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CONFIMI
Rassegna Stampa del 13/10/2014
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INDICE
CONFIMI
11/10/2014 Il Giornale di Vicenza
«Orafi, ora crescere come distretto»
10
12/10/2014 La Voce di Mantova
Ecco come il giovane disoccupato deve affrontare il colloquio di lavoro
19
13/10/2014 La Voce di Mantova
Apindustria spiega come gestire la tesoreria aziendale
20
13/10/2014 La Voce di Mantova
La "Practitioner"Faccioli collaborerà con Api
21
CONFIMI WEB
10/10/2014 vicenzareport.it 15:40
Gino Zoccai nuovo presidente degli orafi di Apindustria Vicenza
23
10/10/2014 www.vicenzapiu.com 16:28
"Facciamo vedere di cosa siamo capaci", Zoccai sprona gli orafi vicentini
24
SCENARIO ECONOMIA
11/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Mediaset, Telecom Il tramonto degli equilibrismi
26
11/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La promessa di Renzi a Comuni e imprese: avrete nuove risorse
27
11/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Fininvest deve cedere Mediolanum»
28
12/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Padoan: misure per la crescita
30
12/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
luxottica più importante di una disputa familiare
31
12/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Il conto Tasi, in media 148 euro
32
12/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Prestiti Bce Intesa Sanpaolo: prenderemo tutto
33
13/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Un altro ribaltone in Luxottica: l'ad Cavatorta lascia l'incarico
34
13/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
realtà e leggende sui cinquanta tipi di contratto
36
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Doris: acquirenti in coda
38
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Al Paese serve un patto taglia-tasse
40
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Le regole valgono per tutti (Berlino compresa)
42
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
I lavori bloccati da burocrazia e liti
44
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Padoan: la Ue non boccerà i nostri conti
45
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Torna l'auto a Termini Imerese
47
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Premium in Telecom? «È price sensitive»
48
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
Luxottica, Cavatorta pronto alle dimissioni
50
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Con la Ue un negoziato che vale 2,4 miliardi
52
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Più opere e meno squilibri per rilanciare l'Europa
54
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Un po' d'inflazione fa bene anche agli Usa
56
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Il mercato aspetta tagli di produzione
58
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Nel mondo c'è troppo «oro nero»
60
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Negli ultimi mesi operazioni in crescita
62
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Sconti fiscali, taglio da 1,2 miliardi
63
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Padoan: recessione stimolo alle riforme
65
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
«I freni alla crescita si attenueranno»
67
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Eataly, obiettivo un miliardo di euro
68
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Nasce Fiat Chrysler Automobiles Domani il debutto a Wall Street
70
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Se «Job Italia» vuol dire cuneo fiscale
72
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Agganciare il finanziamento dell'Università al Pil
74
13/10/2014 Il Sole 24 Ore
Cinque aree di collaborazione
75
13/10/2014 Il Sole 24 Ore
«L'albero sempreverde dell'amicizia tra Cina e Italia»
77
13/10/2014 Il Sole 24 Ore
La cambiale delle rendite sulle spalle più gracili
79
13/10/2014 Il Sole 24 Ore
Tra privacy e open data intesa possibile
81
11/10/2014 La Repubblica - Nazionale
L'ordine di Bruxelles "Tagliate il deficit"
83
11/10/2014 La Repubblica - Nazionale
La Ue avverte Italia e Francia "Bocciate se non tornano in regola" Padoan: "Non
abbiamo mai sforato"
85
11/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Pasticcio spagnolo affonda Wdf Investitori delusi dai silenzi dei Benetton
87
11/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Banche, polizze e benzina arriva la nuova "lenzuolata" per favorire la concorrenza
Guidi: sì al piano Antitrust
88
12/10/2014 La Repubblica - Nazionale
L'Italia a Bruxelles "Dovete sbloccarci 31 miliardi in 7 anni o addio investimenti"
90
12/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Sì di Termini Imerese all'auto elettrica Grifa "Salvi così 756 posti"
91
13/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Il Tfr di Pantalone
93
13/10/2014 La Repubblica - Nazionale
SOLO L'UNESCO IN DIFESA DELLA LAGUNA
95
12/10/2014 La Stampa - Nazionale
"Economie a picco Il contagio rischia di affossare tutto il continente"
97
12/10/2014 La Stampa - Nazionale
Draghi: manovra bocciata dall'Ue? Il giudizio arriverà solo a novembre
98
13/10/2014 La Stampa - Nazionale
Furlan: via tutti i contratti precari
99
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
L'APPETITO DI PECHINO LA CONFUSIONE DI ROMA
101
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Dalla fusione tra le Popolari il terzo campione nazionale
102
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
"Caselli: "Ecco la nostra proposta"
104
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Mani cinesi sull'energia italiana
106
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
"Fuori da Usa e Germania comprano a man bassa ma solo sui mercati deboli"
108
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
L'aumento di capitale di Cattolica "Siamo diventati dei predatori"
109
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
"Non teme rivali, mira all'export il Sangiovese pronto al decollo"
111
13/10/2014 Corriere Economia
«La concorrenza vince: in treno, non in banca»
113
13/10/2014 Corriere Economia
Non arrendiamoci al mal di testa da depressione
115
13/10/2014 Corriere Economia
Cina Le quote Telecom , Eni, Enel finite nella ragnatela di Pechino
116
13/10/2014 Corriere Economia
È cambiato il vento Ma col maggioritario i conti sono da rifare
118
13/10/2014 Corriere Economia
Telecom L'affondo di Patuano Per non restare solo (e piccolo)
119
13/10/2014 Corriere Economia
Il doppio passo (ancora falso) di Wind e H3G
121
13/10/2014 Corriere Economia
Ricca «Dobbiamo trasformare le nostre eccellenze in crescita»
122
13/10/2014 Corriere Economia
«Le cedole azionarie? Una via maestra se tutto tende a zero»
124
11/10/2014 Milano
Finanza
Al limite dell'USURA
125
11/10/2014 Milano
Finanza
ORSI & TORI
129
11/10/2014 Milano
Finanza
L'Eurozona riparte così
132
13/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
"Caselli: "Ecco la nostra proposta"
SCENARIO PMI
104
11/10/2014 Il Sole 24 Ore
La riforma dei contratti è la priorità
137
12/10/2014 Il Sole 24 Ore
Mediobanca verso lo sbarco in Messico Maggiori ricavi da commissioni nette
139
11/10/2014 La Repubblica - Torino
General Electric offre partnership a Pmi piemontesi "Collaboriamo"
142
11/10/2014 ItaliaOggi
Timida crescita (0,3%) della produzione in agosto
143
13/10/2014 MF Consigli all'imprenditore per sbarcare nel Golfo
144
13/10/2014 MF Per migliorare la salute si punta alla tecnologia
146
13/10/2014 MF Zone franche, un trampolii verso il mondo arabo
151
13/10/2014 ItaliaOggi Sette
Hacker, in 117 mila sotto attacco
154
13/10/2014 ItaliaOggi Sette
Brevetti, via alle agevolazioni
156
13/10/2014 ItaliaOggi Sette
Tecno-rifiuti tracciabili a 360°
158
10/10/2014 Business People
Pacchetto tutto incluso per agevolare i piccoli clienti
160
CONFIMI
articoli
11/10/2014
Il Giornale di Vicenza
Pag. 8
(diffusione:41821, tiratura:51628)
«Orafi, ora crescere come distretto»
«L´oro del Vicentino può tornare a luccicare»: parola di Gino Zoccai, titolare della storica impresa orafa Legi
International (fondata a Zanè nel 1839, oltre 50 negozi in tutta Italia e uffici anche in Giappone e a Dubai),
eletto in questi giorni presidente della categoria orafa e argentiera di Apindustria Confimi Vicenza.
L´imprenditore - spiega una nota - ha accettato una sfida difficile, dopo anni di crisi anche nel settore dei
metalli più pregiati, dove le sole aziende che hanno saputo orientarsi nei mercati esteri sono riuscite
mantenere in vita le proprie quote di mercato. «La sfida delle nostre aziende deve essere questa: crescere
come distretto. In passato c´è stato troppo campanilismo, mentre quello che serve è aprirsi e unirsi, vedendo
come concorrenti gli altri paesi del mondo e non i nostri vicini di casa». Alcuni Paesi stranieri, soprattutto in
Asia, hanno preso il largo negli ultimi anni: «Non possiamo pensare di superare questi concorrenti che
forniscono la grande distribuzione - precisa Zoccai - ma possiamo specializzarci sul design e nelle tecniche di
lavorazione artigianale per conquistare chi cerca prodotti di qualità».
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
APINDUSTRIA - CONFIMI . Zoccai nuovo presidente della categoria
12/10/2014
La Voce di Mantova
Pag. 12
Ecco come il giovane disoccupato deve affrontare il colloquio di lavoro
Apindustria Mantova in collaborazione con l'Agenzia per il Lavoro Randstad ha organizzato 3 incontri di
orientamento rivolto ai giovani mantovani tra i 18 e i 29 anni che si affacciano sul mondo del lavoro. Sono tre
appuntamenti già confermati specificatamente dedicati a fornire strumenti efficaci per la ricerca del lavoro e
per affrontare con il piglio giusto i colloqui di selezione e il percorso per trovare lavoro. «Oggi sul mercato del
lavoro chi si ferma è perduto sottolinea Simona Grandi Unit Manager dell'Agenzia per il Lavoro Randstad - è
importante partire con il piede giusto e muoversi in modo concreto ed efficace soprattutto per i giovani in
cerca di prima occupazione. Questi incontri servono proprio a spiegare ai partecipanti chi sono, cos'è il
mercato del lavoro e come si cerca un'occupazione». «Il primo incontro avrà come tema le attitudini e le
competenze dei ragazzi e si terrà domani, lunedì 13 ottobre, alle ore 15 sottolinea Stefania Remelli , account
manager di Randstad l'obiettivo sarà quello di fornire ai partecipanti maggiore consapevolezza rispetto alle
proprie inclinazioni e parlare di fattori di motivazione, valori e stili lavorativi». Gli incontri a seguire
affronteranno il tema del mercato del lavoro (lunedì 20 ottobre) per fornire ai partecipanti una migliore
conoscenza delle competenze richieste dal mercato locale e la trasferibilità (lunedì 27 ottobre) ovvero le
tecniche e gli strumenti di ricerca attiva del lavoro con particolare riferimento ai social network e al personal
branding. «Siamo convinti che i giovani insieme alle Pmi rappresentino il futuro di questo Paese ha
sottolineato Giacomo Cecchin di Apindustria - per questo abbiamo aderito volentieri alla proposta di
Randstad: siamo convinti che in questo momento avere una propria "cassetta degli attrezzi" sia fondamentale
per poter affrontare le sfide che ogni giorno ci presentano il mercato e la vita». Tutti gli incontri si svolgeranno
presso la sede di Apindustria in via Alpi, 4 a Mantova dalle 15 alle 18 ed è previsto un numero chiuso di
partecipanti per garantire la massima efficacia all'intervento formativo. La fascia di età tra i 18 e i 29 anni è da
considerarsi puramente indicativa, trattandosi di formazione orientativa specificatamente rivolta a giovani che
per la prima volta affrontano il mercato del lavoro o che vogliano migliorare il loro approccio ad una ricerca
attiva di occupazione. Chi fosse interessato ad avere maggiori informazioni sul percorso può contattare gli
uffici dell'Associazio ne allo 0376-221823 oppure scrivendo un'e-mail a in [email protected].
Foto: Simona G ra n d i e Stefania Remelli di Randstad
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
DOMANI PA RT E IL CICLO DI TRE INCONTRI O R G A N I Z Z ATO DA APINDUSTRIA
13/10/2014
La Voce di Mantova
Pag. 11
Tesoreria e flussi di cassa temi centrali per l'impresa
La gestione della tesoreria aziendale è uno degli elementi fondamentali per una buona gestione d'impresa.
Per questo Apindustria in collaborazione con il centro studi Alma Iura e l'azienda associata Systema propone
un incontro per rispondere in modo efficace e concreto a domande come: Qual è il ruolo della tesoreria?
Come funziona? Che obiettivi porsi per ottimizzare la tesoreria e i flussi di cassa oltre ai rapporti con le
banche? Il seminario gratuito e dal titolo "Come gestire al meglio la tesoreria aziendale", si terrà mercoledì 15
ottobre 2014 dalle ore 15 alle 18 nella sede dell'Associa zione piccole e medie industrie in Via Ilaria Alpi, 4 a
Mantova. Relatori dell'iniziativa saranno Massimo Rossi e Francesco Rudello che proveranno a rispondere
alle domande delle aziende partecipanti sui concetti relativi all'ottimizzazione della gestione della tesoreria
aziendale e presenteranno uno strumento informatico operativo utile per la gestione della tesoreria della Pmi.
Il corso è già confermato e per informazioni o iscrizioni si può far riferimento agli uffici Apindustria 0376221823 oppure via e-mail a: este ro @ a p i . m n . i t . La sede di Apindustria in via Alpi 4 a Mantova
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Apindustria spiega come gestire la tesoreria aziendale
13/10/2014
La Voce di Mantova
Pag. 14
La "Practitioner"Faccioli collaborerà con Api
Brian Mayne ed Emily Faccioli BARBASSOLO (Roncoferraro) - Un percorso formativo di workshop nel quale
tutti i minuti delle ore a disposizione saranno concentrati allo sviluppo e all'i n s eg n a m e n t o . Questo il
progetto sposato dall'Api di Mantova, prima associazione a livello nazionale a usufruire ufficialmente del
metodo "Goal Mapping", unico nel suo genere per la definizione e il raggiungimento dei propri obiettivi. Emily
Faccioli , contitolare di Futura Impianti srl, ha frequentato uno specifico programma di formazione in Europa
con docenti del calibro di T.H. Eker, Mac Attram, Bleer Singer, Alex Mandossian e Marcus Di Maria. Percorso
che l'ha portata a incontrare Brian Mayne, il fondatore del metodo e colui che due anni fa la convinse a
intraprendere questa importante avventura. Nel mondo al momento vi sono 18 formatori italiani, dei quali solo
tre abilitati a esercitare. Una di questi è Emily Faccioli, che ha avuto il primato d'insegnamento nelle scuole e
in seguito nelle associazioni di categoria delle imprese. Davvero una bella soddisfazione per la giovane
barbassolese. Emily oggi è in contatto con enti di spicco e collabora proficuamente con aziende e privati. Tra
questi vi è Enrico Comi, educatore ed esperto di droghe nonché co-autore dell'opera teatrale "S t u p e Fa t t
o ", premiata nel 2013 dal Presidente della Repubblica con la medaglia per l'impegno civile e sociale. I due
hanno così deciso di unire le forze per portare a compimento una lodevole missione: chiarire gli aspetti di due
mondi che all'apparenza sembrano estranei l'un l'altro, mentre vivono all'unisono, ossia il pensiero e le
droghe. «Mai come oggi i ragazzi hanno bisogno di stimoli per superare i momenti più delicati della vita - ha
detto la Faccioli -. Spesso questi stimoli vengono cercati esteriormente, come nell'approccio al mondo della
droga. Nel momento in cui, invece, ci si rende consapevoli dell'infinito potenziale interiore, la vita di ogni
individuo è letteralmente travolta da eventi protesi al successo, anzichè mirati inconsapevolmente a un
autosabotaggio». ( m . v. )
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LA GIOVANE DI BARBASSOLO SI OCCUPERÀ DI FORMAZIONE UTILIZZANDO IL GOAL MAPPING
CONFIMI WEB
articoli
10/10/2014
15:40
vicenzareport.it
Sito Web
Gli orafi vicentini aderenti ad Apindustria hanno un nuovo presidente. E' Gino Zoccai, titolare della storica
impresa orafa Legi International, eletto nei giorni scorsi al vertice della categoria orafa e argentiera di
Apindustria Confimi Vicenza. "L'imprenditore - si legge in una in proposito di Apindustria Vicenza - ha
accettato una sfida difficile, dopo anni di crisi anche nel settore dei metalli più pregiati, dove le sole aziende
che hanno saputo orientarsi nei mercati esteri sono riuscite mantenere in vita le proprie quote di mercato,
mentre quelle rimaste dentro ai confini nazionali hanno dovuto arrendersi".
"Il mio obiettivo - ha poi sottolineato lo stesso Zoccai - è quello di dare nuovo impulso alla categoria, cercando
di aumentare il numero degli associati per creare un gruppo importante, che sia in grado di promuovere la
produttività locale. La sfida delle nostre azienda deve essere infatti proprio questa: crescere come distretto. In
passato c'è stato troppo campanilismo, mentre quello che serve è aprirsi e unirsi, vedendo come concorrenti
gli altri paesi del mondo e non i nostri vicini di casa".
Tuttavia alcuni paesi stranieri, soprattutto in Asia, hanno preso il largo negli ultimi anni, e rimettersi in
carreggiata sembra praticamente impossibile. "Non possiamo pensare - ha commentato su questo Zoccai - di
superare concorrenti che forniscono la grande distribuzione, ma possiamo specializzarci sul design e nelle
tecniche di lavorazione artigianale per conquistare chi cerca prodotti di qualità, con la consapevolezza che
piccolo è bello".
La filosofia che Zoccai vuole portare in Apindustria sembra dunque essere un po' la stessa che ha avuto
successo con la sua azienda, fondata a Zanè nel 1839 e presente oggi con oltre cinquanta negozi in tutta
Italia e uffici anche in Giappone e a Dubai. Un'azienda che ha sempre investito sull'unicità delle sue
creazioni. "Il nostro territorio - ha concluso il presidente - può contare su imprenditori orafi coraggiosi e
determinati, che torneranno a far vedere di cosa sono capaci, restituendo fiducia ed entusiasmo all'intero
settore".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 13/10/2014
23
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Gino Zoccai nuovo presidente degli orafi di Apindustria Vicenza
10/10/2014
16:28
www.vicenzapiu.com
Sito Web
"Facciamo vedere di cosa siamo capaci". Gino Zoccai, titolare della storica impresa orafa Legi International,
eletto in questi giorni presidente della categoria orafa e argentiera di Apindustria Confimi Vicenza, prova a
spronare i produttori locali per rilanciare la qualità e il design dei gioielli vicentini. Di seguito il pensiero di
Zoccai sulla difficile sfida che l'aspetta.
L'imprenditore ha accettato una sfida difficile, dopo anni di crisi anche nel settore dei metalli più pregiati, dove
le sole aziende che hanno saputo orientarsi nei mercati esteri sono riuscite mantenere in vita le proprie quote
di mercato, mentre quelle rimaste dentro ai confini nazionali hanno dovuto arrendersi.
«Il mio obiettivo è quello di dare nuovo impulso alla categoria - spiega Zoccai - cercando di aumentare il
numero di associati per creare un gruppo importante, che sia in grado di promuovere la produttività locale. La
sfida delle nostre azienda deve essere infatti proprio questa: crescere come distretto. In passato c'è stato
troppo campanilismo, mentre quello che serve è aprirsi e unirsi, vedendo come concorrenti gli altri paesi del
mondo e non i nostri vicini di casa».
Tuttavia alcuni paesi stranieri, soprattutto in Asia, hanno preso il largo negli ultimi anni, e riprenderle è
praticamente impossibile: «Non possiamo pensare di superare questi concorrenti che forniscono la grande
distribuzione - precisa il neo presidente - ma possiamo specializzarci sul design e nelle tecniche di
lavorazione artigianale per conquistare chi cerca prodotti di qualità, con la consapevolezza che "piccolo è
bello"».
La filosofia che Gino Zoccai vuole portare in Apindustria è un po' la stessa che ha fatto diventare grande la
sua azienda di gioielli "Legi International spa", fondata a Zanè (VI) nel 1839, presente oggi con oltre
cinquanta negozi in tutta Italia e uffici anche in Giappone e a Dubai. Un'azienda che ha sempre investito
sull'unicità delle sue creazioni.
«Il nostro territorio può contare su imprenditori orafi coraggiosi e determinati, che torneranno a far vedere di
cosa sono capaci - conclude Zoccai - restituendo fiducia ed entusiasmo all'intero settore».
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
"Facciamo vedere di cosa siamo capaci", Zoccai sprona gli orafi vicentini
SCENARIO ECONOMIA
63 articoli
11/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Mediaset, Telecom Il tramonto degli equilibrismi
Daniele Manca
L a percentuale non è enorme, Fininvest dovrà cedere il 20% di Mediolanum. Nemmeno quest'ultima è una
delle maggiori compagnie o banche del Paese. Ma quella che si giocherà attorno a questo apparentemente
piccolo tassello della finanza italiana, sarà una partita che va ben al di là della società e dei suoi protagonisti.
L e conseguenze potrebbero riguardare l'assetto delle comunicazioni nel nostro Paese, dalla tv all'editoria
passando per la Telecom. La Banca d'Italia ha ordinato alla Fininvest di Silvio Berlusconi di cedere una parte
del pacchetto posseduto nella compagnia creata dall'amico dell'ex Cavaliere Ennio Doris. L'ex premier ha
perduto i requisiti di onorabilità necessari per essere attivi nel delicato campo del credito e delle polizze.
Questa apparentemente piccola mossa potrebbe alterare i delicati equilibri all'interno della Fininvest, sia per
gli assetti azionari della holding, sia per ciò che riguarda le controllate. La finanziaria guidata da Marina
Berlusconi è da tempo impegnata nel ridisegnare il suo futuro. Tv ed editoria, Mediaset e Mondadori, non
sono più le macchine da soldi di anni fa. In Fininvest sono presenti con diverse quote azionarie sia i figli di
primo letto dell'ex premier, Marina e Piersilvio (che guidano le attività industriali), sia i figli di Veronica,
Pierluigi, Eleonora e Barbara. Al momento la situazione è congelata. Ma l'operazione Mediolanum potrebbe
spingere alla definitiva separazione dei destini dei due rami di famiglia? Una chiarezza azionaria che
preluderebbe a nuove operazioni.
Telecom sta individuando nell'offerta di contenuti una delle possibili linee di sviluppo strategico. British
Telecom lo ha già fatto comprando i diritti del calcio, Vodafone acquisendo aziende di contenuti in Germania
e Spagna. La stessa Telecom ha siglato un accordo con Sky (peraltro sulla falsa riga di quanto aveva
immaginato Marco Tronchetti Provera prima dell'uscita dal gruppo).
Mediaset ha più di un dossier aperto su possibili intese, se non qualcosa di più, con l'azienda presieduta da
Giuseppe Recchi e guidata da Marco Patuano. Ma solo qualche mese fa i possibili intrecci tra le telecom e le
tv italiane avrebbero visto osservatori economici e politici scuotere la testa. Oggi non è più così.
Matteo Renzi ha operato quel cambio di atteggiamento da parte del centro sinistra nei confronti di Silvio
Berlusconi che se solo fosse avvenuto prima forse ci avrebbe evitato 20 anni di contrapposizioni sterili e
inutili. Una Fininvest avviata a essere meno legata al suo fondatore rappresenterebbe un'ulteriore novità. Ma
se ciò accadesse sarebbe l'intero sistema Italia a essere messo alla prova. Una ragnatela di veti incrociati ha
impedito negli anni scorsi alle aziende nazionali di crescere per evitare che acquisissero troppo potere. Una
politica debole invece di interpretare il suo ruolo di arbitro e guida dello sviluppo ha preferito mantenere sotto
il suo controllo aziende come Eni ed Enel (baloccandosi molto sulle nomine e poco sulle strategie) e, dove ciò
non era possibile, bloccare lo sviluppo delle società fuori dal perimetro pubblico. Una imprenditoria fiaccata
dalle crisi (ma anche dai compromessi) si è adagiata in più di un'occasione su rendite di posizione. In
entrambi i casi su fantasia e capacità di scommettere sul futuro hanno prevalso gli alibi. Che ormai stanno
cadendo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
26
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Berlusconi veti e piani
11/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il premier sulle unioni civili: Faremo una legge Napolitano: bene il Jobs act ma c'è tanto da fare
Francesco Alberti
ZOLA PREDOSA (bologna) «Il futuro è oggi, chi dice domani o addirittura ieri ha perso la capacità di
sognare». Cosa che a Matteo Renzi certo non difetta. Il premier vede l'Emilia e spara alto: «Non voglio fare la
fine della Grecia, voglio fare meglio della Germania: tra 20 anni, se si smette di litigare, il nostro sarà un
Paese leader». Giornata di fabbriche che se la passano bene e di pensieri positivi. Forte del via libera del
Senato sul lavoro e convinto che anche i più riottosi del Pd dovranno chinare il capo, il premier si è ieri
ritagliato un programma che equivale a un'overdose di ottimismo. Prima un'azienda, come l'americana Philip
Morris, che alle porte di Bologna investe 500 di milioni (600 i nuovi posti di lavoro) in uno stabilimento che
produrrà la prima sigaretta al mondo di nuova generazione che scalda il tabacco. Poi la Yoox, azienda
innovativa che dell'e-commerce nel settore della moda e del design ha fatto uno straordinario volano. E infine
la modenese Menù (settore alimentare) risorta dal sisma più forte di prima. Fiom, sinistra radicale e alcuni 5
Stelle (non più di qualche decina) hanno provato, senza riuscirci, a rovinare la festa al premier al suo arrivo a
Medolla. Slogan, fischietti e striscioni. Ma tutto alla fine si è risolto in un incontro tra Renzi e una delegazione
delle tute blu.
In questo canovaccio di ottimismo spinto, il capo del governo si è sbilanciato, e non poco, sul tema caldo
delle unioni gay: «Faremo una legge. Non è una battuta, è la verità». E anche sul Patto di stabilità ha
annunciato grandi modifiche: «Va ridotto in modo significativo e, anche se non riusciremo ad eliminarlo, vi
daremo il 75% di risorse in più». Quindi il lavoro. Alle parole del presidente Napolitano, che sul Jobs act ha
parlato di «passo avanti in un quadro di riferimento che contiene molti altri elementi da coltivare», Renzi ha
convenuto che «c'è ancora molto da fare». La legge di Stabilità dovrà andare in questa direzione. Esclusi
«aumenti di tasse», l'obiettivo è «ridurre il costo del lavoro per le imprese, non sarà semplice, ma ci
proveremo». Intanto, grazie al decreto Poletti, «abbiamo avuto 83 mila posti di lavoro in più». E stop alla
babele di normative nei Comuni: «Sarà prevista un'unica tassa». Quindi un avviso ai dissidenti dem:
«Nessuno vuole imporre il pensiero unico, ma sulla fiducia bisogna andare avanti insieme». E a Vasco Errani,
governatore dimissionario dopo la condanna in appello per la vicenda Terremerse, un'offerta a sorpresa:
«Avremo bisogno di te a Roma, non pensare di cavartela...». Difficile da rifiutare anche per un irriducibile
bersaniano come l'ex presidente.
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L'agenda
Lunedì
Matteo Renzi sarà a Nembro (Bergamo) per l'assemblea di Confindustria Martedì il premier sarà a un
convegno promosso a Roma dal ministero dello Sviluppo economico nell'ambito del semestre di presidenza
del Consiglio Ue
Foto: A Medolla Il premier Matteo Renzi, con Stefano Bonaccini, candidato governatore del Pd, parla con i
delegati della Fiom dopo la visita all'azienda Menù in provincia di Modena (Ansa)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La promessa di Renzi a Comuni e imprese: avrete nuove risorse
11/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 44
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Banca d'Italia: Berlusconi senza requisiti di onorabilità, scenda sotto il 10% E Doris si prepara a rilevare fino
al 5%: «C'è spazio per un ruolo dei figli di Silvio» I tempi L'ex premier dovrà liberarsi della quota nella società
entro 30 mesi
Fabrizio Massaro
Milano La condanna definitiva per la vicenda dei diritti televisivi costa a Silvio Berlusconi anche il 20% di
Mediolanum, che ai prezzi di Borsa di ieri vale circa 770 milioni di euro.
L'ex premier dovrà liberarsi della quota entro 30 mesi: avendo perso i requisiti di onorabilità in seguito alla
sentenza definitiva per frode fiscale, come controllante indiretto di Medionalum non può essere azionista
sopra il 10% della banca fondata e guidata da Ennio Doris. Così ieri la Banca d'Italia, in applicazione di una
direttiva entrata in vigore da poco che considera Mediolanum spa come capogruppo bancaria, ha imposto a
Fininvest di alienarne le quote oltre il 9,99%. Entro tre mesi potrà affidare quel 20% eccedente a un «trust»
indipendente, che poi procederà all'alienazione in modo da non affollare la Borsa di titoli.
Oggi Fininvest ha il 30,15% di Mediolanum raccolto per il 25,5% in un patto di sindacato con la famiglia Doris,
a sua volta azionista al 40% circa (suddivisa tra lo stesso Doris e la moglie Lina Tombolato, al 6,6%). Il resto
è flottante. Appena lo scorso dicembre Fininvest aveva venduto il 6,5% di Mediolanum a 6,4 euro per azione
con un incasso di circa 260 milioni.
Ieri mattina il mercato ha reagito male all'annuncio, con un calo di Mediolanum di circa il 3% a 5 euro.
Tuttavia la decisione della Banca d'Italia non ha colto di sorpresa l'entourage di Doris e di Berlusconi: al
contrario era attesa, visto che si trattava di applicare una legge. C'è di più: da maggio - quando è cominciata
la valutazione sui requisiti di onorabilità - i contatti con Via Nazionale sono stati intensi, anche per
l'elaborazione di una soluzione che evitasse appunto di destabilizzare il mercato. La via elaborata e accettata
dalla Vigilanza di Banca d'Italia è stata quella del «trust», che comunque deve essere distinto e separato dal
gruppo Fininvest e sarà anch'esso sottoposto alla verifica da parte di Palazzo Koch, così come l'indipendenza
dei suoi gestori.
Le ripercussioni sono state immediate anche sui rapporti tra Fininvest e Doris: il patto di sindacato è stato
congelato e verrà sciolto, visto che per la quota eccedente il 9,9% Fininvest non può più esercitare i diritti di
voto. Tuttavia la gestione della banca resta salda in mano a Doris, come lo stesso banchiere ha voluto
precisare in una nota nella quale esprime anche «solidarietà» a Berlusconi. Potrebbero esserci effetti anche
sul consiglio di Mediolanum, che è stato appena eletto secondo gli accordi del patto parasociale, cioè con il
presidente Carlo Secchi indicato da Fininvest e con un numero di amministratori pari a quelli indicati da Doris,
tra i quali il più giovane dei figli di Berlusconi, Luigi: «È possibile che decadano anche i consiglieri di nomina
Fininvest, visto che non può avere influenza sulla gestione», spiega Doris, «Staremo in contato con le
autorità per sapere se questi consiglieri debbano aspettare o no la scadenza del mancato. Vedremo».
Nei prossimi giorni Fininvest riunirà il consiglio di amministrazione per valutare le prossime mosse. Il
conferimento al «trust» è solo un passaggio in vista della collocazione definitiva delle azioni. Un'ipotesi
avanzata dagli analisti e suggerita ieri anche da Doris è che siano i figli di Berlusconi - Marina, Piersilvio,
Barbara, Eleonora e Luigi, anch'essi soci in Fininvest con quote paritarie - a rilevare il 20% di Mediolanum.
Una decisione in questo senso potrebbe comportare comunque un riassetto più o meno ampio della galassia.
Dentro la holding del Biscione si trovano anche le quote in Mediaset, Mondadori, Milan e il 2% di
Mediobanca.
Una fetta potrebbe prenderla lo stesso Doris: «Se prima o poi andasse sul mercato, ci sarebbe la fila di
pretendenti per Mediolanum, e ci sarei anch'io. Naturalmente non per consolidare il controllo, che già
abbiamo con il 40%, ma per una questione di affetto. Naturalmente eviterei di far scattare l'opa obbligatoria o
il delisting. Insomma non arriverei al 50% ma neanche ci andrei vicinissimo, per intenderci al 49,9%. Potrei
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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«Fininvest deve cedere Mediolanum»
11/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 44
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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prendere una quota del 3-5-6%». Personalmente Doris è dispiaciuto: «Grazie a Berlusconi nell'82 ho fondato
l'azienda. Io ero e sono esperto di vendite, lui mi ha insegnato a essere imprenditore, ho avuto come maestro
il più grande imprenditore italiano».
[email protected]
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Un anno a Piazza Affari I soci d'Arco Ieri 5,0 euro -3% Ott Dic Feb Apr Giu Ago Ott 2014 7,1 5,0 6,8 6,5 6,1
5,7 5,4 40% Famiglia Doris 30% Fininvest 30% Mercato Mediolanum
Mediolanum spa - capogruppo che controlla sia il ramo assicurativo sia la banca - a Piazza Affari
capitalizza 3,86 miliardi di euro. Ieri ha chiuso a 5 euro, in calo del 3%
Nel primo semestre 2014 Mediolanum spa ha registrato un utile netto di 164,9 milioni
(-17%). Le masse amministrate sono salite del 15% a 61,3 miliardi di euro
Silvio Berlusconi è socio di maggioranza assoluta della holding Fininvest. I figli Marina, Luigi, Piersilvio,
Barbara, Eleonora hanno il 7% circa a testa
Dal 1984
L'investimento di Silvio Berlusconi nella Mediolanum
di Ennio Doris (foto in alto ) risale al 1984. Oggi nel consiglio di amministrazio-ne di Mediolanum siede anche
Berlusconi jr, Luigi (foto
in basso )
12/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 6
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Padoan: misure per la crescita
Stefania Tamburello
DALLA NOSTRA INVIATA
WASHINGTON Nella capitale Usa, dove partecipa alla riunione del G20 e all'assemblea del Fondo
monetario, Pier Carlo Padoan parla della politica economica dell'Italia e dei suoi sforzi per far progressi, pur in
fase di recessione, sul terreno del riequilibrio dei conti e delle riforme e così ottiene dai colleghi ministri e
dallo stesso Fmi innanzitutto il consenso sulla revisione delle regole sul lavoro. Nel contempo Padoan segue,
però, anche la definizione della legge di Stabilità che sarà presentata al Parlamento e alla Commissione
europea mercoledì. A Washington sono rimbalzate le richieste provenienti da Bruxelles a fare di più nella
riduzione del deficit e il ministro, dice, è stato «in continuo contatto col presidente del Consiglio, Matteo
Renzi, per mettere a punto le misure specifiche». I numeri del Documento economico finanziario, aggiunge,
«delimitano il quadro generale ed è in corso un affinamento della composizione delle voci di bilancio» che
«devono essere molto orientate a sostenere la crescita», pur «tenendo conto dei vincoli europei». Padoan
sembra, invece, voler prendere tempo sull'ipotesi, cara a Renzi, del trasferimento nella busta paga dei
lavoratori di una parte del Tfr. «Si tratta di un meccanismo molto complesso perché coinvolge diversi attori. Ci
sono varie ipotesi» dice sorvolando sulla richiesta delle banche, chiamate a finanziare l'operazione, a
ottenere la garanzia dello Stato, come chiarisce, sempre da Washington, il presidente del Consiglio di
gestione di Intesa Sanpaolo e vicepresidente dell'Abi, Gian Maria Gros-Pietro: «Abbiamo bisogno della
garanzia pubblica». Il ministro dell'Economia, comunque, sottolinea l'esigenza di proseguire sul terreno delle
riforme. «Alcune sono già all'esame del Parlamento, quelle istituzionali, della pubblica amministrazione, della
giustizia civile e la delega fiscale. Per le altre, la prima che mi viene in mente è quella sulla scuola» e sul
provvedimento sul lavoro arriva anche il pieno sostegno del Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco,
secondo il quale «sono state superate alcune rigidità» e c'è ora bisogno di «politiche attive, c'è la necessità di
un sistema di sicurezza per chi perde il lavoro in un contesto di forte transizione come quello attuale».
La fiducia dei mercati sull'Italia comunque resta, non ci sono fughe di capitali o cali di attenzione: «La
sostenibilità del nostro debito è fuori discussione, è tra le più alte anche se è alto il debito» dice il ministro
mentre il presidente della Bce, Mario Draghi, ribadendo l'estrema debolezza della ripresa europea, avverte
che «nei prossimi mesi il freno alla crescita derivante dalle politiche di bilancio dovrebbe allentarsi».
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2,8 per cento
il rapporto
tra deficit
e Pil italiano
nel 2013 Si concludono oggi a Washington DC le riunioni in occasione dell'Assemblea annuale del Consiglio
dei governatori del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale. Ciascuno Stato membro ha
un rappresentante ai rispettivi Consigli delle due istituzioni. Per partecipare agli eventi collegati all'Assemblea
annuale si sono accreditati circa 13 mila partecipanti. Nel comunicato finale del Consiglio del Fmi si legge che
«una ripresa discontinua va avanti», con la «disoccupazione che resta a livelli alti». Si sottolinea inoltre che
«aumentare il potenziale di crescita assicurando la sostenibilità è la priorità» per far ripartire l'economia
mondiale. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha affermato che la ripresa globale è più debole di quanto si
potesse immaginare 6 mesi fa, ribadendo che l'Eurotower è pronta a intervenire per sostenere l'eurozona.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Il presidente della Bce, Draghi: la ripresa è più debole delle attese Il ministro: sul Tfr ci sono varie ipotesi.
Visco: più tutele per i disoccupati
12/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Salvatore Bragantini
L uxottica è una bella storia italiana: un imprenditore, Leonardo Del Vecchio, s'è fatto da solo partendo dai
Martinitt, un orfanotrofio milanese. Ha costruito l'azienda da zero ad Agordo, in un angolo defilato del Paese
ricco solo di seria operosità, adattandosi ai grandi cambiamenti di questi decenni. Ciliegina sulla torta: al
culmine del successo Del Vecchio si stacca dalla sua creatura e l'affida a validi manager, anche grazie ai
quali essa diviene un leader mondiale. È l'evoluzione sognata per tante nostre imprese familiari, nelle quali
spesso la famiglia nuoce all'impresa. Lo stesso Del Vecchio, però, ora fa indietro tutta; per un osservatore
esterno, la bella storia italiana torna tristemente nei troppo folti ranghi delle imprese subordinate alle esigenze
della famiglia controllante.
In agosto apprendiamo dai giornali che Andrea Guerra, amministratore delegato di grande successo, lascerà
Luxottica. Nelle interviste, Del Vecchio dice di voler preparare la strada all'arrivo dei figli in azienda. Qualcuno
storce il naso, ma si può ancora pensare che egli voglia solo avviare i discendenti al futuro: quali grandi
azionisti dovranno vegliare sui destini di Luxottica. Le notizie successive sono però scoraggianti. L'attuale
moglie di Del Vecchio vuole la proprietà diretta del 25% del capitale, sconvolgendo i piani successori e
reclama ruoli in azienda per il figlio. Uno dei due amministratori delegati che dovevano succedere a Guerra
(l'altro ancora non si trova) vende azioni a Del Vecchio per 22 milioni; la mossa pare preludere al disimpegno
dovuto, sembra, al peso in azienda di consulenti esterni legati alla famiglia.
Conosco e stimo molti membri del CdA di Luxottica, che stan certo lavorando dietro le quinte. Sanno bene
che il loro dovere fiduciario è verso Luxottica, non verso Del Vecchio: l'interesse dell'impresa va molto al di là
dei soggetti controllanti, o anche di tutti gli azionisti. Luxottica è ormai una bandiera, di mezzo c'è l'interesse
di un grande Paese che troppo spesso non regge la fatica di esserlo. Non è solo il mercato, è tutta l'Italia ad
aspettarsi, su tale impresa e da persone di simile levatura, parole chiare: anche fuori dal CdA.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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luxottica più importante di una disputa familiare
12/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
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Il confronto della Uil: su 15 milioni di contribuenti il 50% pagherà di più La scadenza per il versamento giovedì
16 ottobre. Il caos detrazioni Il tetto Una città su tre ha deliberato introducendo l'aliquota massima
Antonella Baccaro
ROMA Mancano quattro giorni al pagamento dell'acconto della Tasi nei 5.279 Comuni che entro il 18
settembre hanno pubblicato le relative aliquote sul sito del ministero dell'Economia. Tra le amministrazioni
comunali ci sono 66 capoluoghi di provincia, tra cui Milano, Firenze, Roma e Bari. Si tratta di oltre 15 milioni
di proprietari di prima casa (il 75% del totale) cui si aggiungeranno, in molti Comuni, gli inquilini che
contribuiranno con una quota che va dal 10% al 30%: a Milano il 10%, a Roma il 20%.
Secondo calcoli del Servizio Politiche Territoriali della Uil, l'aliquota media complessiva applicata in tutti i
Comuni sarà dell'1,99 per mille. Il costo medio della Tasi sarà di 148 euro (74 euro da versare con l'acconto),
ma se si prendono a riferimento le sole città capoluogo l'importo sale a 191 euro medi (96 euro per l'acconto),
con punte di 429, un conto più salato dell'Imu in un caso su due.
Il costo medio della Tasi sarà di 300 euro a Milano, 346 a Firenze, 391 euro a Roma, 338 a Bari. Le uniche
città a Tasi-zero saranno Ragusa e Olbia, mentre Aosta, Trento, Nuoro, Matera saranno le sole con l'aliquota
base dell'1 per mille, avendo tutte le altre città applicato aliquote superiori. Ben un terzo del totale ha scelto
quella del 3,3 per mille (Torino, Bologna, Firenze, Genova, Napoli, Bari) Si sono fermate al 2,5 per mille città
come Milano, Roma e Verona. All'appello mancherebbero ancora 659 Comuni che non hanno deliberato le
aliquote, i cui cittadini saranno quindi costretti a pagare la Tasi in un'unica rata entro il 16 dicembre (aliquota
1 per mille).
Per Guglielmo Loy (Osservatorio Uil), la distribuzione della nuova tassa è meno equa rispetto all'Imu:
pagherà un po' di più chi prima era esente o pagava cifre basse e pagheranno molto meno i proprietari di
quelle abitazioni con rendite catastali elevate.
Anche per questo il governo ha annunciato l'intenzione di rimettere mano nella legge di Stabilità alla
tassazione sugli immobili, puntando a una imposta unica (che metta insieme sulle seconde case Tasi e Imu)
con detrazioni obbligatorie sulle prime case, proporzionate all'aliquota standard, che è da fissare, ma
probabilmente sarà superiore all'1 per mille.
Ma la Tasi non è l'unica tassa comunale che pagano i contribuenti. L'ufficio studi della Cgia di Mestre ha
calcolato che «tra le grandi città italiane le tasse comunali più elevate si registrano a Bologna, Roma, Bari e
Genova». La simulazione fatta su una famiglia-tipo di tre persone (due genitori che lavorano, con un reddito
annuo di 22 mila euro ciascuno e un figlio a carico) che deve pagare Tasi, Tari (la nuova tassa sui rifiuti) e
l'addizionale comunale Irpef, nel caso di un'abitazione di tipo civile A2, rivela che «è Bologna il Comune a
praticare il livello di tassazione medio più elevato tra le grandi città d'Italia», con un carico fiscale di 1.610
euro. Seguono Genova con 1.488 euro, Bari con 1.414 euro e Milano con 1.379 euro. Se invece l'analisi
viene realizzata su un'abitazione A3 , a balzare al primo posto è Roma con 1.100 euro.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Il conto Tasi, in media 148 euro
12/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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(diffusione:619980, tiratura:779916)
Prestiti Bce Intesa Sanpaolo: prenderemo tutto
Stefania Tamburello
WASHINGTON - «Chiederemo tutto e utilizzeremo tutto». Intesa Sanpaolo sfrutterà fino in fondo i prestiti
della Bce finalizzati ai finanziamenti di famiglie e imprese (Tltro). Per quest'anno la quota a disposizione della
Banca è di 13 miliardi. «Ne abbiamo già presi 4, a dicembre prenderemo il resto», afferma il direttore
generale Gaetano Miccichè incontrando i giornalisti a Washington - dove in contemporanea all'assemblea del
Fmi si svolgono una serie di incontri tra investitori e banche - assieme al presidente del Consiglio di gestione,
Gian Maria Gros-Pietro, il quale aggiunge che la banca «può dare tutto il credito che le imprese chiedono»,
ma deve essere destinato ad «investimenti buoni».
Gros-Pietro, anche nella sua veste di vicepresidente dell'Abi, si sofferma sulle ipotesi di trasferire una parte
del Tfr nelle buste paga dei lavoratori. «Le banche sono pronte a finanziare l'operazione, ma hanno bisogno
di garanzie pubbliche». L'alternativa, sarebbe valutare il merito di credito, di ciascuna impresa, ma non mi
pare quello che il governo vuole fare», aggiunge. Il fatto è che le banche vogliono «essere sicure»,
nell'interesse dei clienti e dei risparmiatori, che i soldi prestati «vengano restituiti».
E sulla situazione economica, Gros-Pietro afferma che l'Italia è già in deflazione piena. «Per l'imprenditore la
deflazione c'è quando i prezzi alla produzione scendono. Ed è da mesi che questo succede».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Banche
13/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Un altro ribaltone in Luxottica: l'ad Cavatorta lascia l'incarico
Maria Silvia Sacchi
A solo un mese dalla nomina a co-amministratore delegato di Luxottica, Enrico Cava-torta lascia l'incarico,
assunto dopo l'uscita di Andrea Guerra. La decisione è arrivata dopo tre ore di confronto con il fondatore
della multinazionale degli occhiali, Leonardo Del Vecchio. Oggi Cda straordinario. a pagina 15
MILANO Il confronto con Leonardo Del Vecchio, dicono, è stato pacato. Ma, dopo tre ore di dialogo, ognuno
è rimasto sulla propria posizione e la crisi al vertice di Luxottica è esplosa, ed è difficile ora prevedere la
portata che realmente avrà su una delle principali società.
Lascia Enrico Cavatorta, l'uomo che solo un mese fa era stato nominato co-amministratore delegato della
multinazionale degli occhiali a seguito dell'uscita di Andrea Guerra, il manager che aveva guidato l'azienda
negli ultimi dieci anni. Cavatorta ha dato le dimissioni ieri sera e oggi la sua decisione passerà all'esame di un
consiglio di amministrazione straordinario convocato in tutta fretta. Le deleghe dovrebbero passare a
Massimo Vian, attuale Chief operating officer.
Il motivo della scelta di Cavatorta - che secondo alcune fonti lascerà del tutto l'azienda in cui era arrivato 15
anni fa - sta nel ruolo assunto in Luxottica da Francesco Milleri. Un imprenditore dell'It che Del Vecchio e
l'attuale moglie, Nicoletta Zampillo, conoscono da anni e che dall'uscita di Andrea Guerra ha assunto il ruolo
di unico consigliere del fondatore di Luxottica. Tanto da partecipare (con voce in capitolo) ai comitati di
gestione delle singole macro-aree in cui è organizzata la società pur senza avere incarichi ufficiali. E proprio
a Milleri, Del Vecchio avrebbe deciso di riservare il ruolo di vicepresidente esecutivo. Ma questo non era negli
accordi - così almeno sostengono fonti vicine alle parti in causa - presi con Cavatorta al momento della sua
nomina a co-amministratore delegato. La crisi che ha investito Luxottica, però, è di portata molto più ampia
per una società che è stata a lungo un modello per la sua governance. Ed è una crisi squisitamente familiare.
Leonardo Del Vecchio, che ha fondato Luxottica, è un imprenditore geniale ma dalla vita personale
complessa. Ha sei figli avuti da tre relazioni diverse: tre dal primo matrimonio, uno dal secondo e due dalla
terza compagna. Anni fa aveva trovato la soluzione dando in nuda proprietà a ciascun figlio un sesto del
capitale di Delfin, la holding lussemburghese che controlla Luxottica. Ma nel 2010 ha risposato la seconda
moglie, Nicoletta Zampillo, dalla quale ha un figlio solo, Leonardo jr, 20 anni. Nicoletta ha chiesto di avere in
Delfin il peso azionario che le spetterebbe nella sua veste di coniuge alla morte del marito rimettendo in
discussione tutti gli accordi. Alcuni figli avrebbero accettato di farle spazio, ma non tutti. Una situazione
delicatissima, come la storia di tante altre imprese familiari dimostrano.
Zampillo avrebbe voluto far entrare Leonardo jr nel Cda di Luxottica (intanto, Rocco, il figlio che ha avuto dal
primo matrimonio è entrato in Luxottica Singapore), ma questa scelta non sarebbe condivisa dal fondatore. A
tal punto che Leonardo Del Vecchio avrebbe chiesto al primogenito Claudio, 57 anni, l'unico dei sei figli
presenti nel consiglio di Luxottica, di farsi da parte così da non aver alcun familiare in Cda. Il consiglio di oggi
si preannuncia infuocato. Si parla con insistenza delle possibili dimissioni di alcuni consiglieri (si fanno i nomi
di Abravanel e Costamagna) se il quadro non sarà chiarito in tutti i suoi aspetti. Intanto la Consob vigila.
Maria Silvia Sacchi
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Foto: Al vertice
Il presidente
e fondatore
del gruppo Luxottica, Leonardo
Del Vecchio,
79 anni Il manager
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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impresa e famiglia
13/10/2014
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Enrico Cavatorta, ad dimissionario Un mese fa
Andrea Guerra, ceo Luxottica fino ad agosto
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13/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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realtà e leggende sui cinquanta tipi di contratto
Classificazioni Una dozzina di forme giuridiche possono essere declinate in una grande pluralità di sottotipi:
infinite modalità di part-time orizzontale, verticale o misto, job sharing, impiego intermittente
Pietro Ichino
C aro direttore, sul Corriere di ieri Enrico Marro dà conto di un «censimento» che porterebbe a contare 50 tipi
di contratto di lavoro; ma proprio i risultati di quel censimento, visti da vicino, inducono a leggere il dato in
modo assai diverso. Certo, se per «tipo di contratto» intendiamo una qualsiasi combinazione tra previsione di
durata del rapporto, a termine o no, modalità di estensione e distribuzione dell'orario di lavoro, carattere
stagionale o no, svolgimento dentro l'azienda o fuori, allora altro che 50 tipi: si arriva anche a 5.000. In realtà,
un censimento serio delle forme giuridiche di organizzazione del lavoro dipendente retribuito, che abbiano
una qualche diffusione nel nostro Paese, ne evidenzia una dozzina, tra quelle a tempo indeterminato e quelle
a termine . Fra le prime si collocano il lavoro subordinato ordinario, la collaborazione coordinata e
continuativa senza termine (co.co.co.), il lavoro cooperativo, lo staff leasing (somministrazione a carattere
durevole) e l'associazione in partecipazione. Fra le seconde si collocano, oltre al lavoro a termine, con la sua
sottospecie del lavoro occasionale, anche quello «accessorio» retribuito con i buoni-lavoro, quello «a
progetto» (co.co.pro.), che è solo un sottotipo delle co.co.co., l'apprendistato, il «contratto di inserimento» e il
lavoro temporaneo tramite agenzia. Cui si aggiunge ovviamente il lavoro autonomo classico, con la partita
Iva, del quale si possono individuare migliaia di sottotipi; più... un sottotipo illegale: quello della simulazione
del lavoro libero-professionale per nascondere una prestazione di lavoro sostanzialmente dipendente.
Ciascuna delle forme di lavoro individuate sopra, come si è detto, può essere declinata in una grande
pluralità di sottotipi dal punto di vista dell'estensione e della distribuzione del tempo di lavoro: infinite modalità
di part-time orizzontale, verticale, o misto; di lavoro condiviso o job sharing , che è solo una forma evoluta di
part-time caratterizzata dalla libertà dei due partner di distribuirsi il lavoro come vogliono tra loro; infine di
lavoro intermittente, diffuso soprattutto nel settore turistico e dello spettacolo (i camerieri ingaggiati per i
banchetti, le hostess per i congressi, ecc.). Ma queste sono soltanto varianti fisiologiche del contratto di
lavoro, ammesse nel nostro Paese come in tutti gli altri maggiori.
Questa essendo la situazione reale, a me sembra che la polemica ricorrente contro i «50 tipi di contratto» non
abbia alcun senso. È sensato abrogare il sottotipo «a progetto» delle co.co.co. e il contratto «di inserimento»;
ma, a parte questo, il problema non è quello di sopprimere una o più delle forme di lavoro menzionate, che
tutte in qualche misura corrispondono a qualche esigenza effettiva nell'infinita varietà di un tessuto produttivo
moderno (ogni possibilità di lavoro è preziosa!), bensì di individuare con precisione quella posizione di
«dipendenza economica» del lavoratore dall'azienda, che può presentarsi anche nel lavoro autonomo,
associato, o cooperativo, e che genera un rilevante squilibrio di potere contrattuale. Si tratta dunque di
semplificare e al tempo stesso rendere più efficaci i criteri di individuazione della dipendenza effettiva; e di
assicurare a tutti i «dipendenti» così individuati, oltre alle tutele che la Costituzione impone, nel rapporto di
lavoro e sul piano previdenziale, anche un sostegno efficace nel mercato che consenta a tutti di spostarsi
verso le occasioni di lavoro migliori, verso le aziende che meglio valorizzano e remunerano le capacità di
ciascuno.
Senatore di scelta civica
www.pietroichino.it
L'articolo pubblicato ieri dal Corriere non ha alcuna intenzione di riproporre una polemica senza senso, ma
solo di informare sulle molte, troppe, modalità che può assumere in Italia la eccessiva flessibilizzazione dei
rapporti di lavoro, riconosciuta un po' a sorpresa dallo stesso presidente della Bce Mario Draghi. Seguendo il
filo del ragionamento di Draghi, ma anche di autorevoli esperti e imprenditori, non credo si possa concludere
che tutte le forme di lavoro corrispondano «a qualche esigenza effettiva» di un «tessuto produttivo moderno».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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LETTERA SUL LAVORO
13/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Almeno una parte, come del resto lo stesso professor Ichino sa benissimo, sono, quando va male, la
conseguenza di comportamenti spregiudicati o illegittimi dei datori di lavoro, quando va bene di un eccesso di
«oneri diretti e indiretti» che gravano sull'impresa e che il Jobs act si propone di rimuovere incentivando il
nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele progressive. Basta prendere visione delle tante storie che
vengono segnalate dai giovani o farsi un giro sul web (o anche tra amici, parenti e conoscenti) per rendersi
conto che la trappola della precarietà poggia su forme contrattuali improbabili che spesso il lavoratore non ha
la forza di mettere in discussione. In questo senso, un sistema semplice, come anche Ichino auspica,
potrebbe fare a meno di alcune modalità di lavoro piuttosto che aspettare «efficaci criteri di individuazione
della dipendenza effettiva».
Enrico Marro
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11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Doris: acquirenti in coda
Alberto Grassani
Alberto Grassani u pagina 23
MILANO
Dottor Doris, Il mercato si attende una vostra offerta per il 20% di Mediolanum che Fininvest dovrà
dismettere. È un'eventualità?
Le possibilità sono tante, deciderà Berlusconi! Certo che, se l'amico fraterno Silvio Berlusconi - cui va tutta la
mia solidarietà - sceglierà di cedere la quota eccedente il 9,9% al di fuori dalla sua famiglia, ci sarà la fila di
potenziali acquirenti. E in quella fila ci sarò anch'io, con la mia famiglia.
Siete pronti a rilevare tutta la quota? Un incremento superiore al 5% in dodici mesi farebbe scattare
un'offerta obbligatoria
Non ne ho ancora parlato con i miei legali ma sicuramente ci muoveremo con un incremento graduale che
non superi le soglie d'Opa. Questo perché io ci tengo moltissimo che Mediolanum rimanga in Borsa: la
quotazione è un valore in più per la società, ci costringe alla trasparenza, ai rapporti con i soci e investitori. È
un valore importante in particolare per un'azienda come la nostra che si muove sul mercato finanziario. Noi
siamo già oltre il 40% e quindi non sarebbe necessario fare nulla per garantire il controllo del gruppo ma è
una questione affettiva. Potremmo acquistare un 10% circa del capitale.
