File - Parrocchia di San Lorenzo Martire in Zogno

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
1.3.2015
1. SACRA PAGINA
Dal libro della Gènesi
22,1-2.9.10-13.15-18
In quei giorni, 1Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose:
«Eccomi!». 2Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel
territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». 9Così
arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò
la legna. 10Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.
11Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!».
Rispose: «Eccomi!». 12L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e
non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo
unigenito». 13Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna
in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del
figlio. 15L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16e
disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non
hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, 17io ti colmerò di benedizioni e renderò
molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che
è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18Si
diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai
obbedito alla mia voce». Parola di Dio
Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi. Sal 115
Ho creduto anche quando dicevo:
«Sono troppo infelice».
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Ti prego, Signore, perché sono tuo servo;
io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo,
negli atri della casa del Signore,
in mezzo a te, Gerusalemme.
1
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
8,31-34
Fratelli, 31se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32Egli, che non ha risparmiato il
proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa
insieme a lui? 33Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui
che giustifica! 34Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla
destra di Dio e intercede per noi! Parola di Dio
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre:
«Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!».
(Mc 9,7)
Dal Vangelo secondo Marco
9,2-10
In quel tempo, 2Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su
un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti
divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe
renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui;
facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva
infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la
sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato:
ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno,
se non Gesù solo, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non
raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo
fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa
volesse dire risorgere dai morti. Parola del Signore
2. LECTIO
La “colletta” odierna riassume bene, in forma di preghiera, il messaggio
delle letture bibliche. La 1a lettura esalta l‟obbedienza estrema della fede di
Abramo, padre di noi credenti; la 2a esalta l‟amore ineffabile di Dio, il quale “non
ha risparmiato il proprio Figlio”, l‟autentico Figlio della promessa, ma lo ha
donato per tutti noi; il brano evangelico della trasfigurazione di Gesù, situato in
Marco tra il primo e il secondo annuncio della passione, esalta l‟inscindibile
mistero della morte e risurrezione di Cristo e addita l‟agonia della vita umana
quale unico cammino possibile verso la luce della vita divina, che tutto trasfigura.
Oggi, quindi, preghiamo: “O Dio, Padre buono, che non hai risparmiato il tuo
2
Figlio unigenito, ma lo hai dato per noi peccatori: rafforzaci nell‟obbedienza della
fede, perché seguiamo in tutto le sue orme e siamo con lui trasfigurati nella luce
della tua gloria”.
a/ DIO METTE ALLA PROVA, MA VEDE E PROVVEDE
“ Dio ha creato gli uomini, perché egli - benedetto sia! - adora i racconti”
(Sh. B. Kopp). Dispiace che il brano liturgico non riproduca interamente la pagina
di Gn c. 22, esempio mirabile del narrare biblico, il cui miglior commento è
l‟ascolto. Più che Abramo, è Dio il protagonista della narrazione: all‟inizio, nel
mezzo e alla sua conclusione. “Dio mise alla prova Abramo e gli disse” (vv. 1-2);
“L‟angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse...” (v. 11); “l‟angelo del
Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse...” (vv. 15-16)
Al centro del racconto, sta il nome dato da Abramo al luogo del sacrificio:
“II Signore “vede”, (v. 14a; oppure, secondo la versione greca dei LXX: “Il
Signore „provvede‟”). “Vede” o “provvede”, soltanto perché ha «provveduto»
un‟altra vittima (un ariete, v. 13) per il sacrificio? Troppo poco, visto che questo
nome rimarrà per sempre ad indicare quel luogo, quel monte: “Perciò oggi si dice:
“Sul monte il Signore-vede-provvede”) (v. 14b). “Questo nome esprime la
liberazione da un‟angoscia profonda e la gioia; è una lode di Dio. Come nome
permanente, esso deve continuare a dire che cosa vi è avvenuto. Deve dar notizia
del Dio che “si accorge”, del Dio che “vede” il dolore di coloro che sono in basso”
(Cl. Westermann).
Allora il monte del sacrificio nella storia di Abramo diventa il monte
misterioso ma reale del dolore e della morte, come luogo di vita. Dio vede e
discende nelle mille situazioni di prova e di dolore, non per chiedere ma per
donare. Dio provvede a che il mistero del dolore e della morte s‟incammini
secondo i suoi arcani disegni verso la vita. L‟amaro e assurdo destino del soffriremorire, luogo tipico del grido dell‟uomo al quale sembra rispondere soltanto il
silenzio di Dio, diventa, alla luce della fede, una prova: e Dio “vede” il dolore
dell‟uomo e vi “provvede”.
b/ IL “TIMORE DI DIO” DI ABRAMO, OVVERO LA SUA FEDE
Trasformare in “mito” (in una maniera o in un‟altra) la pagina del
sacrificio di Isacco, equivale ad ucciderla e a porre una pietra sul significato che
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ne sprigiona per l‟esistenza umana. La prova di Abramo fu - in ogni caso - reale,
come è reale la prova di ogni essere umano, come fu reale la morte di Cristo,
come fu reale la sofferenza di Dio nel donare il Figlio: “Dio ha tanto amato il
mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Non “si gioca” con la prova
della sofferenza e della morte, specialmente di certe sofferenze e di certe morti!
Né, da parte di Dio che mise alla prova Abramo, si trattò di un espediente
per saggiare la fede del patriarca: sarebbe una cosa macabra. La prova fu una cosa
seria perché l‟oggetto della prova - Isacco - era la vita di un figlio e costituiva il
cuore della promessa di Dio.
“C’era un progetto di Dio che si stava attuando in Isacco; ma questo si
stava lentamente trasformando in progetto dell’uomo: quel figlio, tanto
sognato e sperato, stava divenendo per Abramo punto di riferimento per i
propri progetti e sogni: da figlio della promessa di Dio, Isacco diveniva
termine dei progetti dell’uomo. Per il Signore urge recuperare l’identità di
quella storia fin dall’origine; quel figlio appartiene a Dio e su questa
appartenenza poggia tutto il senso della storia futura” (E. Menichelli) .
Corrispondentemente, nella prova del sacrificio del figlio Isacco, si palesa
il caso serio della fede di Abramo: “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato
tuo figlio, il tuo unico figlio” (vv. 12b.16). “Timore di Dio” è sinonimo di fede, e
la fede di Abramo è tale da rimettere nelle mani di Dio la vita di Isacco, che
coincide con la stessa storia del patriarca e con il suo futuro. La lettera agli Ebrei
commenta: “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, il suo unico
figlio, del quale era stato detto: “In Isacco avrai una discendenza che porterà
il tuo nome”. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai
morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo” ( Eb 11,17-19).
c/ IL NUOVO “CANTICO DEI CANTICI” DELLA LIBERTÀ
Il “caso serio” di Abramo diventa per Paolo (cf. 2a lettura) il caso serio di
Dio: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il
proprio Figlio ma lo ha donato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme
con lui?” (vv. 31-32).
Il supremo atto di amore di Dio che “ha donato il Figlio per noi”, è la più
forte garanzia dell‟amore che vince tutto, anche la morte, anche i nostri peccati, e
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che abbraccia tutti i beni. Cristo è il “pioniere” di tutti i credenti, che è giunto
personalmente - ma anche per noi - al compimento positivo della storia: “risorto e
assiso alla destra di Dio” (v. 34). Noi lo seguiamo. Angustie e tribolazioni sono
altrettante “prove serie” sul difficile cammino della fede. Di fronte al dubbio, alla
sofferenza che non trova giustificazioni, ai silenzi di Dio che possono anche
crocifiggerlo, il credente sa intonare il nuovo “Cantico dei cantici” della libertà
(l‟intero brano di Rm 8,31-39: ma, ancora una volta, la liturgia lo tronca
infelicemente). L‟amore è più forte di tutto, persino della morte in croce,
soprattutto se ad amare è Dio e se il suo amore si è espresso nel dono per noi del
suo Figlio unigenito.
d/ IL PARADOSSO DELLA TRASFIGURAZIONE
Il contesto in cui Marco pone la cristofania della trasfigurazione è
premessa indispensabile per comprenderne il significato: per Gesù, per i tre
apostoli testimoni, per la comunità cristiana di Marco, per noi.
La trasfigurazione (= 3a lettura) è preparata dal primo annuncio della
passione e della morte di Gesù (8,31-33), nonché dall‟annuncio della croce per chi
vuol seguire Gesù (8,34-38); ma è anche seguita dal secondo annuncio della
passione (9,30-32) e dalla risposta di Gesù alla disputa dei discepoli su “chi tra
loro fosse il più grande”: “Se uno vuol essere il primo, sia l‟ultimo di tutti e il
servo di tutti” (9,33-35).
Un Messia sofferente e crocifisso è un assurdo per Pietro (8,32b) e per
tutti; ma rifiutare la croce è tentazione di Satana (8,33). La logica di Dio
contraddice la logica degli uomini (8,33). E occorre una lunga pedagogia, per i tre
discepoli prediletti, per noi credenti. Lo fu anche per Gesù stesso? Sembrerebbe di
sì, ad ascoltare il grido-preghiera del Getsemani (cf. Mc 14,36).
Dunque, tutti - Gesù, i discepoli, la comunità di Marco provata dalla
persecuzione, ciascuno di noi - siamo chiamati a vivere questo frammento di luce
e di vita anticipate: “La trasfigurazione è un’apparizione pasquale anticipata,
destinata come quelle post-pasquali ad illuminare e a svelare alla chiesa il mistero
della morte e risurrezione del Cristo” (G. Ravasi).
e/ L’ICONA DELLA TRASFIGURAZIONE
La trasfigurazione è davvero un frammento. La risposta del vangelo alla
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reazione tutta umana e anche simpatica di Pietro: “Maestro, è bello per noi stare
qui: facciamo tre tende [...]” (v. 5), è di una chiarezza estrema: “E subito,
guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro” (v. 8). La
luce momentanea della trasfigurazione riconduce subito alla cruda realtà, e questa
è ben raffigurata dal “Gesù solo” (v. 8), che discende dal monte e riprende il
sentiero quotidiano della fatica.
Unica compagna di viaggio è la parola di Dio, la parola di Gesù:
“Ascoltate lui!” (v. 7). E questo basta: basta perché così “è scritto”; basta perché
così abbiamo tutti sperimentato.
Nella tradizione della chiesa d‟Oriente, ogni iconografo-monaco dava
inizio alla sua arte-preghiera di dipingere l‟icona della trasfigurazione soltanto
dopo un deserto di preghiera che durava mesi. Tutto questo per significare, tra
l‟altro, che il faticoso cammino della luce della fede inizia e si snoda su poche
vette e su molte interminabili pianure, anch‟esse rischiarate dalla luce di Pasqua.
3. MEDITATIO
a/ “DIO NON HA RISPARMIATO IL PROPRIO FIGLIO»
Per molti Padri della chiesa il sacrificio di Isacco (cf. 1a lettura) è figura
del sacrificio di Gesù, il Figlio unigenito del Padre; ma quanto nel sacrificio di
Isacco era una tragica possibilità, diventa realtà nell‟evento della passione e morte
di Gesù.
La fedeltà di Dio alle promesse, fatte al patriarca Abramo e rinnovate
lungo le diverse fasi della storia della salvezza, si manifesta nel modo più
eloquente e più singolare in Gesù Cristo: “Dio non ha risparmiato il proprio
Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (2a lettura, v. 32). Sacrificando il proprio Figlio
per la nostra liberazione, il Padre ci ha mostrato il suo amore infinito.
La morte di Gesù, suggellata dalla risurrezione e dalla sua glorificazione
presso il Padre, è la prova definitiva dell‟amore infinito di Dio per noi. Il cammino
dell‟alleanza tra Dio e il suo popolo trova nella croce di Gesù la sua
ricapitolazione e il suo vertice: sulla croce, attraverso l‟offerta della propria vita,
Cristo inaugura la nuova alleanza, per cui “Dio sarà per sempre il nostro Dio” con
una fedeltà che non verrà mai meno.
