Disturbi generalizzati e pervasivi dello sviluppo Emilia Ciccia Disturbi generalizzati e pervasivi dello sviluppo ipotesi eziologica primi studi: Kanner Asperger Betthleim 1.alterazioni del SNC 2.evidenze biochimiche 3.fattori genetici criteri diagnostici Disturbo autistico (DSM-IV, 1994) Autismo infantile (ICD-10, 1992) compromissioni qualitative modelli interpretativi: •deficit della coerenza centrale •deficit della teoria della mente •deficit delle funzioni esecutive interazione sociale comunicazione verbale e non verbale attività ristrette e stereotipate valutazione interventi: insegnamento strutturato ABA funzionale (PEP-r) sintomatologica normativa 2 Autismo L’autismo rappresenta una delle sindromi più severe la cui comprensione ha impegnato ed impegna tuttora studiosi di vari settori. La sua fenomenologia si manifesta mediante una gamma ampia e articolata di sintomi che rendono complessa anche la classificazione diagnostica. Attualmente l’autismo viene considerato un disturbo generalizzato e pervasivo dello sviluppo (di cui ne interessa molteplici aspetti: percezione, attenzione, motricità, intelligenza, memoria, linguaggio, imitazione, adattamento) caratterizzato da una compromissione qualitativa ad origine precoce dell’interazione sociale, della comunicazione e del repertorio comportamentale. In vari casi possono coesistere “isole” di abilità affinate. La multiformità delle manifestazioni proprie dell’autismo, le diverse classificazioni succedutesi negli anni e la diversità di approcci e di interpretazioni hanno contribuito negli anni passati a creare difficoltà nel confronto dei risultati delle diverse ricerche che spesso si riferivano a quadri sindromici non sempre sovrapponibili seppure etichettati sotto lo stesso termine. L’equivoco nasce forse dal fatto che la parola autismo è stata usata per fare riferimento sia ad una sindrome che a un sintomo. 3 Cenni storici: Leo Kanner Il termine autismo viene introdotto per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugene Bleuler con esplicito riferimento ad un disturbo fondamentale della schizofrenia, cioè ad un restringimento delle relazioni con le persone e con il mondo esterno, tale da escludere qualsiasi cosa eccetto il proprio sé (Frith, 2002,). I primi studi del disturbo si devono a Leo Kanner e Hans Asperger che, indipendentemente l’uno dall’altro, pubblicarono i risultati delle loro ricerche. Kanner nel suo primo articolo, Disturbi autistici del contatto affettivo, applica il termine di autismo ad un gruppo di undici bambini, nove maschi e due femmine, che presentavano seri problemi di socializzazione, di comunicazione e di comportamento; nello stesso articolo vengono elencate 9 caratteristiche fondamentali della sindrome autistica: incapacità di relazione sociale (o isolamento autistico) abilità linguistica sviluppata con ritardo e senza funzioni comunicative buone potenzialità cognitive e di memoria ripetitività monotona disturbi dell’alimentazione panico per rumori e per oggetti in movimento buone “relazioni con oggetti inanimati” fisico normale, impaccio motorio appartenenza a famiglie intelligenti 4 Cenni storici: Hans Asperger Asperger, a sua volta, descrive nella sua ricerca un gruppo di bambini autistici, «muovendo da situazioni nelle quali erano identificabili importanti danni organici, fino ad altre prossime alla normalità» (Cottini, 2002, p. 8). Oggi, la sindrome di Asperger è riferita a quei bambini autistici che non presentano ritardo mentale, hanno delle capacità sostanzialmente nella norma e un linguaggio ben sviluppato. Studi e ricerche successive, pur confermando gran parte delle descrizioni fornite da Kanner e Asperger, hanno contribuito a definire in modo più preciso la sindrome, circostanziando le compromissioni a tre aree particolari (Surian, 2002): Capacità di interazione sociale Comunicazione verbale e non verbale Modelli di comportamento e repertorio delle attività 5 Sintesi storica 1911 – E. Bleuler conia il termine “Autismo” per indicare la perdita di contatto con il mondo esterno. 