Agli attuali valori di Borsa sarebbero quasi 380 milioni di euro, la sua famiglia potrebbe impegnarsi ancora
nel gruppo per un controvalore così rilevante?
Sarebbe un investimento alla nostra portata ma io credo che resteremo al di sotto di questo controvalore,
essere al 50% o al 49% del capitale non fa molta differenza.
Per l'eventuale quota residua in vendita, potrebbe essere realizzata una cordata di investitori?
No, noi non abbiamo bisogno di realizzare aumenti di capitale né di alcun alleato, l'azienda sta crescendo
con l'autofinanziamento. Se qualche potenziale partner facesse un'offerta, considerando alla luce del sole gli
interessi dell'azienda e di tutti i suoi azionisti, la valuteremmo. Ma lascerei l'eventuale quota in vendita al
miglior offerente.
Detto questo...
Io spero che la famiglia Berlusconi decida di mantenere la quota. Ho sempre dato la disponibilità a salire nel
capitale, e negli anni passati sono salito dal 35% al 40% di Mediolanum, ma ho sempre consigliato alla
Fininvest di mantenere la quota, perché gli avrebbe garantito grandi soddisfazioni, e anche perché mi ha
sempre inorgoglito avere un partner come Silvio Berlusconi. È stato per me l'alleato ideale in assoluto: un
maestro all'inizio della mia carriera, un vantaggio incredibile dopo. C'è stato un sentimento di profonda
amicizia e fratellanza, e di riconoscenza profonda da parte mia. Da sempre, ho potuto muovermi in
Mediolanum come se fossi l'unico azionista di controllo. Forse anche perché vedeva che le cose andavano
bene è stato un partner silente. È come se fossimo un'unica famiglia, mi dispiace moltissimo di questo
provvedimento di Bankitalia ed esprimo solidarietà a Berlusconi e a tutta la sua famiglia. Detto questo, gli
investitori sono rassicurati: nella governance di Mediolanum non cambierà nulla.
Nulla?
Lo scioglimento del patto non modifica l'assetto nella gestione del gruppo. Nella prossima assemblea degli
azionisti ci sarà il trust che voterà con indipendenza e la mia famiglia con una quota di oltre il 40% del
capitale di Mediolanum.
Insomma, il quadro a grandezza naturale del suo socio Silvio Berlusconi è ancora nel quartiere generale di
Basiglio. Non verrà rimosso?
Al contrario, l'ho portato nella mia sala riunioni. Lo voglio avere più vicino.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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INTERVISTA
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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I NUMERI
380 milioni
Il valore di Borsa del 10%
La quota del 10% che la famiglia Doris potrebbe rilevare dalla Fininvest di Berlusconi ha un valore di mercato
di circa 380 milioni di euro, a fronte di una capitalizzazione complessiva di 3,8 miliardi di euro del gruppo
fondato da Doris
1,5 miliardi
Il valore della quota di Doris
La partecipazione del 40% di Mediolanum in mano alla famiglia Doris, senza tenere conto del premio di
controllo, ha un valore di Borsa di circa 1,5 miliardi. La società vale 12,1 volte gli utili 2013 e 11,3 volte i
profitti stimati per il 2014
Foto: Ennio Doris. Il fondatore di Mediolanum
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Al Paese serve un patto taglia-tasse
Salvatore Padula
Il fisco ha bisogno di un cambio di passo. Deve essere superato l'approccio di un sistema fiscale che
continua a essere un ostacolo - anzi, uno dei principali ostacoli - allo sviluppo. E devono essere ridefiniti i
modelli che governano le strategie di contrasto all'evasione.
Parlare di un nuovo «patto» tra imprese, professionisti e fisco - come ha fatto ieri Rossella Orlandi, direttore
dell'agenzia delle Entrate - significa certamente aver maturato la consapevolezza e la percezione di un
malessere sempre più diffuso, sempre più visibile.
E significa al tempo stesso voler mettere le basi per trovare nuove e più adeguate risposte.
È un malessere che ha radici lontane. Che nasce ben prima dei blitz anti-evasione e la cui responsabilità,
questo deve essere chiaro, va equamente ripartita tra i governi e l'amministrazione finanziaria, che come
sappiamo, ha il compito di applicare le leggi. L'amministrazione, certo, talvolta ci ha messo del suo,
appesantendo gli adempimenti o lasciandosi andare a interpretazioni "aggressive", come nel caso
dell'assenza di «valide ragioni economiche» che sta alla base di moltissime controversie. Ma, insomma, se
questo paese ha un sistema fiscale che non attrae le imprese (anzi, le fa fuggire) o che non facilita le
aggregazioni e la crescita dimensionale o, ancora, che non premia chi investe, chi scommette sulla ricerca e
sull'innovazione, beh, anche la politica avrà bene le sue responsabilità.
Rossella Orlandi ha coraggiosamente parlato di rivoluzione culturale. E ha certamente ragione, perché serve
un approccio diverso al tema dell'evasione. Serve più dialogo con i contribuenti, che significa puntare ancor
più sulla fase del contraddittorio (come per altro sostiene la Corte di Cassazione), momento vero per mettere
a confronto le ragioni del contribuente e quelle del fisco. Vanno affinati i sistemi di tutoraggio, senza però
dare alle imprese la sensazione di avere un "socio" occulto in azienda. Serve un contenzioso che funzioni
meglio, nel nome di una reale parità in giudizio tra fisco e contribuenti. Serve un sistema sanzionatorio meno
schizofrenico e servono molte altre correzioni di rotta che arriveranno (si spera presto) con i decreti di
attuazione della delega fiscale.
Ma a un vero "patto" per lo sviluppo serve molto di più. Serve che la politica, i partiti, il governo capiscano
davvero che il livello del prelievo è insostenibile. È insostenibile sia sotto il profilo quantitativo sia in relazione
alla qualità dei servizi che i cittadini ricevono dalla pubblica amministrazione. Una pressione fiscale sul Pil che
veleggia intorno al 44%; che supera il 50% se il rapporto viene calcolato tenendo conto di chi le tasse le paga
effettivamente, escludendo quindi l'economia sommersa; un prelievo reale sulle piccole e medie imprese
quasi da record del mondo, con oltre 68 euro su 100 di utili che se ne vanno tra oneri e balzelli: è questa la
fotografia che i numeri restituiscono. Sono questi i numeri con cui ogni giorno le imprese e i lavoratori fanno i
conti. Il "patto", allora, richiede fiducia reciproca, ma richiede in primo luogo uno sforzo ulteriore. Deve essere
indicato un percorso, vero e credibile, di riduzione del prelievo, sulle imprese così come sulle persone. Che
fine hanno fatto, tanto per citare un esempio, i proclami e le leggi che impegnavano i governi a destinare al
taglio delle tasse i proventi della lotta all'evasione? Queste sono le ipocrisie che vanno superate. Perché è
qui che si incrina il rapporto di fiducia tra stato e cittadini che ora, giustamente, si vuole cercare di ricostruire.
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UN NUOVO DIALOGO Le responsabilità
Vero che l'amministrazione ha la responsabilità di aver appesantito adempimenti e si è lasciata andare a
interpretazioni "aggressive", ma se il sistema fiscale non attrae le imprese o non facilita aggregazioni e
crescita dimensionale o non premia chi investe, dipende anche dalle scelte della politica
Lotta all'evasione
Serve un approccio diverso: più dialogo con i contribuenti, puntando ancor più sulla fase del contraddittorio,
luogo ideale per mettere a confronto le ragioni del contribuente e del fisco. Serve poi un contenzioso che
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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L'ANALISI
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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funzioni meglio e un sistema sanzionatorio più lineare
Il peso del Fisco
La pressione fiscale sul Pil veleggia intorno al 44% e supera il 50% se si tiene conto di chi le tasse le paga
effettivamente, escludendo il sommerso
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Le regole valgono per tutti (Berlino compresa)
Fabrizio Galimberti
«L'Europa si farà nelle crisi, e sarà la somma delle soluzioni apportate alle crisi», scrisse Jean Monnet nel
1976. È vero; anche noi, nel nostro piccolo, ci decidiamo a fare qualcosa solo quando siamo tirati per i
capelli. Ma la crisi attuale è forse la più seria da quando l'Europa volle farsi Comunità europea, e la
"soluzione apportata" ancora non si vede.
Nell'ottobre del 1939 Winston Churchill disse: «Non posso prevedere quel che farà la Russia. È un rebus,
avvolto nel mistero, dentro un enigma; ma forse c'è una chiave. Quella chiave è l'interesse nazionale della
Russia». La chiave oggi della complicata situazione europea è l'interesse nazionale della Germania. Un
"interesse nazionale" che è più culturale che finanziario. «Per noi tedeschi, quel che è allo stesso tempo il
nostro difetto nazionale e la nostra più grande qualità, è la mancanza di tatto, altrimenti detta difetto di
immaginazione; siamo incapaci di metterci al posto degli altri, li feriamo gratuitamente, ci facciamo odiare, ma
questo ci permette di agire con inflessibilità e senza cedimenti»: così parla il tenente Bruno von Falk, nel
capolavoro di Irène Némirovsky, "Suite Française".
Certo, sarebbe bello se un afflato di politica alta portasse l'Eurozona fuori dalle secche. Anche la Germania
in passato ne è stata capace, ma c'è voluta la sanguinosa sconfitta nella Seconda guerra per aprire le porte a
una costruzione europea; così come c'è voluta la caduta del muro di Berlino e l'eccitante epopea della
riunificazione tedesca per arrivare alla grande tappa di Maastricht e della moneta unica.
Oggi ci vorrebbe un altro capitolo di quella "immaginazione al potere" che i sessantottini reclamavano. Ma
manca la tragedia e manca l'epopea. Esperimenti di laboratorio hanno descritto il cosiddetto "effetto rana
nella pentola": se si mette una rana in un pentolone con l'acqua calda, questa balza fuori; ma se la si mette
nell'acqua fredda e poi la si scalda lentamente, la rana muore bollita. Le cose nell'Eurozona stanno
peggiorando al rallentatore, ed è inutile sperare che spunti un Adenauer o un Kohl. Bisogna lavorare entro i
recinti dell'esistente.
Ma l'esistente è adatto alle temperie del 2014? La risposta è no, per una questione di tempi e di culture. I
tempi: le prescrizioni di vent'anni fa non sono più adatte a una crisi che ancora non riesce a uscire dal più
profondo sconvolgimento dell'economia mondiale dagli anni Trenta. Le culture: come osserva Roberto Artoni
in "La cultura economica e la crisi", si è prestata «esclusiva attenzione all'indebitamento della Pa, ignorando
le dinamiche molto più preoccupanti...in altri settori dell'economia. Questo atteggiamento ha natura
profondamente ideologica: in un sistema liberista l'unico possibile fattore di...disordine può venire dall'azione
dell'operatore pubblico». Anche se "l'esistente" non è adeguato, purtroppo non ci sono alternative (a parte gli
scriteriati suggerimenti di uscire dall'euro) ad agire all'interno delle regole. Ma è possibile, queste regole,
lavorarle al fianco. Di regole la Ue se ne è date molte, e non riguardano solo la finanza pubblica: ha anche
stabilito indicatori e obiettivi di carattere sociale (rischio di povertà, diseguaglianza dei redditi, disoccupazione
di lunga durata...). Anche se, come ci ricorda Enrico Giovannini (in "Scegliere il futuro"), i Paesi teutonici si
affrettarono a precisare che questi indicatori non dovevano essere usati per spingere i Paesi a fare o non
fare.
Va bene, limitiamoci alle regole che riguardano l'economia. Anche sulla finanza pubblica l'Italia può, come
sta già facendo, guadagnare spazi di libertà, essenzialmente sfruttando quelle "circostanze eccezionali" che
giustificano un rinvio del pareggio; così come, su un terreno più tecnico, è bene che si sia cominciato a
mettere in discussione i metodi attraverso i quali si calcola il saldo strutturale di bilancio (basterebbe
cambiare ragionevolmente alcuni parametri per concludere che avremmo già raggiunto l'obiettivo del
pareggio). Ma tutto questo - mendicare le "circostanze eccezionali" o contestare le equazioni - ancora non
basta. Fa parte di una strategia difensiva, quella di uno scolaro che si discolpa di fronte alla maestra. C'è
bisogno di passare - sempre dentro le regole - a una strategia offensiva, mettendo sotto accusa la maestra.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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CRESCITA E RIGORE
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Fortunatamente fra le regole del "Six Pack" c'è anche la Mip ("Macroeconomic Imbalance procedure") che
cifra, fra le altre, anche le forchette entro cui si devono collocare alcuni indicatori. Fra questi c'è il saldo
corrente con l'estero, che deve essere compreso fra il -4% del Pil e il +6%, pena un invito alla correzione. Il
problema è che già da sette anni (vedi grafico) la Germania viola questa regola, e, nell'ultimo "Alert
Mechanism Report" (un monitoraggio previsto dalla Mip) c'è, al primo posto delle raccomandazioni, un invito
alla Germania a stimolare la domanda interna, evitando così quella che vorremmo battezzare una "procedura
per avanzo eccessivo". La responsabilità dei Paesi creditori nel risanamento degli squilibri ha una lunga e
onorata storia: data da Bretton Woods, quando Keynes (che anche in quel caso aveva ragione) cercò di
stabilire regole che ponessero a carico anche dei Paesi creditori la correzione degli sbilanci. Anche nella
storia dello Sme venne a galla la questione della ripartizione degli interventi fra Paesi in deficit e in avanzo.
Ma oggi una giusta condivisione delle misure di risanamento è essenziale per preservare l'unità
dell'Eurozona. E farebbe bene anche ai tedeschi, che avrebbero solo da guadagnare da un aumento della
quantità di beni e servizi consumati all'interno del Paese. Insomma, la prossima volta che il ministro delle
Finanze tedesco invita tutti al rispetto delle regole, si dovrebbe rispondergli che fra i "tutti" c'è anche lui.
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Foto: - Fonte: Elaborazione del Sole 24 Ore su dati Ue
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Mariano Maugeri
Il colpevole, stavolta, c'è. E non ha un nome e cognome ma solo un nome. Malagiustizia. Un film che
abbiamo visto molto volte, sempre uguale. Prendersela con i modelli matematici è fuorviante.
Le perturbazioni, che sempre più frequentemente si rincorrono nel cielo sopra l'Italia, ogni tanto vanno in
cortocircuito. Gli esperti lo chiamano effetto tappo. Lo scirocco alimentato da sud incontra la tramontana e il
libeccio a nord: un fenomeno che si autoalimenta e giovedi sera si è dato appuntamento a Genova alle 21.
Troppo tardi per correre ai ripari e allertare una macchina organizzativa che ha bisogno di almeno quattro ore
per dispiegare i
sui mezzi.
Fuori la prima questione, ne resta un'altra, ben più complessa. Tre anni fa la Regione dice alla Protezione
civile: abbiamo 30 milioni per il dissesto idrogeologico, dove li mettiamo? La Protezione civile non ha dubbi: il
malato numero uno di questa città è il Bisagno. Servono lavori urgentissimi di messa in sicurezza. Così
urgenti che la Protezione civile regionale ci mette di tasca sua altri cinque milioni. In quattro mesi la gara
d'appalto viene bandita ed espletata. L'azienda che arriva seconda ricorre al Tar Liguria. Per il quale la gara
grida vendetta e andava rifatta. La Regione ricorre al Consiglio di Stato, che gli dà ragione. Sentenza a favore
replicata quattro mesi fa dal Tar del Lazio, che qualche settimana fa divulga le motivazioni. Sono volati tre
anni tra pareri e contro pareri, sentenze, carte bollate, ricorsi. È il paese degli azzeccagarbugli che in questi
frangenti esprime il meglio di sé. L'alluvione di giovedì sera ci ricorda che i torrenti ingrossati dalle piogge
tropicali non aspettano i tempi biblici dell'homo italicus. Che, tanto per complicare le cose, inanella una serie
di errori sulla nomina del commissario delegato al dissesto idrogeologico di Genova: un prefetto, il sindaco
Doria e poi, in ossequio al principio che non ci debbano essere esborsi aggiuntivi per pagarli, il presidente
della giunta regionale. Il meteo e i disastri autunnali (l'anno scorso, alla metà di novembre, Olbia fu sommersa
da un'alluvione con 17 morti) non aspettano che a Roma si decida quale sia la figura istituzionale migliore e a
basso costo per il ruolo di commissario delegato.
Con una postilla mai così utile da ricordare in queste ore: vedi alla voce rio Fereggiano, il torrente che corre
nel cuore di Genova e nell'autunno del 2011 provocò la morte di sei persone, tra i quali due bambini.
Alluvione replicata il 9 ottobre del 2014. Per la cronaca, il Fereggiano è un'affluente del Bisagno. Imbrigliare il
Bisagno significherebbe domare per sempre anche il suo bizzoso affluente. Due torrenti autorizzati a
seminare morte e distruzione dal profluvio di sentenze contraddittorie dei tribunali amministrativi e
dalla girandola di commissari delegati.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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I lavori bloccati da burocrazia e liti
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Padoan: la Ue non boccerà i nostri conti
IL PRESSING EUROPEO Il Tesoro smentisce le voci su pressioni per modificare la legge di stabilità.
Katainen: per rilanciare gli investimenti l'Italia tagli spese ed entrate
Rossella Bocciarelli
WASHINGTON. Dal nostro inviato
«Non c'è alcuna possibilità» che la Commissione europea possa bocciare l'Italia. Intervistato dalla Cnn, il
ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, è tranchant. E, sulla coda di una giornata condizionata dall'attesa
per l'aggiornamento del verdetto di Moody's (poi rinviato) si mostra estremamente tranquillo su qualità e
tenuta dei conti pubblici italiani. Tra l'altro, nel pomeriggio di ieri è arrivata anche la conferma di rating A da
parte dell'agenzia DBRS per l'Italia. Così, a chi chiede come pensa che sarà valutata la legge di stabilità in
Europa, Padoan risponde con decisione: «Non mi aspetto alcun problema, abbiamo i numeri giusti e abbiamo
fatto gli aggiustamenti giusti. Stiamo usando la flessibilità già prevista dalle regole». «L'Italia rispetta le regole
europee» ed è «tra i pochi Paesi sotto il 3%» nel rapporto tra deficit e Pil, mette in evidenza, difendendo a
spada tratta la politica di bilancio del Governo. «Non siamo un Paese ad alto deficit», ricorda. «Dunque aggiunge - non c'è alcun negoziato con Bruxelles. Siamo nelle regole e rispettiamo le regole». Sui
conti,Padoan torna a ricordare che il deficit strutturale «migliorerà nel 2015 e ancora di più nel 2016 e nel
2017». L'obiettivo è il «completamento dell'aggiustamento entro il 2017».
Padoan ha spiegato che «stiamo usando la flessibilità che è già a disposizione, stiamo facendo riforme
ambiziose in un contesto recessivo. Queste sono davvero condizioni eccezionali». Quanto al rapporto con la
Commissione di Bruxelles, conclude Padoan, «accoglieremo con favore tutto ciò che dirà, con spirito
costruttivo». La presa di posizione del ministro arriva dopo che da Bruxelles erano rimbalzati rumors a
proposito di un tentativo dell'ultimo minuto da parte della Commissione Ue per convincere Italia e Francia a
cambiare i disegni di legge di stabilità prima di inviarli per il vaglio la prossima settimana a Bruxelles.
Secondo queste voci, raccolte da Reuters, sarebbe stato il presidente del Consiglio europeo Herman Van
Rompuy a far la richiesta al premier Matteo Renzi, a margine del vertice Ue sull'occupazione di mercoledì
scorso. Al Tesoro si limitano a notare che sarebbe davvero singolare contestare una legge di stabilità che
ancora non c'è. Sta di fatto, però, che ieri in un'intervista concessa qui a Washington il vicepresidente della
Commissione Jirki Katainen, nel sollecitare un rilancio degli investimenti da parte di Germania, Francia e
Italia, ha precisato che Francia e Italia però, per farlo, dovrebbero cambiare la composizione della politica di
bilancio attraverso il taglio simultaneo di spese ed entrate.
Di certo, lo sguardo degli osservatori e degli investitori stranieri non è a priori benevolo nei confronti del
nostro paese. Così c'è chi, ad esempio, si è affrettato a sottolineare la discrepanza fra i numeri sul rapporto
debito-Pil contenuti nel fiscal monitor del Fondo monetario internazionale e quelli della Nota di aggiornamento
del Def come se questo fosse il frutto di una valutazione implicita molto più pessimistica da parte degli esperti
di Washington sullo stato di salute della finanza pubblica italiana. Invece, spiegano fonti della delegazione
italiana, la divergenza è dovuta in massima parte solo al fatto che i dati sul rapporto debito/Pil del testo sulla
politica di bilancio del Fmi non tengono conto della revisione del Pil effettuata per aggiornare la contabilità al
Sec 2010. Il livello del prodotto, nelle cifre del rapporto del Fondo fino al 2013, è infatti allineato alle stime Sec
95. Se invece si fa un confronto omogeneo, le stime del Fondo indicano una crescita del rapporto debito/Pil
nel 2014 di 4,2 punti percentuali, poco superiore ai 3,7 della Nota di aggiornamento del Def.
Sempre ieri, infine, Padoan ha depositato il testo del suo discorso all'Ifmc, il «consiglio di amministrazione
del Fondo monetario», nel quale ricorda che l'outlook economico dell'Italia resta «fragile»: i flussi di credito si
stanno contraendo e il persistere di incertezze continua a inibire la ripresa delle spese per gli investimenti.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Il ministro dell'Economia al G-20. «Nessun negoziato con Bruxelles, l'Italia rispetta le regole»
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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LE RASSICURAZIONI DEL TESORO
Nessuna bocciatura in Ue
«Non c'è nessun negoziato in corso con Bruxelles, e non vedo nessuna chance che la legge di stabilità
venga respinta in Europa»: il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, stronca sul nascere le voci di una
possibile bocciatura da parte della Commissione Ue che - secondo quanto scrive il sito della Reuters avrebbe chiesto a Roma e Parigi di cambiare le rispettive leggi di bilancio
Foto: Economia. Pier Carlo Padoan
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 12
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Torna l'auto a Termini Imerese
C.A.F.
TERMINI IMERESE (PALERMO)
Torna l'auto a Termini Imerese. «Il futuro del sito ex Fiat in provincia di Palermo, chiuso dal novembre del
2011, si chiama Grifa (Gruppo Italiano Fabbrica). Entro il 30 dicembre verrà infatti effettuata la cessione del
ramo d'azienda, passo decisivo per la nuova realtà industriale che produrrà auto ibride ed elettriche»: a dirlo
una nota del ministero dello Sviluppo economico di ieri sera, dopo la sigla del «verbale di incontro» con le
organizzazioni sindacali, tra cui la Fiom.
«La firma - ha detto il viceministro Claudio De Vincenti - è un passaggio fondamentale per poter dare un
futuro produttivo e occupazionale a Termini Imerese. Ora ci sono tutte le condizioni perché riparta da qui a
breve». Il percorso sul sito industriale siciliano prevede, oltre alla citata cessione del ramo di azienda, il
trasferimento di tutti e 768 lavoratori dello stabilimento Fiat e di Magneti Marelli a Grifa, salvo coloro che
volessero accedere alla mobilità. Da parte sua Fiat-Fca si impegna a sostenere economicamente il percorso
di mobilità incentivata. «I cui termini, però, sono ancora da concordare», ha precisato Gianluca Ficco,
segretario nazionale Uilm. Il segretario nazionale della Fim Cisl, Ferdinando Uliano, ha inoltre specificato che
il sindacato «giudica importante l'impegno assunto anche dal governo e dalla Regione Sicilia che verrà
inserito nell'ambito dell'accordo di programma, per dare ulteriori soluzioni occupazionali e industriali anche ai
lavoratori delle aziende dell'indotto». Per Paolo di Giovine, responsabile nazionale Fismic, «sorge finalmente
il sole su Termini Imerese. Non sarà licenziato nessun lavoratore e ripartirà la produzione». Mentre Ficco
sottolinea il fatto che «Grifa assuma tutti i lavoratori in continuità, accogliendo le richieste del sindacato».
Grifa e le organizzazioni sindacali sono impegnate a discutere il trattamento economico che dovrà essere
riconosciuto ai lavoratori che passeranno da Fiat a Grifa. «La disponibilità di Grifa è una buona notizia afferma il sindaco di Termini Imerese, Toto Burrafato -, vuol dire che Termini ritorna all'auto. La cessione del
ramo di azienda porta in dote al nuovo investitore non solo i lavoratori, ma anche la piena disponibilità dello
stabilimento di Termini Imerese». Positivo anche il commento dell'Ugl: «Dopo 4 anni si prospetta un futuro
positivo per i lavoratori di Termini Imerese», dichiara il segretario nazionale dell'Ugl metalmeccanici settore
auto, Antonio Spera.
Per la giornata di oggi sono state indette assemblee dei lavoratori. Secondo Michele De Palma, responsabile
Fiat per il settore auto della Fiom, «i tempi sono molto stretti. Abbiamo costruito una premessa anche per i
lavoratori dell'indotto ma è tutta da verificare la conclusione definitiva».
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I NUMERI
768
I posti di lavoro
Numero di dipendenti ex Fga e Magneti Marelli che saranno trasferiti (tranne coloro che accetteranno la
mobilità volontaria) in Grifa, a partire dal primo gennaio 2015
250 milioni
Il nodo investimenti
La trattativa è rimasta in stallo diversi mesi perché i sindacati consideravano insufficiente la proposta di Grifa
di investire 250 milioni per la produzione di 150 auto ibride al giorno per un totale di 35mila l'anno
3 anni
La rinascita
L'accordo siglato ieri consente di far ripartire lo stabilimento che era chiuso ormai dal novembre 2011
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La questione industriale. Intesa al Mise per la cessione del ramo d'azienda Fiat a Grifa SICILIA
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Premium in Telecom? «È price sensitive»
Il presidente Mediaset Fedele Confalonieri non smentisce l'ipotesi del conferimento LO SCORPORO Dal proforma della pay-tv, in vista della trasformazione in Spa, emergerebbe un valore del capitale investito
dell'ordine di 100 milioni
Antonella Olivieri
«Non si può dire niente. Vero o falso che sia, è price sensitive». Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset,
non smentisce l'ipotesi del conferimento di Mediaset Premium in Telecom Italia, ma non commenta. Telecom,
da parte sua, ha ribadito più volte, anche recentemente, che non ci sono contatti tra i due gruppi. Come
scritto ieri da «Il Sole-24Ore», infatti, l'ipotesi non è ancora arrivata sul piano operativo-aziendale. Ma il tema
c'è. E la cosa sorprendente è che, se un progetto di questo tipo dovesse andare avanti, non si scontrerebbe
con posizioni pregiudiziali da parte di chi dovrebbe "vendere".
Conferendo la pay-tv, il gruppo del Biscione si ritroverebbe ad avere al massimo l'8% del capitale ordinario di
Telecom Italia, dando per buona la valutazione di 900 milioni di equity implicita nell'ingresso di Telefonica,
con l'11%, in Premium. Va detto che la quota rilevata dagli spagnoli faceva parte di un'operazione più ampia
che ha portato la compagnia presieduta da Cesar Alierta a conquistare a caro prezzo il 100% di Canal+, la
pay-tv che era controllata dal gruppo Prisa (editore del Pais) e nella quale Mediaset aveva una quota del
22%. E inoltre, Telefonica ha tenuto l'opzione di rivendere a Mediaset la quota in Premium entro i primi giorni
di gennaio.
Dal bilancio pro-forma al 30 novembre, in vista dello scorporo della pay-tv nella Spa Mediaset Premium che
dovrebbe diventare operativa a fine anno, dovrebbe emergere un valore del capitale investito dell'ordine di
100 milioni, il che significa che per arrivare a 900 milioni, l'avviamento sarebbe di 800 milioni. In dieci anni di
vita, la pay tv del Biscione non è mai stata in utile, se si eccettua il 2010, quando è stato centrato il target di
break-even. Poi si è scatenata la guerra dei prezzi e, mentre il costo dei diritti è lievitato, il prezzo degli
abbonamenti è rimasto piatto. Sulla scena si sono affacciati nuovi attori, da Internet-tv come Netflix alle
stesse compagnie telefoniche come British Telecom, che si è messa a comprare diritti in proprio, soffiando la
Champions League a Sky nel Regno unito. Con gli ingenti investimenti fatti per conquistare i diritti del calcio,
Mediaset può sperare di far quadrare i conti della sua pay-tv, ma alla lunga la tecnologia del digitale terrestre
non può reggere la concorrenza, in rapida evoluzione, della tv via Internet. Di qui la valutazione realistica di
considerare anche la vendita di Premium, via conferimento, a chi, come Telecom, ha la tecnologia per
veicolare i contenuti. Ottenendo in cambio una quota di Telecom, Mediaset si porrebbe nella stessa posizione
di Vivendi, cioè quella di fornitore di contenuti che beneficerebbe solo indirettamente della riuscita di una
formula di convergenza con le tlc.
Per Telecom il problema è come sollecitare la domanda, al momento carente, per la banda ultralarga e i
contenuti "pregiati", come appunto il calcio, potrebbero fornire una risposta. Si tratterebbe di valutare se
perseguire una strategia di accordi commerciali, come quello stretto con Sky, oppure se muoversi in proprio.
Se Premium finisse in Telecom, con la società e il suo organico di 200-250 persone, sarebbero trasferiti infatti
anche i diritti per trasmettere le partite di calcio e in particolare i diritti per la serie A, pagati circa 370 milioni
per il triennio 2015-2018 e quelli per la Champions League, 230 milioni all'anno per tre anni a partire
dall'agosto 2015. Quando, ai tempi di Olimpia, Marco Tronchetti Provera aveva discusso con Rupert Murdoch
i termini di una possibile alleanza, il nodo si era rivelato essere chi avrebbe dovuto «fatturare» il cliente, dal
momento che entrambi lo pretendevano. Con la pay-tv in casa il nodo sarebbe sciolto. Se avanzasse
un'ipotesi di questo tipo, ostacoli regolamentari con l'Agcom - a quanto risulta - non dovrebbero essercene,
ma l'operazione dovrebbe essere notificata all'Antitrust che dovrebbe esprimersi nel merito della
concentrazione.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Tlc-media. Se il progetto avanzasse non ci sarebbero ostacoli Agcom, ma l'operazione andrebbe notificata
all'Antitrust
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Le quote di mercato in Italia Dati in % a fine giugno 2014 ALTRI LINEE
MOBILI Telecom Italia 34,5 RETE FISSA Telecom Italia 61,4 Vodafone 9,5 Wind 13,5 Tiscali 2,0% BTItalia
0,4% Fastweb 9,9 H3g 11,1 Vodafone 29,8 Wind 24,6
L'ANTICIPAZIONE
Il dossier
Sul Sole 24 Ore di ieri l'anticipazione dell'ipotesi di lavoro per il conferimento di Mediaset Premium a
Telecom, con l'ingresso del gruppo televisivo nel capitale della società di telecomunicazioni.
Foto: - Fonte: Agcom
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 25
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Luxottica, Cavatorta pronto alle dimissioni
Tensioni dopo le mosse della moglie di Del Vecchio che vorrebbe Milleri nel board IL RETROSCENA Tra i
nodi che sarebbero emersi, la volontà della compagna Nicoletta di far entrare in cda un consulente vicino alla
famiglia
Marigia Mangano
MILANO
Andrea Guerra ha lasciato Luxottica appena un mese fa e già il nuovo assetto di vertice del gruppo degli
occhiali sembra essere in discussione. Il nuovo amministratore delegato Enrico Cavatorta, tassello di un
triumvirato che il patron del gruppo Leonardo del Vecchio ha tanto voluto dopo l'uscita di Guerra a fine
agosto, potrebbe nelle prossime ore rassegnare le dimissioni. Alcune fonti riferiscono che l'intenzione di
Cavatorta sarebbe quella di procedere a fare il passo indietro in occasione di un consiglio di amministrazione
straordinario di Luxottica che potrebbe essere convocato per lunedì. C'è però chi non esclude che il passo si
consumi già nel week end. Un colpo di scena, dunque, che potrebbe - sempre secondo quanto ricostruito dal
Sole 24 Ore - portare diversi consiglieri attualmente in carica a dimettersi in blocco, quanto basta per far
decadere l'intero board attualmente in carica.
Di certo entro l'inizio della prossima settimana l'attuale ceo di Luxottica scioglierà le riserve. Per ora l'unica
certezza è che negli ultimi due giorni Cavatorta ha venduto fuori mercato 550.000 azioni della società da lui
guidata, a un prezzo medio di 40,69 euro per azione che ha comportato un incasso di 22.379.500 euro. Nel
filing model di internal dealing si spiega come tali azioni siano state acquistate direttamente da Delfin, la
holding che fa capo all'imprenditore Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica e azionista di controllo con
una quota di circa il 61%. Secondo quanto viene riferito, Cavatorta - come già avvenuto in passato e come in
questi giorni hanno fatto altri manager del gruppo - ha ceduto a Delfin un pacchetto di stock option del 2009,
che per l'amministratore delegato avevano un valore unitario d'acquisto di 13,4 euro. È altrettanto vero però
che la cessione di tali titoli a Delfin, nella tradizione di Luxottica, sembra proprio preannunciare l'uscita del
manager come già successo con l'amministratore delegato Andrea Guerra.
Da Luxottica fanno sapere che «ad oggi Enrico Cavatorta non ha rassegnato le dimissioni. L'unico cda
programmato - riferiscono dal quartier generale del gruppo - è quello già in programma per il 29 ottobre che
esaminerà i dati».
Secondo quanto ricostruito dal Sole 24Ore, la tensione al vertice sarebbe il risultato delle modalità con cui il
fondatore di Luxottica Leonardo del Vecchio starebbe gestendo la fase di transizione del gruppo. Modalità
che non avrebbero incontrato il consenso dell'attuale amministratore delegato Cavatorta. Uno degli aspetti
non condivisi dal manager sarebbe la volontà manifestata dalla moglie Nicoletta di voler far entrare nel
consiglio di amministrazione di Luxottica Francesco Milleri, consulente del gruppo e amico di famiglia. Il board
di Luxottica è infatti in scadenza e il rinnovo sarebbe stata l'occasione per l'ingresso del nuovo manager che
sarebbe andato così ad affiancare Cavatorta nel suo ruolo di amministratore delegato. In altre parole si
andava ad alterare quel triumvirato presentato da Del Vecchio un mese fa con Cavatorta amministratore
delegato delle funzioni corporate e, pro tempore, dei mercati, in attesa della nomina del secondo
amministratore delegato, insieme al responsabile operations Massimo Vian.
Il nuovo disegno, che puntava a rafforzare sotto alcuni aspetti il ruolo dell'azionista nella gestione del gruppo,
avrebbe così incrinato i rapporti tra Cavatorta e la famiglia del fondatore di Luxottica. Si tratta di vedere, a
questo punto, se lo strappo potrà essere ricucito nelle prossime ore, ma secondo alcuni osservatori la strada
appare tutta in salita. Tanto più che in questo momento anche all'interno della famiglia (vedere articolo in
pagina) gli equilibri sono piuttosto fragili e il ruolo della moglie di Del Vecchio appare sempre più decisivo.
Ieri intanto in Borsa il titolo del gruppo degli occhiali è risultato poco mosso: le azioni hanno chiuso in lieve
rialzo dello 0,10% a un prezzo di riferimento di 41,08 euro.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Riassetti. Il nuovo ad potrebbe lasciare già nelle prossime ore - Malumori anche tra i consiglieri: il cda
potrebbe dimettersi
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 25
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Azionariato e conto economico IL SEMESTRE DI LUXOTTICA Dati in
milioni di euro e variazione % LA STRUTTURA Dati in % Fatturato +0,5 VARIAZIONE 2013 1.661 - Divisione
Wholesale 2.221 - Divisione Retail 3.882 2014 1.739 - Divisione Wholesale 2.163 - Divisione Retail 3.902
+4,7 -2,6 +4,7 Utile VARIAZIONE operativo 2013 2014 636 666 0 200 400 600 800 +5,8 VARIAZIONE Utile
netto attribuibile al Gruppo 2013 2014 371 393 0 100 200 300 400 500 +5,0 Utile VARIAZIONE per azione
2013 2014 0,79 0,83 0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 +9,6 VARIAZIONE Utile per azione in US$ 2013 2014 1,03 1,13 0
0,3 0,6 0,9 1,2 1,5 0,76 Azioni proprie 4,75 Giorgio Armani 6,53 Deutsche Bank Trust Company Americas
26,61 Flottante 61,35 Delfin S.a.r.l. Famiglia Del Vecchio
L'ANTICIPAZIONE
Sul Sole 24 Ore di ieri
La cronaca delle tensioni al vertice di Luxottica e del possibile avvicendamento alla guida del gruppo del
lusso è stata anticipata dal Sole 24 Ore di ieri
Foto: - Fonte: dati societari
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Con la Ue un negoziato che vale 2,4 miliardi
Dino Pesole
di Dino Pesole e Beda Romano u pagina 2
ROMA
Beda Romano
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Le trattative sono in corso, seguono le vie "diplomatiche" ordinarie, e troveranno una sintesi entro mercoledì,
quando il Governo consegnerà al Parlamento e a Bruxelles la legge di stabilità. Si punta a evitare che a
novembre l'esecutivo comunitario chieda di rivedere l'impianto della manovra, attraverso una mini-correzione
del deficit strutturale di 2-2,4 miliardi. A tanto ammonterebbe lo scarto tra l'intervento sui saldi promesso dal
governo (0,1% del Pil) e la riduzione prevista da Bruxelles (0,25%). Intervento che già conterrebbe una sorta
di "sconto" rispetto allo 0,5% annuo previsto dal Fiscal compact, per effetto del peggioramento del ciclo
economico. Il governo finora ha escluso che la manovra "espansiva" in via di definizione contenga ulteriori
aggiustamenti del deficit strutturale. E tuttavia, non è escluso che alla fine l'asticella degli interventi,
collocandosi nei dintorni se non oltre i 24 miliardi, possa altresì prevedere anche una mini-correzione del
saldo di bilancio, in linea con le richieste di Bruxelles. Dipenderà essenzialmente da quanti tagli si riusciranno
a inserire in manovra, considerando che per 11,5 miliardi la legge di stabilità sarà finanziata in deficit,
utilizzando il margine che separa il valore tendenziale (2,2%) da quello programmatico (2,9%).
Una volta approvata la manovra, la palla passerà alla Commissione europea, che ha già ricevuto la Nota di
aggiornamento al Def, approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso 30 settembre. Piano triennale che
prevede lo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio, con il contestuale rinvio dell'aggiustamento strutturale
di bilancio per l'anno prossimo. Non si ragiona più sullo 0,5% annuo, poiché questa estate la direzione
generale affari monetari della Commissione ha pubblicato un'analisi della situazione economica nella zona
euro, nella quale tenendo conto della congiuntura ha rivisto gli obiettivi di riduzione del deficit strutturale. Per
l'Italia, lo sforzo minimo richiesto nel 2015 è stato rivisto appunto allo 0,25% del Pil. Ipotesi di lavoro, ancora
da pubblicare ufficialmente, predisposta al netto delle prossime stime economiche attese per novembre.
Posto in questi termini, il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles potrebbe trovare una soluzione amichevole,
evitando l'imbarazzante bocciatura della prossima finanziaria. L'Italia dovrebbe però fare uno sforzo
aggiuntivo, venendo incontro agli obiettivi - rivisti drasticamente - dall'esecutivo comunitario. Le prossime ore
saranno decisive. I negoziati sono complicati dal fatto che per ora sia Roma che Bruxelles stanno facendo la
voce grossa, fermi sulle loro posizioni.Il problema è che nel 2014 l'Italia rischia di mancare completamente gli
obiettivi di finanza pubblica. Il deficit nominale si attesterà al 3,0% del Pil, mentre l'aggiustamento strutturale
sarà lontano dallo 0,7% richiesto a suo tempo. In compenso, il governo può portare in dote nelle trattative
alcune misure di lungo periodo, come la legge delega sul mercato del lavoro che ora dovrà affrontare l'esame
della Camera, con effetti netti in termini di incremento del Pil potenziale ancora tutti da valutare.
Molto dipenderà dagli equilibri politici che emergeranno nella nuova Commissione che s'insedierà a
novembre. Se dovesse prevalere la linea più ortodossa e rigorista, sarebbe inevitabile un duro braccio di ferro
con Italia e Francia. Ma, a ben vedere, è nell'interesse stesso della nuova Commissione Juncker evitare di
inaugurare il suo mandato con uno scontro aperto con la seconda e terza economia europea. Si cerca
dunque un ragionevole compromesso, e alla fine è probabile che sia questa la strada. Il Jobs Act - ha
osservato ieri il presidente della Commissione, José Manuel Barroso - è una «decisione molto coraggiosa».
Se l'Italia porterà a termine le riforme, «avrà successo e per noi sarà importante, perché l'Europa non può
riprendersi senza il contributo dell'Italia». Paese che però al momento ha le tasse sull'energia «più alte
d'Europa e forse del mondo e questo fa perdere competitività alle aziende».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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BRACCIO DI FERRO SUL DEFICIT
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Più opere e meno squilibri per rilanciare l'Europa
Alberto Quadrio Curzio
La crisi economica europea ha trovato di recente due conferme e una autorevole indicazione su come
uscirne. La conferma viene dal rallentamento della Germania e dal Fondo monetario internazionale che
chiede investimenti pubblici in infrastrutture. Per questo giornale non si tratta di novità perché da anni
ripetiamo che il dogma del rigore fiscale senza politiche espansive europee centrate sugli investimenti, specie
in infrastrutture, era sbagliato.
I trinomi dell'Fmi. Con oggi si chiudono a Washington le riunioni annuali di Fmi e Banca mondiale (istituzioni
a cui aderiscono 188 Paesi) che hanno celebrato anche il loro 70° anniversario. È stato presentato anche il
World economic outlook di ottobre che va letto alla luce di due interventi, cruciali anche per l'Europa, del
direttore generale Fmi, Christine Lagarde. Il primo è di prospettiva storica a 70 anni da Bretton Woods,
quando Fmi e Banca mondiale furono fondate con il contributo di John Maynard Keynes. Lagarde rende
omaggio a questo genio e prospetta tre coppie di alternative di fronte alla quali l'economia mondiale si trova
oggi: tra accelerazione e stagnazione; tra stabilità e fragilità; tra solidarietà e isolamenti. Lagarde spiega
perché accelerazione, stabilità, solidarietà sono tra loro connesse. A nostro avviso è quella combinazione su
cui si è costruita l'Eurozona (e l'Unione europea) che adesso vacilla avendo scelto, sbagliando, la
ricombinazione di stagnazione, stabilità, isolamenti.
Il secondo intervento riguarda l'attuale urgenza di politiche economiche per rilanciare crescita e occupazione,
specie in alcune aree geo-economiche in forte rallentamento. Qui emerge in modo netto la presa di posizione
sulla Eurozona per la quale Lagarde segnala i rischi di persistente bassa inflazione (che per noi è deflazione)
e di recessione per superare le quali chiede misure monetarie più forti della Bce e misure fiscali dei Paesi sia
in surplus che in deficit evitando gli eccessi di rigore, ammorbidendo gli effetti delle necessarie riforme nel
mercato del lavoro, favorendo la crescita.
Gli investimenti e le infrastrutture. Alle politiche monetarie e fiscali per la crescita viene aggiunta con forza
dall'Fmi quella sulle infrastrutture come strategia cruciale per evitare il rallentamento dell'economia mondiale
e la stagnazione in alcune aree. Con riferimento all'Eurozona noi abbiamo trattato su queste colonne di
infrastrutture sotto ogni punto di vista: dai metodi di finanziamento (Project bond, Eurobond, partenariato
pubblico-privato) alle tipologie di investimenti (reti transeuropee, tecnoscienza, capitale umano e fisico). L'Fmi
enfatizza l'urgenza degli investimenti pubblici in infrastrutture sia come leva fondamentale per rilanciare
adesso crescita e occupazione, sia perché la quota delle stesse sul Pil è calata in generale, sia perché nei
Paesi sviluppati vanno ammodernate e nei Paesi in via di sviluppo vanno costruite. Le condizioni di liquidità
attuali sono anche molto favorevoli per costi finanziamento bassi e per l'emissione di titoli di debito in mercati
molto liquidi. L'Fmi calcola che un aumento dell'investimento in infrastrutture di un punto percentuale di Pil
genera nelle economie avanzate un incremento dello 0,4% di Pil nello stesso anno e dell'1,5% entro quattro
anni. La conclusione è che investimenti in infrastrutture ben fatti aumentano la produttività delle economie e si
ripagano anche in termini di rapporti del debito pubblico sul Pil.
Gli squilibri tedeschi. Il World economic outlook (Weo) dell'Fmi si sofferma anche sulla crisi dell'Eurozona e
sui problemi dei suoi Stati membri. Il messaggio che più colpisce è quello secco indirizzato alla Germania con
la richiesta di aumentare gli investimenti pubblici nelle infrastrutture. Il messaggio si ripete in varie forme nel
Weo rilevando che la Germania è l'unico Paese nel quale tra il 2006 e il 2013 sono cresciuti sia il surplus di
parte corrente con l'estero (dal 6,3% allo 7,5% del Pil, pari a 274 miliardi di dollari) sia i crediti finanziari netti
sull'estero (dal 26,9% al 46,2% del Pil ovvero 1678 miliardi di dollari) mentre gli investimenti interni sono scesi
rispetto al risparmio. Così gli investimenti totali sul Pil dal 22,3% nel 2000 sono scesi al 16,9% nel 2013
mentre si prevede una risalita solo al 18,5% nel 2019. All'opposto la quota del risparmio lordo sul Pil è
passata nello stesso periodo dal 20,5% al 24% con la previsione di scendere solo al 23,5% nel 2019. La
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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CRESCITA E RIGORE
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Germania soffre perciò di squilibri macroeconomici che da anni vanno ben oltre i limiti previsti dagli accordi
europei per il rapporto tra il surplus di parte corrente sull'estero e il Pil. Purtroppo le istituzioni europee non
hanno avuto la forza di richiamare la Germania a più investimenti che avrebbero trainato tutta l'Eurozona.
Inoltre si è a lungo taciuto nelle sedi istituzionali sui vantaggi che la crisi stessa ha prodotto per la Germania.
Sono critiche che da tempo Marco Fortis avanza, segnalando anche che il crollo della domanda degli altri
Paesi dell'Eurozona avrebbe colpito la stessa Germania. È quello che sta accadendo. Infatti le stime di
crescita per il 2014 sono state ribassate dall'1,9% all'1,3% e per il 2015 dal 2% all'1,2%, l'export di agosto è
crollato del 5,8% rispetto a luglio e la produzione industriale del 4,8% mentre la fiducia delle imprese è in calo
da maggio. È dunque in corso un rallentamento marcato.
Una conclusione Euro-tedesca. Al di là dei numeri contano anche le opinioni e tra queste spicca quella di
uno tra i più autorevoli economisti tedeschi, Marcel Fratzscher, direttore dell'Istituto tedesco per la ricerca
economica (Diw). Nel suo recente volume "L'illusione tedesca" (presentato dal ministro dell'Economia, il
socialdemocratico Sigmar Gabriel) si sostiene sia che la prosperità tedesca vacilla per gli errori di politica
economica sia che la Germania deve investire di più in infrastrutture e in capitale fisico e umano. Speriamo
che questa opinione venga accolta dal governo tedesco, che dovrebbe anche aprirsi alla piena
collaborazione con il presidente della Commissione europea per la realizzazione degli investimenti
infrastrutturali convenienti per tutta l'Eurozona. Anche per l'Italia, che tuttavia non potrà sottrarsi a riforme
radicali capaci di renderci un po' più "tedeschi".
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12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Un po' d'inflazione fa bene anche agli Usa
Paul Krugman
S ubito dopo gli ultimi dati sul lavoro Usa, che hanno mostrato che le cose stanno andando meglio del
previsto, la mia cartella della posta in arrivo ha cominciato a riempirsi di richieste alla Fed di accelerare il
ritmo della "normalizzazione". Paul Krugman
Ma le ragioni che consigliano di aspettare per vedere come si evolve la situazione rimangono valide più che
mai, anzi forse sono più valide di prima.
Come ho già cercato di spiegare, ci sono due punti fondamentali riguardo alla politica della Fed. Il primo è
che non sappiamo quale sia il livello di sottoutilizzo della manodopera nel mercato del lavoro statunitense. Il
secondo è che sopravvalutare questo sottoutilizzo e aspettare troppo a lungo per alzare i tassi di interesse
avrebbe conseguenze relativamente trascurabili, mentre sottovalutarlo e alzare i tassi troppo presto potrebbe
produrre costi immensi.
Riguardo al primo punto: è effettivamente così, non sappiamo quale sia il livello di sottoutilizzo della
manodopera. E non venite a propinarmi il vostro nuovo metodo di calcolo che dimostra che "c'è un X per
cento di sottoutilizzo". Ci sono tonnellate in giro di persone ingegnose che fanno calcoli ingegnosi: non
concordano fra di loro e comunque nessuno crede davvero nell'econometria a meno che le cifre non dicano
quello che ci si vuole sentir dire. (Spiacenti, ma è la realtà.) La verità è che quando c'è una situazione di
sottoutilizzo della manodopera non ci capiamo molto, se non a posteriori, se e quando finalmente vediamo un
recupero rilevante dell'inflazione, e in particolare dei salari.
Riguardo al secondo punto: se la Fed aspettasse troppo a lungo, l'inflazione potrebbe ripartire per un po', e
farla ridiscendere poi fino all'obiettivo farebbe male (anche se in realtà l'obiettivo dovrebbe essere più alto).
Ma è poca cosa rispetto allo scenario alternativo, cioè un aumento dei tassi troppo precoce per scoprire poi
che siamo entrati in una trappola deflazionistica da cui è difficile, difficilissimo uscire. Se foste alla Fed,
preferireste svegliarvi e scoprire che il tasso di inflazione core è salito al 3% o che siete diventati Mario
Draghi, il presidente della Banca centrale europea?
E se siete stupiti che il calo del tasso di disoccupazione non si traduca in una crescita più rapida dei salari,
beh, questo non fa che confermare la mia tesi, e cioè che non sappiamo esattamente quanto sia esteso il
sottoutilizzo della manodopera.
C'è forse qualcuno che pensa che i salari fossero cresciuti oltremisura prima della crisi finanziaria del 2008?
Se non lo pensate, allora dovreste essere del parere che serve un periodo prolungato di mercati del lavoro
vicini alla piena occupazione solo per tornare al punto di partenza.
Nei nuovi dati sull'occupazione non c'è nulla che spinga a pensare che sia necessario alzare i tassi in tempi
rapidi. Anzi, faccio molta fatica a capire perché qualcuno sia del parere che si dovrebbero alzare i tassi anche
nel 2015.
Puniti per la virtù del dollaro?
È raro che mi trovi in disaccordo con l'economista Jared Bernstein, e in effetti concordo quasi interamente
con il post che ha pubblicato recentemente sul suo blog (bit.ly/10QUH17), in cui traccia un collegamento tra
la piena occupazione, i disavanzi commerciali e il dollaro come valuta di riserva. Sì, sono d'accordo che il
persistente disavanzo commerciale negli Stati Uniti ostacola il raggiungimento della piena occupazione, e che
dovremmo portare avanti una politica del dollaro debole, non del dollaro forte.
Ma la radice del problema è nello status di valuta di riserva del dollaro? Io sostengo da tempo che lo status
di valuta di riserva è un fenomeno sopravvalutato: in realtà non rappresenta un beneficio significativo per il
Paese che la emette, anche senza tener conto delle questioni occupazionali. Ma secondo me conta poco
anche quando si tratta di cercare di capire le ragioni del persistere dei disavanzi commerciali. Dopo tutto non
siamo l'unico Paese a coltivare da tempo un disavanzo con l'estero.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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LA FED, I TASSI E IL DOLLARO
12/10/2014
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Abbiamo alcune caratteristiche che fanno sì che l'eccesso di risparmio a livello globale prenda la via degli
Stati Uniti: un mercato finanziario grande e capillare (con un gran numero di operatori disposti a creare titoli
apparentemente sicuri), la sensazione generale che l'America sia il rifugio di ultima istanza e così via. Ma la
Gran Bretagna offre più o meno le stesse cose, e infatti anche lei ha una situazione persistente di afflussi di
capitali e disavanzi comparabile alla nostra, mentre l'Australia ha da moltissimo tempo un fortissimo
disavanzo con l'estero.
Dal punto di vista della politica economica, tutto questo a mio parere ha poca importanza: la cosa che
dovremmo cercare di fare è avere un dollaro più debole. Ma non credo che guardare al problema attraverso
la lente dello status di valuta di riserva del dollaro sia utile.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Il mercato aspetta tagli di produzione
Sissi Bellomo
Sissi Bellomo u pagina 6
Ormai è una sfida a braccio di ferro. Per fermare la caduta dei prezzi del petrolio, prima o poi qualcuno dovrà
cedere: se non sarà l'Opec a tagliare la produzione, toccherà a qualcun altro fermare le trivelle. L'alternativa a giudicare dalle condizioni del mercato - è un'ulteriore discesa senza freni delle quotazioni, che dopo essere
scese fino a 88,11 dollari al barile nel caso del Brent, il minimo da quattro anni, rischiano ora di rotolare
addirittura sotto 70 dollari.
Gli enormi investimenti dello scorso decennio, stimolati dalla corsa dei prezzi fino a un record storico di 147
$/barile nel 2008, stanno dando i loro frutti proprio in un momento in cui la domanda di petrolio sta
rallentando, in parte per motivi congiunturali legati alla debolezza dell'economia, ma in parte anche per motivi
strutturali, come la maggiore efficienza energetica o la diffusione di modelli di sviluppo meno "energy
intensive" rispetto a come era stata la rivoluzione industriale in Occidente.
Anche gli speculatori sembrano ormai guardare al petrolio - e più in generale alle materie prime - con occhi
diversi: il boom di offerta non riguarda solo il greggio, ma anche il carbone, il minerale di ferro, molti metalli e
persino i cereali. I principali indici di commodities, in calo per il quarto anno consecutivo, sono tornati ai livelli
del 2009, in piena recessione globale. A rendere meno attraente il comparto ci si sono messi anche il rally del
dollaro e la fine del rischio inflazione (oggi si teme anzi la deflazione). Tra Dodd-Frank e altre riforme, infine,
l'ambiente regolatorio si è fatto molto più difficile e molte delle grandi banche che un tempo dominavano il
settore - come Morgan Stanley, Jp Morgan o le europee Barclays e Deutsche Bank - ora stanno
ridimensionando il loro coinvolgimento.
Persino Andy Hall di Astenbeck Capital Management, stella degli hedge funds, celebre per l'orientamento
super-rialzista sul petrolio, si è piegato all'evidenza: «Nel breve periodo - ha scritto il 1° ottobre in una lettera
agli investitori - l'outlook per le quotazioni a pronti del petrolio non è particolarmente incoraggiante,
nonostante le continue tensioni geopolitiche. Anche se l'economia globale dovesse tornare alla crescita
tendenziale nel 2015, la crescita della domanda petrolifera faticherebbe a tenere il passo con l'incremento
atteso dell'offerta».