L‟evento pasquale, dunque, nei suoi aspetti di passione, morte e
glorificazione, è la più grande rivelazione dell‟amore fedele di Dio per noi. Gesù
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stesso, da assiso alla destra del Padre nella gloria, è garanzia della fedeltà e della
bontà di Dio: il Cristo risorto “intercede per noi” (v. 34) perché non veniamo più
separati da Dio e otteniamo da lui “ogni cosa insieme con lui” (cf v. 32).
Il sacrificio di Cristo, voluto dall‟amore del Padre, ha un‟efficacia
universale: è dono di salvezza per tutti gli uomini e sorgente di grazia di tutti i
beni necessari alla salvezza. Ed è proprio su questa fedeltà assoluta di Dio e sul
suo illimitato amore che si fonda la speranza della salvezza futura: “Il Figlio di
Dio mi ha amato e ha dato tutto se stesso per me” (Gal 2,20).
b/ “SE DIO È PER NOI, CHI SARÀ CONTRO DI NOI?”
Il brano della lettera ai Romani (= 2a lettura odierna) viene chiamato nella
lectio il nuovo “Cantico dei cantici della libertà”. In Cristo Dio si è manifestato
come amore che si dona; fatta questa scoperta, tutta l‟esistenza umana si illumina;
ora possiamo vivere senza più paure.
L‟immagine sottintesa al brano di Paolo è quella del processo: “Chi potrà
accusare quelli che Dio ha scelto? Chi potrà condannarli?” (vv. 33.34); se i
credenti hanno dalla loro parte il Padre e Cristo saranno certamente salvi.
Se Dio ci ha donato il suo Figlio, sarà possibile che non ci dia ogni cosa
insieme con il Figlio (v. 32)? Nessun limite può essere opposto alla logica di
donazione di Dio: il dono della salvezza è contenuto nel dono più grande: quello
del Figlio.
È impossibile che nel giorno finale Dio si faccia accusatore di coloro che
egli ha giustificati. Parimenti è impensabile che Cristo emetta sentenze di
condanna contro coloro per i quali è morto e risuscitato e per i quali intercede
presso il Padre.
Il cammino dei credenti nella storia è segnato da una speranza che è
fondata sull‟amore indefettibile di colui che in Cristo si è fatto «Dio per noi».
Ormai nulla potrà separarci dall‟amore di Cristo: la persecuzione,
l‟oppressione, la violenza, l‟angoscia, le angustie, le tribolazioni, la stessa morte
non potranno mai più rompere il nostro rapporto con Cristo. L‟amore di Dio in
Cristo è garanzia di liberazione e di salvezza; di fronte al dubbio, al dolore, alla
solitudine, ai vari silenzi di Dio, alla morte, potremo dire: ..In tutto questo noi
siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,37). La nostra
preghiera in tal modo diventa un canto e un rendimento di grazie: “Sì, io sono il
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tuo servo, Signore... hai spezzato le mie catene. A te offrirò sacrifici di lode e
invocherò il nome del Signore” (salmo responsoriale).
Il canto di libertà della lettera ai Romani è la sintesi dei vari canti di
vittoria e di lode disseminati nella Bibbia, tra i quali spicca soprattutto quello di
liberazione del popolo di Israele tornato in libertà nella terra promessa dopo
l‟amara esperienza di schiavitù in terra egiziana (Es c. 15); e tuttavia il canto
dell‟Esodo è solo una figura del nuovo canto di liberazione e di vittoria che nasce
dalla nuova alleanza tra Dio e il suo popolo sancita nel sangue di Cristo. Cantato
all‟ombra della croce di Gesù, il canto di vittoria non potrà degenerare in
espressione di trionfalismo, ma accompagnerà la sequela di Cristo con le note
della più profonda speranza.
c/ “ASCOLTATELO!”
L‟evento della trasfigurazione, descritto nel brano evangelico, è autentica
conferma del nuovo canto di vittoria e di libertà dei salvati.
S. Girolamo annota: “Questi [Gesù di Nazaret] è Figlio mio, non Mosè ed
Elia. Costoro sono servi, questi è il mio Figlio [...]. Costoro vi annunciano mio
Figlio; ma voi ascoltate lui. Egli è il Signore, essi sono servi. Mosè ed Elia
parlano di Cristo, ma sono servi come voi: questi è il Signore: ascoltate lui. Non
onorate i servi allo stesso modo del Signore: ascoltate il Figlio di Dio”
(Commento al Vangelo di Marco, Città Nuova, p. 75).
S. Agostino da parte sua commenta: “La grazia del Vangelo riceve
testimonianza dalla Legge e dai Profeti [...]. Parla Elia, ma ascoltate Gesù
Cristo [...]. Parla Mosè, ma ascoltate Gesù Cristo. Parlano i profeti, parla la
Legge, ma ascoltate Gesù, voce della Legge e lingua dei profeti [...]. Sentiamo
lui; facciamo ciò che ci dice; speriamo quanto ci promette” (Sermo, 79; PL
38,493).
Solo Gesù è la parola definitiva del Padre; per questo si deve accogliere il
comando del Padre: “Ascoltatelo!” (3a lettura, v. 7) .
L‟evento della trasfigurazione di Gesù sul monte non ha niente in comune
con le metamorfosi delle divinità greco-romane, né può essere interpretata come
un‟esperienza storico-psicologica di Gesù o come un‟esperienza visionaria dei
discepoli (H. U. von Balthasar, Gloria, vol. 7: Nuovo Patto, Milano 1977, p. 308).
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La trasfigurazione di Gesù è un fatto reale, carico di contenuto teologico e
religioso che solo la fede può decifrare e comprendere. Nella trasfigurazione
abbiamo un‟epifania gloriosa di Gesù, Messia nascosto e umile. Essa è un anticipo
della gloria della Pasqua, e senza arrestare il cammino di Gesù verso la croce,
stimola i discepoli a prendere la propria croce e a diventare servi, a donare cioè la
vita, mettendosi alla sequela di Cristo, il “servo sofferente”.
Il mistero della trasfigurazione aiuta a comprendere il significato profondo
della morte del Signore e della sua croce come sigillo della sua predicazione e
della sua dedizione totale alla causa del Regno, e quello della sua risurrezione
quale sbocco glorioso del sacrificio che egli fece di sé al Padre per la sua gloria e
per la salvezza degli uomini.
Alla luce della trasfigurazione trovano verità e consistenza le parole di Gesù: “Se
uno vuol essere il primo, sia l‟ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9,33).
La passione e la morte di Gesù di Nazaret non sono dunque né un
fallimento né una cosa inutile né il segno di un‟improrogabile debolezza.
Espressioni della carità di Dio, esse sono fonte e garanzia di risurrezione; infatti il
Risorto non è altro che Gesù condannato a morte e poi crocifisso.
Nel prefazio la liturgia proclama: “Cristo [...] chiamando a testimoni la
legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo
giungere al trionfo della risurrezione”. Il cristiano e tutta la comunità ecclesiale
devono dunque ascoltare Cristo per volontà e disposizione del Padre:
“Ascoltatelo!”.
Ascoltare il Cristo della trasfigurazione significa consegnare la nostra vita
a lui, dare un senso alla nostra esistenza dietro di lui, credere nel valore del donare
la vita per gli altri, prestare obbedienza alle sue parole, fidarci di lui, portare la
nostra croce dietro di lui, “amare come lui stesso ci ha amati” (cf Gv 15,9),
scendere dal monte per riprendere con lui ogni giorno il sentiero della croce (cf Lc
9,23).
d/ “RAFFORZACI NELL’OBBEDIENZA DELLA FEDE”
Nella «colletta» la liturgia ci fa domandare di essere rinforzati
nell‟obbedienza della fede, perché seguiamo in tutto le orme di Cristo e siamo con
lui trasfigurati nella luce della gloria del Padre.
Abramo è il tipo del credente che obbedisce alla parola di Dio. Tutta la
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storia del patriarca è fatta di fede-obbedienza, di fede-fiducia nella chiamata di
Dio. Per fede Abramo partì per un lontano paese lasciando dietro alle spalle tutto,
i suoi beni, la sua terra, i suoi progetti; in forza della sua fede Abramo ebbe piena
fiducia nel compimento della promessa di una discendenza umanamente
irrealizzabile in quanto Sara, sua moglie, era sterile; per fede Abramo prese il suo
figlio Isacco, pronto ad offrirlo in olocausto a Dio, superando la prova più grande
della sua vita (cf 1a lettura).
Abramo è l‟uomo che teme Dio; non si tratta del timore-paura dei
progenitori che dopo il peccato si nascondono per non incontrare Dio che
passeggia (cf Gn 3,10), bensì di fede, di un rimettere nelle mani di Dio la propria
vita e il proprio futuro.
Questa fede-obbedienza non è certamente frutto di volontà umana; essa è
una fede difficile, anzi in contrasto con la logica umana; essa non può che venire
dall‟alto, dono di Dio e frutto dello Spirito. Questa è la fede che la liturgia ci fa
chiedere con insistenza per poter far sì che il nostro ascoltare Cristo sia vitale.
Questa è la fede che genera continuamente vittoria e libertà.
COLLATIO
1/ La storia della salvezza è la storia dell‟amore di Dio per l‟uomo. Più
che essere l‟uomo a cercare Dio, è Dio che innanzitutto cerca l‟uomo, lo ama e lo
chiama per redimerlo.
Momento singolare e culminante di questa storia salvifica è l‟evento
pasquale: il Padre dona il proprio Figlio, il quale a sua volta effonde con pienezza
il suo Spirito. Nella Pasqua si adempiono tutte le antiche promesse; nella Pasqua
si fonda la certezza che Dio è il Padre che ci ama con un amore ineguagliabile.
L‟evento della Pasqua rivela il vero volto di Dio che è carità.
2/ La vita è tante volte segnata dal dolore a causa di malattie, di
solitudine e di ingiustizie. Di fronte alle difficoltà e alla stessa morte, vero nemico
dell‟uomo, in forza della nostra fede dobbiamo saper dire: “Che cosa mai ci
separerà dall‟amore di Cristo?”. “In virtù di Cristo saremo più che vincitori!” (Rm
8,35.37).
La liturgia deve esprimere sempre il nostro canto di libertà e di vittoria,
che raggiungerà il suo momento intenso nella Veglia della Pasqua, quando, forti
del dono della nuova alleanza, canteremo di nuovo “il canto di Mosè”.
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Ma non lo ripeteremo per ricordare una liberazione ormai lontana quando
il popolo di Israele era schiavo in terra egiziana. Adesso, attraverso l‟ascolto della
parola di Dio, la rinnovazione delle promesse battesimali e la celebrazione
eucaristica, partecipiamo come comunità alla definitiva liberazione dal peccato,
frutto della Pasqua del Signore, vero esodo, compimento di quello antico. Il nostro
canto di vittoria nella Veglia pasquale esprimerà con intensità la gioia, la lode e la
speranza di una comunità che si fa rigenerata dalla Pasqua di Cristo, il vero Mosè.
3/ Il mistero della trasfigurazione anticipa la gloria della risurrezione
come traguardo della passione e morte del Signore. Esso, tuttavia, non nasconde il
cammino della croce con le sue sofferenze e non arresta il cammino di Gesù verso
il Golgota, come del resto non vuole sospendere il nostro portare la croce dietro a
Gesù: “Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34).
L‟evento della trasfigurazione, mentre ci invita ad evitare ogni forma di
trionfalismo e di leggerezza nella nostra vita di fede, ci stimola a percorrere “la
via della croce” non con rassegnazione, ma con speranza. “Portare la croce dietro
a Gesù” significa fare della nostra vita un dono, attraverso uno stile di servizio e di
solidarietà verso tutti: amare, essere servi, condividere le gioie e i dolori degli altri
non saranno mai segno di un fallimento, ma, al contrario, elementi costitutivi della
vera storia evangelica.
