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Lunedì 28 luglio 2014 – Anno 6 – n° 206
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma - tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
e 1,30 – Arretrati: e 2,00 - Spedizione abb. postale D.L. 353/03
(Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) - Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
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Ma mi faccia
Colonna sonora della settimana w il piacere
I Sonohra: "John Mayer: Slow dancing
in a burning room", musica senza
tempo fatta di cuore e passione
a cura di Martina
Castigliani
Ascolta su w www.ilfattoquotidiano.it
LA GIORNATA DI IERI
w RELITTI w Renzi
w SPERANZE w Dopo
Casta Concordia in festa
per la bara galleggiante
Nibali conquista Parigi
e l’Italia si mette a ruota
e il Paese in crisi si aggrappano al
simbolo della tragedia per trovare consenso e lavoro
Vecchi » pag. 2
il disastro dei Mondiali di calcio
il riscatto nello sport simbolo di fatica e sacrificio
Coen » pag. 3 - Le Lezioni di ciclismo di Felice Gimondi a pag. 13
La nostra cara
bistecca cede
ai fast food. Con
la crisi la carne
costa troppo e le
famiglie
si rifugiano
nel panino
americano
(+30%). Le
grandi catene ci
invadono,
mentre macellai
e ristoranti
soffrono. Con
quali effetti su
stomaco e
cucina italiana?
w pag. 4 - 7
con un racconto
di Paolo Sortino
L’HAMBURGER
CI DIVORERÀ
w EDITORIALE w Se
di Marco
iancaneve nei Boschi.
B
“E la Boschi contestata si appella a Fanfani” (la
Repubblica, 22-7). Va
pazza per i nani.
Vigilantes. “Napolitano da
Ciampi all'ospedale di
Bolzano: 'È molto
vigile'”
(l'Unità,
26-7).
Diversamente
da lui.
Colpi.
“Grillo: 'Questo è
un colpo di Stato'.
Renzi: 'No, è un
colpo di sole'.
Grillo: 'No, è un colpo di
P2'” (dai giornali del
26-7). Grasso: “Il mio è un
colpo di culo”.
Google Nap. “Non si agitino spettri di insidie e
macchinazioni autoritarie” (Giorgio Napolitano,
presidente della Repubblica, 23-7). Perchè se
no?
Giuliano Somara. “Galan:
atto vile, manette al deputato per compiacere i pm”
(Giuliano Ferrara, Il Foglio, 23-7). Gip, Giuliano,
si dice gip. Studia, somaro.
Sputati ancora, Cick. “Se
tornassimo con Silvio dovrei sputarmi in faccia”
(Fabrizio Cicchitto, Ncd,
l'Unità, 23-7). Una volta
più una volta meno.
Cronoprogramma/1. “Riforma della giustizia entro
il 20 agosto” (Andrea Orlando, Pd, ministro della
Giustizia, l'Unità, 26-7).
Mo' me lo segno.
Cronoprogramma/2. “Padoan alla Ue: per le riforme serve tempo” (La
Stampa, 23-7). Tranqui,
Pier, prenditela pure comoda: c'è tempo.
Crimi e misfatti. “Non rispondiamo delle nostre
azioni” (Vito Crimi, M5S,
24-7). Perfetta continuità.
Pigi Ballista. “Dall'immunità totale alla galera per
tutti: il trionfo dell'ipocrisia... Alfonso Papa? Dentro
Poggioreale, con pubblica
riprovazione. Poi il Gip ha
revocato l'arresto di Papa,
ma nell'ansia dell'autodafè,
per assecondare il furore
popolare, i parlamentari
furono più zelanti dei magistrati” (Pierluigi Battista,
Corriere della sera, 23-7).
Naturalmente il Gip revocò
l'arresto quando vennero
meno le esigenze cautelari,
non certo perchè Papa non
andasse arrestato per concussione: infatti è sotto
processo con rito immediato per concussione. Lo
sanno tutti i giornalisti,
quindi non Battista.
Segue a pag. 18
w CULT w Pro
Niente avversari
e arbitro amico,
che bello vincere
w NEL SIMULATORE w Il disastro
vissuto con il computer da 20 milioni
Ecco cosa si prova
a precipitare
con il Boeing 777
di Ferruccio Sansa
aereo si ferma. Senti il corpo sospeso. “Stallo”, ripete
L’
la voce elettronica del computer. Poi il muso punta
giù. Verso terra. “È finita”, dice il pilota. Abbiamo spe-
di Francesco Chiamulera
succedesse al
derby invece che con la Costituzione
llarme! Una nuova squadra si è iscritta alla serie A.
A
Non è stata promossa dalla B. Ha vinto solo il campionato dilettanti di Firenze, ma il presidente giura che la
maggioranza degli italiani tifa per lui. Autocertifica che lui
è bravo. Anzi, il migliore. Addirittura l’unico. » pag. 18
rimentato cosa si prova nei terribili momenti di un disastro con un simulatore da 20 milioni che replica alla perfezione il volo di un Boeing 777, jet tra i più sicuri. Come
quelli della Air Malaysia precipitati quest’anno. » pag. 12
Travaglio
e contro l’ipotesi
di un sequel dopo 25 anni
Harry e Sally
sono ancora
innamorati?
ono passati 25 anni dal cult degli anni ‘80
S
che ha cambiato la commedia americana.
Gli sceneggiatori si dividono sull’ipotesi del se-
quel e propongono le trame. Voi cosa pensate?
Dite la vostra sul sito del Fatto. » pag. 10 - 11
2
COMUNQUE VADA È UN SUCCESSO
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
DIARIO DELLA GIORNATA
NUOVA EMERGENZA IN LIBIA
PRESSIONI DAL PD, RENZI AMBIGUO
Ancora un accorato appello del Papa contro le guerre,
in particolare quella a Gaza. Leggendo un discorso
scritto nel corso dell’Angelus, Francesco I ha implorato
un “Mai più la guerra!” rivolto soprattutto ai più piccoli.
"Tutto si perde con la guerra - ha poi detto Bergoglio -,
nulla si perde con la pace” per po finire con un accorato:
“Fermatevi per favore, ve lo chiedo con tutto il cuore, è
l’ora di fermarsi, per favore!". Tra le varie guerre, particolarmente cruente è quella civile in Libia con 200
morti nelle ultime settimane. Ieri l’Italia ha annunciato
di aver operato il trasferimento di 100 connazionali
rimpatriati in emergenza tramite la Tunisia.
"La Fiorentina fedele ai propri valori etici e civili, alla
luce delle recenti affermazioni del signor Tavecchio ritiene non più sostenibile la sua candidatura alla presidenza della Figc". È la prima presa di distanza all’interno delle squadre di club contro Carlo Tavecchio. La
pressione, dopo le sue frasi razziste, giunge anche dal
Pd con Debora Serracchiani: “Se fossimo un paese normale - ha detto la vicesegretaria - sarebbe normale il
suo passo indietro”. Mentre Demetrio Albertini ufficializza la propria candidatura, interviene, anche Renzi:
“Quell’espressione è un clamoroso autogol. Ma rispettiamo l’autonomia delle istituzioni sportive”.
Il Papa: “Per favore, basta guerra”
La Fiorentina scarica Tavecchio
CORTEO FUNEBRE
La Concordia in porto
Renzi mette il cappello
di Davide Vecchi
A
inviato a Genova
nche se mi avessero
invitato non sarei andato, mi sarebbe parso fuori luogo vivere
l’ultimo atto di una tragedia come un evento”. Sulla banchina
del porto di Genova a celebrare
l’arrivo del cadavere della Concordia ci sono attori e comparse di prima e seconda fila del
naufragio, ma manca quella è
che stata l’unica protagonista:
l’isola del Giglio. Il sindaco Sergio Ortelli lo annota ma senza
troppo clamore. E la telefonata
ricevuta ieri mattina dal premier Matteo Renzi, che lo ha
chiamato prima di presentarsi
al porto di Genova Voltri accompagnato dalla famiglia, Ortelli la prende per quello che è:
“Un gesto istituzionale, scontato”, dice. “Renzi mi ha detto che
verrà qui al Giglio ad agosto,
vedremo, ne ho viste e sentite
tante in questi mesi”, aggiunge.
“Ora dobbiamo valutare le
conseguenze, che accoglieremo con lo stesso spirito con cui
abbiamo accolto gli oltre quattromila profughi quella notte”.
IERI POCO DOPO LE SEDICI il
corteo funebre di quella che fu
la Concordia ha depositato il feretro là dove era stata costruita,
a Genova. Ad attenderla il presidente della Regione, Claudio
Burlando, il sindaco del capo-
FANFARE
Quanta bella esultanza
per una bara galleggiante
LO SPOT Davvero bello questo clima di esultanza e trionfa-
lismo per il recupero ipertecnologico di una immensa bara
galleggiante: bello, sobrio e soprattutto rispettoso per i familiari delle vittime. C’è pure il Presidente del Consiglio che fa
bella (va be’) mostra di sé, ovviamente senza fini elettorali (se
lo avesse fatto Berlusconi, lo avrebbero demolito). Non manca neppure la retorica giornalistica del “relitto che riemerge,
chiara metafora della voglia di rinascere del paese Italia”. A
questo punto si attendono solo le fanfare, i fuochi d’artificio
e magari un bel trenino “Brigitte Bardot-Bardot”, guidato da
Schettino. Quella nave è un carro funebre, un concentrato di
morte, un condensato di dolore: abbiate un po’ di decenza.
Andrea Scanzi
luogo ligure, Marco Doria, il
presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo, il commissario della Provincia, Piero Fossati. Ancora: i ministri della difesa e dell’ambiente, Roberto
Pinotti e Gianluca Galletti. Infine il presidente del Consiglio,
Matteo Renzi. Un comitato di
benvenuto da grandi occasioni.
Tanto che lo stesso premier
mette le mani avanti: “Questa
non è una passerella né uno
show, ma la conclusione di una
storia con tanti morti che nessuno di noi può dimenticare”. E
giustifica la sua presenza: “Sono
venuto qui per dire solo grazie.
