezionalità dei Comuni che avranno
mano libera nel fissare le aliquote
e le eventuali detrazioni. Adusbef
e Federconsumatori fanno notare
che le detrazioni, laddove applicate, saranno inferiori a quelle che
si pagavano precedentemente con
l’IMU e che la nuova tassa si attesterà nella media nazionale a 231
euro. Inoltre, spiegano le due associazioni, la TASI dovrà essere pagata anche da 5 milioni di famiglie
che prima, grazie alle detrazioni
sulla prima casa e basse rendite ca-
tastali, non pagavano l’IMU
Sono dati che confermano
come, nonostante i governi continuino a stangare le masse popolari e a giustificare le ondate di tagli e tasse, agitando il miraggio
di una ripresa imminente, la morsa della crisi non accenni ad allentarsi. Sono dati che, ben lungi da
dimostrare una ripresa, dimostrano come le politiche governative,
per ultimo quelle del governo del
Berlusconi democristiano Renzi,
siamo recessive, creino disoccupazione e miseria, tolgano potere
d’acquisto, inaspriscano le disparità sociali e territoriali, nel tentativo
di salvaguardare i comitati d’affari
delle borghesie nazionali e del mostro capitalista e imperialista UE.
Allarme del Censis: amianto e muri che cadono
Il 60% delle scuole non sono sicure
Gli studenti corrono seri pericoli. Per il Sud niente nuove scuole, concentrate tutte al Nord, ma solo interventi di “decoro”
Il rapporto Censis quest’anno
ha presentato un quadro desolante della condizione infrastrutturale
delle scuole italiane che peggiora
anno dopo anno a causa dei tagli
agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Sono 3.600 gli istituti che necessitano di interventi sulle strutture portanti e dove vivono e studiano giornalmente 580 mila
studentesse e studenti. Il dato potrebbe anche essere sottostimato, poiché va anche considerato
che sono molti di più, ben il 42%,
gli istituti che non hanno il certificato di agibilità statica. Dei 41
mila istituti sono 9 mila quelli con
gli intonaci che cadono a pezzi e
7.200 quelli che avrebbero bisogno di interventi per rifare tetti e
coperture inefficienti o a rischio
crollo. La vetustà degli edifici, oltre il 15% è stato costruito prima
inadeguato e parolaio il piano di Renzi
del 1945, altrettanti datano tra il
’45 e il ’60, il 44% risale all’epoca 1961-1980, e solo un quarto è
stato costruito dopo il 1980, unita alla mancanza di manutenzione rende particolarmente alto il
rischio sismico. Quest’ultimo riguarda in Italia il 60% degli edifici scolastici, sprovvisti di scale di
sicurezza e porte antipanico. A ciò
va aggiunto che il 48% degli istituti non rispetta la normativa antincendio.
Il rapporto Censis lancia anche
un preoccupante allarme amianto
che riguarda ben duemila edifici e
342 mila studenti a contatto ogni
giorno con materiali pericolosi.
In 24 mila dei 41 mila, gli impianti elettrici, idraulici o termici
non funzionano, non sono a norma oppure sono insufficienti alle
necessità.
In 24 mila istituti statali su 41
mila, gli impianti elettrici, idraulici o termici non funzionano, non
sono a norma oppure sono insufficienti alle necessità.
Di fronte ad una simile condizione disastrosa, e di fronte all’aumento del numero di alunni di ben
64 mila unità in due anni, i recenti governi di “centro-destra”
e “cento-sinistra”, approvando la
soppressione di 2mila scuole e di
200mila posti tra docenti e amministrativi, tecnici ed ausiliari, e
l’innalzamento del tetto di alunni
per classe nella scuola d’infanzia
da 28 a 29 alunni, alla primaria da
25 a 28 ed alle superiori fino alla
presenza di 33 alunni, hanno aumentato i rischi per studenti e lavoratori della scuola.
Assolutamente inadeguate le
misure del governo del Berlusconi
democristiano destinate alla scuola
con il cosiddetto decreto “sblocca
Italia”. Il progetto “scuole sicure”,
che prevede la messa in sicurezza
degli edifici, interventi di bonifica
dall’amianto e la rimozione delle
barriere architettoniche può contare su appena 400 milioni di euro
di investimenti distribuiti su 2.921
strutture. Per capire che si tratta di
una goccia nel mare e di un’operazione propagandistica di facciata, basti considerare che nella sola
Campania le scuole a rischio sismico sono 4.600, a queste vanno
aggiunte le migliaia di scuole a rischio sismico in tutto il territorio,
quelle con infissi in amianto, quelle senza scale di sicurezza.
Senza contare che ancora una
volta i fondi non sono aggiuntivi, ma sono stati recuperati “riprogrammando” le risorse del Fondo coesione 2007-2013, le quali
sono state tolte a Sicilia, Calabria,
Campania e Puglia. Insieme a questo furto è accettabile poi il fatto
che il Sud, la zona d’Italia in cui
gli edifici scolastici sono maggiormente a rischio, non avrà nuove
costruzioni? Queste ultime, essendo legate al meccanismo antipopolare e antimeridionale del patto
di stabilità interesseranno il Nord,
dove sono presenti i comuni più
“virtuosi”. Ma anche il Nord non
avrà un granché. Le poche nuove scuole saranno costruite infatti
solo nelle province di Torino, Varese, Como, Bergamo, Treviso e
Udine, nel numero di una quindicina a provincia.
Al Sud rimangono unicamente
i fondi del progetto “scuole belle”
che verranno impiegati in interventi di decoro a L’Aquila: uno schiaffo in faccia ai 6mila studenti della provincia aquilana che ancora, a
cinque anni dal terremoto, vanno a
“scuola” nei 31 Musp (Moduli ad
Uso Scolastico Provvisorio) esistenti, strutture che mostrano ormai tutti i i problemi di degrado
legati alla loro provvisorietà. Gli
interventi di decoro riguarderanno
peraltro soltanto alcune scuole di
alcuni grandi comuni del Sud: Teramo in Abruzzo, Isernia in Molise, Bari, Foggia, Taranto, Brindisi
e Lecce in Puglia, Napoli, Caserta e Avellino in Campania, Potenza
in Basilicata, Cosenza, Catanzaro
e Reggio in Calabria, Enna, Agrigento e Caltanissetta in Sicilia, e
infine Cagliari in Sardegna. Per gli
altri niente.
6 il bolscevico / interni
N. 26 - 3 luglio 2014
Il consiglio dei ministri accelera il processo di privatizzazioni
Il governo Renzi
svende Poste e Enav
Col pretesto di arginare l’inesorabile aumento del debito pubblico giunto ormai a quota 2 mila
miliardi e che nel 2015 sarà pari al
135% del Pil, il Consiglio dei ministri il 16 maggio ha varato due
decreti legge che gli permettono
di svendere fino al 40% di Poste e
fino al 49% di Enav.
Per quanto riguarda Poste, il
governo si aspetta un ritorno da
4–5 miliardi di euro. Il 26 marzo
scorso la commissione Trasporti della Camera aveva invitato il
governo a usare questo gruzzoletto per “interventi che possano so-
stenere efficacemente il rilancio
dell’economia”: lo sviluppo della banda larga, investimenti per il
trasporto o contro il dissesto idrogeologico.
Invece pare che Renzi e Padoan siano intenzionati ancora
una volta a favorire i grandi speculatori e le banche esattamente
come hanno fatto Prodi e Berlusconi. Non a caso poche settimane fa Renzi, nell’ambito della vergognosa spartizione delle nomine
delle grandi aziende, ha piazzato
alla presidenza di Poste l’ex forzista Elisa Todini che a tutt’oggi
mantiene anche il doppio incarico
e il doppio stipendio da consigliera Rai e presidenza di Poste.
Una speculazione finanziaria
che fra l’altro mette a serio rischio
i risparmi di milioni di pensionati, lavoratori e piccoli risparmiatori. Secondo lo schema indicato
nel decreto infatti la svendita delle quote di minoranza a privati e
grandi investitori potrà avvenire
a scaglioni. Verrà realizzata con
un’offerta pubblica di vendita rivolta ai risparmiatori italiani, inclusi i dipendenti del gruppo, oltre
che a investitori nazionali e inter-
nazionali.
Poste è un’azienda in grande
salute che è conosciuta anche perché ha investito 75 milioni di euro
nel capitale di Alitalia. Conta 140
mila dipendenti ed è ormai prossima la sua quotazione in borsa anche perché nel recente passato ha
avviato nuove prestazioni e servizi
e ha acquisito nuove aziende come
quella dei corrieri Bartolini.
Per Enav invece si prevede la
cessione di una quota che assicuri
allo Stato il mantenimento di una
quota di controllo assoluto (51%).
Al ministero dell’Economia viene
affidata la massima discrezionalità
nella cessione. Si prevede un’offerta pubblica di vendita, rivolta
anche in questo caso agli stessi dipendenti. Il governo vuole passare
all’incasso sull’onda di un boom
dell’azienda che gestisce e controlla il traffico aereo. Per l’azienda diretta dall’amministratore unico Massimo Garbini il 2013 si è
chiuso con un utile di 50 milioni
di euro. Nel 2006 Enav ha acquisito il 100% di Vitrociset Sistemi,
oggi Techno Sky, internalizzando
la conduzione e la manutenzione
dei sistemi di assistenza al volo e
dei relativi software. Nel 2012 ha
acquisito il consorzio Sicta (Sistemi Innovativi per il controllo del
traffico aereo) che si occupa di attività ingegneristiche di progettazione. Insomma un altro gioiello
di famiglia che rischia di finire in
pasto al mercato per un pugno di
euro.
Contro la nuova stagione di
privatizzazioni si è mobilitato il
movimento per i beni comuni promosso dal Forum Italiano dei movimenti per l’acqua al quale hanno
aderito decine di altri movimenti e
associazioni.
I fondi stranieri detengono
il 38% della Borsa italiana
Sette anni di crisi economica e
finanziaria hanno cambiato profondamente la composizione e gli assetti della Borsa capitalistica in Italia, tanto che oggi ben il 38%, pari
a 200 miliardi, dell’intero portafoglio di Piazza Affari, è detenuto da
fondi di investimento stranieri. Non
sono più cioè le grandi famiglie industriali e i grandi gruppi statali del
passato, con i loro complessi intrecci societari e di potere garantiti da
Mediobanca, a fare il bello e cattivo
tempo nella Borsa di Milano a loro
esclusivo piacimento, ma cominciano a prendere il sopravvento, nel
capitale azionario e nelle assemblee
delle grandi società quotate pubbliche e private, gli umori e le decisio-
ni di nuovi forti investitori prevalentemente stranieri. Che in questi
anni, favoriti dalla crisi e dalla mancanza di liquidità delle vecchie famiglie italiane, abituate a comandare grazie alle scatole cinesi e agli
intrecci politici e senza rischiare un
soldo dei propri patrimoni, sono entrati silenziosamente ma in forze sul
mercato nazionale comprandosi intere fette delle “blue chips” italiane.
Investitori tanto potenti quanto
sconosciuti ai più, come per esempio il fondo Scottish Widows, il
fondo delle vedove scozzesi nato
nel Regno Unito nel 1812 e oggi entrato in forze nel capitale della Telecom; come i fondi delle parrocchie
presbiteriane, i gestori dei risparmi
dei professori dell’Illinois, e così
via. Per non parlare del più conosciuto fondo americano Blackrock,
che gestisce ben 4.300 miliardi di
patrimonio, pari a 10 volte l’intero
listino di Piazza Affari, e che solo
negli ultimi mesi ha comprato il 6%
di Intesa e Unicredit, il 5% di Bpm,
il 3,7% di Mps e altre importanti
quote di Generali, Fiat, Atlantia e
Mediaset.
Gli effetti di questo sommovimento cominciano già a farsi sentire, come il 16 aprile scorso all’assemblea di Telecom Italia, dove a
Telco, la holding finanziaria del
gruppo partecipata per il 22,8% da
Generali, Mediobanca e Intesa San-
paolo, non è riuscito imporre un
proprio Consiglio di amministrazione già deciso a tavolino, per via
dell’opposizione dei grandi investitori internazionali che sono riusciti
a far eleggere tre loro rappresentanti nel Cda. Lo stesso è successo più
o meno alle assemblee di Eni e Finmeccanica, dove il maggior azionista, il Tesoro, non è riuscito a far
passare il nuovo piano di regole fissato per le assemblee per l’ostilità
dei fondi stranieri verso quella che
hanno considerato un’intrusione indebita dello Stato nel “libero mercato”.
Il legale che ne tutela gli interessi in Italia, Dario Trevisan, che si è
presentato all’assemblea di Gene-
rali col 15%, a quella di Telecom
col 27% e a quella di Eni col 30%,
così spiega la fame di soldi che ha
spianato la strada ai fondi stranieri in Borsa: “Le vecchie famiglie
non li hanno. Le banche di riferimento nemmeno. Il meccanismo
del do ut des, delle operazioni gestite chiamando a raccolta un gruppo
ristretto di amici si è inceppato. Le
aziende per crescere o per non morire sono costrette a cercarli dove ci
sono: dal mercato e dai fondi”.
Stando così le cose c’è da chiedersi allora: perché veniamo bombardati quotidianamente - da Napolitano, da Renzi e dalla schiera degli
economisti liberali di regime - con
interminabili giaculatorie sugli in-
vestitori stranieri che non investono
in Italia perché non vengono fatte le
“riforme”? La risposta è contenuta nella domanda stessa: è solo una
tesi strumentale per far passare appunto le “riforme” di Renzi, tra cui
il famigerato Jobs Act che liberalizza il precariato e l’apprendistato e
legalizzerà i licenziamenti, il ridimensionamento del ruolo del sindacato e la imminente svendita e
privatizzazione delle aziende pubbliche in attivo. Come Enav, Poste, Eni, Enel, Terna, ecc., su cui i
fondi di investimento stranieri sono
pronti a gettarsi in forze dalla testa
di ponte di Piazza Affari, già quasi
per metà da loro controllata.
Terremoto in Bankitalia
Indagati Saccomanni
e Tarantola per usura
Coinvolti anche Abete (Bnl), Profumo e Ghizzoni (Unicredit), Mussari e Caltagirone (Montepaschi)
La procura della Repubblica di
Trani, molto attiva nel campo delle indagini finanziarie, ha notificato un avviso di conclusione delle
indagini (che prelude a un rinvio a
giudizio) a sessantadue esponenti
del mondo bancario italiano tra cui
spiccano i nomi dell’ex ministro
dell’Economia del governo Letta
Fabrizio Saccomanni e dell’attuale presidente della Rai Anna Maria
Tarantola con la gravissima accusa di usura continuata e aggravata
consumata ai danni di alcuni imprenditori della provincia di Bari.
