La riabilitazione respiratoria 107 LA RIABILITAZIONE RESPIRATORIA P. Ceriana Introduzione La ventilazione meccanica invasiva, cioè applicata con un’interfaccia inserita direttamente all’interno delle vie aeree (VMI) è stata impiegata per la prima volta in modo diffuso nei paesi scandinavi durante l’epidemia di poliomielite dei primi anni ’50(1) e il suo uso si è progressivamente consolidato nei decenni a seguire presso i reparti di cure intensive, tanto da essere oggigiorno universalmente riconosciuta come una procedura salva-vita per il trattamento dell’insufficienza respiratoria. È importante sottolineare che la VMI, a prescindere dalla specifica indicazione, non rappresenta di per sé un vero e proprio trattamento della patologia sottostante, ma piuttosto una procedura atta a “guadagnare tempo”, mantenendo il paziente in vita in attesa che la malattia che ha determinato il quadro di insufficienza respiratoria acuta evolva in senso favorevole. La percentuale di pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva che viene sottoposta a VMI oscilla tra il 35% e il 50%(2) e tale metodica viene applicata a tutt’oggi, per le seguenti indicazioni: a) Insufficienza respiratoria ipossiemica (50–65% dei casi). Sotto questa definizione sono raggruppate patologie a diversa eziologia e severità quali Acute respiratory distress sindrome (ARDS), edema polmonare acuto cardiogeno, polmonite, ecc., ma comunque accomunate da un danno parenchimale che determina un grave deficit disventilatorio restrittivo dovuto alla riduzione acuta del volume polmonare. b) Patologie a carico del sistema nervoso centrale (10-30%). L’indicazione riguarda le situazioni in cui il drive respiratorio è inibito o comunque alterato e i quadri di ipertensione endocranica (es.: traumi cranici in fase acuta) nei quali l’induzione di una moderata alcalosi respiratoria rientra tra gli obiettivi terapeutici; c) Insufficienza respiratoria ipercapnica, sostenuta da riacutizzazione di broncopneumopatia cronica ostruttiva o da stato di male asmatico (15%); d) Insufficienza respiratoria sostenuta da patologia neuromuscolare (es. sclerosi laterale amiotrofica) o da lesioni del midollo spinale tali da compromettere l’efficienza della pompa ventilatoria; (2 – 5%). U.O. di Pneumologia Riabilitativa e terapia sub-intensiva respiratoria - IRCCS Fondazione S. Maugeri – Pavia 108 P. Ceriana Dall’intubazione alla tracheotomia La VMI viene effettuata, come approccio iniziale, previa intubazione translaringea per via orale o per via nasale; la prima via è relativamente più facile e comporta un minor traumatismo alle cavità nasali ed un minore rischio di sinusiti, mentre la seconda ha il vantaggio di un migliore fissaggio del tubo ed un minore rischio di estubazione accidentale. Attualmente, nel caso in cui la ventilazione invasiva debba protrarsi oltre un certo periodo di tempo, è prassi comune convertire l’intubazione translaringea in tracheotomia, in media entro le prime due settimane di VMI, ma spesso anche più precocemente in certi casi selezionati. La disponibilità di kit precostituiti ideati sin dalla metà degli anni ’80 per tracheostomia percutanea, ha reso tale procedura di fatto quasi routinaria nei reparti di terapia intensiva, con l’indubbio vantaggio dell’effettuazione al posto letto del paziente senza la necessità di spostarlo in sala operatoria. Una recente indagine multicentrica condotta nelle terapie intensive in Italia(3) ha messo in evidenza che nella grande maggioranza dei casi la tempistica di esecuzione della tracheostomia era compresa tra i 7 ed i 15 giorni e solo in un 10% dei casi era eseguita prima dei 7 giorni o dopo i 15 giorni. Nell’89% dei casi la tracheostomia era eseguita con tecnica percutanea e solo nell’11% con tecnica chirurgica. Nella scelta dei tempi attualmente ci si basa anche sulla patologia di base responsabile dell’insufficienza respiratoria, concedendo un tempo sufficiente a capire la potenziale svezzabilità del paziente dalla ventilazione meccanica; ad esempio per quanto riguarda i gravi traumi cranici si preferisce una tracheostomia precoce, come pure nelle gravi patologie neuromuscolari, mentre nelle patologie respiratorie acute ipossiemiche o croniche ostruttive si preferisce dilazionare la scelta alla seconda o terza settimana di VMI. Per quanto riguarda la tecnica, si preferisce quella percutanea per le tracheotomie