Grazie a tutti i servitori dello
Stato, alle forze armate, alla
Protezione civile, ai volontari,
agli abitanti del Giglio, a tutti
quelli che hanno reso possibile
questa impresa straordinaria”,
afferma Renzi sul porto protetto da una transenna e scortato
dai due ministri. La moglie e i
figli, arrivati con lui a bordo
della pilotina che li ha prelevati
all’aeroporto, si eclissano. Il
premier ripete: “Nessuno di noi
oggi mette le bandiere per festeggiare, ma la gratitudine per
chi ha lavorato in questi mesi
con noi c'è tutta”. Poi spiega che
Piombino non era in grado di
“rottamare... smantellare”, si
corregge, la Concordia. Ma, ga-
rantisce Renzi, al porto toscano
sarà affidato “lo smantellamento di alcune navi militari”. Una
sorta di contentino. Un secondo premio.
MA È VERO, va detto, che
Piombino non aveva le strutture adeguate per ospitare le operazioni sul relitto. Della polemica sorta tra lo scontro tra i
due porti ieri ha voluto parlare
Franco Gabrielli, capo della
Protezione Civile, togliendosi
qualche sassolino dalle scarpe.
“Molti, in vari tratti di strada,
hanno pensato più agli interessi
particolari rispetto a quelli generali”, ha detto il Prefetto. “Alcuni legittimi, altri solo per coprirsi le spalle, rispetto a una serie di responsabilità che temevano di avere” e ha sottolineato
come Genova “era l’unica soluzione per tenere la nave in Italia”. L’intento è quello di chiudere, con il trasferimento, anche le polemiche. Accanto a
Gabrielli c’è Nick Slaon, guru
assoluto di tutte le operazioni.
Lui è rimasto sulla Concordia
fino all’ultimo minuto, a controllare le operazioni di ormeggio. “Tutto è andato bene, sono
molto contento” ha bisbigliato
il salvage master di Costa raggiungendo la figlia di otto anni e
la moglie che lo aspettavano a
terra. Poi con loro se n’è andato
da Voltri. Non era presente
quando da sotto gli ombrelloni
transennati e riservati alle au-
L’ingresso della Concordia a Genova Ansa
torità sono partiti ripetuti applausi indirizzati a Renzi. Lui,
Sloane, che ha sempre parlato
premettendo il dolore per
quanto accaduto al Giglio, non
avrebbe gradito. Anche perché
il relitto ora ormeggiato a Genova ha nel suo ventre ancora
una vittima da restituire ai parenti: Russel Rebello, un indiano salito sulla nave come cameriere. All’isola del Giglio i sommozzatori hanno ripreso le ricerche in mare da quando il relitto è partito per Genova, ormai quattro giorni fa, senza alcun risultato. E anche secondo
Ortelli con ogni probabilità
quel corpo si trova ancora nella
Concordia.
IL RELITTO è arrivato all’in-
gresso del porto di Voltri sabato
a fine serata ed è rimasto fermo
fino al mattino successivo:
l’unica sosta durante l’intero
tragitto. Ma i tecnici dell’operazione hanno negato che questa sosta sia stata effettuata appositamente per non arrivare in
anticipo rispetto alla visita annunciata del premier. “Assolutamente, era già prevista ed era
necessaria per rispettare il traffico regolare del sabato notte”.
Certo è che, come dice il sindaco del Giglio, “ora finalmente
saranno spenti i riflettori”.
AVVISTAMENTI
Toti rivela il patto scritto del Nazareno
di Fabrizio d’Esposito
stizia: eppure è stato lo stesso Condannato, in
più di un’occasione, a dire che la giustizia è il
terzo punto del patto segreto alla base della più
grande riforma costituzionale dal 1948 in poi.
Non solo, per l’ex direttore Mediaset, cooptato
nel cerchio magico dopo il tradimento di Alfano, in calce al documento del gennaio scorso,
quando si tenne l’incontro Bierre nella sede nazionale del Pd a Roma, non ci sono le firme dei
due contraenti, Berlusconi e Renzi. Ma “forse
quella di Verdini”. Ossia dello sherpa renzusconiano, ufficialmente forzista, che ha preparato il tavolo e poi vigilato sul patto.
la prima conferma all’esistenza di un teÈ
sto scritto del fatidico patto del Nazareno
e arriva da Giovanni Toti, pilastrino di quel
cerchio magico che da mesi ha blindato il Condannato. La rivelazione di Toti, consigliere politico di B. ed eurodeputato, alla rassegna Ponza
d’autore è anche una sorte di pizzino al premier
in una fase in cui la battaglia del Senato potrebbe rimettere in discussione l’Italicum e costringere il Pregiudicato a rivedere lo Spregiudicato per aggiornare l’accordo. Come a dire:
“Caro Renzi ricordati che hai sottoscritto un
patto ben preciso”.
QUESTE LE PAROLE DI TOTI : “Il patto del Na-
zareno esiste e io l’ho visto. Io come molti altri
dirigenti di Forza Italia. È un semplicissimo
foglio di carta che prevede alcune tappe schematiche del processo di riforma. È una cosa
semplicissima nella sua banalità, un appunto
scritto a penna sulle cose da fare: la legge elettorale per cui la partenza era il modello spa-
IN ANTEPRIMA
QUESTO DETTAGLIO, SPIFFERATO con ironia
La notizia sul Fatto
del 24 luglio scorso
gnolo, e riguardo al Senato prevedeva tre clausole: la non elettività, il non compenso e la fine
del bicameralismo, ovvero la doppia approvazione delle leggi”. La versione di Toti è politicamente corretta e non ha clausole sulla giu-
a Ponza, ha fatto infuriare il toscano Verdini,
che si è sfogato coi suoi: “Ma che dice questo
qui, chi sono io per firmare un accordo del genere?”. Sotto, appunto, ci sarebbero le firme del
premier e del Condannato, non la sua. La reazione di Verdini è l’ulteriore segnale che nella
corte berlusconiana è in corso una spietata
guerra tra le due fazioni ufficialmente filorenziane. Da un lato Verdini, appunto, dall’altro
Toti e il cerchio magico. Il sospetto, però, è che
Toti spesso giochi per conto proprio, parlando
solo per sé. Per esempio, a che titolo, sempre
ieri, ha detto che “Berlusconi non sarà il candidato premier e si faranno le primarie”? Altrimenti non si spiegherebbe un grido di gioia
captato ad Arcore dopo la sentenza del 18 luglio, quando B. è stato assolto in Appello per il
caso Ruby: “Adesso voglio vedere come faranno Toti e la Gelmini (i due sono inseparabili,
ndr) a spartirsi Forza Italia”. A gridare, in presenza di B., un autorevole esponente azzurro
molto noto e che non stima Toti.
In ogni caso, a parte il presunto doppio gioco di
Toti, la prima ammissione sul testo segreto del
patto del Nazareno è un sintomo, secondo altre
fonti azzurre, di debolezza e paura mascherato
“da cosa semplicissima nella sua banalità”. È
sempre più forte, infatti, il timore che il documento dell’accordo venga divulgato pubblicamente. A quel punto, il contenuto corrisponderà alle parole di Toti o sarà diverso? E quali
firme ci sono? Altro che gli streaming tra Renzi
e il Movimento 5 Stelle.
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
3
TRAGEDIA A RIETI
IL DIBATTITO NEGLI USA
Un elicottero As 350 del servizio antincendio regionale
è caduto nei pressi del Lago del Salto, in provincia di
Rieti. Sono deceduti il pilota e uno dei tecnici a bordo.
Una terza persona è stata trasportata in codice rosso al
Gemelli. L’equipaggio dell’aeromobile era impegnato in
un volo di ricognizione e riaddestramento. Il pilota del
mezzo regionale ha tentato un atterraggio d’emergenza
ma a pochi metri da terra il motore ha ceduto facendo
precipitare l’elicottero. Cordoglio per i piloti è stato
espresso dal ministro delle politiche agricole, Martina,
dal presidente del Lazio, Zingaretti, e dal capo dell’operazione di recupero della Concordia, Nick Sloane
Il prestigioso quotidiano statunitense, New York Times, prende posizione a favore della cannabis. In un
editoriale pubblicato ieri, il quotidiano ne paragona
il divieto all’epoca buia del Proibizionismo sostenendo che i costi della cannabis per la società sono
“immensi”. “Crediamo che ad ogni livello la bilancia
penda sul lato della legalizzazione nazionale”. Il
quotidiano sottolinea che "c'è un dibattito in corso
tra gli scienziati per stabilire gli effetti della marijuana sulla salute, ma riteniamo che la dipendenza
sia un problema minore, in particolar modo se paragonato all’alcol e al tabacco”
Cade elicottero antincendio: due morti
Il New York Times: cannabis legale
L’ULTIMA TAPPA
Nibali, i francesi
si inchinano
al re del Tour
di Leonardo Coen
C
on la volata imperiale
del tedescone Marcel
Kittel, alle sette e quattordici di una tiepida
sera parigina, sugli Champs
Elysées illuminati a festa, si è
concluso ieri il Tour de France
numero 101, la corsa ciclistica
più importante del mondo che
Vincenzo Nibali da Messina
detto lo Squalo dello Stretto ha
vinto, dominandolo dall’inizio
alla fine, primo siciliano della
storia, settimo corridore italiano, dopo Ottavio Bottecchia
(1924-1925), Gino Bartali
(1938-1948), Fausto Coppi
(1949-1952), primo corridore a
far suoi nello stesso anno Giro
d’Italia e Tour de France.