Ascoltare il Cristo della trasfigurazione e della gloria significa credere
nella potenza del nostro dono e del nostro servizio verso gli altri.
4. ORATIO
La liturgia ci pone davanti la condizione di un‟autentica conversione come
frutto duraturo di questo cammino quaresimale: donare a Dio il proprio cuore e la
propria vita, nell‟obbedienza totale alla sua parola, nella progressiva liberazione
dai lacci dell‟egoismo e del peccato.
a/ DONARE TUTTO
La lectio ha scorto una connessione profonda tra Abramo e Dio stesso.
Abramo teme Dio, cioè si affida a Dio totalmente, sacrificando il figlio Isacco (cf.
1a lettura), “punto di riferimento per i propri progetti e sogni”. Dio ci dona il
Figlio suo unigenito e, con lui, ci dona tutto.
Sono due rinunzie di assoluta radicalità che continuano ad interpellare i
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credenti di oggi. La preghiera interiorizzerà questa esigenza di totalità e insieme
invocherà umilmente la grazia di Dio che sola può venire in soccorso della nostra
debolezza e delle nostre inevitabili infedeltà.
«Quanto ci hai amato, Padre buono! Non hai risparmiato il tuo Figlio
unigenito, ma per noi lo consegnasti in mano agli empi. Quanto ci hai amato! Per
noi egli non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con te, si fece
obbediente fino alla morte e alla morte di croce! Proprio lui, l’unico libero fra i
morti, che ha il potere di offrire la sua vita e il potere di riprenderla.
Per noi è vincitore e vittima davanti a te, vincitore proprio perché
vittima. Per noi è sacerdote e sacrificio davanti a te, sacerdote proprio
perché sacrificio. Egli da schiavi ci ha resi tuoi figli, nascendo da te, servendo
noi. Con tutta ragione pongo in lui una sicura speranza che tu, o mio Dio,
guarirai tutte le mie infermità”.
(S. Agostino, Confessioni, 10,43)
«Signore, mio Dio, ascolta la mia preghiera, la tua misericordia
esaudisca il mio desiderio, perché esso non arde solo per me, ma vuole essere
utile ai fratelli nell’amore: tu mi vedi nel cuore e sai che è così. Che io ti offra
il servizio del mio pensiero e della mia parola: tu dammi la materia dell’offerta.
Bisognoso e povero io sono, tu invece sei ricco per coloro che ti invocano» . (S.
Agostino, Confessioni, 11,2)
b/ “ASCOLTATELO!”
La voce che risuona al momento della trasfigurazione è l‟invito ad
ascoltare il Figlio amato dal Padre. Chi lo ascolta con perseveranza riceve la
grazia di un cuore trasfigurato capace di intuire nei segni della storia presente la
presenza stessa di Cristo. È questa la vocazione contemplativa di tutta la chiesa, la
radice profonda e ineliminabile che dà vita e senso ad ogni sua attività e iniziativa.
Anche qui può aiutare la nostra creatività orante la testimonianza di S.
Agostino, un maestro che ci ha indicato la via della contemplazione come via
dell‟amore e del servizio.
«Ora sei tu solo che io amo, te solo che seguo, te solo che cerco, te
solo che mi sento pronto a servire. Ti prego, ordina tutto ciò che vuoi, ma
guarisci e apri le mie orecchie perché io possa udire la tua voce
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Guarisci e apri i miei occhi perché io possa vedere la tua volontà.
Dimmi dove devo volgere il mio sguardo per poterti vedere, e avrò la speranza
di fare ciò che tu vuoi.
Si apra, grande, dinanzi a me la porta alla quale busso. Insegnami come
devo fare per arrivare fino a te. Ispirami e guidami, traccia una strada
davanti a me.
Se è con la fede che ti trovano quanti si rifugiano in te, donami la fede; se è
con la forza, donami la forza; se è con la scienza, donami la scienza. Aumenta
in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità”. (Soliloqui, 1,5)
«Siano le tue Scritture, per me, casta gioia, che io non m’inganni su di
esse né inganni altri con esse. Volgiti e abbi pietà, Signore Dio mio, luce dei
ciechi e forza dei deboli, luce dei vedenti e forza dei forti, volgiti all’anima
mia e ascoltala mentre grida dall’abisso.
Tuo è il giorno, tua è la notte; al tuo cenno vola il tempo. Concedimi un
po’ di questo tempo per le mie meditazioni sui misteri della tua Parola, non
voler chiudere la porta a chi bussa.
Certo non senza scopo hai voluto che si scrivessero tante pagine di
buio mistero. Signore, compi la tua opera in me e svelami quelle pagine. La tua
voce è per me al di sopra di ogni altro piacere.
Dammi ciò che amo, perché io amo e fosti tu a darmi questo amore.
Che io ascolti la voce della tua lode, a te mi disseti e contempli le meraviglie
della tua Parola, dal principio quando creasti il cielo e la terra, fino al momento
in cui regneremo con te in eterno nella tua città santa». (Confessioni, 11,2)
c/ IL CANTO DI LIBERTÀ
L‟ascolto della fede ci apre anche al godimento della vera libertà: la
libertà dal peccato e dalla morte dataci da Cristo, dal quale nulla potrà mai
separarci. L‟amore di Cristo ha vinto. In virtù di colui che ci ha amato, anche noi
credenti siamo più che vincitori e, anche se ancora pellegrini tra le prove della
vita, possiamo innalzare il nostro canto di lode e di ringraziamento.
Lodate il Signore per tutte le cose, la sua umiltà e la sua provvidenza.
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Lodate il suo amore per tutte le cose, lodate la sua lunga pazienza. Lodate il
Signore che perdona le colpe, largisce successi e afflizioni. Lodate il Signore,
voi pene e rovesci, voi gioie serene e dolori; voi mali affliggenti la vita, che
fate più umile il cuore. Lodate il Signore che aiuta noi stanchi in cammino alla
meta agognata, il Signore che accende nel cuore l’anelito al vero e alla pace.
Lodate il Signore per le croci che pesano, per l’aiuto che accorda alla lotta
interiore, la quiete e il fuoco che prova. Per tutte le cose lodate il Signore.
(L. Ryzova)
5. OPERATIO
a/ LA QUARESIMA COME MISTERO DELLA CROCE
La Quaresima, ogni anno, è un passo in avanti nel difficile cammino della
comprensione del mistero della croce.
Occorre insistere soprattutto su questo: la croce di Gesù è la rivelazione
del mistero di Dio e del suo amore. Se contempliamo nel silenzio Gesù crocifisso
ci sentiamo sconvolgere dall‟intuire, un pochino almeno, fino a quale punto arriva
il dono incondizionato di Dio. Mi pare necessario invitare i catechisti, i servitori
della Parola e gli accompagnatori di coscienze a ricorrere spesso alla meditazione
del Crocifisso.
La croce ci dice che Dio non si spaventa della nostra contraddizione né si
vendica: la affronta sino in fondo come possiamo vedere nel racconto evangelico
della passione. La croce infine, proprio perché amore dono, vince tutto, anche la
morte, scatena la forza della vita, la risurrezione, e dona lo Spirito Santo.
b/ IL MISTERO DELLA CROCE
Accogliere il dono di Dio porta con sé una partecipazione al dono o
meglio al Donante, anche se poi giunge pure per noi il momento della croce,
momento che non va cercato, ma che ci trova secondo il disegno di Dio. Qui ci
rende delicati anche nel parlarne il pensiero della b. Edith Stein: “si giunge a
possedere una scientia crucis solo quando si esperimenta fino in fondo
la croce”. Mi permetto di suggerire di ripetere queste parole quando avviciniamo
un grande sofferente, non per farle risuonare al suo orecchio, ma per pregare per
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lui e per noi.
C‟è poi un portare la propria croce che consiste nel vivere la fede
nell‟amore di Dio nella banalità, nella stanchezza, negli sconforti di ogni giorno,
soprattutto nella fatica dell‟opera educativa o dell‟impegno pastorale.
c/ LA CROCE COME RIVELAZIONE DEL GRATUITO
Se crediamo nell‟amore del Padre che dona il suo Figlio, se a poco a poco
impariamo che non si ama veramente senza accettare di soffrire in qualche modo,
se ci si avvicina al dono gratuito, anche la luce della trasfigurazione diventa una
nostra esperienza magari momentanea, ma tale che ci fa sostenere il buio notturno
quando bisogna solo «ascoltare il Figlio dilettissimo». Quello che un antico inno
dice dell‟eucaristia («Solo per la tua parola noi crediamo sicuri») vale spesso per
tutta la vita cristiana. In certi momenti si sente cantare dentro di noi la mattina
della risurrezione, in certi altri ci si attacca con la volontà di un naufrago ad una
Parola che non è una parola di Dio, ma «la Parola di Dio»: il Verbo.
Educare alla fede nell‟amore di Dio mi pare la conclusione di quanto sono riuscito
a dire e aggiungerei che bisogna imparare a fare l‟esperienza del gratuito, del
disinteressato, anche nelle piccole cose, per arrivare a quello che Gesù ha detto e
S. Paolo ci ha tramandato: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). E
in un mondo in cui tutto sembra efficienza e calcolo, non è facile.
LA TRASFIGURAZIONE
(Mc 9,2-8; cf. Mt 17,1-8; Lc 9,28-36)
PRESENTAZIONE DEL TESTO - Come abbiamo accennato nel brano
precedente (commentando il v. 1), Marco intende ora portarci ad una
comprensione più profonda di Gesù Messia e Figlio dell’uomo-servo
sofferente, aspetti ormai emersi apertamente nella confessione di Pietro a
Cesarea e nel primo annuncio della passione e risurrezione.
Ecco quindi da una parte il significato dell’aspetto glorioso della
trasfigurazione di Gesù, come anticipazione di quello che si rivelerà alla fine,
e dall’altra la funzione di parecchi elementi del racconto - i tre discepoli, la
voce, l’incomprensione dei discepoli - che richiamano esplicitamente l’agonia
15
del Getsemani. La presenza poi di Elia e Mosè e altri elementi letterari
riguardanti teofanie (nube, monte, tenda) e apparizioni apocalittiche del
Figlio dell’uomo (visione, vesti splendenti, conversazione), ripresi dall’A T,
riassumono le attese del giudaismo e manifestano che in Gesù giungono a
compimento le promesse contenute nell’esperienza dell’esodo e nelle parole
dei profeti. Perciò sono numerosissimi in questo brano i riferimenti ai libri
dell’Esodo e dei profeti.
L’importanza messianica di questo episodio è sottolineata anche
dall’esplicito riferimento al battesimo di Gesù (cf. 1,11) nella voce che si fa
udire e nelle parole che vengono pronunciate.
Come per l’episodio del battesimo, anche qui non ci preoccupiamo di
precisare i dettagli del fatto: la sua entità storica traspare sotto il racconto
come una fondamentale esperienza vissuta dai tre discepoli e che è stata
percepita anche con qualche manifestazione di carattere sensibile. L’aspetto
storico dell’evento è completamente assorbito nel suo significato teologico.
Ciò appare anche dall’impostazione teologica un pò diversa che i tre sinottici
danno a questo episodio. mentre Marco presenta Gesù come il compimento
della legge e dei profeti, Luca presenta l’episodio come un’esperienza di Gesù
nel momento di un’intensa preghiera.
Come per quei discepoli, così anche per noi, la realtà di questo evento
è percepibile solo all’interno di una profonda esperienza spirituale attraverso
la quale sappiamo cogliere il manifestarsi di Dio in Gesù e ci disponiamo ad
«ascoltarlo» per vivere il suo messaggio nella nostra storia presente, senza
cadere nella facile illusione che non ci sia più nessun cammino da fare, quasi
che Dio si sia già manifestato definitivamente nel nostro mondo.
Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e Ii portò sopra
un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a
loro
3. e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun Iavandaio sulla terra
potrebbe renderle così bianche.
4. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.
5. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare
qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!”.
2.
16
Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
Poi si formò una nube che Ii avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube:
“Questi è il Figlio mio prediletto; ascoItateIo!.
8. E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con
loro.
6.
7.
2.
Dopo sei giorni: già nella presentazione a l,32-39 e nella nota a 4,35 abbiamo
suggerito alcuni criteri, secondo cui interpretare queste indicazioni di tempo nel
vangelo di Marco, dove esse non hanno valore cronologico, ma simbolico in
quanto intendono esprimere determinati riferimenti a schemi teologici. La
funzione di questa indicazione sta nel collegamento che essa stabilisce da una
parte con Es 24,16, dove la medesima espressione ha pure valore simbolico e
dall‟altra parte con l‟episodio delta confessione di Pietro: il periodo di sei giorni
trascorsi significa una situazione, un‟attività, un cammino che lasciano presagire
un evento importante che dà compimento alle attese, come i sei giorni della
creazione sfociano nel «riposo di Dio» (cf. Gn 2,1-3).
prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni: sono i tre discepoti che sono attorno a
Gesù anche in altri momenti particolarmente importanti (cf. nota a 5,37).
sopra un alto monte: sono talmente numerosi in questo brano i temi teologici
espressi mediante simboli, che pure questa indicazione assume il suo valore per la
sua forza evocatrice.
Anche qui il riferimento immediato è al monte del Sinai (cf. Es 24,12-18; 31,18;
34,29 ss.), luogo della manifestazione di Dio e dello splendore rifulgente sul volto
di Mosè - Gesù è il nuovo Mosè.
in un luogo appartato, loro soli: il testo greco esprime con particolare forza
l‟esigenza di solitudine con due termini di cui il primo «in disparte» è
caratteristico di Marco (cf. nota a 4,34).
Si trasfigurò davanti a loro: questo fenomeno richiama il volto splendente di Mosè,
dopo l‟incontro con Dio sul monte (cf. Es 34,29ss.).
S. Paolo, usando questo verbo (cf. 2 Cor 3,12-4,6), vi imprime un significato
nuovo, nel senso cioè di una luce permanente, che contrassegna il volto del
credente.
3. e le sue vesti divennero splendenti: è un‟immagine frequente negli scritti
apocalittici per esprimere la gloria di Dio, di cui saranno rivestiti anche i salvati
17
nella risurrezione. Nella trasfigurazione questa gloria futura si manifesta già per
un momento in Gesù. A differenza di Mt 17,2 e Lc 9,29, Marco non parla qui
dello splendore del volto di Gesù.
4. E apparve loro: più esattamente «fu visto». Il verbo usato nel testo greco è molto
importante nel NT, nei brani riguardanti la risurrezione di Gesù (cf. Lc 24,34 e
1Cor 15,5-8); esso indica un farsi vedere che tocca in qualche modo anche le
facoltà sensibili dell‟uomo.
Però, anche nei brani delle apparizioni di Gesù risorto, la parte più
importante sta nelle parole che il Signore pronuncia come annunzio o missione, e
non negli elementi fantasmagorici della visione, che hanno lo scopo di creare una
situazione d‟incontro personale.
Luca sottolinea con maggior enfasi la presenza di Elia e Mosè; Matteo
segue fedelmente Marco e afferma che i discepoli hanno visto una «visione» (cf.
17,9).
Elia con Mosè: secondo la tradizione biblica rappresentano la Legge e i
Profeti, entrambi in stretto rapporto con il monte Sinai. La loro presenza, ancora
sul monte, significa che Gesù porta a compimento l‟AT.
Elia ha anche una sua rilevanza escatologica, in quanto che, portato in
cielo da Dio senza morire (cf. 2Re 2,11-13), sarebbe ritornato prima della fine del
mondo (cf. Ml 3,23): sotto questo aspetto quindi egli preannuncia l‟apparizione
finale di Gesù giudice della storia. Ma cf. commento ai vv. 11-13 per un altro
aspetto del valore prefigurativo di Elia nei confronti di Gesù.
Per quanto riguarda Mosè - qui menzionato come secondo e quasi
accompagnatore di Elia - non si hanno indicazioni precise in questo senso, se non
molto tardi, forse solo dopo il I secolo. Forse in alcuni settori del giudaismo si
attribuiva anche a lui la stessa sorte di Elia, che in questo passo e in 9,11-13
appare come il personaggio decisivo degli ultimi tempi.
5. Prendendo allora la parola: con una certa somiglianza con il brano della
confessione di Cesarea, anche qui Pietro interviene con parole in sé giuste e belle,
ma che nascondono una comprensione molto limitata e superficiale della realtà di
Gesù e delle conseguenze del suo insegnamento. Come prima la dura risposta di
Gesù, così ora lo stesso racconto (v. 6) correggono e ridimensionano le parole di
Pietro.
Maestro: nel testo di Mt 17,4 troviamo la parola «Signore», che i primi cristiani
18
usavano per indicate il Cristo risorto. In questo modo viene tracciato un legame
anche esplicito fra questo episodio e la risurrezione di Gesù, rispetto a cui la sua
trasfigurazione è certamente un‟anticipazione. Non ci sembra però corrispondente
alla struttura di questo testo pensare che esso sia la trasformazione di un più antico
racconto di apparizioni pasquali, come hanno proposto alcuni studiosi.
facciamo tre tende: nella «festa delle capanne» (o dei tabernacoli), che ricordava il
periodo trascorso nel deserto, gli ebrei usavano costruire delle capanne, con un
chiaro significato simbolico, in quanto si esprimeva così il compimento delle
attese e il raggiungimento della meta dopo un faticoso cammino.
Il termine greco qui usato da Marco e che traduciamo con tenda, è il
medesimo che indicava l‟abitazione di Dio in mezzo al popolo durante il cammino
verso la terra promessa. Da questi significati deriva quindi l‟idea di una situazione
che si raggiungera solo alla fine, dopo tutte le vicende della storia umana.
L‟abbaglio di Pietro, che è sottolineato particolarmente da Marco, consiste
appunto nell‟illudersi di vedere nella trasfigurazione di Gesù la venuta del tempo
finale e nel desiderare che questa presenza gloriosa di Dio non cessi di
manifestarsi fin d‟ora.
6. presi dallo spavento cf. le note a 4,41 e a 11,18 per l‟uso di questo termine nel
vangelo di Marco; nella nota a 5,42 abbiamo segnalato la ricchezza di termini con
cui Marco rileva queste reazioni dei circostanti dinanzi a così inattese e
straordinarie manifestazioni della potenza e della gloria del Signore. Nel passo
parallelo Luca fa coincidere il tema della «paura» con l‟essere avvolti dalla nube,
mentre Matteo lo introduce dopo che si è udita la voce dal cielo.
7. Poi si formò una nube: è un‟immagine caratteristica dell‟AT per indicare la
presenza di Dio in mezzo al popolo (cf. Es 16,10; 24,15s.) ed è un elemento
costante nei racconti di manifestazioni straordinarie di Dio o teofanie (cf. Es
40,34s.; 1Re 8,10-13); essa è pure un segno dell‟apparizione finale del Signore
(cf. 2Mac 2,7-8 e Mc 13,26; 14,62; Ap 1,7).
Matteo nel testo parallelo precisa che era una «nube luminosa»,
sottolineando così l‟intensità della presenza di Dio. Anche i discepoli, come
rappresentanti del nuovo popolo di Dio, sono coinvolti in questa nube.
uscì una voce: questo elemento e le parole pronunciate dal cielo stabiliscono uno
stretto rapporto fra la trasfigurazione e il battesimo di Gesù.
Questi è il Figlio mio prediletto: cf. l‟episodio del battesimo in 1,9-11. Come
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abbiamo gia indicato nella nota a 1,11 questa frase è una risonanza esplicita del
grosso tema del servo sofferente svolto nell‟AT e in particolare nei cantici di Isaia,
dal cui c. 42 è derivata questa frase. Pronunciata a questo punto, dopo la prima
predizione della passione (cf. 8,31), le parole di Isaia applicate a Gesù acquistano
il loro pieno significato.
Notiamo la variazione dalla seconda alla terza persona, conseguente al
fatto che qui le parole sono rivolte ai discepoli e non è più un dialogo tra il Padre e
il Figlio.
Inoltre qui Marco tralascia l‟espressione «nel quale mi sono compiaciuto»,
che Matteo conserva anche in questo passo.
ascoItateIo!: tutti e tre i sinottici hanno quest‟aggiunta caratteristica rispetto alla
frase pronunciata nell‟episodio del battesimo: essa sottolinea il valore della
trasfigurazione che ha lo scopo di sostenere i discepoli nel loro proposito di
seguire Gesù. C‟è ancora un riferimento a Mosè (cf. Dt 18,15), delle cui funzioni
Gesù rappresenta il compimento; e nello stesso tempo dichiara il fondamento della
sua realtà unica di messia, proclamata nella confessione di Pietro a Cesarea: Gesù
è il messia definitivo perche è Figlio di Dio.
v. 8. Il racconto termina improvvisamente, lasciando i tre discepoli e i credenti di
ogni tempo con l‟impressione che si è verificato un grosso avvenimento come
preludio di momenti molto duri che si profilano all‟orizzonte, dopo i quali soltanto
si manifesterà la gloria del Signore, qui pregustata per un attimo.
Significato teologico
«Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!»
Questo brano richiama da vicino la scena del battesimo. Solo che la voce
«Figlio prediletto» nel battesimo è rivolta solo a Gesù, mentre qui è udita da
Pietro, Giacomo e Giovanni. Ora infatti il vangelo, dopo 8,29.34-38, si rivolge e
riguarda direttamente i discepoli. Questi tre erano anche stati scelti come testimoni
della risurrezione della figlia di Giairo (5,37), e, dopo aver ascoltato «in disparte»
con Andrea (sono i primi quattro nella lista dei dodici: cf. 3,16-18), l‟ultimo
discorso di Gesù (c. 13), saranno testimoni della sua preghiera nell‟orto: là lo
sentiranno, mentre nell‟agonia mortale supplica: «Abba, Padre» (14,36). Nella
trasfigurazione questa invocazione è già accolta dal Padre, che risponde in
anticipo al Figlio, che ha appena accettato e annunciato la sua morte (8,31). Tale
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proclamazione di Gesù a Figlio di Dio risuonerà poi infine su tutta la terra al suo
grido di morte in croce (15,39). Ma i discepoli, «stolti e tardi di cuore nel
credere», capiranno questo sempre a fatica (Lc 24,25).
Questo brano, che ci presenta la manifestazione gloriosa di Dio in Gesù, si
rifà come linguaggio alle teofanie dell‟AT (Es 24,15-18; 34,29-30; 40,34-38). Qui
si tratta però di una «metamorfosi» diversa da tutte le apparizioni divine,
giudaiche o pagane: non è più Dio che in qualche modo si manifesta sotto forma o
segni umani, ma è la natura umana di Gesù che si manifesta nella piena luce
divina. Non è più Dio che scende verso l‟uomo, ma l‟uomo che sale verso Dio,
partecipando pienamente della sua gloria.
La voce che qui risuona dall‟alto (9,7), è una conferma celeste alla
confessione terrestre di Pietro (8,29) e alla decisione del Figlio dell‟uomo di
seguire il cammino del servo (8,31)- che è il centro del vangelo.
È da notare che in 8,29-9,7 abbiamo una concentrazione tematica
dell‟insegnamento cristologico di Marco, che raggiunge il suo culmine proprio
nella voce dall‟alto: «Questi è il mio Figlio prediletto» (v. 7). Con questa
attestazione divina si pone fine al dibattito sul mistero della persona di Gesù e si
risponde esaurientemente alla domanda che pervade tutta la prima parte del
vangelo: «chi è costui?» (cf. 1,27; 2,6; 2,16; 3,21s.; 4,41; 6,14; 8,27ss.).