1930 – psicosi autistica, forma giovanile della schizofrenia. 1943/44 – studi e prime pubblicazioni ad opera di L. Kanner ed H. Asperger. 1950- La teoria psicodinamica, B. Betthleim e le teorie sulla madre frigorifero 1960- La teoria comportamentista: il metodo Loovas e il programma TEACCH 1979- il neo-direttore della rivista “Journal of Autism and Childood Schizophrenia”, Erik Schopler (successore di Leo Kanner), cambia il titolo nell’attuale “Journal of Autism and Developmental Disorder” 1980 - Con la terza edizione del DSM, il disturbo autistico viene riconosciuto come un’entità clinica distinta dalle malattie mentali Individuazione precoce Il riconoscimento dei sintomi nella fase precoce non è sempre facile e questo è da ricondursi al fatto che, tranne nei casi in cui l’esordio del disturbo non sia eclatante, la sintomatologia, almeno nelle fasi iniziali, può essere aspecifica, e diversi sintomi, che sono caratteristici dell’ autismo, possono essere comuni a diversi disturbi dell’età evolutiva. Nel 90% dei casi le madri riferiscono di aver notato qualcosa nel primo anno di vita, di solito anomalie dello sguardo, del gioco della partecipazione, una certa tendenza all’isolamento, assenza di reazioni anticipatorie, movimenti stereotipati, mancanza di iniziativa, passività, tendenza all’isolamento, rifiuto del contatto corporeo e disinteresse verso l’ambiente circostante (Adrien e coll., 1993). Due caratteristiche estremamente importanti che possono essere individuate come indicatori precoci del disturbo sono l’evitamento del contatto fisico (spesso i bambini incurvano la schiena per allontanarsi da chi ci accudisce) e l’assenza del dialogo tonico (non anticipano l’essere presi in braccio rimanendo passivi e con il corpo abbandonato). Tali bambini, inoltre, nei primi mesi di vita sono generalmente descritti o come passivi o come generalmente agitati . 7 Criteri diagnostici Nel DSM IV (1994) i disturbi dello spettro autistico sono classificati all’interno della sezione Psichiatria infantile, e sono definiti sotto la categoria di Disturbi generalizzati dello sviluppo. Appartengono a questa categoria: •Disturbo autistico •Disturbo di Rett •Disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato •Disturbo disintegrato della fanciullezza •Disturbo di Asperger Nell’ICD-10 (1992), la classificazione internazionale curata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la sindrome autistica viene inserita nel capitolo V Patologie mentali e del comportamento, nella categoria Sindromi da alterazioni globali dello sviluppo psicologico; non viene più definita disturbo autistico, come nel DSM IV, ma autismo infantile. Appartengono a questa categoria: •Autismo infantile •Autismo atipico •Sindrome di Rett •Disturbo disintegrativo dell’infanzia di altro tipo •Sindrome iperattiva, ritardo mentale e movimenti stereotipati 8 •Sindrome di Asperger Disturbo autistico (DSM-IV, 1994) Secondo i criteri del DSM IV (1994) per giustificare una diagnosi di autismo devono essere presenti determinati tratti diagnostici quali: A) la compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno due dei seguenti parametri: a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali come lo sguardo diretto, le posture e i gesti che regolano l’interazione sociale; b) incapacità di sviluppare con i coetanei relazioni adeguate al livello di sviluppo; c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone ( per es., non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse); d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva B) la compromissione qualitativa della comunicazione come manifestata da almeno uno dei seguenti parametri: a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato, non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione, come gesti o mimica; b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri; c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico; d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo; 9 Disturbo