temporanee, cioè quei casi in cui il paziente potenzialmente potrebbe essere poi decannulato una volta risolto l’evento respiratorio acuto, mentre per le tracheotomie permanenti (ad esempio le patologie neuromuscolari progressive) si preferisce la tecnica chirurgica in quanto garantisce uno stoma leggermente più ampio e quindi dei cambi cannula più agevoli nella gestione del paziente a lungo termine. Le tecniche percutanee disponibili si possono raggruppare in due grandi categorie: quelle estrusive nelle quali la cannula tracheotomica infilata dal cavo orale viene fatta fuoriuscire all’esterno delle vie aeree con un approccio analogo a quanto avviene con le gastrostomie endoscopiche percutanee (PEG) e di questo tipo ricordiamo la Fantoni, dal nome del suo ideatore(4) e le tecniche intrusive che si basano sull’introduzione di dilatatori di diametro crescente sino ad ottenere il diametro sufficiente ad introdurre la cannula, e che si basano sulla tecnica originale di Ciaglia(5), cui hanno fatto seguito negli anni varie modifiche. Il razionale della conversione dalla intubazione translaringea alla tracheotomia si basa sui seguenti vantaggi(6): a) Migliore tolleranza della cannula tracheostomica rispetto al tubo translaringeo da parte del paziente; b) Necessità di minori dosi di sedativi; c) Facilitazione del processo di svezzamento dalla ventilazione meccanica, anche per la riduzione della componente resistiva; d) Migliore comfort e facilitazione dell’igiene orale e della possibilità di alimentarsi per os; e) Più agevole mobilizzazione del paziente e trasferibilità dello stesso al di fuori della terapia intensiva. La riabilitazione respiratoria 109 Il processo di “svezzamento”, cioè di distacco dalla VMI (weaning), avviene senza particolari problemi per circa il 70% dei pazienti, a causa della rapida risoluzione della condizione patologica che l’ha resa necessaria, mentre il restante 30% dei pazienti presenta invece la necessità di un supporto ventilatorio protratto e deve essere sottoposto a un processo di distacco o di “svezzamento” graduale. Il successivo favorevole distacco dal ventilatore avviene per l’85% di questi pazienti entro un periodo approssimativo di tre settimane, mentre il restante 15% dei pazienti viene considerato “ventilatore-dipendente”(7). Questi pazienti in genere, prima di essere avviati ad un programma di ventilazione domiciliare a lungo termine vengono trasferiti presso centri specializzati (unità di terapia intensiva respiratoria, step-down units, weaning centers) dove questi pazienti presentano una percentuale di favorevole definitiva liberazione dal ventilatore che raggiunge il 50%(8). Da questi dati si desume come la quota di pazienti che vengono indirizzati verso le cosiddette long-term facilities o arruolati in un programma di ventilazione domiciliare a lungo termine rappresenti approssimativamente il 5% del totale dei pazienti sottoposti a VM invasiva. Le patologie maggiormente rappresentate in questo sotto-gruppo di pazienti sono quelle restrittive (malattie neuromuscolari e dimorfismi primitivi o secondari del rachide e della parete toracica) e le broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO). La riabilitazione respiratoria I programmi e le strategie di riabilitazione respiratoria (RR) per i pazienti sottoposti a VMI prolungata sono, sulla base di quanto detto in precedenza, mirati ad ottenere lo svezzamento dalla ventilazione meccanica e trovano la loro naturale applicazione nei reparti di RR dotati di “weaning centers” o di terapia sub-intensiva (TSI) respiratoria dove lo staff multidisciplinare (medici, fisioterapisti ed infermieri) ha un expertise specializzato nel trattamento di questi casi. Infatti, il tipico paziente accolto nelle TSI è un individuo sopravvissuto a un evento clinico catastrofico, dove alle conseguenze dirette dell’evento respiratorio iniziale si sono sovrapposte tutte le complicanze dello stato critico e indirettamente generate dalle cure intensive. È un paziente magistralmente descritto in una recente pubblicazione del New England Journal of Medicine(9) e il cui stato si può definire una “chronic critical illness”, concetto apparentemente viziato da un contrasto stridente, se si pensa che nell’accezione comune il concetto di criticità e più legato ad un contesto di acuzie piuttosto che ad uno di cronicità, ma in realtà del tutto appropriato. Nella