Gesù è indicato come il Messia liberatore da parte dell‟uomo (8,29), da
parte sua come il Figlio dell‟uomo che deve soffrire (8,31-33) e porta il giudizio
sul mondo (8,34-38), e da parte del Padre come il suo Figlio unico, prediletto (v.
7). Tale gloria sarà manifesta a tutto il mondo alla fine del cammino di Gesù, per
chi lo scorge sulla croce (15,39). Tuttavia, se la prima parte del vangelo è
contrassegnata dall‟incomprensione dei discepoli che si chiedono: «chi è costui?»,
la seconda parte è contrassegnata dall‟incomprensibilità di Gesù da parte dei
discepoli che non hanno colto 8,31 e 8,34-38. Tutto il vangelo si incentra, anche
letterariamente, su questo punto in modo circolare: uno può girare e rigirare
sempre per tutto il vangelo, ma se non coglie questo che è il centro di tutto, allora
veramente la prima parte del vangelo viene fraintesa e la seconda non viene
compresa. Tutto quanto precede nel vangelo è equivocabile e quanto segue non è
comprensibile, se non si accetta la parola della croce: infatti tutta la seconda parte
del vangelo tende alla dichiarazione di tale gloria attraverso la croce. Dopo la
trasfigurazione si pone pure il termine del «segreto messianico»: il segreto deve
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cessare con la risurrezione (v. 9). Infatti proprio alla risurrezione verrà
espressamente ordinato non più di «tacere», ma di «dire» ai suoi discepoli di
tornare in Galilea dove lo vedranno, come ha detto (16,7). Il discepolo che ascolta
la voce dell‟annuncio e torna in Galilea (16,7), accogliendo l‟appello e seguendolo
(1.14-20), perdendo la sua vita per lui e per il vangelo (8,35), non vergognandosi
di lui e delle sue parole (8,38), accogliendo l‟imperativo di Dio: «Ascoltatelo» (v.
7), spinge lo sguardo ormai oltre ogni segreto: si dissolve ogni mistero, e lo vede
risorto, trasfigurato nella propria vita trasfigurata alla sua sequela.
Infatti la trasfigurazione, posta proprio al centro dell‟itinerario terreno di
Gesù, in Marco sta al posto dei racconti di risurrezione. Il suo vangelo termina con
l‟interrogativo del sepolcro vuoto e con l‟annuncio di tornare in Galilea, dove,
percorrendo il suo stesso cammino, il discepolo lo scopre risorto, perché vivo
nella sua vita. In questo modo il discepolo scopre anche la risposta
all‟interrogativo del sepolcro vuoto, ossia la risurrezione dai morti, che qui ancora
non è capita (v. 10). In altre parole, la trasfigurazione indica che la risurrezione
già si opera nel cristiano che segue Gesù - e raggiungerà la sua pienezza nel
momento finale del cammino. Dopo aver esaminato sommariamente il messaggio
centrale del brano, passiamo ad esaminare i singoli elementi, che sono tutti assai
istruttivi.
Come già visto, il racconto della trasfigurazione è preceduto da un detto di
Gesù sulla venuta imminente del regno di Dio (9,1). Questo detto vagava nella
tradizione come spezzone di difficile comprensione, suscitando facili equivoci (cf.
2Ts 2,1s.). Marco lo pone qui, dopo l‟invito alla sequela della croce come giudizio
sul mondo (8,34-38) e prima della trasfigurazione, per mostrare come il regno di
Dio, già venuto con potenza per il Cristo sofferente, viene pure per chi lo segue.
Così il detto di Gesù, nel contesto in cui Marco lo pone, non offre nessun pretesto
a un disimpegno dal presente in nome di un futuro che piova dal cielo, e pretende
di tradursi in storia, trasformando la vita del discepolo: è nella nostra prassi
quotidiana in «questa generazione adultera e peccatrice» (8,38), nel nostro
tentativo di vivere come Gesù ha vissuto, senza fughe, evasioni o alienazioni, qui
su questa terra, che si realizza la promessa finale della gloria di Dio. Allora
vengono i cieli nuovi e la terra nuova di cui hanno parlato i profeti, e il giorno
della nuova creazione, già iniziato nei suoi albori in Cristo, si compirà anche per
noi. Si compirà certamente, come la luce all‟alba è garanzia della piena luce del
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sole, che sta salendo e coprirà tutto l‟arco del cielo, anche se lentamente.
Mentre infatti i vari racconti in Marco succedono subito l‟uno dopo l‟altro
(il subito è una delle congiunzioni più usate da Marco!), la trasfigurazione invece
avviene dopo sei giorni (v. 2a) cioè nel settimo giorno. Il settimo giorno è il
giorno della fine della creazione e del riposo del Dio vivo (Gn 2,2s.) nel quale è il
riposo della creazione stessa; è quindi il giorno del compimento e della
manifestazione della sua gloria (Es 24,15s.). È un giorno simbolico, che indica
Dio stesso come pienezza di vita in sé e fine del creato, che ora in Gesù si dona
all‟uomo (cf. il commento a 2,23-28 e 3,4). Qualcuno vuol vedere in questo dato
di tempo una sincronizzazione con i giorni delta passione di Gesù: il giorno della
sua morte è infatti il giorno del compimento (Gv 19,30) e della sua gloria sulla
terra (15,39!). Certamente, ad ogni modo, questa indicazione temporale, che è
l‟unica in Marco prima dell‟ingresso in Gerusalemme, si riferisce al giorno della
confessione di Cesarea seguita dalla predizione della passione e risurrezione e
dall‟invito alla sequela.
I discepoli, che vedranno la trasfigurazione, sono presi a parte e innalzati
da Gesù sopra «un monte elevato» (v. 2b). Il monte indica la vicinanza al cielo e a
Dio, come già in Es 24. Questo monte adombra gia il nuovo Sinai, il Golgota,
l‟altissimo monte della nuova alleanza, sul quale si squarcerà la tenebra del cielo e
il suo velo chiuso sopra l‟uomo, per lasciare apparire la gloria di Dio sulla terra.
La trasfigurazione di Gesù è descritta come splendore e luce piena: sono i
termini consueti per esprimere il mondo celeste (cf. Dn 7,9; Mt 28,3; Mc 16,5; Gv
20,12; At 1,10), che, come ora rifulge sul volto di Cristo, risplenderà alfine su tutti
gli eletti (cf. Ap 3,4.5.18; 4,4; 6,11; 7,9.12). I discepoli contemplano direttamente
lo splendore di questa luce. Quella che promanava dal volto di Mosè ne era solo
un riflesso; ma anche questo riflesso era talmente forte che Mosè doveva velarsi
subito il volto (Es 34,29-35). I discepoli invece contemplano la gloria di Gesù,
«gloria come di unigenito del Padre» (Gv 1,14), senza alcun velo. Essi gustano e
vedono ciò che «occhio mai non vide» e che Dio ha preparato per coloro che lo
amano» (1Cor 2,9). In lui infatti ci è data la pienezza della gloria e della vita di
Dio, perché, come dice Gesù, «Io sono nel Padre ed il Padre è in me» e «chi vede
me, vede il Padre» (Gv 14,11.9).
L‟uomo non può neanche immaginare qualcosa di più sublime di questa
che è la realtà: Dio stesso, che si comunica all‟uomo. Elia, padre dei profeti, e
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Mosé, mediatore della legge, stanno di fianco a Gesù e parlano con lui (v. 4).
Aggiunge esplicitamente Lc 9,31 che essi, i quali secondo la tradizione ebraica
non sperimentarono la morte, ma furono rapiti da Dio in cielo, parlano della sua
morte; mentre Pietro e i suoi compagni sono oppressi dal sonno, ma restano svegli
a differenza che nel Getsemani (14,37!). I profeti e la legge infatti parlano e
parleranno senza fine di Gesù, il Cristo che doveva soffrire; e come ne hanno
preannunciato la morte, ne testimoniano anche la gloria (cf. Lc 24,26s.). Lui
infatti è la realizzazione della speranza dei profeti, il compimento del dono della
legge: sta al centro della profezia e della legge, nelle quali si rivela la grande
promessa di Dio all‟uomo. Solo partendo da questa promessa, cioè in mezzo a
Elia e Mosé, come si è manifestato ai primi discepoli, si manifesta ancora a noi la
gloria di Gesù. Essa infatti è troppo grande per essere intesa partendo dall‟uomo e
dalle sue attese (cf. commento a 8,31-33), perché «in lui abita corporalmente la
pienezza della divinità», della quale noi pure abbiamo parte (Col 2,9s.). Dal suo
corpo trasfigurato albeggia la luce dell‟ultimo giorno - il settimo giorno senza
fine, che già è cominciato per ogni uomo: è lui stesso luce piena di questo giorno
senza tramonto, che non conosce più la notte (Ap 21,23.25).
A questa manifestazione folgorante di Gesù, che, dopo aver accettato il
destino di Figlio dell‟uomo, si rivela già nella pienezza della luce pasquale, Pietro
vorrebbe fermarsi (v. 5): è una caratteristica costante dei discepoli quella di
starsene a contemplare la gloria, senza percorrere il faticoso cammino di sei
giorni, cioè di tutta l‟esistenza, che ad essa porta (cf. la scena analoga in At 1,11).
Pietro, che voleva fare tre «tende», non sapeva quello che diceva (v. 6): infatti non
è ancora giunto il momento in cui la gloria di Dio si stabilisca definitivamente su
questa terra. Per ora si è già attendata fra noi nella sua Parola, come dice Gv 1,14.
Questa Parola, abbiamo visto, è proprio la Parola della croce che, come è la gloria
di Cristo (8,31), deve diventare la gloria del discepolo che lo segue (8,34-9,1).
Allora, e non prima, quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28), potremo dire:
«Ecco la tenda di Dio tra gli uomini. Egli dimorerà tra loro e sarà il Dio-con-loro.
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né
lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate», perché colui che
sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”» (Ap 21,3-5).
Una nuvola, simbolo della presenza misteriosa di Dio (cf. Es 16,10;24,18;
40,35; Lv 16,2; Nm 11,25; etc.), avvolge ogni cosa (v. 7a). Ma, come nel
24
battesimo si apre il cielo (1,10), così questa nuvola si squarcia, e ne esce la Parola
definitiva: «Questi e il Figlio mio prediletto» (v. 7b), cioè unigenito. Essa
richiama il Sal 2,7 dell‟intronizzazione regale, applicato spesso a Gesù (At
4,25ss.; 13,33; Eb 1,5; 5,5), ma soprattutto Is 42,1 (cf. commento a 1,11!) e Gn
22,2.16, dove Isacco, il figlio della promessa che verrà sacrificato, viene descritto
ad Abramo come il «figlio tuo prediletto», tipo di Cristo (cf. accenni in Eb 11,1719; Gc 2,21; At 3,25; Eb 6,13s.; 11,12; Gal 3,6).
Tale parola riecheggerà per la prima volta sulla terra, facendosi voce di
liberazione per l‟uomo, solo quando al grido di Gesù si squarcerà il velo del
tempio da cima a fondo, e, nel Crocifisso, si manifesterà a noi il nostro Dio (cf.
commento a 15,39).
Dopo la solenne proclamazione: «Questi è il Figlio mio prediletto»,
Marco fa aggiungere alla voce: «Ascoltatelo», che allude nel contesto a Dt
18,15.19. Come già accennato, questo imperativo richiama quello che risuona
dalla tomba vuota: «Andate... egli vi precede in Galilea, là lo vedrete, come ha
detto» (16,7). Teologicamente, per Marco, è il centro della trasfigurazione, e
significa che per vedere la sua gloria (9,1), bisogna ascoltarlo, cioè seguirlo
(8,34), non vergognarsi, ora in questa vita, del suo vangelo (v. 35) e delle sue
parole (v. 38). Si tratta di aggiunte redazionali di Marco, il quale dice alla sua
comunità, che non ha visto il Signore, come può vederlo allo stesso modo dei
primi discepoli: bisogna viverne l‟annuncio, come unico Signore e seguirlo nel
suo cammino di vita (8,34-38; cf. Gv 20,29). Così è chiaro il compito dei discepoli
di tutti i tempi: devono essere testimoni della sua risurrezione (cf. At 1,22b),
affrontando il suo stesso destino di passione per avere parte alla sua gloria (cf.
commento a 8,34-38).