autistico (DSM-IV, 1994) C) modalità di comportamento, interessi ed attività ristrette e stereotipate come manifestato da almeno uno dei seguenti parametri: a) dedizione totale ad uno o più tipi d’interesse ristretti e stereotipati, anomali o per intensità o per focalizzazione; b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici; c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi ( battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo); d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti; D) Ritardo o funzionamento anomalo in almeno 1 delle seguenti aree, con esordio prima dei tre anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, (3) gioco simbolico o di immaginazione. 10 Incidenza I primi studi epidemiologici condotti da Lotter nel 1966 indicavano un’incidenza di 4,5:10.000. L’aumento della conoscenza di questa sindrome tra i professionisti responsabili della diagnosi e l’affinamento delle tecniche diagnostiche hanno portato ad una stima di 60:10.000, con una eguale distribuzione, in tutti gli strati sociali e le aree geografiche. È possibile che ci si trovi ancora di fronte ad una sottostima del fenomeno, infatti se si include nello Spettro anche la Sindrome di Asperger, ancora non molto conosciuta e non facilmente diagnosticabile, la stima sale a 1:100. Ma queste stime sono a tutt'oggi provvisorie, essendo gli stessi i criteri di diagnosi sottoposti a continua e veloce revisione. L’insorgenza del disturbo autistico nella prima infanzia è un’acquisizione certa, tuttavia l’età effettiva d’esordio del disturbo, le caratteristiche qualitative più specifiche dei primi sintomi, le modalità d’identificazione precoce, rappresentano degli aspetti ancora non completamente chiariti e quindi di fondamentale interesse per la ricerca. 11 Eziologia Abbandonata l’idea secondo la quale l’autismo deriva da conflitti psicodinamici tra la madre ed il bambino, unanime accordo si è raggiunto sull’ipotesi della multifattorialità delle cause, sia di tipo organico-genetico che di carattere psicologico. Alcuni autori hanno centrato la loro attenzione sulle alterazioni funzionali e strutturali del sistema nervoso centrale, altri su alterazioni biochimiche e fattori genetici 12 Ipotesi eziologiche Alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale Grazie all’utilizzo di strumenti medici altamente sofisticati, quali la TAC (tomografia assiale computerizzata), il PET (tomografia ad emissioni di positroni) e l’RMN (risonanza magnetica nucleare) è stato possibile rilevare la presenza di anomalie a carico del sistema nervoso centrale in molte delle persone affette d'autismo. Innanzitutto, si è evidenziato un aumento diffuso del metabolismo cerebrale ed alterazioni a livello dei lobi frontali, del sistema libico e del cervelletto che sono strettamente connessi. Questo ha portato ad ipotizzare per ciò che concerne il sistema limbico, alla presenza di anomalie a livello dell’Ippocampo e dell’Amigdala. Evidenze biochimiche L’attenzione si è concentrata anche sui due sistemi neurotrasmettitoriali, tra loro interdipendenti: il sistema dopaminergico e il sistema degli oppioidi endogeni (Lelord e Sauvage, 1994). L’autismo sarebbe associato ad una carenza di dopamina, che potrebbe essere dovuta ad un’incapacità da parte delle cellule nervose di produrla, ad un’insensibilità o a un basso numero di recettori dopaminergici, o ad un’impossibilità della dopamina di svolgere la sua funzione per la presenza di inibitori. «Un funzionamento non adeguato del sistema dopaminergico potrebbe giustificare alcuni dei sintomi principali dell’autismo, esercitando questo, un controllo sulle funzioni attentive, percettive, comunicative, 13 motorie, emozionali, e comportamentali» (Ibidem) Ipotesi eziologiche Fattori genetici Attraverso studi condotti su gemelli e consanguinei, in cui tutti i parenti vengono studiati per il maggior numero possibile di generazioni, è stato possibile osservare come l’incidenza dell’autismo si riscontra con una frequenza dalle cinquanta alle cento volte