All’epoca dei fatti, tra il 2005 e il
2012, Saccomanni era direttore generale e la Tarantola a capo della
Vigilanza di Bankitalia.
Tra gli alti dirigenti bancari
che hanno ricevuto lo stesso av-
viso di conclusione delle indagini
figurano poi nomi eccellenti del
panorama finanziario italiano.
Per la Bnl il presidente del consiglio di amministrazione Luigi
Abete, l’amministratore delegato
Fabio Gallia, l’ex vicepresidente
Piero Sergio Erede e il presidente
del collegio sindacale Pier Paolo
Piccinelli.
Per Unicredit figurano l’ex amministratore delegato e quello attuale, rispettivamente Alessandro
Profumo e Federico Ghizzoni, il vicepresidente vicario Candido Fois,
l’ex presidente Dieter Rampl, il direttore generale Roberto Nicastro,
l’ex presidente del consiglio di amministrazione di Unicredit Banca
di Roma Paolo Savona, l’ex presidente di Unicredit Banca d’Impresa
Mario Fertonani ed il figlio dell’ex
ministro Cancellieri, Piergiorgio
Peluso, ex amministratore delegato
di Unicredit Banca d’Impresa.
Per il Monte dei Paschi sono
coinvolti l’ex presidente Giuseppe Mussari ed il suo vice Francesco Gaetano Caltagirone, infine
per la Banca Popolare di Bari l’attuale presidente del consiglio di
amministrazione nonché amministratore delegato Marco Jacobini, l’ex presidente Fulvio Saroli e
il direttore generale Pasquale Lorusso.
Sono coinvolti allo stesso
modo anche altri dirigenti della
Banca d’Italia come l’ex direttore generale Vincenzo Desario e gli
ex capi della Vigilanza Francesco
Maria Frasca, Giovanni Carosio,
Stefano Mieli e Luigi Federico
Signorini, oltre a Giuseppe Maresca, a capo della quinta direzione del dipartimento del Tesoro del
ministero dell’Economia.
Ai funzionari di Bankitalia e del ministero dell’Economia i magistrati tranesi contestano la gravissima accusa di avere,
tra il 2005 e il 2012, dolosamente
emanato una serie di atti amministrativi in assoluto contrasto con
la legislazione in tema di usura,
e quindi di aver fornito la necessaria copertura burocratica e istituzionale agli atti di usura materialmente commessi dalle banche
coinvolte ai danni di alcuni imprenditori del barese nell’ambito di finanziamenti concessi sotto forma di anticipazioni su conto
corrente: secondo i pm i funzionari pubblici prescrivevano alle
banche di calcolare gli interessi sui finanziamenti concessi in
rapporto al credito accordato anziché a quello effettivamente erogato e utilizzato dal cliente come
invece prescrive la normativa.
Queste circolari provenienti dagli organi di controllo e vigilanza
(Bankitalia e ministero dell’Economia), apertamente dichiarate illegittime dalla Cassazione lo
scorso anno, permettevano alle
banche di elaborare tassi effettivi globali (i Teg) che risultavano
da un punto di vista contabile notevolmente più bassi di quelli effettivamente praticati, i quali - ad
un attento esame dei magistrati - hanno superato di gran lunga
la soglia determinata trimestralmente dall’Ufficio Italiano Cambi
facendo scattare il reato previsto
dall’articolo 644 del codice penale. Con questo meccanismo la
Bnl avrebbe lucrato illegalmente
oltre 53.000 euro, il gruppo Unicredit più di 15.000, Mps circa
27.000 euro mentre la più piccola Banca Popolare di Bari soltanto
296 euro: sembrano cifre piccole,
ma sono relative esclusivamente
a quegli imprenditori che hanno
sporto denuncia, ma i magistrati
hanno la certezza che questo era
un meccanismo collaudato e certamente applicato in tutta Italia,
per cui sospettano che decine di
migliaia di risparmiatori o investitori siano stati raggirati nello
stesso modo.
interni / il bolscevico 7
N. 26 - 3 luglio 2014
Per le nomine ai vertici delle aziende pubbliche
Renzi usa le donne
borghesi e manager
Tra esse Marcegaglia, ex presidente di Confindustria e Luisa Todini di Forza Italia che privatizzerà le Poste
Il genere femminile non cambia la funzione dei manager:
servire il capitalismo e il governo che ne cura gli affari
L’annunciata
“rivoluzione”
di Renzi ai vertici delle principali aziende pubbliche o controllate
dallo Stato non cambia di un millimetro la vecchia pratica clientelare utilizzata da tutti i suoi predecessori, da Berlusconi a Prodi, da
Monti a Letta, di piazzare i propri
uomini nei gangli vitali delle istituzioni e dell’economia.
La tanto sbandierata differenza di genere non cambia la funzione dei manager. Che siano donne
o uomini la missione è sempre la
stessa: servire il capitalismo e il
governo che ne cura gli affari.
La riprova sta nel fatto che il
Berlusconi democristiano ha piazzato Emma Marcegaglia, fino a
pochi mesi fa presidente di Confidustria, al vertice di Eni. Marcegaglia insieme al papà Steno e al
fratello Antonio è anche alla guida
dell’omonimo gruppo.
Alla berlusconiana Luisa Todini Renzi ha affidato la presidenza
di Poste, nota per le sue apparizio-
ni nei talk show televisivi, dove ha
sempre difeso a spada tratta gli interessi dei padroni primo fra tutti, Berlusconi. Il nome della Todini è stato spesso tirato in ballo per
incarichi politici mentre l’azienda
di famiglia, la Todini Costruzioni,
che ha guidato per qualche anno,
fa parte dal 2010 del gruppo Salini. Il suo obiettivo è di completare al più presto la privatizzazione
dell’azienda.
A Patrizia Grieco è andata la
poltronissima dell’ Enel, dopo una
carriera divisa fra Italtel e Olivetti
di cui è tuttora presidente.
Infine Catia Bastioli, scelta
per presiedere il Cda Terna, molto nota nel mondo industriale per
la sua esperienza al vertice della
Novamont, un’azienda novarese
nata dalle ceneri del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini morto suicida dopo il suo coinvolgimento in
tangentopoli.
Insomma donne borghesi con
un’estrazione di classe tutt’altro
che popolare, smaniose di dimostrare di essere capaci di spremere
e supersfruttare più dei pescecani
capitalisti uomini i lavoratori e le
masse popolari.
Donne e uomini che spesso ottengono queste prestigiose e renumerative poltrone non tanto per
meriti professionali, quanto per le
sponsorizzazioni politiche di cui
godono.
Il caso più eclatante riguarda
l’ex capo della polizia Gianni De
Gennaro, che Renzi ha riconfermato alla presidenza di Finmeccanica, ignorando che l’ex capo della
polizia dal 2000 al 2007, coinvolto nella mattanza del G8 a Genova, ex direttore del Dipartimento
per le informazioni per la sicurezza (Dis), l’organo che sovrintende all’attività dei servizi segreti
esterni (Aise) e interni (Aisi), promosso da Monti a sottosegretario
alla presidenza del Consiglio con
delega ai servizi segreti; è stato
premiato anche dal governo Let-
ta-Berlusconi con la presidenza
del colosso pubblico Finmeccanica non certo per il suo curriculum
manageriale in campo economico e finanziario ma in sostituzione dell’ex numero uno Giuseppe
Orsi, arrestato per gli scandali delle commesse e delle nomine.
Anche per quanto riguarda
gli stipendi dei nuovi presidenti
di Enel, Eni, Finmeccanica e Poste Italiane, che Renzi si vanta di
aver bloccato al tetto massimo di
238mila euro lordi, c’è da dire che
Renzi non ha minimamente toccato tutti gli altri privilegi e benefit,
a caminciare dalle stock option,
pensioni e buonuscite d’oro di cui
godono i superpagati manager di
Stato.
Basti pensare che secondo i
calcoli de “L’Espresso” le buonuscite degli amministratori delegati
Scaroni (Eni), Conti (Enel), Cattaneo (Terna) e Sarmi (Poste italiane) ammontano a circa 20 milioni di euro. Secondo il settimanale
la liquidazione di Conti dovrebbe
ammontare a non meno di 6,4 milioni. Mentre quella di Scaroni a
oltre 8,3 milioni.
Altro che “sobrietà” di cui
ciancia Renzi.
Di seguito la lista completa della nuova infornata di manager pubblici piazzati nelle quattro
principali aziende di Stato:
1. Paola Camagni (Sindaco effettivo)
2. Alberto Falini (Sindaco effettivo)
3. Marco Seracini (Sindaco effettivo)
4. Massimiliano Galli (Sindaco
supplente)
5. Stefania Bettoni (Sindaco supplente)
ENEL
1. Patrizia Grieco
2. Francesco Starace
3. Alberto Pera
4. Alberto Bianchi
5. Andrea Gemma
6. Paola Girdinio
FINMECCANICA
1. Gianni De Gennaro
2. Mauro Moretti
3. Marta Dassù
4. Guido Alpa
5. Alessandro De Nicola
6. Marina Calderone
7. Fabrizio Landi
ENI
1. Emma Marcegaglia
2. Claudio Descalzi
3. Fabrizio Pagani
4. Luigi Zingales
5. Diva Moriani
6. Salvatore Mancuso
Collegio Sindacale
POSTE
1. Luisa Todini
2. Francesco Caio
3. Roberto Rao
4. Antonio Campo dall’Orto
5. Elisabetta Fabbri.
Gasparri (FI) a processo per peculato
Il politicante borghese - nonché
fascista ormai ripulito - Maurizio
Gasparri (FI) è stato rinviato a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare di Roma Cinzia Parasporo lo scorso 16 aprile con l’accusa
di peculato, per essersi appropriato di 600.000 euro destinati all’allora gruppo PDL che invece il senatore di Forza Italia utilizzò per
stipulare un contratto assicurativo - una polizza vita “Bnl Private Selection” - per fini strettamente personali: la prima udienza del
dibattimento si terrà il 1° ottobre
prossimo presso la decima sezione
penale del Tribunale di Roma.
Secondo l’accusa Gasparri quando era presidente del gruppo PDL al Senato ed approfittando di tale funzione - si sarebbe
“Prese 600 mila euro dal PDL”. Verrà processato anche l’ex
ministro Pecoraro (Verdi) per scambio di favori con imprenditori
appropriato di 600.000 euro utilizzandoli nel marzo 2012 per la
stipula di una polizza vita a suo
nome, indicando come beneficiari in caso di morte i suoi eredi legittimi.
Nel febbraio del 2013 poi dovette riscattare la polizza - ottenendo dalla compagnia assicuratrice 610.697,68 euro per gli
interessi maturati in poco meno di
un anno - e, a seguito di specifiche e pressanti richieste della direzione amministrativa del PDL che
si era accorta dell’ammanco, versò i 600.000 euro nelle casse del
partito con due bonifici di 300.000
euro ciascuno, il 20 febbraio 2013
e il 12 marzo 2013, trattenendo
per sé la differenza costituita dagli interessi.
Anche se la somma è stata restituita, non vi è alcun dubbio che
Gasparri abbia consumato il reato
di peculato, che si perfeziona nel
momento in cui chiunque abbia
la disponibilità di denaro pubblico se ne impossessi a fini personali, cosa che non lascia dubbi nel
caso in questione, perché nel corso di un anno (ma presumibilmente sarebbero stati molti di più se il
senatore non fosse stato scoperto)
il senatore si è messo in tasca senza colpo ferire oltre diecimila euro
utilizzando tale denaro.
Gasparri ha reagito all’ordinanza di rinvio a giudizio del gup
con una nota il cui contenuto farebbe addirittura sorridere se non
si trattasse di un politicante borghese che fa i suoi porci comodi
con il denaro pubblico, sostenendo di essersi “limitato a tutelare
il gruppo parlamentare in previsione di una serie di contenziosi
ai quali stava andando incontro”:
per quanto ci si possa sforzare, ri-
Per conoscere direttamente dai lavoratori e dagli studenti quali sono i loro problemi, le loro rivendicazioni, il loro parere sulla situazione
politica, il loro stato d’animo, non c’è modo migliore di intervistarli durante le manifestazioni e le occupazioni.
Naturalmente bisogna prepararsi bene prima dell’intervista avendo in mente le domande da porre in linea di massima e avendo con
sé un registratore (o almeno un taccuino) e una macchina fotografica. Abbiamo già due modelli cui ispirarsi. Le interviste fatte dalla
compagna Giovanna Vitrano e dal compagno Federico Picerni pubblicate rispettivamente su “Il Bolscevico n. 38/13 e n. 21/13.
Si possono fare delle interviste anche durante i banchini.
Le interviste sono utili pure per attirare l’attenzione sul PMLI e il suo organo .
Coraggio, intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta! Chi saranno i prossimi compagni a farle?
mane difficile pensare a come una
polizza vita - i cui beneficiari sono
lo stesso Gasparri in caso di vita e
i suoi eredi in caso di morte - possa minimamente tutelare il gruppo
parlamentare presieduto dallo stipulante, che evidentemente oltre
ad aver tentato di beffare anche il
suo stesso partito (ma gli è andata male) cerca disperatamente, da
buon politicante borghese, di salvare la faccia davanti all’opinione pubblica, così come a cominciare dal prossimo ottobre tenterà
di confondere le acque ai giudici
romani.
A proposito di politicanti borghesi, mai come in questo caso
vale il detto ‘mal comune mezzo gaudio’ riferito sia alla destra
sia alla “sinistra” borghese: infatti nelle stesse ore in cui si decideva la sorte processuale di Gasparri
anche l’ex ministro dell’Ambiente
Alfonso Pecoraro Scanio (dei Verdi) è stato rinviato a giudizio, insieme a suo fratello e ad altre persone, dal gup romano Giulia Proto
con l’accusa di finanziamento illecito dei partiti. La prima udienza dibattimentale è stata fissata
per il prossimo 29 settembre, e nel
processo l’ex ministro risponderà - insieme a suo fratello Marco,
all’epoca senatore dei Verdi - alle
accuse di avere ottenuto nel 2008
l’uso di un elicottero per un trasferimento, vacanze pagate e l’acquisto a prezzo agevolato di un terreno nella zona del lago di Bolsena
in cambio di favori a vari imprenditori per la costruzione in quella
zona di un agriturismo.