Persino sotto il profilo dell'analisi tecnica non sembrano esserci speranze di riscossa per il petrolio. I numeri
di Fibonacci suggeriscono che il Brent sia vicino al tracollo: «Se chiuderà la settimana sotto 88,49 $ si tratta
di un indicatore molto ribassista», avverte Jay Bishen di CitiFx (Citigroup), secondo cui la prossima "fermata"
potrebbe essere intorno a 68 $/bbl. Il Wti sarebbe addirittura «tecnicamente nella tomba» per Oliver Sloup di
iiTrader, convinto che ora si punti dritto a 76 $ (la chiusura di venerdì è stata a 85,82 $/bbl).
Nell'Opec sta comprensibilmente crescendo il nervosismo: il Venezuela ha appena chiesto formalmente
all'Organizzazione di convocare un vertice straordinario, in anticipo rispetto al meeting programmato per il 27
novembre. Ma i grandi produttori del Cartello più che a sostenere le quotazioni del greggio sembrano
impegnati a difendere con le unghie e coi denti le proprie quote di mercato, sempre più insidiate in un'epoca
di sovrabbondanza di petrolio: dopo l'Arabia Saudita anche l'Iran ha tagliato i prezzi di listino per l'Asia ai
minimi dal 2008 ed è probabile che Iraq e Kuwait li seguiranno a ruota.
Se come sembra l'Opec è ormai andata alla guerra dei prezzi, un'inversione di rotta sul mercato potrebbe
arrivare solo dalle compagnie petrolifere private. Ma gli operatori nello shale oil americano, società mediopiccole, spesso fortemente indebitate, potrebbero essere lenti a reagire: i più virtuosi hanno ormai costi di
produzione intorno a 60 $/barile, tutti gli altri si sono probabilmente coperti dal rischio di cadute di prezzo con
operazioni di hedging. Oppure, più banalmente, non possono a rinunciare a cuor leggero ai flussi di cassa
generati dalle loro operazioni.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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PREZZI AI MINIMI
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Quanto alle major petrolifere, i loro bilanci stanno già soffrendo e soffriranno sempre di più se il petrolio non
risale a 100 dollari e oltre. Ma la loro macchina è la più difficile da fermare, considerate le dimensioni ingenti,
il forte indebitamento e le pretese degli azionisti, abituati a generosi dividendi.
@SissiBellomo
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12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Nel mondo c'è troppo «oro nero»
Leonardo Maugeri
In uno studio pubblicato per Harvard nel 2012 avevo segnalato che la capacità produttiva mondiale di petrolio
stava crescendo a ritmi troppo sostenuti rispetto alla domanda, prevedendo che questo avrebbe determinato
una caduta dei prezzi a partire dal 2015.
Leonardo Maugeri
Il 24 dicembre del 2013, in un articolo per il Sole 24 Ore, avevo ribadito questa previsione, indicando che la
prima fase critica per i prezzi si sarebbe potuta verificare nella seconda metà di quest'anno. Tutto questo si
sta puntualmente verificando, sebbene a lungo le mie osservazioni sulla crescita produttiva siano state
considerate troppo ottimistiche dalla stragrande maggioranza degli analisti del settore e dalla stessa industria
petrolifera, che ipotizzavano scenari di segno opposto. Eppure la realtà era e rimane chiara.
Dopo un ciclo di robusti investimenti nell'esplorazione e sviluppo di petrolio e gas cominciato nel 2003, dal
2010 ha preso corpo un superciclo di investimenti che, in quattro anni, ha comportato una spesa di oltre
2.500 miliardi di dollari nel solo settore "upstream" degli idrocarburi: un record storico assoluto per il settore,
pur a fronte di un'inflazione specifica che ha più che raddoppiato i costi in quasi un decennio. Gran parte delle
iniezioni di capitale ha prodotto o produrrà risultati con un notevole ritardo temporale, poiché nell'industria
petrolifera occorrono anni prima di portare in produzione un giacimento. Il risultato di questa discrasia
temporale è che le nuove produzioni arrivano (e continueranno a arrivare) sul mercato mentre la domanda di
petrolio langue a causa di prospettive economiche mondiali ancora insoddisfacenti, se non negative. Altri
fattori aggravano la situazione.
Grazie soprattutto alla rivoluzione delle produzioni da giacimenti shale e tight (formazioni rocciose di scisti o
con caratteristiche di bassissima porosità), gli Stati Uniti producono oltre 4 milioni di barili al giorno (mbg) in
più di petrolio rispetto al 2006 e ormai insidiano la Russia e l'Arabia Saudita come primi produttori mondiali di
oro nero. Su questo tema è necessario fare chiarezza: l'Arabia Saudita rimane il primo paese al mondo per
capacità produttiva di petrolio, con circa 12,5 milioni di barili al giorno. Tuttavia, per evitare di inondare il
mondo di greggio, il Regno mantiene una "spare capacity", ossia una capacità non utilizzata, di circa 3 mbg.
La sua produzione effettiva, pertanto, risulta inferiore a quella della Russia (10,6 mbg) e equivalente a quella
degli Stati Uniti (9,5 mbg). Questi ultimi, tuttavia, producono oltre 1 mbg di biocarburanti, che le statistiche
delle principali agenzie inglobano nelle produzioni di petrolio (insieme ai gas di petrolio liquefatti):
aggiungendo queste ultime componenti e considerando che gli Usa producono tutto ciò che possono, nelle
ultime settimane l'America ha effettivamente conquistato - per alcuni giorni almeno - il primato mondiale nella
classifica "allargata" della produzione di petrolio. Non solo. Rispetto al picco dei loro consumi, nel 2007, gli
Usa consumano 2 mbg in meno di petrolio, soprattutto a causa di nuove leggi sull'efficienza energetica e di
mutamenti strutturali nel comportamento dei consumatori. Tra maggiori produzioni e minori consumi, quindi, il
paese chiede al mondo oltre 5 mbg di petrolio in meno rispetto a pochi anni fa (in parte esporta molti più
prodotti petroliferi) e in questo modo colpisce gli interessi di molti grandi e medi produttori di petrolio, un
tempo grandi esportatori verso gli Usa, oggi costretti a cercare altri sbocchi per il loro greggio in una
situazione di eccesso di offerta. Questa spiega, per esempio, la riduzione dei prezzi operata qualche giorno
fa dall'Arabia Saudita, nel tentativo di aumentare le sue quote di mercato soprattutto in Asia.
Il fatto è che i massicci investimenti degli ultimi anni hanno rivitalizzato le produzioni di petrolio non solo degli
Usa, ma di gran parte dei paesi del mondo, in molti casi allungando la vita produttiva di giacimenti ritenuti in
declino, in altri - complici gli alti prezzi del petrolio - rendendo possibili produzioni un tempo non economiche.
E una volta realizzati gli investimenti, i costi operativi relativamente bassi (e l'esigenza di recuperare cassa)
consentono di produrre anche se i prezzi scendono.
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FOCUS PETROLIO
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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L'effetto finale di questo quadro è che la capacità produttiva mondiale di petrolio è cresciuta e continua a
crescere a ritmi troppo sostenuti: ormai ha superato i 100 mbg (inclusi biocarburanti e liquidi assimilati al
petrolio) mentre la domanda oscilla sui 92-93 mbg. La produzione effettiva di oro nero ha superato negli ultimi
mesi i 95 mbg, comportando la creazione di circa 2 mbg di scorte e lasciando oltre 5 mbg di "spare capacity".
Solo l'Arabia Saudita mantiene volontariamente capacità non utilizzata; altri paesi non producono tutto quello
che potrebbero per instabilità politica (Libia e Nigeria, ma anche Iraq, Sudan e altri) o sanzioni internazionali
(Iran). Se il loro greggio fosse disponibile per il mercato, i prezzi del petrolio sarebbero già crollati da tempo.
L'ultimo elemento che concorre a dipingere un quadro fosco per i produttori di petrolio - siano essi paesi o
compagnie petrolifere - è il rafforzamento del dollaro, che aumenta il potere d'acquisto dei produttori e
allontana investimenti finanziari dai future sul greggio, trasmettendo così un forte impulso al ribasso dei prezzi
della materia prima.
Di fronte a tutto questo, le tensioni geopolitiche esplosive che attraversano il Medio Oriente o i confini della
Russia non bastano più a sostenere i prezzi del greggio: lo hanno fatto a lungo, ma adesso solo qualche
nuova crisi geopolitica di grandi dimensioni - come un attacco fondamentalista a un grande produttore di
greggio o l'effettivo blocco di buona parte delle esportazioni russe - potrebbe avere questo effetto.
Leonardo [email protected]
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Foto: L'andamento del petrolio (in dollari al barile) e materie prime (secondo il Bloomberg Commodity Index,
ex Ubs-Dow Jones) dal 2004 a oggi
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Negli ultimi mesi operazioni in crescita
Luca Orlando
Luca Orlando u pagina 9
Trecentoquarantasei miliardi nel 2008, 68 in meno oggi. La caduta degli investimenti in Italia è allo stesso
tempo effetto e causa dell'avvitamento al ribasso della nostra economia, con le imprese sempre più caute nel
programmare iniezioni di nuovo capitale ed attrezzature per effetto della riduzione della domanda. Domanda
che a sua volta si indebolisce per la frenata degli investimenti: che in sintesi significa meno macchinari, meno
robot, meno capannoni, meno laboratori. E un sistema produttivo sempre più obsoleto. Dopo anni di apnea
pare tuttavia inevitabile che il ciclo di investimenti debba ripartire e qualche segnale in questo senso per la
verità sembra arrivare. Analizzando le ultime operazioni annunciate dalle aziende (elenco certamente non
esaustivo) si scopre per fortuna che da un lato la voglia di puntare sul futuro ancora non è esaurita, dall'altro
che l'Italia, pur con tutti i suoi limiti, resta capace di attrarre risorse anche dall'estero. L'operazione di Saint
Gobain si aggiunge ad altre iniziative grandi e piccole sviluppate nelle ultime settimane da numerose
multinazionali. Bat e Philip Morris rappresentano per dimensioni le operazioni principali, per fortuna non le
uniche. Akzo Nobel ad esempio sceglie Como per concentrare la ricerca europea sulle vernici in polvere
mentre Marazzi convince i "padroni" Usa di Mohawk a puntare oltre 20 milioni di euro sulle piastrelle made in
Italy. L'operatività piena della legge Sabatini-bis che offre finanziamenti agevolati sui macchinari e il più
recente varo del credito d'imposta del 15% per l'acquisto di beni strumentali offrono una sponda aggiuntiva
anche agli imprenditori italiani, che in alcuni casi proprio nelle ultime settimane annunciano operazioni
interessanti. Da Rubinetterie Bresciane a Comerio Ercole, da Marchesini a Landi Renzo, per finire con Uteco,
si moltiplicano gli annunci di ammodernamenti produttivi e di inserimento di nuovi macchinari. In tutti questi
casi, e non pare una coincidenza, si tratta di aziende mediamente strutturate, con uffici tecnici robusti e una
solida attività di ricerca, in grado di sviluppare ben oltre la metà del proprio giro d'affari oltreconfine, in
qualche caso arrivando al 95% di export. Se questa Italia investe, se loro ci credono ancora, c'è una chance
in più per tutti noi.
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L'ANALISI
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Sconti fiscali, taglio da 1,2 miliardi
Nel mirino incentivi ad agricoltura, autotrasporto, editoria - Cuneo, riprende quota l'ipotesi Irap LOTTA
ALL'EVASIONE Si punta su un nuovo sistema di ravvedimento operoso che potrà essere utilizzato fino al
termine di prescrizione dell'accertamento
Marco Mobili Marco Rogari
ROMA
Dal taglio delle tax expenditures si punta a recuperare una dote di almeno 1-1,2 miliardi. E senza andare a
incidere sui redditi delle famiglie. Sul taglio del costo del lavoro si attende la scelta politica del premier e del
ministro dell'Economia, ma intanto sembrerebbe perdere quota l'ipotesi di un taglio dei contributi sociali a
tutto vantaggio di un nuovo e più inciso taglio dell'Irap. Che, risorse permettendo, potrebbe spingersi ben oltre
il 10% già tagliato a maggio con il decreto Irpef, arrivando come sperano le imprese alla completa
cancellazione della componente lavoro dall'imponibile Irap.
A bilanciare le poste del dare e avere per le attività produttive è già pronto un taglio delle agevolazioni e degli
incentivi fiscalioggi erogati all'intero sistema produttivo. Da una riduzione dei crediti d'imposta si punterebbe a
recuperare non meno di 500 milioni. Un'altra quota importante, come detto, dovrebbe arrivare dal riordino
delle tax expenditures. Tra le principali voci destinate a subire una sforbiciata se non addirittura una totale
cancellazione ci sarebbero le accise agevolate in agricoltura così come per l'autotrasporto delle persone. Nel
mirino anche i distributori di carburanti e una lunga serie di erogazioni liberali che, comunque, pesano poco in
termini di erosione del gettito. Sul fronte Iva appare accantonata l'ipotesi di rivedere i panieri di beni e servizi
cui si applicano le aliquote agevolate (4 e 10%) mentre sembrerebbe entrare nel taglio delle agevolazioni
anche l'Iva agevolata pagata dagli editori sulle rese.
Anche questa volta sembra tornare nel cassetto l'ipotesi di una rimodulazione delle tax expenditures in base
al reddito dei contribuenti: ridurre agevolazioni, detrazioni o deduzioni, pur se in funzione della capacità
contributiva dei cittadini, rappresenterebbe comunque un aumento della pressione fiscale che al contrario il
Governo Renzi punta a ridurre.
In questa direzione va il rifinanziamento del bonus Irpef di 80 euro per dipendenti e pensionati che potrebbe
aumentare solo per le famiglie numerose con una rimodulazione della curva Irpef tra i 25mila e i 26mila euro
di reddito oltre il quale il beneficio si interrompe.
La partita delle maggiori entrate nella legge di stabilità punta anche sulla lotta all'evasione e in particolare
alle frodi Iva. In questo senso si attende il via libera della Ue per ampliare il meccanismo del reverse charge
Iva ad altri servizi per le imprese. Oltre a quello delle costruzioni, il meccanismo dell'inversione contabile che
consente di ridurre i passaggi nella rivalsa dell'Iva e dunque di comprimere gli spazi per possibili frodi fiscali,
potrebbe essere applicato ai servizi di pulizia e a quelli mensa per le imprese.
Un meccanismo simile al reverse charge, tagliato su misura per la pubblica amministrazione, potrebbe
portare la Pa a versare l'Iva direttamente all'Erario e non più ai fornitori.
Il piatto forte, salvo ripensamenti dell'ultima ora, resta comunque il cambio di metodo nella lotta all'evasione.
Non più controlli ex post ai potenziali evasori ma controlli ex ante di comune accordo con i contribuenti. In
sostanza cittadini e imprese prima dell'adempimento fiscale, versamento di tributi o presentazione della
dichiarazione, potranno dialogare tra loro. Il fisco metterebbe a disposizione tutti i dati di cui è in possesso e
con una sorta di invito amichevole punta a spingere l'adempimento spontaneo e dunque l'emersione di
maggiori basi imponibili. L'incrocio dei dati e in particolare quelli dell'elenco clienti fornitori saranno un sicuro
punto di partenza. Ad accompagnare il nuovo modello di lotta all'evasione ci sarà un nuovo ravvedimento
operoso che, con la sua versione più lunga (pagamento di un sesto del minimo della sanzione) potrà essere
utilizzato fino al termine di prescrizione dell'accertamento (si veda Il sole 24 Ore di ieri).
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Legge di stabilità LE MISURE IN ARRIVO
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Il dossier fiscale
TAX EXPENDITURES
Recuperare 1-1,2 miliardi
Dal taglio delle tax expenditures si punta a recuperare almeno 1-1,2 miliardi. Sotto la lente le accise
agevolate in agricoltura così come per l'autotrasporto delle persone. Nel mirino i distributori di carburanti e
una serie di erogazioni liberali che, comunque, pesano poco in termini di erosione del gettito.
TASSE SULLE IMPRESE
Taglio dei contributi sociali
Perde quota la probabilità di un taglio dei contributi sociali per i datori di lavoro a favore invece di una nuova
riduzione Irap che potrebbe spingersi anche oltre il 10% già varato a maggio. Arrivando come sperano le
imprese alla completa cancellazione della componente lavoro dall'imponibile Irap.
BONUS 80 EURO
Sì alle famiglie numerose
Sulla delicata tematica delle tasse sulle persone fisiche, il rifinanziamento del bonus Irpef di 80 euro per
dipendenti e pensionati potrebbe aumentare solo per le famiglie numerose con una rimodulazione della curva
Irpef tra i 25mila e i 26mila euro di reddito oltre il quale il beneficio si interrompe.
RAVVEDIMENTO
Opportunità più ampie
Il ravvedimento operoso, con cui il contribuente può spontaneamente regolarizzare errori o illeciti fiscali, avrà
diverse versioni che partono dal versamento di un decimo del minimo delle sanzioni se si paga nei 30 giorni
successivi alla violazione, a quello con un sesto del minimo se viene effettuato oltre il termine di
presentazione della dichiarazione
REVERSE CHARGE/1
Ampliamento dei settori
Sul fronte Iva, resta aperta la possibilità di ampliare la deroga all'uso del reverse charge nel contrasto alle
frodi. Oltre alle costruzioni, potrebbero utilizzare lo strumento anche altri settori, come imprese di pulizia e
servizi mensa, particolarmente esposti a operazioni di frode o evasione
REVERSE CHARGE/2
Opzione anche per la Pa
Allo studio di Palazzo Chigi, sempre nel capitolo antievasione, anche la possibilità di consentire pure alle
pubbliche amministrazioni di versare l'Iva direttamente allo Stato e non più ai fornitori. Questa sorta di reverse
charge per la Pa potrebbe garantire un recupero di circa 500 milioni di sola Iva non versata
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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Padoan: recessione stimolo alle riforme
Visco: tassi bassi a lungo, rischi limitati di bolle. «Non c'è fuga di capitali» IL TITOLARE DEL TESORO «La
sostenibilità del debito italiano è fuori discussione. La riforma del lavoro ha raccolto grandi consensi: è un
segno di cambiamento»
Rossella Bocciarelli
WASHINGTON. Dal nostro inviato
«L'Italia dimostra che si possono fare riforme in un periodo di recessione e che la recessione è uno stimolo a
fare le riforme». Così il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan nella conferenza stampa tenuta con il
governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, riassume quel che ha spiegato durante gli incontri annuali del
Fondo monetario. Padoan torna a sottolineare che la riforma del mercato del lavoro «ha suscitato un grande
consenso ed è stata accolta come un segno di grande cambiamento e della volontà del governo italiano di
andare avanti». E a chi gli chiede quali devono essere i prossimi passi risponde di getto: «Ci sono molti altri
terreni su cui è necessario fare le riforme. La prima che mi viene in mente è quella della scuola».
Anche il governatore riconosce che la riforma del mercato del lavoro ha permesso il superamento di «una
certa rigidità» contenuta nella legge Fornero, anche se «ora non dobbiamo correre il rischio opposto». Per
questo, secondo Visco «è importante l'introduzione di politiche attive che favoriscano raccordo tra domanda e
offerta del lavoro. E c'è la necessità di un nuovo sistema di sicurezza per chi perde il posto di lavoro, in un
contesto di forte transizione come quello attuale. Mi pare - rimarca - che questo sia parte della riforma».
A tre giorni dalla presentazione della legge di stabilità, il ministro Padoan è estremamente parco nel
commentare quella che, nelle quarantotto ore trascorse a Washington, è stata una parte importante delle sue
conversazioni con i colleghi della Ue, che all'Italia hanno chiesto di riconsiderare la scelta di ridurre il saldo
strutturale del 2015 del solo 0,1 per cento. E a chi domanda se di qui a mercoledì vedremo modifiche in
senso restrittivo nell'intervento di bilancio, si limita a rispondere che «la manovra è in corso di affinamento per
la messa a punto delle misure specifiche. È in corso una discussione sulla legge di stabilità - aggiunge - e in
queste ore sono in costante contatto col presidente del consiglio Matteo Renzi per definire i dettagli della
composizione della manovra». Altrettanto sfumata è la risposta sul progetto di anticipo di parte del Tfr in
busta paga: «Ci sono molte ipotesi, ancora non è stato definito il quadro finale». Su una cosa, invece, il
ministro è molto netto: «Nonostante le condizioni esterne non favorevoli, la sostenibilità del debito italiano è
fuori discussione». «L'Italia - spiega Padoan, - è più vulnerabile perché ha un debito più alto di altri Paesi, ma
anche la sostenibilità del debito è fra le più alte, anche grazie a misure prese in passato, come ad esempio la
riforma delle pensioni. La dinamica del debito - ha aggiunto - è sotto osservazione, ma anche sotto controllo,
come dimostrano i bassi tassi d'interesse che riflettono la fiducia del mercato e la politica fiscale che, soli con
la Germania, ha prodotto surplus primari continui negli ultimi anni e che sarebbe ancora più efficace se la
crescita nominale fosse più elevata». Dello stesso avviso il Governatore della Banca d'Italia, che tiene a
precisare come negli ultimi mesi non si sia verificata alcuna fuga di capitali dall'Italia. Secondo il governatore,
la «riduzione» dei fondi domestici registrata negli ultimi mesi «è legata a motivi tecnici e a due fenomeni in
particolare. Innanzitutto, è venuto a scadenza un consistente pacchetto di titoli in mano a non residenti che
non è stato coperto da nuove emissioni del Tesoro, per un valore di circa 20 miliardi di euro. Inoltre, c'è stato
il Tltro che ha comportato un aumento della liquidità attinta dalla Bce e non dal mercato interbancario estero.
E anche questo ha un valore di una ventina di miliardi. A ottobre - ha sottolineato - il fenomeno è in risalita».
A chi ricorda che la numero uno dell'Fmi Christine Lagarde ha sottolineato che in giro per il mondo ci sono in
questo momento di rischi di nuove bolle speculative, il governatore risponde in modo rassicurante: «Non sono
nell'eurozona e non sono rischi generalizzati: vanno affrontati con strumenti specifici. Quanto ai tassi conclude - resteranno bassi per molto tempo, anche se ciò non rappresenta una soluzione permanente».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La lunga crisi LE RIUNIONI DI WASHINGTON
12/10/2014
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Investimenti a confronto Fonte: elaborazione su dati Ocse Germania 1,55 Francia 3,16 Italia 1,86 Giappone
3,13 Spagna 1,71 Gran Bretagna 2,24 Stati Uniti 3,61 Investimenti lordi del complesso delle Pa. Dati 2012. In
% del Pil
Foto: I tre volti della politica economica. Il tema della crescita, nel senso della ripresa ciclica ma anche della
crescita potenziale, è stata al centro delle discussioni dei lavori autunnali del Fondo monetario internazionale.
Il presidente della Bce Mario Draghi ha ripetuto che la politica monetaria è pronta a fare nuovi passi, se
necessario, e tutti nel senso dell'espansione del bilancio dell'Eurotower, ma ha anche ribadito la necessità
delle riforme strutturali. Di politica delle riforme ha parlato anche il ministro italiano dell'Economia Pier Carlo
Padoan, che le ha collegate alle politiche di bilancio, in modo che tutto sia in funzione della crescita; e ha
fatto l'esempio del taglio del cuneo fiscale. Tra le riforme più urgenti, Padoan ha indicato quella della scuola,
mentre il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha ricordato la necessità di politiche attive sul lavoro
per rendere più sicuro chi perde il posto.
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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«I freni alla crescita si attenueranno»
SEGNALI DI APERTURA Il tedesco Schaüble: «Siamo partner responsabili, più investimenti pubblici saranno
la reazione di Berlino al rallentamento»
Alessandro Merli
WASHINGTON. Dal nostro inviato
Il freno alla crescita dell'eurozona dall'aggiustamento dei conti pubblici si ridurrà nei prossimi mesi e i venti
contrari si attenueranno, secondo il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Il comitato dei
ministri che governa il Fondo monetario ha sostenuto nel comunicato finale che la ripresa resta «incerta»
nell'area dell'euro. Le autorità tedesche, sollecitate più volte da Draghi, dallo stesso Fmi e da altri a un'azione
di stimolo fiscale, hanno offerto una limitatissima apertura.
«Non ci siamo sentiti sotto pressione agli incontri di Washington - ha detto il ministro delle Finanze, Wolfgang
Schäuble - ma i nostri colleghi sanno che la Germania è un partner responsabile. Rispettiamo le regole e ci
siamo quando c'è bisogno, come è avvenuto quando l'area dell'euro era in difficoltà». La reazione di Berlino
al rallentamento dell'economia tedesca sarà «un impegno maggiore, più investimenti pubblici, che abbiamo
già in bilancio, e privati. Daremo priorità agli investimenti in ricerca e innovazione». Schäuble ha ricordato che
in un incontro con gli alleati socialdemocratici nella coalizione di Governo, c'è stato pieno accordo su questo
punto. Il ministro ha sostenuto che il taglio alle previsioni di crescita dell'economia tedesca, da parte dell'Fmi,
ma anche dei grandi istituti di ricerca economica in Germania, per quest'anno e il prossimo, era atteso. «Le
ragioni - ha spiegato - sono le sanzioni alla Russia, cui la Germania è particolarmente esposta, altri rischi
geopolitici, come il Medio oriente ed Ebola, il rallentamento dell'area dell'euro, destinazione della maggior
parte dell'export tedesco e un calo della fiducia degli operatori economici dall'estate».
Il comitato monetario e finanziario dell'Fmi assicura che i Governi prenderanno misure «coraggiose e
ambiziose» per rilanciare la crescita e fare le riforme strutturali necessarie a una ripresa globale che è
«diseguale e più debole del previsto e nella quale i rischi al ribasso sono aumentati» ". Molti Paesi, sostieme
il comunicato, sono di fronte alla prospettiva di crescita bassa o in rallentamento, con la disoccupazione che
resta a livelli inaccettabili. L'aumento degli investimenti in infrastrutture è stato un tema ricorrente delle
riunioni di questi giorni. I ministri finanziari del G-20 porteranno al vertice di Brisbane di novembre un piano
d'azione di oltre 900 misure, comprese le riforme strutturali, per spingere la crescita di un 1,8-2%. La Banca
mondiale ha varato questa settimana un nuovo sportello per il finanziamento delle infrastrutture.
Draghi ha citato, fra i possibili rischi per l'economia mondiale, anche le conseguenze della normalizzazione
della politica monetaria negli Stati Uniti e la maggior assunzione di rischi nel settore finanziario. Secondo il
presidente della Bce, tuttavia, non c'è il rischio di una bolla nel mercato dei titoli di Stato e ha ribadito che
l'Eurotower è pronta ad ulteriori misure, oltre a quelle adottate nei prossimi mesi, se la situazione lo
richiederà. Sulla possibilità dell'acquisto di titoli di Stato, sia Draghi sia il presidente della Bundesbank, Jens
Weidmann, hanno osservato che l'intera struttura dei tassi d'interesse è già oggi a livelli estremamente bassi.
Il presidente della Bce ha evitato invece di entrare nella controversia sulla proposta di bilancio della Francia,
che rinvia il rientro del deficit pubblico, notando che verrà esaminato in sede europea entro novembre.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Bce e Germania. Le conclusioni di Draghi
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
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Eataly, obiettivo un miliardo di euro
VERSO LA BORSA «Per la quotazione stiamo pensando a benefici economici per premiare chi scommette
su di noi»
Mara Monti
MILANO
Obiettivo un miliardo di euro di fatturato. Eataly la catena dell'eccellenza alimentare del Made in Italy ha un
target e una data il 2017. Nel frattempo prepara lo sbarco in Borsa, ma prima bisogna consolidare il gruppo
che quest'anno punta a un fatturato attorno ai 400 milioni di euro, accelerare le aperture dei negozi (l'ultimo a
Piacenza i prossimi San Paolo del Brasile, Mosca e New York2 al World Trade Center) e portare le vendite
all'estero al 70% del fatturato, quasi raddoppiarle dall'attuale 40%. In mezzo ci sono l'Expo a Milano dove
Eataly curerà la ristorazione con 20 ristoranti uno per ogni regione e 120 chef, e l'apertura di Fico il parco
alimentare che sorgerà alle porte di Bologna.
Oscar Farinetti fondatore e presidente di Eataly sta partendo per New York dove martedì 14 ottobre, il giorno
dopo la quotazione di Fca a Wall Street, lancerà insieme al sindaco di Milano Giuliano Pisapia, il commissario
per l'Expo Giuseppe Sala e il sindaco di New York, Bill De Blasio la vendita dei biglietti per l'Expo. La cornice
sarà la sede di Eataly sulla Quinta Strada, allestita per l'occasione con le guglie e gli affreschi del Duomo di
Milano fatti arrivare appositamente dal capoluogo lombardo. Poi il giorno successivo sarà ospite a Wall Street
per raccontare a trader e broker il case history di Eataly divenuto il terzo monumento più visitato di New York.
Farinetti, scusi, non è che sta pensando di quotarsi a Wall Steet?
Assolutamente no e poi noi ci chiamiamo Eataly, come potrei? L'idea della quotazione me l'ha data Andrea
Guerra ex Ceo di Luxottica, mi ha convinto che Eataly dovesse diventare una società pubblica. A metterla in
pratica ci sta pensando Giovanni Tamburi che lo scorso marzo ne ha rilevato il 20 per cento. La maggioranza
resta nelle mani della famiglia con il 60% e il restante 20% è di Luca Baffigo Filangeri, uno degli
amministratori insieme ai miei figli Francesco e Nicola. Le Coop, invece, hanno il 40% di Eataly Distribuzione
dove confluiscono tutti i negozi. Io mi sono ritagliato la carica di presidente.
Anche lei si mette nelle mani della finanza?
Guardi sto pensando a come premiare chi sceglierà Eataly per impiegare i propri risparmi. Nel senso che gli
azionisti della società dovranno godere di una serie di privilegi, di benefici economici importanti per avere
avuto il coraggio di scommettere su di noi, ci sto pensando perché vogliamo fare qualcosa di nuovo anche qui
Eataly è nata e cresciuta in piena crisi finanziaria. Un successo in controtendenza tra lusso e low cost...
Il primo store è stato aperto nel 2007 a Torino e siamo cresciuti proprio in questi anni difficili: oggi in giro per
il mondo ci sono 27 Eataly, la maggior parte di proprietà, altre in franchising e joint venture, dall'Europa agli
Usa, dal Giappone agli Emirati, alla Turchia. Eataly non è solo una catena di distribuzione: trasportiamo le
eccellenze del Made in Italy in un momento in cui i consumatori stanno maturando la coscienza
dell'importanza di sapere che cosa si mangia. Specialmente all'estero: l'Italia esporta nel settore
agroalimentare circa 33 miliardi di euro, ma la Francia e perfino la Germania fanno molto meglio di noi. C'è
ancora spazio per crescere, ma bisogna fare sistema anche in questo settore.
Intanto Eataly è diventata una macchina da soldi. Come pensate di mantenere questo ritmo di crescita?
Il ritmo delle nuove aperture è intenso, a volte dobbiamo fare i conti con ritardi burocratici, ma soltanto Eataly
di New York fattura 80 milioni di dollari con 800 dipendenti (dipendenti totali 1870, ndr), è il terzo monumento
più visitato. Per la nuova sede che andrà ad occupare parte dei 35 mila metri quadrati dell'area commerciale
del World Trade Center abbiamo avuto forti incentivi dagli investitori locali. Le prossime aperture saranno
Mosca, San Paolo, Seul in franchising con la Hundai. Non tutti gli immobili sono di proprietà, non sarebbe
possibile. In alcune zone del mondo prevale il franchising, in Europa sono state firmate joint venture a Londra
con Selfridges e a Parigi con La Fayette.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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INTERVISTA Oscar Farinetti Presidente
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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E per il futuro c'è qualche altro progetto?
Ogni dieci anni mi riprometto di cambiare, quindi sì ho già un progetto nel cassetto. Abbiamo il logo e il primo
store aprirà a Torino a fianco a Eataly. L'ho chiamato progetto Green Pea e vogliamo puntare sulla
sostenibilità: trasferire il senso del dovere a quello del piacere, di più non posso dire, se non che è un
progetto molto legato a Eataly. Senza Eataly non potrebbe esistere.
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Foto: Oscar Farinetti
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
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Nasce Fiat Chrysler Automobiles Domani il debutto a Wall Street
IL CONFRONTO Sul mercato Usa il gruppo avrà una capitalizzazione inferiore ai 10 miliardi contro gli oltre
40 miliardi delle rivali Ford e Gm
Andrea Malan
Fiat Chrysler Automobiles nasce oggi e debutta domani a Wall Street (e in parallelo alla Borsa di Milano). La
sigla Fca sostituirà dopo oltre un secolo la Fiat, e il cambio è tutt'altro che formale: l'acquisto del residuo
41,5% di Chrysler, nel mese di gennaio, ha spianato la strada alla creazione di una holding integrata, così
come integrate erano già le attività industriali dei due gruppi; Chrysler ha «sostituito» le attività nei trattori e
nei camion, scorporate in Cnh Industrial nel 2011; la fusione di Fiat spa in Fiat Investments Nv, che avverrà
oggi, aggiunge lo spostamento della sede sociale in Olanda e del domicilio fiscale a Londra.
Dopo i contatti con Ford negli anni 80 e l'alleanza durata 5 anni con General Motors, le nozze con Chrysler
cementano ora un rapporto più che secolare tra Fiat e gli Stati Uniti (la prima produzione di auto Fiat negli
Usa risale al 1908). John Elkann e Sergio Marchionne, presidente e amministratore delegato, suoneranno
domani la campanella di chiusura a Wall Street (quella di apertura è riservata alle Ipo, le offerte iniziali di
titoli); il fatto che proprio domani si festeggi il Columbus Day, anniversario della «scoperta dell'America» da
parte di Cristoforo Colombo, aggiunge sapore all'evento per un italo-canadese come Marchionne, arrivato in
America da ragazzino con la famiglia e tornato trionfalmente nel 2009 quando il presidente Usa Barack
Obama gli ha affidato la Chrysler. Anche per Elkann, nato proprio a New York 38 anni fa, si tratta in fondo di
un ritorno a casa.
La Fca che debutta domani a New York è un'entità (un «animale», direbbe Marchionne) completamente
diversa. La holding controlla da un lato il 100% di Fiat Group Automobiles, dall'altro il 100% di Chrysler Group
Llc (tramite Fiat North America). Nelle attività automobilistiche di Fca è inclusa anche la Ferrari, di cui Fca ha
il 90 per cento; proprio della Ferrari - che ieri ha festeggiato i 60 anni sul mercato americano - si è parlato
come possibile asset da valorizzare. Non è un caso che proprio oggi Marchionne aggiunge la presidenza del
Cavallino alle sue numerose cariche: sarà lui a guidare l'azienda verso il nuovo ruolo i cui contorni non sono
ancora definiti.
Più in generale, la giornata di domani segna di fatto la fine del processo di integrazione (anche se la liquidità
generata da Chrysler non può ancora essere liberamente utilizzata da Fca) e apre una nuova fase, in cui il
gruppo dovrà rafforzare la struttura patrimoniale per finanziare l'ambizioso piano di investimenti 2014-2018. A
fine mese il primo consiglio d'amministrazione di Fca dovrà decidere se e in che forma ricapitalizzare (resta
sul tavolo anche l'opzione di un prestito convertendo); visto anche il recente calo delle quotazioni,
Marchionne potrebbe però decidere di temporeggiare.
L'obiettivo dichiarato del top manager con la quotazione a New York è di rendere il titolo Fca (che ha attività
prevalentemente in Nordamerica) più appetibile per gli investitori Usa. A questo fine il manager e il suo
direttore finanziario (Cfo) Richard Palmer terranno a novembre un road show americano; ad aumentare la
liquidità dovrebbe contribuire la cessione negli Usa di un pacchetto di azioni Fca equivalente alla somma
delle azioni proprie in portafoglio e di quelle riacquistate dai soci che hanno esercitato il recesso.
Vista da Wall Street, Fca è un nano borsistico rispetto alle concorrenti General Motors e Ford, con una
capitalizzazione di meno di 10 miliardi di euro contro gli oltre 40 delle due rivali; la sproporzione rimane anche
nel confronto con gli altri big del settore auto: Bmw capitalizza oltre 50 miliardi, Daimler oltre 60, Volkswagen
oltre 70. Gli unici gruppi di dimensioni comparabili sono le due francesi Peugeot (meno di 8 miliardi) e
Renault (circa 16). La ridotta capitalizzazione è un ostacolo per la raccolta di nuovi fondi (a parità di aumento
di capitale, la diluizione dei vecchi soci è maggiore) e lo sarebbe in caso di fusioni come quelle cui ha
accennato Marchionne nell'intervista di questa settimana. Da questo punto di vista, Fca potrebbe presentarsi
alla pari solo con Peugeot, mentre finirebbe inevitabilmente nell'orbita di concorrenti più grandi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Auto. La sigla Fca prende il posto di Fiat: oggi si completa l'integrazione
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Foto: Fiat Chrysler Automobiles. Nasce oggi e debutta domani a Wall Street (e in parallelo alla Borsa di
Milano)
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
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Se «Job Italia» vuol dire cuneo fiscale
L'idea di ridurre la contribuzione è buona e andrebbe resa strutturale
Franco Debenedetti
Un lavoratore oggi prende in busta paga il 50% di quanto costa all'azienda. Che cosa succederebbe per le
casse dello Stato se, anche solo per i neoassunti, anche solo per la durata di 4 anni, il lavoratore, invece del
50% prendesse l'80 per cento? Luca Ricolfi non ha dubbi: con il "job-Italia" - questo il nome che ha dato alla
sua proposta - ci sarebbero almeno 300mila posti di lavoro in più. Diminuirebbero i contributi Inps e Inail, ma
aumenterebbero le tasse (Iva, Irpef, Irap, Ires) derivanti dal maggior valore aggiunto del lavoro creato da ogni
nuovo assunto, che altrimenti non ci sarebbe stato. E siccome il gettito delle tasse è 5 volte quello dei
contributi, a un certo punto il minor gettito dei contributi è più che compensato dal maggior gettito delle
imposte. Ricolfi calcola questo punto a 1,4, cioè quando gli assunti in più superano del 40% quelli che le
aziende comunque avrebbero assunto. Un'indagine sul campo lascia prevedere una riposta molto positiva
delle aziende, il rapporto arriverebbe addirittura a 2,6. Ma anche con un valore 2, sarebbero 600-800 mila
posti di lavoro (anzichè i 300 mila nuovi posti tradizionali) con 3 miliardi di gettito netto in più per lo Stato.
Ricolfi è mosso da preoccupazioni macroeconomiche, la difficoltà di rispettare i saldi di bilancio, la previsione
di un'occupazione che cresce appena di 20.000 unità in presenza di 3 milioni di disoccupati. Io propongo una
verifica microeconomica: perché un'azienda dovrebbe assumere questo 40% di dipendenti in più? Retribuire i
nuovi assunti più generosamente dei lavoratori con anni di anzianità aziendale creerebbe sicuramente
problemi interni. L'azienda assume solo se prevede di riuscire a vendere di più, perché i lavoratori assunti col
nuovo contratto abbassano il costo del lavoro: al limite, a parità di soldi in busta paga, e cioè se il beneficio
andasse tutto all'azienda, il risparmio sarebbe del 37,5%! Le "offerte speciali" rompono le abitudini, inducono
a prestare attenzione ai vantaggi specifici che il mercato può offrire. Se lo stimolo funziona nei supermercati,
perché non dovrebbe funzionare nel mercato del lavoro? In questo senso la proposta di Ricolfi è molto ben
congegnata: un grosso vantaggio, per un tempo sufficientemente lungo, condizionato a un solo fatto
semplice, assumere qualche lavoratore in più.
Tuttavia, con tutta la sua attrattiva, la proposta dovrebbe scavalcare diversi ostacoli per essere approvata.
Supponiamo superabili le difficoltà "normali" di compatibilità con i contratti nazionali. Supponiamo superabile
l'art 81 della Costituzione, che non dovrebbe consentire di compensare il taglio di un gettito con i maggiori
gettiti che produrrebbero gli effetti del taglio. Ma l'assunzione di personale in più oltre quello che si aveva
intenzione di assumere, è una formula talmente vaga da rendere improbabile il consenso parlamentare e
pressoché certa la bocciatura della Ragioneria.
Al supermercato come al mercato del lavoro, vien da chiedersi: perché l'offerta speciale non può diventare
normale? Se la proposta funziona, perché non generalizzarla? Qui succede il contrario: probabilmente
improponibile nel caso ristretto, il "contratto Ricolfi" sarebbe invece sicuramente applicabile nel caso
generalizzato. È da sempre che si parla di riduzione del cuneo fiscale; il successo che, secondo il sondaggio,
incontrerebbe la proposta, dimostra che la nostra disoccupazione è dovuta a un costo del lavoro troppo alto;
non solo, ed è cosa su cui si farebbe bene a ragionare, dà la misura di quanto dovrebbe essere ridotto il
costo del lavoratore marginale rispetto all'attuale perché le aziende aumentino le assunzioni. Estrapolato a
tutta la nostra industria manifatturiera, perfino di un terzo. Per carità, nulla a che vedere con la deflazione del
30%, che alcuni (Hans Werner Sinn nel suo ultimo libro, per dirne uno) freddamente ci predicono e
severamente ci predicano. Resta però il problema di trovare non già la copertura per un esperimento, ma la
soluzione sistemica al taglio del cuneo fiscale. E questa non può trovarsi altro nel taglio delle spese. D'altra
parte è proprio da lì che parte la riflessione di Ricolfi: «Renzi dichiara - così inizia il suo articolo - che nel 2015
i tagli alla spesa pubblica non saranno solo di 17 bensì di 20 miliardi; nelle scartoffie, invece, la spesa
pubblica diminuisce di appena 4 miliardi». Come conta la capacità comunicativa di Renzi quando annuncia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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LA PROPOSTA RICOLFI-FONDAZIONE HUME
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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«una rivoluzione nel mercato del lavoro, per dare una speranza ai disoccupati e agli esclusi», così conta una
proposta come questa per dare uno scrollone a paure e pessimismi. Ma una scorciatoia non è una strada: la
soluzione sistemica alle tremende cifre della nostra disoccupazione passa inevitabilmente attraverso la
riduzione dei costi della nostra spesa pubblica.
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IL «JOB ITALIA»
Più lavoro a costo zero. La possibilità di creare posti di lavoro a costo zero per lo Stato. Sulle pagine del
quotidiano torinese la Stampa, l'editorialista Luca Ricolfi (nella foto) spiega come questa possibilità può
diventare realtà. Nella sua proposta, elaborata con la fondazione Hume, Ricolfi propone di abbattere per un
massimo di 4 anni il cuneo fiscale sulle nuove assunzioni dal 50% attuale al 20% con uno speciale contratto
full time nel quale il lavoratore riceve in busta paga l'80% del costo aziendale, mentre il restante 20% affluisce
allo Stato, sotto forma di Irpef e di contributi sociali».
Ecco come funziona il "nuovo job-Italia": 1) la busta paga è compresa fra 10 e 20 mila euro annui 2) il costo
aziendale aggiuntivo rispetto alla busta paga è del 25%, anziché del 100% attuale. La differenza tra costo
aziendale e busta paga verrebbe usata per pagare Irpef e parte dei contributi. Lo Stato aggiunge l'intera
contribuzione mancante, per garantire piene tutele al lavoratore.
Con il job-Italia si creerebbero secondo Ricolfi da 600mila a 800 mila nuovi posti di lavoro.
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
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Agganciare il finanziamento dell'Università al Pil
Stefano Paleari
Questa settimana l'Italia ha ospitato il Forum delle Università europee su come finanziare i sistemi educativi
superiori. Sono state raccolte le esperienze dei vari Paesi in particolare dopo la crisi economica e delle
finanze pubbliche degli ultimi anni. L'Europa si è divisa in due: chi ha visto l'Università come parte del
problema e chi come parte della soluzione. Chi ha ridotto i finanziamenti pubblici per effetto della crisi e chi
invece ha investito di più. Ma questa ormai è Storia. Purtroppo per l'Italia, che si è collocata in testa alla
classifica di chi ha tagliato i fondi, insieme a Spagna e Grecia. Ora occorre guardare oltre. Semplici le cose
che sono emerse.
In primo luogo il primato delle scelte politiche. Occorre riconoscere alla politica la responsabilità delle scelte
in materia di Università. Le Università risponderanno a quelle scelte per quanto è nelle loro possibilità e
volontà.
In secondo luogo, tutte le Università accettano un finanziamento pubblico legato alle performance e non a
pioggia. Vogliono essere misurate, dove la misura è il mezzo per realizzare il fine, sia esso della singola
Università sia del sistema come stabilito dal Governo.
In terzo luogo c'è la consapevolezza della sfide globale, non solo europea ormai. E quindi la spinta verso il
confronto e il miglioramento continuo.
Che fare dopo queste considerazioni. L'Italia quest'anno alloca oltre il 30% delle risorse su base competitiva.
Il prossimo anno il 50%, ampiamente sopra i livelli europei. Siamo in Europa sulla qualità dei finanziamenti,
fuori sulla quantità. Alla vigilia della presentazione della Legge di Stabilità serve una svolta, la stessa che
Matteo Renzi chiede al Paese. Ebbene il premier metta alla prova le Università italiane. Sottoscriva un
accordo per i prossimi 3 anni con due obiettivi:
a) agganci il finanziamento delle Università al Pil. Le Università scommettono insieme al Governo sul Paese
e sulla sua ripresa
b) lasci libere le Università di competere portando a termine la riforma verso i costi standard e la valutazione
delle performance
Serve coraggio. In passato le Università sono apparse alla politica chiuse e conservatrici. Oggi non siano i
decisori a mostrarsi tali. Serve anche fare presto. L'ultimo treno per una nuova Europa è partito. L'Italia e le
sue Università vogliono esserci come parte della soluzione e non del problema.
L'autore è presidente della Conferenza dei rettori
delle Università italiane
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La proposta al Governo
13/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Cinque aree di collaborazione
Rita Fatiguso
È la prima volta di Li Keqiang in Italia, a quattro anni dall'arrivo del predecessore Wen Jiabao, accolto a
Roma per le celebrazioni dell'anno della Cina in Italia.
Da domani, inizio della visita di Stato del premier, sarà l'economia a rubare la scena agli scambi culturali:
sono stati mesi tremendi per l'Europa e per l'Italia e l'arrivo di Li Keqiang è l'occasione buona per cercare di
riequilibrare i rapporti di forza tra i due Paesi.
Rita Fatiguso
Il premier cinese ricambia la visita del primo ministro Matteo Renzi a Pechino e approda in Italia, tra Roma e
Milano, dove parteciperà al decimo vertice tra Europa e Paesi asiatici, sull'abbrivio di rapporti bilaterali che,
negli ultimi mesi, si sono molto intensificati.
Visite, delegazioni, incontri bilaterali, diplomazie all'opera. Un lavorio coronato da un buon segnale che
proviene dall'economia, in particolare il dato dell'interscambio tra i due Paesi che registra una crescita a
doppia cifra, dell'11 per cento, da gennaio ad agosto, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Questa crescita è stata enfatizzata a Pechino nella conferenza stampa di presentazione del viaggio in
Europa di Li Keqiang, di cui l'Italia è una tappa, l'ultima, dopo Germania e Russia.
Alla Cina non piace l'idea di un mercato europeo indebolito, di qui la continua pressione sui Paesi europei
per creare tra di loro la competizione per attrarre investimenti. L'Italia non è stata a guardare, sapeva di
doversi rimettere in pista velocemente, anche per questo il viaggio di Li adesso è un'occasione per riuscire a
riequilibrare le forze in campo, dare impulso al business, perfezionare le regole del gioco correggendo le
anomalie reciproche.
Tra queste un interscambio che penalizza gravemente l'Italia. Non sarà facile ribaltare i numeri, lo
dimostrano i dati del deficit commerciale italiano, uno sbilancio da 13 miliardi che non si colma in pochi mesi,
ma è questa la principale asimmetria da correggere.
Ben tre visite di governo in pochi mesi su temi economici dall'inizio dell'anno, la creazione di un business
forum tra Italia e Cina e la firma di numerosi accordi di tra cui il memorandum d'intesa che il Ministero dello
Sviluppo Economico ha siglato con il Ministero del Commercio cinese nel quale si indicano esplicitamente i
settori particolarmente critici per lo sviluppo cinese nei prossimi anni e per i quali il sistema produttivo italiano
è in grado di fornire risposte.
Questo accordo ha rappresentato il momento clou di un percorso guidato soprattutto dall'ambasciata di
Pechino durante il 2013 e che ha portato un drappello di 130 imprenditori italiani e cinesi a incontrarsi lo
scorso mese di giugno presso l'Assemblea del Popolo a Pechino.
La lotta al disavanzo è diventata un mantra. La strategia proposta per il raggiungimento di questo obiettivo
ambizioso è stata semplice, ma anche complessa da gestire: concentrare gli sforzi in cinque ambiti nei quali
la Cina esprime ed esprimerà una domanda sostenuta di beni e tecnologie di alto livello a cui il sistema
produttivo italiano è in grado di offrire soluzioni: ambiente e energie rinnovabili, sanità e servizi sanitari,
agricoltura e sicurezza alimentare, urbanizzazione sostenibile, aviazione e aerospazio.
Tutte macroaree finite nel memorandum di intesa tra Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero del
Commercio cinese, con la sigla dei ministri Federica Guidi e Gao Hucheng in occasione della visita di Matteo
Renzi a Pechino.
Non solo, c'è stata l'aggiunta del Business forum, una piattaforma leggera gestita da Confindustria e Ice da
un lato e dall'Associazione delle imprese cinesi e della Camera di commercio internazionale dall'altra che ha
il compito di intercettare e riuscire a mettere a segno i business utili. Perché adesso è l'ora di stringere
accordi e di raccogliere frutti, in piena estate il mercato ha fatto la sua parte con lo shopping di azioni di
aziende italiane da parte delle autorità monetarie cinesi, adesso si dovrebbe passare dalla raccolta di azioni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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GLI OBIETTIVI DELLA MISSIONE
13/10/2014
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sul mercato agli investimenti industriali, alle sinergie e ai rapporti di reciproco interesse anche per costruire un
futuro percorso comune.
Li Keqiang ha mostrato a Pechino grande interesse per l'Italia e per le opportunità di business offerte da un
sistema che resta tra i primi in Europa nel manifatturiero e pur sempre grande fonte di innovazione e
creatività. Queste aperture cinesi all'Italia sono un segnale di collaborazione che non può più essere
sprecato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA ITALIA 0,9 I PARTNER DELLA CINA Le importazioni da Pechino, valori in
% sul totale Valori in miliardi di euro Esportazioni Importazioni Australia 4,7 Corea del Sud 9,3 Giappone 9,8
Usa 7,4 Francia 1,3 Germania 5,1 INTERSCAMBIO COMMERCIALE ITALIA - CINA GEN -GIU EUROPA
CINA 2013 292,0 2013 144,2 2014 280,1 2014 148,3 4,8 5,2 11,5 11,9
IL PROGRAMMA Domani
Il premier Li Keqiang arriva nel pomeriggio a Roma, dove verrà uffcialmente accolto dal premier italiano
Matteo Renzi. Seguono colloqui bilaterali.
A latere si svolgeranno i lavori del Business Forum, creato a Pechino l'11 giugno scorso: si terrà la prima
riunione del direttivo che predisporrà gli accordi economici, per poi sottometterli alla firma dei due premier.
Li Keqiang incontra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Li si recherà all'ambasciata cinese, dove incontrerà la comunita' dei connazionali. A fine giornata la cena con
Renzi.
Mercoledì 15 ottobre
Li Keqiang incontra i responsabili di FAO, WFP e IFAD e terrà un discorso alla FAO.
Incontri con i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso.
Partenza per MIlano, per la cena con i leader dell'Europa arrivati in occasione del decimo vertice Asem.
Giovedì 16 ottobre
I premier Renzi e Li Keqiang a Milano partecipano al Forum per l'Innovazione organizzato dal Politecnico.
Apertura dell'Asem e lavori.
Venerdì 17 ottobre
Li Keqiang partecipa alla seconda giornata di lavori del Vertice Asem
Scambi sbilanciati a favore di Pechino
Foto: - Fonte: Ice e Eurostat
13/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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«L'albero sempreverde dell'amicizia tra Cina e Italia»
Le relazioni tra i due Paesi stanno entrando in una fase di sviluppo più profondo
Li Keqiang
Sono lieto di visitare un Paese bello come l'Italia e di partecipare, in questa stagione autunnale, al decimo
vertice Asem. Spero che la visita possa contribuire ad ampliare e ad approfondire una fattiva cooperazione in
vari campi tra Cina e Italia e ad aprire un nuovo capitolo nell'amicizia e nella collaborazione tra i nostri due
Paesi.
L'Italia è un Paese affascinante. Il magnifico Colosseo dell'antica Roma, il maestoso Pantheon, gli squisiti
tesori artistici del Rinascimento e il prestigio del design e della moda italiani rivelano l'essenza dello spirito
nazionale del popolo italiano, capace di grandi aperture, di partecipazione, imprenditorialità e innovazione.
Guidata da questo spirito, l'Italia ha imboccato la strada di riforme coraggiose per affrontare la crisi del debito
europeo. L'economia italiana si sta rapidamente riprendendo, mostrando vigore e vitalità.
Fin dai tempi antichi Cina e Italia hanno rappresentato l'eccellenza delle civiltà orientali e occidentali. Situate
alle due estremità della famosa Via della seta, abbiamo costruito un legame di reciproco rispetto e
ammirazione. Siamo amici con la stessa visione e una lunga storia di amicizia e di impegno che dura da
generazioni. Con il tempo la nostra tradizionale amicizia è ulteriormente cresciuta creando un albero
rigoglioso.
Quest'anno ricorre il decimo anniversario del partenariato strategico globale tra Cina e Italia e, l'anno
prossimo, celebreremo il 45° anniversario delle relazioni diplomatiche. Le relazioni Cina-Italia stanno
entrando in una nuova fase di sviluppo più ampio e più profondo, in grado di fornire maggiori benefici a
entrambi.
Premier del Consiglio di Stato
della Repubblica popolare cinese
Li Keqiang
Le economie cinesi e italiana hanno caratteristiche diverse e vantaggi complementari e la nostra
collaborazione procede su un binario veloce. L'interscambio ha continuato a crescere nonostante la debole
ripresa economica globale e il commercio reciproco ha raggiunto i 23 miliardi di dollari nel primo semestre
dell'anno, una crescita a doppia cifra rispetto all'anno scorso. Questo slancio è estremamente incoraggiante.
Nuove prospettive si aprono nella futura cooperazione nei settori dell'energia, dell'agricoltura, dei macchinari,
delle imbarcazioni e degli yacht e altre aree che traghetteranno lo sviluppo dei due Paesi in una nuova
stagione d'oro. Cina e Italia vantano molte, dinamiche, piccole e medie imprese. Noi incoraggeremo le più
competitive a investire in Italia e diamo il benvenuto alle imprese italiane che vogliono fare business in Cina.
Rafforzeremo la cooperazione con le dogane italiane, la fiscalità e la protezione della proprietà intellettuale
per facilitare e sostenere lo sviluppo del business. Auspico vivamente di vedere che la cooperazione tra
un'Italia dinamica e una Cina in veloce sviluppo, entrambi regno delle piccole e medie imprese, dia un nuovo
impulso allo sviluppo dei nostri due Paesi.