più elevata nei fratelli di bambini con autismo infantile, in confronto alla popolazione generale. Questo dato ha portato a pensare inevitabilmente che i fattori genetici siano quelli più coinvolti nell’eziologia di questo disturbo. Lo studio di Folstein e Rutter (1997) condotto su 21 coppie di gemelli, di cui uno diagnosticato come autistico, ha confermato l’importanza di questi fattori nell’autismo. Diverse sono le patologie genetiche che hanno un qualche legame con l’autismo e tra queste ricordiamo, Anormalità cromosomiche: la più conosciuta è la Sindrome del cromosoma X fragile 14 Modelli interpretativi U. Frith preferisce parlare di interazione fra fattori biologici, genetici e sociali e propone il modello di una lunga catena causale, caratterizzato da stadi separati: rischio (che può essere di molti tipi: geni imperfetti, anormalità cromosomiche, disturbi metabolici, agenti virali, intolleranza immunologica, anossia per problemi perinatali, etc.) attacco (che ciascuno di questi fattori di rischio può sferrare allo sviluppo del sistema nervoso) danno (che l'attacco può provocare in modo permanente nello sviluppo di specifici sistemi cerebrali relativi ai processi mentali superiori, lasciandone altri intatti). 15 Teoria della debole coerenza centrale Analizzando i processi sottostanti, responsabili delle manifestazioni comportamentali dell’autismo, Uta Frith e Fransesca Happè hanno sviluppato un modello teorico descritto nei termini della debole coerenza centrale (Frith e Happè, 1994). In base a questo modello, le persone con autismo presenterebbero una ridotta capacità di riunire insieme varie informazioni per costruire un significato o un concetto mentale, a causa dall’eccessiva concentrazione sul dettaglio che non consente di cogliere “l’intero”. I bambini con autismo riescono bene nei compiti che richiedono molta attenzione per i dettagli ma poca per decifrare il significato generale. Avere coerenza centrale debole significa avere grandi difficoltà ad identificare i dettagli importanti e a collegarli per formare una struttura coerente. 16 Teoria del deficit delle funzioni esecutive La funzione esecutiva è un costrutto cognitivo usato per descrivere i processi che si ritiene siano mediati dai lobi frontali. Essa è definita come la capacità di mantenere un’appropriata strategia di problem solving allo scopo di raggiungere un obiettivo. I comportamenti che sottendono la funzione esecutiva sono: pianificazione, organizzazione, attenzione mobile, memoria di routine, controllo di impulso, intenzione e perseverazione. Il comportamento delle persone con autismo spesso appare rigido e inflessibile; essi possono manifestare angoscia per qualsiasi insignificante cambiamento dell’ambiente e si dimostrano perseveranti nel seguire la loro routine in ogni preciso dettaglio. Anche la presenza delle stereotipie viene interpretato sulla base di questo deficit; sappiamo, infatti, che ogni compito può essere suddiviso in tante sotto-unità: le persone con autismo si troverebbero nell’impossibilità di pianificare queste microsequenze, terminandone una per attivare la successiva; ciò porterebbe alla ripetizione ossessiva e continuativa sempre dello stesso frammento di comportamento (Frith, 2002). 17 Deficit della Teoria della mente La Teoria della mente si riferisce all’abilità di dedurre gli stati mentali degli altri, vale a dire i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni e, all’abilità di usare tali informazioni per interpretare ciò che essi dicono, dando significato al loro comportamento e prevedendo ciò che faranno in seguito (Howlin et al., 1999). Dalle ricerche condotte da Uta Frith, Simon Baron-Cohen e Francesca Happè è stata avvalorata l’ipotesi secondo la quale i soggetti con autismo siano caratterizzati da una sorta di cecità mentale, che implica non solo un indebolimento nella capacità fondamentale di lettura della mente (Baron-Choen, Tager-Flusberg, 1994), quanto anche difficoltà nel distinguere le azioni intenzionali da quelle accidentali. Normalmente