Marco Pecoraro Scanio poi dovrà rispondere in proprio anche
dell’accusa di essere intervenuto, sempre nel 2008, per far ottenere un appalto per la bonifica di
un terreno a Crotone per la società
degli imprenditori Francesco Ferrara e Gualtiero Masini, anche essi
rinviati a giudizio.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
Associato all’USPI
ISSN: 0392-3886
Unione Stampa
Periodica Italiana
chiuso il 25/6/2014
ore 16,00
8 il bolscevico /stragismo
N. 26 - 3 luglio 2014
Una messinscena di Renzi
Via i segreti sulle stragi?
Siamo proprio sicuri?
Aprire gli archivi del Quirinale e di tutti gli apparati civili e miliare dello stato
“Abbiamo deciso di desecretare gli atti delle principali vicende che hanno colpito il nostro
Paese e trasferirli all’Archivio di
Stato. Per essere chiari: tutti i
documenti delle stragi di Piazza Fontana, dell’Italicus o della
bomba di Bologna. Lo faremo
nelle prossime settimane. Vogliamo cambiare verso in senso
profondo e radicale”. Con questo
annuncio pirotecnico di sicuro
effetto mediatico ed elettorale,
fatto scoppiare all’interno della
lunga e compiacente intervista a
la Repubblica del 20 aprile, Matteo Renzi ha anticipato la firma, il
giorno successivo, della direttiva
che dispone la declassificazione
degli atti coperti da segreto, a
cominciare da quelli riguardanti
l’omicidio di Ilaria Alpi, in attuazione della decisione presa il 18
aprile dal Comitato nazionale
per la sicurezza della Repubblica
(Cisr).
La firma è avvenuta alla presenza del sottosegretario con
delega ai Servizi segreti, Marco
Minniti, e del direttore del Dis,
ambasciatore Giampiero Massolo, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza già diretto
fino al maggio 2012 dal discusso Gianni De Gennaro, colui che
ordinò e coprì la mattanza alla
scuola Diaz durante il G8 di Genova. “Uno dei punti qualificanti
della nostra azione di governo
- ha dichiarato Renzi dopo la
firma dell’atto - è proprio quello
della trasparenza e dell’apertura.
In questa direzione va la decisione che considero un dovere
nei confronti dei cittadini e dei
familiari delle vittime di episodi
che restano una macchia oscura
nella nostra memoria comune”.
“È una decisione epocale, la più
importante opera di declassificazione nella storia della nostra Repubblica”, ha aggiunto il più volte
sottosegretario ai Servizi segreti
(governi D’Alema 1 e 2, Letta e
Renzi), Marco Minniti.
Un falso messaggio di
“svolta” sulle stragi
Il messaggio inculcato perciò
nella testa dell’opinione pubblica è che per la prima volta un
governo della Repubblica – il
governo Renzi – toglie il segreto
di Stato sulle stragi che hanno
insanguinato il Paese per quasi un trentennio, dalla strage di
piazza Fontana del 12 dicembre
1969 all’assassinio di Ilaria Alpi
e Miran Hrovatin avvenuto a Mogadiscio nel 1994, passando per
le stragi di Gioia Tauro (1970),
Peteano (1972), Brescia (1974),
Italicus (1974), Ustica (1980), Bologna (1980), rapido 904 (1984).
Il governo Renzi, insomma, è il
primo che solleverà il velo e permetterà di stabilire la verità sui
tanti misteri che ancora avvolgono la storia del nostro Paese
degli scorsi decenni.
Ma siamo sicuri che sia proprio così? Intanto c’è subito da
dire che la direttiva di Renzi non
abolisce affatto il segreto di Stato, come invece l’intervista a la
Repubblica suggeriva furbescamente (“Via subito il segreto sulle
stragi”), anche perché per legge
il segreto di Stato non può essere opposto per i reati di strage,
di terrorismo e di mafia. Tant’è
vero che, per esempio, la direttiva non riguarda minimamente il
segreto di Stato sul rapimento in
Italia di Abu Omar per mano della
Cia e del Sismi (l’ex servizio segreto militare); segreto opposto
alla magistratura da ben quattro
governi (Berlusconi, Prodi, Monti
e Letta), e che resta tuttora in vigore dal momento che neanche
il governo Renzi si sogna di chiederne la revoca.
La direttiva riguarda soltanto i documenti classificati come
“riservati”, “riservatissimi”, “segreti” o “segretissimi”, inaccessibili al pubblico per almeno 15
anni e fino a un massimo di 30,
ma ufficialmente protocollati e
già accessibili - previa autorizzazione delle fonti che li hanno
in custodia - alla magistratura e
alle commissioni parlamentari inquirenti, nonché agli altri soggetti
“autorizzati” come storici e studiosi. Già una legge del 2007 fissava più precisamente i criteri di
“trasparenza” a cui questi archivi
avrebbero dovuto adeguarsi, ma
i decreti attuativi non sono mai
stati emanati, e manca anche un
inventario preciso di tutti questi
documenti che il governo Monti
aveva annunciato ma mai attuato in realtà. Perciò la direttiva di
Renzi, al massimo, non farà altro
che attuare quanto già stabilito
dal parlamento sette anni fa.
sono stati i fascisti ad eseguirle,
col supporto diretto della P2 e di
Gladio, e i governi di allora, gli
apparati dello Stato, la Cia e la
Nato ad ordinarle e coprirle. Non
sono mai stati scovati e condan-
sparenza bisogna disporre degli
archivi militari, del ministero degli
Esteri e di quello dei carabinieri”.
Anche per Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime di Ustica, oc-
Dove sono i veri
documenti segreti?
Il vero problema non sono i
documenti di cui si conosce l’esistenza, già abbondantemente scandagliati dai magistrati e
dagli studiosi, e il cui deposito
nell’Archivio di Stato non aggiungerà assolutamente nulla a
quanto non si sapesse già, ma
quelli non protocollati in mano al
ministero degli Interni, ai servizi
segreti, carabinieri, guardia di
finanza e corpi speciali dell’esercito. Quelli custoditi nell’archivio
del Quirinale, che non ha mai risposto alle richieste di visionarli
da parte della magistratura, neanche per esempio per chiarire la
vicenda del golpe Borghese del
1970. Quelli nascosti in depositi segreti di cui nessuno, tranne
pochissimi alti funzionari occulti,
conoscono l’esistenza e l’ubicazione, come il deposito abbandonato dell’Ufficio affari riservati
del Viminale che fu scoperto sulla circonvallazione Appia dal ricercatore Aldo Giannuli nel 1997,
quando al Viminale sedeva Giorgio Napolitano.
E soprattutto quelli assolutamente inaccessibili giacenti negli
archivi della Nato, la cui desecretazione richiederebbe il consenso contemporaneo di tutti gli
Stati membri, cosa quantomeno fantascientifica. “Lì nessuno
può entrare”, conferma infatti in
un’intervista a il manifesto l’ex
generale Paolo Inzerilli, già capo
di Gladio poi passato allo stato
maggiore del Sismi, che racconta: “Quando la magistratura
chiese di accedere all’archivio di
Gladio bloccammo l’accesso alla
documentazione con classifica
Nato, documenti che non sono
mai usciti dai caveaux”.
Del resto la verità storica e
politica sulla “strategia della tensione” e sulle stragi degli anni
‘70-’80 è già stata ampiamente
acclarata anche nei processi:
responsabili delle trame stragiste
e dei depistaggi che le hanno coperte. Paradossalmente, come
ha avvertito un magistrato che
indagò sulla strage di Bologna,
“se fatta senza controlli e garanzie di terzietà, questa operazione
può diventare una distribuzione
di polpette avvelenate, o addirittura un colossale depistaggio.
Non più dei processi, ormai andati come sono andati, ma della
storia”. Potrebbe cioè servire ad
avvalorare tesi artefatte e mistificatorie come quella ostinatamente sostenuta e propalata dal
NCD Giovanardi, che l’aereo di
Ustica non fu abbattuto da un
missile della Nato ma da una
bomba collocata nella toilette da
terroristi arabi.
Un annuncio ad effetto
ben studiato
San Benedetto Val di Sambro (Bologna). La strage del treno Italicus del 4 agosto
1974. Ancora oggi, dopo 40 anni, è coperta da segreto di Stato
nati i mandanti e quasi mai neanche gli esecutori, ma che cosa
ci si potrebbe mai aspettare a
questo riguardo dalle carte desecretate di Renzi e Minniti?
Scetticismo di
magistrati e familiari
delle vittime
Nessuno dei magistrati e personaggi che da decenni si battono affinché venga fatta piena
luce sulle stragi ha dato molto
credito alle eclatanti promesse
del premier. Come ha osservato amaramente la presidente
dell’Associazione dei familiari
delle vittime di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli,
“sulle stragi di mafia del ’93-’94
non c’è segreto di Stato, ma documenti nascosti e persone che
non vogliono parlare”. Lo stesso
presidente dell’Associazione dei
familiari delle vittime della strage
di Bologna, Paolo Bolognesi, pur
essendo deputato dello stesso
partito di Renzi e pur apprezzandone gli intenti, ha dichiarato che
l’iniziativa non è sufficiente e che
“per avere normali livelli di tra-
correrebbe “aprire tutti gli archivi,
di tutti gli apparati dello Stato,
senza esclusione, per confrontare quello che ci è stato riferito in
aula con quello che fu realmente
redatto, solo così avremo finalmente la verità”.
Manlio Milani, presidente
dell’Associazione vittime della
strage di Brescia, citando il caso
della velina dell’ex generale del
Sid, Gianadelio Maletti, inviata
alla magistratura ma mai arrivata
a destinazione, e ritrovata poi nel
deposito abbandonato della via
Appia, facendo riaprire una nuova inchiesta sulla strage di piazza
della Loggia, si chiede: “quanti
documenti riservati non sono mai
arrivati all’autorità giudiziaria”? E
avverte il governo che “nel momento in cui gli archivi saranno
aperti, la gestione deve essere
separata da chi li ha prodotti”.
C’è da temere infatti (come
è già successo in passato con
gli archivi di Gladio affidati alla
custodia del Sismi, che è stato
come mettere la faina a guardia del pollaio), che la gestione
degli elenchi e la selezione dei
documenti sia delegata proprio
a quegli stessi servizi segreti già
In conclusione l’uscita di Renzi sull’abolizione dei segreti sulle
stragi è solo l’ennesimo annuncio
ad effetto basato sul nulla, come
tutti quelli sparati in aria un giorno sì e l’altro pure da quando è
salito a Palazzo Chigi. Una tecnica che ha imparato alla perfezione dal suo maestro Berlusconi,
e forse addirittura superandolo
in rapidità ed efficacia, visto che
si dimostra insuperabile nell’arte
di inventarsi un nuovo annuncio
sensazionale prima ancora che la
gente abbia il tempo di accorgersi che dietro quello precedente
non c’era nulla di vero.
In questo caso l’annuncio del
Berluconi democristiano è particolarmente ben studiato, sia perché fatto alla vigilia del 25 Aprile
(e ad un mese dalle elezioni europee), per darsi una verniciatina
democratica e antifascista; sia
perché così può rafforzare l’idea
di essere di una generazione
“nuova” e del tutto diversa da
quelle precedenti degli ex revisionisti ed ex democristiani che
ha battuto e rimpiazzato (come
D’Alema, Napolitano, Prodi ecc.),
che pur avendone avuta la possibilità quando erano al governo,
non hanno mai fatto nulla per
aprire gli archivi e scoprire la verità sulle stragi.
Due soldati lo rivelano alla trasmissione “Le iene”
Camere della tortura italiane in Iraq
E continuano a chiamarli “contingente di pace” e “intervento umanitario”
Lo scenario è la base italiana
di White Horse, alla periferia di
Nassirya, il periodo la “missione
di pace” del 2003. Leonardo Bitti, un ex militare, svela l’esistenza di camere della tortura italiane, dove picchiatori incappucciati
“con il passamontagna in testa, alcuni con il manganello”, costringevano i prigionieri iracheni a stare nudi, tutti nella stessa posizione:
inginocchiati, con i piedi incrociati e con le mani chiuse da fascette
da elettricista. Bitti denuncia che i
prigionieri avevano sul corpo segni di manganellate.
Il racconto trova una pesante
conferma nella testimonianza di un
militare che prestava servizio nella
stessa base italiana in Iraq. Inconsapevole, non sa di essere ripreso,
egli fornisce ulteriori raccapriccianti particolari. I detenuti vivevano in queste camere della tortura, in mezzo agli escrementi fino
a quando non fornivano notizie
all’esercito italiano. Durante gli
interrogatori venivano incatenati a
testa in giù. “chi prendeva queste
persone?” chiede il giornalista de
“Le Iene” il militare risponde che
era il Sismi, cioè il Servizio segreto militare italiano operativo “dentro la base a Nassirya”.
Non si tratta della prima denuncia di atti di tortura compiuti
dall’esercito imperialista italiano.
Già nel 1997 alcuni militari ita-
liani in missione in Somalia furono accusati di violenze e stupri su
donne somale durante la missione
“Ibis” (dal dicembre 1992 al marzo 1994).
Comportamenti che sono spesso stati giustificati con la “durezza” delle condizioni in cui si trovano a lavorare i militari. In verità
vanno chiarite alcune cose. La rivelazione delle torture confermano
che i militari italiani non si trovano
in “missione di pace” ma agiscono da esercito occupante. Del resto
le torture ai danni dell’opposizione irachena sono praticate da tutti
gli eserciti imperialisti, compreso
quello italiano. Non sono un’anomalia e un’eccezione su iniziativa
di qualche mela marcia, ma piuttosto una pratica scientifica e sistematica.
Ma c’è un altro elemento non
sempre citato ed indagato a sufficienza. È quello politico che risiede nelle responsabilità delle massime istituzioni borghesi italiane in
quanto è successo. In primo luogo
è grave la responsabilità di governi e parlamento che sostengono le
missioni di guerra all’estero continuamente rifinanziate con piogge
di milioni di euro.
Ma è bene chiarire che le responsabilità politiche, di entrambi gli schieramenti, destra e “sinistra” borghese, non risiedono
unicamente nell’incentivazione
mastodontica delle spese di guerra. Le istituzioni borghesi hanno
progressivamente attuato a partire
dagli anni ’90 un nuovo “modello
di difesa” trasformando l’esercito
italiano in un esercito professionale e interventista pronto ed efficiente nelle sue “missioni di pace”,
un esercito ideologizzato alla conquista e all’oppressione, che, evidentemente, ha la sua schiera di
torturatori, professionisti di mutilazioni, esperti di waterboarding al
seguito, come denuncia inconsapevolmente il militare che non sa di
essere ripreso. Un esercito protetto dall’estensione delle misure del
codice militare di guerra alle “missioni di pace”, coperto da fiumi di
demagogia e di retorica patriottarda, nonché dalla militarizzazione
dell’informazione di guerra.