Dopo la trasfigurazione tutto torna come prima (v. 8). Ma solo
apparentemente, perché in realtà i discepoli vengono rimandati a percorrere quel
lungo cammino che fa sì che la gloria di Gesù sia pure la loro gloria - cioè tutto
l‟itinerario del vangelo, dalla Galilea al monte del Golgota.
Solo così essi possono capire o sperimentare la risurrezione, che ora non
capiscono, e sarà tolto ogni velo (vv. 9s.). Ma già fin d‟ora, la comunicazione di
questa gloria del Risorto è come un seme che si sviluppa ed agisce: è il mistero del
regno, confidato ai discepoli (4,11), come forza che permette loro di diventargli
conformi nella morte, con la certezza di giungere alla sua vita oltre la morte (cf.
25
Fil 3,10s.).
La trasfigurazione segna la svolta decisiva nella vita di Gesù. Se prima il
suo cammino era un errare incerto, ora punta decisamente sulla città di Dio. Gli
avvenimenti d‟ora in poi precipitano verso la fine, o meglio, salgono verso il loro
fine, «sul monte santo». Là noi, come dice Pietro, leggendo le Scritture, che sono
«come lampada che brilla in luogo oscuro, vediamo le tenebre che si dissolvono:
già è spuntato il giorno e si è levata la stella del mattino» (cf. 2Pt 1,16-19). Nel
cuore del discepolo che lo segue si è già levata la stella del mattino ed è spuntato
il giorno. Questa stella del mattino e questo giorno che si preannuncia è lo stesso
Signore Gesù, lui, che si è manifestato nella sua gloria e si è comunicato a noi col
dono del suo Spirito, Lui è la gloria della risurrezione, l‟inizio della luce, che non
conosce più tramonto.
Attualizzazione
La trasfigurazione della realtà
La trasfigurazione di Cristo non è altro che l‟uomo Gesù, rifiutato
e rinnegato da tutti, incamminato verso la croce, che si manifesta totalmente altro:
accolto da Dio e confermato presso Dio. Proprio nell‟umanità crocifissa si rivela
la sua vera natura, la gloria del Figlio di Dio: in lui il Padre ha posto la sua
compiacenza.
L‟uomo d‟oggi ha una difficoltà radicale a scorgere un‟altra dimensione
nel cuore della realtà terrestre, così opaca e resistente, così pervasa dal male,
dall‟assurdo e dal negativo. Sembra che l‟uomo d‟oggi sia incapace a scoprire
qualcosa, che stia al di sopra o al di sotto della sua esperienza quotidiana e che
costituisca il senso di ciò che fa e subisce. Egli si sente intimamente ateo, privo di
capacità a oltrepassare se stesso e la sua storia e a leggere i segni della presenza
attiva di Dio nella storia, cogliendone il significato.
Ma l‟ascolto del Figlio di Dio, svelato nel servo sofferente e giustificato
da Dio, come ci viene indicato dalla voce che risuona dall‟alto, compie il miracolo
di dischiudere all‟uomo il nuovo orizzonte, in cui si trova immerso. In tale ascolto
tutta la realtà diventa trasparente: un mondo di segni e di voci, di cui si coglie non
solo il rumore, ma anche il significato, la parola sensata e illuminante. Così,
mentre si percepisce la realtà, se ne coglie anche il senso profondo e portante. Non
è che la realtà perda la propria consistenza e il proprio valore o che la storia
26
umana diventi un‟illusione; anzi nell‟ascolto di Gesù la realtà trova la propria
consistenza ultima e il valore definitivo, e la storia cessa di essere una triste
delusione. Perché in esse si scoprono la radice e il frutto del disegno di Dio: la
radice è il legno della croce, ma il frutto è quello della vita.
Allora tutta la realtà parla un linguaggio nuovo di speranza e di gloria: la
pienezza dell‟uomo nella pienezza di Dio. Nell‟ascolto di Gesù è data la chiave,
che dischiude il senso di questo linguaggio nuovo: Dio nell‟uomo e l‟uomo in
Dio. Allora anche il mondo scientifico-tecnico, che per sua natura taglia la radice
della sensibilità al senso e che oggi da puro strumento e mezzo è diventato il
valore assoluto e supremo, diviene il più potente richiamo alla necessità del senso
che non ha. Così il mondo oppresso, alienato e ingiusto, è un grido alla libertà,
all‟integrità e alla giustizia. Anche il mondo personale, la tristezza, l‟angoscia,
l‟agitazione, il conflitto, sono esigenza di gioia, di vita, di serenità e di pace.
L‟assenza è presenza negativa: la stessa assenza di Dio dal mondo diventa allora
la sua presenza negativa e il bisogno della sua presenza positiva. Nell‟ascolto del
servo giustificato da Dio e rivelante Dio come Figlio, è data tale presenza, proprio
nel luogo dove essa è assente cioè nel Crocifisso. Da qui si può gustare senza
riserve la bontà della vita.
Tutto insomma, uomo, società e cosmo, è un mondo di segni negativi e
positivi che sono le impronte delle orme di chi ci precede e ci chiama alla vita.
Essi dicono altro da sé, indicano cioè la realtà ultima che è totalmente altra e
vicina, al di là e insieme al di qua, presente nel cuore delle cose, dell‟uomo e della
storia umana. Così si rompe la crosta opaca della realtà chiusa nel suo male: la
tenebra è pervasa di luce e la realtà diventa veramente se stessa ai nostri occhi. I
vari eventi, da pietra d‟inciampo che fanno cadere nel buio, diventano pietre
miliari per chi cammina nella luce. La vita ritrova il proprio bene e il proprio
senso. La realtà dell‟uomo, che è muta, fredda, gelida, morta o per la morte e che
dice immediatamente solo se stessa senza generare altro, nella trasfigurazione si
risveglia, parla, si sgela, si fonde, vive e dà la vita, mediando la presenza
dell‟Altro. Si è aperto il nuovo orizzonte.
Qualcosa di simile può capitare a una zitella: accartocciata su se stessa e
morta alla vita, appena s‟incontra con l‟amore, ritrova se stessa nelle sue
potenzialità latenti e si ritrova trasfigurata. Tutto ora le si presenta e le parla con
un volto diverso e vivo, il volto dell‟amato. Tutto le viene incontro in una
27
prospettiva di luce e di dono. Tutto cambia, anche se tutto continua come prima,
perché è sorto un nuovo orizzonte.
Si tratta però di una trasfigurazione o di una trasformazione che troverà il
suo compimento nella liberazione totale e integrale dell‟uomo, quando avrà vinto
ogni male e sarà totalmente riconciliato con Dio, con sé, con gli altri e con la
natura. Perché la trasfigurazione è ora solo una manifestazione passeggera, che
rimanda alla manifestazione ultima e definitiva, la prefigurazione e l‟anticipazione
del futuro finale: un segno di speranza per il mondo.
Questo miracolo, che ci fa vedere la gloria di Dio già nel nostro mondo e
nella nostra vita, avviene al risveglio che opera in noi l‟ascolto del Gesù
crocifisso, giustificato e proclamato da Dio come suo Figlio prediletto.
Applicazione alla vita
Di che stoffa è il mondo?
A volte delle schiarite, dei periodi di sereno sono così intensi e belli che
fanno dimenticare una stagione intera di freddo e di pioggia. Sembra di starci di
casa da sempre, con tutte le luci accese. Poi passano, rientrano nel nulla,
cancellati, come non fossero mai esistiti, da quello che si vede, che ha la faccia
uniforme di tutti i giorni, pietrificato da secoli.
Anche fuori dal mondo meteorologico è un poco lo stesso: d‟un tratto le
cose, le persone, le situazioni prendono un rilievo e un colore particolare: si tratti
di vicende minime, si tratti anche di fatti e di situazioni consistenti. Poi sembra
spegnersi tutto.
A volte però non è un fatto passeggero e neanche un episodio soggettivo,
che interessi solamente gli «occhi». «Leggere o vedere» sono espressioni troppo
deboli e slavate, perché è un modo diverso di cogliere la realtà. E può informare
allora tutta un‟esistenza. Lo si potrà classificare con la categoria dell‟esaltazione,
appartenente allo stravolgimento del furore e dell‟innamoramento.
Lo dice con calcolata ostentazione chi presume di essere nella giusta...
penombra e scruta con freddezza e oggettività. Ma ha davvero ragione la
macchina fotografica, ad esempio, rispetto all‟occhio della madre che scorge un
figlio in un relitto umano? o il freddo computer rispetto a chi vede delle situazioni
umane, delle persone, in un elenco di numeri, di funzioni, ruoli e organici di
un‟azienda? Chi sa dire di che stoffa sia la realtà, nella sua sostanza più profonda?
28
(e pensiamo pure alla realtà politica e sociale, alla realtà ecclesiale stessa, con
tutto il loro spessore, di ingombro e di pesantezza, repulsivo e scandaloso).
Qui forse è l‟anticipazione del comprendere più profondo o, forse meglio,
dell‟essere più profondo, e di quel futuro che appena si osa sperare! qui è il fattobase e la sua intuizione, che esplode nel soprannaturale di quell‟esperienza che fu
data ad alcuni e che è stata chiamata la trasfigurazione.
È una schiarita magari breve - si diceva - come una breve giornata di sole.
Ma può anche qualificare un «atteggiamento» di fondo che dura un‟esistenza.
Alla comunità credente è chiesto di averlo sempre in dotazione non tanto a
vantaggio proprio, ma in funzione di un servizio all‟umanità intera, tentata di
disperazione.
Potrà anche spegnersi presto il bagliore più appariscente della realtà
intravista e farsi quindi più cupo il buio d‟attorno, ma il credente, chi avverte la
forza e la luce della Parola (2Pt 1,19), deve assumere l‟incarico di portare questo
ricordo e questa anticipazione.
Come il monaco - che in fondo non è un marziano, ma solo colui che
tende a vivere in qualche modo radicalmente l‟impegno di ogni battezzato -, il
credente deve sentire che in questo senso la trasfigurazione è la sua festa, che non
lo aliena in un lontano passato o in un futuro sognato come presente, ma lo
rimanda benissimo nel suo mondo, nella sua fatica, nella morte; e può raffigurare
se stesso e la sua funzione nella modesta figura della civetta: abitando nel buio, sa
scorgere oltre la tenebra.
Senza la pretesa ideologica di prestare dubbi, barbagli e colori alle cose, o
di tracciare preconcetti cammini. Si tratta infatti di seguire, ascoltando (Mc 9,7) e
tentando di afferrare chi già ci precede, anzi, ci ha conquistati! (Fil 3,12).
Riflessione di fede
La gloria della Galilea
Siamo colpiti dal fatto che questa apparizione della Galilea sia presentata
in modo così glorioso e folgorante, cosa che non avverrà nelle apparizioni di
Cristo risorto, ove le tradizioni evangeliche preferiscono racconti piani, fino a
farci apparire Gesù che mangia il pesce (Lc 24,43) o che prepara la merenda agli
apostoli (Gv 21,9ss.). Donde questi fulgori? Dal fatto che l‟avvenimento è
collocato nella Galilea. Il monte della trasfigurazione, dalla forma caratteristica, è
29
posto nella solitudine, poiché si erge isolato, nella pianura di Esdrelon. Esso è ben
visibile dai colli di Nazaret: è indebito pensare che Gesù, nel suo lavoro
quotidiano si sentisse, alla vista del mistico altare del Tabor, innalzato alla
contemplazione del Padre? Su questo monte di Galilea di fatto egli risplendette
perché la Galilea, come fu il fondamento del messianesimo di Cristo, è anche il
luogo dello splendore cristiano.