NOMI E PERSONAGGI che ap-
partengono alla storia del ciclismo ma anche a quella d’Italia. E
ancora, vennero i successi di
Gastone Nencini, nell’anno tristissimo della morte di Coppi,
ucciso dalla malaria e dall’insipienza dei medici, il 2 gennaio
1960. Poi, nel 1965, fu la volta
del bergamasco Felice Gimondi,
23 anni, neo professionista, un
esordio stratosferico. Infine,
l’epopea di Marco Pantani, ul-
SEDICI ANNI
DOPO PANTANI,
LA FRANCIA
ADOTTA IL
CICLISTA CHE ORA
VUOLE VINCERE
IL MONDIALE
timo corridore a mettere insieme Giro e Tour nello stesso anno, il 1998, quello dello scandalo
Festina, dello sciopero dei corridori, del ritiro degli spagnoli,
dell’Epo che ha reso sulfureo il
ciclismo.
Sedici anni, separano le vittorie
del Pirata e di Nibali: la tragedia
di Pantani, la sua grandezza ma
anche le sue debolezze, i suoi
tormenti sono parte della memoria di uno sport che è sempre
stato qualcosa di più di un semplice sport, la vita a pedalate è
difficile, complessa e sovente ingrata come la vita di ogni giorno. Vincenzo Nibali ha corso
contro tante ombre, a cominciare da quelle del doping, evo-
cate anche durante questo Tour:
“Il mio ciclismo è pulito, diverso, è frutto di tantissima attesa,
di sacrifici, di fatica”. L’incontestabile vittoria di questo Tour
massacrato dai ritiri eccellenti
di Christopher Froome, il vincitore del Tour 2013, e di Alberto
Contador, costretti dalle cadute
al ritiro, ha convinto tutti. A rileggere la corsa, adesso che è terminata, posso dire che Nibali ha
vinto il Tour fin da subito, nel
fulmineo allungo a due chilometri dal traguardo di Sheffiel,
ed era appena la seconda tappa.
Maglia gialla e Froome, l’eroe di
casa, battuto e umiliato.
TRE GIORNI DOPO, il capola-
voro sul pavé, la tappa che finiva
nella foresta dell’Aremberg, in
una giornata da tregenda: secondo all’arrivo, ma con Contador a due minuti e 34”. Froome si era ritirato prima che iniziassero i tratti di pavé. Lì Vincenzo dimostrò la sua sicurezza,
la sua determinazione. La conferma venne sui Vosgi. Un furibondo Contador provò a staccarlo, Nibali gli stava a ruota,
talvolta a fianco, come a dirgli: è
inutile, non mi fai paura. Sosteneva, Nibali: “Il mio pensiero
non è entrare nella leggenda, ma
Lo sprint finale sugli Champs Élysées Epa
lavorare per vincere”. Eppure,
nel giorno dei cento anni di Bartali, volle assolutamente imporsi nella tappa di Chamrousse,
sulle Alpi; e dopo, sui Pirenei,
altro arrivo en solitaire, all’Hautacam; persino nella cronometro di sabato si impegna, nonostante abbia già in mano largamente il Tour. Quarto, battuto
da tre specialisti, però primo degli uomini di classifica: “Volevo
onorare la maglia che indosso”.
Voleva onorare il Tour, e i francesi alla fine, accantonati sospetti e diffidenze, l’hanno
adottato: è hors categorie, come
le salite epocali dell’Izoard e del
Tourmalet. Ora fa compagnia a
monumenti del ciclismo come
Jacques Anquetil, Gimondi, Eddy Merckx, Bernard Hinault e
Contador, gli unici con lui ad essersi imposti nella “tripla Corona”, ossia le tre grandi corse a
tappe: la Vuelta nel 2010, il Giro
nel 2013, il Tour quest’anno.
È, IN FONDO, un anti-perso-
naggio. Uno che misura parole e
gesti, che nella famiglia - la moglie Rachele, la piccola Emma di
cinque mesi, mamma Giovanna
e papà Salvatore - ha trovato
scudo e complicità. Gente semplice. A quindici anni ha lasciato Messina per la Toscana, ma il
suo cuore è rimasto sotto le Madonie. Vive nel Canton Ticino
per motivi fiscali, e questo è un
segno di certi tempi. Bartali, appena tornato dal trionfale Tour
del 1948 che placò le tensioni
dopo l’attentato a Togliatti,
chiese se poteva non pagare le
tasse: “Non si può”, gli rispose
De Gasperi. A Lugano e dintorni si ritrovano tutti i grandi del
ciclismo, divisi dalle maglie,
uniti dal borsellino. E tuttavia,
gli italiani lo stanno perdonando, perché dopo la meschina figura dei calciatori al Mondiale
in Brasile, ha riavvicinato lo
sport alla gente: il ciclismo è fatica per tutti, campioni e gregari. Renzi lo ha invitato a Palazzo
Chigi. Comincia l’assalto alla
carrozza del vincitore. Conoscendo Nibali, andrà in fuga.
1.031 VITTIME
Gaza, morte senza tregua
di Cosimo Caridi
da Gaza
C
on il tramonto di ieri sera è finito il
Ramadan, il mese sacro
dell’Islam. In tutte le comunità musulmane del mondo si è festeggiato l’inizio dell’Eid el Firt. Nella Striscia di Gaza
invece ancora morte. Anche l’esile tregua di 24 ore non ha retto. I razzi contro Israele sono stati sparati anche dopo le 14 mentre i carri armati israeliani
hanno lanciato una pesante offensiva
sul sud della città di Gaza. Se Hamas
dice di essere disponibile ad accettare
la proposta dell’Onu, Benyamin Netanyahu, primo ministro israeliano,
propone di aderire alla richiesta egiziana e ha informato di questa sua posizione il segretario di Stato Usa. Kerry. A Gaza però si muore. I soccorritori palestinesi hanno aggiornato le cifre sui morti: ieri sera il loro numero
era
arrivato
a
1.031.
“Mio figlio mi chiede se per la festa
smetteranno di sparare - Asharaf ha
trentacinque anni e una rabbia che
non riesce a contenere - cosa gli devo
rispondere? Che smetteranno solo
quando saremo tutti morti?”.
NEL GRANDE GARAGE “vista mare”,
dove ha trovato rifugio la famiglia Helles, ci sono tante bocche da sfamare.
“Siamo 250, gran parte bambini - spiega Akram, il fratello maggiore di Asharaf - veniamo da Jabalia. Le nostre case
sono state distrutte”. Gli Helles sono
scappati già da una settimana dopo che
l’esercito israeliano ha lanciato migliaia di volantini per le vie del quartiere dove abitavano. “Due giorni dopo
hanno bombardato la casa di mio zio continua Akram -, poi quella di suo figlio. Abbiamo cercato un posto dove
stare tutti assieme. È più facile, ci possiamo aiutare, ci sentiamo più sicuri”.
L’operazione militare israeliana ha
provocato già oltre 180 mila sfollati, il
70% di questi è ospitata nelle scuole
dell’Unrwa, un’agenzia delle Nazioni
Unite. In tanti però non si sentono sicuri nemmeno sotto le bandiere blu
dell’Onu. Pochi giorni fa la scuola di
Beit Hanoun, che ospitava 1400 sfollati
è stata attaccata, 17 persone sono morte, 11 erano bambini. Israele ha detto
che accanto alla scuola operava un
gruppo di miliziani di Hamas.
ANCHE IERI UNA STRUTTURA delle
Nazioni Unite è stata colpita. Attorno
alle 13 un colpo di artiglieria è stato
sparato verso l’interno del quartier generale dell’Unrwa a Gaza. Il complesso
si trova a diversi chilometri dalle zone
in cui sono in corso i combattimenti
tra esercito e miliziani, dovrebbe essere quindi un razzo, forse di un drone.
“Ho sentito una forte esplosione –
spiega Adnan Abu Hasna uno dei portavoce Onu a Gaza- e sono andato con
Il fumo
delle
bombe
sopra
Gaza.
La tregua
dichiarata
ha retto
meno
di un’ora
Lapresse
la sicurezza per controllare. È stato solo un colpo, ma molto potente non ho
idea né sulla motivazione, né sul tipo di
arma. Stiamo analizzando il buco lasciato dall’ordigno e i resti”. Intanto
Hamas e il governo israeliano sono impegnati in un tragico balletto per stabilire i termini di un cessate il fuoco
duraturo. Da tre giorni vengono sta-
bilite tregue umanitarie, violate prima
da una poi dal’altra parte. Il bilancio
dei morti si aggrava però di ora in ora:
oltre 1050 i gazawi uccisi, 320 dei quali,
secondo Israele, erano miliziani. Sono
invece 43 i soldati di Tel Aviv che hanno perso la vita, a cui vanno aggiunti
due civili israeliani e un bracciante
thailandese.
4
L’INVASIONE DEL FAST FOOD
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
A tavola meno
carne, crisi
dei macellai
di Silvano
B
SCENDE IL CONSUMO DI CARNE e chiudono le macellerie. Nel
2013 si è verificato un taglio del 7 per cento nelle macellazioni
bovine secondo un’analisi della Coldiretti. A farne le spese è stata
soprattutto la carne rossa: con la crisi, nel 2013, quasi un italiano su
tre (32 per cento) a pranzo ha consumato esclusivamente un piatto
di pasta che sazia di più e costa di meno mentre solo il 18 per cento
ha dichiarato di fare quotidianamente un pranzo completo con un
primo, un secondo, un contorno e un dolce o un frutto Da qui,
l’impatto sulle macellerie. Secondo l'Unisca-Confcommercio di Roma, infatti, in tre anni sono scomparse 260 macellerie, 50 delle
quali soltanto nell'ultimo anno. Per quelle rimaste aperte si calcolano cali di fatturato medi del 20%. Secondo gli operatori del
settore, che denunciano cali di fatturato ben superiori alla media,
ormai si consumano prevalentemente carni bianche e macinato.
Rubino
envenuti nel regno della trasversalità.
Accanto al manager in pausa pranzo
coi colleghi siede la famiglia di immigrati, a poca distanza dai ragazzi
che grazie al wifi compulsano smarphone e
tablet un gruppo di bambini scatenati festeggia un compleanno, lungo la corsia del
McDrive arrivano, per pranzo, furgoni di artigiani in giro per lavoro... Ne è passata d'acqua sotto i ponti da quando l'hamburger era
roba solo per ragazzotti con il Moncler e le
Timberland. Oggi il fast food non è più uno
status symbol, ma un'abitudine sempre più
diffusa, che sta incidendo sugli stili alimentari
degli italiani e mettendo a rischio la supremazia della vecchia cara bistecca.