Difficile far finta di niente su
queste sconcertanti rivelazioni,
eppure la piddina ministra della
guerra Roberta Pinotti c’è riuscita. Ma il suo silenzio omertoso è
assordante e ci conferma quanto
già sapevamo: non ci sarà nessuna marcia indietro con il governo
del Berlusconi democristiano Renzi sulle missioni di guerra all’estero, sul rafforzamento dell’esercito
professionale della borghesia imperialista, non ci sarà nessun dubbio a Palazzo Chigi sui metodi militari mutuati dai nazifascisti ai
danni dei paesi occupati.
stragismo / il bolscevico 9
N. 26 - 3 luglio 2014
Il processo è da rifare
La Cassazione: “furono ignorate
le prove contro i neofascisti
per la strage di Brescia”
Il processo di appello per la
strage di Brescia è da rifare perché la scandalosa sentenza del 14
aprile 2012 che ha assolto tutti gli
imputati e condannato i familiari delle vittime a pagare le spese
processuali era viziata da un “ipergarantismo distorsivo” che ha portato la Corte di Assise di appello a
delle assoluzioni “ingiustificabili
e superficiali”.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza depositate il 15 aprile
scorso in cui spiega la decisione di
accogliere parzialmente il ricorso
della Procura generale di Brescia e
delle parti civili contro la sentenza
di appello, decisione che la suprema corte aveva preso lo scorso 21
febbraio con la sentenza n. 16397
che annullava le assoluzioni dei
neofascisti Carlo Maria Maggi
e Maurizio Tramonte, annullando anche il pagamento delle spese processuali a carico delle parti
civili. Confermate invece le assoluzioni per insufficienza di prove
dell’ex comandante dei carabinieri, ex membro del Sismi e accusato dei primi depistaggi, Francesco
Delfino, e di Delfo Zorzi, membro di Ordine nuovo e accusato di
essere l’esecutore materiale della
strage, che oggi vive da ex latitante in Giappone e fa l’imprenditore
sotto il nome di Hagen Hoi.
Dopo quarant’anni dalla strage
di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, quando durante una manifestazione sindacale antifascista
una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti esplose provocando
8 morti e 103 feriti, anni che hanno visto ben tre lunghi processi caratterizzati da una serie infinita di
depistaggi, omissioni e manipolazioni e conclusi invariabilmente
con assoluzioni di tutti i neofascisti imputati, resta dunque ancora un ultimo tenue filo per portare
all’accertamento della verità giudiziaria e alla punizione di almeno
alcuni dei responsabili di quell’ef-
sono da ritenersi “ingiustificabili e
superficiali”, perché ottenute praticando sistematicamente, come
dice la relazione del giudice Paolo Demarchi Albengo, un “ipergarantismo distorsivo” a favore degli
imputati, in particolare di Maggi e
Tramonte, che per tale motivo tornano ad essere processati come
presunti mandanti e forse anche
esecutori della strage.
ferato crimine fascista coperto dagli apparati dello Stato.
40 anni di processi
finiti nel nulla
Il primo filone d’indagine (prima e seconda istruttoria) inizia nel
1974 e si conclude con la sentenza
di Cassazione del settembre 1987;
quasi subito le indagini vengono
depistate su un gruppo di piccoli delinquenti e giovani estremisti
di destra della Brescia-bene. Figura chiave del processo è Ermanno
Buzzi, noto neofascista che traffica in opere d’arte nonché assiduo
frequentatore dei covi di estrema
destra. Condannato in primo grado, alla vigilia del processo d’Appello (aprile 1981) Buzzi fu trasferito nel carcere speciale di Novara,
dove fu subito strangolato dai terroristi neri Mario Tuti e Pierluigi
Concutelli per impedirgli di fare
possibili rivelazioni.
Il secondo filone d’indagine
parte nel 1984, con la terza istruttoria che viene avviata sulla base
delle rivelazioni fatte in carcere da
alcuni ex camerati “pentiti” fra cui
Angelo Izzo. Gli imputati per strage (tutti assolti nell’89) sono Alessandro Stepanoff, Sergio Latini e
Cesare Ferri: estremista di destra,
quest’ultimo, collegato al gruppo
ordinovista milanese de “La Fenice” di Giancarlo Rognoni e alle S.
A. M. (Squadre armate Mussolini)
di Giancarlo Esposti. L’iter giudiziario si conclude nel 1993 con
la sentenza-ordinanza della quarta istruttoria emessa dal Giudice
istruttore Gianpaolo Zorzi che per
la prima volta parla di un quarto
livello di responsabilità, “non concentrico - scrive - ma intersecantesi con gli altri e quindi sempre
presente, come un comune denominatore: quello dei sistematici,
puntuali depistaggi”, dal lavaggio della piazza subito dopo l’eccidio, alla misteriosa scomparsa di
Una sistematica
azione di depistaggio
Brescia, 28 maggio 1974. Una agghiacciante immagine della strage fascista di
Piazza della Loggia
Ugo Bonati, figura chiave nel primo processo, all’omicidio che ha
chiuso per sempre la bocca a Buzzi; depistaggi che sono arrivati
persino a sabotare la rogatoria in
Argentina per impedire l’interrogatorio di Guido Gianni, criminale
legato all’estrema destra e latitante.
Nella quinta e ultima istruttoria le
indagini ruotano intorno alla cellula mestrina dell’organizzazione
eversiva neofascista Ordine Nuovo (la stessa di piazza Fontana),
in collegamento al gruppo milanese de “La Fenice” di Rognoni. Il
giudice Zorzi identificò nel giovane missino Maurizio Tramonte la
fonte “Tritone” (che era l’informatore dietro una mole di documenti
emersi dagli archivi del Sid a partire dalla fine degli anni Ottanta).
Nel 1995, Tritone-Tramonte comincerà a collaborare con i ROS
dei Carabinieri e le sue dichiarazioni insieme agli atti provenienti dall’istruttoria di Guido Salvini per la strage di piazza Fontana
sono alla base del terzo processo
conclusosi nel 2010 con l’assoluzione di tutti e cinque gli imputati,
sentenza confermata poi in appello nel 2012.
Per questo terzo processo sono
state centrali anche le dichiarazioni del pentito Carlo Digilio, alias
“zio Otto”, l’armiere di Ordine
Nuovo, unico condannato nell’ultimo processo per la strage di piazza Fontana. A partire da “Tritone”
e Digilio, l’imputazione per concorso in strage era stata infatti
estesa anche ai vertici mestrini di
Ordine Nuovo (Maggi e Zorzi),
a Pino Rauti e al generale Delfino, che fu incaricato delle indagini
alla base della prima istruttoria.
Oggi le motivazioni depositate dalla Cassazione rappresentano già di per sé una inequivocabile e autorevole conferma che in
questi quarant’anni, da parte dello
Stato, dei servizi segreti e dei settori reazionari della magistratura
è stato fatto di tutto per ignorare
ed inquinare le prove, nascondere o prosciogliere gli esecutori e
i mandanti della strage e pilotare
i processi verso il nulla di fatto e
l’assoluzione di tutti gli imputati.
Assoluzioni che per la Cassazione
Contrariamente alle conclusioni della sentenza di secondo grado,
definite dalla Cassazione “assolutamente illogiche e apodittiche”
(ossia giudicate talmente evidenti da non avere bisogno di essere
dimostrate), Tramonte non sarebbe stato un esterno o un semplice
informatore, bensì un “intraneo”,
cioè appartenente organicamente alla destra eversiva veneta, che
peraltro “non raccontava al maresciallo Felli tutto ciò che sapeva o
aveva fatto”. E Maggi sarebbe a
sua volta un vero “propugnatore”
della linea stragista, assolto nonostante la “gravità indiziaria” delle dichiarazioni di Battiston, che
unite ad altri elementi avrebbero
dovuto fornire ai giudici di appello una “visione complessiva” di
“straordinaria capacità dimostrativa” delle accuse.
Quanto all’ordigno della strage, la suprema corte afferma che
non doveva essere ignorato che
“sia stato confezionato utilizzando
la gelignite di proprietà di Maggi e
Digilio, conservato presso lo Scalinetto”. Un dato di fatto “importantissimo che muta notevolmente il quadro indiziario rispetto al
giudizio di primo grado”, che però
i giudici di appello hanno completamente ignorato, non traendo
“da questa diversa ricostruzione
in fatto le necessarie implicazioni sul piano probatorio”. E non si
tratta di un caso fortuito, poiché la
“erronea applicazione della legge
processuale – si legge sempre nella relazione – è un vizio ricorrente
nel processo per la strage di piazza della Loggia, se si pensa che
anche nel procedimento cautelare
sulla misura irrogata a Tramonte,
Zorzi e Maggi la Cassazione ebbe
a osservare l’esasperata opera di
segmentazione del quadro complessivo”, che “rifuggiva dalle regole di coerenza e completezza”.
In altre parole la tattica dei giudici è sempre stata quella di isolare dal contesto e trattare separatamente le singole prove e
responsabilità a carico degli imputati in modo da confondere il
quadro generale e suffragare la
tesi dell’“insufficienza di prove”:
“Ogni volta che si è trovata a valutare un indizio di colpevolezza a
carico degli imputati, si è soffermata sulla potenziale esistenza di
diversi significati, finendo per distruggere il valore delle prove raccolte”, dice infatti la relazione a
proposito dell’operato della Corte
di Appello di Brescia. Ed inoltre
sono state “sottovalutate le dichiarazioni del collaboratore Carlo
Digilio” e “liquidata troppo frettolosamente la ritrattazione di Tramonte”.
Le motivazioni della sentenza della Cassazione sono state accolte con lacrime di commozione
dai sopravvissuti e dai parenti delle vittime di piazza della Loggia,
per i quali essa riaccende una sia
pur debole luce di speranza che
sia fatta almeno in parte giustizia:
“Ritrovo il senso di una giustizia
che ha dato risposta alla storia. Ritrovo qui i compagni che non ci
sono più”, ha detto Manlio Milani, il presidente dell’Associazione
dei familiari delle vittime, che nella strage ha perso la moglie. “Finalmente – ha aggiunto – si certifica fino in fondo che la strage è
ascrivibile all’estrema destra e che
ci sono stati depistaggi”.
Lo rileva un comunicato ufficiale di Vodafone
“I governi hanno il controllo diretto
delle telefonate”
“È un sistema di intercettazioni spaventoso e senza precedenti”,
accusano le associazioni per la difesa dei diritti civili
Si aggiunge lo spionaggio dei
segreti stranieri
Con un doppio intervento sia ni di ascoltare tutte le conversa- ve, anche se si è guardata bene
sul quotidiano inglese Guardian
sia tramite un comunicato ufficiale della multinazionale britannica
della telefonia Vodafone, vi è stata una rivelazione che, come definiranno le Associazioni per la difesa dei diritti civili “è spaventosa
e senza precedenti”. In sostanza,
esiste una rete di cavi segreti che
permetterebbero ai servizi segreti
e di intelligence di diversi gover-
zioni sui network telefonici, ossia
una vera e propria rete di spionaggio ramificata e sovrapposta ai sistemi di comunicazioni per tenere
sotto controllo chiunque. La Vodafone afferma che l’attività è diretta sia all’ascolto delle chiamate,
sia per localizzarne la provenienza, ed è attualmente utilizzata da
ben 29 paesi in cui la società telefonica opera in Europa e altro-
dall’elencarne i nomi per non avere ripercussioni economiche negative. Diversamente il Guardian ha
direttamente pubblicato una mappa delle richieste specifiche avanzate dai governi, dalle forze di polizia o dalla magistratura per avere
informazioni sulle comunicazioni: al primo posto c’è l’Italia dove
ne arrivano di più, per un totale di
606 mila richieste legali di “meta-
dati”, cioè di indicazioni sulla localizzazione di un apparecchio,
sugli orari e le date delle chiamate,
e sui soggetti con cui è in comunicazione. Un livello di intrusione
decisamente alto che il quotidiano britannico tenta di giustificare
sbrigativamente collegandolo alle
esigenze della lotta alla mafia e
alle altre cosche di criminalità organizzata. Un prospetto invasivo
che non convince più la compagnia telefonica inglese che richiede la rimozione immediata di tutti
i cavi di accesso diretto al proprio
network di comunicazioni installati da servizi di spionaggio, proponendo, al contempo, che siano
cambiate le legislazioni che in vari
paesi rendono legale un simile apparato di controllo di massa.
Durissima e netta la reazione
delle Associazioni in difesa dei
diritti civili: “è un sistema di in-
tercettazioni spaventoso e senza
precedenti”, afferma Shami Chakrabarti, direttrice dell’associazione per la difesa dei diritti civili britannica Liberty. “Il Datagate
portato alla luce della rivelazioni
di Edward Snowden – continua
la Chakrabarti - aveva già rivelato le dimensioni dello spionaggio
digitale. Questo rapporto conferma che occorre una radicale modifica delle leggi in materia per
tutelare i cittadini”. Dunque la richiesta delle Associazioni è quella di allargare a macchia d’olio i
controlli antispionaggio anche
alle altre compagnie telefoniche
dedite a questo servizio. “Si tratta di un’ammissione coraggiosa”, da parte dell’azienda guidata dall’amministratore delegato,
l’italiano Vittorio Colao, osserva
Gus Hosein, direttore di Privacy
International, un’associazione che
ha avviato cause giudiziarie contro il governo britannico per il programma di intercettazioni svelato
da Snowden. E per evitare prossimi scandali, Deutsche Telekom,
che aveva già pubblicato dati parziali, ha già annunciato che lo farà
“per tutti i paesi in cui sia permesso”.
Non convincono, invece, le solite promesse invocate dal garante della privacy, l’ex DC Antonello Soro (PD) per cui bisognerebbe
“spostare il baricentro verso il rispetto della persona, della sua libertà e dignità”. Sta di fatto che
l’attuale governo antipopolare del
Berlusconi democristiano Renzi
non ha detto una parola sull’incredibile denuncia relativa alla rete di
spionaggio di comunicazioni, soprattutto telefoniche: chi tace acconsente.
N. 23 - 12 giugno 2014
falsi comunisti / il bolscevico 9
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
elezioni del 25 maggio / il bolscevico 11
N. 26 - 3 luglio 2014
Avanzata dell’astensionismo in Mugello
‡‡Dal corrispondente della
la tornata elettorale del 25 maggio
scorso.