Il brano sottolinea e sigilla tutta la precedente sezione dei pani e
rivelazione del servo sofferente, fatta a Pietro: gli apostoli - e noi con loro - non
devono somigliare ai farisei che cercano segni e prodigi (Mc 8,11). Essi devono
invece essere pronti ad accogliere il segno nel pane, sacramento quotidiano, anzi
segno della quotidianità. Altro segno non sarà dato normalmente a chi capisce la
misericordia e l‟amore: a chi crede. Chi vuole altri segni è perché non riesce a
conoscere questo. Chi non sa capire il valore di un bicchiere d‟acqua donato con
amore non può capire nulla della vita. E la vita è un bicchiere d‟acqua pura fatto
oggetto di dono. Ma se uno va a fondo in questa lezione che è il vangelo nel
vangelo, si accorge che quell‟acqua è un insieme di perle iridescenti e luminose.
Che tutti i colori più belli si rifrangono nelle sue gocce. E vede con Pietro,
Giacomo e Giovanni, Gesù trasfigurato nella luce.
Ma il Signore conosce la nostra debolezza e sa che il mistero quotidiano
stenta a trasfigurarsi in noi. Egli interviene sostenendo di tanto in tanto il nostro
cuore con le sue divine consolazioni. E come sul Tabor gli apostoli impauriti
videro Gesù nella luce, anche a noi sarà talvolta dato qualche anticipo della
risurrezione. Ma dobbiamo tenerci pronti: subito dopo gli apostoli rivedranno il
«solo Gesù» che però «stava con loro». Sul Tabor, ridivenuto una piccola collina
di Galilea, una presenza nascosta ma non meno potente ed operante diviene lievito
della nostra quotidiana presenza nel mondo.
QUESTI È IL FIGLIO MIO, IL DILETTO: ASCOLTATE LUI!
2 E dopo sei giorni Gesù
prende Pietro e Giacomo e Giovanni,
e li conduce su un monte alto in disparte da soli;
e fu trasfigurato davanti a loro.
3 E le sue vesti divennero splendenti, bianche molto,
30
9,2-10
quali nessun lavandaio sulla terra
può fare così bianche.
4 E fu visto da loro Elia con Mosè
ed erano in dialogo con Gesù.
5 E rispondendo Pietro dice a Gesù:
Rabbì, è bello per noi essere qui!
E faremo tre tende,
una per te, una per Mosè e una per Elia.
6 Infatti non sapeva cosa rispondere;
infatti erano spaventati.
7 E venne una nube che li copriva d’ombra,
e venne una voce dalla nube:
Questi è il Figlio mio, il diletto: ascoltate lui!
8 E, all’improvviso, guardandosi attorno,
non videro più nessuno, se non il Gesù solo con loro.
9 E, scendendo dal monte,
ordinò loro di non raccontare a nessuno
ciò che videro, se non quando il Figlio dell’uomo
sarebbe risorto dai morti.
10 E tenevano la parola, tra loro discutendo
cos’è il risorgere dai morti.
1. Messaggio nel contesto
«Questi è il Figlio mio, il diletto: ascoltate lui». È la seconda e ultima volta
che il Padre parla. La prima approvò Gesù come Figlio, quando si mise in fila con i
peccatori per immergersi nel Giordano (1,11); ora lo conferma per noi come tale,
mentre ha appena dichiarato la parola della croce.
Dopo la trasfigurazione del Figlio, irradiazione della sua gloria (Eb 1,3), il
Padre non dirà più nulla. Gesù che va in croce e risorge è la Parola in cui si esprime
totalmente e si rivela definitivamente. Per questo dice: «Ascoltate lui!». La sua carne è
il criterio ultimo di discernimento spirituale.
Marco, a differenza degli altri evangelisti, pur conoscendole, non racconta le
apparizioni del Risorto. Termina con le donne impaurite, che ascoltano l‟annuncio di
tornare in Galilea: «Là lo vedrete, come ha detto! » (15,7). Il finale rimanda al
principio e invita a rileggere tutto alla luce dell‟annuncio del Signore morto e risorto.
Se lo ascolto, lo incontro nella sua parola che opera in me quello che dice,
31
trasformando progressivamente la mia vita a immagine della sua. Il dono del pane, col
miracolo del sordo e del cieco, mi abilita ad ascoltarlo e a vederlo. La sua gloria è la
realizzazione di tutta la promessa di Dio, in lui già anticipata e donata a chiunque lo
contempla. Vedere il suo volto infatti è la vita dell‟uomo, che finalmente davanti a lui
riflette la realtà di cui è specchio. «Riflettendo come in uno specchio la gloria del
Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria,
secondo l‟azione dello Spirito» (2Cor 3,18). Questa è l‟esperienza del Vivente alla
quale Marco vuol portarci. «Mostrami il tuo volto!». La preghiera, ripetuta nei salmi,
esprime il desiderio abissale che ci fa essere ciò che siamo. Ora l‟anelito finalmente si
placa (o si accende?).
La trasfigurazione, narrata al centro della vita terrena di Gesù, è figura di
quella risurrezione che la sua parola già opera nel cuore della nostra vita quotidiana, in
attesa di quella definitiva. Essa ha il suo inizio nell‟ascolto che ci guarisce, si compie
nel battesimo che ci unisce a lui, si alimenta col suo pane che ci fa camminare dietro
di lui, e si consuma nella visione del suo volto, che si rispecchia nel nostro. «Quando
egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è»
(1Gv 3,2).
Tutta la creazione tende al settimo giorno; e geme e soffre come nelle doglie
del parto, in attesa di entrare con noi nella gloria dei figli di Dio (Rm 8,19ss).
La trasfigurazione, non la sfigurazione - come temiamo - è il punto d‟arrivo
dell‟universo. Il volto di Gesù, bellezza di Dio, compimento del suo disegno di
salvezza, è il nostro vero volto, nel quale, per il quale, e in vista del quale siamo stati
fatti (Col 1,15). In lui tutto raggiunge il suo fine e si ricongiunge al suo principio. E
Dio, finalmente tutto in tutti (1Cor 15,28), riposa godendo della sua opera.
Questo racconto segna una svolta decisiva sia nel cammino di Gesù, che va
verso Gerusalemme, sia in quello del discepolo, al quale il Padre mostra il mistero del
Figlio.
Due persone, smarrite nel bosco, si trovano a percorrere lo stesso sentiero,
l‟unico che c‟è. Ma uno ignora dove porta. Intanto cala la sera e viene la notte. L‟altro
riconosce da un segno che porta a casa; tra poco siederà attorno al fuoco coi suoi.
La vita è uguale per tutti. Ma uno sa solo che alla fine morirà; l‟altro invece
sa che sta andando verso l‟incontro desiderato. Quanto diverse possono essere due
cose uguali!
Gesù trasfigurato è la verità di Dio e dell‟uomo. Il suo volto di Figlio è la luce della
nostra vita, la realtà verso cui camminiamo. In lui gustiamo il Regno già venuto con
32
potenza e abbiamo l‟anticipo della meta, la vittoria sulla morte (v. 1).
Nella sequenza che va da 8,27 a 9,7 c‟è una concentrazione di tutto
l‟insegnamento su di lui, che ha il suo culmine nella voce del Padre: «Questi è il
Figlio mio, il diletto: ascoltate lui!». Si chiude il dibattito sulla sua identità, mettendo
fine alla domanda che pervade tutta la prima parte del vangelo: «Chi è costui?». Si
apre così la seconda parte, che introduce nel mistero profondo del Figlio.
A Pietro, che lo riconosce come «il Cristo» (8,29), Gesù spiega di essere il
«Figlio dell‟uomo» che percorre il cammino del «Servo di Dio» (8,31); proprio così è
il «Giudice», la presa di posizione nei cui confronti è la salvezza di ogni uomo (8,3438). Ora il Padre dal cielo conferma - dopo aver conferito al suo corpo, anche
visibilmente, la gloria che spetta al Figlio.
Abbiamo qui tutti i principali titoli che definiscono Gesù: è il Cristo, il Figlio
dell‟uomo, il Servo, il Giudice, il Figlio.
Questa rivelazione, riservata ora ai tre, sarà offerta a tutti sul Calvario. Allora,
per la prima volta, facendo eco alla voce del Padre che risuona dalla nube, un uomo
dirà sulla terra: «Veramente quest‟uomo era Figlio di Dio» (15,39).
Discepolo è colui che obbedisce alla voce del Padre che dice: «Ascoltate lui!».
Ascoltarlo significa seguirlo quando ci dice: «Dietro di me» (1,16-20), e sperimentare
così il potere della sua parola che ci libera dal male, dalla febbre, dalla lebbra e dalla
paralisi, e ci ridà la mano (1,21-3,6) per toccarlo, accogliere la sua vita (3,7-6,6a) e
ricevere il suo pane che ci apre l‟orecchio e l‟occhio per riconoscerlo (6,6b-8,29). Ma
bisogna ascoltarlo soprattutto quando dice la «Parola», tirandone le conseguenze per
noi (8,31-38). Ascoltando lui, il Figlio, diventiamo figli. La trasfigurazione
corrisponde alla vita nuova che il battesimo ci conferisce attraverso la croce: è
un‟esistenza pasquale, passata dall‟egoismo all‟amore, dalla tristezza alla gioia,
dall‟inquietudine alla pace, dall‟impazienza alla pazienza, dalla malevolenza alla
benevolenza, dalla cattiveria alla bontà, dall‟infedeltà alla fedeltà, dalla durezza alla
mitezza, dall‟essere in balia delle passioni alla padronanza di sé (Gal 5,22). Questa
vita nuova nello Spirito è la sua presenza di risorto in noi. Sul nostro volto brilla il
riflesso del suo, che è lo stesso del Padre.
Il desiderio da vertigine, impossibile e tuttavia costitutivo dell‟uomo: «sarete
come Dio» (Gn 3,5), trova nell‟ascolto del Figlio la via della sua realizzazione.
2. Lettura del testo
v. 2 dopo sei giorni. La trasfigurazione avviene sei giorni dopo l‟invito a portare la
33
propria croce (8,34). Siamo quindi nel settimo giorno, fine della creazione e riposo di
Dio, giorno della nostra liberazione e della sua gloria.
Marco è sommario nella cronologia; di solito collega i fatti dicendo: «E
subito dopo». Questa indicazione di tempo vuol sottolineare che la trasfigurazione non
è immediata, ma il compimento di tutta la settimana della creazione, termine del lungo
travaglio dell‟uomo e della sua fatica. Non è da escludere anche un richiamo al
soggiorno di Gesù a Gerusalemme, che, scandito da Marco in sei giorni, si conclude
con la visione della gloria del Figlio di Dio (15,39). La luce che trasforma la mia vita,
e mi fa finalmente vedere la verità mia e di Dio, non è forse la visione di un Dio
crocifisso per mio amore?
prende Pietro e Giacomo e Giovanni. Sono già stati testimoni della risurrezione
della ragazza (5,37). Saranno chiamati a riconoscere la sua gloria di Figlio anche
nell‟orto (14,33). Ciò che per ora è riservato a questi tre è il dono - importante ma
difficile da accogliere - che Dio vuol fare a tutti.
su un monte alto. Vicino al cielo, luogo di solitudine, intimità e rivelazione (cf 3,13;
Es 24), questo monte altissimo rimanda all‟umilissimo Golgota. Qui, davanti al Moria,
dove Abramo compì il sacrificio del figlio e dove sorge il tempio (cf 2Cr 3,1), per la
prima volta sulla terra sarà riconosciuta la gloria di Dio nella carne del Figlio unico.
in disparte da soli. Ognuno è chiamato a questa solitudine con Gesù. Essere con lui è
il fine per cui siamo creati, perché con lui siamo ciò che siamo, ossia figli del Padre.
e fu trasfigurato. Il Figlio ha assunto il nostro corpo e la forma di servo, perché il
nostro corpo e tutta la materia partecipasse in lui alla forma di Dio. La trasfigurazione
lascia trasparire la realtà profonda di Gesù: è il Figlio, in cui abita corporalmente tutta
la pienezza della divinità (Col 2,9): «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9).