I numeri di uno studio di Alix Partners sono
inequivocabili: nel quinquennio 2007-2011,
se i ristoranti tradizionali arrancano con un
calo del fatturato del 2%, quello dei ristoranti
di catena è cresciuto del 13%, con addirittura
un +30% per i fast food. Trend – spiegano da
Alix Partners - assolutamente confermati anche per il biennio 2012-2013.
Per averne conferma basta guardarsi attorno:
i nuovi fast food spuntano come funghi. L'ultimo di McDonald's, a Monterotondo, nell'immediato hinterland di Roma, ha numeri
da record: è il più grande ristorante della catena dotato di corsia drive d’Italia, con una
superficie di circa 800 metri quadrati su due
piani. E una cinquantina di persone impiegate. Il piano di espansione prevede, entro il
2015, un centinaio di nuove aperture (con
circa 3mila nuovi posti di lavoro), portando a
oltre 600 i Mac in Italia. Anche Burger King,
altro colosso multinazionale, ha deciso di investire in Italia: 30 nuovi ristoranti nel 2014,
secondo i dati forniti da Confimprese. Naturale che anche l'imprenditoria italiana non
voglia stare alla finestra. Crescono le insegne
indipendenti che propongono panini di qualità (vedi articolo a pag.....), ma fa numeri da
boom anche una catena made in Italy, nonostante nome e “ambientazione” da cow
boy: “Old Wild West” - oltre 100 ristoranti in
tutto il Paese, 160 milioni di fatturato nel 2013
- è un marchio dell'azienda udinese Cigierre,
specializzata nel cosiddetto “casual dining”.
Fast batte slow
Se aggiungiamo che anche Subway, catena
specializzata nei sandwich che negli Stati Uniti ha superato McDonald's per punti vendita,
è sbarcata in Italia e si prepara a espandersi, ce
n'è abbastanza per dichiarare che, in Italia, è
tutt'altro che vinta la battaglia iniziata nel
1986 da Slow Food, associazione nata proprio
“in reazione” all'apertura dello storico McDonald's di piazza di Spagna, per far argine a un
modello di alimentazione omologato, poco
sano e lontano dalle nostre tipicità: «Certo»,
ammette Gaetano Pascale, presidente di Slow
Food Italia, «i numeri lasciano pochi dubbi.
Tuttavia, ci sono anche altri numeri, più incoraggianti, come l'aumento del consumo di
prodotti biologici o dei nostri presidi slow
food. Il modello del fast food, oggi, è avvantaggiato – oltreché da un potenza di fuoco
mediatica non paragonabile alla nostra - da
una serie di aspetti culturali e normativi. Il
consumatore non viene messo nelle condizioni di fare una scelta davvero consapevole,
non siamo abituati, a fare scelte in cui l'origine
sul cibo sia uno degli elementi che mettiamo
in campo. E anche la normativa non aiuta:
l'etichettatura dovrebbe prevedere informazioni sulla reale provenienza, sul tipo di allevamento, su quanta acqua viene consumata
per realizzare un prodotto ecc».
«La crisi», aggiunge Pascale, «non ha aiutato,
ha spostato l'attenzione delle persone, che
Addio cara bistecca
divorata dall’hamburger
guardano più alla contingenza che a una “pianificazione” della propria alimentazione e
quindi della propria salute. Ma il rischio è che
poi si paghino altri costi, che sono costi sociali
legati ai disturbi da sovrappeso, da disfunzioni metaboliche, sempre più diffusi soprattutto nelle fasce di reddito più basse».
Eppure, se anche McDonald's negli anni ha
voluto scrollarsi di dosso l'etichetta di venditore di junk food e ha costruito politiche di
marketing basate proprio sulla qualità delle
materie prime, sulla tracciabilità, sull'inserimento di nuovi piatti come insalate, frutta,
yogurt, un po' è merito di Slowfood e di altri
soggetti che hanno diffuso una nuova cultura
del cibo, della tracciabilità, del mangiar sano:
«Offriamo prodotti i cui ingredienti sono in
larghissima parte italiani e garantiamo filiere
controllate e di qualità», spiega Emanuela Rovere, direttore marketing di McDonald's Italia. «Basta questo per capire come la nostra
identità sia cambiata: non più fast food ma
“good food fast”».
Ma a Pascale non basta: «Sono scimmiottature: non è un valore di per sé la carne italiana,
lo è se è davvero tracciabile».
Certo, a tutti piacerebbe mangiare sano, tipico e a chilometri zero, ma poi ci si scontra
con il bilancio familiare. Il conto finale di
un'osteria slowfood per una famiglia di quattro persone non è minimamente paragonabile
con quello di un fast food: non a caso il target
famiglie rappresenta il 29% della quota di
mercato di McDonald's, contro il 16 della ristorazione tradizionale. Non solo: per molte
famiglie persino la carne comprata dal macellaio è diventata un lusso. Secondo un'indagine di Coldiretti, nel 2013 è crollato il consumo di carne degli italiani con un taglio del 7
per cento nelle macellazioni. E allora si capisce come un panino con la polpetta ame-
ricana a poco più di un euro possa diventare
una valida alternativa. «Da Old Wild West»,
afferma Marco Di Giusto, amministratore delegato di Cigierre, «con uno scontrino medio
di 14 euro si può gustare un pasto completo.
Non è vero che il consumatore in tempi di
crisi cerca solo il basso costo, bensì un’offerta
di qualità al giusto prezzo». Concorda Rovere,
di Mac: «I consumatori scelgono ogni giorno
quello che più aggrada senza sposare scelte
ideologiche, secondo una logica inclusiva: oggi mi faccio un buon hamburger e domani
vado a cercare il formaggio di fossa, ad esempio».
Ma se anche il mondo “slow”, attento a ti-
COME NEL DOPOGUERRA:
LA CARNE COSTA TROPPO.
MACELLAI E RISTORANTI
SONO IN CRISI, MA I FAST
FOOD VOLANO (+30%).
DOPO MCDONALD’S
ARRIVANO BURGER KING E
SUBWAY. MA LO STOMACO
E LA CUCINA ITALIANA?
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
+ 30%
CRESCITA
DEI FAST FOOD
NEL 2007-2011
QUINQUENNIO tra il 2007 e il
2011, se i ristoranti tradizionali
arrancano con un calo del fatturato del 2%, quello dei ristoranti di catena è cresciuto del
13%, con addirittura un +30%
per i fast food
29%
LE FAMIGLIE
CHE SCELGONO
IL FAST FOOD
PIZZA IN CRISI Secondo le indagini di mercato, ormai il 29 per
cento delle famiglie italiane
quando escono per mangiare insieme scelgono il fast food. Contro il 16 per cento che sono rimaste fedeli a ristoranti e pizzerie.
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
38%
25-50ENNI
CLIENTI
DEI MCDONALD’S
5
FEDELI AI RISTORANTI Quasi
quattro adulti su dieci scelgono
il fast food. Ma la maggioranza
(48%) non abbandona i locali
tradizionali. Così come gli anziani: 22 per cento contro 11 per
cento.
L’ASSAGGIO
Burger King-McDonald’s
sfida all’ultimo panino
di Lorenza
I
Fumelli
l secondo punto vendita italiano della catena americana McDonald’s aprì a Roma a
Piazza di Spagna al posto
del ristorante Rugantino.
Era il 1986. Il successo fu
rapido e travolgente. Si dovrà aspettare ancora fino al
1999 per assistere all’insediamento del rivale n°1 della catena, anno in cui Burger King arrivò a Milano. Il
confronto tra i due colossi,
quello che stiamo qui per
fare, a dire il vero inizia
molti anni fa, soprattutto
grazie alla generazione dei
giovani InterRailer dei primi ‘90, che in giro per l’Europa si trovarono spesso di
fronte a un dilemma prandiale: Mc Donald o Burger
King?
Un Versus tra due ristoranti
deve essere costruito considerando diversi aspetti,
entrando nel dettaglio, degustando con attenzione, e
arrivando a stabilire un
vincitore.
sto di questo o quel panino.
Di insalate, gelati, crocchette di pollo fritte, sfizi
vari, e colazioni all'inglese,
con scrambled eggs & crispy
bacon.
A guardar le immagini, si è
capitati nel paese delle meraviglie: i buns (classici panini tondi) sembrano gonfi
e fragranti, l’insalata fresca,
appena strappata dall’orto,
e gli hamburger succulenti,
conditi con un formaggio
morbido come miele d’acacia. Ordino il menu con il
più famoso panino che la
storia dei fast food ricordi:
il Bic Mac. Si compone di
un bun classico, un’ulteriore fetta di pane a separare i
due hamburger di carne di
manzo, poi insalata, cipolla, cetriolini, formaggio e
salsa Big Mac. Viene servito
razioni (cosa un po’ inquietante a dire il vero): dolce e
salato insieme con l’acidità
del cetriolo a bilanciare, e
una buona dose di glutammato per ingannare il palato. Le patatine sono le
classiche a bastoncino, non
proprio calde né croccanti.
La Coca Cola: ça va sans dire. Il costo del menu è di
6.95 euro, 10 i minuti spesi
tra ordine e consumo.
Burger King
© © © © , meglio
il Whopper
Musica alta, ambientazione
pop-rock, graffianti fiamme nere disegnate alle pareti e rosso dominante: siamo da Burger King. La porta del bagno è aperta, i tavoli sono ancora pieni di
McDonald's
© © viva i colori
picità, prodotti locali e salubrità, cominciasse
a ragionare in termini di low cost e di facilità
di accesso per uscire dalla fase di contrapposizione ideologica con il fast food e mettersi
a fargli concorrenza sullo stesso campo? «Ci
stiamo lavorando», rivela Pascale. «Eataly, per
esempio, mette in evidenza alcune positività
della produzione italiana, ma non è ancora un
modello di spesa quotidiana: vorremmo costruire un modello con accessibilità di prezzo
e di vicinanza ai consumatori». Un sogno che
si potrà realizzare, avverte Pascale, solo se i
produttori italiani, finalmente, sapranno fare
sistema e costruire una valida alternativa allo
strapotere della polpetta.