Alle comunali si sono avuti incrementi fortissimi specialmente a
Vicchio con un più 13,4%, sul corpo
elettorale, sulle comunali del 2009 e
del 20,4% sulle politiche del febbraio 2013, ed ha raggiunto la ragguardevole cifra del 40,6%, pari a 2.692
elettori che hanno votato astensionismo. A Borgo S. Lorenzo, anche
se vi sono stati incrementi minori
Squadra di propaganda
dell’astensionismo marxistaleninista del Mugello e Val
di Sieve
Come rilevavamo tra la popolazione durante la campagna elettorale per l’astensionismo marxista-leninista nelle settimane scorse, nel
Mugello (Firenze) soffiava un forte vento astensionista. Cosa pienamente confermata dai risultati del-
dell’astensionismo e dove vi è stata
una forte frammentazione del voto
con ben tre liste civiche presentate alle comunali. Col 28,6%, pari a
4.033 elettori, l’astensionismo (diserzione delle urne, voto annullato
o scheda bianca) raggiunge il primo
posto nel maggiore e più importante comune del Mugello. Anche alle
europee l’astensionismo ottiene un
bel risultato, piazzandosi al secondo
posto, sia a Vicchio col 33,7%, pari
a 2.210 voti, che a Borgo col 28,1%,
pari a 3.933 voti, con forti incrementi anche qui sulle precedenti europee in ambedue i comuni.
Tra i partiti borghesi la vittoria
è andata al PD anche se non ha certo ottenuto le percentuali che ostentano i suoi vertici, che calcolano le
percentuali sui voti validi, invece di
rapportare i voti di ciascun partito
al corpo elettorale. Questo infatti è
l’unico metodo veritiero, quello che
�������������������������������
��������������
������ �����������������������
������
�����������������������
������
����������
������ �������������������
������
�������������������
������
������������
�������
+�,�-."
�.�!!��"
�!"
��
��������
)� �)�����%�����
�����������
*�����������������������
��� �������������������
��������*������
��������
������������������������
���������� ����
�������������
�����)����)���
������������������
����
#$����
�$����
�$����
��'�
(���
�(��
����
����
'#�
���
���
�%�
���
���
�%&��
�'&��
'&��
#&%�
%&��
�&��
�&#�
�&%�
�&#�
�&��
�&��
�&��
��
��
������������
+�,�"�
/�!"�
/0."1"
+�,�-."
�.�!!��"
�!"
#�&��
��&��
��&��
�&��
(&��
�&(�
�&��
�&��
�&��
�&��
�&��
�&��
��
��
������
����$�
���
������
������
"���
���
����
���
"���
���
��
����
�$��
+�,�"�
/�!"�
/0."1"
��#��
��#��
��
�$#��
��#��
�#��
��
�#��
��
�#��
��
���
�#��
�#��
��#��
��#$�
��
��#��
��#��
�#��
��
�#��
��
"#$�
��
���
�#��
�#$�
����������
�"22$�
�"22$�
�"22$
+�,�-."
+�,�"�
�,,�.�!0
�.�!!��" /�!"�/0."1"
�$�'(� ��&��
��#�
�&��
�$����
'&��
��$%��� ���&��
�(��� �%&��
����� ��&%�
����
�&#�
���'� ��&��
'#�
�&#�
�##�� ��&(�
���
�&��
���
�&��
��%%� ��&'�
��('� ��&��
�������������
+�,�-."
�.�!!��"
�!"
��&��
%&��
��&��
���&��
�#&'�
��&��
�&��
��&��
�&��
�#&��
�&��
�&��
��&%�
��&(�
������
��$���
������
������
��"�
����
����
���
���
���
����
���
���
�"��
�"#��
��#$�
��#��
��#��
"#��
�#��
�#��
�#$�
��
��
"#��
��
��
�#��
+�,�"�
/�!"�
/0."1"
��#��
��#��
��#��
��#��
�#��
�#��
�#��
�#��
��
��
�#��
��
��
�#��
����������
�"22$�
�"22$�
�"22$
+�,�-."
+�,�"�
�,,�.�!0
�.�!!��" /�!"�/0."1"
�$�'#�
�$����
�''��
�%�#�
��'��
(��
(��
��#�
'#�
���
�'#��
�%�
���
��#��
'&'�
'&��
�#&%�
��&��
��&��
�&��
�&%�
�&'�
�&#�
�&��
�#&��
�&��
���
��&��
�(&%�
��&#�
�#&'�
��&��
��&��
�&��
�&��
�&��
�&��
�&��
�(&'�
�&��
���
��&��
�������������������������������
�������������
�����������
������ ����������������������
����� ��������������������
�����������������
!��#�#�
$�%�
��#��#�
���""�
!�
"�)�(�
���#����$���������������
��(�*�
�����$�������������������
����
�������$����������������+
����
��$���#��*��#��
&�&�
!��
))��
������#����
(�"�
��
"�)�
!���!,��
���
���#����$����!�������
���
����$�������������
���
�����#��� �#������� �
���
!�������
���
���#����$�����������#�
���
��$����������$��
���
���
���
��#�����-�#����
���
��������
���
���!�� ��� �����������
���
!��
���
��#��
���
�&'(�
�('(�
��')�
)'��
('*�
*'&�
*'*�
�'��
�'&�
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
�����
��� ��������������������������
�������������
.�/�0��
1�1%%�2�
������
�������������
.�/���
3�%��
3���,�
.�/�0��
1�1%%�2�
$�%�
��')�
")'&�
�('(�
��'��
�'"�
&'"�
)'&�
('��
�'��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
������
���$��
���
���
���
���
���
������
���
��$���
����
��$�
�$��
$���
���
���
���
���
���
���
���
���
�$#��
��#��
��
��
��
��
��
��#��
��
��#��
�#��
�#��
�#��
�#��
��
��
��
��
��
��
��
��
��#��
��#��
��
��
��
��
��
��#��
��
�$#��
�#��
�#��
�#��
�#��
��
��
��
��
��
��
��
��
������
������
���
��
.�/���
3�%��
3���,�
�����������������������
���������������������
����
��44��
��44��
.�/�0��
.�/���
1�1%%�2� 3�%��3���,�
��44�
�//���%�
����
�')�
����� ��')�
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
������� �&')�
��
��
���*��� ���'&�
���"� �('&�
�(&*� ��'��
��*)� ��'��
�*&)� ��'��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
!�������"
.�/�0��
1�1%%�2�
$�%�
"'"�
�"'��
��
��
��
��
��
���'&�
��
��*'(�
��')�
�)'��
��'(�
�('��
��
��
��
��
��
��
��
��
������
$�����
���
���
���
������
���
������
����
���
���
���
���
���
����
�$��
����
����
���
���
���
����
��#��
��#$�
��
��
��
�$#��
��
��#��
�#��
��
��
��
�#$�
��
$#��
�#��
�#$�
�#��
�#��
�#��
�#��
�#��
��
.�/���
3�%��
3���,�
��#$�
�$#$�
��
��
��
��#��
��
��#��
�#��
��
��
��
�#��
��
�#��
�#��
�#��
�#��
�#��
�#��
�#��
�#��
��44�
�//���%�
������
�����)�
��
��
��
���"�"�
��
�&���
�"*�
��
��
��
�(��
��
�)))�
��*��
�����
�����
��&�
����
�&"�
��")�
����
��44��
��44��
.�/�0��
.�/���
1�1%%�2� 3�%��3���,�
)'"�
��'��
��
��
��
��'(�
��
�('��
��'"�
��
��
��
��'*�
��
�*'(�
�"'"�
��'*�
��'��
��')�
��')�
��'(�
��'��
��'��
�)')�
��
��
��
���'&�
��
�(')�
�'��
��
��
��
��'(�
��
�)'��
��'��
��'&�
��'"�
��'��
��'&�
��')�
��'��
���������������������
���������������
����� ���������������
�����
���������������
�����
����������
����� ����������
�����
����������
�����
������������
�������
+�,-.
�.�����
���
��
�&������
'���'�����%�&�����
�(������������������&����&
������������
����������(�������
���������������&�������
��)������
��������������)�����������
�����������������
&�������������
�����'*���'���
�����
��&������������*�����
��!"#�
������
!"��
����
��#�
��"�
#��
!!�
���
���
�#�
!�
���
���
��$��
��$#�
��$��
�$��
�$#�
�$��
�$��
�$��
�$!�
�$��
�$��
�$��
��
��
������������
+�, �
/�� �
/0. 1
+�,-.
�.�����
���
!�$��
%�$��
�%$#�
#$��
#$��
�$��
�$!�
�$%�
�$��
�$%�
�$��
�$��
��
��
�����
��!��
�
!��
�����
�
���
���
�
��!
�
�
���
���
��"�
��"�
�
��"�
��"�
�
�"�
�"�
�
�"�
�
�"�
�"�
�"�
+�, �
/�� �
/0. 1
��"�
��"�
�
��"�
��"�
�
�"�
�"�
�
!"�
�
�"�
�"�
�"!
����������
� 22��
� 22��
� 22�
+�,-.
+�, �
�,,�.�0
�.����� /�� �/0. 1
!!�� ��$��
�!%�
#$��
��
��
����� �!$��
�"��� ���$��
��
��
�"�� ��$��
�""� ��$��
��
��
���%� �%$��
��
��
���
���
����� ��$��
����� ��$��
��$��
��$#�
��
�"$��
��%$��
��
��$#�
��$#�
��
�#$��
��
���
��$"�
��$#�
��������
+�,-.
�.�����
���
�����
�����
�����
���
���
���
�!
��
�
�
���
�
���
�
��"�
��"�
��"�
�"!
�"�
�"�
�"�
�"�
�
�
�"�
�
�"�
�
+�, �
/�� �
/0. 1
��"�
��"�
��"�
�"�
��"�
�"�
�"�
�"�
�
�
�"�
�
�"�
�
����������
� 22��
� 22��
+�,-.
+�, �
�.����� /�� �/0. 1
� 22�
�,,�.�0
�"!�
����
���"�
�����
�����
���
���
���
��
��
���#�
��
���%�
��
%$��
��$%�
�!$%�
��$"�
�%$��
�$��
�$��
�$%�
��
��
��$��
��
��$��
��
�!$��
�%$#�
�%$��
��$��
�%$��
�$"�
�$%�
�$��
��
��
�!$��
��
��$"�
��
����������������������
���������������
����� ���������������
�����
���������������
�����
����������
����� ����������
�����
����������
�����
���������������
� ���������������
�������������
���"�"�
��
�)"���"�
��)" ���� �����"�������������
�������"����
���
���������
�������
�������"��(�)"����
)���"����� ��������"�
)��
������������������
���"������*�"����
���
���
��+������
������������������ ����
�����)"��
��"��������,��"�*
�����������
���"����������"���
��) �� +��) ����,
��)��������"����
��������*�"����
�#�
� $%$�
� '���
%���
!!(�
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
���
-�.�/��
0�0##1�
�!&��
��&'�
��&��
(&��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
�������������
-�.���
2#��
2���3�
%!&��
'$&��
�$&!�
$&(�
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
�#�
�����
��"��
�
��"
�
�����
���
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
-�.�/��
0�0##1�
��#�
�"#�
�
��#�
��
��#�
�#�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
-�.���
2#��
2���3�
��#�
�"#�
�
��#"
��
��#�
"#�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
�
����������
��44 �
��44 �
-�.�/��
-�.���
0�0##1� 2#��2���3�
��44
�..��#�
'$'� ��&!�
$�!� �!&��
��
��
�''�� ���&��
��
�
�� �$!� ���&��
�!�!� �(&��
���
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
�%&%�
!�&��
��
���&��
�
��'&'�
�%&��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��
��� ���!
�#�
�����
�����
�
���
�#�
�
�
�����
���
���
�"�
���
��
�"
��
�"
��
�"
��
��
��
��
�
-�.�/��
0�0##1�
��#�
��#�
�
�#�
���
�
�
��#�
�#�
�#�
�#"
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
-�.���
2#��
2���3�
��#�
��#�
�
��#�
���
�
�
��#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
�#�
����������
��44 �
��44 �
-�.�/��
-�.���
0�0##1� 2#��2���3�
��44
�..��#�
(%%�
%&(�
� ���� ��&��
��
��
���(� ��&%�
��&��
�
��
��
��
��
�� �$�� ��'&��
���'� ��&'�
��('� ��&��
��%�� ��&%�
���(� ��&'�
�'(� ��&��
�(%� ��&��
�!�� ��&(�
��%� ��&��
���� ��&!�
��%� ��&!�
���� ��&��
���� ��&��
���� ��&��
���� ��&��
�'� ��&��
�$&��
�!&��
��
�!&$�
�
��
��
���&��
�(&$�
�(&��
�!&��
��&��
��&!�
��&��
��&'�
��&(�
��&��
��&!�
��&��
��&��
��&��
��&��
��&��
da vari decenni usa “Il Bolscevico”. In base a questo calcolo il partito del Berlusconi democristiano
Renzi ottiene percentuali ben inferiori dal 41 (europee di Vicchio) al
45,3% (europee Borgo San Lorenzo), con l’eccezione delle comunali a Borgo San Lorenzo dove ottiene il 26,6%. Qui ha risentito della
presenza a queste amministrative di
ben tre liste civiche, una delle quali
creata dalla lotta intestina nel vertice borghigiano di questo partito; vicenda che ha portato alla bocciatura alle primarie del “centro-sinistra”
della candidata ufficiale del PD ed
alla vittoria di Paolo Omoboni proveniente dal partito socialista.
Anche nel Mugello il Movimento 5 stelle ha perso una fetta consistente di elettorato alle europee rispetto alle politiche 2013 con un
- 6,5% sia a Vicchio che a Borgo
S. Lorenzo. In quest’ultimo comune ha presentato anche un candidato alla carica di sindaco, Matteo
Gozzi, risultato bocciato: anche in
quest’ultimo caso i 5 stelle hanno
perso sulle politiche con un -9,6%.
Evidentemente tante illusioni riposte in questa forza stanno cadendo.
Tonfo che appare ancora più forte di fronte alla supposizione che
un certo numero di voti di elettorato dell’ultradestra, vista la mancanza di una lista neofascista in questa
tornata, sia confluito sui pentastellati, vista la loro contiguità in occasione della battaglia di un anno fa
contro il cosiddetto “sistema Forteto”, cioè la vicenda delle giovani
vittime di soprusi nella cooperativa
agricola che è stata al centro delle
cronache nazionali.
In caduta libera, sia alle europee
che alle comunali, anche Forza Italia che rispetto alle due tornate elettorali corrispondenti del 2009 ha ridotto a circa un terzo l’elettorato di
allora. Questo malgrado a Borgo S.
Lorenzo abbia presentato un “volto
nuovo” come candidato alla massima carica cittadina, Luca Ferruzzi,
che in passato ha operato all’estero.