strategia di svezzamento, il punto cardine è rappresentato dal rapporto tra il carico di lavoro della pompa respiratoria a volume corrente (WOB) e la capacità ventilatoria, ossia la massima capacità di generare la pressione inspiratoria (Pimax), sebbene anche altri fattori, come la funzione cardiaca, neuromuscolare, la nutrizione, il bilancio metabolico e l’aspetto psicologico, rivestano un ruolo importante nel recupero dell’autonomia ventilatoria del paziente. Un ruolo centrale nel processo di svezzamento è rivestito dalla funzione dell’apparato cardiovascolare. Infatti, durante la riduzione del supporto ventilatorio si verifica un incremento della richiesta metabolica conseguente all’aumentato WOB, che richiede un aumento della gettata cardiaca(10). Inoltre la presenza di anemia, d’insufficienza surrenalica e altre condizioni sistemiche come ipokaliemia, ipofosfatemia, ipomagnesemia, e uno stato nutrizionale non adeguato potrebbero rallentare il processo di svezzamento alterando sfavorevolmente 110 P. Ceriana il bilancio tra WOB e capacità. Anche la presenza di delirium e alterazioni del benessere psicologico, come ansia e depressione possono influire sul successo del processo di svezzamento(11). Per valutare se il paziente è pronto per lo svezzamento, si deve considerare sia la stabilità delle condizioni cliniche, che la capacità di sostenere autonomamente il WOB. La valutazione obiettiva comprende: • stabilità cardiovascolare; • assenza di acidosi respiratoria severa; • ossigenazione adeguata; • adeguata performance della pompa ventilatoria. Per lo svezzamento devono essere inoltre prese in considerazione la capacità di collaborazione del paziente (sospendendo eventuale sedazione), e la capacità di gestire le secrezioni tracheo-bronchiali (efficacia della tosse e quantità di secrezioni)(12). Fisioterapia motoria La prolungata degenza in terapia intensiva determina gravi complicanze generali, come la “chronic critical illness”, decondizionamento fisico, debolezza muscolare persistente, e alterazioni dell’umore, che possono essere efficacemente trattate con un intervento riabilitativo appropriato, comprendente, accanto ai protocolli di svezzamento, un programma di fisioterapia specifico e da una valutazione e correzione delle alterazioni nutrizionali(13). L’intervento fisioterapico precoce può aiutare nel processo di svezzamento dalla ventilazione meccanica, previene il decondizionamento e le altre complicanze relative all’immobilità, migliora l’indipendenza funzionale, lo stato di coscienza e il benessere psicologico del paziente. La precoce mobilizzazione consente inoltre di ridurre l’incidenza delle complicanze polmonari, la durata della ventilazione meccanica, del ricovero in Terapia Intensiva (UTI) e la degenza ospedaliera complessiva(14). Lo screening preliminare per l’applicazione di tecniche di mobilizzazione assistita e attiva prevede l’esclusione di controindicazioni neurologiche, ortopediche o di altro genere (es.: instabilità medica per trombosi venosa profonda o embolia polmonare, procedure chirurgiche recenti particolari, come trapianti vascolarizzati di cute agli arti inferiori o al tronco). Si devono, inoltre, considerare il consenso del malato e altri aspetti che coinvolgono la sicurezza e la fattibilità della mobilizzazione, come la corporatura del paziente, la disponibilità e l’esperienza del team, la presenza e il posizionamento delle varie linee cruente ed incruente necessarie per il monitoraggio e il trattamento(15). Durante la mobilizzazione, tuttavia, i pazienti dovrebbero essere monitorati accuratamente per valutare la tolleranza all’esercizio e l’appropriatezza delle variazioni dei parametri fisiologici all’attività effettuata. In caso d’instabilità clinica l’intensità dell’attività dovrebbe essere ridotta. Se le condizioni cliniche non si stabilizzano, l’attività dovrebbe essere sospesa e il paziente messo in posizione di riposo. La debolezza dei muscoli respiratori è associata alla ventilazione meccanica prolungata, in particolare nelle modalità controllate, e può costituire uno dei principali ostacoli allo svezzamento(16). Diversi studi condotti in UTI su pazienti dipendenti da ventilazione hanno mostrato che l’allenamento dei muscoli respiratori può essere sicuro e fattibile, ed associarsi ad un migliore outcome di svezzamento(17). Vi sono ancora, tuttavia alcuni aspetti da chiarire, in