Gli
hamburger
e la loro
produzione:
dalla griglia
al vassoio di
uno dei tanti
McDonald’s
del mondo
Ansa
La prima impressione che
si riceve varcando la soglia
di questo ristorante è di ordine e pulizia. È una caratteristica del franchising: mai
bagni furono più ambiti di
quelli dei McDo nelle stazioni e aeroporti di tutto il
mondo. Il restyling del
gruppo ha virato per una
linea sobria e meno orientata alla conquista dell’infante. Il colore dominante è
il verde, un verde scuro che
ben si abbina all’arancione
delle giacche dello staff:
non si vuole far corrispondere al prezzo stracciato del
cibo un ambiente sciatto. A
dominare il bancone, una
lunga fila di immagini luminose invitano all’acqui-
la catena. La carne da BK è
cotta alla griglia anziché alla piastra ed è il punto di
forza su cui da sempre ruota la comunicazione del
brand. Significa che nonostante il grasso sia comunque un ingrediente cardine
del panino, una parte di esso cola e brucia sulla fiamma sottostante la griglia. Il
contrario di quello che succede con la cottura alla piastra, utilizzata dal competitor. Terminata una breve
attesa, arriva il menu con
patatine e Coca Cola, servito nel solito vassoio di
plastica. Il cartone che contiene il Whopper è molto
simile a quello del Big Mac
ma la reazione, una volta
aperto, è completamente
diversa. Gli occhi si sgranano e la salivazione cresce
alla vista di un panino
enorme, condito generosamente con pomodori freschi a fette, anelli di cipolla,
cetriolo, insalata, maionese
e ketchup. È gustoso, appagante, ruffiano. Le patatine sono fragranti, fritte
con una certa sapienza. Il
costo è di 6,90 e l’esperienza porta via 20 minuti in
tutto.
Conclusioni
Vince il Whopper
Panini a confronto nelle hamburgherie italiane LaPresse
in uno scrigno di cartone
che all'apertura provoca
sempre un pizzico di delusione. Rispetto alle foto non che mi aspettassi il
contrario - il Big Mac è più
piccolo
e
scomposto
nell’assemblaggio. Il formaggio è più colloso che
morbido, l’insalata un ciuffetto spettinato, la salsa poca. In bocca però ha un che
di rassicurante. Il sapore è
lo stesso identico da gene-
molliche, alcuni cappellini
a forma di corona dorata
occupano tutte le superfici
e un capannello di persone
affamate sbuffa in attesa dei
panini. Di certo siamo distanti dal garbato mondo
McDo. Mi metto in fila e
osservo le immagini colorate, anche qui perfette, come da copione. Quando è il
mio turno, non ho nessun
dubbio: ordino un Double
Whopper Menu, icona del-
Al netto della triade malefica di sale, zucchero e grassi tipica del junk food, al
netto anche della chimica,
dello sfruttamento di allevamenti intensivi, della poca educazione alimentare
che scaturisce dal frequentare fast food, il mio palato
preferisce la qualità del
Whopper e premia necessariamente Burger King.
Menzione speciale invece
va al personale dei McDonald’s, uno staff dal quale
molti ristoranti tradizionali
potrebbero imparare qualcosa.
L’UOMO DEL BURGHY
Cremonini, un impero nato da dieci scrofe
di Giulia
Zaccariello
uesta storia inizia con una porcilaia e
Q
finisce con un impero miliardario. Nel
mezzo tonnellate di hamburger, i panini più
americani che esistano. Ma non ci sono cowboy, né praterie. Per sapere da dove arriva
la carne dei McDonald's bisogna infatti cavalcare lungo la via Emilia e arrivare fino a
Castelvetro di Modena. Qui, in questo comune di 11 mila abitanti, tra la collina e
l'Appennino, abita il re Mida della polpetta,
all'anagrafe Luigi Cremonini, fondatore di
uno dei gruppi alimentari più grandi d'Europa. È sua la carne con cui si imbottiscono i
Big Mac in Italia, per via di un accordo firmato 18 anni fa. All'epoca Cremonini è considerato il pioniere degli hamburger in Italia,
grazie alla sua Burghy, azienda passata in una
manciata di anni da 6 a 96 punti vendita. Nel
1996, però, decide di venderla alla McDonald's, interessata a entrare a gamba tesa nel
mercato italiano. In cambio il gruppo modenese riceve 200 miliardi di lire, e si assicura
la fornitura in esclusiva di carne ai fast food
aperti dal colosso americano in Italia. Una
mossa da maestri, considerando che la partnership, stipulata poi anche in Russia, in
Danimarca e in Grecia, contribuisce non poco a costruire la fortuna di Cremonini, che
diventa così il re della bistecca. Del resto di
fiuto imprenditoriale Cremonini ne ha sempre avuto. Self-made man emiliano, classe
1939, comincia la sua vita da macellaio a 19
anni, quando con 10 scrofe apre un allevamento di maiali. Presto però capisce che il
guadagno vero si nasconde nella carne della
vacca, di quella mucca arrivata a una certa
età e destinata al macello. Basta trasformarla
in hamburger e in ripieno per tortellini. E
l'affare è servito. Così nel 1963, insieme al
fratello Giuseppe, fonda l'Inalca, industria
per la macellazione. Da quel momento è un
investimento dopo l'altro. Oggi il gruppo ha
un fatturato da 3,5 miliardi di euro, ed è
attivo nella produzione, nella distribuzione e
nella ristorazione. È presente in Russia e in
diversi paesi dell'Africa. Nelle stazioni, sulle
autostrade e negli aeroporti con la Chef
Express. Suo è il marchio della carne in scatola Montana, e suoi sono i ristoranti Roadhouse Grill. Un impero vietato ai vegetariani, che in mezzo secolo è riuscito a resistere a più di una bufera. Quella arrivata
insieme al morbo della mucca pazza, per cominciare. Nel 2001, il primo caso italiano
viene rintracciato proprio in un macello Cremonini. Si polverizzano punti in borsa, ma il
gruppo riesce comunque a superare la tempesta. Anche quella giudiziaria: il processo
per frode in commercio finisce in prescrizione, dopo una condanna in primo grado,
l'assoluzione in appello e la successiva cancellazione dalla Cassazione. Nel 2004 va in
prescrizione anche il processo a carico di
Cremonini e di un suo collaboratore, per
falso in bilancio e riciclaggio di denaro proveniente da una presunta evasione fiscale.
Mentre negli anni successivi, altre due inchieste della Procura di Roma e di quella di
Rieti, sempre per frode, si chiudono con l'archiviazione.
6
INVASI DAI FAST FOOD
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
Nostalgia
di brufoli
e colesterolo
di Max Paiella
L’AVVENTO dei fast food lasciò due tracce
negli italiani: la comitiva e il colesterolo. Dopo
trent’anni, il 40enne di oggi, un po’ imbolsito,
frequenta sempre il "pasto veloce". Perché?
Gli inutili regalini che attirano il figlio per 50
secondi facendoci consumare un “fast” pasto
da seduto; sapori artificialmente intensi , capaci di rianimare “fast” una giornata stressante. E poi si evita un salasso al ristorante
che “fast” disintegrerebbe giorni di lavoro. Ieri
eravamo paninari oggi siamo precari, ma ci
incontriamo negli stessi luoghi variopinti, con
ERIC SCHLOSSER
L
a guerra contro il cibo-spazzatura si risolve
in una domanda: “Qual
è il costo reale di un menù da un dollaro al fast food?”.
Quella che si è fatto il giornalista americano Eric Schlosser
alla fine degli anni ‘90 e da cui è
nato Fast food nation, il suo libro-inchiesta pubblicato nel
2001 e mai così attuale nella dura risalita dalla china della crisi.
Due anni di indagini che gli sono serviti a sfondare un vaso di
pandora: dietro a hot dog, hamburger, patatine fritte, c’è
un’industria alimentare fuori
controllo, un mercato finanziario senza regole, una marea di
lavoratori sfruttati e la salute
compromessa degli avventori.
Qual è stato il punto di partenza?
A metà degli anni Novanta. Stavo facendo un’inchiesta sul business delle fragole in California
per l’Atlantic Monthly e mi sono
reso conto che nei campi lavoravano immigrati illegali e pagati una miseria.
Idem nella catena del fast food?
Esatto. I dipendenti sono teenager, soprattutto latino-americani. Le imprese sono riuscite
a imporre salari bassi (i peggiori
negli Stati Uniti) impedendo ai
lavoratori di avere rappresentanti sindacali e di farli avanzare di carriera. Un trucchetto:
quando uno sa fare poco, costa
poco e può essere licenziato in
qualsiasi momento. Non è un
caso che il settore sia da sempre
contrario agli aumenti delle buste paga.
Un circuito perverso che arriva
in tavola e nuoce alla salute.
L’industria del fast food non è
spuntata dal nulla. Si è diffusa
alla fine degli anni Sessanta,
quando ci fu il primo grosso taglio agli stipendi, del 40 per cento. Ovvio che gente povera ha
bisogno di cibo low cost. E così
fu. Il contesto è a loro favore.
Anche gli ingredienti usati sono quelli sovvenzionati dal governo. Frutta e verdura, invece,
non ricevono aiuti.
Quindi la produzione locale viene sbaragliata?
Certo. Dove si insedia un fast
food, i piccoli agricoltori escono dal giro. Le catene comprano solo dalle multinazionali, in
modo che il gusto sia lo stesso
ovunque.
Una settimana fa la polizia cinese ha sequestrato a Shanghai
una fabbrica della Husi Food
Company, colpevole di aver venduto carni avariate (con etichette contraffatte) alle grandi catene di ristorazione, tra queste
McDonald’s, Burger King e
Starbucks. Di solito, come vengono preparati hamburger e patatine?