La cooperazione fattiva tra i nostri Governi è una guida luminosa nella cooperazione bilaterale. La
commissione di cooperazione tra i Governi cinese e italiano aiuterà a impostare la direzione di marcia e ad
accelerare la nostra cooperazione. Durante la mia visita, i nostri due Paesi promuoveranno congiuntamente
l'attuazione di un piano d'azione triennale per il rafforzamento della cooperazione economica e firmeranno
una serie di programmi di cooperazione e di accordi. L'Italia è leader mondiale nell'innovazione e nel design,
mentre la Cina è forte nel settore manifatturiero. Attraverso accordi di ricerca e sviluppo e produzioni in
comune, svilupperemo nuovi prodotti di marca progettati e realizzati da Cina e Italia destinati ai mercati
globali. Lavoreremo insieme per esplorare nuovi metodi e mezzi di cooperazione in Paesi terzi. Una
collaborazione win-win della quale beneficeranno entrambi i Paesi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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ESCLUSIVO | IL PREMIER CINESE DA DOMANI IN ITALIA PER IL VERTICE ASEM
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Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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L'Italia è un Paese che ha l'innovazione nel sangue, mentre la Cina sta scrivendo un nuovo capitolo di una
straordinaria imprenditorialità e nell'innovazione a tutto campo. Durante questa visita, il primo ministro Renzi
e io parteciperemo insieme alle attività nell'ambito di una settimana della scienza e della tecnologia. Puntiamo
a utilizzare le piattaforme tra i nostri due Paesi, tra cui il Centro di trasferimento di tecnologia, il Centro del
design e dell'innovazione, il Centro dell'e-government e l'Innovation Forum, per disseminare idee più
stimolanti. Speriamo di creare insieme più progetti pilota in settori come le smart cities, le nanotecnologie, le
smart grid e la bio-medicina, e di passare a una nuova fase di sviluppo guidata dall'innovazione.
L'Italia ha la presidenza di turno dell'Unione europea. La Cina sostiene il processo di integrazione europea
ed è pronta a collaborare con la Ue per la costruzione del partenariato per la pace, la crescita, la riforma e il
progresso della civiltà e per attuare l'agenda strategica Cina-Ue 2020 per la cooperazione. Siamo felici di
vedere un'Europa unita, stabile e prospera. La Cina rimane impegnata sulla strada di uno sviluppo pacifico,
noi saremo sempre un grande Paese aperto e inclusivo. Abbiamo proposto le iniziative sulla "Cintura
economica lungo la Via della Seta" e "la Via della Seta del mare nel 21esimo secolo". Speriamo che la
Cintura e la Via diventino un nuovo simbolo e un nuovo motore dello sviluppo della Cina, e forniscano nuovo
impulso e opportunità per la crescita economica dell'Italia, dell'Europa e del mondo in generale.
Parteciperò anche al decimo Summit del Vertice Asia-Europa a Milano. Spero di poter avere un profondo
scambio di opinioni con i leader provenienti da oltre 50 Paesi asiatici ed europei e con le organizzazioni
internazionali presenti per un'ulteriore crescita e cooperazione in modo da dare un maggior contributo alla
pace, allo sviluppo e alla prosperità in Asia e in Europa. Credo che il vertice aiuterà a preparare il terreno per
l'Expo che si terrà a Milano l'anno prossimo.
Dice un antico detto cinese che «un albero, per crescere in altezza, deve avere radici profonde; un fiume per
andare lontano deve avere una fonte libera». Io credo che il terreno fertile dei nostri secolari rapporti
amichevoli e il sole splendente di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa manterranno vivo e
sempreverde l'albero della nostra amicizia.
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SINERGIE NEL MIRINO
«Le nostre economie hanno caratteristiche diverse e vantaggi complementari»
LA PROMESSA
«Rafforzeremo l'impegno alle dogane e la tutela della proprietà intelletuale»
IL RUOLO DELLE PMI
«Incoraggeremo le più competitive a venire a investire nel nostro Paese»
Foto: Il premier. Li Keqiang
Foto: AFP A Pechino. Renzi con il premier Li durante la missione dello scorso giugno
13/10/2014
Il Sole 24 Ore
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La cambiale delle rendite sulle spalle più gracili
Carlo Carboni
L'Italia ha un problema di reputation da risolvere, ha sostenuto il premier al vertice europeo di Milano. Il Sole
24 Ore di oggi dimostra che anche i cinesi ci osservano. Purtroppo, proprio la condizione di marginalità
sociale dei giovani rivela una brutta ferita italiana. Tradisce la dubbia moralità dell'individualismo italico, per
cui i padri, vecchi e adulti, sono inclini alla generosità solo con i propri figli (che spesso mantengono), ma,
come generazione, sono cinici con i giovani, "i figli degli altri". Il Belpaese è un laboratorio per quanti hanno
sostenuto che, con la modernità, il conflitto di classe avrebbe ceduto il passo a quello generazionale. Il crollo
dell'età media dei nostri attuali parlamentari e l'avvento di un governo di "verde" mezz'età lasciavano poi
pensare che la sfida generazionale potesse diventare un corpo a corpo, trasversale alla società e alla politica.
Al contrario, a tutt'oggi la disoccupazione giovanile è un buco nero, un lascito dell'Italia dell'ultimo quarto di
Novecento, ingrandito poi dalla crisi e dall'abbinamento disoccupazione e deflazione, un tandem senza
pedali.
Thomas Piketty sostiene che è in corso un travaso di ricchezza dal lavoro e dall'impresa alla rendita. L'Italia
che vive di rendita è uno scenario della sconsolata condizione giovanile italiana e dell'estrema cautela dei
governanti nel trattare questo buco nero, ormai gigantesco, a corto come sono di risorse. Bisognerebbe
smantellare rendite e privilegi diffusi, ma ne soffrirebbero i feudi politici che controllano i rubinetti elettorali.
Eppure, siamo di fronte a una marginalità giovanile a senso unico.
Carlo Carboni
Si pensi che il nostro tasso di disoccupazione giovanile (44%) è più di tre volte e mezzo quello totale, mentre
anche in Spagna e Grecia è meno di due volte. Come ha osservato in questi giorni l'Ocse, anche il tasso di
povertà tra i giovani italiani rivela l'esclusione sociale: quasi il 16% sono poveri, contro l'11% degli over 75.
Stessa disuguaglianza generazionale si verifica in modo radicale per i redditi, per non parlare delle pensioni
attese. Un presente da squattrinati, senza risparmi, non depone a favore di un futuro migliore: richiede molto
più che pochi spiccioli d'investimento o una stentata crescita per essere risolto. È sbagliato però pensare ai
giovani come un pianeta omogeneo così come le principali fonti statistiche lasciano intendere. Per esempio,
c'è l'estremità "Neet", i giovani disoccupati o inattivi, che non studiano né sono in formazione. Sono in
continuo aumento (+5 punti tra il 2007 e il 2012 e terzo tasso più elevato tra i Paesi Ocse). Soffrono la
depressione da inattività, la debilitazione di chi è ripiegato su se stesso e sul welfare familiare. Il quadro
negativo ha i suoi risvolti sui driver mentali e culturali di una parte dei giovani, primi nativi digitali. Di fronte alle
cattive notizie, un numero crescente di loro prende la via dell'estero. Non si tratta di fuga di talenti, ma anche
di lavoro manuale giovanile scoraggiato. Ci sono anche i casi positivi di chi lotta con le unghie e con i denti,
come quel 20% e più di occupati giovani, nonostante per oltre metà siano precari e ricavino dal lavoro una
bassa soddisfazione. C'è anche chi rivendica la propria autonomia professionale e persegue con ostinazione
l'autoimpiego e l'imprenditorialità e si scontra con i duri prezzi italiani. Quello giovanile non è un pianeta. È
semmai un sistema planetario molto articolato in un universo-paese avverso.
Del resto l'Europa non fa molto di più. Lo Youth Guarantee dispone di 6 miliardi spalmati in sei anni. Al
vertice di Milano, la disoccupazione giovanile è finita sottotraccia, com'era prevedibile, visto che è appena il
7% in Germania. Più incisiva è stata l'approvazione dei criteri direttori del Jobs act, apparsa una sorsata
d'acqua fresca per chi ha sete, ma richiede forte impegno richiesto in un Paese con un tasso di
disoccupazione a due cifre e in cui meno di quattro disoccupati su dieci ricevono un sussidio.
Si tratta di un obiettivo ambizioso per le finanze pubbliche. Anche perché, per far bene le cose, bisognerebbe
incentivare lo studio-lavoro e l'apprendistato, responsabilizzare enti locali, scuola e università nella ricerca di
lavoro abbinando formazione e, ancora, detassare il mondo dell'impresa e del lavoro. La riduzione del cuneo
fiscale resta la porta girevole per una crescita economica incisiva sulla diminuzione dei disoccupati. Vedremo
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GENERAZIONI CONTRO
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se i decreti attuativi aiuteranno i giovani a liberarsi dalla trappola dell'inattività e dalle sue deleterie
implicazioni mentali, come la caduta di motivazione e lo scadimento cognitivo.
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13/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Tra privacy e open data intesa possibile
Antonello Soro
Definire un punto di equilibrio «tra apertura del patrimonio informativo pubblico e protezione dei dati
personali» e al contempo suggerire, in modo costruttivo, alcune possibili modalità perché tale obiettivo venga
concretamente perseguito, consapevoli che anche «investendo su soluzioni tecnologiche, c'è spazio per
contemperare le esigenze di tutela della privacy e di accesso pubblico alle informazioni». Si tratta di un
approccio prudentemente bilanciato che Aura Bertoni e Alfonso Gambardella portano nel dibattito da tempo
in corso sulla digitalizzazione della società e sulle conseguenze anche economiche che essa comporta, in
particolare rispetto al riuso dei dati in mano pubblica (si veda Il Sole 24 Ore del 3 ottobre).
Approccio da salutare con favore e che richiede, perché acquisti concretezza, l'individuazione di modelli
organizzativi utili alla valutazione e gestione dei rischi, misure negoziali (licenze d'uso) e strumenti tecnologici
per massimizzare i vantaggi dell'economia digitale nel pieno rispetto della dignità e dei diritti fondamentali
delle persone, tra cui quello alla vita privata e alla privacy.
Aggiungo che questo è lo scenario che caratterizza la cornice normativa europea (ma traspare pure nella G8
Open data charter) e in questa direzione si sono orientate le indicazioni avanzate dalle Autorità di protezione
dei dati. Quanto al primo aspetto, già la direttiva 2003/98/Ce e, non diversamente, la direttiva 2013/37/Ue sul
riutilizzo dell'informazione del settore pubblico fanno espressamente salve le disposizioni sulla protezione dei
dati personali; in linea di principio, il riuso dovrebbe quindi riguardare dati non riferibili a persone identificate o
identificabili (si pensi, ad esempio, a informazioni cartografiche, ambientali, ecc.) o comunque dati aggregati e
opportunamente anonimizzati sì da eliminare (o comunque minimizzare) il rischio di reidentificazione degli
interessati (rischio non trascurabile, considerata la possibilità di incrociare distinti dataset).
Inoltre, nel più ampio dibattito concernente la revisione del quadro normativo europeo in materia di
protezione dei dati - che rientra tra i dossier più delicati del "semestre italiano" - sia la necessità di incorporare
le scelte normative a tutela dei diritti nelle tecnologie (cosiddetto privacy by design) come pure l'introduzione
di opportune misure organizzative (tra le quali l'istituzione della figura del data protection officer) sono punti
qualificanti della disciplina che verrà: si tratta di strumenti "nuovi" di governance della dimensione digitale
che, se adeguatamente valorizzati, consentiranno anche una corretta ed efficace reingegnerizzazione dello
"stato digitale".
L'approccio fin qui descritto è poi da tempo propugnato dalle Autorità di controllo europee (riunite nel
cosiddetto Gruppo articolo 29), da ultimo con proprio parere sui dati aperti e sul riutilizzo delle informazioni
del settore pubblico, parere condiviso nel luglio scorso dalla Commissione. Nondimeno, con il parere 5/2014,
il Gruppo ha indicato misure concrete sulle tecniche di anonimizzazione dei dati personali, preziose anche nel
contesto qui considerato. Il Garante, che ha avuto un ruolo attivo nell'elaborazione di quei documenti ha,
anche di recente, indicato questa via nelle linee guida per il trattamento di dati personali contenuti in
documenti amministrativi, precisando che il riutilizzo dei dati conoscibili da chiunque in base alla disciplina di
trasparenza non può essere consentito in termini incompatibili con gli scopi originari per i quali quei dati sono
resi accessibili pubblicamente. Orientamenti di fondo che emergono, infine, nelle recenti linee guida sulla
valorizzazione del patrimonio informativo dell'Agenzia per l'Italia digitale, con la quale l'Autorità ha
proficuamente cooperato.
Non nego che, nell'operatività quotidiana, dubbi o difficoltà possano palesarsi sul "come" conciliare il rispetto
per i diritti individuali e la filosofia dell'open data. Credo, tuttavia, che, anche grazie alle iniziative cui si è fatto
cenno, passi avanti significativi siano stati fatti verso una possibile quanto necessaria convivenza virtuosa tra
i valori in discussione. In definitiva, la partita che, anche su questo terreno, la modernizzazione della società
ci obbliga a giocare, può, operando con retta volontà e un pizzico di ambizione, (realisticamente oltre che
auspicabilmente) rivelarsi un gioco a somma positiva.
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DIRITTI DIGITALI
13/10/2014
Il Sole 24 Ore
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11/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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L'ordine di Bruxelles "Tagliate il deficit"
ALBERTO D'ARGENIO
IL NEGOZIATO tra Roma e Bruxelles sui conti pubblici entra nella fase più calda, quella decisiva. Ieri a
Washington il ministro Padoan a margine dei lavori del Fondo monetario ha incontrato riservatamente il
commissario Ue Katainenei colleghi di Francia e Germania, Sapin e Schaeuble. A PAGINA 6 ROMA. Il
negoziato sui conti tra Romae Bruxelles entra nella fase più calda, quella decisiva. Ieri a Washington il
ministro Padoan a margine dei lavori del Fondo monetario ha incontrato riservatamente il commissario Ue
Katainen e i colleghi di Francia e Germania, Sapin e Schaeuble. Oggetto della riunione, il destino di Romae
Parigie dei loro saldi di bilancio. L'Europa preme perché Hollande e Renzi inseriscano nelle rispettive leggi
finanziarie quelle correzioni del deficit che permetterebbero alla Commissione di non dichiarare guerra alla
seconda e alla terza economia dell'eurozona. Secondo la Reuters sarebbe stato il presidente uscente del
Consiglio europeo, Hermann Van Rompuy, a chiedere al premier italiano e al presidente francese di
modificare la Legge di Stabilità, che notificheranno a Bruxelles il 15 ottobre, in occasione del vertice sul
lavoro dello scorso mercoledì a Milano. Fonti italiane smentiscono che Renzi abbia avuto colloqui riservati
con Van Rompuy, ma in ogni caso la richiesta di Bruxelles è giunta a Roma, nonostante ieri come da prassi
Padoan abbia smentito qualsiasi trattativa e si sia detto convinto che l'Italia è in regola.
Eppure l'ingiunzione arrivata dalla Ue è chiarissima: tagliate il deficit 2015. La riflessione sulla flessibilità sui
conti chiesta alla Ue da Renzi e Hollande della quale Repubblica ha dato conto ad agosto seppure
sottotraccia è giuntaa termine.E conferma che su spinta del prossimo presidente della Commissione, Jean
Claude Juncker, Bruxelles è pronta a chiedere un aggiustamento dei conti dimezzato ai paesi impegnati a
fare le riforme nonostante la crisi. Dunque Roma non dovrebbe tagliare il deficit strutturale, quello depurato
dall'andamento del Pil, dello 0,7% (target specifico per l'Italia) o dello 0,5% (regola valida per tutti), ma solo
dello 0,25%.
Quella del taglio del deficit strutturale è una prescrizione del Fiscal Compact per evitare che il debito continui
a lievitare.
E pur restando sotto il tetto del 3% del deficit nominale, il mancato taglio del debito può costare all'Italia una
procedura d'infrazione che assomiglierebbe molto ad un commissariamento con una perdita di sovranità in
politica economica. Nel Documento di economia e Finanza spedito a Bruxellesa inizio mese il governo ha
messo nero su bianco che quest'anno non correggerà il deficit e nel 2015 lo farà appena dello 0,1%. Dunque
per arrivare nel 2015 allo 0,25% richiesto dalla Ue servirebbe uno sforzo minimo, pari a 1,6-1,8 miliardi da
inserire nella Legge di stabilità al momento da circa 23 miliardi ma senza un euro destinato al risanamento. Al
momento Renzi sembra determinato a non modificare la Finanziaria che il governo approverà mercoledì
prossimo. Un indizio arriva da un documento riservato che il Tesoro ha spedito a Bruxelles nel quale spiega
in termini legali perché l'Italia, viste le riforme messe in campo e il peggioramento del Pil rispetto alle attese di
inizio anno (nel 2014 calerà dello 0,3%), ritiene di essere autorizzata a non intervenire sui conti. Conferma il
sottosegretario Sandro Gozi: «Riteniamo di essere in regola perché applichiamo quella flessibilità permessa
dalle circostanze eccezionali come la situazione economica deteriorata». Eppure in molti si chiedono se per
meno di due miliardi l'Italia sia intenzionata ad andare allo scontro, a farsi bocciare la manovra il 29 ottobre
da Bruxelles, scendendo in guerra aperta con l'Unione. Si tratta di una scelta politica e ieri Renzi non si è
sbilanciato: «La Legge di Stabilità non è ancora stata scritta».
Ma c'è un altro fronte aperto altrettanto pericoloso. Katainen ha fatto sapere a Roma di essere determinato a prescindere dal contenuto della manovra - a chiedere l'apertura di una procedura per squilibri
macroeconomici a carico dell'Italia con l'appoggio di Barroso, presidente uscente della Commissione. Nel
mirino sempre il debito e gli altri numeri deludenti dell'economia italiana. Una procedura altrettanto intrusiva
per Roma, che tornerebbe a essere controllata dall'Europa tanto sui conti quanto sull'iter delle riforme, con
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IL RETROSCENA
11/10/2014
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l'Europa che ne monitorerebbe il contenuto e chiederebbe un calendario per la loro attuazione, con il rischio
sanzioni in caso di inadempienze. Per il governo si tratta di «una posizione inaccettabile», dicono a Palazzo
Chigi, e confida che una volta entrato in carica Juncker bloccherà l'iniziativa.
Un calcolo che potrebbe rivelarsi giusto, ma di certezze non ce ne sono, tanto che l'Italia sarebbe pronta a
chiedere ai ministri delle Finanze Ue di ribaltare l'eventuale decisione di Bruxelles.
Il rating di Moody's Anno 2014
Outlook positivo Outlook negativo Outlook stabile FINLANDIA AAA OLANDA GERMANIA AUSTRIA Aa1
FRANCIA Aa2 Aa3 BELGIO A1 A2 A3 Baa1 Baa2 ITALIA SPAGNA Baa3 IRLANDA Ba1 Ba2 Ba3
PORTOGALLO B1 B2 B3 Ca C GRECIA Caa
11/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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La Ue avverte Italia e Francia "Bocciate se non tornano in regola" Padoan:
"Non abbiamo mai sforato"
Dalla Commissione la richiesta di cambiare le bozze della legge di Stabilità ma il ministro esclude procedure
contro di noi. Fmi: bene il Jobs Act
ELENA POLIDORI
La Ue avverte l'Italia "Rientrate in regola" Fmi: bene il Jobs Act L'ultimatum dell'Europa: serve una correzione
da 2 miliardi Renzi: cambiare il patto di stabilità, più soldi ai Comuni Grillo al Circo Massimo: meglio il
Cavaliere di questo Pd
WASHINGTON. Sfida Italia-Ue sui conti pubblici. Secondo fonti europee rimbalzate a Washington la
Commissione avrebbe chiesto al governo italiano e a quello francese di cambiare la legge di Stabilità 2015
per evitare una bocciatura. Contatti ad altissimo ci sarebbero già stati tra il presidente del Consiglio Ue Van
Rompuy, il premier Renzi, il presidente Hollande, in vista della presentazione del testo, la prossima
settimana. Ma dalla capitale Usa, dove si trova per il vertice Fmi, il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan
nega tutto: «Non c'è alcun negoziato con Bruxelles». E soprattutto «non c'è possibilità che la legge di stabilità
venga rigettata. Abbiamo i numeri giusti e abbiamo fatto gli aggiustamenti giusti. L'Italia rispetta le regole ed è
tra i poco paesi con un deficit sotto il 3%».
I conti, ma non solo. A Washington arriva pure la notizia che l'agenzia S&P taglia il rating della Finlandia, che
perde la tripla A e peggiora l'outlook della Francia a "negativo". Mentre Dbrs con sede a Toronto, uffici a New
York, conferma all'Italia il suo "'A low" con "trend negativo".
Voci danno in arrivo anche il giudizio di Moody's: più tardi si capirà che, per adesso, l'aggiornamento è
rinviato. La decisione di Dbrs - si legge in una nota - riflette i progressi nel risanamento di bilancio. Il paese
però resterà in recessione anche quest'anno, con un Pil in calo dello 0,3% (-0,2 secondo il Fmi), per poi
riprendersi nel 2015 (più 0,5%) grazie alle riforme strutturali del governo; il potenziale di crescita «resta
debole». «Non sono affatto preoccupato», dichiara Padoan. E come lui la pensa anche Renzi convinto com'è
che ormai le agenzie di rating hanno perso credibilità e dunque il loro giudizio non influisce. Atteggiamento è
confortato da uno studio di Unicredit, che è appunto sui tavoli di palazzo Chigi, da cui risulta un
disallineamento tra i dati dell'economia reale e il giudizio soggettivo degli analisti.
Dai vertici del Fmi arriva un'apertura di credito al governo: Paul Thomsen, il responsabile per l'Europa, che
ha già seguito pure la crisi greca, giudica "molto importante" il jobs act. Ci tiene anche a far sapere che «i
paesi Ue dove gli obiettivi di bilancio non sono stati centrati a causa di minore crescita non dovrebbero
compensare con nuove misure». Tradotto significa che l'Italia non deve fare una manovra correttiva.
Aggiunge: «In generale, nel 2013 sono stati fatti buoni progressi per l'equilibrio di bilancio e tutti hanno fatto
grandi aggiustamenti», Italia compresa.
Ma il ciclo, ovvero lo stato di salute dell'economia, non è affatto roseo per nessuno, tantomeno per
Eurolandia che, nei calcoli del Fmi, ha quasi il 40% di probabilità di incappare in una nuova recessione. Il G20
conferma che la ripresa è "debolee incerta"e annuncia l'apertura di un "centro" per gli investimenti in
infrastrutture. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ripete che "ha perso slancio", che la disoccupazione
"resta alta" e che bisogna "ridurre le tasse sul lavoro" per meglio uscire dal tunnel. E cupa è anche l'analisi di
Christine Lagarde, numero uno del Fmi, sui 200 milioni i disoccupati. «Se queste persone formassero un
proprio stato sarebbe il quinto più grande al mondo», calcola la signora. Citando Dostoyevsky aggiunge
anche che "siamo bloccati" in una crisi occupazionale "dolorosa": «Privati di un significativo lavoro, uomini e
donne perdono la ragione di esistere».
I PUNTI DEFICIT Il deficit in rapporto al Pil viene indicato dal governo al 3 per cento quest'anno e al 2,9 per
cento nel 2015 DEFICIT STRUTTURALE Il governo ha deciso per l'anno prossimo di non diminuire
sostanzialmente il deficit strutturale, cioè quello al netto del ciclo economico IL DEBITO Dopo la rivalutazione
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del Pil effettuata dall'Istat, il governo stima il debito a 131 per cento del Pil, in calo rispetto alle precedenti
stime L'AVANZO PRIMARIO Senza gli interessi da pagare, il saldo tra entrate e spese è già positivo, ma il
governo: 1,7 e 1,6% del Pil nel 2014 e nel 2015
I voti delle tre agenzie sull'Italia
STANDARD AND POOR'S
Giudizio Outlook
BBB
Giudizio Outlook
negativo MOODY'S
Baa2
stabile FITCH
Giudizio Outlook
BBB+
stabile
Foto: NUMERI IN REGOLA Renzi e Padoan sicuri di poter superare l'esame della Commissione sulla legge
di Stabilità
11/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Pasticcio spagnolo affonda Wdf Investitori delusi dai silenzi dei Benetton
World duty free perde il 26% la poca trasparenza sui contratti pesa più dell'allarme utili
SARA BENNEWITZ
MILANO. In sette sedute World Duty Free ha perso un quarto del suo valore, toccando minimi che dallo
scorporo delle attività con Autogrill risalente a un anno fa il gruppo non aveva mai visto. Il fatto è che lo
scorso 2 ottobre, oltre a quello che in gergo si chiama allarme utili, è venuta meno la fiducia della comunità
finanziaria nel gruppo che fa capo a Edizione Holding. Il danno economico che la società rischia di subire - e
per cui è già stato messo a punto un maxi piano da 50 milioni di tagli - è certamente inferiore rispetto ai 650
milioni di capitalizzazione che sono andati in fumo in questi giorni.
Ma ha giocato in negativo il fatto che gli investitori si sentono traditi da un management e da una proprietà
che è sempre stata molto trasparente con il mercato. Se è vero che ora Wdf è una società separata rispetto
ad Autogrill e che l'amministratore delegato del gruppo dei duty free a partire da gennaio lascerà l'azienda, è
anche vero che il contratto per la gestione degli aeroporti spagnoli che sta all'origine di questo profit warning
fu firmato quando il gruppo era un unicum e le deleghe erano tutte in mano a Gianmario Tondato, che ora è
solo presidente di Wdf.
Analisti e investitori, che da anni hanno un serrato confronto coi vertici di Wdf e Autogrill, hanno più volte
sollecitato la società - sia quando era un gruppo unico che dopo lo scorporo - a fornire maggiori dettagli sugli
estremi di quel contratto per lo scalo di Madrid ma non sono mai riusciti ad avere una risposta, in quanto
questi dati potevano essere sensibili per la concorrenza. E oggi il dubbio che già due anni fa le stime implicite
in quel contratto che Autogrill firmò con Aena fossero difficilmente realizzabili, dato il delicato contesto
economico, è molto concreto. Senza contare che il 24 ottobre dello scorso anno Edizione Holding, a
conoscenza nel dettaglio delle informazioni sul contratto di Madrid, aveva piazzato sul mercato un 10% del
capitale di Wdf e la stessa quota di Autogrill, quando il titolo che gestisce i duty free valeva il 28% in più di
adesso.
Foto: EX AUTOGRILL Gilberto Benetton deve fronteggiare le difficoltà dello spin off di Autogrill
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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IL PUNTO
11/10/2014
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Il ministro dello Sviluppo prepara un disegno di legge Sarà assicurata piena gratuità a chi cambia conto
corrente Il governo apre il confronto interno per decidere quali norme avviare per prime I servizi di taxi e
quello del noleggio con conducente dovranno essere intercambiabili
ROSARIA AMATO
ROMA. Assicurazioni e benzina meno care, conti correnti "mobili", più concorrenza nei servizi locali: il
governo sta preparando un pacchetto di misure che accoglierà «in gran parte» la segnalazione dell'Antitrust
di luglio. Lo ha annunciato il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, intervenendo alla Giornata
Europea della Concorrenza promossa dall'Antitrust, alla quale ha partecipato anche il commissario Ue per la
Concorrenza Joaquìn Almunia. L'obiettivo, assicura il ministro, è quello di «rimuovere incrostazioni e rendite
di posizione che da troppo tempo frenano crescita e occupazione».
Aggiungendo che «la legge va a toccare molteplici comparti e recepisce molte delle indicazioni
dell'Antitrust», Federica Guidi non si è però soffermata in dettaglio nei contenuti. Il provvedimento ha infatti
superato la fase d'istruttoria, e l'intento è quello di accogliere quanto più possibile le richieste dell'Antitrust,
con un disegno di legge ampio, una nuova «lenzuolata» che andrebbe ben oltre la consueta legge annuale
sulla concorrenza, atto dovuto perché disposto dalla legge 23 luglio 2009, n. 99. Ma l'ampia segnalazione che
l'authority ha inviato all'inizio di luglio al Parlamento e al governo tocca le competenze di molti ministeri, e
quindi nei prossimi giorni si aprirà il confronto all'interno del governo per decidere in concreto il contenuto
delle varie norme.
La segnalazione dell'Antitrust, ricorda il garante Giovanni Pitruzzella, «riguarda tutti i campi, dalle
assicurazioni, per noi tema importante perché in Italia i consumatori pagano per la Rc auto prezzi più alti degli
altri Paesi europei, alle banche, (abbiamo chiesto una maggiore facilità per il trasferimento del conto corrente
da una banca all'altra), al settore dell'energia e alla distribuzione dei carburanti. Nella segnalazione
auspichiamo anche un intervento sulle società municipalizzate». Sullo spinoso tema delle assicurazioni
l'Antitrust propone l'applicazione di sconti nel caso di ricorso ai servizi medico-sanitari convenzionati con la
compagnia e l'installazione di meccanismi elettronici e di registrazione dell'attività degli autoveicoli, e altri
interventi di contrasto alle frodi, per togliere qualunque alibi a «inefficienze e costi eccessivi a carico
dell'assicurato». Gli interventi proposti in campo bancario dall'authority si pongono l'obiettivo di «aumentare il
tasso di mobilità della clientela, introducendo un termine massimo di 15 giorni per il trasferimento del conto
corrente e prevedendo un risarcimento al cliente in caso di ritardi addebitati alla banca».
Sempre nel campo del credito, Pitruzzella chiede che si favorisca lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti
dalle banche (e in concorrenza tra loro) «che consentano al consumatore un più agevole confronto tra i
servizi bancari offerti dai diversi operatori».
L'unico strumento del genere che finora c'è stato in Italia in effetti infatti, il motore di ricerca di PattiChiari,
faceva capo a un consorzio tra banche.
Le altre raccomandazioni dell'autorità riguardano l'accelerazione dell'agenda digitale, l'abbattimento dei costi
connessi all'inefficienza della rete di distribuzione dei carburanti e la liberalizzazione delle forme contrattuali
tra titolare di autorizzazione e gestore, l'energia elettrica e il gas, l'abolizione del numero massimo di farmacie
e dei vincoli che ritardano l'ingresso sul mercato dei farmaci equivalenti, l'apertura della concorrenza tra gli
scali aeroportuali, una maggiore liberalizzazione del sistema postale e delle libere professioni, l'introduzione
della «piena sostituibilità» tra il servizio di taxie quello del noleggio con conducente, un intervento di
razionalizzazione delle società pubbliche. I PUNTI LE BANCHE L'Antitrust chiede un maggiore tasso di
mobilità della clientela, con un tetto di 15 giorni per il trasferimento del conto corrente e un risarcimento in
caso di sforamento. Da migliorare la governance delle Fondazioni TAXI E NCC Proposte la piena sostituibilità
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Banche, polizze e benzina arriva la nuova "lenzuolata" per favorire la
concorrenza Guidi: sì al piano Antitrust
11/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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tra taxi e noleggio con conducente, e la diffusione di piattaforme on line che agevolino la comunicazione tra
domanda e offerta di mobilità, puntando a un miglioramento della qualità ELETTRICITÀ E GAS
Semplificazione delle procedure per la realizzazione di infrastrutture energetiche, progressiva riduzione del
regime di maggior tutela, salvaguardando le fasce di consumatori più deboli LE POSTE Valutato
positivamente il progetto di privatizzazione di Poste Italiane, da realizzare anche attraverso una separazione
societaria delle attività bancarie/finanziarie dai servizi postali per favorire l'accesso di nuovi operatori
ASSICURAZIONI Per il garante Pitruzzella l'Rc auto in Italia costa troppo rispetto al resto della Ue: proposte
norme che permettono di non caricare sui premi inefficienze e costi eccessivi e favoriscono la mobilità tra le
compagnie CARBURANTI Si chiede l'accelerazione di un disegno di legge che prevede l'abbattimento degli
ostacoli ad una piena libertà di entrata e uscita dal settore e dei vincoli di "selfizzazione" e alla vendita di
prodotti non oil presso gli impianti di distribuzione FARMACIE L'Authority chiede l'abolizione del tetto al
numero delle farmacie. Al contrario, per tutelare l'interesse pubblico e l'efficienza della distribuzione occorre
introdurre un numero minimo. Stop ai vincoli sui farmaci equivalenti AEROPORTI Si chiede che la
riorganizzazione del sistema aeroportuale, all'esame del governo, non limiti in alcun modo gli spazi di
concorrenza tra scali che negli ultimi anni ha garantito lo sviluppo delle compagnie aeree low cost
Foto: IL MINISTRO Il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi
12/10/2014
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L'appello del governo: escludeteli dal deficit altrimenti non potremo usare i soldi europei
VALENTINA CONTE
ROMA. Sganciare 4 miliardi e mezzo all'anno dal Patto di Stabilità. Per sette anni. In pratica, non computare
31 miliardi nel calcolo del deficit, dal 2014 al 2020.I denari cioè che l'Italia deve per forza stanziare, se ne
vuole usare altrettanti di fondi europei. È il meccanismo del cofinanziamento (Bruxelles mette uno e Roma
altrettanto), nato per responsabilizzare la spesa dei Paesi, divenuto una trappola per quanti vivono sul filo del
3% del deficit, con il risultato paradossale che chi più ha bisogno di spendere quei soldi non può, per non
sforare i limiti. La richiesta dell'Italia di tirar via dal tetto questa posta obbligata - e così liberare ben 31 miliardi
di investimenti, lo 0,3% del Pil all'anno, calcola la Uil, Servizio politiche territoriali - è diventata nelle ultime ore
una priorità politica, oltre che di bilancio. E non solo perché, come ripetuto da Draghi ieri, la parola d'ordine in
Europa sembra finalmente essere passata da austerità a crescita.
Ma anche e soprattutto perché la stessa Merkel ha fatto intendere al vertice sul lavoro di Milano, mercoledì
scorso, che se ne può parlare. In quel contesto, la cancelliera si riferiva certo alla Garanzia giovani che stenta
e non solo in Italia. Ma le sue dichiarazioni hanno il peso del piombo. «È difficile usare al meglio i 6 miliardi di
euro» perché il cofinanziamento «viene calcolato nel deficit nazionale e questo crea un problema», ammette
la Merkel per la prima volta. Insomma le procedure sono «difficili» e non si spende. «L'assorbimento dei fondi
non è ottimale», le fa eco il connazionale e presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Ma si sa che
su questo tema - svincolare il cofinanziamento dal deficit - Schulz è certo più propenso della sua cancelliera
che deve vedersela con i rigoristi interni ed esterni. A cominciare da Katainen, il prossimo vicepresidente
della Commissione Ue e controllore del socialista francese Moscovici, commissario agli Affari economici e in
linea con il governo Renzi.
La battaglia è sotto traccia. La conduce il sottosegretario di Palazzo Chigi, Graziano Delrio, che venerdì ne
ha parlato a Milano nel vertice informale con gli altri ministri della Coesione territoriale e con il commissario
uscente Johannes Hahn. «Vi sono sensibilità diverse in Europa, ma è chiaro a tutti che senza politiche di
coesione la crisi sarebbe drammaticamente più profonda, visto che i fondi europei valgono un terzo del
budget Ue, 450 miliardi in tutto, cofinanziamento compreso». Secondo Delrio, «se l'Italia li spendesse tutti, al
Sud il Pil salirebbe dell'1,5%». Non a caso, il governo italiano ha chiesto e ottenuto dall'Europa un
cofinanziamento dimezzato per le regioni meridionali più in difficoltà (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e
Sicilia): Bruxelles mette 1 euro, loro mettono 50 centesimi. Il resto - 11 miliardi nei sette anni - li aggiunge e
conserva il governo. In un fondo "parallelo".
Da usare con le stesse finalità e negli stessi territori, ma con molta più flessibilità (interna).
In teoria. Poi si vedrà. I NUMERI
31 I MILIARDI Sarebbero sganciati dal Patto di Stabilità in sette anni
0,3% IL PIL Ogni anno per 7 anni si libererebbero 4,5 mld, lo 0,3% del Pil
450 I FONDI UE Valgono 450 miliardi per 7 anni, un terzo del bilancio Ue A POMPEI BARROSO: AVETE
TASSE TROPPO ALTE L'Italia ha un'imposizione fiscale troppo alta soprattutto sulla energia. Ha una
giustizia lenta e non sa spendere gli aiuti europei. Lo sostiene il presidente uscente della Commissione Ue,
Barroso, in visita ieri agli scavi di Pompei. Il politico portoghese, però, loda anche il nostro Jobs Act: "Renzi
ha contagiato l'Italia con il suo entusiasmo"
PER SAPERNE DI PIÙ www.tesoro.it www.palazzochigi.it
Foto: Graziano Delrio
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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L'Italia a Bruxelles "Dovete sbloccarci 31 miliardi in 7 anni o addio
investimenti"
12/10/2014
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Operai Fiat e Magneti Marelli esultano. Cisl: patto esemplare Renzi sente Landini. Il vice ministro: ora
l'impegno di tutti L'azienda che compra fa capo ad una società di Raffaele Cirillo, con l'ad congolese
GERALDINE PEDROTTI
PALERMO. Una società costituita sette mesi fa, controllata per intero da un'altra con sede a Bolzano,
controllata a sua volta al 100% da una società immobiliare guidata da un amministratore congolese. Il tutto
finanziato da un Fondo di investimenti brasiliano e assistito da ex dirigenti Fiat nella veste di consulenti. Si
chiama Grifa, sigla che sta per Gruppo italiano fabbriche automobili, edè l'aziendaa cui sarà affidato il futuro
dell'ex Fiat di Termini Imerese e dei suoi 756 operai. Una società di cui però si sa ben poco. Sul sito Internet
dell'azienda, solo una home page, si legge: «Siamo la prima società italiana che progetta e produce auto
ibride ed elettriche di ultima generazione. Il nostro team, altamente qualificato,è composto da manager,
professionisti e tecnici italiani, specializzati nel settore auto». Quel che è certo è che Grifa non ha mai avviato
una produzione di automobili e vorrebbe iniziare a farlo proprio a Termini Imerese. Si sa anche che il capitale
sociale di Grifa è attualmente di 25 milioni di euro, che diventeranno 100 solo dopo aver concluso l'accordo
siglato venerdì tra ministero dello Sviluppo economico, Regione siciliana, sindacati e Fiat per la cessione
dello stabilimento siciliano. Questa la condizione posta dal Fondo brasiliano che porterà il capitale nel
progetto. Nei piani dell'azienda c'è la produzione di una citycar ibrida del segmento A, quello della Panda, un
modello di utilitariaa basso costo che non esiste sul mercato. Di auto la società ne vorrebbe costruire 35 mila
all'anno e l'avvio della produzione dovrebbe avvenire tra fine 2015 e inizio 2016.
Grifa si avvarrà della collaborazione di Fiat: secondo indiscrezioni, alcune parti meccaniche saranno
comprate dalla casa torinese e assemblate in Sicilia.
Il valore complessivo dell'investimento è di 350 milioni, cento di Grifa e la restante parte da finanziamenti
nazionali e della Regione Sicilia. Lo stabilimento sarà ceduto da Fiat a costo zero e Grifa assumerà fin da
subitoi 756 dipendenti ex Fiat e Marelli, che passeranno da un periodo di cassa integrazione per poi essere
gradualmente riassorbiti dalla nuova società.
Ma chi c'è dietro il marchio che prenderà il posto della Fiat in Sicilia? L'ad lucano Antonio Forenza, classe
1940, si circonderà di una squadra di esperti del settore auto: Giancarlo Tonelli, ex dirigente Fiat, Giuseppe
Ragni, già direttore di Alfa Romeo, e Giovanni Battista Randelli con un passato alla Ferrari. Un team che ha
rassicurato sindacati e istituzioni sul progetto (sulla svolta si sono sentiti Renzi e il leader Fiom Landini,
mentre Furlan della Cisl parla di intesa che può diventare un «modello», a patto che «ci sia ora l'impegno di
tutti», aggiunge il vice ministro De Vincenti).
Dietro la società un intricato sistema: Grifa è controllata al 100% da Energy Crotone 1, società di produzione
di energia con sede a Bolzano e capitale sociale di 10 mila euro, controllata a sua volta interamente dalla
immobiliare Professional Asset Management, con sede a Milano, di proprietà dell'imprenditore pugliese
Raffaele Cirilloe amministrata dal congolese Kiala Dielunguidi, presente in un'altra decina di società con sede
in Italia. Anche in questo caso il capitaleè di appena 10 mila euro. La vera garanzia di solidità sarebbe
l'ingresso del Fondo di investimento brasiliano e dei suoi 100 milioni. Ce la farà la piccola Grifa a
sopravvivere sul mercato e ridare fiducia alle quasi mille tute blu dell'ex Sicilfiat? LE TAPPE ULTIMO
GIORNO Il 24 novembre 2011, gli operai Fiat lavorano per l'ultima volta nella fabbrica di Termini Imerese. Poi
via alla cassa integrazione per la totalità dei dipendenti CHIUSURA "Per noi Termini Imerese è ormai un
capitolo chiuso, sul punto siamo stati chiarissimi" . Così Sergio Marchionne Il 31 marzo scorso all'assemblea
sul bilancio di Fiat TRATTATIVE Nel 2014, si moltiplicano le voci di interessamento di vari costruttori asiatici,
tra cui la cinese Brilliance (agosto). Ma solo la Grifa firma una lista di impegni concreti La catena di controllo
del gruppo Grifa Professional Asset Management srl 100% Energy Crotone 1 srl 100% Grifa, Gruppo italiano
fabbriche automobili spa Ra!aele Cirillo 95%, Giovanni Mazzanti 5% amministratore unico: Kiala Dielunguidi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Sì di Termini Imerese all'auto elettrica Grifa "Salvi così 756 posti"
12/10/2014
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Pag. 26
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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(Congo occidentale) SOLO L'HOMEPAGE SUL SITO DEI COMPRATORI Grifa è all'indirizzo Internet
Grifautomobili.com. Ma il sito non ha alcuna pagina interna Dunque si visualizza soltanto la prima pagina, che
sintetizza gli obiettivi della società in 5 lingue (tra cui inglese, arabo e russo)
Foto: L'ASSEMBLEA A Termini Imerese, i lavoratori della Fiat e di Magneti Marelli discutono l'accordo ieri in
Comune
13/10/2014
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Il Tfr di Pantalone
TITO BOERI
IN QUESTE ore il governo sta decidendo se varare l'operazione Trattamento di fine rapporto in busta paga. <
PAGINA NELL' AMBITO di una legge di stabilità che si annuncia di basso profilo (solo 5 miliardi dalla
spending review al posto dei 20 annunciati!), questo potrebbe essere l'unico provvedimento di un certo
rilievo. Servirebbe per rilanciare i consumi rimpinguando gli 80 euro in busta paga.
Il tutto con effetti contenuti sul disavanzo, destinato già ad aumentare fino a sfiorare il vincolo "invalicabile"
del 3 per cento. Insomma, sembra la famosa quadratura del cerchio.
Purtroppo non è così. Prima di spiegare perché e cosa si può fare in alternativa, bene chiarire quali sono le
ipotesi allo studio, scusandoci in anticipo col lettore perché sono molto complicate. Il Tfr lasciato in azienda è
una fonte di finanziamento a basso costo per le imprese. Le aziende maggiormente coinvolte in questa
operazione hanno meno di 50 dipendentie sono quelle che hanno più problemi di accesso al credito. Per
evitare di sottrarre loro liquidità, il governo intende chiedere alle banche di versare questi soldi ai lavoratori
utilizzando a tal fine i fondi presi a prestito dalla Bce a tassi TLTRO cioè uLTRavantaggiosi, diventando così
creditrici delle imprese, al posto dei lavoratori. Si pensa inoltre di dare ai lavoratori la facoltà di scegliere se
incassare questi soldi oppure lasciarli in azienda o presso il fondo istituito presso l'Inps per replicare i
rendimenti del Tfr. Non avrebbero invece questa facoltà i lavoratori che hanno dirottato il trattamento di fine
rapporto verso la previdenza integrativa. Il Tfr esiste dal 1942 e non è certo la prima volta che un governo
accarezza l'idea di cambiarne la destinazione d'uso per sostenere la domanda. Ma questa volta si fa sul serio
e proprio a ridosso di una riforma che ha deciso che il Tfr doveva servire per alimentare la previdenza
integrativa. Di più, i lavoratori che hanno messo i soldi in fondi pensione, seguendo i suggerimenti degli stessi
partiti che oggi appoggiano Renzi, sono trattati peggio. Infatti non viene loro offerta la possibilità, concessa
invece agli altri lavoratori, di attingere a questi accantonamenti, in caso di bisogno. Perché li si esclude?
Apparentemente per non contraddire troppo la riforma del 2007. Ma ci si dimentica che questa scelta
spingerà altri lavoratori a non alimentare col Tfr la previdenza integrativa. La liquidità è un bene prezioso,
soprattutto di questi tempi. La prospettiva di investimenti molto liquidi rischia di dissuadere i giovani, destinati
ad avere pensioni pubbliche molto più basse di chi si ritira oggi dalla vita attiva, dall'investire nella previdenza
integrativa. In un Paese che ha smesso di crescere, la previdenza integrativa è ciò che può tutelare le
pensioni future dei giovani. Negli ultimi 13 anni i fondi negoziali hanno offerto un rendimento cumulato
nominale del 49% contro il 30% circa offerto dai contributi alle pensioni pubbliche; negli ultimi 3 anni, poi, il
rendimento più basso offerto da un fondo pensione negoziale è stato del 4,5% (comparto garantito), mentre i
contributi previdenziali sono stati virtualmente capitalizzati a meno dell'1 per cento.
Non pochi lavoratori che hanno sin qui optato per tenere il Tfr in azienda lo hanno fatto perché il trattamento
di fine rapporto è un deterrente ai licenziamenti. Un'impresa che deve scegliere chi licenziare
presumibilmente opterà per il lavoratore al quale non deve versare la liquidazione, soprattutto se le imprese
faticano a finanziarsi. Coinvolgendo un terzo attore, le banche, che dovrebbero ereditare il debito dell'impresa
verso il lavoratore, questo deterrente, che risponde alla logica delle compensazioni monetarie a chi perde il
lavoro anziché della reintegra che il governo intende abolire, viene a cessare. Il tutto in virtù di un sostegno
pubblico, non di un accordo fra una banca e un'impresa privata. Infatti il governo, per invogliare le banche a
partecipare a questa operazione, dovrà offrire loro la garanzia che, in caso di fallimento dell'impresa, sarà
Pantalone a farsi carico del debito contratto dall'azienda nei confronti dell'istituto di credito. È una garanzia
che rischia di essere molto costosa perché saranno soprattutto i lavoratori di imprese che stanno per portare i
libri in tribunale a optare per incassare subito il Tfr.
Per queste ed altre ragioni (ricapitolate su lavoce.info) non si vede perché mettere in piedi un'operazione
intricata - che coinvolge banche, Bce e Cdp - per modificare nuovamente le norme sulla previdenza
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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L'ANALISI
13/10/2014
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Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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integrativa rendendole (credevamo non fosse possibile) ancora più complesse di prima. Il tutto con il rischio di
apparire come un governo che non esita a rendere più facili i licenziamenti e ad approfittare delle
documentate scarse capacità degli italiani di pianificare i loro risparmi, pur di incassare tasse più alte dal Tfr
(il prelievo su rendimenti finanziari dei fondi pensione è dell'11,5% mentre il Tfr in busta paga verrebbe
tassato mediamente al 23%). Se, come crediamo, il vero intento dell'esecutivo è quello di sostenere la
domanda, bene che sia consapevole del fatto che i soldi dati in busta paga verranno spesi solo se percepiti
non come un dono effimero, destinato a essere ripagato un domani con tasse più alte, ma come un aumento
permanente del reddito disponibile. Con tutta la buona volontà, è difficile credere che un'architettura così
bizantina come quella allo studio possa reggere nel tempo.
Se proprio si vogliono mettere più soldi in busta paga, meglio piuttosto ridurre i contributi dei lavoratori
dipendenti all'Inps. Si può, ad esempio, abbassarli di cinque punti, portandoli ai livelli del lavoro
parasubordinato.
Servirà anche a riequilibrare il sistema previdenziale tra pubblico e privato. Non è un'operazione che aumenti
il debito pubblico perché ormai tutti versano in un sistema contributivo in cui minori entrate oggi nelle casse
dell'Inps saranno un domani compensate da spese più basse. La Commissione Europea, che ha più volte
elogiato il nostro sistema contributivo lamentando semmai il fatto che sia entrato in vigore troppo tardi, potrà
accettare un disavanzo oggi più alto che viene automaticamente coperto da minori disavanzi futuri. Tra l'altro,
tagliando in modo equo le pensioni più alte per fiscalizzare i contributi dei lavoratori con salari più bassi, come
già proposto su queste colonne, si otterrà il duplice effetto di contenere gli effetti temporanei sul deficit e
salvaguardare le pensioni più basse. Il tutto in modo sostenibile, dunque credibile, e senza mettere di mezzo
la Cassa Depositi e Prestiti.
13/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SOLO L'UNESCO IN DIFESA DELLA LAGUNA
MARIO PIRANI
FORSE solo il Sultano del Qatar con l'alleanza degli altri Emirati del Golfo riuscirà a salvare Venezia e la sua
Laguna dalla distruzione in atto ad opera dei giganteschi vascelli barbareschi muniti della libera licenza a
solcare oltre ogni limite i confini del più straordinario bacino idrico che la natura abbia regalato all'uomo. Se ci
riferiamo all'emiro del Qatar non è per una improvvisa riscoperta delle Mille e una Notte quanto per l'atto di
amore e di allarme per Venezia espresso nella capitale dell'Emirato, a Doha, nel giugno scorso dal Comitato
del Patrimonio Mondiale dell'Unesco dove capi di Stato e ministri di mezzo mondo "hanno manifestato la
propria preoccupazione per l'entità e la scala dei progetti infrastrutturali, di navigazione e di costruzione di
grandi dimensioni in Laguna che possono potenzialmente compromettere l'eccezionale valore universale
generando trasformazioni irreversibili sul paesaggio del sito, il territorio e l'ambiente marittimo".
L'Unesco "richiede inoltre allo Stato Parte, cioè all'Italia, di effettuare valutazioni sulle potenziali modificazioni
della Laguna e del suo territorio, al fine di evitare trasformazioni irreversibili". La denuncia naturalmente si
accompagna alla indicazione delle cause provocate dalla continua e crescente preoccupazione per gli impatti
ambientali negativi innescati da imbarcazioni di medio motore fino alle navi di elevato tonnellaggio (già si
comincia a parlare della costruzione di navi da 600.000 tonnellate) che hanno progressivamente provocato
l'erosione dei fondali lagunari, delle velme e delle barene, e che potrebbero rappresentare una potenziale
minaccia per il valore universale del sito. In effetti sta avvenendo il contrario, quasi che il potere assoluto
fosse caduto nelle mani di una autorità politico-militare che approfittando del naufragio del sindacoe della
giunta, travolti dallo scandalo del Mose, possa imporrea una delle più belle città del mondo la legge di una
vera e propria pirateria con poteri di devastazione per ridurre la Laguna ad una rete di canali di transito. La
creazione di un megacanale S. Angelo-Contorta (le cui drammatiche prospettive sono state da noi descritte
nella "Linea di Confine" di maggio 2014) che darebbe il via a questa fase di devastazione potrebbe essere
decisa a giorni, con la benedizione del ministro per le Infrastrutture Lupi e dell'Autorità Portuale, che
probabilmente ha preso per uno scherzo il "bollino rosso" emesso dall'Unesco che esprime la propria
preoccupazione per come lo Stato italiano non sembri in grado di tutelare l'integrità della Laguna di Venezia e
la difesa della città dall'assalto del turismo di massa e dal degrado. "Bollino rosso" come premessa alla
cancellazione della città dal novero delle città soggette a tutela mondiale. A maggior chiarezza lo stesso
organismo ha contemporaneamente esortato il nostro governo a vietare il passaggio delle grandi navi e delle
petroliere nella Laguna e chiesto inoltre allo Stato di adottare, in via d'urgenza, un documento legale che
introduca tale processo. «Risulta però che al ministero dell'Ambiente sia stato avviato l'esame del Progetto
Contorta senza che questo stesso abbia i requisiti di approvazione del Cipe e senza che il canale sia previsto
dal Piano Morfologico, lo strumento richiesto dalla Commissione europeaa definizione delle compensazioni
ambientali dei lavori eseguiti in Laguna.
Per contro esiste un altro progetto della DP Consulting e Duferco (presentato all'Ateneo Veneto) che
prevede la costruzione di un Terminal passeggeri alla Bocca di Porto di Lido (progetto chiamato anche De
Piccoli dal nome dell'ex viceministro alle Infrastrutture). Questo avrebbe un ridotto impatto ambientale e il
vantaggio di mantenere le grandi navi fuori dalla Laguna. Altre ipotesi di creazione di un terminal crocieristico
nella Prima zona industriale di Marghera sono state discusse in modo preliminare, ma non approfondite.
Queste avrebbero il vantaggio di poter affrontare la problematica della crescita dei flussi turistici nei prossimi
vent'anni. L'Unwto stima infatti che il turismo internazionale raggiungerà 1,8 miliardi di persone nel 2030. Se
applicato proporzionalmente a Venezia, questo vorrebbe dire che nel 2030 ci saranno 45 milioni di turisti
invece che i 24 milioni annui attuali. I suddetti progetti dovrebbero essere valutati in termini di costi e di
impatti in alternativa allo scavo del canale Contorta.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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LINEA DI CONFINE Lettere Commenti & Idee
13/10/2014
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Speriamo che l'allarme Unesco venga recepito dalle forze politiche nazionali e dal governo che non possono
abbandonare le sorti di Venezia, priva in questo momento di una sua rappresentanza democratica, soltanto
alla benemerita iniziativa della sia pur maggiore organizzazione di tutela culturale internazionale. PER
SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.lavoce.info
12/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Economie a picco Il contagio rischia di affossare tutto il continente"
FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK
«L'Ebola può costare all'Africa occidentale fino a 32 miliardi di dollari in due anni». A dirlo è Francisco
Ferreira, capoeconomista della Banca mondiale con delega per l'Africa Quanto incide la crisi sulle economie
interessate? «Mi permetta di partire dall'aspetto umanitario. Ci sono 8000 casi riportati tra Sierra Leone,
Liberia e Guinea, tre Paesi considerati fragili, usciti da anni di crisi interne e con dei sistemi sanitari assai
poco efficienti. La gente viene mandata a casa a morire, perché le strutture non sono in grado di far fronte a
una crisi di così larga scala. L'impatto economico è quindi devastante». In termini numerici? «L'incidenza è
stata stimata tra i 2 e i 3,5 punti di Pil per i tre Paesi solo per quest'anno. Occorre tener presente che si tratta
di nazioni che avevano avviato da qualche anno una crescita abbastanza robusta compresa tra il 6 e l'8%.