particolare nei pazienti con malattie neuromuscolari e con BPCO molto severa. La riabilitazione respiratoria 111 Problematiche nutrizionali La valutazione nutrizionale riveste una particolare importanza nei pazienti con patologie respiratorie croniche, soprattutto se associate a svezzamento difficoltoso o prolungato da ventilazione meccanica(18). La malnutrizione proteico-calorica è stata, infatti, associata a una prognosi peggiore nei pazienti con BPCO, e tra quelli trattati con ventilazione meccanica cronica è stata dimostrata una minore sopravvivenza nei pazienti con BMI<20(19). Soprattutto nei pazienti COPD la disfunzione dei muscoli respiratori potrebbe essere dovuta anche a condizioni che coinvolgono il metabolismo e la nutrizione. L’ipofosfatemia può determinare insufficienza respiratoria acuta, mentre l’eccessiva sintesi di lipidi dal glucosio e la ridotta mobilizzazione dei trigliceridi causata dalla riduzione dell’esercizio fisico potrebbero essere dannose determinando un incremento della massa grassa. La perdita di massa muscolare può essere causata da ridotta sintesi (anabolismo) o da catabolismo proteico. Altri fattori non nutrizionali, come l’inattività fisica, alterazioni neuroendocrine e lo stato infiammatorio possono contribuire ad alterare il bilancio proteico. Lo studio dei meccanismi della cachessia indica una complessa interazione tra i mediatori dell’infiammazione, lo stress ossidativo e i fattori di crescita coinvolti nei processi che governano la degenerazione delle fibre muscolari, l’apoptosi e la rigenerazione(20). La correzione della malnutrizione può avvenire mediante incremento dell’apporto calorico quotidiano e prevenzione della perdita di peso attraverso la stimolazione della sintesi proteica. Se consideriamo un supporto calorico con supplementi orali, bisogna tenere in considerazione la quantità di calorie, il tipo di substrato, e la produzione di anidride carbonica correlata all’alimentazione(21). Nel trattamento del malato critico si è passati, nell’ultima decade, a considerare la nutrizione enterale da un “trattamento di supporto” a una vera e propria “terapia”, a causa degli importanti effetti di modulazione dei meccanismi patogenetici e degli effetti sugli outcomes riscontrati per alcuni nutrienti. La supplementazione di glutamina e di antiossidanti è stata associata a una riduzione delle infezioni e della mortalità nei pazienti critici(22, 23). La stimolazione anabolica farmacologica con anabolizzanti (nandrolone) o GH nei pazienti COPD sottopeso ha dimostrato un significativo guadagno nella massa muscolare, tuttavia un adeguato apporto proteico e l’esercizio fisico sono prerequisiti fondamentali per l’efficacia della terapia anabolica farmacologica. Conclusioni La RR trova la sua indicazione elettiva nel paziente reduce da prolungata degenza in terapia intensiva a causa di un episodio iniziale d’insufficienza respiratoria acuta da cause molteplici, su cui vi è stata la successiva sovrapposizione delle conseguenze dello stato critico e della prolungata ospedalizzazione. Se da un lato l’obiettivo primario riabilitativo per il paziente sottoposto a VMI è lo svezzamento dalla ventilazione, è altrettanto vero che un adeguato approccio riabilitativo non può prescindere dagli aspetti psico-neurologici, nutrizionali, cardiocircolatori e della muscolatura scheletrica sistemica. Pertanto solo una visione olistica e improntata alla multidisciplinarietà può consentire il conseguimento dei migliori risultati. 112 P. Ceriana Bibliografia 1. Ibsen B. The anaesthetist’s viewpoint on the treatment of respiratory complications in poliomyelitis during the epidemic in Copenhagen, 1952. Proc R Soc Med 1954; 47:72-4. 2. Esteban A, Anzueto A, Frutos F, Alia I, Brochard L et al. Characteristics and outcomes in adult patients receiving mechanical ventilation. JAMA 2002; 287:345-355. 3. Vargas M, Servillo G, Arditi E, Brunetti I, Pecunia L. et al.: Tracheostomy in Intensive Care Unit: a national survey in Italy. Minerva Anestesiologica 2013; 79:156-64. 4. Fantoni A, Ripamonti D. A non-derivative, non-surgical tracheostomy: the translaryngeal method. Intensive Care Med 1997; 23:386-92. 5. Ciaglia P, Firshing R, Syniec C. Elective percutaneous dilatational tracheostomy: a new simple bedside procedure. Preliminary report. Chest 1985; 87:715-19. 6. 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