esteri VIE D’USCITA In tournée Onesmus Kamau, uno dei piccoli attori. «Pinocchio nero» sarà a Roma e Palermo Pinocchio nel paese delle baracche Se piace ai nostri bimbi, si sono detti i volontari dell’Amref, affascinerà anche i ragazzi di strada di Nairobi. Così ora in Italia arriva una compagnia teatrale molto speciale / dal nostro inviato Carlo Ciavoni - foto di Khamis Ramadhian AIROBI. Si fa fatica a credere che la sfida per un futuro credibile dell’Africa parta dalle immense e indecenti baraccopoli, come quelle di Nairobi. Lungo le viuzze strette di terra rossa e fango dei diciassette slum della capitale keniana, dove vivono due milioni di persone in uno spazio pari all’1,5 per cento dell’intero territorio cittadino. Lungo le highway invase dal fumo dei camion e dalla puzza delle discariche dove migliaia di ragazzini senza casa vanno a procurarsi quel po’ che serve per tirare a campare. Qui i sentimenti diffusi non assomigliano a quello della speranza. Tuttavia, a vedere un domani migliore per i 150 mila ragazzini di Nairobi - i chokora (rifiuti), che non hanno neanche una baracca di lamiera dove dormire sono ormai molti opera- N tori della cooperazione. Ed è con la logica del «contagio del bene» che è nata l’operazione Pinocchio Nero, voluta dall’Amref, la grande organizzazione umanitaria gestita al 95 per cento da africani e impegnata in centinaia di progetti di sviluppo nell’area orientale del continente. Un Pinocchio raccontato da venti ragazzi di strada di Nairobi, dai 13 ai 17 anni, in scena da stasera (venerdì) al Globe Theatre di Roma, per poi fare tappa al teatro nel complesso di San- ta Maria dello Spasimo, a Palermo. Lo spettacolo ha debuttato a Nairobi sabato 21 agosto, nel bellissimo spazio del Bomas, una struttura circolare in legno, ai confini con la Savana. Un evento al culmine di un emozionante periodo di lavoro durato due anni tra i ragazzi della bidonville di «Dagoretti» (nome deformato dall’espressione inglese the great corner) e portato a termine dallo staff di Marco Baliani, regista dalla lunga, variegata esperienza teatrale in situazioni PROFESSIONISTI SUL CAMPO «Sukuma look», spingete lo sguardo. Così per giorni, settimane, mesi, Marco Baliani ed Elisa Cuppini, la coreografa, hanno ripetuto ai ragazzi di «Dagoretti», slum di 250 mila abitanti a sud di Nairobi. All’allestimento hanno partecipato anche Letizia Quintavalla (del teatro delle Briciole di Parma), la co-regista Maria Maglietta, gli scenografi Moreno Rinaldi e Riccardo Sivelli. VENERDÌ | 55 esteri «estreme» (come lui stesso le definisce). Dietro le quinte, John Muiruri, responsabile del progetto, ex maestro elementare nelle baraccopoli di Nairobi e Giulio Cederna, consulente per la comunicazione. «Due anni fa, quando incontrai quei bambini per la prima volta», dice Baliani, «feci loro un discorso rischioso. Dissi che con il teatro avrebbero avuto l’occasione per cambiare il loro modo di stare al mondo. Sapevo che avrei potuto illuderli. Ma glielo dissi lo stesso. Le condizioni, però, erano di non sniffare più colla e tenersi in forma fisica, con allenamenti rigorosi e quotidiani. Dissi che dovevamo diventare un gruppo coeso, solidale, granitico. Un giorno, durante una gita in un villaggio Masai, raccontai la storia di Pinocchio. I loro occhi erano puntati su di me come fanali e in quei momenti capii che la storia avrebbe funzionato. La potenza simbolica ed evocatrice che Pinocchio porta in sé, come emblema universale del bisogno e del diritto alla rinascita e al riscatto sociale, aveva toccato il loro cuore». L’esperienza dei ragazzi che hanno dato vita al Pinocchio Nero ha dato ragione all’idea–guida che dovrebbe ispirare i progetti di sviluppo in Africa. L’idea, cioè, di coinvolgere la comunità locale in ogni intervento, che si tratti di uno spettacolo o della costruzione di un pozzo. «Sembra ozioso starlo a precisare, ma non è così», sottolinea Cederna. «Per molto tempo è prevalsa la tendenza a isolare i beneficiari di un progetto in un luo- Vie d’uscita Il debutto nella baraccopoli Una delle scene finali del «Pinocchio Nero», alla prova generale nel centro multimediale di Godown. In primo piano, il burattino costruito da Moreno Rinaldi go “protetto”, senza mettere in moto il meccanismo del coinvolgimento. All’origine di troppi progetti di sviluppo sbagliati c’è il problema della disinformazione, il non ascolto dell’Africa». Aggiunge Cederna: «Chiediamoci quanti interventi falliti sono dovuti all’ignoranza delle culture, delle tradizioni, delle lingue locali. Le Ong sul campo hanno dunque una grave responsabilità: rinunciare da subito a un’informazione allarmistica, emergenziale e di comodo, e puntare a progetti di comunicazione che coinvolgano la gente nel luogo dell’intervento». Dunque, Daniel Komande, detto Kommando (leader riconosciuto del gruppo) e i suoi compagni di questa bellissima avventura, da Onesmus I protagonisti (e le loro cicatrici) John Chege È il più piccolo del gruppo. Ha una cicatrice in faccia prodotta da una coltellata durante una partita di calcio Mohamed Kamau «Dormivo davanti a un negozio: mi hanno colpito con un punteruolo che m’ha fatto un buco sulla gamba» John Kavoo «Stavo riscaldando porridge per strada. Un ciccione voleva sniffare la mia colla, non gliel’ho data ed è finita male. Per me» Daniel Kamande «Sniffavo la mia colla e un bastardo la pretendeva. L’ho preso a calci, ma lui è tornato e mi ha accoltellato» Kevin Chege «Una pietra sulla testa mentre dormivo sul marciapiede. Erano gli avversari di una partita che avevamo vinto» Kamau (uno dei Pinocchi) a James Ng’ang’a (Geppetto), da Joseph Muthoka (Lucignolo) a Mohammed Kamau, Kevin Chege, Samuel Ndung’u, il narratore, grazie al teatro hanno capito di cosa sono capaci. Ma hanno soprattutto esplorato per la prima volta il loro animo, riconoscendosi come individui titolari di diritti e doveri. Come succede nella scena finale, quando tutti i Pinocchi, ormai non più burattini, mostrano i loro passaporti di cittadini del mondo che hanno riacquistato la dignità tolta. Spetterà a loro, adesso – ecco il vero obiettivo del progetto – diffondere nella comunità il «germe» del cambiamento, ucciso dalla povertà e dal degrado in una città come Nairobi. Inventata dagli inglesi un secolo fa, in questo altipiano a 1600 metri, durante la costruzione della ferrovia dal porto di Mombasa a Kampala, in Uganda. E in cui solo nel 1919 le autorità ammisero una piccola quota di africani all’interno della città. Ora i ragazzi di Nairobi sono in Europa. Dopo gli spettacoli al Globe Theatre di Roma, andranno a Ostia, dove vedranno il mare, per la prima volta. Poi per loro ci sarà un’altra sorpresa. Andranno al bioparco comunale per vedere gli elefanti. Anche quelli, dalle baracche, non si vedono mai. CARLO CIAVONI
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