L'impatto per il 2014 è intorno a 360 milioni di dollari». Ma la crisi rischia di non finire con il 2014.... «E infatti
esiste una incertezza sul cammino della malattia, si passa dallo scenario più ottimistico che prevede un
contenimento entro dicembre e 20 mila contagi in tutto a una epidemia con centinaia di migliaia di casi». A
ognuno di questi scenari corrispondono costi diversi? «Nel primo caso si è stimato un impatto di 129 milioni di
dollari per i tre Paesi, e di 1,6 miliardi di dollari per tutta l'Africa Occidentale. Nel secondo invece le cifre
rimbalzano rispettivamente a 815 milioni e 25,2 miliardi. Nello scenario peggiore raggiungiamo 32,6 miliardi di
dollari. Inoltre c'è il fatto che gran parte dei danni non sono misurabili perché provengono dalla paura, ovvero,
cancellazione dei voli, calo dei flussi turistici, del giro d'affari, degli investimenti futuri». Qual è il ruolo della
Banca mondiale in questa crisi? «Rendere disponibili i fondi necessari per far fronte alla crisi e provvedere a
fornire le conoscenze e il know-how ai nostri partner nei Paesi interessati, ma anche in altre regioni, e in
questo l'Italia sta dando un importante contributo. Per ora sono stati stanziati 230 milioni, altri 170 milioni
sono al voto del Board».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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5 domande a Francisco Ferreira Economista
12/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Draghi: manovra bocciata dall'Ue? Il giudizio arriverà solo a novembre
Padoan cauto sul Tfr in busta paga «Abbiamo le ipotesi meccanismo delicato»
FRANCESCO SEMPRINI WASHINGTON
L'Italia conclude gli incontri annuali di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale incassando un
ampio consenso per gli sforzi sulle riforme. Il bilancio è di Pier Carlo Padoan il quale assicura che il governo
«è pronto ad andare avanti», proseguendo il lavoro fatto sino ad ora. «Alcune riforme già sono state
introdotte nell'iter parlamentare», spiega il ministro dell'Economia parlando accanto al governatore della
Banca d'Italia, Ignazio Visco. Cita giustizia civile, riforme istituzionali, pubblica amministrazione, delega
fiscale. «In tanti altri campi sono necessari interventi, mi viene in mente ad esempio la scuola ma il
parlamento non può votare due riforme contemporaneamente, speriamo in tempi celeri. L'Italia ha dato
dimostrazione di grande forza, facendo le riforme in un periodo di recessione», anzi è proprio quest'ultima
«uno stimolo a fare le riforme». Tenendo però salda la barra del timone sui conti pubblici: «Terremo conto dei
vincoli di bilancio in un contesto in cui la composizione delle misure sia mirata a sostenere la crescita». La
conferma giunge dal direttore del Fmi, Christine Lagarde: «Le prospettive dell'Italia sono oggi più positive con
il voto del Senato» sul Jobs Act. Più analitico il presidente della Bce, Mario Draghi, che senza menzionare
esplicitamente l'Italia spiega: «dare un giudizio ora sulle leggi di bilancio di Francia o di altri Paesi sarebbe
prematuro». Le manovre che i vari Stati europei devono presentare a Bruxelles sono ancora allo stadio di
bozze, per questo «bisognerà aspettare l'Eurogruppo di novembre». Padoan torna quindi sulla legge di
stabilità: «E' in corso una discussione, in queste ore sono in costante contatto col presidente del consiglio
Matteo Renzi per definire i dettagli sulla composizione della manovra». Ultimi affinamenti prima del voto del
Consiglio dei ministri di mercoledì quindi, dice Padoan che usa invece cautela sul l'ipotesi di includere il Tfr in
busta paga. «Ci sono diverse ipotesi ma non è stato ancora definito il quadro generale. - avverte - E' un
meccanismo molto delicato e qualunque cosa si fa ha delle conseguenze da valutare bene». Poco prima era
stato il presidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro a sollevare la
questione a margine di un simposio organizzato dalla banca presso l'ambasciata d'Italia. «Se può servire
come tenda a ossigeno faremo tutto il possibile per finanziarla nei limiti del nostro mandato - dice - I
risparmiatori devono essere sicuri però che i loro soldi siano salvaguardati, quindi abbiamo bisogno di
garanzie pubbliche». Visco tranquillizza invece sul fatto che tra agosto e settembre sono usciti dal Paese 67
miliardi di euro. «Non c'è fuga di capitali», e spiega che l'uscita è dipesa da fattori tecnici contingenti. Il
governatore mette però in guardia sui tassi di interesse: «Così bassi, vicini allo zero per un periodo
prolungato portano alla ricerca di rendimenti più elevati e più rischiosi, e al rischio di bolle. Non sono quindi
una soluzione permanente, anche se resteranno così a lungo».
Foto: Bce Mario Draghi a Washington per il Fmi
Foto: AFP
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Lagarde promuove il Jobs Act
13/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
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Furlan: via tutti i contratti precari
Paolo Baroni
La leader Cisl:servono tagli dispesa molto seri A PAGINA 7 Il Tfr in busta paga? Se davvero vogliamo
sostenere le famiglie e aiutare i consumi deve essere a tasse zero. Oppure allarghiamo un poco il ventaglio di
possibilità di consentono al lavoratore di chiedere gli anticipi, molto più semplice». Il nuovo segretario della
Cisl Annamaria Furlan è molto pragmatica, su questo come su altri progetti del governo. «Sul Tfr voglio
vederci chiaro, perché si rischia creare grosse difficoltà alle piccole imprese e può produrre effettivi negativi
sulle pensioni integrative future». La «nuova Cisl» in versione-Furlan, che sabato prossimo sarà in tutte le
piazze d'Italia più per «ascoltare» il Paese che per protestare contro il governo, riparte dai territori («perché è
lì che negli ultimi anni le tasse sono esplose, anche con aumenti del 200%»), dalle fabbriche e dalla
contrattazione aziendale, uno dei cavalli di battagli storici del sindacato di via Po. Vuole essere più inclusiva e
aprirsi di più ai giovani, ai precari ed ai disoccupati, e mentre prepara il varo della nuova segreteria
smentendo il toto nomine che nel frattempo è già partito, rilancia l'idea di un «grande patto sociale» per far
uscire il Paese dalla crisi. «Per cambiare radicalmente l'Italia - spiega - nessuno può immaginare di fare da
solo. Ci vuole un governo che governi, che abbia il consenso necessario per portare avanti gli atti riformatori,
ma ci vuole anche un governo che abbia un fortissimo dialogo con le parti sociali. Le riforme istituzionali, la
nuova legge elettorale, lo stesso Jobs act, sono tutte riforme importantissime, ma se non riparte la nostra
capacità industriale e non ripartono i consumi delle famiglie il Paese non ce la fa». A giorni arriva la nuova
Legge di stabilità,leicosacivorrebbetrovare? «Una spending review molto seria per destinare risorse al lavoro,
allo sviluppo e al taglio delle tasse». La conferma del bonus da 80 euro nonbasta? «Dovrebbe almeno essere
esteso a incapienti e pensionati. Non dico a tutti i pensionati,mainunPaesedoveilgrosso degli assegni non
supera i 700-800 euro ce ne sarebbe davvero bisogno». Peròcisaràunnuovotaglioall'Irap?
«Bene:tuttoquellocheagevolaleimpreseagevolaancheillavoro.Perògliincentivi dovrebbero servire a premiare
chi assumeechiinvesteinricercaesviluppo». Cosanepensadelladelegalavoro? «Il Jobs act contiene importanti
opportunità, come la possibilità di rivedere le politiche attive del lavoro e l'allargamento delle tutele a
lavoratori precari. Anche il nuovo contratto a tutele crescenti è un'altra occasione che non va assolutamente
persa. A patto però che vengano eliminate le tantissime forme di lavoro precario e di falso lavoro autonomo:
ma non solo i cocopro, anche tante false partite Iva e i tanti falsi contratti di associazione». A proposito di
contratti, Ricolfi su la Stampa nei giorni scorsi ha lanciato la propostadiunJob-Italia.Uncontratto per i
neoassunti che riduce fortementeletasseneiprimi4anni. «Se il modello è quello dei minijob, che in Germania
ha prodotto 7 milioni di contratti a tempo pieno a 400 euro al mese, a noi non serve. Se invece il tema è
quello di favorire l'assunzione di giovani basta ridurre la pressione fiscale per i contratti già in essere». Per
fare tutte queste cose servono sempretantisoldi.Dovesiprendono? «I soldi si prendono dove ci sono e dove
vengono sprecati: ci sono 150 miliardi di evasione fiscale, 50 miliardi di evasione contributiva e altrettanti di
Iva e 7 m i l i a r d i d i c o s t i l e g a t i a l l a c o r r u z i o n e . I n p i ù s e r v i r e b b e m o l t a più a t t e n z i o n e a l l a
spendingreview:ilcommissarioCottarelliaveva fatto un grande lavoro, bisogna riprenderlo a cominciare dal
piano che puntava a ridurre da 10 a 2mila le società pubbliche. C'è tanto da fare, per questo dico che
serveunnuovograndepattosociale».
CosìsuLaStampa
L'8 ottobre Luca Ricolfi ha lanciato la proposta del Job-Italia: sgravi sui neoassunti.
Lefrasi chiave
Il Job-Italia
LapropostadiRicolfi? Beneridurreletasse percreareassunzioni Masipuòfareanche suicontrattiesistenti
La delega sul lavoro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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LE INTERVISTE
13/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
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Nonperdiamo l'occasionedelle tutelecrescenti Maeliminiamo leformediprecariato
Foto: EMANUELE CREMASCHI/LUZPHOTO LAPRESSE Annamaria Furlan
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Federico Fubini
Nel febbraio del 2010, un negoziato senza precedenti iniziò ai bordi della piscina dell'hotel Four Seasons di
Pechino. È lì che l'allora leader della China Investment Corporation (Cic) Lou Jiwei, oggi ministro delle
Finanze, aveva dato appuntamento a una delegazione italiana di alto profilo. A guidarla era l'allora ministro
dell'Economia, Giulio Tremonti. Quando gli ospiti venuti da Roma arrivarono, Lou uscì dall'acqua e iniziò a
discutere. Quel giorno si parlò dell'ipotesi dell'ingresso di Cic con una piccola quota in Cassa depositi e
prestiti. Non se ne fece nulla, ma i rapporti fra diplomazia e affari sull'asse Roma-Pechino non fecero che
iniziare. Da allora il dialogo fra autorità economiche italiane e la controparte di Pechino non si è mai interrotto.
Questa settimana, quando il premier Li Keqiang arriva in visita da Matteo Renzi, segnerà forse il punto più
alto raggiunto finora in questa stagione di convergenze italocinesi. L'ultimo investimento di una società a
controllo pubblico di Pechino in Italia potrebbe riguardare Saipem, la società di infrastrutture dell'esplorazione
petrolifera che Eni ha messo in vendita. L'interesse da parte asiatica è già stato segnalato attraverso qualche
banca d'investimento, anche se non è detto che trovi risposta. Nel frattempo si è allungata la lista degli
investimenti cinesi in società italiane a controllo pubblico, specie se legate alla fornitura di energia. Affari e
Finanza questa settimana le ricorda: c'è l'ingresso di State Grid Corporation of China in Cdp Reti, che
controlla le infrastrutture di Terna e Snam; l'ingresso di Shanghai Electric in Ansaldo Energia; l'interesse
cinese per Ansaldo Breda (treni) e Ansaldo Sts (sistemi di trasporto); la presenza del capitale di Pechino in
uno dei fondi F2i della Cassa depositi, non lo stesso ma contiguo o quello che controlla la società di rete della
banda larga Metroweb oggi al centro di grandi manovre con Telecom Italia. Quest'ultima è una posizione di
importanza strategica che può tornare utile appena gli enti locali saranno costretti a mettere sul mercato
quote delle migliori società partecipate. Sono troppi indizi per non fare una prova. L'Italia sarà sì guardata con
sospetto dagli investitori occidentali, ma ha qualcosa che piace ai cinesi: le tecnologie dell'energia e delle
telecomunicazioni, la possibilità di entrare nella rete delle municipalizzate, l'accesso alle interconnessioni
europee. Da parte di Pechino c'è una campagna strategica e coordinata, ma è meno chiaro che ve ne sia una
anche da parte italiana: chi decide, chi ne discute, chi si coordina con chi? Non è chiaro e forse non esiste
una risposta, nel caos istituzionale italiano dove chi può, appena può, crea dei fatti compiuti. È appena il caso
di ricordare però che la regola numero uno quando si compra - non concentrare tutto il rischio su un solo
investimento forse dovrebbe valere anche al contrario. Non è prudente vendere tutto sempre e solo allo
stesso compratore, specie se sa giocare a poker e noi no.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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L'APPETITO DI PECHINO LA CONFUSIONE DI ROMA
13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Vittoria Puledda
Il fischio di inizio è venuto da due pezzi da novanta del settore, Victor Massiah e Pierfrancesco Saviotti, al
congresso sindacale Uilca. Il primo ha ricordato apertamente che il mercato guarda ad Ubi come a un
soggetto aggregatore e "avendo sempre detto che Ubi è tra le banche più solide, sarebbe contraddittorio se
mi trovassi in disaccordo con questo giudizio". Il numero uno del Banco Popolare ha fatto un passo in più e
lanciato un ballon d'essai . segue a pagina 2 Segue dalla prima Saviotti infatti ha parlato del "sogno" di
fidanzarsi con la Bpm, anche se poi ha aggiunto: "Onestamente, non vedo una possibilità di questo genere"
Almeno per ora, probabilmente. Segnali importanti, di un risiko tra banche popolari che evidentemente si è
messo in moto. E se fino al completamento degli esami della Bce - a fine ottobre - nessuno oserà muoversi,
tra gli operatori qualche ragionamento su cosa potrebbe succedere dopo comincia ad affacciarsi. Partendo
probabilmente dall'ipotesi più ambiziosa, quella di costituire un terzo polo bancario nazionale forte intorno al
mondo delle popolari, alle spalle di Intesa e Unicredit. Ma contemplando anche soluzioni intermedie, più soft
ma probabilmente più praticabili. Nel primo caso i piani di aggregazione non possono che ruotare intorno a
Ubi - la più efficiente del settore - a un'incollatura in termini di dimensioni dal Banco Popolare. Il quadrilatero
ideale delle grandi banche cooperative continua poi passando per Bper (circa la metà delle prime due in
termini di attivi e prestiti alla clientela) per finire con Bpm, la più ridotta per volumi (con un totale attivo di
meno di 50 miliardi rispetto ai 123 di Ubi e ai 60 di Bper) ma di gran lunga la più ambita. Né potrebbe essere
altrimenti, visto che opera quasi esclusivamente in Lombardia, una delle regioni a più alto reddito
dell'Eurozona. Nemmeno tutte e quattro insieme costituirebbero un gigante (avrebbero 250 miliardi di
impieghi alla clientela rispetto ai 332 di Intesa) però rappresenterebbero un polo di tutto rispetto. Quanto,
nella realtà, probabilmente irrealizzabile. Per questo accanto alle astrazioni, circolano anche ipotesi "minori".
Che vedono prevalere nei processi di fusione un mix di debolezze e di convenienze, di affinità di struttura e,
non da ultimo, di alchimie positive tra gli uomini al vertice. Non sarà un caso se il matrimonio più scontato quello tra Ubi e Banco Popolare - ha più rivali di Renzo e Lucia, mentre potrebbe essere più praticabile un
sodalizio tra Banco e Bpm (magari con lo "zampino" della Carige). Il primo fattore da tener presente,
attualmente, è il convitato di pietra al gran risiko delle Popolari, cioè la Bce. La Banca Centrale Europea sta
per emettere i "verdetti" sugli istituti di credito dell'eurozona di maggiori dimensioni e, per quanto riguarda
l'Italia, le Popolari abbondano (Veneto Banca, Popolare di Vicenza, Bpm, Bper, Banco Popolare e Ubi). E fino
a quando non sarà compiuta la grande revisione, non si muoverà nulla. Il doppio esercizio di valutazione degli
istituti di credito - Aqr e Stress test - non è certo meno impegnativo per le banche "tradizionali", ma per le
Popolari potrebbe rappresentare la spinta indispensabile al processo di aggregazione. Il primo punto da cui
partire è quanto faranno male questi esami, quanto la Bce userà la mano pesante nelle valutazioni: essere
troppo severi, spingendo le banche a nuove ricapitalizzazioni o comunque a comprimere ancora il credito per
rispettare i parametri di capitale avrebbe infatti un effetto contrario al ciclo espansivo che la stessa Bce
intende innescare con le aste di rifinanziamento mirate (le Tltro) e le altre misure per far crescere la liquidità
del sistema. E poi dipende da "come" verranno passati gli esami: si può essere promossi, ma passare la
prova con il minimo dei voti; insomma, trovarsi in una condizione di debolezza che necessariamente
spingerebbe ad aggregazioni. Perché, è il concetto di fondo, nessuno si muoverà spontaneamente; e
nessuno farà una mossa di aggregazione tra pari (per le stesse intuibili ragioni di opportunità e di potere).
«Dopo questa tornata di esami e con l'ingresso sotto la vigilanza della Bce, sono convinto che ci saranno
opportunità/necessità di aggregazioni - dichiara Pierfrancesco Saviotti, numero uno del Banco Popolare ovviamente, dovranno essere aggregazioni che diano benefici», spiega parlando in generale del mondoPopolari. Che questa volta sia quella giusta? A suo tempo la foresta pietrificata delle casse di risparmio fu
scossa dalle fondamenta da una modifica legislativa, scritta da Giuliano Amato, che rese possibile
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Dalla fusione tra le Popolari il terzo campione nazionale
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La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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l'impossibile. Sarà un caso, ma anche in questo caso si parla di una modifica della legge sulle Popolari (vedi
intervista in pagina). E ancora: il Fondo monetario è tornato recentemente a parlare della necessità, per le
banche Popolari di dimensioni nazionali, di abbandonare la forma cooperativa; insomma, tanti fattori
convergono sulla necessità di un cambiamento, anche se non è chiara la direzione. Da questa fase ancora
magmatica potrebbero nascere forme di aggregazione ibride e sul mercato qualcuno comincia ad interrogarsi
anche su matrimoni "misti": ad esempio, tra la Carige - che stress test a parte, una gran forma non ce l'ha e
un azionariato stabile nemmeno, visto che la Fondazione è destinata naturalmente a dimagrire oltre quello
che ha già fatto - e la Bper. A favore della Popolare modenese gioca la quasi contiguità geografica ma per il
momento non risultano dossier aperti. Anzi, a dire il vero in questa fase di ipotesi reali non ce ne sono
proprio: qualsiasi disegno concreto è necessariamente rimandato al dopo-esiti Bce. Però, certo, Carige resta
un'indiziata forte per qualsiasi matrimonio, e anche per un intervento di Andrea Bonomi, che tutti ritengono
ancora molto interessato alla partita; magari, perché no, anche insieme a qualche banca. Dal canto suo, il
numero uno di Bper Alessandro Vandelli qualche ambizione, guardandosi intorno a 360 gradi, sotto sotto ce
l'ha: «Veniamo da una storia di aggregazioni amichevoli e riteniamo di continuare ad avere le caratteristiche
di polo aggregante», spiega. Del resto la banca una gran parte di lavoro di pulizia dovrebbe averlo fatto: dopo
il cambio di direzione e le tirate di orecchie di Bankitalia le coperture dei crediti in difficoltà sono passate senza write off - dal 32 al 39%, ad esempio, contro il 27% del Banco Popolare e il 27,61 di Ubi, che viene
considerato il campione nazionale tra le banche Popolari (nonostante l'ombra dell'indagine della Procura di
Bergamo, sui vertici dell'istituto, ancora in corso). Qualcosa di più sul futuro di Bper si capirà con il piano
industriale 2015-2017 (con possibile estensione di un anno) che potrebbe essere presentato insieme
all'approvazione del bilancio. Non si può nemmeno escludere che qualche simpatia, nel caso della Bper,
possa andare alle due banche valtellinesi (Creval e Sondrio). Ma alla Carige, in un'altra ottica, potrebbe
guardare anche la Bpm. La banca milanese ha fatto un buon percorso di risanamento e, governance a parte,
sta finendo di leccarsi le ferite e comincia a guardare al futuro con maggior fiducia. Resta la preda più ambita
e lo stesso Saviotti non ne ha fatto mistero, aggiungendo però di sapere che non è sul mercato. E in effetti
Bpm in questa fase è difesa proprio dalla sua governance "difficile", in grado di scoraggiare molti potenziali
pretendenti: la sua debolezza diventa la sua forza; in versione difensiva, ma pur sempre efficace sotto certi
punti di vista. Per questo potrebbe essere ragionevole un matrimonio con Carige, magari ben visto anche
dalla 1 base della Bpm, perché, non essendo Carige una Popolare, non annacqua il peso dei soci-dipendenti
di Bpm. Per il momento l'ad Giuseppe Castagna è concentrato sull'attualità. Non senza qualche ambizione
prospettica: «In questi mesi abbiamo affrontato un'opera impegnativa - spiega - oggi siamo in una situazione
invidiabile, con una liquidità fortissima. Vogliamo continuare su questa strada e poi se ci sarà un momento di
aggregazione cercheremo di guardare e fare la nostra parte». E poi ci sono le due Popolari non quotate - ma
non irrilevanti come dimensioni - cioè la Vicentina e Veneto Banca. Entrambe reduci da processi di
rafforzamento del patrimonio non banali (grosso modo da un miliardo a testa, anche se con forme diverse) e
su cui ora si attende il responso Bce. Ma per entrambe, a prescindere dalla solidità patrimoniale, c'è un
problema di fondo: la loro "carta" vale troppo. Il meccanismo di autoattribuirsi un valore, in occasione
dell'assemblea annuale, porta infatti la Popolare di Vicenza ad avere una capitalizzazione pari a 5,2 miliardi e
Veneto Banca ( post aumento) a 4,9 miliardi. Valori non lontani dalla capitalizzazione di Ubi (5,5 miliardi) che
però ha un attivo tre volte più grande, ad esempio, di Veneto Banca. S. DI MEO , UBI BANCA, BANCO
POPOLARE, BANCA POPOLARE DI MILANO, CREDEM, CREDITO VATALLINESE
Foto: Nella foto, da sinistra a destra: Victor Massiah , amministratore delegato di Ubi Banca e Pier Francesco
Saviotti , amministratore delegato del Banco Popolare Qui sopra, Vincenzo Consoli , direttore generale di
Veneto Banca Qui sopra, Giuseppe Castagna , amm. delegato della Banca Popolare di Milano Qui sopra, il
presidente della Bce, Mario Draghi (1) Alessandro Vandelli (2), ad di Bper; Piero Luigi Montani (3), ad di
Banca Carige
13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
"Caselli: "Ecco la nostra proposta"
Adriano Bonafede
«Non vedo atteggiamenti di chiusura alle aggregazioni da parte delle banche popolari. Ma sarà il mercato a
decidere sulla bontà delle possibili operazioni». Il presidente di Assopopolari, Ettore Caselli, lascia aperta la
porta al cambiamento. segue a pagina 3 segue dalla prima «Il processo di razionalizzazione del mondo
bancario è nelle cose: si tratta di un'evoluzione naturale in corso da anni. Oggi, però, questo processo
incrocia un evento di fondamentale importanza: il passaggio delle principali banche italiane sotto la Vigilanza
europea, e ancora prima il giudizio che verrà emesso come esito del Comprehensive Assessment. Ecco
perché dobbiamo essere consapevoli che sarà il mercato a giudicare sull'effettiva opportunità di future
aggregazioni nel mondo delle popolari, a prescindere dalle eventuali resistenze dei singoli». Non si tira
indietro il presidente dell'Associazione delle banche popolari, Ettore Caselli. Di aggregazioni si parla da tanti
anni, ma questa sembra la volta buona. Ne hanno parlato in questi giorni, seppur in generale, i protagonisti,
gli amministratori delegati di Banco Popolare e di Ubi Banca. E adesso anche il presidente dell'associazione
di categoria lascia la porta aperta al cambiamento. Sono vari anni che la Banca d'Italia, sotto due diversi
governatori, spinge per le fusioni tra popolari. Le resistenze, finora, sono sembrate arrivare dagli apparati
locali delle banche, che temono di perdere potere. Non è che anche stavolta ci si opporrà a qualunque
cambiamento? «Credo che l'arrocco su posizioni autoreferenziali sarebbe una reazione ingiustificata di fronte
all'evoluzione del sistema. Ma non vedo atteggiamenti di chiusura e credo che gli amministratori delle
Popolari valuteranno con attenzione tutte le opportunità quando si presenteranno. Ciò potrà determinare, in
una logica complessiva, anche fenomeni di carattere aggregativo. Detto questo, è opportuno sottolineare che
il mondo delle Popolari esprime valori importanti». Quali? «Penso alla democrazia d'impresa come esito
positivo della forma cooperativa e del voto capitario. Ma soprattutto dobbiamo tener presente che le popolari
non sono tutte uguali. Non ci si può rapportare solo alle esigenze delle otto popolari quotate, perché intorno
c'è un mondo molto variegato in cui piccolo può ancora essere bello, mentre diventare più grandi
probabilmente non aiuterebbe. In ogni caso tutte queste realtà hanno una caratteristica comune: sono votate
al finanziamento dell'economia reale». Qual è la situazione in merito alle proposte di modifica della
regolamentazione delle popolari che giacciono in Parlamento? Come dovrebbero essere modificate le attuali
norme? «Oggi siamo su un palcoscenico nuovo, in cui da una parte vanno compresi gli aspetti peculiari di
società che hanno decine di migliaia di soci, ognuno dei quali con un voto a disposizione, e dall'altra occorre
introdurre alcuni ammodernamenti nella normativa, rispettando i caratteri identitari delle Popolari. Sappiamo
che dalla passata legislatura giacciono in Parlamento alcune proposte di legge, ma oggi, a mio avviso, è
venuto il momento di farsi carico direttamente dell'aggiornamento della disciplina per il mondo delle Popolari,
quotate e non quotate. Ecco perché proporrò al prossimo Consiglio di Amministrazione di Assopopolari la
costituzione di una commissione che avrà il compito di definire, in tempi ravvicinati, una proposta di nuova
normativa che sappia sintetizzare competenza ed esperienza». Quali saranno i temi su cui lavorerà la
commissione? «Penso, in primo luogo, al ruolo dei soci di capitale: fondi d'investimento e investitori
istituzionali. Dovremo individuare gli strumenti opportuni per inserirli nei meccanismi di governo delle popolari,
in modo che possano tutelare i propri interessi. C'è da raggiungere un equilibrio difficile, ma non impossibile,
tra l'ingresso di questi investitori e la salvaguardia delle peculiarità del modello cooperativo che le Popolari
intendono mantenere, continuando a esercitare una funzione alternativa e autonoma rispetto alle società per
azioni». E sul fronte delle deleghe? «Il numero di deleghe a 5 fa già parte della richiesta che la Vigilanza ha
espresso al mondo delle Popolari. Sull'adeguamento a questo limite i lavori sono in corso da parte delle
singole banche, ma credo che non ci sia preclusione anche a un innalzamento». Lei parla di ruolo alternativo
e autonomo delle Popolari: non rischia di essere solo una petizione di principio? «Credo che su questo punto
parlino i dati. A proposito di sostegno all'economia reale, sottolineo che tra il 2008 e il 2013 i finanziamenti del
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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[ L'INTERVISTA ]
13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
sistema Popolari alle piccole e medie imprese hanno sfiorato i 200 miliardi, vale a dire più o meno quello che
le stesse banche avevano erogato nei cinque anni che hanno preceduto la crisi. E nello stesso periodo i
depositi sono cresciuti del 19%, sei punti percentuali in più rispetto alla media del sistema bancario. Le
popolari, inoltre, reinvestono il 75% della raccolta nei territori di riferimento». Si capisce che i primi a cercare
fusioni e aggregazioni saranno gli istituti quotati. Ma che faranno le piccole popolari? «Il fenomeno
aggregativo interesserà con tutta probabilità anche queste popolari. Oggi il sistema ha tra i suoi problemi il
credito non performing: gli effetti di questo fenomeno su realtà piccole e meno strutturate patrimonialmente
potrebbero dare vita a un'escalation, da cui si potrebbe uscire solo sacrificando la propria autonomia. Sono
comunque confidente sul grado di prudenza e di equilibrio che i miei colleghi presidenti hanno espresso e
continuano a esprimere alla guida dei loro istituti». S. DI MEO
[ AL COMANDO ] A destra, il presidente della Associazione tra le Banche Popolari, Ettore Caselli "L'arrocco
su posizioni autoreferenziali sarebbe sbagliato"
13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Paola Jadeluca
Dalla Cina all'Italia, passando per la Russia. Nella nuova ondata di acquisizioni da parte della Cina
infrastrutture ed energia sono diventati gli asset più appetibili. E l'Italia, in fase di dismissioni, è entrata nelle
mire di espansione del Dragone in questi settori. Gas ed elettricità sono ora nel portafoglio degli investimenti
cinesi esteri dopo l'acquisizione del 35% di Cdp Reti da parte di State Grid Corporation of China, la più
grande società elettrica al mondo, di proprietà dello Stato. Cdp Reti, controllata dalla Cassa depositi e prestiti,
ha il 30% di Snam, il gruppo del gas e dei gasdotti, e il 30% di Terna, l'operatore delle linee elettriche. E per
la campagna acquisti arriva in Italia il premier Li Keqiang. segue alle pagine 4 e 5 (segue dalla prima)
L'operazione, del valore di 2 miliardi, si è conclusa in piena estate. Il deal di gran lunga maggiore, dopo una
serie di acquisizioni di piccole quote, poco superiori al 2%, in Eni, Enel e anche Telecom. Altra operazione più
consistente, in termini di partecipazioni, è stata quella siglata tra Shanghai Electric, colosso mondiale nella
produzione di macchinari per la generazione di energia e attrezzature meccaniche, con il Fondo Strategico
Italiano per rilevare il 40% di Ansaldo Energia, pari a 400 milioni. Siamo solo agli inizi. La fame di materie
prime ha da tempo portato i cinesi in Africa, ricca di risorse. Una vera e propria colonizzazione, considerata
l'estensione delle acquisizioni e partecipazioni in questo continente. Il China Global Investement Tracker compilato da The American Enterprise Institute e The Heritage Foundation, due think tank Usa - ha seguito le
tracce degli investimenti cinesi nel mondo, disegnando una mappa che riflette una precisa strategia di
espansione. Acciaio, rame, alluminio e minerali vari in Australia. Energia idrica in Cambogia e Myanmair.
Metalli in Filippine e Indonesia. Energie alternative in Usa e a Singapore. Ancora rame in Cile e Perù.
Ovunque ci sia petrolio, dall'Iran al Venezuela. Le rotte del gas portano invece dall'Indonesia all'Iran, dal
Canada al Kazaksthan. Una ragnatela di investimenti che attraversa vari continenti. Nella marcia di
integrazione nell'economia globale, ora la Cina sta passando dalle economie emergenti a quelle mature, e
scommette sull'Europa. «Gli investimenti diretti possono diventare il principale motore della partnership tra
Cina e Unione Europea», sostengono gli analisti di Deutsche Bank. Finora i flussi hanno seguito
principalmente una direzione, dall'Ue verso la Cina, dove il Vecchio Continente è il più grande investitore. La
rotta si sta per invertire. I paesi Ue, come l'Italia e la Francia, sono indebitati e persino la Germania perde
punti di Pil. La Cina, secondo le elaborazioni del Cesif, centro studi di Fondazione Italia-Cina, contava meno
dell'1%, salito al 2% nel 2013, dello stock di capitale straniero globale, ma nei prossimi dieci anni è prevista
una forte accelerazione. E l'Italia, come rivela un'inchiesta del Financial Times, è al primo posto nelle mire di
espansione. In passato erano state le griffe del lusso o i marchi fashion del Made in Italy ad attrarre risorse.
Adesso è la volta di asset più rilevanti. «La principale concentrazione dei nuovi investimenti cinesi è diretta
principalmente verso l'energia», spiega FrankJurgen Richter, presidente di Horasis, organizzazione
internazionale indipendente che da dieci anni organizza il Global China Business Meeting che quest'anno si
terrà in Italia, in collaborazione con lo studio Ambrosetti. Proprio durante i giorni in cui è previsto l'arrivo in
Italia del premier cinese Li Keqiang per la sua prima visita nel nostro Paese. L'Italia non ha grandi risorse
naturali, ma i nostri gruppi sono impegnati in progetti internazionali nel settore dell'energia, dall'Africa alla
Russia. E, guarda caso, Li Keqiang arriverà in Italia dopo aver fatto una prima tappa in Russia, paese con il
quale sono in corso negoziati per la realizzazione della grande rete dei gasdotti per pompare in Cina 38
milioni di metri cubi di gas all'anno. E sulle rotte dei gasdotti si incontrano anche le aziende italiane. Vale un
appalto di 2 miliardi la costruzione della prima linea del tratto offshore del South Stream, il mega-gasdotto con
cui la russa Gazprom promette di portare il metano in Europa bypassando l'Ucraina, appalto vinto in marzo
dall'italiana Saipem, la controllata che l'Eni si accinge a vendere e che, secondo i rumor, potrebbe essere la
potenziale preda del prossimo shopping cinese. Perché no? La holding Eni, in fondo, ha già condotto in porto
una maxioperazione in Monzambico con i cinesi. Un'alleanza che potrebbe portare lontano. «Le mani dei
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Mani cinesi sull'energia italiana
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mandarini su asset strategici»: da più parti è scattato il warning . Gasdotti e altre reti, infatti, sono considerati
infrastrutture sensibili. «Sono anche gangli di informazioni e l'Italia potrebbe diventare la porta d'accesso al
più 1 grande network di reti europee», commenta Francesco Galietti, Founder & Ceo di Policy Sonar, società
di consulenza specializzata nell'analisi dei rischi politici e regolatori. Un timore non infondato: l'energia è
come la tessera fedeltà del supermercato, profila gli utenti, fornisce informazioni. Se dall'energia si passa alle
Tlc o addirittura agli organi di informazione - secondo i rumor potrebbero essere future prede - i dati
diventano ancora più sensibili. Ma come insegnano scandali famosi, vedi il caso Murdoch, lo spionaggio lo
fanno anche gli occidentali. «Io credo che le acquisizioni cinesi siano trainate più da motivazioni economiche,
piuttosto che politiche», racconta da Zurigo Shi Cortesi Jian, gestore del JB Asia Stock Fund di Swiss &
Global, una cinese che si è formata nei campus americani ed è sposata a un italiano. Spiega Shi Cortesi: «Il
mercato cinese per diverse industrie sta diventando molto competitivo e i ritorni sono molto bassi. La
situazione economica in Italia, come in Spagna e Portogallo, consente agli investitori cinesi di comprare a
prezzi allettanti con la promessa di alti ritorni. Negli ultimi anni è partita la caccia agli asset di altri paesi che
possano generare ritorni 2 o 3 volte superiori a quelli in Cina. Questa la motivazione alla base della stessa
acquisizione in Italia da parte di China Power Grid». Go Global, è il diktat dell'Undicesimo piano quinquennale
che ha prodotto una forte semplificazione burocratica e un massiccio supporto finanziario e legale alle
imprese, per lo più statali, per realizzarlo. Un'integrazione che si sta realizzando anche nel real estate, nelle
tlc, nelle tecnologie. E ancor di più nei trasporti, compresi porti e aeroporti. Gli analisti fanno notare che
l'acquisizione del porto del Pireo da parte dei cinesi è funzionale alla creazione di un grande hub di ingresso
via mare per le merci cinesi dirette in Europa. Un porto qui, un gasdotto là: i flussi degli investimenti danno
corpo a un nuovo blocco economico-politico: Eurasia. Il nuovo mercato unico tra Russia, Bielorussia,
Kazakistan e Armenia dal 1 gennaio 2015 cambierà la road map dell'economia globale. L'unione corre anche
sui binari: la Cina ha varato un piano che prevede l'utilizzo dei treni ad alta velocità per il trasporto merci tra
Europa e Asia. In parte è già realtà: la tedesca Bmw, per esempio, utilizza i binari per far arrivare la propria
componentistica auto da Lipsia a Shenyang: 11.000 chilometri in tre settimane. Li Keqiang fa la rotta inversa:
dalla Russia all'Italia, con una tappa intermedia dalla premier tedesca Merkel. EUROSTAT, DEUTSCHE
BANK RESEARCH , BANCA DATI REPRINT R&P POLITECNICO DI MILANO , S DI MEO
Foto: Matteo Renzi e il premier cinese Li Keqiang
Foto: A destra la sede di Pechino della People's Bank of China , la Banca centrale cinese, che possiede
azioni nei principali business mondiali LI Keqiang (premier Cina) (1) Zhou Xiaochuan (2) (governor People's
Bank of China) Liu Zhenya (3) ( State Grid Corporation)
Foto: L'Italia è al terzo posto per gli investimenti cinesi in Europa tra il 2005 e il 2014
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La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
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"Fuori da Usa e Germania comprano a man bassa ma solo sui mercati
deboli"
FORCHIELLI, FONDATORE DEL FONDO MANDARIN: "SONO SPECIALIZZATI NEL COMPRARE ASSET
DISTRESSED, COME ANSALDO ENERGIA. CERTO NON GIOIELLI COME DUCATI"
«Sono grandi spazzini, comprano a chilo»: Alberto Forchielli, Presidente di Osservatorio Asia, nonché
fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sull'asse Cina-Europa, non usa
mezzi termini: «Sono specializzati nel comprare asset distressed , comprano solo quello che costa poco,
asset di scarso valore, che non hanno un mercato internazionale». Eppure adesso stanno comprando asset
strategici . «L'Italia ha un deficit commerciale annuo con la Cina di 15 miliardi di euro e la Cina sta usando
parte di questi soldi per comprare business italiani. Il nostro paese è in crisi e loro sanno di poter comprare a
sconto, sono stocchisti, è questo il loro modello di acquisizioni. Guardiamo cosa hanno comprato finora:
Ansaldo Energia, che non è certo una case history di successo e nessuno al mondo l'ha voluta comprare
durante i tanti anni in cui è stata in vendita. E ora sono in trattative per Ansaldo Breda che non gode certo di
buona salute. Non si sono avvicinati a gioielli come la Lamborghini o la Ducati, acquisite da Audi». Hanno
comprato anche brand del lusso, come Ferretti yacht . «Vero, ma anche la Ferretti fu una vendita distressed e
per i cinesi ha una logica anche nel settore difesa, per fare barche piccole e veloci adatte al controllo degli
isolotti. La Cina in genere ha troppi soldi e non può permettersi di essere troppo selettiva, compra dove può e
da chi può, possibilmente dove non esiste la concorrenza di compratori occidentali. Ha un gigantesco surplus
da investire. E in Italia è più facile, perché siamo tra i paesi più cheap ed accomodanti come la Spagna e la
Grecia. Gli investimenti in Sud Europa si sono impennati non a caso dalla crisi dell'euro: hanno comprato
metà del porto del Pireo, in Grecia; in Portogallo la rete elettrica; in Francia una quota rilevante in Peugeot,
che è in sofferenza». Le infrastrutture sono un investimento ad elevato potenziale di rendimento. «Sì, vero, i
cinesi non cercano restructuring, bensì un reddito certo. Devono allocare risorse enormi, ciò che hanno
investito in Europa sono spiccioli. E poi, nei paesi sviluppati, a parte poche eccezioni, non riescono a
comprare in Usa, Giappone né tantomeno in Germania e quindi si devono accontentare dell'Europa più
debole» Si può ravvisare anche una strategia politica? «Il punto è anche questo. La Banca centrale, People's
Bank of China, possiede azioni in tutti i maggiori business mondiali. Normalmente mantiene un profilo basso,
compra giusto al di sotto della quota oltre la quale scatta l'obbligo di una dichiarazione pubblica.
Improvvisamente in Italia, dove la soglia è il 2%, Pechino continua a fare investimenti che oltrepassano, ma di
poco, questo limite. Significa che vogliono essere notati» E perché? «Questa voglia di farsi notare è esplosa,
guarda caso, dopo l'incidente di Prato, l'incendio dove hanno perso la vita sette persone. Prato è lo specchio
della Cina per gli italiani. Secondo Pew institute, uno studio di ricerca indipendente diffuso lo scorso luglio su
come viene vista la Cina nella pubblica opinione mondiale, in Italia per il 75% Pechino è vista in pessima
luce, peggio di noi al mondo solo il Giappone, insomma non li sopportiamo, non ci vanno giù. I cinesi
vorrebbero invece essere amati e rispettati e stanno conducendo una campagna in grande stile. Inoltre, la
prossima settimana arriverà in Italia il primo ministro Li Keqiang, vogliono preparare un terreno favorevole».
Per farsi notare hanno rivelato di aver messo soldi in gruppi importanti, strategici . «Indubbiamente quello che
hanno comprato, piccoli o grandi asset, si tratta di cavalli di Troia per l'espansione in Europa. Una
espansione che segue quella in Africa, dove hanno preso il controllo di nodi strategici legati alle materie
prime. Vogliono rompere il blocco Usa-Europa. Ora che hanno riallacciato ottimi rapporti con la Russia,
vogliono agganciare l'Europa in un nuovo blocco. Come alla fine della seconda guerra mondiale, vogliono
ricreare il loro piano Marshall, rivoluzionando l'assetto politico internazionale, ma come dargli torto? Sono loro
i padroni del mondo oggi». (p.jad.)
Foto: Alberto Forchielli (Mandarin Capital partners)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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[ L'INTERVISTA ]
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La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 15
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L'aumento di capitale di Cattolica "Siamo diventati dei predatori"
INTERVISTA AL PRESIDENTE PAOLO BEDONI: "VENIAMO DA UN PERIODO MOLTO POSITIVO: NEGLI
ULTIMI SETTE ANNI ABBIAMO LAVORATO IN PROFONDITÀ E OGGI POSSIAMO PRESENTARCI CON
NUOVE AMBIZIONI"
Daniele Ferrazza
L' aumento di capitale è completamente destinato alla crescita e allo sviluppo di Cattolica: con investimenti in
innovazione tecnologica e con acquisizioni che siano coerenti con i valori della nostra Compagnia e con il suo
posizionamento di mercato». Così Paolo Bedoni, a lungo capo della Coldiretti nazionale e dal 2007
presidente di Cattolica, quarta compagnia assicurativa nazionale. In una lettera ai soci spiega il maxi
aumento di capitale da 500 milioni di euro, il più importante del mercato nel secondo semestre in Italia, e
l'ambizioso piano industriale triennale varato il 19 settembre scorso. Alla comunità finanziaria il top
management del gruppo assicurativo l'amministratore delegato Giovan Battista Mazzucchelli, i direttori
generali Marco Cardinaletti e Flavio Piva e il chief financial officer Carlo Ferraresi - si è presentato illustrando
obiettivi e strategie, risultando evidentemente convincente. Tanto che Banca Imi e Mediobanca, che
gestiranno il collocamento, mostrano grande ottimismo sul buon fine dell'operazione. Cattolica del resto ha
chiuso il semestre con risultati oltremodo positivi: 30% in più nella raccolta premi e nell'utile netto consolidato,
alimentando l'aspettativa di un risultato di esercizio importante. Ambizioso il piano: raccolta a 5,8 miliardi di
euro (un miliardo in più dell'attuale), raddoppio dell'utile netto consolidato da 109 a 209 milioni di euro,
crescita nel ramo danni da 1,7 a 2,4 miliardi di euro e nel ramo vita da 2,7 a 3,4 miliardi. Presidente, perché
questa svolta che vede Cattolica "all'attacco" in un momento in cui tutti sembrano giocare in difesa? «Noi
veniamo da un periodo molto positivo: negli ultimi 7 anni abbiamo lavorato in profondità dentro casa nostra e
oggi possiamo presentarci con nuove ambizioni di sviluppo e di crescita. Abbiamo fatto un grande lavoro di
consolidamento, garantendo sempre la redditività della Compagnia». L'aumento di capitale arriva in forza di
una delega dell'assemblea di tre anni fa: perché la esercitate solo ora? «Perché riteniamo che siano maturate
le condizioni. Nel 2011 si discusse a lungo sul tema della delega al cda per aumenti di capitale. L'assemblea
decise di darci un mandato molto preciso, finalizzato a un progetto di crescita e di sviluppo: non una delega in
bianco. Ora siamo pronti ad esercitarla». Nella sua lettera ai soci dichiara apertamente la volontà di
perseguire una politica di sviluppo anche per linee esterne. Cosa vuol dire? «Se il mercato offre delle
opportunità noi vogliamo essere pronti a coglierle. In un periodo come questo restare fermi è un peccato
grave. Il mercato ora impone di essere innovativi e fortemente orientati alle esigenze del cliente. È necessario
intercettare la domanda dei consumatori». L'obiettivo dichiarato è quello di crescere anche nelle quote di
mercato? «Noi facciamo assicurazione, da più di un secolo: abbiamo l'ambizione di curare bene il nostro
campo, ma siamo consapevoli che c'è una prateria più vasta da coltivare». Storicamente, il vostro legame
con il mondo agricolo è profondo. Come sarà nel futuro? «Gli agricoltori sono imprenditori a tutti gli effetti:
moderni, efficienti, flessibili. Il settore sta crescendo molto bene, è tra i pochi ad aver retto l'urto della crisi.
Abbiamo acquisito Fata Assicurazioni per questo. Naturalmente anche noi dobbiamo aggiornare il nostro
approccio». La crescita per linee esterne: c'è sul tavolo già qualche nome? «Non c'è un dossier aperto, c'è
una strategia dei passi concreti: ora ci stiamo rafforzando per essere pronti, domani, a cogliere le opportunità
giuste. Che devono essere in linea con i nostri valori e la nostra storia». Come cambierà il vostro rapporto
con il territorio? «Siamo legati al modello cooperativo e questo ci impone un rapporto speciale con il territorio,
non solo attraverso la Fondazione. Certamente Verona e la pianura padana più in generale sono i nostri
territori originari, ma siamo una compagnia nazionale e quindi dobbiamo avere un orizzonte più ampio». ABC
ASSICURA, BBC ASSICURAZIONI, FATA ASSICURAZIONI, TUA ASSICURAZIONI, BBC VITA, BERICA
VITA, CATTOLICA LIFE, CATTOLICA PREVIDENZA, CATTOLICA IMOBILIARE, CATTOLICA AGRICOLA,
CARISMI, C.P SERVIZI CONSULENZIALI, CATTOLICA SERVICES, CATTOLICA SERVICES SINISTRI,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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INTERVISTA
13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 15
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ALL RISK SOLUTIONS, S . DI MEO
Foto: Qui sopra, Paolo Bedoni presidente di Cattolica
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 37
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"Non teme rivali, mira all'export il Sangiovese pronto al decollo"
DA ASTEMIO AD ENOLOGO E PRESIDENTE DEL CONSORZIO, GIORDANO ZINZANI SPIEGA: "SULLA
QUALITÀ NON CI SENTIAMO SECONDI AI VINI TOSCANI. DOBBIAMO SOLTANTO ACCREDITARE I
NOSTRI BRAND. SI COMINCIA COL TOUR NEGLI USA. VOGLIAMO SFONDARE SUI MERCATI
CANADESE E DEL NORD EUROPA VENDEMMIA NELLA MEDIA, MENO QUANTITÀ"
Faenza «La Romagna è ancora "giovane" sul mercato del vino, ma non temiamo la concorrenza dal punto di
vista della qualità. Ora la scommessa è superare i nostri confini per arrivare fino in Canada e in nord
Europa». Quando l'enologo Giordano Zinzani, 60 anni, parla dei vigneti della sua terra d'origine, lo fa quasi
con gelosia. Da queste parti «allevare», come rivendica lui, l'uva è una tradizione secolare: dai colli imolesi
fino al mar Adriatico, passando per Faenza, dove Zinzani ha mosso i primi passi. Iniziando da ragazzo alla
scuola enologica («ho affrontato gli studi da astemio, apprezzando il vino col tempo») fino a diventare nel
2008 presidente del Consorzio vini di Romagna. Da trent'anni lavora alla Caviro - dove oggi è direttore
enologico - il colosso coop che produce dal semplice Tavernello a pregiate etichette di Chianti e Brunello.
L'ingrediente di base, però, è sempre lo stesso: il vitigno Sangiovese, re dei colli romagnoli, che lui custodisce
come fosse un "templare". Ora è tempo di svecchiare l'immagine della Romagna per lanciarsi sui mercati
stranieri, dice Zinzani: «Oggi esportiamo oltre il 30% della nostra produzione ma dobbiamo trovare nuovi
sbocchi. Stiamo lavorando per far conoscere i nostri vigneti all'estero». Quali sono le prime impressioni della
vendemmia 2014? «Siamo nella media. La vendemmia, come nel resto d'Italia, non è stata felicissima perché
le piogge dei mesi estivi hanno inciso sulla maturazione dell'uva e sono mancate le ore di sole per una
perfetta maturazione». Quanto ha pesato l'estate "pazza" sulla quantità dei raccolti? «Non abbiamo ancora
dati definitivi, ma dai primi sondaggi il calo si aggira intorno al 15%. Però il 2013 fu annata abbondante». C'è
quindi il rischio di un'impennata dei prezzi? «Tutte le regioni sono arrivate a questa vendemmia con giacenze
di magazzino elevate. Quindi i prezzi rimarranno stabili, visto anche il momento di difficoltà che vive il Paese.
Meglio evitare sbalzi nei listini. Negli ultimi anni abbiamo visto come, davanti all'aumento dei prezzi, c'è un
calo delle vendite. E noi abbiamo bisogno di vendere, visto che la concorrenza straniera è agguerrita». Qual
è lo stato di salute dell'industria enologica romagnola? «Dal punto di vista produttivo andiamo bene. Dal 2000
a oggi abbiamo rinnovato molto vigneti, tecnologia e cantine. Ci sono grandi potenzialità ma non abbiamo
ancora la tradizione che c'è in Piemonte o Toscana. A volte registriamo problemi a farci apprezzare fuori». È
un problema di qualità delle vigne? «No, i nostri limiti sono più sul brand e l'immagine della Romagna come
terra di vini. Abbiamo anche una minore diversità rispetto alle altre regioni: per noi la collina è quasi tutta
Sangiovese ed è il vitigno su cui puntiamo di più. Il più pregiato è l'Albana ma è di nicchia e ancora poco
conosciuto fuori». Come pensate di superare questi limiti? «Col Consorzio inizieremo un tour negli Usa,
portando lì le piccole aziende. E poi punteremo su Canada e nord Europa». Le cantine della Romagna sono
però affette da "nanismo". «Abbiamo due tipologie: le grandi cooperative che esportano milioni di bottiglie e i
piccoli produttori da poche migliaia di bottiglie». Mancano quelle medio grandi. «Esatto, ma al di sotto di certi
volumi è difficile affrontare i mercati. Fino al 2011 in Romagna c'erano oltre 200 aziende che imbottigliavano,
oggi siamo scesi a 150». In Italia le vendite sul mercato interno sono al palo. Quelle dei produttori romagnoli
come vanno? «Negli ultimi anni sono stabili, ci siamo allargati dove già esportavamo ma i numeri non sono
decollati». Quali Paesi preferiscono il vino dei vostri colli? «Rispetto ai volumi: Inghilterra, Germania, Stati
Uniti e Giappone. Vendiamo in una miriade di altri Paesi, dalla Russia al Brasile, ma per ora si tratta di piccoli
ordinativi». Tutti parlano della "ubriacatura" del mercato cinese? «Se ne parla ma i volumi dei produttori
italiani sono ancora modesti. Il nostro vino non è molto conosciuto al grande pubblico, senza contare gli errori
degli operatori». Ad esempio? «Molti si sono improvvisati, iniziando a esportare convinti che in Asia ci fossero
grandi sbocchi». Risultato? «Sono rimasti coi magazzini pieni». È successo anche a voi? «Il nostro
paradosso è che il Sangiovese all'estero è conosciuto come Chianti». Meglio quello romagnolo o toscano?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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[ L'INTERVISTA ]
13/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 37
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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«Di recente abbiamo curato la pubblicazione di un libro in cui si attesta che in Romagna il Sangiovese ha
assunto questo nome fin dal 1672. Ne rivendichiamo la paternità, anche se sentiamo molto la rivalità con la
Toscana, ma sulla qualità non ci sentiamo secondi». La competizione degli stranieri "morde" i vostri vigneti?
«La concorrenza mondiale non è facile, perché ci sono Paesi che si sono affacciati da poco ma puntano su
vitigni internazionali, come Cabernet o Chardonnay, e prezzi aggressivi. Penso a Cile, Sud Africa o Spagna».
Come se ne esce? «Tenendo alta la qualità e facendo squadra per veicolare i nostri vitigni tradizionali. Ma
dobbiamo fare un salto dimensionale, puntando anche su grande distribuzione e mercati dove i consumi sono
in crescita». (e.m.) Secondo Zinzani, "la concorrenza dei vini stranieri si batte tenendo alta la qualità e
facendo squadra per veicolare i nostri vitigni tradizionali" S. DI MEO
Foto: Giordano Zinzani , presidente del Consorzio Vini di Romagna
13/10/2014
Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
«La concorrenza vince: in treno, non in banca»
ALESSANDRA PUATO
S ulle liberalizzazioni «ci sono tentativi di tornare indietro». E mentre sui treni dell'alta velocità «la
concorrenza ha funzionato», non è stato lo stesso per le banche, ancora «poco trasparenti», con le
fondazioni «che non devono averne il controllo di fatto». Né per le assicurazioni, perché con il decreto Cresci
Italia del 2012 sulle polizze auto «non è cambiato molto». E servono gare sulle autostrade». È l'allarme del
presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella. Che chiede più severità nella legge sul conflitto d'interessi. A
pagina 3
Primo, vietare l'incrocio delle poltrone anche nelle Regioni. Secondo, prevenire il conflitto d'interessi con
«trust davvero ciechi»: chi ha molti beni e vuole cariche pubbliche «non deve sapere come il suo patrimonio è
gestito». Oppure deve cederlo. Terzo, riavviare le liberalizzazioni, a partire da assicurazioni e banche, perché
«tanto è stato fatto, ma ci sono tentativi di tornare indietro». Infine, disboscare davvero le municipalizzate:
«Non devono essere una palla al piede».
Passa di qui la crescita dell'Italia - in un'Europa, però, il cui mercato unico va costruito, perché «predominano
miopi egoismi» - secondo Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Antitrust, Autorità garante della concorrenza.
Alla Camera si discute la modifica della legge Frattini sul conflitto d'interessi. È ancora un problema?
«Il conflitto d'interessi è ancora un grande ostacolo alla crescita. Che è essenziale rimuovere, perché
l'economia italiana soffre di due cose: il capitalismo relazionale e la rendita di posizione. Si cerca di ottenere
vantaggi non grazie ai propri meriti, ma con regole di favore. Questa legge, così com'è, serve a poco. Al
contrario di quanto avviene in altri ordinamenti europei ed è raccomandato dall'Ocse, non si preoccupa di
prevenire l'insorgere di situazioni di conflitto, anche solo potenziale».
Come va cambiata?
«Sterilizzando i pericoli. Innanzitutto serve un blind trust vero: bisogna separare la persona fisica e il suo
patrimonio. La conseguenza estrema può essere la cessione dei diritti di proprietà. Se l'Italia vuole ripartire
deve puntare su un'economia in cui c'è una competizione sana, basata sull'innovazione, e non dove qualcuno
più furbo degli altri ottiene norme di favore».
Chi deve controllare il conflitto d'interesse? Voi?
«L'Antitrust è certamente dotata delle competenze necessarie per svolgere al meglio questa funzione. Poi,
può essere investita del compito anche un'altra Authority. Ma si eviti la nascita di altri organismi
indipendenti».
Chiedete vincoli anche sugli incarichi regionali...
