Mondo del lavoro za verticale, focalizzati sul business e soprattutto sul ritorno a breve, sacrificando quindi molte competenze trasversali, quali la gestione e lo sviluppo interno dei collaboratori. Alcune funzioni aziendali in particolare hanno vissuto cambiamenti di peso strategico rilevanti. Basti pensare a quella di hr, che sempre più spesso riveste ormai un ruolo di mera gestione e/o di presidio della riduzione dei costi. Alcuni paesi però sono usciti dalla recessione ed è interessante osservare che, in tutti i casi in cui l’economia sta ripartendo, la chiave è stata quella di puntare sulle persone! TALENT MOBILITY PER AVERE SUCCESSO Riccardo Carreri e Giovanni Pedone 24 OTTOBRE 2014 ltimamente non si parla d’altro. Frasi del tipo “non comanda più il budget, comanda la cassa”, “gli asset finanziari prevalgono rispetto a quelli industriali”, “la politica del rigore frena lo sviluppo” sono diventate ritornelli costanti che hanno contribuito a caratterizzare, in molti casi, anche le principali strategie aziendali. Dopo Lehman Brothers, e soprattutto dopo l’ultima pesante recessione economica, in tutto il mondo industrializzato c’è stato un radicale incremento dell’attenzione sugli aspetti finanziari a cui ha fatto seguito una diminuita capacità di sostentamento dello sviluppo. La conseguenza diretta è stata quella di ricercare manager di competen- U Investire sul capitale umano ripaga Le persone fanno la differenza e investire su di loro ripaga. Lo sanno bene le aziende che, in controtendenza, sanno pianificare lo sviluppo dei propri collaboratori attraverso programmi che prevedono il coinvolgimento di tutto il management con il supporto della funzione hr. La corretta gestione della circolazione dei talenti è l’approccio che oggi sta dando più risultati ed è quello a cui si ispirano le organizzazioni aziendali più evolute, ovvero quelle più attente alla misurazione economica sul ritorno dei propri investimenti. Negli Usa e in Europa questo approccio è definito talent mobility. Talent mobility è un termine difficile da tradurre in italiano e forse saremo costretti, come per altri vocaboli, a mantenerne la versione inglese. Circolazione, mobilitazione, mobilizzazione, movimentazione, meno che mai mobilità, con i suoi echi legati all’ammortizzatore sociale. Nessun termine rende il concetto dell’“agilità” organizzativa, resa possibile da strumenti e processi hr che permettono alle persone di trovare la loro giusta collocazione all’interno – e a volte all’esterno – dell’azienda. Valorizzare i talenti Anche la lettura superficiale del termine inglese “talent” ci pone un interrogativo non di poco conto: singolare o plurale? “Il talento” o “i talenti”? Non per populismo, ma il concetto di talent mobility si estende a tutti, per valorizzare la parte talentuosa presente in ciascuno, con forme di intervento naturalmente differenziate per coloro i quali fanno parte di particolari piani dell’azienda o che devono assumere più alte responsabilità e/o sfide di maggiore complessità. La talent mobility è più che la semplice somma dei processi hr – dalla valutazione del potenziale allo sviluppo attraverso coaching e formazione, ai piani di successione e al redeployment – è invece un approccio e una scelta strategica che vede la combinazione di tali strumenti in una virtuosa integrazione fondata sull’abilità di un’azienda di comprendere, sviluppare e muovere all’interno dell’organizzazione i propri talenti. A supporto di tale tema, un excursus delle varie teorie di management che hanno influenzato la creazione di modelli e processi organizzativi in ambito hr sarebbe lungo e ripetitivo, anche se sempre illuminanti sono le lezioni – a volte dimenticate – del passato. Un salto nel passato È negli anni Sessanta che Herzberg – il primo a coniare il termine di job enrichment – desume dalla sua ricerca sul campo che tra i fattori “igienici” (quelli che non possono mancare ma che portano a una prestazione lavorativa da minimo sindacale) c’è il rapporto con il proprio capo. Si dice infatti comunemente che “le persone lasciano i propri capi, non le aziende”. Lo stesso psicologo del lavoro americano evidenzia poi come tra i fattori “motivanti” (quelli che portano a una prestazione extra) c’è il tipo di lavoro in sé, in linea con le aspirazioni e le inclinazioni della persona. Solo più tardi si è cominciato a parlare tecnicamente di “total reward”, ad esempio – uno fra gli altri – con il modello multidimensionale di Armstrong e Brown che vede associare motivazione personale a ricompense/riconoscimenti aziendali di natura finanziaria e non. Prassi e nozioni di sicuro meglio articolate dei contributi di studiosi e tecnici precedenti, ma nel lavoro dei quali affondano in ogni caso le proprie radici. Estremizzando: nulla di nuovo (o almeno non molto) sotto il sole dopo Platone, Aristotele e Socrate. Il monito evangelico Non in pane solo vivet homo, adattato alla circostanza, è un po’ una conferma di tale tesi. Numerosi se non innumerevoli sono quindi i contributi teorici e le ricerche che hanno contribuito a creare lo stato dell’arte a cui oggi può fare riferimento l’azienda evoluta che intende sviluppare a fondo il potenziale umano che ha a disposizione attraverso la talent mobility. Risultati e persone: binomio imprescindibile La talent mobility deve però essere vista come un sistema compiuto da adottare non più solo per fede astratta ma perché questa ha un impatto tangibile sui risultati dell’azienda, oltre che sul benessere personale e sul clima interno. Una recente ricerca condotta negli Usa (Talent mobility, 2013, Human Capital Institute in collaborazione con Lee Hecht Harrison) dimostra infatti che le aziende che hanno adottato sistemi integrati di talent mobility hanno avuto il 12% in più di raggiungimento del successo anche in campo finanziario. Investimenti, quindi, che ripagano ma che devono essere condotti con coerenza e lungimiranza, abbandonando modalità episodiche o la moda del momento e integrandoli invece nella strategia aziendale di business. Occorre una forte sponsorship da parte del top management, un’esecuzione efficace da parte dei manager di linea nell’applicazione dei processi e la regia di chi in azienda deve essere il reale agente del cambiamento: la funzione hr. Per questo la talent mobility, soprattutto in un momento di forte trasformazione come quello che stiamo vivendo, rappresenta l’occasione per ritrovare il senso profondo e il significato della propria missione nel tenere in equilibrio risultati e persone, un binomio solo apparentemente contraddittorio. OTTOBRE 2014 25
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