I piatti fast food devono assomigliare a quelli che tu potresti
preparare sui fornelli di casa
tua. Ma ovviamente è solo
un’esca. Innanzitutto, gli ingredienti tendono a essere di pessima qualità. Poi crocchette di
pollo, hot dog, bistecche e pa-
meno brufoli e ormoni, magari con moglie e
figli (con brufoli e ormoni). Ma l’oggetto del
nostro desiderio è cambiato? Il padre di famiglia pensa: "3 euro primo e secondo, è pure
biologico, sto' a cavallo”! In realtà il cavallo se
lo sta mangiando e magari è pure avariato.
Che nostalgia gli hamburger anni ‘80!
Il giornalista Eric Schlosser,
autore del best seller “Fast
food nation” LaPresse
“Quanti misteri
per condire
quelle polpette”
di Chiara Daina
sia dei ristoranti che della lavorazione della carne, volevano
sfogarsi con me. Comunque,
per aggirare gli ostacoli mi sono
finto un addetto messicano anche se non sapevo una parola in
spagnolo. Tanto nessuno lì
dentro sapeva la lingua.
L’AUTORE DI FAST
FOOD NATION
”DUE ANNI DI
INCHIESTA PER
SCOPRIRE IL LATO
OSCURO
DELL’HAMBURGER:
INDUSTRIA FUORI
CONTROLLO E
FINANZA SENZA
REGOLE”
tate arrivano già congelate. Le
catene pensano solo a scongelare e insaporire con massicce
dosi di additivi chimici per soddisfare i palati e conservare il cibo più a lungo, ottimizzando gli
sprechi. Lo fareste voi, nella vostra cucina?
Quanto vale il giro di affari?
Solo negli Stati Uniti l’industria
del cibo spazzatura muove un
volume di 175 miliardi di dollari l’anno. Il margine di profitto varia in base alla catena. Il
McDonald’s comunque non ha
mai conosciuto crisi.
Michelle Obama, lo scorso febbraio, ha lanciato la campagna
anti-obesità “Let’s move”, chiedendo le etichette per i cibi
Ogm. Un primo passo in avanti?
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
La strategia marketing quanto è
pericolosa?
Sì, ma intanto la dieta a base di
fast food ha aumentato il rischio di diabete, cancro, patologie al cuore, asma. Il Centro
per il controllo delle malattie ha
stimato che un terzo dei bambini americani nati nel 2000 diventerà diabetico a causa
dell’alimentazione
povera,
grassa e della sedentarietà.
Costa di più mangiare meglio?
No. Lo sappiamo tutti come si
fa: vai al supermarket, compri
ingredienti genuini, e a casa cucini. La pigrizia, i doppi lavori
per campare, l’incompetenza
rendono le cose più semplici le
più difficili. Mangiare al Mcdrive alla società costa molto di
più. Il vero prezzo di un cheeseburger non è un dollaro. Van-
no aggiunte le spese per i farmaci e le strutture sanitarie
quando il consumatore si ammalerà di qualcosa.
Qualcosa che l’ha stupita in positivo dell’inchiesta?
In-N-Out Burger, una piccola
catena di fast food nell’ovest degli States, nata insieme a McDonald’s, che non compra carne
congelata (eccetto la crema per i
frullati di latte), paga e tratta bene i dipendenti.
Qualcuno ha provato a boicottare il suo lavoro?
Beh, McDonald’s non mi è stato
certo d’aiuto. Nessuna delle ditte più grandi che confezionano
la carne mi hanno fatto vedere
le loro strutture e macchinari.
Per fortuna molti dipendenti,
È subdola. Le società di fast
food puntano sull’amicizia, la
famiglia, il divertimento e mai
sui luoghi di provenienza degli
alimenti o sugli ingredienti usati. Nel mirino della pubblicità
sono soprattutto i bambini piccoli per abituarli fin da subito
alle cattive abitudini. Pensi che
McDonald’s è il più grande distributore di giocattoli al mondo e si ispira molto al marketing
di Walt Disney. Heinz Haber,
tra i più importanti consulenti
scientifici dell’azienda, è stato
coinvolto negli esperimenti clinici allestiti nel campi di concentramento nazisti. L’omologazione dei giochi e dei gusti è
uno dei cavalli di battagli dela
Disney...
Le reazioni dopo l’uscita del libro?
L’industria del fast food ha tentanto di impedirmi di presentare l’inchiesta nelle scuole dicendo cose folli, che ero un comunista, socialista, a favore
delle droghe per i bambini.
Nessuno ha creduto a queste
fandogne.
I fast food sono la nuova colonizzazione americana?
È solo un prodotto di esportazione di cui non mi vanto.
CARNE SCELTA
La polpetta tricolore cerca la rivincita
di Chiara Ingrosso
li anni Ottanta e i paninari sono lontani anni
G
luce. Oggi Milano, Roma e Torino tirano le
redini della moda dell’hamburger da gourmet, che
si consuma in ristoranti dall’arredo ricercato con
file di clienti in attesa. È la rivincita del panino
imbottito più famoso del mondo, che ora parla
italiano e lo fa anche molto bene, tanto da solleticare la creatività di chef e ristoratori che gli abbinano verdure,
salse e formaggi rigorosamente
biologici e home-made. Nel 2011,
quando la moda del burger faceva
capolino, Angelo Belli, titolare di
Urbana 47, ristorante nel cuore
dello storico rione Monti a Roma,
ebbe l’idea di un concorso per
l’hamburger più buono della Capitale. A cogliere la sfida furono in
quattro, tra cui Veronica Paolillo,
poi rivelatasi la vincitrice, che da
poco aveva aperto a qualche civico
di distanza la panineria di alta cu-
cina Tricolore. Se, però, pensate di mangiare un
burger di fassona piemontese tagliata al coltello,
con maionese preparata con uova bianche delle
felici galline delle campagne livornesi e il pane fatto in casa con lo strutto dall’ingrediente segreto
dovete abbandonare l’idea di spendere poco e
sborsare dai 15 euro in su. Belli ci ha spiegato il
perché. “Io non mi fiderei di un panino in cui prevale il sapore delle salse. La qualità della materia
Per
contrastare
l’invasione dei
fast food,
diverse catene
italiane hanno
puntato
sull’hamburger
di qualità. Ansa
prima è fondamentale, per questo acquisto la carne direttamente da allevatori del Lazio che posseggono circa 400 capi, tutti allo stato brado. Il
costo al chilo è almeno il doppio di quello della
carne comune”.
NEL BURGER D’ALTA CUCINA gli ingredienti sono
“etici”, dalle verdure a km0 al pesce del “mare nostrum”. Infatti, Tricolore realizza anche i fishburger, alcuni dal sapore romanesco, come quello con
arzilla e broccoli, altri più orientali, come quello
con pane al the verde giapponese e granchio imperiale. Insomma, anche il panino può essere un
cibo per gli dei, con buona pace del portafoglio.
Chissà perché, forse per la complicità della crisi o
anche semplicemente per l’originalità delle ricette,
ad apprezzare di più i burger all’italiana sono proprio i turisti americani. “Un ragazzo di New York,
–racconta Veronica– che era a Roma per tre mesi,
è rimasto stregato dai nostri sapori ed è venuto al
Tricolore quasi ogni giorno. In generale riceviamo
molti complimenti dai turisti stranieri, mentre gli
italiani hanno ancora qualche difficoltà nell’accettarne i prezzi”. Per questo, Veronica, che è una
giovane donna, chef ed imprenditrice, ci confessa
che il suo obiettivo è portare il burger tricolore
all’estero, “dove le tasse non ti tolgono il fiato e
l’impegno è più apprezzato”. Nel quartiere Prati,
invece, Quarto Burger è un’istituzione, tanto da
essere stata la prima hamburgeria romana ad essere annoverata nella guida Gambero Rosso. Il titolare, Davide Buccioni, ex pugile con vent’anni di
carriera sul ring, tra i 27 panini in menù, propone
anche il “Primo Carnera”, da 350 grammi, guarnito con la salsa della tradizionale pasta cacio e
pepe romana. Tutta salute. “Ospiti frequenti sono
la nazionale di rugby, quella di scherma, quella di
sollevamento pesi, pugili e atleti”, riferisce Buccioni, che ci spiega anche il motivo per il quale
riesce a proporre panini dai costi più contenuti.
“Dal trisavolo a mio padre siamo tutti macellai. Le
carni dei miei burger provengono dal mio allevamento personale di charolaise francese quì nel
Lazio. Se il produttore e il ristoratore coincidono,
puoi offrire qualità anche a 10 euro”. D’altronde,
conclude, “in questo momento difficile, le persone
devono potersi permettere ancora il piacere di andare a cena fuori senza privarsi della qualità”.
IL RACCONTO
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
Viviamo in catene,
giorno e notte, stipati
a forza uno dentro l’altro...
Conosco le abitudini, le
diete, i gusti. Posso dirlo
di tutti i clienti perché
vengono sempre agli stessi
orari, e negli anni ho
imparato a conoscerli”
Lascelta w Il processo di smantellamento
della coscienza di Elisabeth era cominciato.
Per la prima volta vide che le ragioni di fare del
male o fare del bene non erano piú le stesse per
le quali si faceva male o bene qualsiasi cosa.