«Sì. Anche nelle Regioni e nei grandi comuni, come per le cariche del governo centrale, servono leggi che
prevengano il conflitto d'interesse. Decisioni importantissime per l'economia sono assunte dalle Regioni. Si
pensi alla Sanità, che gestisce risorse enormi. Un assessore che abbia interessi familiari nel settore può
favorire la sua clinica privata».
E chi sceglierà il gestore del blind trust ?
«L'Autorità di controllo, sentiti gli interessati».
Non basterà per recuperare il 10,3% di disoccupazione e il -0,2% di Pil.
«No di certo. Serve una grande stagione di riforme: pubblica amministrazione, fisco, giustizia civile. Ma va
anche ripresa la politica delle liberalizzazioni, perché favoriscono la crescita. Noi abbiamo formulato le nostre
proposte in una segnalazione sulla Legge annuale sulla concorrenza 2014».
Proponete una decina di riforme a costo zero, a partire delle assicurazioni. Ma la liberalizzazione Monti del
2012 sulle polizze auto non ha funzionato?
«Non è cambiato molto, la disciplina attuale è ancora insufficiente. Il tasso di mobilità dei consumatori resta
basso, sull'RcAuto va ripreso il percorso di riforma. Si possono ridurre i prezzi con la lotta alle frodi, per
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
113
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Authority Intervista a Giovanni Pitruzzella
13/10/2014
Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
esempio, prevedendo sconti per l'automobilista che installi la scatola nera (il rilevatore di guida, ndr .). E
quando un assicurato passa da una compagnia all'altra deve mantenere la stessa classe di merito. Oggi ci
sono discriminazioni, la nostra proposta è all'esame del governo».
E le banche? I costi dei conti correnti crescono.
«Anche qui la mobilità resta bassa, va rafforzata la trasparenza bancaria. Serve un termine obbligatorio entro
il quale concludere il trasferimento del conto da una banca all'altra. Non più di 15 giorni, pena il risarcimento
della banca al cliente».
Nella vostra indagine sui conti correnti, un anno fa, denunciavate tempi di trasferimento fino a 37 giorni. È
cambiato nulla, quindi?
«Poco».
Proponevate anche che al Bancomat fosse indicato ai clienti l'Isc, Indicatore sintetico di costo annuo del
conto. Che fine ha fatto l'idea?
«Non è stata presa in considerazione dalle banche».
Per il Fondo monetario il freno delle banche italiane è nelle fondazioni azioniste.
«Siamo in sintonia con Fmi e Banca d'Italia, va garantita l'attuazione della normativa vigente. Le fondazioni
non devono avere il controllo delle banche, neanche di fatto o con altri».
Cosa pensa dello Sblocca Italia che rinvia di decenni le gare sulle autostrade?
«La proroga delle concessioni va contro la concorrenza. Gli investimenti vanno assicurati con
l'aggiudicazione al gestore più efficiente, individuato con una procedura davvero competitiva».
Plaudivate alla privatizzazione di Poste ma l'azienda non si quota più, per ora.
«È stato molto positivo l'intervento della Banca d'Italia, che ha allineato il Bancoposta alle banche sulla
vigilanza. Per il resto, servono interventi che garantiscano più trasparenza dei finanziamenti al servizio
universale. Ma un intervento legislativo può essere fatto solo quando si scioglieranno i nodi sulla missione di
Poste nell'economia italiana».
Alla parola municipalizzate che cosa risponde?
«Sfoltirle rapidamente. Mi auguro che si faccia qualcosa con la Legge di Stabilità: incentivi fiscali ai Comuni
che dismettono le partecipazioni in rosso, per esempio. Ma per tornare a crescere bisogna anche partire
dall'Europa per costruire un mercato veramente unico. Vanno rese interoperabili le reti europee di energia e
telecomunicazioni, per favorire l'economia digitale che aumenta il pil. O l'Europa non potrà competere sul
costo del lavoro».
E nei treni? Ogni Paese fa da sé. Binari diversi.
«Servono alleanze tra stati. In Italia siamo intervenuti sulle tariffe per l'accesso alla rete dell'alta velocità.
Dopo la denuncia di Ntv, ad esito di un nostro procedimento, Rfi (gruppo Fs, ndr. ) si è impegnata a ridurle,
facendole scendere del 15%. Qui la concorrenza ha funzionato».
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Avvocato Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Autorità garante della concorrenza dal 2011. Ha 55 anni e
insegna Diritto costituzionale. «Dopo la denuncia di Ntv e a seguito di un nostro intervento, il gruppo Fs ha
abbassato le tariffe di accesso ai binari. Sui treni ad alta velocità la concorrenza ha funzionato»
Foto: Per ripartire l'Italia deve puntare su una competizione sana, non dove il più furbo ottiene norme di
favore Il rinvio delle gare sulle autostrade va contro la concorrenza. Gli investimenti vanno garantiti al più
efficiente
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Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
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Non arrendiamoci al mal di testa da depressione
DANIELE MANCA
I l mondo sta crescendo del 3 per cento all'anno. «Poco», ci viene detto dagli analisti del Fondo monetario
internazionale, come pure dagli economisti in genere. Ma, a ben guardare, non siamo molto distanti dalla
media alla quale il mondo cresceva agli inizi degli anni Ottanta e Novanta, come notava nei giorni scorsi il
«Financial Times». Ma in quegli anni non avevamo ancora i postumi del mal di testa da grande crisi del 2008.
E ci accontentavamo. Si sperava solo di crescere di più negli anni a seguire. Il mal di testa sembra impedire a
governi, imprese e cittadini di reagire. Soprattutto in Europa. La Cina, che ha contribuito alla crescita
mondiale per il 30%, nel 2014 , si spera continui a correre a ritmi medi del 7,5% . L'America sta provando
seriamente a fare la sua parte. Non è difficile capire di chi sia la colpa se, come riportato da Martin Wolf
sempre sull'Ft, il 70% delle economie emergenti cresce nel 2014 a tassi più bassi della media pre crisi. E, se
questo circolo di mancata contribuzione da parte dell'Unione europea allo sviluppo, e quindi di crescita meno
forte delle economie emergenti dovesse avvitarsi, il futuro potrebbe davvero essere molto triste. Inutile però
sperare che la spinta arrivi da possibili allentamenti di patti o flessibilità più o meno risolutive. Possono aiutare
sicuramente ma, fatto 100 la domanda nell'eurozona nel 2008, oggi siamo a quota 95. Gli Stati Uniti sono a
106. Analogo l'andamento del Pil. E allora la Bce può aiutare, Bruxelles anche, ma, se nei singoli Paesi non
riparte la domanda interna, c'è poco da sognare. Ci si potrà accusare l'un altro, la Germania perché ha un
surplus commerciale troppo alto, Francia e Italia perché in ritardo sulle riforme per aumentare produttività e
competitività. Ma è necessario che ognuno faccia la sua parte. Noi la nostra. I cittadini aspettano solo questo.
Le attività finanziarie delle famiglie erano a marzo pari a 3.858 miliardi di euro. Pari a quelle del periodo precrisi. Il segnale più evidente che stiamo risparmiando. Intimoriti sul futuro. Ma anche che, appena le
condizioni dovessero mutare e potessimo tornare a investire, non saremo certo in difficoltà a farlo.
Daniele_Manca
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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IL PUNTO
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Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 1
Cina Le quote Telecom , Eni, Enel finite nella ragnatela di Pechino
mario gerevini
Si chiama Cic, ed è il braccio operativo del governo cinese. Un fondo sovrano che ha preso base in
Lussemburgo e opera trasversalmente sui mercati mondiali della finanza. Recentemente ha acquisito l'hotel
Waldorf Astoria di New York, ma ha quote anche in diverse società europee e italiane.
a pagina 10
Pechino, New Poly Plaza 1 Dongcheng District. È la porta d'accesso a quella selva oscura che è il
capitalismo di Stato cinese. Il viaggio di Marco Polo, al confronto, è una scampagnata. Il grande fondo
sovrano, China Investment Corporation (Cic), e i suoi sudditi hanno sede qui. Una macchina gigantesca,
controllata dallo Stato, che muove le sue leve nel mondo, sposta centinaia di miliardi di euro e compra,
compra, compra. Spesso senza farsi notare.
Mai sentito parlare della finanziaria Land Breeze, con asset per 7,3 miliardi e sede in Lussemburgo? Flourish
e Best Investment Corporation, presenze fisse in Piazza Affari, dicono nulla? E la misteriosa sigla australiana
«Ssbt Od05 Omnibus Account» che risulta nel libro soci di 170 aziende della Borsa di Tokyo?
La ragnatela
Proviamo a «mappare» il polmone finanziario della Repubblica Popolare che, tra molto altro, controlla anche
le principali banche del Paese che poi sono tra le più grandi del mondo. Da Pechino si dipana una ragnatela
che abbraccia il pianeta. Ma non esiste un organigramma dettagliato delle partecipazioni. Il bilancio del fondo
sovrano Cic è un bel volume ricco di foto di sorridenti dirigenti e con un sacco di tabelle riassuntive:
praticamente una brochure. Non è facile rintracciare i «figli» del Cic, ovvero quel sistema di holding e hub
societari che sono direttamente sul business. Il fondo è l'ingranaggio centrale ma ovviamente non l'unico del
paese asiatico. L'olio italiano Sagra e Berio è stato appena venduto al gigante alimentare Bright Food; il big
dell'energia State Grid ha speso oltre 2 miliardi per il 35% di Cdp Reti (30% di Snam e Terna); il 40% di
Ansaldo Energia è finito a Shangai Electric. E all'estero, per citare l'ultima, il Waldorf Astoria di New York è
stato pagato la cifra record di 1,95 miliardi di dollari dalla Anbang Insurance. Una piccola compagnia (per gli
standard cinesi). E questo dà l'idea delle potenzialità. Quanto al Cic, il fondo sovrano controlla buona parte
del sistema bancario e finanziario cinese. Nacque nel 2007 per diversificare l'impiego delle immense riserve
valutarie e oggi gestisce asset per 653 miliardi dollari, numero 4 tra i grandi fondi sovrani. Ma anche il numero
5, Safe, è cinese. Cic si muove con due subholding: Cic International per l'estero, Central Huijin per l'interno.
Braccio armato
Nel 2007, appena costituito e con in cassa 200 miliardi di dollari, il fondo parte con grande entusiasmo:
sborsa subito 5,6 miliardi per il 9,9% di Morgan Stanley e 3 miliardi per il 9,4% di Blackstone. Tempismo
paragonabile a chi avesse deciso di farsi una nuotatina a Pearl Harbor alle 7,50 del 7 dicembre 1941. Poi si
fa più accorto e comincia a realizzare ottimi rendimenti. Energia, infrastrutture, immobiliare, trasporti, dal 10%
dell'Aeroporto di Heathrow al 7% della francese Eutelsat (satelliti), dal 17% del colosso minerario canadese
Teck Resources al 12,5% di Uralkali, il big russo del potassio. A Pechino finisce anche una piccola quota (3%
pagata 300 milioni) di Btg Pactual di André Esteves. E presto Pechino potrebbe entrare con 300 milioni nel
secondo fondo della «nostra» F2i.
Mistero Ssbt
Sui listini di Borsa i manager del Cic mandano avanti società satelliti, quelle semisconosciute. Ecco allora che
in Piazza Affari spuntano Best Investment Corporation e Flourish. Comprano Eni, Enel, Generali, Unicredit e
altro ancora. Su altre Borse sono attive la Terrific e la Stable Investment o la Beijing Wonderful Investment.
Nessuna di loro è nel bilancio del Cic. Non manca una certa fantasia nei nomi. Da nessun parte, invece, se
non in un conto custodia registrato alla State Street Bank di Sidney, c'è traccia della «Ssbt Od05 Omnibus
Account». Tre anni fa è arrivato a essere socio, anche rilevante, di 170 aziende quotate giapponesi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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L'inchiesta Cosa e chi c'è dietro il colosso Cic
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Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Misteriosi gli investitori. Secondo un'inchiesta del Wall Street Journal dietro Ssbt vi sarebbero proprio i cinesi
di Cic e Safe, l'altro grande fondo sovrano. In Europa la piattaforma da cui si diramano gli affari è in
Lussemburgo. Qui è registrata Land Breeze, holding da 7,3 miliardi di dollari di asset, tra cui il 30% del polo di
esplorazione di Gdf Suez: 3,2 miliardi di valore.
I giganti del credito
Poi c'è il fronte interno, con le banche. E tanto per dare un'idea: Industrial and Commercial Bank of China
(Icbc)è la prima del mondo per patrimonio che è quasi il doppio di quello della più grande banca giapponese
(Mitsubishi) mentre la numero 2 è China Construction Bank che ha appena scalzato Jp Morgan. Prima di
Alibaba il record per un'Ipo furono i 22 miliardi incassati nel 2010 da Agricultural Bank of China. Alcuni istituti
sono quotati ma hanno due categorie di azioni e il controllo è sempre saldamente in mano alla coppia Cicministero delle Finanze.
Jp Morgan e Blackrock hanno piccole partecipazioni in Icbc e Agricultural Bank, quest'ultima partecipata
anche dalla Qatar Investment Authority mentre in Bank of China la svizzera Ubs ha un consistente pacchetto
di bond convertibili. La Bank of China in Italia ha aperto una filiale a Milano 16 anni fa e tra le carte
consegnate al notaio c'era lo statuto della casa madre datato 1980 che diceva così: «La Bank of China
partecipa alle attività finanziarie internazionali al servizio della modernizzazione della costruzione socialista».
Di recente è finita sotto inchiesta per un'ipotesi di concorso in riciclaggio nell'ambito dell'operazione Cian LiuMoney to Money (4,5 miliardi). Quando i cinesi della Shandon hanno acquistato (e salvato) gli yacht Ferretti
avevano le spalle coperte dalla Icbc (400 mila dipendenti) che ha messo a disposizione 200 milioni e oggi ha
in pegno tutto il gruppo. E sono della China Development Bank i 78 milioni che la Winsun ha utilizzato in
Sardegna per l'immenso parco fotovoltaico Enervitabio: 1.614 serre di 200 metri quadrati ciascuna con 107
mila pannelli fotovoltaici. Il progetto quest'estate è stato bloccato dal Tar.
Due parrocchie
Ma una cosa è il Cic, con le sue banche commerciali, altra cosa la People's Bank of China, la banca centrale,
il soggetto finanziario con maggiori risorse al mondo, che qui in Italia conosciamo bene. Tra primavera ed
estate ha varcato la soglia del 2% in grandi gruppi come Eni, Enel, Generali, Telecom, Fiat. Probabilmente la
banca centrale si è mossa anche attraverso la sua controllata Safe. Cioè l'altro grande fondo sovrano cinese.
Due parrocchie diverse, dunque, Cic e People's Bank. Ma la potentissima diocesi è sempre la stessa.
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Foto: Cic Il «ceo» Ding Xuedong
Foto: Fondi sovrani Ding Xuedong, ceo di Cic
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Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 4
È cambiato il vento Ma col maggioritario i conti sono da rifare
nicola saldutti
Il tempo dei legami intrecciati tra le società quotate e dell'intricata rete di scatole cinesi che le collegava le
une alle altre, in qualche modo, sta cambiando. Di recente Mediobanca, fino a qualche anno fa il principale
crocevia delle società quotate ha ribadito che su partecipazioni come Telecom Italia e Rcs, vestirà i panni del
venditore. Lo stesso hanno fatto nei mesi scorsi le Assicurazioni Generali, che per prime hanno affermato la
strategia di uscita da molti gruppi. Copione simile anche per Intesa Sanpaolo che ha ribadito più volte di non
voler più essere una banca di sistema.
Il tempo di uscita dipenderà solo dal tentativo di ridurre l'impatto negativo sulle società in cui è presente.
Strategia di uscita dalle attività considerate «non core» anche da parte di Unicredit. Per certi versi anche gli
imprenditori, da Benetton e Del Vecchio hanno lasciato intendere che preferiscono concentrarsi sulle loro
aziende più che entrare in nuove partecipazioni. Una svolta che è iniziata lentamente e che ora sta
profondamente ridisegnando la mappa degli equilibri di Piazza Affari. Come se le maglie della rete di incroci,
per effetto delle nuove regole di governance e soprattutto della crisi, si fossero rapidamente allargate. O, in
altri termini, come assistere a una sorta di grande ritirata. Si potrebbe quasi affermare che si sta facendo
strada la nuova figura dell'azionista riluttante, che detiene partecipazioni delle quali (in tempi e modi da
definire) cerca di liberarsi. Scenario opposto a quello che invece vedeva solo qualche anno fa la dottrina della
diversificazione come unica formula possibile per restare competitivi.
A questo punto bisognerà vedere come le società si attrezzeranno con l'entrate in vigore del regolamento sul
voto maggiorato, che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane. Secondo alcune stime la soglia di capitale
necessaria per avere un ruolo decisivo potrebbe scende al 12,5%. A quel punto molti calcoli e molti equilibri,
andrebbero di nuovo rivisti. Con la calcolatrice da un lato e le nuove regole Consob dall'altro.
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L'analisi
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Pag. 6
Telecom L'affondo di Patuano Per non restare solo (e piccolo)
In Europa si va verso il riassetto e rischia di finire come preda Riscossa in Brasile: Oi è in vendita, l'acquisto
rilancerebbe Tim Una strategia orientata alla difesa del modello public company Le trattative con Metroweb
per sbarrare la strada ai big esteri
fabio tamburini
«Chi si ferma è perduto» ricorda il film di Totò e Peppino De Filippo degli anni Sessanta. Ma è anche quanto
deve avere pensato l'amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano, dopo aver dovuto cedere il
passo alla spagnola Telefonica nello scontro per la brasiliana Gvt. Così Patuano, nel giro di poche settimane,
ha deciso di giocarsi le carte disponibili per evitare che il modello public company , partorito pochi mesi fa,
venisse ucciso nella culla. Certo deve nuotare controcorrente. La strategia del nuovo azionista, la Vivendi del
finanziere bretone Vincent Bolloré, dev'essere ancora chiarita. Il debito di gruppo, pur essendo diminuito
significativamente, resta elevato: 27 miliardi di euro, che turbano le notti del direttore finanziario, Piergiorgio
Peluso, sostenitore convinto della necessità di ridurlo ancora.
Il livello di redditività continua, inesorabilmente, a ridursi, sempre più lontano da quello degli anni d'oro. La
compagine societaria è in smantellamento, come confermano le decisioni degli azionisti di maggior peso, da
Intesa Sanpaolo a Mediobanca, fino alle Generali. E sullo sfondo si sente aria di possibili sorprese come
sarebbe l'arrivo di una offerta del finanziere di origini messicane, Solomon Trujillo, conoscente di vecchia data
di un altro magnate, Naguib Sawiris, di cui fu consulente quando l'egiziano acquistò Wind.
Tre piani
Nonostante questo Patuano ha rotto gli indugi e ha ripreso l'iniziativa. I livelli sono tre. Il primo, almeno per il
momento, resta riservato. L'Europa è alla vigilia di un molto probabile consolidamento dei principali produttori.
Il mercato è troppo affollato, i margini sono in forte calo, la spinta è verso concentrazioni e alleanze.
Inevitabile è che gli operatori maggiori si stiano studiando con attenzione particolare.
Telecom Italia e Orange, l'ex France Telecom, ma anche Deutsche Telekom, British Telecom, l'olandese
Kpn. Chi farà la prima mossa? La crescita delle dimensioni serve anche a diventare più grandi e quindi meno
facilmente scalabili. Le iniziative sui fronti del secondo e terzo livello si prestano bene. Le trattative avviate
per Metroweb vanno lette soprattutto in funzione della volontà di sbarrare la strada ai concorrenti di Paesi
lontani, interessati ad entrare sul mercato europeo.
Fibra in crescita
La società ha dimensioni limitate ed è leader nelle reti in fibra ottica, con le tecnologie più avanzate, ma è
presente soprattutto a Milano e in un numero limitato di città, che però rappresentano la parte più ricca del
mercato. Il tasso di sottoscrizione dei contratti per la fibra ottica sta migliorando e questo offre nuove
opportunità. In più l'operazione è abbastanza semplice e offre il vantaggio di anticipare le mosse di gruppi
concorrenti. La Cassa depositi e prestiti, a cui fa capo Metroweb, prima o poi è destinata a vendere e la
società può essere utilizzata come avamposto per l'entrata in Italia oppure per il rafforzamento delle posizioni.
Il terzo livello è rappresentato dal Brasile, con Patuano che sta valutando un cambio di marcia per Tim Brasil:
l'acquisto di Oi, campione nazionale della telefonia mobile. L'operazione rappresenterebbe un salto di qualità
nella presenza del gruppo sul mercato brasiliano, ma la situazione è molto delicata, con variabili tutte da
definire. Un tema è politico: il nuovo governo darà via libera all'aggregazione? E ancora: qual è lo stato di
avanzamento della riorganizzazione in corso al vertice di Oi che, tra l'altro, ha un debito molto significativo?
Quali sono gli asset cedibili per ridurlo? Senza contare la variabile che viene considerata con più attenzione:
quanto pesano le attività in contenzioso? E in che misura gli azionisti attuali sono disposti a farsene carico?
Le vicende di Oi s'intrecciano con quelle di Portugal Telecom e, in particolare, con quelle poco edificanti che
hanno coinvolto uno dei principali gruppi bancari portoghesi, il Banco Espirito Santo. Btg Pactual, la banca
d'affari più dinamica del Paese, entrata recentemente anche in Italia con l'acquisto di una partecipazione nel
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Telefoni Dopo le tormentate vicende estive, il ceo prova a risalire la corrente
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Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Monte dei Paschi di Siena, spinge Telecom Italia a fare in fretta e le sinergie con Tim Brasil ci sono. Ma
Patuano ha tutto l'interesse a capire bene prima di procedere. Senza salti nel buio.
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Foto: Telecom Marco Patuano
Foto: Messico Solomon Trujillo
13/10/2014
Corriere Economia - N.33 - 13 ottobre 2014
Pag. 6
Il doppio passo (ancora falso) di Wind e H3G
f. tam.
L'imprevisto, e imprevedibile, avvicinamento tra Cina e Russia nella mappa della geopolitica mondiale poteva
far immaginare che lo stallo nelle trattative tra H3G e Wind potesse essere superato. Non è andata così e
ognuna delle due società continuerà a giocare da sola. Il capitolo è chiuso.
Entrambe, del resto, hanno azionisti che non risultano turbati dal fardello pesante d'investimenti fatti e debiti
da smaltire. Il magnate cinese Li Ka Shing ha investito nel lancio di H3G una somma record: 13 miliardi di
euro. In cambio ha conquistato circa 10 milioni di clienti nella telefonia mobile e, da quest'anno, non brucia
più cassa perché sta raggiungendo il pareggio operativo. Ora il piano triennale 2015-2017 presentato
dall'amministratore delegato Vincenzo Novari prevede di aggiungerne altri 2 milioni , con la volontà di puntare
al traguardo dei 15 milioni. Il gruppo, in Europa, è presente anche in altri paesi come Austria, Irlanda,
Inghilterra con lo stesso marchio, la stessa strategia di prodotto e politiche commerciali aggressive, con
sconti di prezzo che rompono le uova nel paniere dei principali concorrenti, a partire da Telecom Italia.
I proprietari attuali di Wind hanno rilevato la società dall'egiziano Naguib Sawiris investendo 6,8 miliardi di
euro (ma nel pacchetto c'erano anche altre attività di tlc in paesi in via di sviluppo), a cui si aggiungono debiti
in gran quantità, pari ad oltre 9 miliardi di euro. Nella compagine societaria le partecipazioni di controllo sono
spartite tra il russo Mikhail Fridman e la norvegese Telenor, colosso pubblico delle tlc.
La dote di Wind è rappresentata da 23 milioni di clienti nella telefonia mobile, pari ad una quota di mercato
nel consumer intorno al 28 per cento, inferiore di poco a quelle di Telecom Italia e Vodafone. Nonostante ciò
l'ultima riga del conto economico resta in rosso, con una previsione di perdite nell'anno in corso di circa 400
milioni, pur con una redditività del 39 per cento sui ricavi nel 2014 e un cash flow operativo intorno a 1
miliardo di euro.
Profondo rosso che diminuirà significativamente nel 2015 grazie alla forte riduzione degli oneri finanziari da
900 milioni all'anno a circa 540 milioni, ottenuta rinegoziando il debito tre mesi fa, con un risparmio intorno a
360 milioni ogni anno.
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Foto: H3G Li Ka Shing
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Alleanze
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Ricca «Dobbiamo trasformare le nostre eccellenze in crescita»
Solo due gruppi in classifica. E l'immagine del Paese ne risente I marchi vincenti sono quelli che anticipano le
esigenze dei clienti
isidoro trovato
C ome se 40 anni fa un'azienda non avesse avuto il numero di telefono. Allo stesso modo oggi un'industria di
qualsiasi settore che vuole competere tra le prime al mondo non può fare a meno della tecnologia. La
classifica (realizzata da Interbrand) sui 100 marchi più redditizi al mondo è chiara: la new economy batte
ampiamente la old economy.
La nuova specie
Fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile per chiunque scalzare dal primo posto Coca-Cola. Oggi a
contendersi lo scettro sono Google, Facebook, Apple e non a caso la prima azienda cinese a entrare a far
parte del prestigioso club dei magnifici cento, è la Huawei, un'azienda altamente tecnologica e innovativa. È
come se in pochi anni si fosse sviluppata una nuova specie, vincente, di imprese destinate a dominare,
grazie alla tecnologia.
«Si tratta ormai di un fattore discriminante di successo - spiega Manfredi Ricca, managing director della sede
italiana di Interbrand -. Oggi vincono i brand che rendono il business più personalizzato e per farlo devi
servirti di elettronica e informatica. Lo stanno facendo anche multinazionali trasversali come Nike che sempre
di più investe in elettronica applicata per misurare la performance sportiva. Lo ha fatto anche Audi con la sua
auto che si guida da sola, insomma senza innovazione tecnologica le aziende oggi non riescono a compiere il
grande balzo in avanti del fatturato».
Negli anni '70 erano apparsi i giapponesi come nuovi protagonisti della scena mondiale (con brand come
Sony e Toyota), negli anni '90 è toccato ai coreani (con Lg, Samsung, Hyndai), oggi è arrivato il momento dei
cinesi? «Ovviamente - conferma Ricca - Huawei è solo l'avamposto una serie di realtà che moltiplicheranno
presto il loro valore. Da tutti i brand di successo la gente si aspetta che anticipino i loro gusti e i loro bisogni.
Per farlo, le imprese innovative creano un ecosistema di prodotti che parlano tra di loro. In tal senso credo
che nei prossimi anni, assisteremo a un'ulteriore escalation di Samsung che produce una gamma molto
ampia di prodotti: in un futuro molto prossimo li metterà tutti in connessione tra di loro sviluppando servizi e
offerte tecnologiche». La classifica, è bene ricordarlo valuta i brand in base al loro valore, nello specifico: la
performance economica dei prodotti o servizi contraddistinti dal brand, il ruolo del marchio nel processo di
scelta e di acquisto da parte della clientela e la sua forza nel generare margini nel tempo.
Il tetto di cristallo
Parametri che rappresentano una sorta di soffitto di cristallo che taglia fuori realtà dal brand molto forte in
termini di notorietà ma non altrettanto solide in quanto a numeri di fatturato, produzione e ricavi. Alla luce di
ciò troviamo solo due le realtà italiane in classifica: Gucci (che comunque oggi è in mano a un gruppo
francese) e Prada. È solo un caso che siano due aziende a basso impatto tecnologico? «No, non è un caso ammette Ricca - l'Italia circa 30 anni fa ha perso il treno dello sviluppo tecnologico e oggi ne paga ancora le
conseguenze. Negli anni 80 Olivetti teneva testa a Ibm, poi tutto si è sfaldato. In realtà abbiamo ancora start
up innovative capaci di essere competitivi sul mercato globale, ma si tratta sempre di realtà molto piccole».
In compenso nel mercato moda, lusso e design il made in Italy resta un esempio per tutti ma con numeri
sempre bassi per emergere in una classifica come questa. «Ciò che fa più rabbia è assistere all'incapacità
italiana di aggregarsi e fare gruppo- sbotta il manager -. Non a caso il nostro paese ha prodotto realtà come
Bulgari, Brioni, Pomellato e Gucci che sono andate ad aggregarsi in un grande polo del lusso, però francese
e non italiano». E così oggi quelle che vengono percepite in tutto il mondo come eccellenze del made in Italy,
battono bandiera francese.
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L'intervista Parla il managing director Italia. «Vince la personalizzazione»
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Foto: Si apre l'era dei cinesi: Huawei è solo la prima di tante realtà pronte a sbancare sui mercati
internazionali grazie all'innovazione tecnologica
Foto: Analisi Manfredi Ricca, managing director della sede italiana di Interbrand
13/10/2014
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Pag. 24
«Le cedole azionarie? Una via maestra se tutto tende a zero»
Il Giappone è la Borsa preferita: gli effetti dell'Abenomics sono ancora da vedere
GiUDITTA MARVELLI
i dividendi azionari sono una delle vie da percorrere con più convinzione quando, come ora, i tassi sono molto
bassi, l'inflazione è congelata e le politiche economiche delle banche centrali del mondo vanno in ordine
sparso e in direzioni opposte. «In un contesto di rendimenti reali modesti, i dividendi dovrebbero continuare a
rappresentare una componente rilevante delle performance complessive delle azioni». Della necessità di
questo schema di ragionamento per chi investe (e può permettersi di affrontare il rischio collegato alle Borse)
è convinta Elizabeth Corley, dal 2012 amministratore delegato di Allianz Global Investor, big internazionale
del risparmio gestito con oltre 370 miliardi di asset in tutto il mondo.
Corley, inserita da tempo nella lista delle donne più importanti della finanza e scrittrice di libri gialli nel tempo
lasciato libero dai mercati (i suoi romanzi sono tradotti in diverse lingue, ma non in italiano) ha parlato degli
scenari futuribili delle Borse e delle economie durante una visita a Milano.
«Penso che la fine delle operazioni della Federal Reserve per sostenere i mercati potrebbe anche arrivare
prima del previsto. Ma molto dipenderà dai dati: Janet Yellen e i suoi saranno molto prudenti e solo se
vedranno reali segni di cambiamento daranno il via alla crescita dei tassi Usa». Che, in ogni caso,
difficilmente saliranno prima del 2015. Nel resto del mondo, a cominciare dall'Europa, le cose vanno
diversamente, con l'economia che stenta e le banche centrali che programmano la continuazione e non la
fine delle iniezioni di liquidità.
Corley esprime ancora apprezzamenti per i Btp italiani e anche per i titoli di Stato francesi. «Ma le Borse ribadisce - sono comunque l'asset più interessante dal nostro punto di vista». La volatilità in aumento crea
diverse occasioni di investimento, che vanno prese e gestite. Tra le opportunità del momento in cima alla
classifica di Allianz c'è il Giappone: gli effetti della Abenomics, la politica accomodante del tandem governoBank of Japan, devono ancora dispiegarsi e la svalutazione dello yen accompagna gli sforzi del gigante
nipponico per rimettersi sul sentiero della crescita.
Quanto alla Cina, Corley pensa che sia sempre un luogo molto interessante per chi investe e non solo:
«Siamo costruttivi su Pechino, soprattutto nel lungo periodo. La crescita per adesso si fermerà al 7% e lo
sforzo del governo dovrebbe essere quello di rifocalizzarsi sui consumi interni e non più solo sull'export».
L'autunno dei rendimenti azzerati potrebbe continuare ad essere una stagione d'oro per l'industria dell'asset
management, visto che la ricerca della performance è decisamente più complicata di qualche anno fa. Il buon
andamento della raccolta in tutta Europa testimonia che l'attenzione per la gestione attiva è alta. «Sì, è vero. I
fondi hanno attraversato per ora la crisi meglio di quanto non abbiano fatto le banche. Ma adesso toccherà a
loro affrontare gli adeguamenti normativi che la tempesta finanziaria ha imposto al le istituzioni creditizie»,
dice Corley. Regole diverse, perché diverso è il business dell'asset management. Ma comunque costose e
quindi impegnative per il sistema. Soprattutto per le aziende piccole e innovative.. «Una buona regola fa
sempre bene al mercato - dice la manager - Ma in questo momento credo che le nuove iniziative nel campo
dell'asset management abbiano davanti una strada in salita proprio per la gravosa prospettiva degli impegni
normativi». Il compito dell'industria, secondo Corley, è connettere in modo sempre più efficiente il risparmio
privato e il mercato dei capitali. Ed è impossibile farlo se non si accetta, in modo proporzionale alle proprie
possibilità, la sfida del mercato globale.
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Foto: Allianz Global Investor Elizabeth Corley, ceo del gruppo dell'asset management con 370 miliardi di
patrimonio
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Il punto
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Al limite dell'USURA
Roberta Castellarin e Paola Valentini
Ecco i tassi effettivi pagati da famiglie e imprese e rilevati da Bankitalia su tutto il sistema bancario. Come
difendersi? In Italia finanziarsi allo sportello costa ancora troppo, nonostante l'Euribor a tre mesi sia sotto lo
0,1%. Una recentissima analisi di Banca d'Italia rivela che ad agosto il tasso medio applicato, per esempio,
alle famiglie che hanno fatto ricorso al credito al consumo si è attestato al 9,34%. Mentre per chi va in rosso
sul conto il tasso medio è stato del 4,89%. Ancora, per le imprese non finanziarie che hanno chiesto prestiti
fino a un milione di euro il tasso medio è risultato del 3,97%. Insomma, non sorprende che non ci sia la corsa
di famiglie e imprese per chiedere i 23 miliardi di euro erogati alle banche dalla Bce di Mario Draghi in
occasione della prima asta Tltro dello scorso settembre. Peraltro si tratta di finanziamenti concessi agli istituti
di credito a tassi quasi nulli (0,15%) proprio per essere impiegati nell'economia reale. Logico quindi attendersi
che i costi applicati a loro volta dalle banche ai clienti non siano alti.E invece no. D'altronde i tassi fissati per
legge (a partire dai tassi effettivi medi di mercato, Tegm, rilevati trimestralmente dalla Banca d'Italia presso i
singoli intermediari finanziari) al di sopra dei quali scatta l'usura arrivano ancora a superare il 24%. È il caso
per esempio degli scoperti senza affidamento fino a 1.500 euro, che per il quarto trimestre prevedono un
tasso-soglia del 24,18% annuo. Ciò vuol dire che una banca potrebbe arrivare ad applicare tale costo del
denaro senza ricadere nell'usura. Nei crediti personali i tassi massimi arrivano al 19,15%.E non va meglio a
chi va in rosso con il fido. Le aperture di credito in conto corrente possono arrivare a costare il 18,525% fino a
5 mila euro, il 16,6% oltre 5 mila euro. Su livelli simili sono gli altri finanziamenti per famiglie e imprese: qui il
tasso-soglia è fissato al 17,36%. Per gli sconti commerciali delle fatture si può andare oltre il 15%. I tassi
medi applicati effettivamente sul mercato sono inferiori, ma restano comunque molto spesso a doppia cifra.
Le banche si giustificano dicendo che a chiedere i finanziamenti oggi sono i soggetti più a rischio e quindi
occorre cautelarsi. Ma anche quando il prestito è garantito dallo stipendio o dalla pensione gli spread applicati
sono alle stelle. Nel caso della cessione del quinto dello stipendio o della pensione la soglia d'usura per
importi fino a 5 mila euro è del 19,2%, per importi superiori del 18,3%. Va notato che si tratta di numeri
calcolati in base alle rilevazioni sul mercato condotte nel secondo trimestre del 2014, perché così prevede la
legge, però anche andando ad analizzare i prospetti aggiornati dei prestiti oggi offerti ai privati dalle banche la
situazione non cambia. Nel caso del Prestito Multiplo di Intesa Sanpaolo il tasso annuo nominale (Tan) può
arrivare al 9,95% e il Taeg, ossia il costo complessivo del prestito, al 10,9%. Quindi chi chiede 15 mila euro
da rimborsare in 72 mesi avrà un costo totale del credito pari a 5.290 euro. Perfino i finanziamenti con
cessione del quinto dello stipendio si rivelano piuttosto costosi, pur avendo garanzie molto elevate. Per legge
infatti il lavoratore deve costituire un vincolo a favore della banca sul Tfr, destinato a garantire il rimborso in
caso di cessazione del rapporto di lavoro. È necessaria anche la stipula di una polizza contro il rischio di
perdita del lavoro e il caso morte.I documenti del prestito per la cessione del quinto dello stipendio del
Credem riportano un Taeg del 17,69% e un Tan del 10,08% per un importo di 12.500 euro da rimborsare in
120 mesi. Chi si rivolge all'offerta online può ottenere condizioni più vantaggiose, ma che comunque
superano un Taeg del 6,5%. Il miglior prestito presente sul sito prestitionline.it per un impiegato di 35 anni
che chiede 20 mila euro per comprare l'auto prevede un Taeg del 6,54% per chi si indebita per 60 mesi.
Anche sul fronte delle imprese i tassi sopra i quali scatta l'usura sono ancora molto alti perché partono da un
tasso medio applicato nel secondo trimestre elevato. Gli anticipi e gli sconti commerciali venivano per
esempio concessi nel secondo trimestre a un tasso medio dell'9,3% fino a 5 mila euro), dell'8,11% da 5 mila
a 100 mila e al 5,47% oltre 100 mila euro, quindi la soglia d'usura è rispettivamente fissata al 15,6, 14,13,
10,8%. Se questa è la fotografia di quanto avveniva fino a fine giugno, oggi dalle note informative i tassi
massimi applicati restano per i prestiti a medio termine intorno al 10%, si tratta di uno spread notevole. Che
disincentiva il ricorso al credito, nonostante l'Italia arrivi da tre anni di contrazione dei prestiti. Un'analisi di
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Perché non c'è domanda nonostante le banche abbiano liquidità Bce a basso costo PRESTITI
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Unimpresa ha infatti calcolato che negli ultimi tre anni il credito bancario alle imprese ha subito una
contrazione pesantissima: di quasi 70 miliardi di euro. Mentre le famiglie hanno visto ridursi i finanziamenti di
14 miliardi. Da luglio 2011 a luglio 2014 i prestiti al settore privato da parte delle banche è diminuito
complessivamente di 83,1 miliardi (-5,49%) passando da 1.513 a 1.430 miliardi. «Con questi dati intendiamo
rispondere ai banchieri, che per giustificare la stretta ai rubinetti del credito puntano il dito contro le aziende
sostenendo che la colpa è del cavallo che non beve: la realtà è diversa e racconta di una sistematica azione
voltaa ridurre drasticamente l'offerta di liquidità allo sportello», commenta il presidente di Unimpresa Paolo
Longobardi. Sempre da uno studio di Unimpresa emerge che il credito bancario è sempre più caro e anche
nel caso di presenza di garanzie statali: possono arrivare a sfiorare il 20% infatti gli interessi e i costi
complessivi a carico di una pmi che chiede denaro in banca sfruttando il Fondo centrale di garanzia e i
Confidi. Ai tassi standard sulla somma richiesta vanno aggiunte molte altre voci: le spese di gestione della
pratica, la quota associativa da pagare alle associazioni collegate ai Confidi, le garanzie sulla copertura
assicurata dagli stessi Confidi, il fondo cauzione una tantum e quello annuale. Voci che, sommate, pesano
fino al 19,58% per una piccola linea di credito. «Abbiamo analizzato migliaia di casi e vogliamo portare
all'attenzione del governo Renzi una situazione ormai non più sopportabile: per rimettere in moto il motore del
credito serve un intervento drastico», aggiunge Longobardi. «Le garanzie pubbliche sono importanti e vanno
rese più accessibili, altrimenti la massiccia dose di liquidità immessa nel mercato dalla Bce non potrà essere
sfruttata dalle pmi». Ma come viene fissato il tasso di usura? Dal 14 maggio 2011 il limite oltre il quale gli
interessi sono ritenuti usurari è calcolato aumentando il Tasso effettivo globale medio (Tegm) di un quarto e
aggiungendovi un margine di quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può
inoltre essere superiore a otto punti percentuali. Tale metodo è stato introdotto dal decreto 70/2011, che ha
modificato la legge 108/96 che determinava il tasso soglia aumentando il Tegm del 50%. Il Tegm risulta dalla
rilevazione effettuata ogni tre mesi dalla Banca d'Italia per conto del ministro dell'Economia. La Banca d'Italia
ha fissato i criteri per calcolare in modo omogeneo il Tegm che gli intermediari devono inviarle ogni tre mesi. I
Tegm relativi a categorie omogenee di prestiti e dei relativi tassi soglia applicabili ciascun trimestre sono
pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e sui siti di Banca d'Italia e ministero dell'Economia. La Banca d'Italia ha il
compito di controllare che i tassi dei prestiti di banche e società finanziarie non superino la soglia d'usura.
Nella tabella pubblicata a pagina 14 sono riportati i tassi soglia validi per il trimestre in corso elaborati in base
ai Tegm registrati nel secondo trimestre 2014. Il Tegm è, assieme al Tasso annuo effettivo globale (Taeg), un
indicatore del costo reale di un prestito e spesso i due coincidono. Nel Tegm sono comprese le commissioni
di qualsiasi tipo e ogni spesa accessoria (a esclusione di imposte e tasse e agli interessi di mora) e si
riferisce agli interessi annuali praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari per operazioni della stessa
natura. Invece nelle note informative dei finanziamenti è indicato il Taeg. Il calcolo di Taeg e Tegm risponde a
criteri differenti: alcuni costi sono inclusi nel Taeg e non nel Tegm (per esempio, le imposte) e i costi
assicurativi sono trattati in maniera differente. Il Taeg rappresenta il costo totale del credito in percentuale
annua rispetto al capitale erogato e comprende gli interessi e tutti gli altri costi, compresi eventuali compensi
di intermediari del credito, imposte, commissioni e altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il cliente è
tenuto a pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza. Sono esclusi dal
Taeg i costi di coperture assicurative facoltative e gli interessi di mora. «Gli elementi che entrano nel calcolo
di Taeg e Teg sono molto simili, ma ciò che più importa è che, essendo il Teg un dato storico relativo
all'insieme dei finanziamenti già erogati, il parametro corretto per valutare una proposta di prestito nel credito
al consumo è il Taeg, in quanto è un dato preventivo calcolato sul singolo finanziamento personalizzato in
base alle richieste del cliente», spiega Roberto Anedda, direttore marketing di PrestitiOnline.it. Nei prospetti è
riportato anche il Tan (Tasso annuo nominale), ovvero il tasso in percentuale annua rispetto al capitale
erogato, che però non comprende spese e imposte. (riproduzione riservata)
UN CAMPIONE DI PRESTITI PERSONALI OGGI IN VETRINA -1 Le condinzioni di un campione di prestiti
personali a tasso fisso
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GRAFICA MF-MILANO FINANZA INTESA SANPAOLO UNICREDIT Importo Prestito multiplo Prestito
personale Creditexpress Durata Tan Taeg 15.000 euro 72 mesi 9,95% 10,9% Importo Durata Tan Taeg
20.000 euro 60 mesi 13% 14,99% Importo Durata Tan Taeg 10.000 euro 60 mesi 9,47% 11,14% Versatilo Prestito ordinario Tuttofare Importo Durata Tan Taeg 10.000 euro 48 mesi 10,95% 12,82% BANCO
POPOLARE Importo Durata Tan Taeg 20.000 euro 48 mesi 13,18% 14,28%* Prestito ordinario * In caso di
polizza diventa 16,77% UBI BANCA BANCA MPS
ANCORA ELEVATI I TASSI EFFETTIVI E I TASSI DI USURA SUI PRESTITI PER FAMIGLIE E IMPRESE
Tassi effettivi globali medi su base annua, rilevati ai sensi della legge 108/96 - Valori percentuali GRAFICA
MF-MILANO FINANZA Tassi effettivi al 3° trim 2011 Tipo di operazione Tassi usura 1° trim 2012 Tassi
effettivi al 2° trim 2014 Tassi usura al 4° trim 2014 2012 2014 Classi di importo in euro Fonte: Banca d'Italia I
trimestri si riferiscono al periodo di applicazione Aperture di credito in conto corrente Scoperti senza
affidamento Anticipi e sconti Factoring Crediti personali Altri finanziamenti alle famiglie e alle imprese Prestiti
contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione Leasing autoveicoli e aeronavali Leasing
immobiliare a tasso fisso Leasing immobiliare a tasso variabile Leasing strumentale Credito finalizzato
Credito revolving Mutui a tasso fisso Mutui a tasso variabile fino a 5.000 oltre 5.000 fino a 1.500 oltre 1.500
fino a 5.000 da 5.000 a 100.000 oltre 100.000 fino a 50.000 oltre 50.000 intera distribuzione intera
distribuzione fino a 5.000 oltre 5.000 fino a 25.000 oltre 25.000 intera distribuzione intera distribuzione fino a
25.000 oltre 25.000 fino a 5.000 oltre 5.000 fino a 5.000 oltre 5.000 intera distribuzione intera distribuzione 11
9,31 14,56 13,97 6,88 6,59 4,49 5,68 4,08 11,32 10,31 13,05 11,05 8,89 7,38 6,74 4,4 8,73 5,78 12,12 10,38
17,13 12,02 4,68 3,43 17,75 15,6375 22,2 21,4625 12,6 12,2375 9,6125 11,1 9,1 18,15 16,8875 20,3125
17,8125 15,1125 13,225 12,425 9,5 14,9125 11,225 19,15 16,975 25,13 19,025 9,85 8,2875 11,62 10,08
16,18 15,13 9,3 8,11 5,47 6,83 4,54 12,12 10,69 12,17 11,44 7,15 7,2 6,62 4,63 8,52 5,58 12,35 9,68 16,98
12,89 4,85 3,66 18,525 16,6 24,18 22,9125 15,625 14,1375 10,8375 12,5375 9,675 19,15 17,3625 19,2125
18,3 12,9375 13 12,275 9,7875 14,65 10,975 19,4375 16,1 24,98 20,1125 10,0625 8,575
UN CAMPIONE DI PRESTITI PERSONALI OGGI IN VETRINA -2
GRAFICA MF-MILANO FINANZA Le condinzioni di un campione di prestiti personali a tasso fisso Importo
Durata Tan Taeg 10.000 euro 72 mesi 9,88% 11,27% COMPASS (Mediobanca) Importo Durata Tan Taeg
10.000 euro 72 mesi 7,49% 7,76% Liberata Prestito click BANCOPOSTA Importo Durata Tan Taeg 10.000
euro 72 mesi 8,76% 9,12% Prestito online Prestito personale Offerta valida fino al 31 nov '14 - 66 rate
Importo Durata Tan Taeg 11.100 euro 48 mesi 11,08% 13,09%* *Se polizza assic. facoltativa sarà 17,97%
FINDOMESTIC Importo Durata Tan Taeg 8.000 euro 48 mesi 8,95% 9,49% Prestito personale FINECO
SANTANDER CONS. B.
I PRESTITI PER LA CESSIONE DEL QUINTO DELLO STIPENDIO
GRAFICA MF-MILANO FINANZA Le condinzioni di un campione di prestiti personali a tasso fisso Importo
Durata Tan Taeg 12.500 euro 120 mesi 10,08% 17,69% CREDEM Importo Durata Tan Taeg 13.516 euro 72
mesi 9,89% 10,43% Prestito dipendenti pubblici INTESA SANPAOLO Importo Durata Tan Taeg 16.000 euro
120 mesi 7,39% 7,65% Offerta valida fino al 31 ottobre 2014 FINDOMESTIC Importo Durata Tan Taeg
17.000 euro 120 mesi 5,40% 7,43% Offerta valida fino al 31 ottobre 2014 Esempio riferito a un dipendente di
azienda privata di 55 anni di età Esempio riferito a un dipendente Mef di 45 anni e 15 anni anzianità Esempio
riferito a un dipendente pubblico di 35 anni e 15 anni anzianità Esempio riferito a una dipendente pubblica di
40 anni e 10 di anzianità IBL BANCA
QUANTO POSSONO COSTARE I PRESTITI PER LE IMPRESE
GRAFICA MF-MILANO FINANZA Le condinzioni di un campione di prestiti per le imprese a tasso fisso
Importo Durata Tan Taeg 250.000 euro 60 mesi 9,4% 10,97% Presto Impresa INTESA SANPAOLO Importo
Durata Tan Taeg 20.000 euro 12 mesi 13,35% 16,39% Supercash rotativo acquisti e scorte UNICREDIT
Importo Durata Tan Taeg 300.000 euro 48 mesi 8,5% 10%* Prestito ordinario aziende UBI BANCA Importo
Durata Tan Taeg 100.000 euro 60 mesi 8,67% 9,68% Finanziamento a m/l termine aziende Finanziamento a
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medio termine Ordinario * In caso di polizza diventa 16,77% BANCA MPS
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Paolo Panerai
Matteo, Signor Presidente del Consiglio, sa come funziona la legge sull'usura in Italia? Sa che il livello in cui
scatta il reato di usura è mobile e di fatto senza limiti? Non ci crede? Il metodo di calcolo che affida alla
Banca d'Italia il compito di fissare per i differenti tipi di finanziamento il tasso massimo al di là del quale
diventa usura è stato introdotto dal decreto legge 70/2011, che ha modificato l'art. 2, comma 4 della legge
108/96. Il calcolo da fare è questo: la Banca d'Italia rileva ogni trimestre il tasso medio effettivo per ciascuna
categoria, lo aumenta del 25% e aggiunge a questa soglia quattro punti base. Il risultato mette paura: tassi
che, per esempio, per lo scoperto senza affidamento possono arrivare a essere usura quando sono pari al
24,16% fino a uno sconfino di 1.500 euro. Sa qual è il tasso medio effettivo applicato nell'ultimo trimestre? Il
16,18%. Certo, lontano dall'usura: ma comunque enormemente alto. Si dirà, ma quando una persona o una
società sconfina è giusto che paghi per così dire l'infrazione. Bene: vediamo com'è la situazione per i crediti
personali senza limite di importo: il tasso medio effettivo è il 12,12%, il tasso soglia dell'usura ben il 19,15%;
eh sì, perché più alto è il tasso effettivo e più alto in assoluto è il 25% da aggiungere con in più i 4 punti base.
In ogni caso il campionario di questi tassi effettivi che, se non ci fosse la citata legge, non potrebbero non
essere considerati di usura, è ben dettagliato all'interno di questo giornale, nell'inchiesta di Paola Valentini e
Roberta Castellarin. Non solo agli occhi di cittadini e imprenditori ma ancor più a quelli degli esperti questi
tassi vengono ritenuti quasi usura, perché a tutti è noto che il tasso di sconto presso la Bce non è stato mai
così basso come oggi, cioè lo 0,15%. Ed è altrettanto noto che la banca centrale guidata da Mario Draghi sta
di fatto concedendo alle banche tutta la liquidità che vogliono. Come mai allora le banche si sentono
autorizzate a praticare tassi effettivi tanto alti, che nel calcolo di Bankitalia sono medi, cioè frutto di tassi più
bassi ma anche di tassi ben più alti, probabilmente vicini all'usura? La risposta di un onesto bancario che ha
parlato su queste colonne la settimana scorsa i lettori la conoscono già ma vale la pena ripeterla: oggi il
cavallo sano non beve, nel senso che le aziende che vanno bene (e per fortuna ce ne sono soprattutto fra gli
esportatori) non hanno bisogno di denaro, ma sono a loro che le banche concedono linee di credito cospicue;
non tirando denaro le banche non incassano il differenziale di tasso fra quello di raccolta e quello che pagano
i debitori, che per quanto contenuto trattandosi di aziende sane e liquide produrrebbe comunque un utile; a
chiedere denaro sono invece le altre due categorie di aziende: quelle che non vanno bene ma che possono
riprendersi, e quelle che invece sono vicine al default. A queste ultime le banche non fanno proprio credito o,
sostenendo che sono ad altissimo rischio, lo prestano a tassi vicini all'usura; a quelle sul filo del rasoio le
banche fanno credito, ma a tassi molto alti, anche se non vicini all'usura. È evidente che una spirale perversa
come quella che si è innescata porta inevitabilmente alla recessione, alla deflazione e alla fine al fallimento di
un Paese con sommovimenti di folla per la disoccupazione e la miseria. Come si può evitare il disastro?
Intanto rottamando la attuale legge per il calcolo delle soglie di usura. Il presidente Renzi è il re dei
rottamatori e quindi non può farsi sfuggire una norma così distorcente e iniqua nel contesto attuale del costo
del denaro per le banche e della liquidità di cui dispongono. Naturalmente non si tratta di scaricare il fardello
sulle banche, perché già ne hanno non pochi da sopportare. Ma c'è da riflettere su una modifica normativa,
che stabilisca che la base di calcolo non deve essere il tasso medio effettivo ma il tasso corrispondente al
costo della raccolta. Se il denaro costa così poco (anzi quasi zero) come mai è costato, non è corretto che le
banche ne approfittino al punto in cui avviene oggi. Con il che, in primo luogo, si spingono le banche a una
maggiore efficienza. Efficienza che deve derivare anche da un completo cambiamento di regole interne
imposte alle banche dalle banche centrali nazionali. È noto che oggi a comandare sono i signori dei crediti e
in particolare dei crediti problematici; il potere che la banca centrale nazionale ha affidato a questi signori è
tale che contano in molti casi più dei direttori generali e degli amministratori delegati. Con la generazione di
fenomeni distorsivi e corruttivi. Ma soprattutto con una via univoca alla valutazione del rischio di un'azienda:
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ORSI & TORI
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cioè il freddo calcolo attraverso il computer dei dati di quella società per arrivare, con la formuletta magica, al
rating. Senza nessuna conoscenza o senza nessun interesse a conoscere i programmi dell'azienda, la
qualità di chi la gestisce, il contesto di mercato in cui opera. Qui non si dice che devono essere tagliati i
margini delle banche, che costituiscono un ganglo fondamentale del sistema. Ma si dice che, richiamando i
capi degli istituti di credito a misurarsi sull'efficienza, operazione che diventa obbligatoria partendo dal costo
della raccolta e non dal tasso effettivo applicato, si rendono davvero sane le banche e si ottiene anche un
respiro per le aziende che chiedono credito per salvarsi, perché i tassi che dovranno pagare saranno
sicuramente più bassi di quelli che pagano, che essendo altissimi non fanno altro che spingere sempre più
verso il baratro le aziende che già sono pericolanti. Si dice che le crisi hanno l'effetto darwiniano di pulire il
mercato: è vero, ma quando la crisi dura, ininterrotta e sempre più grave da ormai sette anni, o si decide di
far ripartire un ciclo positivo aiutando chi può ancora produrre e quindi generare ricchezza e creare posti di
lavoro, oppure si spingerà sempre più verso il baratro aziende che hanno tutte le risorse umane, di prodotto,
di management per essere salvate. Quindi, il primo passo, mentre il Parlamento dovrà approvare una legge
per il calcolo delle soglie di usura basato sui costi di raccolta e non sul tasso effettivo medio praticato, la
prima mossa la deve fare Bankitalia. Non basta che il serio governatore Ignazio Visco dichiari, come ha fatto
più volte, che nelle banche servono sempre di più uomini capaci di valutare le capacità di ripresa delle
diverse società. In pratica Visco dice che ci vogliono bancari e banchieri che hanno il gusto di scoprire il vero
volto e le reali potenzialità delle aziende, entrandoci dentro, dialogando, e non fermandosi solo ai numeri del
computer per far uscire il numerino magico del rating. Sì, ma se non vengono ricondotti nell'ambito di una
governance corretta, che lascia il potere finale di decidere ai capi, le parole di Visco saranno parole al vento.