Il PRC alle comunali di Vicchio
non si è neanche presentato mentre ha dimezzato i propri voti alle
comunali di Borgo rispetto a cinque anni fa. La lista “l’altra Europa
con Tsipras”, nei due comuni, ha dimezzato i voti presi alle precedenti europee da PRC-Sinistra EuropaPdCI e da SEL.
Ridotta al lumicino l’Italia dei
Valori, poche decine di voti nei due
comuni che nelle elezioni suppletive del ’97 videro diventare senatore
il presidenzialista Di Pietro, allora
candidato della coalizione di “centro-sinistra”.
Stessa sorte è toccata a Scelta europea che ha perso gran parte
dell’elettorato.
A Vicchio è stato eletto sindaco
Roberto Izzo candidato del PD e del
PSI col voto del 43,44% dell’elettorato, ben lontano da quel vantato
73,15% calcolato sui soli voti validi.
A Borgo S. Lorenzo è stato eletto
Paolo Omoboni candidato del “centro-sinistra” col 41,41% sugli aventi
diritto al voto. Costui è espressione
del PSI che nel Mugello è capeggiato dal vice ministro Riccardo Nencini. È noto per il suo impegno con
il comitato “Attaccati al treno” in
“difesa” della linea ferroviaria Faentina e con l’AVIS locale. Ha dimostrato in questi anni di “impegno
politico e sociale” di essere persona
che sa quello che serve per arrivare
al vertice delle istituzioni borghesi
locali. Da notare che la lista “Borgo
migliore”,che lo appoggia insieme
a PD e SEL, è la sommatoria di una
diaspora del PD locale con vecchi
e giovani volponi del PSI craxiano
locale ed elementi marcatamente di
destra. È una lista nata in funzione di “raccogli preferenze” per costringere il PD ad essere minoranza all’interno della maggioranza.
In seconda posizione si è classificato il candidato della Lista civica
“Dal cuore di Borgo” l’insegnante
Franco Frandi che, trombato anni
fa dal PD locale, ritenta l’avventura
con una lista civica formata in larga parte da suoi ex studenti. È celebre per la sua incoerenza politica
e per il suo continuo smanettare per
arrivare ad occupare una poltrona.
Tanto che ha strombazzato “largo ai
giovani” salvo candidarsi egli stesso a sindaco. Una mossa ben studiata per ottenere almeno un posto in
Consiglio comunale, vista la riduzione imposta dalla legge del numero dei consiglieri.
È un grande risultato questa
avanzata dell’astensionismo, ancora più grande se si pensa che con
l’abolizione della possibilità di affiggere sui tabelloni elettorali da
parte di chi non presenta candidati è
venuta meno la propaganda tramite
manifesti del PMLI che dovevano
essere affissi dalla Squadra di propaganda dell’astensionismo marxista-leninista del Mugello-Val di
Sieve, cosa che ci ha fortemente penalizzati. Certo abbiamo realizzato
i banchini tra la popolazione, però il
danno c’è eccome, specialmente in
zone dove leggere i manifesti è cosa
ben radicata. Comunque, siamo fieri di aver dato il nostro contributo
all’avanzata dell’astensionismo secondo le nostre possibilità.
Al confine tra Marche ed Emilia-Romagna
Elezioni comunali
a Gabicce Mare
L’astensionismo avanza e si conferma
come primo “partito” (+6%)
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione
di Gabicce Mare del PMLI
Anche in questa tornata elettorale, con le poche forze a disposizione il PMLI ha propagandato
l’astensionismo tattico marxista-leninista per le elezioni comunali di
Gabicce Mare (Pesaro Urbino) diffondendo alcune centinaia di volantini in diverse zone della città come
il mercato settimanale e il centro.
Il primo “partito” a trionfare anche quest’anno l’astensionismo,
che tra coloro che hanno disertato
le urne, schede nulle e bianche raggiunge il 33,17% contro il 27,13%
delle precedenti amministrative,
quindi cresce del 6%.
Le liste presenti invece non con-
vincono le masse popolari che le
sfiduciano; la lista “Gabicce Del
Popolo” conquista solo il 7,66%,
riferito all’intero corpo elettorale,
la lista “Per Gabicce” 8,67%, il Movimento 5 Stelle 21,33%. Il “vincitore” ufficiale della tornata elettorale risulta essere la lista “Insieme
Per Cambiare” col 29,18%.
Dunque la sfiducia delle masse
verso le istituzioni e i partiti borghesi continua ad aggravarsi ad ogni
tornata elettorale; essa va indirizzata verso la costituzione delle istituzioni rappresentative delle masse
fautrici del socialismo, organismi
che rappresenteranno veramente
gli interessi delle masse e non della borghesia locale, regionale e nazionale!
12 il bolscevico / cronache locali
Il sindaco M5S
di Pomezia nega
il dolce ai bambini
più poveri
Protestano i genitori
e lo accusano di razzismo
Una vera e propria misura
di discriminazione classista è
quella presa dal sindaco M5S
di Pomezia (Roma), Fabio Fucci, che ha deciso che dal prossimo anno scolastico nelle mense
delle scuole materne ed elementari del comune laziale in provincia di Roma compariranno
due menù, uno meno costoso
(4 euro) e uno più costoso (4,40
euro), uno senza e l’altro con la
merenda, ossia un dolce.
Come se non bastassero le
discriminazioni di classe che i
proletari adulti subiscono quotidianamente sulla loro pelle,
così ora anche i figli dei più
poveri sin dalla più tenera età
dovranno subire sulla loro pelle l’umiliazione di un diverso
trattamento per il semplice fatto che i loro genitori non sono
in grado di pagare qualche soldo in più.
L’indignazione dei genitori,
che hanno vivamente protestato
contro la decisione del sindaco,
non è tanto per il mancato apporto nutritivo della merendina
quanto per il valore sprezzante
del gesto che, palesemente discriminatorio, è destinato a incidere negativamente anche sullo
sviluppo psicologico dei bambini in così tenera età: e tale cultura discriminatoria portata avanti
dal Movimento 5 stelle arriva al
punto di far subire a dei bambini nell’età più delicata l’espe-
rienza più terribile, quella della
diseguaglianza sociale, e questo
proprio nella scuola pubblica
che dovrebbe invece garantire
senza eccezioni un eguale trattamento degli alunni.
Sotto accusa dev’essere anche il principio dell’autonomia
scolastica che permette queste
meschinità: non per nulla il ministro dell’Istruzione Stefania
Giannini, interpellata sul caso,
ha dichiarato che il fatto non la
scandalizza per niente nell’ottica dell’autonomia scolastica.
Scandalizzati e indignati
sono invece i genitori dei bambini di Pomezia che hanno accusato di razzismo il sindaco
che, per tentare di giustificarsi
dalle accuse, sosteneva di averli
informati preventivamente, fatto smentito però da molti di loro
in interviste agli organi di informazione.
Molti genitori del resto
sono infuriati con Fucci anche per il drastico taglio dei
percorsi effettuati dai pulmini scolastici, dal momento che
per risparmiare denaro, il Comune ha preso la decisione di
fare accompagnare i bambini
non alla scuola effettivamente
frequentata bensì a quella più
vicina a casa loro, ma quel che
è peggio è che la decisione era
stata diffusa solo tramite internet, per cui moltissime famiglie non ne sapevano nulla.
N. 26 - 3 luglio 2014
Tre sgomberi al giorno. Aumentano le occupazioni di case popolari sfitte
Si aggrava l’emergenza
casa a Milano
Conseguenza della politica delle giunte comunale Pisapia e
regionale Maroni che deviano sulla mangiatoia EXPO ingenti fondi
utili all’edilizia residenziale pubblica
‡‡Redazione di Milano
Nella Milano amministrata dalla giunta arancione del neopodestà
Pisapia l’emegenza casa è sempre
più forte: aumentano gli sgomberi, che sono arrivati a una media di
tre al giorno, ma anche le occupazioni “abusive”.
Nel 2009 sono stati eseguiti
744 sgomberi, nel 2013 salgono a
quota 1.135 (+150%).
E quest’anno la faccenda non
è migliorata: da gennaio a metà
maggio sono stati 225 gli sgomberi andati “a buon fine” (più di uno
al giorno), e 368 quelli falliti (per
la resistenza degli occupanti - per
far valere il proprio diritto all’abitare – opposta alla polizia in tenuta antisommossa), a cui se ne aggiungono altri 49 di occupazioni
consolidate.
A fronte di una domanda abitativa in crescita (attualmente sono
23.388 singoli o nuclei idonei in
attesa di un’assegnazione) dimi-
nuiscono gli alloggi messi a disposizione dall’Azienda lombarda edilizia residenziale (ALER, ex
IACP, controllata dalla giunta regionale del dittatore fascioleghista
Maroni): sui 40mila di cui è proprietaria ne ha messi a disposizione solo 22, mentre l’assessorato al
demanio della giunta comunale di
Pisapia ne ha liberati e assegnati
121 dei suoi 28mila.
Davvero una minima parte,
se si pensa che ALER e Comune hanno rispettivamente 5mila e
2.500 alloggi sfitti.
La naturale conseguenza di
ciò è l’aumento delle occupazioni
“abusive”, dieci al giorno, circa.
Intanto sono pronti 50 appartamenti da ristrutturare spettanti ai
nuclei disposti a sostenere il costo
degli interventi, da scalarsi successivamente dai canoni di affitto; l’ammontare dei costi arriva a
200mila euro, in media 4.000 per
famiglia.
La mafia avvelena la Puglia con
rifiuti e discariche clandestine
‡‡Dal nostro corrispondente
della Puglia
I numeri parlano chiaro: il
18,6% delle indagini nazionali sul
traffico dei rifiuti riguardano la
Puglia dove, dal 2002 sono state
avviate più di 40 inchieste.
Le dichiarazioni di Carmine
Schiavone, “pentito” di camorra
che ha vuotato il sacco sull’orribi-
Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che
le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico”
Indagato assessore regionale UDC
per intrecci con le ‘ndrine calabresi
dei Trematerra.
Secondo gli inquirenti la cosca
avrebbe avuto monopolio esclusivo nello spalamento della neve,
nel taglio dei boschi, nella vendita
del legname, nella gestione delle
cave, nella gestione di servizi, nel
controllo sulle ditte operanti, sempre le stesse, alle quali venivano
di volta in volta affidati i servizi,
anche grazie al prestito ad interessi altissimi agli imprenditori coinvolti e a loro collegati.
Insieme a Trematerra sono indagati altri 16 imputati, con accuse di associazione mafiosa, concorso esterno, usura, estorsione,
porto e detenzione illegali di armi,
corruzione. Fra gli altri l’ex sindaco di Acri Luigi Maiorano e l’ex
consigliere comunale dello stesso
comune Angelo Gencarelli.
Quest’ultimo, secondo l’ipotesi accusatoria del pubblico ministero Pierpaolo Bruni, oltre ad
essere uno dei massimi esponenti del clan Lanzino, era segretario
politico di Trematerra, un ruolo,
secondo la DDA che gli avrebbe
consentito di essere “elemento di
darli nelle tangentopoli di EXPO,
della Città della Salute e di altre
inutili “grandi opere”), risanare e
riusare vecchi edifici di proprietà del Comune e dell’ALER, forti agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa per le famiglie
con un reddito medio-basso, abrogare la legge Zagatti 431 del 9 dicembre 1998 sulla liberalizzazione
degli affitti, vietare gli sfratti fino
a che non sia offerta un’adeguata
abitazione alternativa. Inoltre che
le amministrazioni comunali eroghino contributi economici per pagare l’affitto agli indigenti.
Tuttavia, solo nel socialismo
sarà effettivamente soddisfatto il
bisogno abitativo mediante l’edilizia popolare, slegata dalle logiche
di profitto capitalista, in grado di
dare a tutti un adeguato alloggio in
base al nucleo familiare e alle esigenze di ciascuno, senza lasciare
case sfitte e mettendo fine alla piaga degli sfratti.
I regali del capitalismo nella Puglia del rinnegato Vendola
Corrispondenza delle masse
Ennesima scottante inchiesta
antimafia in Calabria che svela
l’intreccio e il legame profondo
fra le ’ndrine ed esponenti politici di spicco delle istituzioni locali, espressione della destra e della
“sinistra” borghese nella martoriata punta dello Stivale.
La Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Catanzaro sta
indagando su Michele Trematerra (UDC), assessore regionale
all’Agricoltura della dimissionaria
giunta regionale del fascista malripulito, condannato e trombato
alle ultime europee Giuseppe Scopelliti (NCD).
Michele Trematerra (figlio
di Gino Trematerra, anche lui
dell’UDC di Casini, ex sindaco di
Acri in provincia di Cosenza, ex
senatore ed ex eurodeputato) è accusato di aver favorito la famigerata cosca dei Lanzino di Cosenza, una delle ’ndrine più potenti
dell’intera Calabria, fino a far diventare alcuni dei suoi esponenti i
veri e propri padroni di gran parte delle montagne del cosentino e
dello stesso comune di Acri, feudo
Quanto alle occupazioni, ALER
invece se ne occupa creando una
task-force per gli sgomberi a “tutela del patrimonio” e per “combattere la criminalità che sta dietro il
racket delle occupazioni abusive”.
Per eliminare il giro criminale
che sta dietro parte delle occupazioni (un racket che fa pagare agli
occupanti dei propri affitti, un racket che è utilizzato come pretesto
dall’assessore al Demanio, Daniela Benelli, nell’avallare gli sgomberi polizieschi che buttano in
mezzo a una strada intere famiglie
occupanti senza che alla criminalità sia torto un capello) è necessario
garantire legalmente il diritto alla
casa per tutti eliminando lo sfitto,
mediante l’obbligo per le amministrazioni comunali di requisire gli
alloggi liberi da più di un anno e
di darli in affitto a prezzi popolari,
aumentare i finanziamenti pubblici destinati dal governo alla politica abitativa (piuttosto che dilapi-
congiunzione tra l’associazione
mafiosa in questione e le istituzioni pubbliche, quali la regione Calabria e gli Enti ad essa collegati e
il comune di Acri; nonché soggetto in grado di condizionare, grazie
al rapporto collusivo instaurato
con pubblici funzionari, le scelte
amministrative degli Enti appena
richiamati e di orientarne le procedure amministrative riguardanti
gli appalti pubblici di seguito indicati a favore di società o “cartelli”
di società facenti capo ad imprenditori organici alla cosca”.