In questa «metamorfosi» (= trasformazione) non si parla, come negli antichi
racconti, di un dio che appare in forma umana, bensì di un uomo che appare in forma
di Dio.
In lui anche noi siamo per dono ciò che Dio è per natura: siamo partecipi
della natura divina (2Pt 1,4).
v. 3 le sue vesti divennero splendenti, ecc. (cf 16,5!). La gloria di Gesù è tanto
eccessiva che non si riesce a descriverne non solo il riflesso nel corpo, che è come la
veste della persona, ma neanche il riflesso nella veste, che copre il suo corpo. La sua
veste è luminosa sopra ogni possibilità umana. Quale sarà la bellezza del Figlio?
Mosè non aveva visto il Volto, ma solo le spalle. Eppure era tanta la luce che
emanava da lui, che il popolo non poteva sostenerne la vista (Es 34,29-35). Ora il
34
discepolo è chiamato a vedere a viso scoperto quel volto del quale non si riesce
neanche a descrivere le vesti, e di cui la luce del volto di Mosè è un riflesso del
riflesso «cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo» (1Pt 1,12). In
questo modo si balbetta qualcosa della bellezza di ciò che occhio umano mai non vide,
e che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9).
Le vesti bianche, che il neofita porterà la settimana dopo il battesimo,
esprimono la sua vita nuova, illuminata dalla conoscenza e dall‟amore del Signore
crocifisso e risorto per lui. Egli infatti è rivestito dell‟uomo nuovo, creato secondo Dio
nella giustizia e nella santità vera (Ef 4,24). Rivestito di Gesù Cristo (Rm 13,14), la
sua vita è più luminosa e bella di quanto ogni sforzo umano di purificazione sia in
grado di fare. Infatti è fulgida e splendente come una sorgente di luce.
v. 4 Elia con Mosè. Elia e Mosè, il padre dei profeti e il mediatore della legge, stanno
di fianco a Gesù, e lui in mezzo a loro.
La legge e i profeti parlano di lui, compimento di ogni promessa di Dio. La
gloria del Crocifisso risorto è la «Parola» che toglie il velo, che senza di lui rimane
sulla lettura dell‟Antico Testamento e sul cuore di chi lo legge (2Cor 3,14ss). Ma è
anche vero che questa gloria è comprensibile solo a partire da Elia e Mosè, senza i
quali non possiamo neanche immaginare i doni preziosi e grandissimi che ci sono stati
fatti (2Pt 1,4). Per questo Pietro ci esorta a rivolgere la nostra attenzione alla parola
dei profeti, come a lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la
stella del mattino non si levi nei nostri cuori (2Pt 1,19).
Tutta la Scrittura è in relazione a Gesù. Essa ci dice chi è lui, e lui ci dà ciò
che essa dice: egli è la realtà di cui essa è promessa.
Mosè aveva annunciato un profeta pari a lui, al quale dare ascolto (Dt 18,15).
Ora ha la gioia di ascoltarlo.
Elia, assunto in cielo e atteso per la fine dei tempi, vede in Gesù trasfigurato
la fine del tempo, l‟atteso di tutti i tempi. Né Elia né Mosè gustarono la morte, perché
parlarono di lui, che l‟ha vinta. E ora, primizie del grande albero della vita, stanno con
lui.
v. 5 è bello per noi essere qui. È bello essere con Gesù trasfigurato. Qui
raggiungiamo ciò per cui siamo fatti, e ci sentiamo a casa. Altrove è brutto e non
possiamo stare, ma solo camminare, alla ricerca di questo che è il nostro luogo
naturale. In Gesù trasfigurato tutta la creazione raggiunge quella bellezza che Dio le
aveva aggiudicata fin dal principio (Gn 1,4.10.12.18.21.31). È il punto d‟arrivo, forza
che muove tutto fin dal principio. Queste parole di Pietro celano anche una tentazione:
35
sei giorni prima non voleva accettare la parola della croce (8,32), ora vuole arrestare
nella gloria il tempo, che invece deve ancora passare attraverso la passione.
faremo tre tende. La tenda richiama la dimora (Gloria) di Dio tra gli uomini, che poi
si fissò nel tempio. In realtà tre sono i modi con cui Dio dimora tra noi: la legge
(Mosè) che ci àncora al passato, la promessa (Elia) che ci attira al futuro, e l‟umanità
di Gesù, presenza in cui si compie tutto il passato e termina tutto il futuro. Questa è la
tenda definitiva di Dio tra gli uomini. Non saranno Pietro e gli altri due a costruire una
casa per il Signore (2Sam 7): lui stesso, nella sua umanità trasfigurata, è insieme la
vera casa sua e nostra, dove siamo di casa l‟uno nell‟altro.
v. 6 Infatti non sapeva cosa rispondere; infatti erano spaventati. L‟eccesso di
Gloria supera ogni intendimento e coraggio umano.
v. 7 venne una nube. Dio, troppo luminoso, è oscuro ai nostri occhi. Per questo la sua
presenza è una nube (Es 40,34). Promessa di fecondità, guidò Israele per il deserto,
facendosi luce di notte e riparo di giorno.
li copriva d’ombra. La nube ricopre della sua ombra i tre fortunati, come già la
Dimora (Es 40,35 LXX). È la presenza di Dio, che aveva coperto anche Maria (Lc
1,35), e li rivestirà di forza ricevuta dall‟alto (Lc 24,49; At 1,8).
venne una voce dalla nube. Dio abita una luce inaccessibile. Ogni immagine che
ce ne facciamo è un idolo. Egli non ha volto per essere visto; ha voce per essere
ascoltato. Il suo volto è l‟uomo che lo ascolta. Perché ognuno è generato a immagine e
somiglianza della parola che accoglie. Gesù, Parola di Dio viva ed eterna, è il seme
immortale che ci genera figli (1Pt 1,23).
Questi è il Figlio mio, il diletto (cf 1,11). La voce del Padre indica ai discepoli il
Figlio. Se uno lo ascolta, il Padre dice a lui ciò che disse a Gesù nel battesimo: «Tu sei
il Figlio mio, il diletto» (1,11). Queste parole echeggiano il Sal 2,7, che parla
dell‟intronizzazione regale, applicate spesso al Cristo risorto (At 4,25s; 13,33; Eb 1,5;
5,5). Egli infatti è insieme figlio di Davide secondo la carne e figlio di Dio costituito
con potenza secondo lo Spirito mediante la risurrezione (Rm 1,3). Richiamano pure il
canto del Servo (Is 42,1) e alludono infine anche a Isacco, il figlio promesso e
sacrificato, indicato ad Abramo come «il figlio tuo, il diletto» (Gn 22,2.12.16).
Qui vediamo la gloria di Gesù, chiamato dal Padre col nome di Figlio.
Nell‟orto vedremo i costi del Figlio per chiamarlo con il nome di Abbà (14,36).
ascoltate lui. Gesù è il Figlio, Parola definitiva del Padre che in lui dice e dà tutto se
stesso. Per questo dobbiamo ascoltarlo, soprattutto quando rivela il suo e il nostro
cammino - che nessuno di noi, con Pietro, è disposto ad accettare. Qui il Padre
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conferma la scelta del Figlio dell‟uomo come via di salvezza per tutti quanti vorranno
seguirlo (8,31-38).
Gesù è il profeta definitivo promesso da Mosè per l‟esodo definitivo verso la
libertà dei figli: «A lui date ascolto» (Dt 18,15).
Il principio della nostra trasfigurazione è l‟ascolto di Gesù. Non c‟è altra
rivelazione da cercare se non quella che ci è stata fatta nella sua carne. Egli è il Figlio
obbediente, sua Parola perfetta, in cui pienamente si esprime. L‟ascolto di lui ci rende
come lui, figli di Dio, partecipi della sua vita.
Le ultime parole del vangelo sono un invito a tornare in Galilea, ossia
all‟inizio del vangelo, dove incontreremo il Signore risorto: «Là lo vedrete, come vi
ha detto» (16,7). Se lo ascoltiamo e lo seguiamo, come lui ci ha detto, lo vedremo così
come egli è.
L‟importante, per vederlo risorto, è ascoltare e seguire lui nella sua «Parola»
(8,31), non vergognarsi qui e ora di lui e del vangelo (8,38).
Senza la trasfigurazione di Gesù neanche avremmo immaginato la gloria cui
siamo destinati. Il suo pieno fulgore ci sfugge. Si è levato un lembo del manto di Dio,
e siamo accecati dallo splendore. Ma ora sappiamo che c‟è e conosciamo il cammino
per raggiungerla: ascoltare Gesù, tra Mosè ed Elia.
«Mostrami la tua gloria, mostrami il tuo volto» (Es 33,18). È la grande
aspirazione dell‟uomo, in cerca del proprio volto. E Dio ci esaudisce oltre ogni attesa.
Il suo volto è il nostro stesso volto, che, nell‟ascolto di Gesù, riverbera la stessa gloria
del Figlio.
A Pietro, che vuol costruire dimore, colui il cui trono è il cielo e il cui
sgabello per i piedi è la terra, dice che l‟unica casa a lui gradita è il cuore umile e
contrito di chi lo ascolta (Is 66,1s). Come per il Figlio, così vale per tutti i fratelli.
v. 8 non videro più nessuno, se non il Gesù solo. La gloria del Figlio è quella del
Gesù solo, l‟uomo in cammino verso l‟ignominia della croce, che tutti
abbandoneranno. Di lui, e di nessun altro, il Padre dice: «Ascoltate lui». La sua carne
è la vera «esegesi» di quel Dio mai visto da nessuno (Gv 1,18), che sulla croce
toglierà ogni velo.
Dopo la trasfigurazione tutto torna nella quotidianità, uguale a prima. Ma in
realtà abbiamo occhi diversi, per vedere che tutto è diverso. Il Padre ci ha detto chi è il
Figlio e ci ha ordinato di ascoltarlo, per entrare anche noi nella stessa gloria.
D‟ora in poi il suo cammino, che prima non si sapeva dove andava a parare, è
decisamente diretto a Gerusalemme.
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v. 9 ordinò loro di non raccontare a nessuno. La gloria del Figlio sarà
comprensibile solo dopo la risurrezione, nel dono dello Spirito. Prima non si può
raccontarla. Si cade nell‟equivoco di una gloria senza la croce, che sola la rivela.
quando il Figlio dell’uomo sarebbe risorto dai morti. Ogni segreto ha un termine,
in cui verrà rivelato (4,22). L‟annuncio del Crocifisso risorto e l‟invito a seguirlo
segna la fine del segreto messianico. Dopo la croce non c‟è più pericolo di ambiguità.
v. 10 cos’è il risorgere dai morti. I discepoli ignorano ancora il mistero centrale della
fede: la risurrezione di Gesù e nostra, di cui la trasfigurazione è l‟anticipo. Infatti non
hanno accettato la croce (8,31s).
3. Esercizio
1. Entro in preghiera.
2. Mi raccolgo, vedendo il monte della trasfigurazione.
3. Chiedo ciò che voglio: ascoltare il «Gesù solo» che va verso la croce come via
alla gloria. Domando al Padre di amarlo, per conoscerlo e seguirlo nel suo
cammino di Figlio.
4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, cosa dicono e
cosa fanno.
Da notare:
si trasfigurò
ascoltate lui
questo è il Figlio mio, il diletto
è bello stare qui
Gesù solo
risorgere dai morti
4. Passi utili:
Dn 7,9-10.13-14; Sal 67; Dt 18,15; Es 34,29-35; 2Pt 1; Rm 8,18-30;
2Cor 3; Fil 3,20s.
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