la capacità di leggere e interpretare gli stati mentali degli altri implica numerosi vantaggi, intanto di tipo relazionale, poiché favorisce la comprensione del mondo umano in quanto «attribuire alle persone degli stati mentali è di gran lunga il modo più semplice per capirle» (Dennet, 1978), consente di formulare spiegazioni relative al comportamento degli altri e di prevedere ciò che si apprestano a fare, e poi di tipo comunicativo, in quanto aiuta a comprendere i meccanismi della comunicazione, cercando di dare un significato a ciò che viene detto e di immaginare quale sia l’intento comunicativo della 18 persona che parla. Indicatori precoci della “cecità mentale” La mancanza della teoria della mente, nei soggetti affetti da autismo, comporta inevitabilmente una compromissione di meccanismi quali: lo sguardo referenziale, che viene utilizzato dalla maggior parte dei bambini con sviluppo tipico verso gli otto mesi di vita e si ha quando una persona guarda ciò che sta guardando un’altra e quando si usa la direzione del proprio sguardo nel tentativo di dirigere l’attenzione di un’altra persona su qualcosa; i gesti deittici, che emergono tra i nove e i dieci mesi d’età, sono finalizzati a mostrare qualcosa e vengono utilizzati spontaneamente dal bambino normodotato. Questo tipo di agire è detto proto-dichiarativo e viene utilizzato «al fine di commentare o fare osservazioni con qualcuno sulla realtà esterna» (Baron-Cohen, 2003) Accanto a questo tipo di agire, c’è poi anche quello che viene definito proto-imperativo e che viene utilizzato al fine di ottenere qualcosa per mezzo di qualcuno. 19 Valutazione Una valutazione completa adotta tre tipi di categorie: sintomatologica, normativa e funzionale. La categoria sintomatologica rileva i comportamenti sintomatici, ciò consente di identificare il disturbo oppure di escludere la diagnosi; strumenti di valutazione utilizzati: DSM IV TR; CARS; ADOS la categoria normativa identifica il livello intellettivo o di sviluppo confrontando il bambino con la popolazione a sviluppo tipico e consente comparazioni sullo sviluppo a distanza di tempo; strumenti di valutazione utilizzati: Brunet Lezine; Leiter – R; Scale Griffith o Wechsler la categoria funzionale identifica le capacità, i punti forti, gli stili di apprendimento e le motivazioni peculiari del bambino, fornisce informazioni sulle capacità attuali e potenziali della persona; questa categoria è funzionale alla struttura di un programma educativo individualizzato il più possibile idoneo; strumenti di valutazione utilizzati: P.E.P. – R (o P.E.P. 3); AAP.E.P.; Vineland 20 P.E.P (Profilo Psico-Educativo; Schopler et al., 1995): esamina le capacità e le potenzialità del soggetto. Definisce il livello di sviluppo raggiunto in sette aree evolutive: imitazione, percezione, motricità fine, motricità globale, coordinazione oculo-manuale, area cognitiva area cognitivo-verbale. La modalità di codifica delle risposte è data da tre livelli di performance: Riuscito, per le capacità acquisite (S); Emergente, per le attività effettuate parzialmente o con aiuto (E); Non riuscito (I) PEP -r SCALA EVOLUTIVA S E I IMITAZIONE PERCEZIONE MOTRICITA' FINE MOTRICITA' GROSSA OCCHIO - MANO PERFORMANCE VERBALE Scheda di registrazione PEP-r PEP -r Il test include anche 42 items che riguardano l’area del comportamento mediante una scala nella quale si annotano i comportamenti: adeguati (A); gravi (G); lievi (L). SCALA COMPORTAMENTALE Le quattro aree comportamentali sono: RELAZIONI •linguaggio MATERIALI •relazioni e affetti •risposte sensoriali •gioco e interesse per il materiale. SENSORIALE LINGUAGGIO A L G Intervento educativo Per impostare un programmare un intervento psico-educativo che risulti adeguato alle problematiche di chi è affetto da autismo, bisogna innanzitutto impostare una valutazione che consenta di avere un quadro completo del livello di sviluppo del bambino. L’analisi dovrà interessare lo sviluppo cognitivo e motorio, i deficit neurologici, le capacità percettive e