Gencarelli viene dunque descritto nell’indagine come una
sorta di braccio destro del reggente del clan Lanzino, Giuseppe Perri (condannato ad 8 anni e
4 mesi nell’ambito dell’inchiesta
“Twister” condotta dalla Procura antimafia di Catanzaro contro
un’organizzazione criminale che
avrebbe gestito a Cosenza e in provincia, tra il 2001 e il 2004, un giro
di estorsioni e di usura) e dall’altra
come personaggio di piena fiducia di Michele Trematerra; quindi
la sua è una posizione sintomati-
ca dell’intreccio fra politica, istituzioni borghesi e ’ndrangheta in
Calabria, una regione nella quale,
si può dire, con una punta di amara ironia, “non si muove foglia che
’ndrangheta non voglia!”.
Giordano - provincia
di Cosenza
le realtà causa di morte e malattia
nonché inquinamento per intere
regioni, ha dato ulteriore impulso
all’attività di investigazione per
scoprire ulteriori “tombamenti”
ossia fosse e canali in cui, in barba
a qualsiasi legge, sono stati accatastati e coperti con terra e sabbia interi bastimenti di rifiuti dei generi
più disparati: dai rifiuti ospedalieri agli scarti di pellami, dai pneumatici usati ai cascami di gomma,
materiale tessile, rifiuti ferrosi ed
elettrodomestici. In combutta con
la criminalità organizzata i pescecani capitalisti sono pronti a tutto,
assieme ai politicanti borghesi locali, pur di mantenere alti profitti
e prebende corruttive: tutto a scapito dell’agricoltura, dell’ambiente e delle masse popolari che così
languono e si ammalano anche
gravemente.
Poco tempo fa sono stati scoperti rifiuti ammontanti a migliaia di
tonnellate, provenienti da impianti
di compostaggio e stoccaggio siti
in Campania nelle province di Salerno, Caserta e Avellino. Si tratta
persino di rifiuti speciali, pericolosi e tossici quindi, trasportati illegalmente verso la Puglia, a Ordona in provincia di Foggia: si
stimano oltre 500.000 tonnellate di rifiuti (per dare un’idea della gravità di tali quantitativi, basti
pensare che un’automobile mediamente pesa 1,5 tonnellate).
Mostruose risultano le notizie
che arrivano dalle zone promiscue
a Brindisi: qui 13.000 tonnellate di
fanghi tossici, provenienti da Taranto, sono state cosparse su terreni agricoli dove si coltivano frutta e ulivi.
Ma non è tutto: il traffico capitalistico-mafioso dei rifiuti arriva
persino ad esportarli illecitamente
verso nazioni più povere spesso dominate dalle mafie e da oligarchi e
tiranni senza scrupoli: nel porto di
Bari sono state sequestrate 180 tonnellate di rifiuti diretti verso l’Europa dell’Est o l’Estremo Oriente.
Accade nulla attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di
classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove
lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove
vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali
ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le
seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza
delle masse e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
a
i
v
o
m
a
i
z
z
a
Sp
N. 23 - 12 giugno 2014
falsi comunisti / il bolscevico 9
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
Stampato in proprio
Solo il
socialismo
può
cambiare
l'Italia
e dare
il potere al
proletariato
Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
i
n
o
c
s
u
l
r
e
B
l
e
d
o
n
r
il gove
i
z
n
e
R
o
n
a
i
t
s
i
r
c
o
dem
14 il bolscevico / cronache locali
N. 26 - 3 luglio 2014
Sempre più disoccupati toscani
si rivolgono alla Caritas
‡‡Dal corrispondente della
Toscana
La fotografia di povertà che
emerge dal dossier 2014 della Caritas Toscana è agghiacciante.
Un dossier che riguarda 152
centri di ascolto regionali con un
totale di 25mila persone che si
sono rivolte nel 2013 alla Caritas.
Se da una parte si contrae il numero di nuove persone rispetto al
2012 con un -6,3%, dall’altra aumentano dal 53,4% al 59,7% le persone già conosciute, con il 20,7%
che da almeno 6 anni si rivolge alla
Caritas. Segno evidente dell’abbandono completo da parte delle istituzioni borghesi di coloro che si sono
ritrovati a dover affrontare la pesante crisi economica capitalistica e
che affannano o non si riprenderanno mai economicamente.
A chiedere aiuto economico e
sociale sono sia italiani che stranieri e in Toscana i primi sono i
più numerosi che nel resto dell’Italia centrale (66,9%), oltre che nel
Paese (61,8%).
L’età media è di 43 anni, sia per
gli uomini che per le donne, la media
per gli italiani è di 50,1 anni, mentre
per gli stranieri è di 39,6 anni.
La causa principale di richiesta d’aiuto è la disoccupazione
che nel 2012 ammontava al 74%
del totale, mentre nel 2013 sale al
76,4% con un incremento che è il
più alto dall’inizio della crisi.
Chi ha una casa di proprietà
non è immune dalla povertà e chi
già da anni si rivolge alla Caritas
generalmente vive in abitazioni
precarie il 39,9% o ne è privo (il
9,6%) e si adatta in roulotte, baracche, case abbandonate, auto.
Dati che fanno ben riflettere
sull’ingiustizia economica e sociale perpetrata che il regime capitalistico riserva al proletariato e
alle masse popolari.
E mentre si allarga la forbice
della disuguaglianza sociale, le
politiche governative e delle amministrazioni locali tendono a ridurre ulteriormente persino quelle
forme di assistenzialismo che finora rappresentavano una sorta di
ultima spiaggia contro la povertà
e che ora risultano del tutto inadeguate e inefficaci.
A Firenze
MANIFESTAZIONE DEI LAVORATORI
ESAOTE
CONTRO
LO
SPACCHETTAMENTO
Solidarietà del PMLI
‡‡Redazione di Firenze
Mercoledì 18 giugno centinaia
di lavoratrici e lavoratori dell’Esaote, importante eccellenza nel biomedicale, hanno manifestato per le
vie del centro di Firenze in difesa
del posto di lavoro. Insieme a loro
sono scesi in piazza anche i lavoratori degli appalti delle pulizie e
della mensa che lavorano all’interno dello stabilimento fiorentino in
quanto, come affermato nel loro comunicato stampa, “la battaglia dei
lavoratori Esaote non può che essere una battaglia comune che vede
impegnati tutti i lavoratori a difesa
dei posti di lavoro e dello storico
stabilimento fiorentino”.
Lo spacchettamento voluto dai
vertici aziendali è la motivazione
della giusta protesta che vedrebbe
il coinvolgimento in Cigs di 120
lavoratori tra Firenze e Genova e
la costituzione di due società sulle quali verranno inglobati 77 dipendenti a partire dal prossimo
settembre, 76 esuberi di cui 31 a
Firenze e il trasferimento di 22 in-
gegneri a Genova, depotenziando
il sito fiorentino di “know-how”,
ovvero di conoscenza e modernità
all’avanguardia.
La protesta si rivolge anche
contro la “sordità” della dirigenza
aziendale che invece di avviare un
tavolo di confronto che coinvolga lavoratori e sindacati, prosegue
con le sue decisioni, ignorando del
tutto le proposte che salverebbero
tutti i posti di lavoro.
Evidentemente Sergio Marchionne a.d. della Fiat insegna agli
altri capitalisti, vedi l’Esaote, ma
anche il recente accordo sempre a
Firenze della GE Transportation
(settore del treno), realtà del gruppo americano General Electric
che recentemente con una mail
indirizzata ai lavoratori informava della vendita dell’azienda alla
francese Alstom, il tutto senza il
minimo coinvolgimento dei lavoratori, dei sindacati e neanche dei
dirigenti italiani.
Per il 4 luglio prossimo è in
programma un tavolo nazionale al
È utile battersi contro lo
stravolgimento della Costituzione
da parte di Renzi?
Vorrei sapere se ritenete utile
portare avanti iniziative contro lo
stravolgimento della Costituzione
che il governo Renzi sta facendo
a completamento di quelle già realizzate dai governi precedenti e
se ci sono iniziative in tal senso.
A me sembra che ciò sia necessario non solo ai fini della difesa dei diritti della persona, ma
anche per difendere uno spazio di
agilità politica da parte di chiunque.
Mara – email
Certo che sì, ma ci sembra
che ormai i buoi siano scappati.
Da tempo è stata fatta carta
straccia della Costituzione democratico borghese e antifasci-
Sono pronto
a tornare
in campo
Firenze, 18 giugno 2014. Manifestazione di protesta dei lavoratori Esaote (foto
Il Bolscevico)
ministero dello Sviluppo Economico. Oltre ad esprimere sostegno
e solidarietà ai lavoratori Esaote, come marxisti-leninisti li invitiamo a non abbassare la guardia
e a proseguire la protesta, perché
l’esempio emblematico dei lavoratori della Seves di Firenze, dimostra la politica antioperaia del
Berlusconi democristiano Renzi.
Cari compagni,
ho alzato la vigilanza rivoluzionaria. Per quanto riguarda il lavoro di massa tra gli studenti, ho
bisogno di qualche dritta. Sono
pronto a tornare in campo per la
causa del socialismo, più attivo
che mai!
Saluti marxisti-leninisti.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Angelo – Palermo
sta del 1948. Il nostro Partito e
il nostro giornale l’hanno denunciato puntualmente, all’inizio da
soli o quasi, ma mano che veniva
compiuto lo scempio, e avanzava la riscrittura della Costituzione
secondo il piano fascista della
P2. Adesso Renzi e Berlusconi,
con l’abolizione del Senato e la
“riforma” del Titolo V, vi pongono
il sigillo.
Fino all’ultimo, comunque,
è giusto e doveroso lottare, ma
senza farsi illusioni costituzionali.
La lotta va proseguita contro
il regime neofascista e piduista
e per l’abbattimento del governo del Berlusconi democristiano
Renzi. “Anche per difendere uno
spazio di agilità politica da parte
di chiunque”, come lei dice.
La Tasi nuova tassa ai
danni delle famiglie
La nuova tassa sulla casa, la Tasi,
è una tassa che va a colpire l’abitazione principale fatta con tanti sacrifici dalle famiglie italiane. Si tratta
di una vera vergogna, di una presa di
giro, dove il governo con una mano
ha dato la mancia di circa 80 euro per
prendere i voti e con l’altra svuota le
tasche delle famiglie con la Tasi.
Ai politicanti borghesi basta
avere la poltrona e lo stipendio e
basta. Questa è l’Italia e non è messa molto bene.
Adolfo Sasso - Vicopisano (Pisa)
Campi Bisenzio (Firenze)
Le inadempienze del sindaco di Catania
Presidio contro i
licenziamenti voluti
Enzo Bianco (PD)
dalla Pam Panorama
Il PMLI solidarizza
Campi Bisenzio (Firenze), 22 giugno 2014. Un momento del presidio organizzato dall’USB contro i licenziamenti (foto Il Bolscevico)
‡‡Redazione di Firenze
Le lavoratrici e i lavoratori
della Pam Panorama, organizzati dall’USB, hanno manifestato domenica 22 giugno davanti all’ingresso del grande centro
commerciale di Campi Bisenzio, contro i 47 licenziamenti
dichiarati dall’azienda a livello regionale, di cui 16 nel punto
vendita di Campi, le decisioni di
fare lavorare tutte le domeniche
e la mancata apertura di un tavolo di confronto che coinvolga
lavoratori e sindacato.
I marxisti-leninisti fiorentini sono solidali con i lavoratori
della Pam in lotta, in difesa del
posto di lavoro e contro lo sfruttamento da parte dell’azienda.
Il sindaco di Catania, Enzo
Bianco, a capo dell’amministrazione “progressista” ha pubblicato un e-book ad uso dei catanesi,
nel quale si autoglorifica per 124
cose fatte in un anno di sindacatura, ma omettendo di comunicare di
non avere neppure messo mano a
nessuna delle emergenze dei suoi
concittadini: comunitari, indigeni ed “extra-comunitari”. Il liberista Bianco, ha gettato la maschera,
attivando una politica in favore di
chi sta bene economicamente e dei
cavalieri della finanza speculativa/
imprenditoriale. L’attuale manutentore di Catania non si cura e disattende alle emergenze/sofferenze di cittadini sotto sfratto(circa
2.000), della mancanza della casa
per 15.000 famiglie che da anni
attendono che venga loro assegnata la casa popolare, delle sanatorie della pre-oasi del Simeto, della
mancanza di un progetto di riqualificazione/ripristino del centro
storico e delle zone riperimetrate.
I catanesi non possono avere questi finanziamenti regionali perché
il sindaco Bianco non ha redatto
e presentato il piano particolareggiato. Per l’emergenza migranti
il comune deve attingere ai ricavi delle tasse dei cittadini in quanto c’è l’impossibilità di accedere
ai fondi del programma nazionale SPRAR (Sistema di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati) da
tempo operativo finanziariamente, ma Bianco, non avendo redatto
e presentato il progetto finalizzato e comprensivo dell’integrazione con il territorio di fatto sottrae
queste risorse ai migranti, penalizzando i cittadini incolpevoli!
A Catania c’è una emergenza
casa che registra 2.000 sfratti esecutivi e 15.000 famiglie in attesa
di assegnazione di casa popolare.
In merito corre l’obbligo ricordare
che anni fa (2006-2010) la GdF ha
eseguito un’indagine molto circostanziata, che coinvolgeva sia il segretario provinciale del SICET-CISL di Catania sulla gestione molto
“familiare” dell’IACP, sia i vertici
dell’istituto per “convivenza” speculativa in favore di dipendenti e
familiari per l’assegnazione e/o la
vendita degli alloggi popolari. Il
processo è ancora in corso, ma i dirigenti dell’istituto, sia quelli andati in pensione che quelli ancora in
servizio, come anche il segretario
sindacale, non hanno a loro carico
sanzioni e/o sospensioni di sorta
alcuna. Da notare come a tutt’oggi le varie associazioni politiche,
richiamandosi al bene comune dei
cittadini, seguono stancamente e
con distanza gli accadimenti giudiziari in corso d’opera.
Il “progressista” Bianco ha
dribblato su finanziamenti cui non
si può accedere perché il comune
non ha presentato i progetti previsti per legge relativi alle emergenze del lavoro agricolo. C’è una carenza di progetti mirati, come sul
diritto alla casa in merito a interventi di bonifica/ristrutturazione/
riqualificazione del centro storico della città. Se si desse seguito
al finanziamento regionale si consentirebbe ai cittadini di costituirsi in cooperativa di produzione e
lavoro e quindi di autogestire il finanziamento, contraendo contratti
chiavi in mano con ditte edili, oppure assumendo temporaneamente la manovalanza qualificata per
l’esecuzione dei lavori nel rispetto
del progetto del comune.