Perché il governatore Visco, sì, proprio lui in persona, non prova a fare un viaggio fra i centri produttivi della
Brianza? Lo spettacolo è desolante. Aziende che apparivano floride, robuste, con imprenditori orgogliosi del
proprio lavoro, sono oggi chiuse. Una confraternita che gestisce il servizio ambulanze, di un paese vicino a
Lecco, ha bisogno di garage più grandi. Appena si è sparsa la voce, le sono arrivate decine di offerte di
capannoni dove fino a poco tempo fa c'erano attività produttive e centinaia di operai impegnati nel lavoro.
Stanno andando male le aziende meccaniche; non parliamo delle aziende dell'abbigliamento: sì, potrebbero
anche vendere quanto vendevano prima, ma da almeno cinque stagioni non ricevono pagamenti dai negozi,
che poi in molti casi chiudono. In questo momento in Brianza lavorano solo le aziende di stampaggio per
l'industria automobilistica tedesca, ma stanno completando gli ultimi ordini, perché anche dalla Germania
arrivano, come ormai è chiaro, solo segnali di recessione e odore di deflazione. «Ho spesso difeso la politica
della cancelliera Angela Merkel », diceva in forma privata pochi giorni fa Federico Ghizzoni, amministratore
delegato di Unicredit e quindi il più internazionale dei banchieri italiani, «oggi non posso più farlo: oggi ci sono
in Germania tre o quattro centri di ricerca che stanno attaccando frontalmente la politica della Merkel.
(continua a pagina 4) segue da pagina 3 Non si capisce come con quel surplus di bilancia dei pagamenti non
si facciano investimenti pubblici e privati, anche nelle infrastrutture piuttosto vecchie. Se si facessero, la
macchina si rimetterebbe in moto». In conclusione, sembra oggi palese che il governo tedesco preferisca la
recessione e la deflazione allo sviluppo. Ma questa non è una novità. Una novità è invece che Unicredit, dopo
aver tirato capitali importanti dalla Bce, si sia deciso a fare quanto Visco auspicava senza aspettare che
Bankitalia corregga la governance. Un piccolo esercito di varie centinaia di uomini e donne con la migliore
preparazione all'interno della banca sta per fare un nuovo mestiere, definibile di fatto consulente delle
aziende. Per conoscerle, sostenerle, aiutarle con una rettifica dei rating che indicherebbero zero credito.
Naturalmente, occorre che le aziende abbiano risorse umane, tecniche e manageriali per potersi salvare.
Comunque verso queste aziende, che Unicredit ha già classificato, il rischio della banca aumenterà, ma se
non aumenta diminuiranno sempre più drasticamente i posti di lavoro, quindi anche i clienti della banca. Da
sopra o da sotto, la spirale perversa va interrotta, e gli strumenti per limitare il rischio ci sono: nella bella
super torre di Unicredit, nel nuovo centro direzionale di Milano, stanno pensando di attivare sempre più
l'assicurazione del credito, anche a costo di pagarne la banca il costo. Una polizza di assicurazioni del resto
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che cos'è, se non una ripartizione del rischio su più soggetti? Applicare il principio assicurativo in modo
scientifico ai crediti (ed esistono compagnie più che specializzate in questo campo, a cominciare dalla Sace
in odore di essere privatizzata) può essere un primo passo per invertire il ciclo. C'è da augurarsi che Unicredit
lo faccia e che le altre banche lo imitino. Ma c'è anche da augurarsi, Signor Presidente del Consiglio, che fra
le riforme urgentissime da attuare ci sia una legge (o perché no, un decreto legge) per modificare un metodo
di calcolo delle soglie di usura che poteva andare bene quando non c'era la crisi e che oggi, nella più grave
crisi che si ricordi almeno per durata, genera distorsioni gravissime e soprattutto una scollatura fra quanto la
gente apprende dalla bocca di Draghi e quanto poi si trova a leggere negli estratti conti delle banche. Oggi
nelle banche serpeggia il terrore: per riportare serenità e per riportare le banche a fare bene il loro mestiere
non basta che la Bce, nonostante l'opposizione irriducibile di alcuni irriducibili tedeschi, offra denaro a basso
costo, anzi quasi senza costo. Occore la riforma della governance che il governatore Visco deve avere il
coraggio di varare, per essere consequenziale con quanto auspica in termini di bancari e banchieri capaci di
valutare il merito del rischio senza il magico rating. Occorre che i capi delle banche, come sta facendo
Ghizzoni, si ingegnino per trovare metodi utili a finanziare soprattutto le aziende che ancora possono essere
salvate con i loro posti di lavoro. Occorre che il governo sappia riformare una legge sull'usura che
attualmente genera usura, che non può essere chiamata usura ma che usura è, vanificando gli sforzi di quel
San Sebastiano trafitto dalle frecce, che è Draghi. (riproduzione riservata) Paolo Panerai
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L'Eurozona riparte così
PADOAN: L'ITALIA DEVE RISOLVERE PROBLEMI VECCHI 20 ANNI IN PIENA RECESSIONE SCHAUBLE:
VANNO FATTE LE RIFORME. MA ORA OCCORRE LAVORARE ANCHE SULLA CRESCITA
Geoff Cutmore Cnbc
Larry Summers, accademico di Harvard ed ex segretario al Tesoro di Clinton, i ministri dell'Economia di Italia
e Germania, Piercarlo Padoan e Wolfgang Schauble, David Lipton, vicedirettore generale del Fmi, e Ian
Bremmer, presidente della dsocietà di analisi politica Eurasia Group, discutono a Washington, in occasione
dell'assemblea annuale del Fmi, su come l'Europa può ritrovare la strada della crescita. Grandi protagoniste
del dibattito, le riforme. Domanda. Il titolo della nostra discussione è «Un'agenda delle riforme per i leader
europei». In realtà su questa agenda si lavora da circa sei anni. Ma le posizioni sono sempre state
monolitiche. Da una parte c'è chi vuole più stimoli, dall'altra chi li rifiuta totalmente. Il Fmi ha appena
abbassato le prospettive di crescita; la Bce sta per varare nuovi interventi sul mercato. Padoan, da dove è
possibile far ripartire la crescita? Padoan. Dopo essersi concentrata sul consolidamento fiscale e sull'Unione
bancaria, l'Europa deve concentrarsi su crescita e creazione di posti di lavoro. È un momento molto difficile.
Mancano domandae offerta, bisogna lavorare su questi due aspetti contemporaneamente. Le riforme
strutturali giocano un ruolo fondamentale. L'Italia sta affrontando una sfida iniziata 20 anni fa, quando ha
cominciato ad accumulare ostacoli strutturali e vedere ridursi la produttività. Dobbiamo superare questi
ostacoli e dobbiamo farlo in un contesto recessivo. Per l'Italia è il terzo anno di recessione. Occorre una
strategia che vada oltre il breve termine. sia in Italia che in Europa, perché le riforme strutturali hanno bisogno
di tempo per essere votate e attuate Un processo lungo. D. Ma sono già passati sei anni. Chi le siede al
fianco, Wolfgang Schäuble, ha detto che la situazione cambierà quando Italia e Francia spingeranno sulle
riforme. Non abbiamo tempo di aspettarle. La crescita serve ora. Dr. Schauble, il ministro Padoan le chiede
tempo. Schäuble. Non metterei così le cose. La discussione in Europa non è su questi livelli. Abbiamo detto
più volte che dobbiamo fare le riforme. Ora dobbiamo spingere anche sulla crescita, e lo faremo. Da europei
abbimo una responsabilità comune nei confronti dell'economia globale. Ma questa crisi è nata negli Usa.
Quando è arrivata da noi ha intaccato la fiducia nei confronti dell'euro, usato in 18 Paesi con politiche
economiche diverse. Per questo i problemi sono complessi. Non è una diatriba tra i governi italiano e quello
tedesco. D. Poco tempo fa Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ci ha detto di aver visto
pochi se non nessun cambiamento negli ultimi anni. Perché, Padoan? Padoan. Vorrei ricordare che in Italia il
Senato ha appena dato la fiducia al Jobs Act. Per noi è un grande passaggio, non è finita perché ovviamente
deve passare dalla Camera. Però per noi è un grande passo avanti.È un primo passaggio, poi bisogna
attuare altre di queste riforme per vedere i risultati. D. Schäuble, che cosa bisognerebbe fare per rilanciare la
crescita? Schäuble. A un recente incontro, organizzato proprio dal ministro Padoan a Milano, abbiamo deciso
di perseguire una crescita sostenibile in Europa. Siamo tutti d'accordo che sono necessari più investimenti,
più innovazione, più infrastrutture. Non è una questione individuale. Tutti devono aumentare gli investimenti e
su questo stiamo lavorando. D. Ma lei è d'accordo nel dare un po' più di flessibilità a quei membri che
dimostrano di aver lavorato bene sulle riforme? C'è margine per superare il limite del 3% del rapporto deficitpil? Schäuble. C'è già abbastanza flessibilità nelle regole europee. Nessuno chiede, non i francesi, non gli
italiani, di cambiare queste regole. È una questione di attuazione, come dice Padoan. Dobbiamo risolvere i
nostri problemi nei limiti di queste regole. Non ci sarà necessità di cambiarle. D. C'è qualche caso in Italia in
cui si è riusciti ad andare oltre le divisioni politiche? Padoan. Abbiamo fatto molto sul tema delle pensioni. Il
sistema italiano è diventato più sostenibile nel lungo termine. Adesso abbiamo piani ambiziosi, secondo
alcuni troppo. Io vorrei citare la riforma del mercato del lavoro che introdurrà cambiamenti per aumentare la
flessibilità, permetterà di assumere e soprattutto aprirà le porte ai giovani. In passato abbiamo cercato di
proteggere quelli che già avevano un lavoro e non abbiamo fatto molto per gli outsider. Oggi sarà più facile.
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INTERVISTA CONGIUNTURA
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D. Schauble, si può permettere una politica più espansiva in Europa anziché focalizzarsi sui deficit di ciascun
Paese come chiedono gli italiani? Schäuble. Per migliorare le prospettive di crescita va cambiato il modo in
cui si spende e la struttura del regime fiscale. D. Parliamo di investimenti pubblici, per farlo bisogna cambiare
le regole. Se possiamo dimostrare che investire nelle infrastrutture pubbliche, crea valore, forse si potrebbe
fare questo in Europa. Summers lei cosa pensa? Summers. L'Europa non funziona. In Giappone negli anni
'90 l'economia si è molto indebolita e i tassi di interesse si sono drasticamente abbassati. È quello che sta
succedendo anche in Europa. Bisogna cambiare questa politica, che non significa vivere per il presente
trascurando il futuro. Gestiti in maniera corretta, gli investimenti nelle infrastrutture pagano se stessi. D.
Schauble viene da un Paese preoccupato di dover finanziare il debito mal gestito di altri Paesi, che punta ad
avere conti in pareggio nel 2015 e crede che si debba spendere solo quello che si guadagna. Deve
convincere i cittadini tedeschi a essere un po' più flessibili. Come ci potrebbe riuscire? Summers. Ho già
abbastanza problemi con la politica americana per dire come gestire la politica tedesca. Schäuble ha ragione
a dire che c'è stato molto spreco, che se non controlli le spese e aumenti il debito poi finisci in una spirale
incontrollata. Quello che serve è una disciplina tedesca applicata a una strategia di crescita. La contabilità da
sola è inutile. Quando prevale uno scenario di tassi a zero, accompagnato da deflazione, occorre stimolare la
domanda.È un aspetto cruciale per la situazione europea. Prima prendiamo atto di questa situazione, prima
torneremo alla normalità. D. Qual è la posizione tedesca in merito? Schauble. Bisogna risolvere i problemi
senza ripetere gli errori del passato, passi falsi che hanno contribuito a creare l'attuale crisi. In Europa la
situazione è più complicata: non si può comparare con quella giapponese o americana. Gli europei devono
lavorare in modo ancora più unito. Tuttavia, come anche l'Fmi ha riconosciuto, abbiamo imparato ad agire in
modo condiviso negli ultimi due anni. Se la Germania cominciasse a dire all'Italia cosa fare, noi tedeschi
saremmo visti come arroganti. Vogliamo evitarlo. L'Europa è un modello per il mondo. Le nostre spese sociali
sono il doppio rispetto a quelle di Australia, Stati Uniti e Canada. L'applicazione delle soluzioni americane
potrebbe non essere adatta al contesto europeo. Quanto alle infrastrutture in Europa, abbiamo deciso di
chiedere alla Commissione e alla Bei una lista delle opportunità di finanziamento disponibili. D.E questi
investimenti come saranno finanziati? Schauble. Appena lo saprò, ve lo dirò. Faremo anche in Germania un
elenco simile. In Europa ci preoccupiamo sempre di come finanziare i progetti, ma non di come realizzarli.
Tale atteggiamento dovrebbe cambiare D.È possibile comparare la situazione europea a quella americana?
Summers. Comparare gli Stati Uniti con l'Ue è problematico. Se il South Dakota si fosse trovato in difficoltà,
non credo che Washington gli avrebbe voltato le spalle chiedendo al Fmi di intervenire.È quello che è
successo in Europa con la Grecia e non solo. Ciò crea dinamiche differenti tra le due sponde dell'Atlantico, a
partire dalle aspettative dei mercati. Quando l'Ue interverrà direttamente a garanzia degli investitori
internazionali per salvare uno Stato membro, il resto del mondo apprezzerebbe di più gli sforzi di
consolidamento. Schauble. Siamo grati al Fmi per l'aiuto, perché negli ultimi anni ci ha sostenuto nella
gestione della crisi. La pressione esterna era altissima, ma ci siamo riusciti. L'Irlanda ripagherà in anticipo i
prestiti al Fmi. Ma l'Europa non può dipendere del resto del mondo. D. Come si spiegano le resistenze in
seno alla Bce all'avvio di politiche espansive che il mercato attendee che altre banche centrali non hanno
faticato a mettere in campo? Schauble. L'Europa in questo ha fallito rispetto alla Fed. Se Mario Draghi fosse
a questo tavolo sarebbe d'accordo. Tutti i governi europei devono fare le riforme strutturali e rispettare la
crescita. La differenza tra noi e l'America è che abbiamo una politica monetaria unica ma 18 diverse politiche
fiscali. Ciò crea un problema di moral hazard. La Bce è totalmente indipendente. Ripeto le parole di Mario
Draghi il quale a Jackson Hole ha detto che la politica monetaria non può risolvere i problemi, sono i governi
nazionalia doverli risolvere. Più volte il governo tedesco ha chiesto modifiche ai Trattati, ma non si riesce a
ottenerle, e anche l'Italia sarebbe favorevole. Ci sono però altri Paesi membri molto riluttanti. È la nostra
realtà e in questa realtà questa base i problemi vanno risolti. D. Il limite, quindi,è non essere d'accordo con
voi? S c h a u b l e . No. L'idea è trovare un'int e g r a z i o n e e c o n o m i c a . Quella raggiunta alla fine
degli anni '80 è stata decisa prima dell'unificazione della Germania e non è dipesa dal volere tedesco. Si è
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deciso di raggiungere un'unione monetaria e un'unione politica e governativa. Siamo partiti con la prima, un
patto di stabilità e crescita e se devi rimanere in questo patto devi anche rispettarne le regole. Ci viene
chiesto passo dopo passo di applicarle, ma le condizioni devono essere uguali per tutti. D. Se la Francia,
però, viene declassata e dimostra di avere poca intenzione di adeguarsi ai patti fiscali, di quali investimenti
potrà beneficiare? Schauble. Abbiamo detto di essere d'accordo sugli investimenti concreti che abbiamo
chiesto alla Commissione europea, e Jean Claude Juncker ha appoggiato il programma sin dall'inizio. Prima,
però, deve essere votato in Parlamento. L'Europa funziona così:è un po' lenta e forse anche un po' difficile,
ma nel lungo termine riusciamo a raggiungere ciò che promettiamo. Anche nella crisi dell'euro abbiamo fatto
quello che avevamo promesso, contro ogni scommessa iniziale. Il Fmi non aveva fiducia in noi, ma abbiamo
dimostrato il contrario. Lo faremo anche per questo piano d'investimenti.A dicembre ne parleremo, ho
promesso che troveremo finanziamenti per qualsiasi intervento concreto. Il problema è che, se si guarda
all'Europa, alcune amministrazioni non si sono dimostrate in grado di usare questi fondi. D. Padoan vuole
commentare? Padoan. Per far partire gli investimenti servono progetti buoni, redditizi. Quando parliamo di
investimenti in Europa non dobbiamo pensare solo a quelli pubblici, ma anche a quelli privati. Bisogna quindi
mettere in atto delle misure che semplifichino, che facilitino, che possano aumentarei meccanismi di
finanziamento sia al settore pubblico, che a quello privato ed è quello che stiamo facendo in Italia. D. La
crescita oggi, se esiste,è diversa dal passato? Lipton. Abbiamo parlato di nuova mediocrità, come attuale
paradigma di crescita. Nonostante sia prevista una ripresa a livello globale ed europeo per il prossimo anno,
pensiamo che l'Europa possa fare meglio, ma non escludiamo possa fare peggio. In particolare, bassa
inflazione e bassa crescita potrebbero creare deflazione. La banca centrale ha cercato di fare tanto, ma per
avere successo dovrà applicare ulteriori misure, per esempio spingere le banche a rafforzarsi. Per quanto
riguarda la domanda aggregata, pensiamo ci sia margine di manovra attraverso la leva fiscale. Alcuni Paesi
hanno già agito in questo senso, altri dovranno farlo. Ma sappiamo che sarà difficile. Alcuni Paesi non fanno
quello che dovrebbero, e in quelli in cui il Fmi è stato coinvolto ho visto miglioramenti strutturali forti. Le
manovre politiche si possono fare se i governi fanno le cose giuste. D. Schauble, lei come commenta quanto
appena detto? Schauble.È il problema dell'Europa. Abbiamo fatto entrare la Troika, il Fondo monetario, la
banca centrale, la Commissione europea. Il soggetto che piace meno ovviamente è quello che chiede di
ridurre il deficit e fare riforme. Bisogna considerare la realtà: c'è un problema strutturale in Europa.
L'attuazione delle riforme è l'unico modo per dimostrare che stiamo agendo nella giusta direzione, e il
governo tedesco è al lavoro per riuscirci. D. Sta dicendo cheè contrario alla formula che propone il Fondo
monetario per crescere, perché non funziona per l'Europa? Schauble. Le raccomandazioni del Fondo le trovo
un po' controverse. Stanno funzionando? Se stanno funzionando, bisogna continuare con la strategia attuata
negli ultimi anni. Se invece si pensa che stiano funzionando in modo limitato nel tentativo di preservare l'area
Euro ed evitare il fallimento delle grandi banche, allora serve un'azione di rottura. Stiamo gestendo una
situazione simile a quella verificatasi durante la Grande Depressione americana, causata da troppi prestiti e
troppa spesa. D. Abbiamo visto come le tensioni geopolitiche influenzino i dati macroeconomici. Cosa
dobbiamo aspettarci per la Germania, nei prossimi mesi? Schauble. Ci dovremo dimenticare un contesto
politico ed economico stabile. La situazione sta diventando molto più impegnativa, con la crescita delle
tensioni internazionali e la guerra in Iraq. Ci sono molti aspetti che rendono l'Europa più vulnerabile rispetto
agli Stati Uniti. Alcuni fattori fanno presupporre rischi maggiori per l'Eurozona, anche sul piano della
sicurezza. Inoltre ci sono elementi politici che non favoriscono la stabilità. I consensi conquistati da partiti
politici di estrema destra, come il Front National, vanno tenuti in considerazione. D. Schauble, la Russia è
stata recentemente sanzionata a causa del conflitto ucraino. Quanto pensa che questa situazione possa
influire sull'economia europea? Schauble. È un dibattito affrontato all'interno delle Nazioni Unite. Come
Europa non possiamo certo accettare la violazione della sovranità di uno Stato. Una crisi internazionale di
sicuro può rappresentare uno stimolo all'intervento e all'azione. L'Europa ha deciso di unirsi anche sul piano
economico e monetario e il progetto sta funzionando. Non vedremmo oggi una Germania unita se questi
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principi non fossero stati applicati già in passato. Bremmer. Sono d'accordo su quanto appena detto ma
aggiungerei che, al contrario, la situazione geopolitica europea potrebbe peggiorare dando origine a tensioni
maggiori. Schauble. Ci sono molte divisioni, alcune delle quali interne, che si manifestano nel tentativo di
fronteggiare la situazione geopolitica D. Ci sono Paesi che vogliono uscire dall'unione monetaria. Questo
cosa significa per voi? L'euro ha ancora senso da questo punto di vista? Schauble. Ci sono esempi concreti:
nel 2011 il primo ministro greco Papandreu ha indetto un referendum per capire se la popolazione volesse o
meno restare nell'Eurozona e abbiamo visto che le conseguenze sono state palesi. Le persone prendono le
decisioni che vogliono: se la Grecia dovesse decidere di lasciare l'Eurozona sarebbe una decisione (continua
a pag. 10) (segue da pag. 9) del popolo greco, ma finora non lo ha fatto. Successivamente ci sono state
nuove elezioni in cui ancora è stata ribadita la volontà del popolo greco di rimanere nell'Unione Europea,
quindi per ben due volte questo desiderio è stato confermato. Di conseguenza direi nessuno Stato membro
vuole uscire dall'Ue. D. Il tema dell'energia è di quelli che differenzia di più gli Usa dall'Europa. C'è molta
frammentazione nella politica energetica europea. Cosa ne pensate? Schauble. L'Europa ha bisogno di una
politica energetica comune che si fondi su un quadro normativo unico. Occorre fare di più. In ogni caso,
energia, sicurezza e sostenibilità ambientale devono andare di pari passo. Padoan. È uno dei temi cui
riservare molta attenzione nel presente e in futuro. Il vantaggio energetico che gli Stati Uniti hanno oggi non è
paragonabile con l'Europa. Ma ci sono molte cose che possono essere fatte a livello internazionale per
migliorare la situazione. D. Quanto incide la mancanza di innovazione sulla debolezza di domanda e offerta?
Summers. La stagnazione europea sta avendo significative ricadute sul quadro globale, con conseguenze
sull'innovazione che è direttamente proporzionale alla crescita della domanda. Ciò è molto evidente in
Europa. Per il medio termine un fattore chiave per la crescita è un contesto sempre più favorevole agli
investimenti. D. Cosa sta facendo l'Europa per aumentare gli investimenti in innovazione? Schauble. Il
cancelliere Merkel ha sempre sostenuto che occorrono più investimenti in questo campo. Lo abbiamo ribadito
ultimamente con i nostri colleghi francesi e italiani. La crescita è condizionata anche dall'innovazione. E
questo richiede molte risorse. Uno dei provvedimenti più significativi da promuovere in tutta Europa è ridurre
la tassazione sulle aziende che innovano. D. Come vanno gli investimenti in infrastrutture? Padoan.È un
tema che abbiamo in agenda, centrale per il nostro governo. Vanno semplificate le regole di gestione di
questi interventi. Summers. Quello delle infrastrutture è un tema da sempre molto dibattuto, anche a
Washington. Non sempre alle parole seguono i fatti. Reperire grandi risorse, per un governo, non è mai facile.
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SCENARIO PMI
11 articoli
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La riforma dei contratti è la priorità
Elasticità salariale e contrattazione flessibile sono obiettivi urgenti
Vincenzo Visco
Il dibattito sulla riforma del mercato del lavoro si è concentrato sulle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori, argomento che tutti gli esperti considerano di scarso rilievo pratico, ma che ha una valenza
altamente simbolica e quindi risulta politicamente molto rilevante.
Il motivo per cui l'articolo 18 è percepito come un simbolo ha a che vedere con la storia stessa del
movimento operaio a partire dalla fine dell'800. Il problema di fondo è se il lavoro debba essere liberamente
scambiato sul mercato o invece debba essere diversamente regolato e tutelato. La questione rievoca le
battaglie sul lavoro minorile, la tutela delle lavoratrici e della maternità, l'orario di lavoro, l'ambiente di lavoro, i
diritti di rappresentanza, ecc... In sostanza l'articolo 18 evoca il principio secondo cui i datori di lavoro non
possono fare quello che vogliono o ritengono più opportuno nei confronti dei loro dipendenti. Il venir meno di
certe tutele o di certi principi rievoca tempi in cui l'equilibrio necessario tra lavoratori e datori di lavoro era
profondamente squilibrato e il rischio che si possa tornare indietro. Del resto anche oggi in Paesi non certo
poco importanti la tutela del lavoro appare squilibrata, carente, precaria e talvolta assente. È comprensibile
quindi l'attenzione con cui si guarda a questo problema. Queste sono le questioni che, più o meno
consapevolmente, sono dietro le polemiche attuali che hanno ovviamente una valenza ideologica e politica in
quanto riguardano i poteri effettivi o immaginati della parti in causa.
Naturalmente le questioni relative ai licenziamenti discriminatori o disciplinari o comunque privi di una giusta
causa possono essere (e sono in pratica) risolti diversamente nei vari Paesi, e non è detto che il reintegro sia
necessariamente preferibile al risarcimento, né che l'intervento del giudice sia da preferire a una soluzione
arbitrale. Tuttavia è evidente che qualsiasi soluzione si volesse adottare, sarebbe opportuno che fosse
condivisa e non imposta, e al tempo stesso che non è utile né ragionevole rifiutarsi di discutere delle soluzioni
alternative possibili, se cambiare può portare a miglioramenti.
Ma le questioni rilevanti del nostro mercato del lavoro sembrano altre: l'articolo 18 ha, come si è detto, una
importanza concreta marginale, anche se sul piano politico la sua aggressione può apparire utile. Il problema
di fondo risiede invece nella sistematica perdita di competitività del Paese dopo l'ingresso della moneta unica
che avvenne, è bene ricordarlo, in un contesto in cui in tutti i Paesi partecipanti l'inflazione era sotto il 2%, il
disavanzo sotto il 3% del PIL, e la bilancia dei pagamenti era in equilibrio, il tasso di cambio lira/euro inoltre checchè se ne dica - fu a noi favorevole.
Subito dopo tuttavia, dall'inizio degli anni 2000, inizia un processo di divaricazione tra la dinamica della
produttività (stagnante) e quella dei salari nominali (crescente). La divergenza riflette due fattori fondamentali:
l'andamento dell'inflazione, superiore alla media europea, e la carente capacità di innovazione del sistema. In
poco più di 10 anni abbiamo così perso 30-40 punti di competitività rispetto alla Germania che ha affrontato
l'ingresso dell'euro con una incisiva riforma del mercato del lavoro e della contrattazione promossa dal
governo, ma condivisa da imprese e sindacati. In Italia il meccanismo contrattuale è rimasto invece lo stesso,
furono inoltre assicurati in più occasioni rinnovi dei contratti del pubblico impiego che si sarebbero dovuti
evitare e che hanno svolto la funzione di pivot rispetto al resto del mercato del lavoro; inoltre anche negli altri
settori protetti dalla concorrenza si manifestavano fenomeni analoghi, e alla fine anche i contratti dell'industria
erano spinti verso una crescita non giustificata dalla produttività. Il risultato è stato una perdita di esportazioni,
di reddito e di occupazione, una carenza di investimenti, un peggioramento delle condizioni di bilancio,
nonostante l'aumento della tassazione. L'esplosione della crisi finanziaria e la pretesa dei Paesi creditori di
imporre ai soli Paesi in deficit l'onere dell'aggiustamento hanno fatto il resto.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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OLTRE L'ARTICOLO 18
11/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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È dal sistema di contrattazione che occorre quindi iniziare, esso va reso flessibile sia a livello privato che
pubblico, sia a livello aziendale che territoriale, con l'obiettivo di far crescere contemporaneamente sia la
produttività (investimenti pubblici e privati) che i salari. Oggi ciò non avviene, anzi avviene il contrario. Per
esempio, se si esamina l'ultimo contratto dei metalmeccanici si vede che esso prevede per il 2014, anno di
recessione e di deflazione, un incremento salariale superiore al 2% che poteva apparire modesto e moderato
quando il contratto fu firmato nel dicembre 2012, ma che risulta oggettivamente stravagante ex post nella
situazione attuale in cui non tutte le imprese, anzi probabilmente molto poche, sarebbero in grado di onorare
gli impegni senza conseguenze negative.
Gli interventi sul mercato del lavoro dovrebbero quindi farsi carico e trovare soluzioni per questi problemi che
sono quelli rilevanti. E non si dica che l'Italia è diversa dalla Germania a causa della presenza prevalente di
piccole imprese, in quanto la necessaria elasticità salariale e di organizzazione del lavoro potrebbe essere
assicurata anche da apposite contrattazioni in sede locale e territoriale, tenendo conto della localizzazione
delle imprese, e di altri specifici fattori di costo.
I cambiamenti necessari sono quindi molti e profondi. Si tratta di avere coraggio e consapevolezza da parte
sindacale e imprenditoriale ed equilibrio e capacità di leadership da parte del governo. Ma nella situazione
attuale non mi sembra esistano altre alternative.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Mediobanca verso lo sbarco in Messico Maggiori ricavi da commissioni
nette
Vittorio Carlini
Il gruppo Mediobanca di recente ha messo alle spalle l'esercizio 2013-2014. I conti sono risultati in crescita
con il ritorno all'utile (464,8 milioni) sull'intero anno. Al di là dei numeri in sé, è però interessante guardare
all'andamento dei singoli business. Detto della positiva dinamica del private banking, nell'attività di banca
d'affari verso le imprese c'è stato il rallentamento degli impieghi. Un trend che può preoccupare il
risparmiatore. L'istituto di piazzetta Cuccia, su questo fronte, prevede la rimonta dei prestiti nel 2014-2015.
Ciò considerato, deve comunque sottolinearsi l'incremento (nel Wholesale banking) delle commissioni nette
(+14%). La prova «contabile» di uno dei focus del gruppo: la spinta sulle attività a bassa intensità di capitale.
In particolare, nel capital market (dalla «cura» delle emissioni di bond alle ricapitalizzazioni). In questo
settore, peraltro, Mediobanca guarda anche alle medie imprese. Il gruppo, poi, punta ad aumentare la sua
articolazione internazionale. Attualmente, infatti, è al vaglio l'opzione per la creazione di una filiale in Messico.
L'operazione potrebbe concretizzarsi anche entro l'anno. Ma non è solo la merchant bank. Assume sempre
più importanza, da un lato, il credito al consumo (Compass); e, dall'altro, il business retail con CheBanca! Su
quest'ultimo fronte tra gli obiettivi è aumentare la quota di raccolta indiretta.u pagina 18 Vittorio Carlini
Il gruppo Mediobanca ha di recente messo alle spalle l'esercizio 2013-2014. In generale i dati del conto
economico sono in crescita. Il margine d'interesse è salito (+5,7%). Così come, anche grazie alla spinta delle
commissioni nette, è aumentato quello d'intermediazione (+11,7%). In rialzo, infine, la stessa redditività. Il
profitto netto, con l'aiuto essenziale della partecipazione in Generali, si è assestato a 464,8 milioni rispetto
alla perdita di 176,2 milioni di un anno prima.
Al di là dei risultati complessivi tuttavia è utile analizzare le singole voci di bilancio, avendo riguardo alle
diverse attività del gruppo. Così è possibile, da un lato, individuare il modello di business che va
sviluppandosi. E dall'altro le dinamiche che lo sottendono. Il tutto tenendo sempre in considerazione il piano
d'impresa 2014-2016. Un business plan che, tra le altre cose, ha definito circa 1,5 di dismissioni azionarie (di
cui 840 milioni già realizzate).
Ebbene, in primis può darsi un'occhiata al cosiddetto Corporate investment Banking (Cib). Vale a dire il
business suddiviso, da una parte, nell'attività di banca d'affari verso le imprese (Wholesale banking); e,
dall'altra, nel Private banking (cioè, la gestione dei grandi patrimoni). Cosa salta fuori? È presto detto. Il
private banking, i cui asset gestiti/amministrati si sono assestati a 15 miliardi, ha visto il margine
d'intermediazione salire (+2%). Un incremento, conseguenza soprattutto dell'aumento (+11%) delle
commissioni nette, che, anche grazie al calo dei costi (-4%), si è «riflesso» lungo tutto il conto economico: il
risultato netto, a fine esercizio, è aumentato a 51 milioni (+23%).
Che cosa dire, invece, del Wholesale banking? Qui è interessante rilevare due dinamiche contrapposte.
Dapprima c'è l'incremento delle commissioni nette: queste sono salite del 14% rispetto ad un anno prima. Il
rialzo si è concretizzato, in particolare, nel capital market (dalla «cura» delle emissioni di bond fino agli
aumenti di capitale). Mediobanca, cioè, è cresciuta laddove aveva definito uno dei suoi focus: le attività a
bassa «intensità» di capitale.
In contrapposizione, però, al buon andamenento sul fronte delle commissioni c'è la riduzione del margine
d'interesse (-6%). Si tratta, a ben vedere, della conseguenza anche, e soprattutto, del rallentamento
nell'erogazione del credito. Da una parte, diverse grandi aziende hanno trovato più conveniente finanziarsi
direttamente sul mercato del debito, emettendo obbligazioni. Dall'altro la stessa Mediobanca, anche in vista
degli stress test, ha voluto ottimizzare il capitale. Così, ad esempio, ha rimborsato in anticipo 1,2 miliardi di
prestiti ibridi che, secondo Basilea 3, avrebbero inciso sul Common equity tier 1. L'effetto del mix indicato? La
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LETTERA AL RISPARMIATORE
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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riduzione, per l'appunto, degli impieghi.
Con il che sorge il dubbio: la dinamica dei prestiti alle aziende potrebbe continuare a rappresentare
un'incertezza per il business. Mediobanca rigetta il timore e prevede, nel 2015-2016, la ripresa degli impieghi.
L'istituto motiva la stima con diverse argomentazioni. In primis, sottolinea che non ci sarà più l'effetto voluto
dell'ottimizzazione del capitale. Inoltre, rileva che il venire meno delle tensioni sul debito italiano ha indotto il
calo nel costo della sua raccolta, rendendo di nuovo appettibile l'offerta di credito alle imprese. Infine, ricorda
che già nello scorso esercizio l'erogazione di nuovi prestiti era salita del 31%. Gli sforzi sulla nuova
produzione permetteranno anch'essi la rimonta degli impieghi.
Detto del margine d'interesse nel wholesale banking, quale tuttavia lo sviluppo del margine d'intermediazione
dell'intera Corporate investment banking? Mediobanca, rispetto a questo tema, conferma il target di 1 miliardo
di ricavi nel 2016. Si tratta di un obiettivo che, tra le altre cose, prevede il focus su tre strategie. La prima, nel
wholesale banking, è spingere per l'appunto il business a basso assorbimento di capitale. Qui l'istituto, è
l'indicazione, punta a fare leva sulle sue competenze trasversali (dall'M&A ai collocamenti fino agli aumenti di
capitale) per incrociare al meglio la sempre maggiore richiesta di servizi a valore aggiunto.
La seconda è proseguire nel diversificare l'attività verso le medie imprese.
La terza, infine, è continuare nell'incremento dei ricavi generati all'estero.
Proprio sul fronte dell'articolazione internazionale un'ulteriore mano potrebbe arrivare dal possibile passo
verso il Messico. Mediobanca ha al vaglio l'opzione dell'apertura di una sede nel Paese centro americano.
L'operazione potrebbe definirsi entro l'anno. L'obiettivo, tra le altre cose, è creare una base per sviluppare il
business in Sudamerica. Insomma Mediobanca, anche grazie alle mosse indicate, vuole essere pronta a
cogliere la ripresa nel settore dell'investment banking . Nel business, cioè, della banca d'affari verso le
imprese.
Fin qui alcune indicazioni sulle strategie e l'internazionalizzazione del Cib: quale però il trend del credito al
consumo? Compass, nell'esercizio appena concluso, ha dato una mano rilevante all'incremento degli introiti
del gruppo: sia con il margine d'interesse (+13%) che con quello d'intermediazione (+8%). Certo, il risultato
netto è calato a 48 milioni (erano 72 un anno prima). E, tuttavia, è interessante notare che, a fronte dei
complessivi 1,82 miliardi di ricavi di gruppo, ben 770 milioni sono arrivati da Compass. Cioè, nei numeri del
margine d'intermediazione si concretizza (e il discorso, seppure in misura minore, può allargarsi a Che
Banca!) la nuova struttura di business del gruppo. Messo, giustamente, alle spalle il capitalismo di relazione
Mediobanca punta a rimanere forte nel Cib. Ma a quest'ultimo affianca sempre di più, oltre il private banking,
anche il mondo retail. Ciò detto, tornando a Compass, il risparmiatore esprime un timore: essendo
quest'ultima focalizzata nel mercato domestico, che è in recessione, c'è un rischio per lo sviluppo del
business. Gli esperti non condividono il dubbio. Anzi, proprio con gli attuali tassi bassi, e in periodo di crisi, il
credito al consumo ha buone potenzialità.
Già, le potenzialità. Uno dei target di Compass, come mostra l'accordo con Mps, è aumentare la
distribuzione. Proprio a fine giugno scorso Mediobanca ha indicato di essere la prima società per quota di
mercato in Italia. Tuttavia, la conquista di market share non è vissuta come ossessione. La crescita,
ovviamente, interessa, ma coniugata a margini più alti. A soluzioni più redditizie quali, ad esempio, i prestiti
personali. Certo, non avendo un bene come collaterale sono più rischiosi. E tuttavia, facendo leva sul suo
know how nella gestione del prestito, Compass punta anche, e soprattutto, su quelle tipologie di prodotti.
Dal credito al consumo alla banca retail. L'istituto Che Banca!, nello scorso esercizio, ha visto crescere i
ricavi (+17%) mentre il risultato lordo operativo è stato leggermente positivo. In generale Mediobanca
conferma, per la sua controllata, il break even a livello di utile nel 2016. Un target da centrarsi anche grazie
ad uno dei focus di Che Banca! Cioè,aumentare la quota di raccolta indiretta. In particolare crescere in quella
più remunerativa, dal punto di vista delle commissioni, del risparmio gestito.
Ebbene, alla fine dello scorso anno di bilancio lo stock complessivo di raccolta di CheBanca! si è assestato a
13 miliardi. Di questi 1,5 costituiscono la raccolta indiretta. Un valore in rialzo rispetto ai 700 milioni di un
12/10/2014
Il Sole 24 Ore
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anno prima, dove l'Asset under Management (AuM) valeva 400 milioni. L'obiettivo, a fine del piano industriale
2014-2016, è di portare l'AuM a 2 miliardi cui devono aggiungersene altri 2 di titoli in risparmio amministrato
(su uno stock complessivo di 14 miliardi).
L'istituito di credito indica di essere in linea con le indicazioni del piano d'impresa e ricorda, su questo fronte,
la volontà di spingere, tra le altre cose, sulle tecnologie digitali. Ad esempio, realizzando l'attività di
consulenza via web grazie alla creazione di un gruppo di esperti/promotori interno alla stessa CheBanca!
Quest'ultima peraltro ha visto, analogamente a Compass, salire i costi (+10%). La dinamica ha contribuito a
incrementare (+5%) gli oneri complessivi di gruppo. Al che può ipotizzarsi un minore pressing su questo
fronte. Gli esperti non condividono il timore. In primis, ricordano che il costo del personale è leggermente
sceso. Inoltre, i maggiori esborsi amministrativi sono (giustamente) finalizzati alla crescita. Infine, nonostante
ciò il cost/income è comunque calato al 43,5% .
© RIPRODUZIONE RISERVATAI numeri del gruppo Mediobanca I BILANCI ANNUALI A CONFRONTO dati
in milioni Esercizio 2013-2014 Esercizio 2012-2013 MARGINE D'INTERESSE DEL GRUPPO dati in milioni
Credito al consumo Banca Retail Altro Corporate Invest.Banking
COMMISIONI NETTE dati in milioni Altro Corporate Investment Banking Credito al consumo e Banca Retail
IL COSTO DEL RISCHIO DI CREDITO dati in punti base Credito al consumo Gruppo Corporate Investment
Banking Fonte: società
REMUNERAZIONE AGLI AZIONISTI 0,15 euro La cedola proposta dal cda all'assemblea ANALISI TECNICA
6 euro Il supporto definito dai «graficisti»
11/10/2014
La Repubblica - Torino
Pag. 4
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General Electric offre partnership a Pmi piemontesi "Collaboriamo"
Selezionate 33 imprese su 130 E Su Avio promesse di investimento "Un miliardo, in buona parte a Torino"
STEFANO PAROLA
«NON possiamo esistere da soli, abbiamo bisogno di creare un certo tipo di relazioni con le piccole e medie
imprese locali», dice Ferdinando Beccalli-Falco. Il presidentee "ceo" di General Electric Europa è a Torino
perché la multinazionale cerca partner, soprattutto fornitori, ma non esclude neppure di portare a termine
qualche acquisizione: «Valutiamo - spiega il top manager- soprattutto le tecnologie che non abbiamo ancora.
Lo facciamo da quando è nata la nostra azienda, con la differenza che oggi stiamo consolidando sempre più
la nostra vocazione industriale».
Così ieri i responsabili di Ge hanno spiegato a 130 imprese quali sono le opportunità di collaborazione, che
riguardano soprattutto i settori energetico, medicale, aeronautico e dell'estrazione di petrolio e gas. Trentatré
aziende sono state poi selezionate per incontri riservati con i vertici della multinazionale. Il tutto è avvenuto
con la regia della Camera di commercio di Torino, attraverso tre Progetti integrati di filiera, gestiti dal Centro
estero per conto di Regione e Unioncamere.
Spiega il segretario dell'ente camerale di Torino, Guido Bolatto, che «Ge Italia non è solo una sede italiana,
ma un centro decisionale strategico e per noi è un perfetto trampolino di lancio verso un grande gruppo
internazionale». Un gruppo che da un anno è anche un po' torinese, perché ha inglobato la Avio, il grande
produttore di motori per aerei. «Vi investiremo un miliardo in cinque anni e la maggior parte ricadrà su
Torino», assicura BeccalliFalco. Nel pacchetto acquisito la multinazionale americana siè trovata pure la
fabbrica di Cameri, nel Novarese, che è in grado di stampare oggetti in 3D utilizzando metallie leghe: «È la
massima espressione della leadership tecnologica che Ge ha in questo settore», evidenzia Sandro De Poli,
presidente e amministratore delegato di General Electric Italia.
Lo stabilimento è in crescita costante grazie alla collaborazione con il Politecnico di Torino, avviata anche
con fondi regionali. La giunta Chiamparino andrà avanti su questa strada: «Proseguiremo le sinergie in corso
e ne avvieremo di nuove per consentire alle Pmi di interfacciarsi con progetti di grandi dimensioni di ricerca e
innovazione», garantisce l'assessore alle Attività produttive Giuseppina De Santis.
Per ora, però, Ge non ha intenzione di aprire un laboratorio nella Cittadella politecnica o nelle ex Ogr.
Piuttosto, dice De Poli, «rafforzeremo la partnership con l'ateneo su tutto ciò che riguarda l'ingegneria del
petrolio, materia di cui il Politecnico ha un master di alto livello». I NUMERI 130 Le imprese del Piemonte
selezionate dal Ceip tra i diversi progetti di filiera per l'incontro con la multinazionale americana 33 Sono le
aziende selezionate dopo il workshop: avranno incontri riservati con i manager di Ge per eventuali
collaborazioni 1 MILIARDO E' quanto Beccalli Falco numero uno in Europa di Ge ha annunciato sarà
investito in Avio: "In buona parte a Torino" PER SAPERNE DI PIÙ Altri servizi sul sito di torino.repubblica.it
Foto: IL GIOIELLO AVIO L'azienda di Rivalta acquisita di recente A sinistra: Beccalli-Falco, numero uno di Ge
Europe e l'assessore regionale Giuseppina De Santis
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Imprese&mercati
11/10/2014
ItaliaOggi
Pag. 26
(diffusione:88538, tiratura:156000)
In agosto, la produzione industriale ha registrato un modesto incremento su base mensile: secondo l'Istat,
l'aumento è stato dello 0,3%. Su base annua, invece, si è registrato un calo dello -0,7%. Nella media del
trimestre giugnoagosto la produzione è diminuita dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, mentre nella
media dei primi otto mesi è scesa dello 0,1%. Ad agosto ci sono state variazioni congiunturali positive nei
raggruppamenti dei beni di consumo (+2,3%), dei beni strumentali (+1,6%) e dei beni intermedi (+0,2%); in
negativo il comparto dell'energia (-0,3%). Gli aumenti tendenziali si sono verifi cati nei beni di consumo
(+2,3%) e in quelli strumentali (+1,7%); sono scesi invece i comparti dell'energia (-2,6%) e dei beni intermedi
(-2,2%). Dopo il lieve aumento registrato ad agosto, tuttavia, il Centro studi di Confi ndustria stima un calo
della produzione industriale dello 0,2% in settembre su agosto. Nel terzo trimestre, rileva una essione della
produzione dello 0,6% sul precedente, in ulteriore peggioramento rispetto al -0,4% del secondo trimestre e al
-0,1% del primo. Secondo il Centro studi di Confi ndustria, «le indagini qualitative condotte presso le imprese
manifatturiere confermano un quadro nel complesso debole e non lasciano intravedere signifi cativi
miglioramenti nei mesi autunnali». Il Pmi manifatturiero a settembre ha registrato una diminuzione della
componente ordini (scesa a 50,2 da 50,9, minimo da 15 mesi), e ciò preannuncia una dinamica
sostanzialmente piatta dell'attività nei prossimi mesi. © Riproduzione riservata
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Timida crescita (0,3%) della produzione in agosto
13/10/2014
MF - - golfo - italia
Pag. 26
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Consigli all'imprenditore per sbarcare nel Golfo
Il primo è creare un rapporto fiduciario con il partner locale, poi va abbandonata la logica touch and go. Così
[FG Consulting è riuscita a far firmare contratti e aprire rapporti per 30 aziende. E qui spiega come
AA.A. Cercasi nuovi mercati. Le aziende italiane, mai come ora, I hanno bisogno di aprire i loro orizzonti. E, in
un'ottica di internazionalizzazione, gli Emirati Arabi Uniti, insieme a Oman, Kuwait e in parte al Qatar, sono
mercati molto interessanti, a seconda dei settori e della propensione a guar-' dare a quella parte di mondo. La
società di consulenza milanese di marketing strategico e operativo EFG Consulting, nel corso dell'ultimo
anno, ha incontrato più di 300 aziende italiane interessate ai mercati del Golfo, appartenenti a svariati settori
merceologici (prodotti alimentari e ristorazione, tecnologie, design di interni e arredamento, moda, ambiente,
energie rinnovabili). A raccontare a Mf International qual è l'ottica da assumere per puntare a quei mercati e
dove si trovano le opportunità sono il fondatore di EFG Giovanni Bozzetti, imprenditore con un passato in
politica e attualmente nel consiglio direttivo di Kinexia, Gio.ECO e Greeup, e Èva Leitgeb, consigliere
delegato di EFG Consulting. Domanda: Che approccio avete nell'analizzare le società che poi cercate di
traghettare verso nuovi mercati? Risposti: Facciamo una selezione a monte molto attenta. Non guardiamo
tanto al fatturato quanto piuttosto alle aziende che hanno prodotti di alta qualità, una struttura manageriale e
proprietaria con una certa propensione all'internazionalizzazione, che sappia l'inglese, che sia in grado di
fornire documentazioni adeguate e che abbia l'attitudine a confrontarsi con culture diverse dalla propria. D.
Quante ne avete selezionate fino ad ora? R. Abbiamo studiato l'attività e le caratteristiche'peculiari di tutte e
ne abbiamo selezionate 70. Con 30 di queste aziende abbiamo firmato contratti e stabilito forme di
collaborazione per la loro introduzione sul mercato emiratino. Parallelamente, abbiamo organizzato a Dubai
ed Abu Dhabi quattro eventi di presentazione di aziende italiane negli. Emirati Arabi, che hanno visto molti
rappresentanti di aziende, stakeholder, stampa, fondi sovrani e istituzioni locali. In Italia abbiamo realizzato,
in collaborazione con Habtoor Trading Enterprises e con la rivista Interni, la presentazione del progetto Italian
Design Showroom, a cui hanno partecipato circa 170 aziende di design in rappresentanza del Made in Italy.
A coprire l'evento c'è stata anche Class TV. D. È un buon momento per le aziende italiane? I, Si, negli UAE si
stanno aprendo opportunità per le piccole e medie imprese incentivate dal ministero federale dell'economia.
È un mercato che viaggia molto sui canali fiduciari e che richiede quindi dei tempi di maturazione necessari.
Per chiudere un'operazione ci vuole tempo e per gli emiratini è fondamentale confrontarsi direttamente con il
proprietario di un'azienda. La struttura manageriale non basta. D. Qual è la percezione sull'Italia? fi, E ottima
dal punto di vista del prodotto e della qualità, meno sull'imprenditore. Spesso i manager italiani pretendono di
fare tutto in fretta, sono molto touch and go e non riescono a prendere il tempo necessario per calarsi nella
cultura locale. Questo aspetto può rivelarsi penalizzante. D. Come vi muovete quando dovete impostare un
business pian? R. Si studia insieme la strategia migliore, gli incontri b2b sono privilegiati. La consulenza
spazia dalle operazioni di marketing a come sbarcare nel Paese: in una free zone, con una presenza in loco
o attraverso partnership. Tra i servizi che offriamo, c'è anche quello di un supporto commerciale e di scelta
del partner locale. Il follow up commerciale, poi, è molto importante. Inoltre facciamo un'attività di pubbliche
relazioni di alto livèllo. Passiamo negli Emirati ogni mese almeno una decina di giorni. D. Come è nato il
legame con quei Paesi? R,A seguito dei miei incarichi istituzionali ho conosciuto le figure apicali. A volte le
cose nascono nel modo più semplice. Ho regalato una maglietta autografata da Clarence Seedorf a un vice
ministro appassionato di Milan: da lì è partito tutto. La mia forza è stata la capacità di aver coltivato sempre i
contatti. Inoltre, cinque anni fa ho pensato di portare negli Emirati le aziende di famiglia. E inizialmente ho
fatto gli errori che si fanno quando ci si muove su un nuovo mercato. Alla fine ho avuto successo e da lì ho
pensato di avvia-re un'attività di consulenza per aiutare l'introduzione delle aziende italiane. 0. Quali sono i
settori più interessanti? R, Immobiliare più componentistica, tecnologia, food, energie rinnovabili e oil&gas e
design di interni. D. Quali sono in concorrenti più forti? R. Australia, Germania e Inghilterra.
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MF FOCUS
13/10/2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Foto: Giovanni Bozzetti, presidente di EFG Consulting, ed Èva Leitgeb consigliere delegato
Foto: EFG Consulting Sri - Torre Velasca I Piazza Velasca, 5 I 20122 MILANO Tei. +39 02 26950309 I fax
+39 02 72004567 - mail: [email protected]
Foto: / datie le informazioni sono fomite dall'azienda, che ne garantisce la veridicità
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MF - - golfo - italia
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Per migliorare la salute si punta alla tecnologia
ADubai, la bandiera della sanità sventola su Healthcare city, dove si è conclusa la prima fase di sviluppo, che
occu- La sanità è la voce ai spesa più consistente che i governi aei uoito nanno in budget per il Muro, che
significa nuovi ospedali attrezzature e medici da tarmare. E il made in Italysta lavorando per...