relazionali e ciò al fine di definire un programma educativo mirato soprattutto allo sviluppo del bambino sui piani dell’autonomia, delle relazioni e delle capacità di comunicare. L’intervento educativo deve basarsi su princìpi fondamentali quali: insegnare in modo concreto, pragmatico ed operativo le abilità di comunicazione, la capacità di interazione e tutte le competenze di base dell’autonomia personale e sociale; adattare il nostro comportamento per aiutare il bambino autistico a capire la situazione. Tutto ciò dev’essere fatto sulla base della considerazione che le persone affette da autismo costituiscono un gruppo eterogeneo per cui, ogni soggetto dev’essere valutato secondo le sue caratteristiche specifiche, diverse da quelle, seppur simili, di un altro individuo con autismo. 25 Insegnamento strutturato Scopo principale di un insegnamento strutturato è quello di migliorare l’adattamento di ogni individuo al suo ambiente, e ciò può essere fatto attraverso due intenti educativi diversi ma collegabili: 1)migliorare il livello di abilità individuale, sfruttando gli interessi specifici degli studenti; 2)modificare l’ambiente per adattarlo ai bisogni specifici dell’autismo (Schopler et al., 1995). Ciò significa che il bambino con autistismo ha bisogno di una precisa strutturazione dell’ambiente che non dev’essere rigida ma flessibile e costruita in funzione dei bisogni e dei livelli di sviluppo del singolo bambino. Le fondamentali componenti dell’insegnamento strutturato sono quattro: L’organizzazione dell’ambiente fisico I programmi I sistemi di lavoro L’organizzazione dei compiti e del materiale 26 Strutturazione dello spazio La strutturazione deve essere flessibile, e non rigida, pensata e realizzata in funzione dei bisogni e del livello di sviluppo del singolo bambino e soggetta ad eventuali modifiche in ogni momento. È importante strutturare lo spazio, il tempo e il materiale di lavoro. Strutturare lo spazio vuol dire rispondere alla domanda “Dove?”. Ogni ambiente di lavoro viene organizzato secondo degli spazi che sono definiti in modo chiaro e visivo. Tutto questo consente al bambino di sapere con chiarezza quello che ci si aspetta da lui in quel luogo e in ogni situazione. Anche lo spazio-classe può essere, ad esempio strutturato, predisponendo un angolo per il lavoro individuale, uno per il riposo, uno per le attività di gruppo ed uno riservato al tempo libero, ciascuno definito e contraddistinto in modo chiaro con adeguati simboli di identificazione. 27 Spazio di lavoro L’angolo di lavoro, in genere, viene organizzato con un banco ai lati del quale si posizionano due scaffali disposti perpendicolarmente; lo scaffale a sinistra servirà per riporre il materiale di lavoro da eseguire, quello di destra per i compiti già portati a termine. È importante predisporre ogni spazio per una singola attività, in modo da garantire al bambino di potersi orientare da solo raggiungendo presto quella autonomia di movimento che diventerà per lui fonte di gratifica. 28 Strutturazione del tempo L’organizzazione del tempo risponde invece alla domanda “Quando?”, “Per quanto tempo?”. Per i soggetti autistici il passare del tempo è una nozione difficile da apprendere in quanto il tempo è forse la dimensione maggiormente simbolica che l’uomo si è data (ricordiamo che le persone con autismo presentano un deficit nelle capacità simboliche); proprio per questo è di grande importanza strutturare la giornata secondo una organizzazione del tempo che avvisi in ogni istante il bambino su ciò che sta accadendo e ciò che accadrà, affinché tutto sia gestibile e prevedibile. Il bambino con autismo viene dotato di una sorta di calendario giornaliero che può essere composto da oggetti, immagini, o parole scritte, a seconda del livello cognitivo del bambino, che sono disposti dall’alto verso il basso. Alla fine di ogni attività, il bambino può prendere il simbolo corrispondente e porlo in un altro spazio che indica il tempo trascorso, in modo tale da rendersi conto visivamente del tempo trascorso e di quanto manca per il ritorno a casa. 29 Strutturazione del materiale di lavoro La strutturazione del materiale di lavoro risponde alla domanda “Che cosa?”