Cosí la cura che il padre aveva avuto nel
fare quel nodo, cosí la costruzione del
bunker. Ormai Josef sfogliava la sua mente
come un libro dalle pagine sempre piú
labili. da “Elisabeth” (Einaudi 2011)
w
Parla un carrello della spesa
“So cosa comprate,
non avete segreti”
di Paolo Sortino
V
iviamo in catene, giorno e notte, stipati
a forza uno dentro l’altro in un binario
morto di cemento, tra un’aiuola di lauro ingiallito e una lastra di ferro che la
ruggine ha corroso, e sfondato, e dove non arriva
l’acredine a divorarla è il caldo torrido, ché il sole
l’attraversa e nessuno la usa più per affiggerci manifesti pubblicitari. Ma la libertà è vicina. Ho atteso paziente di risalire la fila e sono in testa, adesso è il mio turno. Già fantastico sull’avventore che
mi porterà via da questo marciapiede calpestato
dal tempo, inacidito dagli escrementi dei cani. Inserirà un euro in questa scatola che mi hanno
installato addosso e mi porterà nell’aria condizionata. Sarà una vertigine di vegetali freschi come
le prime ore del mattino, di tranci di pesce azzurro
nel ghiaccio gratinato, e banchi frigo, celle refrigeranti, piastrelle asettiche, porzioni di salute
confezionata, razionata, ordinata sopra scaffali colorati e sgranchirò le giunture, queste rotelle
sghembe. A cullarmi nel tragitto dei reparti sarà
forse la mano della signorina Lolli,
che intravedo nel parcheggio mentre
assicura l’auto e mi viene incontro,
ma non mi degna di uno sguardo:
opta per uno di quei carrellini di plastica tipo trolley, che ci fanno concorrenza perché sono meno capienti e
riempiendoli facilmente i clienti del
Discount hanno l’impressione di fare
chissà che compere. Eppure un tempo
siamo stati amici, io e la signorina,
tanto che di lei so tutto. Conosco le
abitudini, le diete, i gusti. Posso
dire lo stesso di tutti i clienti perché vengono sempre agli stessi
orari, e negli anni ho imparato a
conoscerli. C’è una famiglia, per fa-
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
re un esempio, che arriva sempre di
venerdì, mezz’ora prima che chiuda il
negozio perché lavorano molto entrambi e quello è il loro giorno di riposo, così spendono l’intera giornata
coi bambini andando al cinema o allo
zoo, e allora fare la spesa è il compito
di fine giornata, e anche così lasciano
che i marmocchi lo trasformino in
una gara di rally, spingendomi e tirandomi. Poi c’è il tipo che ho conosciuto il giorno che aprì i battenti il
banco della pescheria. Chiese al venditore alcune porzioni di filetto di
merluzzo per cucinare il baccalà secondo non so quale ricetta, ma al momento di ricevere l’incarto rimase deluso dal prezzo. Eppure è sempre stato un pesce povero, come mai ora
sembrava dovesse guadagnare come il
suo capo per poterlo acquistare? Così
restituì il pacco e si fece consigliare
qualcosa di più conveniente. Del resto
il pesce è buono tutto, pensò. Il venditore, abituato a ogni genere di richiesta, aveva l’aria di sapere come
rimediare, ma non so dire se per picca o per sincera convinzione gli mollò prontamente un bel
chiletto di tombarello, asserendo che la carne fosse
la stessa del tonno appena pescato e lo si potesse
cucinare con uguale cottura. L’uomo tornò la settimana successiva e lamentò l’ingiustizia subita:
pare che il suddetto pesce odorasse e sapesse di
cadavere, e che quelle fossero qualità sue proprie
naturali – cosa che fece infuriare l’uomo ancora di
più che non se fosse stata responsabilità del supermercato farlo puzzare tanto, perché in questo
modo averglielo venduto suonava come una truffa
bella e buona. Fu l’unica volta in cui la timidezza
Chi è
LA STORIA DI ELISABETH
Paolo Sortino è nato a Roma nel
1982. Esordisce nel 2011 per i tipi di
Einaudi col romanzo Elisabeth, incentrato sul noto fatto di cronaca
che ha visto protagonisti Josef ed
Elisabeth Fritzl (padre e figlia austriaci protagonisti dello sconvolgente episodio di sequestro e incesto). Per lo stesso editore lavora in
qualità di traduttore. Al momento
sta scrivendo il secondo romanzo,
collabora con la scuola Holden e gestisce un allevamento di Parson
Russell Terrier.
benzina e ha più soldi da spendere per il
cibo. Un paio di settimane fa ho temuto di non
reggere, osservandola: teneva sollevate le buste di
plastica sopra il piatto della bilancia self-service
del reparto frutta e verdura, così che oltre alle
zucchine e alle melanzane pesasse meno anche lo
scontrino adesivo. Si guardava intorno con circospezione. Avrei giurato che sudasse, ma poi ho
capito che non ne aveva motivo per via dell’esperta
furtività con cui cambiava un prodotto con l’altro.
A biasimarla non riesco, e anche avessi dovuto
allarmare i miei proprietari non avrei potuto, e
non perché sono fatto di ferro, io, quanto che
per provare pietà, a quanto pare osservando
gli esseri umani, più che avere un cuore è
preferibile non averlo affatto.
E poi oggi è giovedì, festa grande, perché sta per
arrivare la coppia che adoro. Sono anziani, marito
e moglie. Vestono abiti puliti e stirati, da veri poveri. Nonostante la città sia un forno, d’estate, lui
si ostina a indossare un completo con tanto di gilet
di lana, e scelgono me, sebbene acquistino poche
cose; che io resti vuoto non è motivo di tristezza,
per loro: sono miseri ma
non miserabili. Credo lei
CARRELLO DELLE
mi utilizzi come deambuMIE BRAME Siamo
latore. Quando si china su
quello che mangiamo, anche
di me, raccolta in
in tempi di crisi
quell’abituccio, avverto
l’odore di naftalina e mi
ricorda l’odore dell’imballaggio in cui sono nato,
il giorno in cui fui assemblato. E così sono le loro
mani incerte a liberarmi.
Entriamo e comincia il giro: estraggono prodotti
dagli scaffali, se li rigirano
tra le mani e li riposano
perché troppo cari, o perché hanno un’etichetta
incomprensibile sotto le
cataratte liquide. Mi affidano poche cose: due pere, due patate, e più in là
due vasetti di yogurt, due
etti di prosciutto e mezzo
chilo di pane. Mi toccano
con tale garbo che mi illudo di essere loro nipote.
Poi accade, in un istante:
l’uomo dietro il bancone
della carne ha già pronto,
messo da parte, un sacchetto di ossi di bovino.
Quando ci vede tende il
braccio con un sorriso. Lo
scontrino che tiene insieme il sacchetto è bianco
silenzioso. È un omaggio.
Poi l’uomo vuole sapere
di che razza sia il destinatario degli ossi. Lo domanda tutte le settimane
e tutte le settimane mio
nonno dà una risposta didell’avventore svanì per qualche istante giacché versa. L’uomo che tenta di fare il simpatico però
poco dopo non riuscì a spiccicare due parole di non se ne avvede e si salutano.
fronte a Maria, l’addetta alla cassa 4. Ormai sono «Stasera facciamo un bel brodo» dice la nonna. Il
mesi che la guarda con occhi disordinati e mesi vero pasto però sono loro: senza coltello e
che serve regolarmente tombarello ad amici e pa- forchetta li divora questa nazione che in
renti.
poco tempo si è abituata a ragionare come
Allo stesso modo potrei dire, con una trascurabile chi è troppo ricco da non sapere non verapprossimazione temporale, chi tra poco entrerà gognarsi di essere povero. La povertà che
con l’auto nel parcheggio o attraverserà il ponte per millenni ha protetto cittadelle, interi
pedonale della superstrada. Come fa Anna, ca- paesaggi, opere del gusto e dell’ingegno sta
salinga e madre di tre bimbi, che viene fin
qui a piedi attraversando un quartiere non
proprio raccomandabile ma risparmia sulla
tutta in una lattina da quaranta centesimi.
7
VOX POPULI
Soltanto
il relitto
oggi si
solleva
di Alessandro Ferrucci
SALENTO, ore 17 di un
pomeriggio di finto luglio,
spiaggia del Tropical, tra
una nuvola, qualche minaccia di nuvola, esce il
sole, tutti in acqua. C’è chi
guarda l’orizzonte e a chi
sta sotto l'ombrellone domandiamo:
Concordia
metafora dell’Italia?
Patrizio, 56 anni, primario: “Non è che conosce
qualcuno che ha un maschio di razza Westie? Ho
Milu in attesa...”
Rocco, 58 anni, primario
detto Chiarugi: “Ma
quando giochiamo a pallone?”
Edoardo, 14 anni, studente: “Per risollevare il centrodestra Berlusconi dovrebbe dare il partito a Fitto”. Non scherza.
Simone, 37 anni, in incognito: “Ma se tutto è avvenuto grazie agli olandesi!”
Francesca, 40 anni, bancaria: “Ma questa è la domanda? E che devo dire?”
Diego, 25 anni, barman:
“Perché, che è successo?
Quando lavoro sono fuori
dal mondo...”
Sara, 37 anni, escort: “Direi di si, almeno si risolleva qualcosa”. Sorride e fa
l'occhiolino.
Giulio, 43 anni, dentista:
“Aspetta, aspetta, ma hai
visto quella!”
Gabriele, 38 anni, disoccupato: “Ma che risollevi,
ho mal di pancia da questa mattina”.
Salvatore, 27 anni, panettiere: “In questo periodo
mi interessa solo il calciomercato”.
Nicola, 67 anni, emigrante svizzero: “Che figura di
merda”. Attento! E gli arriva una pallonata.
Marco, 19 anni, maturato:
“Però le immagini sono
belle”.
Gaia, 23 anni, sospettosa:
“Sono qui con il mio fidanzato. Ora sta facendo il
bagno, ma tra poco arriva”.
Antonietta, 57 anni, psicologa: “Siamo un paese
in stato di eterna apparenza”.
Flora, 21 anno, ligia: “Qui
facciamo un ottimo gelato”.
Franco, 59 anni, libraio:
“Questa vicenda mi dà la
nausea”.
Margherita, 20 anni, pluribocciata: “Mi stai prendendo per il culo”.
Luigi, 45 anni, militare:
“Mi hanno chiamato oggi
per l'operazione mare nostrum“.