Franco Canavesio
pa oltre 4 milioni di metri quadrati nel cuore dell'Emirato. Lanciata dal governo nel 2002 per soddisfare la
domanda di una sanità di alta qualità, ospita attualmente due ospedali, oltre 120 centri medici ambulatoriali e
laboratori diagnostici con oltre 4.000 professionisti abilitati. La fase due prevede 15 milioni di metri quadrati di
uffici, ambulatori e strutture sanitarie, su terreni che saranno affittati per 50 anni. Le due maggiori aree di
interesse saranno la cardiologia e l'oncologia ma sono previsti anche dipartimenti per l'urologia, la pediatria,
l'oftalmologia, l'ortopedia, la medicina dello sport e la telemedicina. La sua struttura sarà integrata col
complesso dell'Università di Medicina che ne costituisce il nucleo centrale. «Il settore sanitario nei paesi del
Golfo, Dubai in primis, è una prateria sconfinata tutta da percorrere,» ha sottolineato Antonello Martinez,
avvocato, fondatore dell'omonimo studio di Milano e rappresentante ufficiale del governo di Dubai in Italia,
una specie di console onorario. «A Dubai, per esempio, non esistono ancora strutture specializzate per la
riabilitazione post-operatoria ne per i lungodegenti,» ha aggiunto, «è un contesto in cui avrebbe vita facile un
ospedale tutto italiano, di alta specializzazione che, collegato a strutture universitarie come la Ludes
university di Lugano, possa anche fare alta formazione.» Nonostante i mega progetti alla Dubai Helthcare
city, negli Stati del Golfo l'offerta di servizi sanitari resta largamente al di sotto della media mondiale. E poiché
tutti i governi hanno in programma, tra le spese prioritarie, colossali piani di investimento per colmare quésto
gap d'offerta, le opportunità per le imprese internazionali del settore a partire dalla costruzione e dalla
gestione degli ospedali, fino ad arrivare alla fornitura delle attrezzature, all'informatica sanitaria e alla
formazione, si moltiplicano di giorno in giorno. Anche per le imprese italiane che però, sostengono gli addetti
ai lavori, potrebbero fare molto di più, sfruttando meglio l'apprezzamento del made in Italy e soprattutto
creando piattaforme di collaborazione che mettano in grado di competere con americani, inglesi, tedeschi e
asiatici, presenti nel settore in modo più organizzato. All'ultima edizione, in gennaio a Dubai, dell'Arab health
exhibition & congress, la più grande fiera internazionale in campo medico del Medio oriente e dell'Asia, il
padiglione italiano, organizzato dalla società di servizi Honegger, era da record: occupava una superficie di
1.644 metri quadri con 130 aziende espositrici. Dai produttori di bendaggi ai defibrillatori, alle sale operatorie
robotizzzate, agli apparecchi elettromedicali fino alle celle refrigeranti di ultima generazione per l'allestimento
di sale operatorie e obitori, l'offerta è stata imponente, tirata da una domanda che quest'anno ha toccato un
fatturato di 600 milioni di euro, il 30% in più di quattro anni fa, in un mercato molto competitivo su tutti i
segmenti di offerta, ma ancora con grandi margini di crescita perché lo spettro dei segmenti da coprire è
ampio. E le possibilità di affari si moltiplicano, anche per le piccole e medie imprese a differenza di altri settori
dove la dimensione fa da sbarramento all'ingresso nel mercato. Nella sanità è soprattutto la tecnologia che
conta. Quella, per esempio, della Shd Italia, di Fontaneto d'Agogna, nel novarese, che nei primi sei mesi di
quest'anno, grazie agli ordini in arrivo dal Golfo, ha doppiato l'intero fatturato del 2013, quasi 10 milioni di
euro. Shd costruisce sale operatorie prefabbricate, chiavi in mano comprese di porte, pareti mobili, soffitti e
controsoffitti e, a richiesta, anche di attrezzature, che vengono acquisite da altri produttori. L'azienda
costruisce anche locali per la sterilizzazione, con pareti in acciaio inox, corion e hpl, laminati ad alta pressione
e laminati plastici. «Pareti e altri prodotti provengono dal nostro stabilimento dove applichiamo una nuova
tecnologia,» ha spiegato Claudio Lorenzini, direttore commerciale di Shd. Il primo affare ha riguardato quattro
sale operatorie fornite a Dubai nel 2010. A fine giugno scorso erano in via di installazione circa 50 sale
operatorie, tra Dubai, Abu Dhabi, Riad e Jeddah. «È un mercato che sta dando enormi soddisfazioni e ne
darà ancora,» ha sottolineato Lorenzini che punta molto su Arabia Saudita, Abu Dhabi e Kuwait, «mercati
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SANITÀ
13/10/2014
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meno inflazionati e più disponibili a spendere per la qualità tipicamente italiana,» piuttosto che su Dubai o
Oman, dove dominano gli indiani, che propongono soluzioni più economiche ma anche meno precise. La
Masmec Biomed di Bari, specializzata nelle tecnologie meccatroniche e robotiche, in particolare sul fronte
della diagnosi oncologica precoce, si sta affacciando adesso sul mercato dei paesi del Golfo, puntando su
Sirio, un sistema di inseguimento robotizzato intra-operatorio di supporto per la radiologia nelle biopsie
polmonari e applicabile anche a una vasta serie di altri esami. Sirio permette di navigare virtualmente
all'interno del corpo del paziente, intervenendo sulle neoplasie con accuratezza e velocità. Partendo dalle
immagini della Tac, Sirio ricostruisce su monitor un modello tridimensionale del corpo del paziente in modo
che il medico possa individuare la traiettoria migliore per inserire l'ago eseguendo la biopsia nel tempo minore
e col minor rischio possibile. Un prodotto che sta interessando molto gli Emirati è la workstation Omnia di
Masmec Biomed, in grado di realizzare in modo automatico diversi protocolli per laboratori di diagnostica
molecolare, di ricerca o di genetica forense, rispondendo all'esigenza dei settori avanzati delle scienze
omiche (genomica, trascrittomica, proteomica). Si tratta di un macchinario che permette di estrarre il dna da
persone o da vegetali. «Dallo scorso anno siamo in contatto con una serie di strutture sia pubbliche che
private a Dubai molto interessate alle nostre apparecchiature,» ha spiegato Michele Vinci, presidente di
Masmec. Con i due sistemi, venduti rispettivamente a 130-160 mila euro, e tra 40 e 80 mila euro, Masmec ha
registrato un giro d'affari di 14 milioni di euro. Exprivia, un gruppo di società che si occupa di informatica ed è
quotata al segmento Star della Borsa di Milano, ha in fase di negoziazione la fornitura a un nuovo ospedale di
Abu Dhabi e la gestione di Ris e Pacs, software creati appositamente per la gestione delle immagini
diagnostiche e radiologiche, gioielli da 400 mila euro di costo. Tra i vari prodotti software sviluppati, che nel
2013 hanno prodotto un giro d'affari da oltre 131 milioni di euro, un terzo del fatturato è dedicato
esplicitamente alla sanità, tra software per ospedali, asl, enti pubblici e informatica per medici di base. Altri
prodotti che interessano la sanità del Golfo sono i software che consentono la gestione completa delle
cartelle cliniche ambulatoriali e di reparto, personalizzabili. «Un settore, in cui vantiamo numerose referenze
di informatizzazione completa e integrata non solo per i servizi di radiologia, ma anche per endoscopia,
ginecologia, la procreazione medicalmente assistita e la cardiologia. Tutti prodotti che arrivano a costare
anche due milioni di euro. Ma gli arabi non si preoccupano tanto del prezzo,» ha spiegato Domenico Favuzzi,
presidente e ceo di Exprivia. «I nostri concorrenti sono indiani, cinesi e anche americani, ma la qualità del
mondo sanitario italiano è ormai acclarata e prevale su tutti.» Un'altra bandiera della tecnologia italiana è Mr
Open. Ideato, industrializzato e costruito da Paramed Medicai System (gruppo Malacalza) presso lo
stabilimento di Genova, con la tecnologia sostenibile dei magneti superconduttori (non utilizza elio liquido,
risorsa rara, non rinnovabile e che si disperde nell'atmosfera), Mr Open è un sistema di risonanza magnetica
aperta che, grazie al design dei magneti e a soluzioni innovative per l'imaging, elimina i problemi di
claustrofobia e consente un utilizzo anche per i disabili. «Ci stiamo facendo largo tra i paesi del Golfo, dove
abbiamo ricevuto ordini dal Kuwait,» ha spiegato Riccardo Castorina, ceo dal 2013. In Arabia Saudita,
MrOpen è già attivo in alcune sale operatorie e a Dubai, lo scorso settembre, si è svolto un grande training
per i distributori della zona, che comunque potranno vedere MrOpen in azione al prossimo Arab Health in
gennaio. «Puntiamo a realizzare più di un terzo del nostro giro d'affari nel Golfo entro il 2015, » ha detto
Castorina, la cui azienda nel 2013 ha fatturato oltre 10 milioni di euro. IN GARA PER GLI OSPEDALI La
competizione per la costruzione delle strutture ospedaliere è invece riservata alle grandi imprese, dove la
competizione è ancora più accesa. Ma gli italiani vantano referenze vincenti, sia nella progettazione che nella
fase esecutiva. In campo progettuale lo Studio Altieri, fondato a Thiene nel 1898, sta conquistando una vera
e propria leadership nel Golfo. A Dubai ha completato l'Ai Jalila Children Specialty Hospital, un ospedale di
200 posti letto, organizzati in stanze singole, dedicato alla cura del Bambino, con criteri d'avanguardia a
livello internazionale. La struttura, che verrà inaugurata entro l'anno, è stata interamente finanziata dalla
fondazione che fa capo allo sceicco Al Maktoum e alla moglie. «Per rispondere a questa ' committenza,
progetti ed esecuzione devono essere conformi ai più elevati standard internazionali e richiedono fasi di
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collaudo lunghissime, in cui bisogna essere pronti a intervenire, e nel caso a rifare, fino all'ultimo tassello,» ha
spiega Giulio Altieri, classe 1978, vicepresidente di Studio Altieri International che si è trasferito a Dubai per
seguire i lavori e lo sviluppo del business. Sempre a Dubai, porta la firma dello Studio di Thiene anche il New
Diabetic Centre che per il progetto ha vinto l'Hospital Build & Infrastructure Awards 2012, mentre è in fase di
progetto esecutivo una nuova struttura da 300 letti con soluzioni d'avanguardia, che sorgerà nella Silicon
Oasis, un nuovo quartiere residenziale di Dubai, commissionata agli Altieri da un gruppo saudita. E dagli
Emirati l'attività si è espansa in Oman, dove lo studio veneto ha vinto un'importante commessa pubblica, del
valore di circa 180 milioni di euro, per la progettazione e direzione lavori di ben cinque ospedali, quattro da
150 letti e uno da 300, in diverse parti del paese, che rappresentano la prima fase della struttura di,base della
sanità pubblica nel Sultanato. In Kuwait, è al lavoro Pizzarotti, in partnership con Associated Construction
Company, Qattan Architects e Al Essa Medicai Equipment, per il rinnovo dell'Amili Hospital mentre Inso
(gruppo Condotte), sta lavorando alla realizzazione del Sidra medicai and research center di Doha, in Qatar,
nuovo centro medico e di ricerca ultramoderno da 500 posti letto sparsi su 9 piani di ospedale e su 5 piani di
ambulatori. Il centro, thè dovrebbe entrare in funzione l'anno prossimo, è sostenuto da. Qatar Foundation con
una spesa di 6 miliardi di euro. Sarà quanto di più all'avanguardia si possa realizzare in campo medico,
dotato di letti intelligenti, usati per prevenire le piaghe da decubito, da veicoli a guida automatica per i
trasporti interni all'ospedale e dalla tecnologia palm-scanning per memorizzare i dati dei pazienti. Ma il vero
business di lungo periodo, in cui l'Italia è al momento assente, è quello della gestione delle nuove strutture,
settore in cui si muovono soprattutto gli ospedali statunitensi e quelli indiani, la nazionalità più diffusa tra il
personale espatriato che opera nei paesi del Golfo. La statunitense Cleveland Clinics gestisce un ospedale
da 360 letti ad Abu Dhabi in partnership con Mubadala, il fondo governativo degli Emirati, la Johns Hopkins
Medicai gestisce tre ospedali ad Abu Dhabi, il Samsung Medicai Center della Corea del Sud ne gestisce uno
a Dubai mentre in Oman sono presenti due gruppi indiani, Atlas Hospital e Sagar Hospital e l'Università di
Medicina di Vienna, insieme al gruppo ospedaliere tailandese Bumrungrad, gestiscono rispettivamente l'AlAin Hospital e l'Al-Mafraq Hospital ad Abu Dhabi. Saltata la trattativa con Abu Dhabi per realizzare un centro
di chinirgia robotica, le chance del made in Italy sono affidate all'ospedale Gemelli di Roma, che ha valutato,
suscitando dissapori in Vaticano, la possibilità di realizzare una struttura a Dubai e alla Fondazione don
Gnocchi, uti'eccellenza nella cura delle malattie degenerative. A tentare di aprire la strada alle aziende
italiane sono impegnati i consulenti, medici (vedere intervista a pagina 65) e anche manager. Luciano Frattini,
ceo di Medtronic Italia, la filiale (600 dipendenti) del colosso americano specializzato nelle tecnologie per
patologie mediche complesse, soprattutto nel settore cardiologico e neurologico, sta lavorando per costituire
un consorzio di operatori ospedalieri d'eccellenza in diverse specialità, II progetto è di farle diventare la punta
di diamante di un'offerta italiana sui mercato internazionali, quelli del Golfo per incominciare. Pietro Paolo
Rampino, partner di Oesse Consulting, tesoriere e delegato per Lombardia, Qatar, Uae e Arabia Saudita,
della Camera di commercio italo-araba sta lavorando su un filone analogo. «Proponiamo contratti chiavi in
mano ai paesi del Golfo per costruire e ristrutturare interi ospedali con un panel di aziende italiane.»
L'obiettivo è di organizzare la fornitura di tutto il materiale necessario contìnua a pagina 98 SANITÀ-dapog.
71 ' al funzionamento quotidiano di una struttura, dalle siringhe, ai farmaci di base, ai medicai devices, primi
fra tutti i robot, oltre a training in loco e in Italia in prestigiose facoltà di medicina. Un secondo, ma non
secondario, ambito riguarda il cosiddetto turismo sanitario attualmente monopolizzato, per quanto riguarda i
paesi del Golfo, da Stati Uniti, Germania, Regno Unito. Gli Emirati che hanno una popolazione di 8 milioni di
abitanti, spendono ogni anno almeno 4 miliardi di euro in cure mediche all'estero. Insieme al gruppo
Humanitas, controllato dalla famiglia Rocca, attraverso Techint, Rampino sta esplorando la possibilità di
mettere a punto servizi sanitari ed educational rivolti alla popolazione emiratina. «Puntiamo molto sugli
studenti del Golfo per l'Università privata che stiamo creando a Milano,» ha detto a MF International Gian
Luca Mondovì. direttore di Humanitas, che ha ottenuto in giugno dal ministero dell'Istruzione l'autorizzazione
per la costituzione di un ateneo dedicato alle scienze mediche, Humanitas University. Il progetto è di
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accogliere 800 studenti su due corsi di laurea a ciclo unico, internazionale, in medicina e chinirgia (in inglese)
e triennale in infermieristica (in italiano). «Vogliamo attrarre talenti da tutto il mondo offrendo un'opportunità di
formazione distintiva,» ha spiegato Mondovì. Il plus sarà la vicinanza con docenti e professionisti di grande
esperienza, che punteranno a metodologie di studio e di esame all'avanguardia. «È possibile che il 50% degli
studenti arrivi proprio dall'area del Golfo, che sconta un ritardo di formazione,» ha spiegato Mondovì. In
giugno i rappresentanti di un'importante gruppo industriale e finanziario emiratino che ha interessi nella sanità
locale hanno visitato Humanitas a Milano per rendersi conto della qualità dell'offerta. «Se riusciamo a portare
i pazienti arabi in Italia, possiamo avviare un circolo virtuoso per una serie di servizi collaterali,» ha detto
Rampino. Il pensiero va all'ospitalità dei parenti alloggiati in ville, la formazione per i loro medici, l'apertura di
nuovi poli ambulatoriali o di first aid negli Emirati, fino alla gestione di certe categorie di pazienti, come gli
anziani. Uno dei colli di bottiglia, forse il più importante, allo sviluppo della sanità nei paesi del Golfo è proprio
la mancanza di personale specializzato. L'80% di medici e infermieri vengono dall'India, dalla Thailandia o
dalle Filippine. I governi e le strutture ospedaliere, per cercare di superare il deficit di risorse umane,
concludono accordi con ospedali e università estere, soprattutto americane. La Cornell University, per
esempio, organizza un corso di formazione con la Qatar Foundation; il Children Hospital di Boston è legato
con l'Ai Noor Hospital di Abu Dhabi per gestire il reparto di pediatria. Ultimamente si sono mossi il ministero
della Sanità tedesco e quello irlandese per promuovere accordi con università e ospedali dei paesi del Golfo.
Per l'Italia l'auspicio che le cose finalmente si stanno muovendo arriva dall'accordo tra la Qatar Foundation e
la Regione Sarda. Dopo quasi due anni di trattative l'ente qatarino, emanazione diretta della famiglia reale, ha
rilevato l'immobile in costruzione dell'Ospedale di Olbia bloccato dal fallimento dell'Istituto San Raffaele di
Milano. Lo completerà entro il primo semestre 2015 per farlo diventare un centro di eccellenza internazionale
nella riabilitazione, con un investimento di 1,2 miliardi di euro, spalmati nei prossimi 5-8 anni: un'impresa che
promette da subito almeno 600 nuovi posti di lavoro.
«Le autorità degli Emirati sono aperte alla collaborazione con le loro controparti in Europa,
concedono terreni, incentro
ifflanzian o
delle strutture»
MICHELE VINCI «Nel Golfo sono molto interessati alle nostre apparecchiature,» ha detto il presidente di
Masmec Biomed che produce la workstation Omnia, in grado di realizzare In modo automatico protocolli per
laboratori di diagnostica molecolare PIETRO PAOLO RAMPINO partner di Oesse consulting. «Proponiamo
contratti chiavi in mano ai paesi del Golfo per costruire e ristrutturare Interi ospedali con un panel di aziende
italiane.» L'obiettivo di Rampino è di organizzare la fornitura di tutto il materiale necessario al funzionamento
di un struttura . GIAN LUCA MONDOVÌ «Puntiamo molto sugli studenti del Golfo per l'Università privata che
stiamo creando a Milano,» ha spiegato Gian Luca Mondovi, direttore di Humanitas DOMENICO FAVUZZI
presidente e ceo di Exprivia «I nostri concorrenti sono indiani, cinesi e anche americani, ma la qualità del
mondo sanitario italiano è ormai acclarata e prevale su tutti». RICCARDO CASTORINA ceo di Paramed
Medicai System «Quella dei paesi del Golfo è una situazione viva e interessante. Si tratta di paesi che
godono di benessere economico, che hanno voglia di affrontare le sfide con le nuove tecnologie.» GIULIO
ALTIERI vicepresidente di Studio Altieri «Per soddisfare la committenza di opere pubbliche di questo livello lo
staff di progettisti deve rispondere ai più elevati standard Internazionali, e bisogna essere costantemente
presenti e pronti a intervenire in loco per assicurare il successo dell'opera»
Foto: » L'AI Jaìila Children ?' Specislty Hospitai a Dubai, progettato dallo Studio Alfieri, verrà - : inaugurato
entro la fine dell'anno, t una stryjtuto ospedaliera all'avanguardia, -;' 280 posti Setto, dedicata alla cura de! ;.,.
- -,,~.
Foto: p
Foto: Antonello Martinez, avvocato, fondatore dell'omonimo studio di Milano e rappresentante ufficiale del
governo di Dubai in Italia
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Foto: La workstation Omnia di Masmec Biomed in grado.. di realizzare protocolli per laboratori di diagnostica
molecolare, di ricerca o di genetica forense. Sopra, Mr Open, il sistema di risonanza magnetica aperto di
Paramed Medicai System
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Zone franche, un trampolii verso il mondo arabo
Con costi di registrazione che partono da poche centinaia dì euiu, p/u i iy//e minimo, le attrezzatwe di base,
niente tasse e la possibilità di intestarsi [...]
Commercio e investimenti esteri sono diventati una priorità nei piani di sviluppo degli emiri sullo scacchiere
internazionale e le zone di libero commercio sono una delle leve più utilizzate dai governi della regione,
insieme agli incentivi fiscali. Soprattutto gli Emirati Arabi Uniti hanno finanziato la formazione di zone di libero
commercio forse più di qualunque altro Paese al mondo. Su un territorio di 83 mila km quadrati ne esistono
decine, suddivise per segmenti commerciali, per territorio e attività di supporto (l'elenco dettagliato è a pagina
92). Queste aree speciali prevedono condizioni agevolate per l'esercizio dell'attività imprenditoriale e dietro
pagamento di un fee di ingresso a partire da poche migliaia di euro assicurano tutti gli appoggi burocratici e
infrastrutturali necessari all'apertura di un'attività. Poiché sono state create con lo scopo di attirare
investimenti esteri attraverso l'offerta di vantaggi fiscali, sgravi, semplificazione burocratica e servizi di
consulenza specifici, il funzionamento è snello e efficiente. «Ras Al Khaimah è una delle Free trade zone più
promettenti nel panorama emiratino, perché offre a costi dimezzati rispetto a Dubai e alle altre più note una
qualità dei servizi impeccabile: strade, uffici, in costruzione un eliporto, un porto e vicinanza a Dubai e ad Abu
Dhabi», ha raccontato a MF Internazional Luca Attanà, proprietario di Planet Italy FZE, che ha scelto quattro
anni fa di aprire nell'emirato di Ras Al Khaimahuna sede stabile della trading company fecalizzata sul servizio
commerciale soprattutto alle Pmi. La scelta se stabilirsi in una . free zone o meno dipende dalle finalità del
business. Se si intende utilizzare il territorio emiratino come piattaforma d ' e s p o r t a z i o n e
commerciando prevalentemente anche al di fuori del Gcc, allora l'insediamento in una Ftz è la scelta più
logica perché, oltre ai vantaggi fiscali, consente di intestarsi il 100% della nuova attività, pur non essendo
residenti. Nel caso, invece, di un'attività diretta al mercato degli stati del Gcc con una presenza stabile in loco,
la convenienza della free zone non viene meno, ma occorre tenere presente che le società insediate in una di
queste zone possono commerciare i loro prodotti sul territorio del Gcc solo mettendosi in società con un
agente commerciale o un distributore locale, che in base alla disciplina sulla costituzione delle società impone
per quelle a responsabilità limitata (Limited liability company, Llc) che il 51% delle quote del capitale sociale
siano intestate a una persona fisica o giuridica locale. In questo caso i prodotti di società miste con
controparti estere vengono considerati nazionali e quindi esportabili in esenzione da dazio in tutti i paesi Gcc,
purché il 48% del valore aggiunto sia generato localmente. I vantaggi che si possono ottenere aprendo una
società in una free trade zone negli EAU sono: > possibilità di intestarsi la piena proprietà della società
(100%), - esenzione da ogni dazio o tassa, - possibilità di trasferire completamen-, te e senza alcuna
formalità gli utili all'estero, - nessuna tassa sul reddito personale o sulle plusvalenze, - possibilità di utilizzare
infrastrutture portuali e aeroportuali, nonché i numerosi cargo aerei per il trasferimento rapido delle merci, possibilità di ottenere fornitura energetica a basso costo, - possibilità di installarsi in fabbricati, magazzini e
uffici moderni, - procedure di assunzione semplici e disponibilità di manodopera qualificata a un costo
competitivo. Le licenze che si possono ottenere in una zona di libero commercio sono di tipo commerciale,
industriale, servizi e la licenza industriale nazionale. Le licenze vanno rinnovate annualmente e hanno un
costo molto variabile. Ogni Ftz offre pacchetti con diverse caratteristiche. Si parte dalle licenze commerciali
della Rak Ftz, con uso di un ufficio attrezzato condiviso e visto d'ingresso per un investitore, per 3.500 euro
l'anno, a licenze industriali, che prevedono l'uso di capannoni e l'alloggio per lo staff, che partono da 10 mila
euro l'anno. Un company office package presso la Dubai Silicon Oasis o il Dubai Business Village costa circa
20 mila euro mentre per costituire una Free zone establishment in una zona molto quotata come la Dubai
Airport il prezzo può arrivare a 200 mila euro. Fra i costi più bassi di registrazione ci sono quelli offerti da
Dubai Media City e da Dubai Biotech and Research City dove una licenza parte da 730 euro l'anno. Per
informazioni più dettagliate riguardo ai costi delle licenze e preventivi personalizzati il sito di riferimento è
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GUIDA / Le Free Trade Zones
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www.uaefreezones.com. Arabia Saudita Non esistono vere e proprie zone di libero commercio, tuttavia le
autorità locali stanno promuovendo l'attrazione di investimenti stranieri e incentivi all'imprenditoria privata
nelle cosiddette economie cities. Queste quattro città economiche saranno un ibrido fra zone di libero
commercio e zone economiche speciali progettate con la finalità di rilanciare le aree meno abitate del paese.
Patrocinato da Sagia (Saudi Arabian General Investment Authority), la authority governativa che si occupa di
garantire i processi di privatizzazione e liberalizzazione dell'economia, il progetto dovrebbe essere completato
entro il 2020, anche attraverso partnership strategiche tra settore pubblico e privato. Nelle quattro località
scelte, Rabigh, Jaizan, Madinah e Hail sono previsti investimenti per 27 miliardi di dollari per le prime due, 7
miliardi per la terza e 8 miliardi per la quarta, secondo Abdullatif Al Othman, presidente di Sagia. Qatar II
Qatar ha per ora una sola zona franca in funzione, il Qatar Science and Technology Park (Qstp), ma il
programma di sviluppo prevede la creazione di altre tre Ftz, una vicino al New Doha International Airport
dedicata all'industria leggera e ai servizi finanziari, una seconda nella zona industriale di Doha dedicata al
settore manifatturiero e ai trasporti, e una terza nei pressi di Mesaieed Industriai City per il settore
petrolchimico. Questi progetti, in corso di definizione, sono il segnale tangibile dell'apertura economica che
interesserà il paese nei prossimi anni. Il Qstp promuove e incoraggia soprattutto progetti di ricerca in
collaborazione con l'università del Qatar e la formazione d'istituti di ricerca. I principali vantaggi sono: > la
possibilità di importare beni e servizi senza costi di dogana, > l'intestazione del 100% di una attività a un non
residente, > il trasferimento all'estero degli utili, > la completa esenzione fiscale degli utili della società. Sui
costi delle licenze è possibile avere un preventivo in base alla propria area e tipologia di business
(www.qstp.org.qa). Bahiem L'emirato punta ad attrarre investimenti esteri prevalentemente nel settore
tecnologico e dei servizi, puntando sul basso costo della vita rispetto agli altri stati della regione, la vicinanza
ai principali centri economici della zona (45 minuti di auto dall'Arabia Saudita, 40 minuti di volo da Dubai),
qualità del contesto economico, attestato da un buon posizionamento, 12° posto su 177, nell'indice Doing
business 2013 della World Bank, sia nell'Index of Economie Freedom dell'Heritage Foundation. Il polo
d'attrazione commerciale è il Bahrain Investment Park che offre: > la possibilità di intestare il 100% della
società a un'non residente, - nessuna tassa societaria per dieci anni, > esenzione da dazi doganali
sull'importazione di materie prime e macchinari, > libero accesso a tutti i mercati del Gcc (escluse le altre free
trade zone), > possibilità di rimpatrio del capitale del 100%, > nessuna restrizione all'impiego di manodopera,
> nessun capitale minimo richiesto. Secondo la legislazione vigente i prodotti manufatti in una free zone
Sopra e a destra, gli edifici, gli interni e i capannoni della free zone Rak, vicina a Dubai, una delle più richieste
dalle aziende italiane. Sotto, una immagine del Qatar Science and Technology Park, vicino a Doha, in Qatar
sono soggetti a un dazio doganale del 5% se venduti in uno stato del Gcc. Poiché formalmente il Bahrain
International Investment Park non è una free trade zone ma è parte del territorio del Gcc, e poiché i prodotti
manufatti in questo emirato sono free-import-duties negli stati circostanti, quest'area commerciale offre un
vantaggio competitivo del 5% rispetto a una free trade zone tradizionale (www.biip.com:bh) II governo
omanita ha avviato un processo di diversificazione economica incentrato sullo sfruttamento di risorse
alternative al petrolio e sulla valorizzazione della manodopera locale. In particolare sta puntando molto
sull'edilizia, sulla costruzione di infrastrutture e sul turismo. In Oman sono presenti tre Ftz: - Salalah, istituita
nel 2005, comprende tre grossi poli, l'Octal Petrochemicals, il Salalah Methanol e il Dunes Oman,
specializzati nel settore petrolchimico e nell'attività di fonderia, oltre a un centro più piccolo, il Sapphire
Marine, specializzato nella costruzione di yacht e pescherecci, > Sohar Ftz, in prossimità del Sohar Port,
dove è riunita l'industria petrolchimica, dei metalli e minerali e la logistica portuale con la presenza di terminal
internazionali, > Al Mazunah, a 4 km dal confine yemenita, polo specializzato nella lavorazione,
conservazione e distribuzione di prodotti alimentari, ma anche nell'assemblaggio di componenti dell'industria
automobilistica e si avvale della manodopera a basso costo proveniente dallo Yemen.
Le più gettonate
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TRA PORTI, AEROPORTI E FINANZA JqpetAH Creata nel 1985, si estende su una superficie di 48 km
quadrati e ospita più di 6.400 imprese. È diretta da Salma Ali Saif bin Hareb (foto). Il plus di questa zona
franca è la sua dislocazione: si estende intorno a un porto molto moderno, considerato il quindicesimo al
mondo per traffico di container, a 40 chilometri dall'aeroporto di Dubai, dove la sezione cargo è in grado di
movimentare 400 tonnellate di carico al giorno, Vi è quindi la possibilità di un rapido smìstamento di merci
attraverso il collegamento tra cargo via mare e via aerea, fattore che contribuisce al ruolo di Dubai come
grande centro di redistribuzione di prodotti nell'area del Golfo e verso l'Asia. (www.jafza.ae). Dubai
irrternaUonaf Finortcial Centra DIFC Lanciata nel 2002 e diretta dal Governatore Essa Kazim (foto) è stata il
motore per la creazione di un centro finanziario internazionale, porta d'ingresso nella regione per capitali e
broker internazionali. Vi hannopreso sede le principali banche d'investimento occidentali. La zona ha
l'obiettivo di: 1. attirare le migliori istituzioni finanziarie mondiali e regionali, società e fornitori di servizi per
operare nel DIFC e contribuire alla crescita economica della regione del Golfo; 2. facilitare il processo di
privatizzazione e di liberalizzazione dei mercati nella regione del Golfo; 3. offrire uno sportello unico di servizi
per soddisfare tutti i bisogni degli utenti e dei titolari di licenze del DIFC; 4. creare un centro globale per la
finanza islamica (www.difc.ae). Dubai Maritime City Situata tra Port Rashid e Dubai Dry Docks a 8 chilometri
dal Dubai International Airport, diretta da Khamis Juma Buamin (foto) è una struttura all'avanguardia che
accoglie funa vasta gamma di società di servizi marittimi, dalla classificazione navale, all'accertamento delle
norme di sicurezza, ai servizi offshore e onshore di ristorazione e di fornitura per navi, ai servizi di riparazione
e manutenzione, Ma il progetto è di farne anche un centro di ricerca e formazione marittima con un'
Accademia navale a cui si aggiungeranno un centro di ricerca oceanografica, un museo di storia navale e un
centro per la costruzione di navi tradizionali (www.dubaimaritimecity.com). Dubai Airport Free Zone Sorge in
prossimità dell'aeroporto di Dubai su una superficie di 3 milioni di metri quadri. È considerata la più efficiente
del mondo secondo il punteggio del Foreign / Direct Investment Magazine's Global Free Zones & Awards '
2012-13. È specificamente destinata al magazzinaggio/ distribuzione, collegato al trasporto aereo, nonché
alla produzione di beni ad alto valore aggiunto e tecnologicamente avanzati; si sta ampliando per avere 10
punti di carico aereo e la possibilità di visionare e ordinare, direttamente dall'aeroporto mercé attraverso una
sorta di grande emporio d'affari (www.dafz.ae),È presieduta da Ahmed Bin Saeed Al Maktoum (foto), Ras Al
Khaimah Free Trade Zone Ras Al Khaimah è un emirato che si trova a 45 minuti a est di Dubai, ha accesso
al mercato asiatico e africano, data la sua posizione strategica sulla punta del corno arabico, ed è
considerata una delle emerging free zone più interessanti. Offre un Business Park, un Industriai Park e un
Technological Park che forniscono infrastrutture specifiche e dedicate ai diversi tipi di imprese e di business
che accolgono. L'emirato, inoltre, grazie al porto di Saqr intercetta le rotte marittime che attraversano lo
stretto di Hormuz. Questa zona ha già registrato 4500 società provenienti da 106 diversi paesi del mondo
(www.rakftz.com). Nadia Rinawi (foto) è a capo del Marketing and Business Investment Department.
Foto: Mohammed Al Zarooni, direttore delia Dubai Airport Free Zone, giudicata una delle più efficienti al
mondo
Foto: II quartier generale della Dubai Miipun i-ree Zone, destinata al magazzinaggio/distribuzione, collegato al
trasporto aereo, nonché alla produzione di beni ad alto valore.
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ItaliaOggi Sette - N.242 - 13 ottobre 2014
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Hacker, in 117 mila sotto attacco
Cresce il numero di aziende a rischio. Più colpiti i big
DI VALERIO STROPPA
Oltre 117 mila attacchi informatici al giorno a danno delle aziende di tutto il mondo. In totale nel 2014 saranno
quasi 43 milioni, con una crescita del 48% rispetto allo scorso anno. Aumenta anche l'impatto economico
delle frodi: quando gli hacker vanno a segno, i danni si attestano in media a 2,7 milioni di dollari, mentre
decuplica il numero delle grandi aziende che subiscono perdite per oltre 20 milioni (banche, gestori carte di
credito, motori di ricerca ecc.). È quanto emerge dalla Global State of Information Security Survey 2015,
curata da PwC, CIO e CSO. La ricerca ha coinvolto 9.700 top manager (ceo, cfo, cio, cso), addetti IT e
responsabili delle procedure di sicurezza di 154 paesi. Nonostante le preoccupazioni crescenti, tuttavia, dal
sondaggio emerge che le spese per la sicurezza informatica sono globalmente diminuite del 4% rispetto al
2013. Complice la crisi economica che riduce o azzera gli investimenti, negli ultimi cinque anni la percentuale
di spesa per la cybersecurity all'interno dei budget IT è rimasta al 4% o diminuita. Le grandi aziende sono i
bersagli preferiti dagli hacker, perché detengono informazioni di maggior valore. Le realtà con fatturato
superiore al miliardo di dollari hanno registrato il 44% di incidenti in più rispetto all'anno precedente. Tuttavia,
le imprese più strutturate sono quelle che presentano le difese migliori. Motivo per cui i criminali del web
stanno iniziando a colpire anche le piccole e medie imprese. Che in Italia rappresentano oltre il 95% del
tessuto produttivo. «Non sorprende che i casi di violazione della cybersecurity crescano ogni anno, insieme
all'impatto fi nanziario che ne deriva», spiega Fabio Merello, responsabile cybersecurity di PwC Italia
«tuttavia, la rilevanza di tali violazioni diventa maggiore se consideriamo le modalità di individuazione e
gestione di tali eventi. Gli attacchi sono sempre più sofisticati. È fondamentale identifi care procedure che
integrino al massimo capacità predittive, preventive, di indagine e di risposta in caso di violazioni, per
minimizzarne gli impatti negativi». La ricerca analizza i responsabili delle violazioni ai sistemi di sicurezza
informatica. Nella maggior parte dei casi si tratta di impiegati della società o ex dipendenti, ma cresce pure il
coinvolgimento di service provider (+15%) e consulenti esterni (+17%). La survey rileva poi un incremento del
64% di incidenti attribuiti all'iniziativa di aziende concorrenti, alcune delle quali «probabilmente supportate dai
rispettivi governi». Un ulteriore aspetto affrontato dallo studio consiste nella ridotta sensibilità delle fi gure
apicali dell'azienda ai rischi connessi alla sicurezza informatica. Solo il 49% degli intervistati afferma di aver
adottato un team multidisciplinare che periodicamente si riunisce per discutere, coordinare e comunicare
informazioni che riguardano tali aspetti. «I rischi legati alla sicurezza informatica non verranno mai
completamente eliminati e con la crescita del cybercrime le società devono essere preparate e vigili
nell'ambito di uno scenario in costante evoluzione», conclude Merello, «le aziende devono passare da un
modello di sicurezza tradizionale, concentrato su prevenzione e controllo, a un approccio basato sulla
gestione del rischio che sia in grado di dare priorità agli asset di maggior valore e valuti le minacce
incombenti».
Sicurezza informatica Il numero di attacchi informatici nel mondo 2009 3,4 milioni 2010 9,4 milioni 2011
22,7 milioni 2012 24,9 milioni 2013 28,9 milioni 2014 42,8 milioni Da dove arriva la minaccia? Dall'interno
Dall'esterno Dipendenti attuali: 35% Hackers: 24% Ex dipendenti: 30% Autore sconosciuto: 18%
Consulenti/terzi contraenti: 18% Concorrenti: 24% Fornitori/partner commerciali: 13% Crimine organizzato:
15% Il costo medio di una frode Piccole imprese (ricavi fi no a 100 milioni di dollari) Medie imprese (ricavi tra
100 milioni e 1 miliardo di dollari) Grandi imprese (ricavi superiori a 1 miliardo di dollari) Fonte: «The Global
State of Information Security Survey 2015, a worldwide survey by CIO, CSO and PwC».
Partecipazione dei top manager alla gestione dei rischi informatici In quante aziende il consiglio di
amministrazione è direttamente coinvolto nelle seguenti attività? Budget per la sicurezza informatica Defi
nizione di ruoli e responsabilità nel sistema di sicurezza informatica Politiche di sicurezza informatica
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Indagine realizzata da PwC, CIO e CSO: gli impiegati tra i maggiori responsabili
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ItaliaOggi Sette - N.242 - 13 ottobre 2014
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(diffusione:91794, tiratura:136577)
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Investimenti tecnologici per la sicurezza Politica generale di sicurezza aziendale Valutazione dei risultati del
sistema di sicurezza e della gestione dei rischi di privacy
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ItaliaOggi Sette - N.242 - 13 ottobre 2014
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(diffusione:91794, tiratura:136577)
Brevetti, via alle agevolazioni
Dal 6 novembre le richieste per modelli già registrati
DI CINZIA DE STEFANIS
Stanziati dal Mise 5 milioni di euro per l'innovazione delle Pmi. Dal 6 novembre sarà possibile richiedere le
agevolazioni previste dal bando «disegni+2» del Ministero dello sviluppo economico. Alla data di
presentazione della domanda di agevolazione il progetto di valorizzazione di un disegno o di un modello
dovrà essere registrato e l'impresa richiedente l'agevolazione dovrà esserne titolare o dovrà essere in
possesso di un accordo di licenza con un soggetto, anche estero, che ne detiene la titolarità. Le risorse
saranno assegnate con procedura valutativa a sportello, secondo l'ordine cronologico di presentazione delle
domande e fi no a esaurimento delle risorse stesse. Tutto questo è quanto contenuto nel bando del ministero
dello sviluppo economico, rubricato «concessione di agevolazioni alle imprese per la valorizzazione dei
disegni e modelli» (il cui comunicato è stato pubblicato in Gazzetta Uffi ciale dell'8 agosto 2014serie generale
n. 183). Presentazione domande. Per accedere all'agevolazione è necessario compilare il form online. La
compilazione del form on line consente l'attribuzione del numero di protocollo, che deve essere riportato nella
domanda di agevolazione. Il form on line sarà disponibile sul sito www.disegnipiu2.it a partire dal 6 novembre
e fi no a esaurimento delle risorse disponibili. L'Unioncamere curerà gli adempimenti tecnici e amministrativi
riguardanti l'istruttoria delle domande e l'erogazione delle agevolazioni del presente bando, anche attraverso
strutture in house del sistema camerale. Le imprese devono presentare la domanda per l'agevolazione entro
dieci giorni dalla data del protocollo assegnato mediante compilazione del form online. La domanda, redatta
secondo i modelli allegati al bando (allegati 1 e 2) , costituisce una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà
ai sensi degli articoli 46 e 47 del dpr 28 dicembre 2000, n. 445. Quanto dichiarato nella domanda comporta le
conseguenze, anche penali, prescritte nel suddetto decreto in caso di dichiarazioni mendaci. La domanda di
agevolazione, sottoscritta dal legale rappresentante dell'impresa contiene: - dichiarazione sostitutiva di atto
notorio della dimensione di impresa; - dichiarazione sostitutiva di certifi cazione di iscrizione dell'impresa al
registro delle Imprese; - dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che nei propri confronti non
sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui alla vigente normativa antimafi a; dichiarazione sostitutiva di atto notorio che l'impresa è in regola con l'assolvimento degli obblighi contributivi
attestati dal documento unico di regolarità contributiva; - dichiarazione sostitutiva di atto notorio degli
eventuali aiuti già ricevuti dall'impresa a titolo di «de minimis» nell'arco dell'ultimo triennio; - dichiarazione che
l'impresa richiedente e le imprese fornitrici dei servizi prescelti, i cui costi rientrano tra le spese ammissibili,
non si trovano, a partire da 24 mesi precedenti la data di presentazione della domanda, in una delle situazioni
di cui all'art. 2359 c.c. ovvero non devono essere state partecipate, anche cumulativamente, per almeno il
venticinque per cento, da medesimi altri soggetti, anche in via indiretta; - dichiarazione che l'impresa
richiedente non ha usufruito di servizi, per i quali vengono richieste le agevolazioni del presente bando,
erogati da: amministratori o soci dell'impresa benefi ciaria 1. I dieci giorni dalla data di assegnazione del
protocollo online per l'invio della domanda di agevolazione sono calcolati a partire dal giorno successivo a
quello di assegnazione del protocollo. Se il 10° giorno utile per l'invio della domanda di agevolazione cade nei
giorni di sabato o festivi, tale termine si intende prorogato al primo giorno lavorativo successivo. dichiarazione liberatoria sulla privacy; - dichiarazione che il disegno/modello registrato sia in corso di validità;
- dichiarazione in merito alla eventuale iscrizione nell'elenco delle imprese con rating di legalità. Allegati ai
documenti. La domanda di agevolazione deve essere corredata dai seguenti documenti: - il progetto di
valorizzazione del disegno/modello, (allegato 3 «Project plan»), con l'indicazione degli obiettivi finali che si
intendono perseguire e dei relativi costi preventivati; - i preventivi di spesa dei servizi specialistici esterni
redatti su carta intestata del fornitore e debitamente sottoscritti che descrivano i servizi offerti, i tempi di
rilascio, il numero ed il costo unitario delle giornate uomo, l'importo complessivo. I preventivi devono recare
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Lo prevede il bando disegni+2, del Mise. Stanziati 5 milioni per le pmi innovatrici
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data successiva alla data di pubblicazione del comunicato relativo al presente bando nella gazzetta ufficiale;
ad essi devono essere allegati i curricula dei fornitori. Nel caso di società occorre allegare, altresì, i curricula
delle singole professionalità coinvolte; - il certifi cato di registrazione del disegno/modello, nonché la
riproduzione grafica e la descrizione dello stesso. La domanda di agevolazione deve essere trasmessa entro
dieci giorni dalla data del protocollo assegnato mediante compilazione del form online esclusivamente tramite
posta elettronica certifi cata al seguente indirizzo: [email protected] Per la validità della data di invio
farà fede la data d'arrivo della Pec all'indirizzo sopra indicato. La domanda e i relativi allegati devono essere
inviati in formato Pdf unicamente dall'indirizzo Pec dell'impresa richiedente o dall'indirizzo Pec di un suo
procuratore speciale. In tale ultimo caso occorre allegare la relativa procura speciale. Nell'oggetto della Pec si
deve riportare la seguente dicitura: «Disegni+2». L'Unioncamere non assume responsabilità per eventuali
ritardi e/o disguidi nella trasmissione comunque imputabili a fatto di terzi, a caso fortuito o forza maggiore né
per lo smarrimento di comunicazioni dipendente da inesatte indicazioni del recapito da parte del soggetto
richiedente. Non saranno prese in considerazione le domande: - per le quali non si sia proceduto alla
compilazione del form on line per l'attribuzione del protocollo; - inviate prima del 90° giorno successivo alla
data di pubblicazione Bando; - inviate oltre il 10° giorno dalla data di assegnazione del protocollo attribuito
mediante compilazione del form on line; - non inviate secondo le modalità richieste; - presentate da soggetti
diversi da quelli soggetti alle agevolazioni; - non sottoscritte dal legale rappresentante dell'impresa; - non
compilate secondo il modello di domanda (allegato 1 e allegato 2) e prive del project plan (allegato 3) ; - prive
del certificato di registrazione del disegno/ modello. Istruttoria dei progetti e concessione dell'agevolazione.
Le risorse sono assegnate con procedura valutativa a sportello, ai sensi dell'art. 5, comma 3 del dlgs 123/98,
secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande e fi no a esaurimento delle risorse stesse. Ai
fini della definizione dell'ordine cronologico di presentazione delle domande si farà riferimento al numero di
protocollo assegnato al momento della compilazione del form online. In caso di insuffi cienza dei fondi l'ultima
domanda istruita con esito positivo è ammessa alle agevolazioni fi no alla concorrenza delle risorse fi
nanziarie disponibili. L'istruttoria delle domande è effettuata dall'Unioncamere che verifi ca la regolarità
formale e la completezza della domanda di agevolazione, la sussistenza dei requisiti, le condizioni di
ammissibilità previste dal bando . L'istruttoria si conclude con un giudizio motivato, positivo o negativo, in
merito alla concessione o meno dell'agevolazione mediante comunicazione all'impresa interessata, entro il
termine di 90 giorni dalla data di assegnazione del protocollo attribuito mediante compilazione del form on
line. In caso di esito positivo dell'istruttoria l'Unioncamere adotta un provvedimento di concessione
dell'agevolazione in favore dell'impresa benefi ciaria . Cosa viene agevolato. Oggetto dell'agevolazione è la
realizzazione di un progetto fi nalizzato alla valorizzazione di un disegno/modello, singolo o multiplo. Il
progetto deve riguardare la valorizzazione di un disegno/modello che - alla data di presentazione della
domanda di agevolazione - sia registrato e di cui l'impresa richiedente l'agevolazione sia titolare o in
possesso di un accordo di licenza con un soggetto, anche estero, che ne detiene la titolarità. Il progetto deve
essere concluso entro 12 mesi dalla notifica del provvedimento di concessione dell'agevolazione.
In sintesi Fondi disponibili Stanziati dal Mise 5.000.000,00 (cinque milioni) di euro per la valorizzazione di
disegni e modelli industriali. Domande Dal 6 novembre è possibile presentare le domande di agevolazioni.
Per accedere all'agevolazione è necessario compilare il form on line. La compilazione del form on line
consente l'attribuzione del numero di protocollo, che deve essere riportato nella domanda di agevolazione. Il
form on line sarà disponibile sul sito www.disegnipiu2.it a partire dal 90° giorno successivo alla data di
pubblicazione nella gazzetta uffi ciale del comunicato relativo al bando e fi no ad esaurimento delle risorse
disponibili. Soggetto gestore L'Unioncamere curerà gli adempimenti tecnici e amministrativi riguardanti
l'istruttoria delle domande e l'erogazione delle agevolazioni del presente bando, anche attraverso strutture in
house del sistema camerale. Assegnazione risorse Le risorse sono assegnate con procedura valutativa a
sportello, secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande e fi no ad esaurimento delle risorse
stesse.
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ItaliaOggi Sette - N.242 - 13 ottobre 2014
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Tecno-rifiuti tracciabili a 360°
Via a marcatura Aee alla fonte e gestione Raee a valle
Pagina a cura DI VINCENZO DRAGANI
Marcatura delle nuove apparecchiature elettriche ed elettroniche (c.d. «Aee») con gli estremi del produttore, a
partire dal 9 ottobre 2014. e controllo telematico Sistri della gestione dei relativi rifi uti (cd. «Raee») dietro
minaccia di sanzioni dal 1° gennaio 2015. Queste, insieme a più elasticità nell'utilizzo di sostanze pericolose
nella fabbricazione delle Aee e nella scelta da parte degli stessi produttori del miglior sistema per garantire gli
standard minimi di recupero/riciclo una volta a fi ne vita, le ultime novità che interessano la riformulata
disciplina ambientale sulle tecno-apparecchiature, in vigore dalla seconda metà del 2014. Il quadro normativo
di riferimento. Le novità gravitano intorno ai due provvedimenti nazionali che nella prima parte del 2014
hanno riformulato le regole sulla eco-compatibilità di Aee e Raee: il dlgs 27/2014 sulla produzione
ambientalmente sostenibile delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (adottato in attuazione della
direttiva 2011/65/Ue e in vigore dal 30 marzo 2014) che prevede, sulla falsariga della precedente disciplina,
la restrizione della commercializzazione di Aee contenenti determinate sostanze pericolose (piombo,
mercurio, cadmio, cromo esavalente, bifenili polibromurati, eteri di bifenile polibromurato) e il dlgs 49/2014
(emanato in attuazione della direttiva 2012/19/Ue, in vigore dal 12 aprile 2014) sulla gestione dei relativi rifiuti.
Entrambe le nuove discipline (che sostituiscono pressoché integralmente quella dello storico dlgs 151/2005,
lasciandone però in vita l'attuativo dm 65/2010 sul tracciamento semplifi cato dei rifi uti) sono fondate sulla
logica di «catalogo aperto» che riconduce sostanzialmente sotto il loro campo di applicazione ogni
apparecchiatura inquadrabile come «Aee» o «Raee». Il dlgs 27/2014 si applica, infatti, fin dal marzo scorso a
tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche, con l'unica eccezione dei pannelli fotovoltaici installati in
loco da professionisti. Il dlgs 49/2014 coprirà invece fi no al 14 agosto 2018 solo un novero limitato di Aee a fi
ne vita (coincidente con quello ex dlgs 151/2005, più i pannelli fotovoltaici) mentre dal 15 agosto 2018 si
applicherà a tutte le Aee da dismettere (a eccezione di quelle per sicurezza nazionale, militare e spaziale).
Nuova marcatura Aee. Dal 9 ottobre 2014, come anticipato, tutte le nuove apparecchiature elettriche ed
elettroniche da immettere sul mercato devono essere provviste di un marchio identificativo del produttore e di
un simbolo che ricordi l'obbligo di raccolta separata delle stesse una volta divenute rifi uti. Ai sensi
dell'articolo 28 del dlgs 49/2014 il marchio, conforme alla normativa «Cei En» di settore, deve contenere
almeno un elemento tra nome del produttore, suo logo (se registrato), numero di iscrizione al Registro
nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione Raee. In aggiunta, dunque non in
alternativa, è possibile apporre sulle Aee sistemi di identifi cazione a radio frequenza (Rfi d), previa
comunicazione e approvazione da parte del Comitato di vigilanza e controllo. Nel tenore del dlgs 49/2014 il
marchio apposto «deve consentire di individuare in maniera inequivocabile il produttore delle Aee e che le
stesse sono state immesse sul mercato successivamente al 13 agosto 2005», imponendo dunque gli
operatori in parola a intervenire anche sui beni già prodotti ma ancora non commercializzati alla data del 9
ottobre 2014 (scadenza indicata dall'articolo 40 come termine iniziale dell'obbligo in parola). Insieme al
marchio deve altresì essere obbligatoriamente apposto il (noto) simbolo del contenitore dei rifi uti barrato
indicante il divieto di smaltimento indifferenziato. Entrambe le etichettature devono essere apposte sulla
superfi cie dell'Aee, su una sua parte visibile dopo la rimozione di un componente che non necessiti di utensili
o, in caso di impossibilità per dimensioni o funzioni del prodotto, su imballaggio e istruzioni. Deroghe per
sostanze pericolose nelle Aee. Dallo scorso 26 settembre 2014 hanno inoltre piena vigenza sul territorio
nazionale le eccezioni al divieto generale di utilizzo di alcune sostanze pericolose nella fabbricazione di
nuove Aee introdotte dagli ultimi provvedimenti tecnici Ue del 2014. Mediante il dm Ambiente 25 luglio 2014
sono infatti state trasposte nel dlgs 27/2014 (sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche) le deroghe
sancite dalle ultime otto direttive delegate (numerate dalla 69 alla 76) adottate dall'Unione europea in
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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Entra nel vivo la disciplina disegnata dai decreti legislativi 27/2014 e 49/2014
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ItaliaOggi Sette - N.242 - 13 ottobre 2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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attuazione della direttiva madre 2011/65/Ue sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nei
tecno-prodotti. Le deroghe consentono l'uso in via eccezionale del piombo in strumenti di monitoraggio di
impianti industriali, apparecchiature mediche, controllo motori e l'impiego del mercurio in monitor professionali
e tubi luminosi. Il tutto sul presupposto dell'attuale insostituibilità tecnica delle sostanze in parola, condizione
che, secondo l'attuale tenore del riformulato dlgs 27/2014, ne giustificherà l'impiego in alcuni casi anche fi no
al 2024. Adempimento obblighi recupero/riciclo Raee. Dal 21 agosto 2014 vige anche una maggior libertà per
i produttori di nuove apparecchiature nello scegliere il proprio sistema ottimale per garantire gli obblighi di
recupero e riciclaggio minimi dei Raee generati dal consumo delle proprie Aee. La legge 116/2014 ha infatti
ritoccato le norme recate dal dlgs 49/2014 sulle opzioni offerte ai soggetti in parola (adempimento in forma
individuale o collettiva), stabilendo che la scelta della seconda formula (adesione a sistema collettivo) può
essere in qualsiasi momento revocata tramite fuoriuscita dal consorzio al quale si è aderito o passaggio da un
ente all'altro. Sistri per Raee. Dal 1° gennaio 2015, invece, la piena operatività del nuovo sistema di
tracciamento telematico dei rifiuti (coincidente con il termine dell'obbligo della parallela tenuta delle
tradizionali scritture ambientali e lo scattare della vigenza delle sanzioni Sistri) interesserà anche molti
produttori e gestori di Raee. In base al dlgs 152/2006 e provvedimenti satellite l'obbligo di tracciamento
telematico riguarda infatti tutti i medio-grandi produttori di rifi uti speciali pericolosi (poiché eccezioni per
alcune piccole imprese con meno di 10 dipendenti che non stoccano i propri residui sono previste dal recente
dm Ambiente 24 aprile 2014) e i soggetti che provvedono a trasporto e trattamento degli stessi. Potranno
invece continuare a effettuare il tracciamento dei rifi uti fuori dal Sistri distributori, installatori e gestori dei
centri di assistenza tecnica Aee ammessi (in relazione ai corrispondenti rifi uti ritirati) dal dlgs 49/2014 alla
tenuta delle scritture ambientali «light» ex dm 65/2010 (tenuta dello «schedario di carico e scarico» e del
«documento di trasporto», versioni semplificate dei più complessi e storici «registri di carico e scarico» e
«formulario di trasporto dei rifi uti»). « Aia» per trattamento Raee. Dall'11 aprile 2014, lo ricordiamo, è inoltre
necessario essere in possesso di «autorizzazione integrata ambientale» per poter effettuare frantumazione di
ingenti quantitativi di Raee. Ad imporlo è il dlgs 46/2014, l'ultimo provvedimento in materia di emissioni
industriali che ha riscritto l'elenco del dlgs 152/2006 relativo alle attività che necessitano di «Aia» per poter
essere esercitate, inserendovi il trattamento superiore ai 50 megagrammi al giorno di rifiuti metallici in
frantumatori, residui tra i quali rientrano anche i Raee.
Il quadro delle ultime novità Aee Obbligo marcatura Aee Deroghe per sostanze pericolose Dal 9 ottobre
2014 Dal 26 settembre 2014 Obbligo di apposizione su nuove Aee di marchio identifi cativo produttore e
simbolo raccolta differenziata Nuove esenzioni dal divieto generale di utilizzo di determinate sostanze
pericolose nella produzione di alcune Aee Raee Percentuali minime recupero/riciclo Raee Dal 21 agosto
2014 Sistri Dal 1° gennaio 2015 Maggior libertà per i produttori di Aee nel passaggio tra i diversi sistemi di
organizzazione (collettivi o individuali) per garantire standard di legge Applicazione sanzioni per violazione
adempimenti di tracciamento telematico a carico dei medio-grandi produttori e dei gestori di Raee speciali
pericolosi non ammessi al regime semplifi cato ex dm 65/2010 «Aia» per trattamento Raee Dall'11 aprile
2014 Necessità di autorizzazione integrata ambientale per trattare in frantumatori quantità di Raee superiori
ai 50 megagrammi al giorno
10/10/2014
Business People - N.10 - ottobre
2014
Pag. 44
(tiratura:60000)
Pacchetto tutto incluso per agevolare i piccoli clienti
La formula finanziaria è un elemento fondamentale nel mercato delle flotte aziendali
Nel mese di agosto Nissan Italia ha fatto segnare un rotondo +5% rispetto allo scorso anno. «Per il secondo
mese consecutivo siamo leader dei marchi asiatici con una quota mercato superiore al 3,7%», dice
l'amministratore delegato Bruno Mattucci. «Questa tendenza impatta anche l'area delle flotte, dove stiamo
crescendo, grazie anche al notevole gradimento della gamma veicoli commerciali, con in testa NV200:
recentemente Dhl ne ha acquistati 50 totalmente elettrici». Quali altri modelli sono i vostri best seller? Tutti i
nuovi prodotti lanciati nel 2014: Qashqai, Note e Juke. E poi, a ottobre, arriverà la Pulsar .... Noleggio a lungo
termine, leasing, acquisto: qual è la formula preferita dai clienti flotte Nissan? La formula finanziaria è un
elemento fondamentale nel mercato flotte. Per la piccola e media impresa, l'acquisto di veicoli aziendali è
storicamente legato al finanziamento e al leasing. La nostra azienda, grazie alla partnership con Nissan
Finanziaria, è in grado di assicurare questi prodotti abbinandoli anche a pacchetti assicurativi e di
manutenzione programmata, che rendono l'offerta ancora più vantaggiosa e completa. Con il nuovo
programma NissanLease, inoltre, cerchiamo di intercettare la crescente domanda che arriva anche dal
settore del noleggio a lungo termine, che viene scelto dalla quasi totalità delle grandi flotte. Potrebbe esserci
uno sconfinamento nel noleggio a breve di alcuni modelli del gruppo? Nissan utilizza con successo anche in
Italia il noleggio a breve per operazioni di visibilità e posizionamento dei nuovi modelli. Proprio recentemente
abbiamo realizzato una partnership con Avis per i nuovi modelli Qashqai e X-Trail, con la fornitura di 275
unità.
Foto: La Pulsar in arrivo duellerà con i best seller Qashqai, Note e Juke
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/10/2014
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A.D. DI NISSAN ITALIA Bruno MATTUCCI