Ma la giunta Bianco non è interessata a produrre un progetto
mirato, utilizzando al meglio il fi-
nanziamento regionale, in quanto
ha già deliberato, con il concorso
finale del consiglio comunale, il
progetto “Stella polare”, che interessa il litorale ove insiste la sabbiosa spiaggia di Catania e che cementificherà ulteriormente la città,
con la costruzione di unità abitative su terreni agricoli da tempo acquistati a prezzi irrisori da coloro
che in silenzio hanno beneficiato
di una più che benevola variazione
di destinazione d’uso.
I sindacati edili non hanno minimamente contestato questo piano/progetto speculativo presentato
da una società che ha un capitale
sociale di 50.000 euro a fronte di
un investimento che contabilizza
500.000 euro, escludendo gli oneri
di urbanizzazione e le opere connesse che non saranno in carico
alla società titolare del programma. Il sindaco Bianco prima delle
elezioni aveva tuonato contro questa operazione attivata dall’ex-sindaco di Forza Italia Stancanelli ma
dopo è cambiato tutto. Come mai?
Da un simpatizzante
della Cellula “Stalin”
della provincia di Catania del
PMLI
esteri / il bolscevico 15
N. 26 - 3 luglio 2014
Agli ordini delle multinazionali
La Ue da’ via libera
alle coltivazioni transgeniche
I singoli Stati membri hanno però il diritto di vietarle su una parte o sulla totalità del proprio territorio nazionale
Il
Consiglio
Ambiente
dell’Unione europea ha raggiunto
il 12 giugno scorso l’accordo politico sul testo predisposto dalla
Presidenza greca sulla proposta
della Commissione di modifica
della Direttiva 2001/18/CE, nella
parte che riguarda la possibilità
per gli Stati membri di limitare o
vietare la coltivazione di organismi
geneticamente modificati (Ogm)
sul loro territorio, decidendo che
la materia non è di competenza
dei regolamenti comunitari e demandando la decisione ad ogni
stato membro. Il testo approvato
al consiglio Ambiente dovrà tornare al Parlamento europeo per
la seconda lettura.
Il compito di autorizzare l’utilizzo di sementi geneticamente
modificate tocca alla Commissione, una volta sentito il parere
dell’agenzia alimentare europea,
che ha sede a Parma. Finora Bruxelles ha autorizzato la coltivazione di mais e di un tipo di grano
prodotto dalla multinazionale
Monsanto. Molti Stati membri,
tra cui l’Italia, si sono rifiutati di
applicare la decisione della Commissione, anche se le ragioni del
rifiuto legate alla tutela della salute erano regolarmente respinti
dall’Agenzia alimentare che li riteneva ingiustificati. Negli ultimi
anni le multinazionali del settore
hanno intentato cause e presentato ricorsi alla Commissione, che
non riusciva a imporre ai governi la liberalizzazione delle culture
autorizzate anche perché alcuni
paesi contrari agli ogm riuscivano
a bloccare ogni decisione determinante del Consiglio europeo.
L’accordo raggiunto dai ministri dell’Ambiente, se confermato
dal Parlamento, consentirà di superare questa situazione di stallo,
facilitando le coltivazioni transgeniche. Se l’Efsa (European Food
Safety Authority) e la Commissione esprimeranno un parere negativo su un Ogm, nessuno Stato
membro potrà farne utilizzo. Viceversa, se si esprimono favorevolmente approvando un Ogm,
ogni Stato membro dell’Unione
Europea può scegliere se accogliere la decisione o vietarne l’utilizzo sul proprio territorio, oppure
di limitarlo ad alcune aree geografiche adducendo motivazioni
relative all’uso dei suoli, alla tutela ambientale, all’impatto socio
economico, alla pianificazione
territoriale o all’esigenza di evitare contaminazioni.
La definizione di una lunga
lista delle motivazioni contrarie
all’uso degli Ogm non tranquillizza affatto gli ambientalisti che
chiedevano “una base legale più
solida, capace di garantire che le
valutazioni di impatto su ambiente
e salute non siano basate unicamente sui dati forniti dalle stesse
aziende biotech che richiedono
la vendita o coltivazione degli
Ogm”. Erano le stesse perplessità espresse dai ministri di Belgio
e Lussemburgo che si sono astenuti sull’accordo denunciando “il
ruolo troppo rilevante lasciato alle
industrie di biotecnologie” che
potranno esercitare pressioni sui
governi nazionali.
Secondo le organizzazioni
Greenpeace e Slow Food il testo
attuale “rischia di trasformarsi in
una trappola per i paesi che non
vogliono gli ogm”, dato che “il testo dà poche garanzie di reggere
in sede legale. Quei paesi, come
l’Italia, che vogliono dire no agli
ogm sarebbero esposti alle ritorsioni legali del settore biotech”.
Questo testo, sostengono le due
organizzaioni, “impedisce agli
Stati membri di utilizzare le motivazioni legate ai rischi per salute
e l’ambiente derivanti da colture
ogm per limitarne la coltivazione
a livello nazionale”. Senza contare che gli Stati non hanno tutti
pari forza legale e pari capacità
di negoziazione e una decisione
come questa può significare la
consegna degli Stati più deboli ai
voleri delle multinazionali.
L’Europa coltiva legalmente
Ogm dal 1996 su una piccolissima percentuale, lo 0,03%, della
superficie coltivata. Il paese che
più ne coltiva è la Spagna e l’unico
prodotto che si coltiva in quantità
significative è il mais. Il grano geneticamente modificato è coltivato
liberamente in Spagna, Portogallo,
Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca. Una situazione rimasta
per quasi venti anni invariata e che
potrebbe essere modificata a vantaggio della multinazionali capitaliste dall’intesa dei ministri dell’Agricoltura del 12 giugno.
Tra Hamas e Fatah
Costituito un governo di “consenso nazionale”
nei Territori occupati
Il nuovo governo di “consenso
nazionale” palestinese, presieduto
da Rami Hamdallah, e appoggiato esternamente da Hamas e Al
Fatah ha giurato di fronte al presidente Abu Mazen lo scorso 2 giugno nella Muqata, il parlamento, a
Ramallah. Si tratta di un esecutivo
tecnico provvisorio, formato da
17 ministri indipendenti, guidato
dal premier Rami Hamdallah, che
avrà come compito principale
quello di organizzare e gestire le
elezioni presidenziali e quelle politiche nei territori occupati entro
la fine del 2014. Dei 17 convocati,
5 non hanno potuto partecipare
alla cerimonia del giuramento,
perché dovevano venire da Gaza
ma le autorità sioniste non hanno
concesso loro il permesso di recarsi in Cisgiordania.
La formazione del nuovo esecutivo segna la ricomposizione della frattura di sette anni fa
quando Abu Mazen e Fatah, sotto la pressione degli imperialisti e
dei sionisti, mollarono il governo
presieduto dall’esponente di Hamas Ismail Haniyeh che nel 2006
aveva vinto le prime elezioni nei
territori occupati. E Hamas cacciò i rappresentanti di Fatah dalla
striscia di Gaza. L’unico governo
Critiche da sinistra. Il sionista Netanyahu annuncia misure punitive e
mette a ferro e fuoco la Cisgiordania alla ricerca di tre giovani dispersi
palestinese finora eletto è rimasto
in carica fino all’1 giugno quando Haniyeh ne ha annunciato lo
scioglimento.
Era stato lo stesso ex premier palestinese ad annunciare
lo scorso 23 aprile la conclusione dei colloqui fra Hamas e una
delegazione di Fatah su un progetto di “riconciliazione nazionale” che prevedeva la formazione
di un nuovo esecutivo. In risposta il premier sionista Netanyahu
convocava il gabinetto di guerra
e decideva l’adozione di nuove
sanzioni economiche contro l’Autorità nazionale palestinese (Anp).
Già il regime di Tel Aviv ha bloccato i trasferimenti di tasse e dazi
doganali per un valore di cento
milioni di dollari al mese all’Anp,
per rappresaglia dopo le recenti
richieste di adesione dello Stato
palestinese a 15 trattati e convenzioni internazionali.
Il blocco dei trasferimenti
all’Anp è stata una delle spinte
alla “riconciliazione nazionale” per
lo screditato Abu Mazen, che si è
legato mani e piedi alla trappola
del fallimentare, per i palestinesi,
“processo di pace” determinato
da imperialisti e sionisti. Hamas
è rimasta orfana dell’appoggio
della Fratellanza musulmana in
Egitto, con entrambe le organizzazioni dichiarate fuorilegge dal
Cairo, e sembra puntare sulla pacificazione nazionale per uscire
dall’isolamento. Hamas e Fatah
ritentano la strada che fallì dopo
l’accordo del 4 maggio 2011 che
prevedeva la formazione di un
governo congiunto e la preparazione di elezioni parlamentari e
presidenziali in 8 mesi.
“Oggi con la formazione di un
governo di consenso nazionale
- ha affermato il presidente Abu
Mazen il 2 giugno - annunciamo
la fine di quelle divisioni in seno
al popolo palestinese che hanno
danneggiato la nostra causa nazionale”; questo “è il governo di
tutto il popolo palestinese”, commentava un portavoce di Hamas,
formato da “tecnici” e non da
esponenti ufficialmente delle due
organizzazioni.
Il presidente dell’Anp e leader
di Fatah Abu Mazen “ha formato un governo di tecnocrati che
non include membri di Hamas.
Pertanto, alla luce di quello che
sappiamo, lavoreremo con questo governo” affermava un portavoce del dipartimento di Stato
americano. Precisando che gli
aiuti economici, che tenevano in
vita l’amministrazione collaborazionista dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), “saranno
calibrati sulla base delle azioni
dell’esecutivo”.
“Un governo palestinese di
vera unità nazionale deve puntare
ad avere una piattaforma politica
riconosciuta e accettata da tutto
il nostro popolo nei Territori occupati e in esilio e non cercare il
consenso degli Usa”, denunciava
il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che pure ha
appoggiato la riconciliazione nazionale. Il nuovo governo di Ramallah, criticava l’organizzazione
palestinese, mantiene inoltre gli
impegni di cooperazione sulla sicurezza con Israele e alle condizioni poste da Stati Uniti ed Europa. Impegni che hanno definito la
collaborazione tra i servizi segreti
dell’Anp e quelli sionisti che hanno riempito le carceri di Tel Aviv di
dirigenti, militanti e simpatizzanti
di Hamas in Cisgiordania.
La conferma nella cronaca degli ultimi giorni dopo la scomparsa di tre giovani israeliani mentre
facevano l’autostop nel blocco
colonico illegale di Gush Etzion,
in piena area C dei territori occupati sotto totale controllo militare
israeliano, e la conseguente caccia all’uomo scatenata dai sionisti
contro militanti e dirigenti di Hamas, accusata del rapimento.
Nella Cisgiordania messa a
ferro e fuoco, i soldati sionisti
hanno ucciso una decina di palestinesi; al 24 giugno i palestinesi
arrestatati erano quasi 400, dei
quali 300 vicini ad Hamas, chiusi
nella prigione di Ofer, o meglio in
“detenzione amministrativa”, la
formula che permette alle autorità
sioniste di tenere in carcere i palestinesi a tempo indeterminato.
L’intervento dell’esercito di
Tel Aviv ha innescato le proteste
palestinesi in tutta la Cisgiordania, protesta e rabbia dirette
anche contro la complice Anp e
il presidente Abu Mazen che anche nella recente visita in Arabia
Saudita ha riaffermato la volontà
di cooperare con le forze di sicurezza sioniste. E il 23 giugno,
dopo l’ennesimo raid dei soldati
nel centro di Ramallah, tra l’altro
a breve distanza dal quartier generale di Abu Mazen, decine di
giovani hanno preso a sassate
una sede della polizia dell’Anp.
In Russia
Nell’ambito delle manifestazioni per le ricorrenze della Seconda
Guerra Mondiale dei primi di giugno il presidente russo Vladimir
Putin aveva proposto di far decidere
agli abitanti di Volgograd se tornare
alla precedente denominazione di
Stalingrad legata all’omonima famosa e decisiva battaglia per le sorti della guerra. Sulla scia della proposta di Putin si è inserito il leader
del partito revisionista russo Gennady Zyuganov che ha proposto un
referendum per ripristinare anche il
precedente nome di San Pietroburgo, Leningrad. A favore del ritorno
ai precedenti nomi si è espressa anche la Chiesa ortodossa russa.
San Pietroburgo, l’ex capitale
degli zar ribattezzata Leningrado,
aveva ripreso il vecchio nome dopo
il crollo dell’Urss, nel 1991. La città
intitolata a Stalin aveva mantenuto
il suo nome fino al 1961, modificata in Volgograd dopo il controrivoluzionario XX Congresso del Pcus
dal revisionista Nikita Kruscev; ancor prima si chiamava Zarizin, re-
Proposti referendum per ripristinare
i nomi di Stalingrado e Leningrado
sidenza ufficiale dello “zarevic”,
l’erede al trono di “tutte le Russie”.
Precedenti proposte di referendum per ripristinare le denomina-
zioni di Stalingrado e Leningrado
erano state osteggiate e bocciate
dal governo di Mosca. La posizione espressa da Putin sulla possibi-
lità del cambio del nome potrebbe
questa volta portare ai referendum
nelle due città.
Iniziative che nascono escluVolgograd. Il Monumento ai martiri di Stalingrado e della guerra
patriottica contro l’aggressione
nazifascista. La città ha ripreso il
nome di Stalingrado ai primi febbraio 2013, per una settimana, in
occasione del 70° anniversario
della vittoria sull’esercito fascista,
dopo che negli anni Sessanta era
stata ribattezzata come Volgograd
7 Novembre 1917 (25 Ottobre
1917). L’assalto al Palazzo
d’inverno a Pietrogrado che
segnò la presa del potere da
parte del proletariato russo.
Successivamente, dal 1924
al 1991, verrà ribattezzata in
onore a Lenin, Leningrado
sivamente dalla volontà di Mosca
di sostenere la forza del crescente
nazionalismo, rispolverato da Putin ben prima dell’inizio della cri-
si ucraina allo scopo di rilanciare
l’imperialismo russo nell’arena
mondiale nella contesa con i concorrenti imperialisti. Facendo comunque leva su Lenin e Stalin
che evidentemente non sono stati
dimenticati dal popolo russo; altrimenti una volta cancellati sarebbero finiti nel dimenticatoio.
2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI
N. 23 - 12 giugno 2014
il governo
del Berlusconi democristiano Renzi
per l’Italia unita, rossa e socialista
Stampato in proprio
LAVORO
STABILE
AI
GIOVANI
Spazziamo via
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it