. Il lavoro che il bambino deve svolgere è disposto in maniera molto chiara: i compiti da svolgere sono sistemati sullo scaffale a sinistra e ogni scatola è contraddistinta dal simbolo del compito da svolgere. Oltre al calendario giornaliero delle attività, il bambino dispone anche di uno schema di lavoro, formato da lettere dell’alfabeto o numeri (o da oggetti e immagini se non comprende le lettere), ciascuna riportata su una scatola di lavoro. Ciascuna scatola di lavoro è contraddistinta da un simbolo, un colore o una forma, riportati anche sul piano del banco; ciò faciliterà il bambino nella sistemazione nell’ordine esatto. I compiti assegnati ai bambini devono essere semplici in modo da non richiedere spiegazioni, come ad esempio puzzle, incastri o lavori di montaggio. Il compito ultimato viene a quel punto riposto nella relativa scatola sullo scaffale di destra, così il bambino sa quanto lavoro è stato svolto e quanto ancora ha da eseguire. Il lavoro segue l’organizzazione, sinistra -centro- destra, come prescritto nella cultura Occidentale. All’inizio il bambino ha bisogno dell’aiuto dell’adulto, dal quale successivamente si allontanerà per raggiungere la propria autonomia. La rigidità della strutturazione spazio-temporale diminuisce quando ci si rende conto che la persona può farne a 30 meno. Strategie di intervento Il soggetto con autismo ha bisogno di strutturazione, che non significa, tuttavia, rigidità 1) Strutturazione dello spazio: Dove? 2) Strutturazione del Tempo: Quando? Per quanto tempo? 3) Strutturazione del Lavoro: Che cosa? Rinforzo e aiuto Il rinforzo risponde chiaramente alla domanda “Perché?”. Il rinforzo serve per dare delle motivazioni concrete ai compiti che il bambino deve svolgere in base all’intervento educativo predisposto per lui, e può essere di tipo sociale (elogi e complimenti) oppure più semplice. È importante che sia adeguato alle preferenze del bambino: un bambino, per esempio, che non accetta il contatto fisico, non dovrà essere abbracciato o baciato, così come il bambino che rifiuta il cibo non dovrà essere ricompensato con un dolce. A volte permettere al bambino di svolgere un’attività preferita, anche stereotipata, potrebbe rappresentare un ottimo rinforzo, così come può esserlo anche la soddisfazione di riuscire a svolgere da solo un compito assegnato. L’aiuto, invece risponde alla domanda “Come?”. Per spiegare un compito, non potendo utilizzare le istruzioni verbali, si può usare l’aiuto fisico o visuale. Il livello più alto di aiuto è rappresentato dall’aiuto fisico che, comunque, non deve mai rappresentare una costrizione. L’adulto può aiutare il bambino guidando la sua mano nell’esecuzione del compito, oppure può utilizzare modalità visuali, come ad esempio indicare col dito, spostare un oggetto dal posto sbagliato a quello giusto, o una simulando praticamente come svolgere il compito. Si può utilizzare anche un aiuto verbale, come semplici parole, utilizzando sempre le stesse per una spiegazione, cercando di non usare i sinonimi o un linguaggio che sia eccessivamente figurato. 32 ABA (Applied Behavior Analysis) L’ABA (Applied Behavior Analysis) prende in considerazione quattro elementi: 1. gli antecedenti, ossia tutto quello che anticipa il comportamento; 2. il comportamento in esame che deve essere osservabile e calcolabile; 3. le conseguenze, ovvero tutto quello che scaturisce dal comportamento in esame; 4. il contesto, che si riferisce sia al luogo, alle persone, materiali, attività o momento del giorno, dove il comportamento si manifesta. Il programma d’intervento si realizza sulla base dei dati che emergono dall’analisi, utilizzando le tecniche della sollecitazione (prompting), la riduzione delle sollecitazioni (fading), il modellamento (modeling), l’adattamento (shaping) e il rinforzo.
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