Twitter: @A_Ferrucci
8
SOCIAL STREETS
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
Due milioni
litigano
in tribunale
I VICINI CHE LITIGANO C’è la riscoperta del buon vicinato ma c’è
anche chi il vicino non lo sopporta e ci litiga. Arrivando, spesso, in
tribunale. L’associazione degli amministratori di immobili (Anammi) ha realizzato una classifica delle liti condominiali in base alla
sua attività interna e alle segnalazioni degli associati (circa 13 mila
in tutta Italia): dall’odore di cucina all’automobile posteggiata nel
punto sbagliato, dal bambino che gioca in cortile al cane che ab-
baia. Ma ecco il risultato della classifica.
Al primo posto ci sono le cosiddette “immissioni”, ovvero i rumori
e odori provenienti da altri appartamenti. Il ticchettio di scarpe
femminili a tutte le ore, l’odore di cipolla, lo spostamento di mobili
a tarda ora. Anche la cucina etnica ha conquistato il suo posto al
centro di dispute di condominio.
Segue poi “l’apposizione in aree comuni”, cioè la collocazione nel
SUCCEDE IN CITTÀ
Torna la voglia
dei vicini di casa:
“Qualcuno a cui
chiedere il sale”
di Chiara
Daina
O
re 11 di un sabato mattina a Milano.
Il ritrovo è al bar all’angolo tra via
Maiocchi e via Stoppani per fare colazione. Così da sette mesi. Sono in
venti, non fanno in tempo a sedersi, due baci
sulle guance e le parole sono già spedite sui
progetti. Elena è lì con il fidanzato Riccardo. Si
sono trasferiti dalla provincia di Potenza per
lavoro e sono i primi ad aver stretto amicizia
con Lucia, di Varese, che si occupa di teatro.
Caterina, stilista, ha l’accento fiorentino. Simona è nata a Pantelleria e organizza eventi. La sua
omonima, romana, fa la guida turistica. Anna
la mamma, Erica la grafica, e Luca l’ingegnere
informatico, che ha portato i suoi due bambini,
di sette e nove anni, ed è l’unico milanese della
combriccola. Fino a Natale a malapena avevano
incrociato i loro sguardi, non sapevano di abitare nella stessa via o di condividere il pianerottolo del palazzo. Sono trentenni e quarantenni che oggi fanno parte della Social street
di via Maiocchi e dintorni, la seconda più grande d’Italia dopo quella di via Fondazza a Bologna. “A metà dicembre ho distribuito volontani per promuovere il gruppo dei residenti del
quartiere su Facebook. Nel giro di qualche giorno c’erano 200 adesioni, oggi siamo in 800, a
volte ci conosciamo solo per nickname ma è già
un passo avanti ” spiega Lucia Moroni. In via
Maiocchi, 700 metri, dietro a Corso Venezia, in
realtà non manca niente, dall’asilo alla scuola
elementare, il parco, il supermercato, la palestra, la sartoria, la galleria d’arte. “Ma manca
tutto – osserva – se hai paura di chiedere il sale
al tuo vicino o un aiuto al bottegaio di fianco”.
La piccola comunità cresce.
La piccola comunità cresce
Oltre alle colazioni collettive e agli aperitivi settimanali, c’è il gruppo running del martedì, dalle
otto alle nove, prima del lavoro, seguito da
spuntino a casa di qualcuno. Quello di acquisto
solidale di miele, olio e caffè; quello di cinema,
di lettura, di ricamo e delle gite nei musei della
città. Presto partirà un servizio di dog-sitting.
Mentre sono già attivi una banca del tempo per
scambiarsi gratuitamente le competenze e il
bookcrossing, cioè il baratto dei libri: “Un bar
vicino ha messo a disposizione uno spazio per il
deposito” racconta Elena, dispiaciuta di non
aver partecipato al debutto del social swap party,
il baratto dei vestiti usati, allestito per due giorni nella sede vicina di un’associazione. “Un successone, la stanza sembrava un negozio e ognuno ha postato su Facebook la foto dell’abito che
avrebbe regalato e una di quello che si è portato
a casa”. Sono ormai un rito a grande richiesta le
“case aperte” una volta al mese. “Dieci di noi
aprono la porta a gente sconosciuta della zona”
lei è ancora incredula. La prima volta, il 9 febbraio, nel monolocale di Lucia, 23 metri quadrati, erano in 10 a cucinare crêpe. La casa di tre
studenti universitari si era trasformata in un
laboratorio di shooting fotografico. Da Raffaella
si sfornavano crostate, in un altro appartamento c’era un workshop di pittura per bambini
curato da una pittrice di Brera mentre la storica
dell’arte si era inventata un gioco di società per
far conoscere i monumenti della zona. E un
IL FENOMENO DELLE
“SOCIAL STREETS”
SI DIFFONDE IN TUTTA
ITALIA. DI FRONTE ALLE
DIFFICOLTÀ DELLA CRISI,
SI RIFORMANO LE
PICCOLE COMUNITÀ
DI QUARTIERE CON
LA CREAZIONE DI BANCHE
DEL TEMPO, ASSISTENZA
AGLI ANZIANI
E UNA NUOVA RETE
DI SOLIDARIETÀ
BUON
VICINATO
Illustrazione
di Marilena nardi
ragazzino aveva invitato i coetanei sul divano a
sfidarsi alla play station. Le case ruotano, le
attività cambiano, la gente resta. Il social network è usato per comunicazioni di servizio e
richieste di vario tipo: “Conoscete un idraulico
economico e bravo?” “Avete una bicicletta pieghevole che non usate più?” “Ho due biglietti
per balletto alla Scala, qualcuno viene?”. Hanno
messo in piedi anche il sito web Viamaiocchi.it
che raccoglie le cronache della piccola comunità. Al bar “Stoppani”, quello all’angolo, c’è
una bacheca di legno per proporre idee e segnalare eventi. Qui si fa anche la raccolta di
alimenti che alcuni di loro ogni sera distribuiscono ai senza tetto della via fino alla Stazione
Centrale. “Non vogliamo diventare un’associazione: troppi vincoli e la spontaneità si spegne”
chiude Elena.
Un fenomeno nazionale
Le social street nel nostro Paese sono 165 e quelle in cantiere aumentano a macchia d’olio. Da
Trento a Palermo (dove i residenti hanno raccolto quasi due mila firme per chiedere al sindaco Orlando di multare chi abbandona i rifiuti
nelle strade). L’ultima a Torre del Greco, in
provincia di Napoli. L’elenco è sul portale Socialstreet.it. L’idea è venuta a Federico Bastiani,
36 anni, originario di Altopascio, un paesello di
sette mila abitanti nella provincia di Lucca, catapultato a Bologna per lavoro (fa l’addetto
stampa di Loretta Napoleoni): “Dopo tre anni –
spiega - non conoscevo ancora i vicini, mi sentivo un estraneo nella mia via”. Una di quelle
con i portici caratteristici, di 450 metri, 91 nu-
meri civici e due mila abitanti. Così a settembre
Federico inaugura un gruppo su Facebook che
in tre settimane conta cento persone e oggi ne
sfiora 900. Il virtuale è diventato reale: “Quando esco dal portone saluto tutti. Ho scoperto
che a 30 metri abitava un’altra famiglia con un
figlio, che ora gioca con il mio”. Si fa fatica a
stare dietro a tutte le iniziative: “Il gruppo –
riassume Federico - si alimenta da solo, le persone lanciano idee e chi è interessato si organizza”. Aperitivi, colazioni, cene sociali, feste
di compleanno, baratto, babysitting, carsharing,
picnic, trekking fuori porta. “Ogni martedì dalle 5 alle 6 mamme e bambini si ritrovano
all’oratorio. E nel tempo libero puliamo i portici da graffiti e sporcizia visto che il Comune
non lo fa”. Mano tesa dagli esercenti del quartiere: una volta alla settimana il cinema sconta il
biglietto a cinque euro; prezzi ridotti in pizzeria
e al bistrò francese. A Bologna e provincia di
strade social ne esistono più di 50: “Stiamo costruendo una rete per esportare il modello in
altre aree della città e dialogare con il Comune”.
Ma non è un miracolo solo del nord. Manuela
Baglivo, 35 anni, due anni fa torna da dove è
venuta, cioè Tricase, nel Salento: “Ho speso 13
anni fuori tra studio e lavoro. A Bologna facevo
l’insegnante precaria, lavoravo un giorno, un
mese o un anno, poi da capo in attesa. Non ne
valeva la pena, quindi sono tornata a casa dei
miei genitori: ma che avrei fatto? Non conoscevo più nessuno, non avevo stimoli. Un giorno ho letto un articolo sulla social street di Via
Fondazza e ho pensato subito di copiarla”.
L’esperimento di Tricase riguarda il centro sto-
rico e 150 persone, molti over 50 e under 25.
“Gli altri sono partiti. Della mia età saremo una
decina". Ma è tutto in fermento. "Da quando si
è sparsa la voce della social street, molti coetanei
sparsi al Nord stanno pensando di mollare tutto e ritornare qui". Manuela non si stupisce: "La
social street è la soluzione che tutti vorrebbero
ma a nessuno viene in mente”.
Social salentino
Poi c'è la disoccupazione, e il tempo bisogna
inventarselo da capo, guai a soffocarlo nella
vergogna. Come funziona lì? Il Comune presta
una sala per la riunione mensile, tutti i pomeriggi le case sono aperte per caffè e quattro
bagole. C'è chi cucina sempre in abbondanza e
su Facebook invita gli altri a cena. Nei fine
settimana si organizzano tour guidati per la
città e mercatini dell’usato (ma chi vuole vende), ogni 15 giorni si puliscono le strade del
centro, e si aiutano gli anziani a pagare le bollette, fare la spesa, andare dal medico. “Prima
però devi fargli capire che non li vuoi fregare Manuela se n'è accorta subito -. Ci sediamo a
parlare con loro, hanno paura dei furti, con la
crisi sono diventati diffidenti. Tornare a fidarsi
dei vicini di casa non è impossibile, soprattutto
perché non ci sono di mezzo soldi e politici”. A
ottobre faranno insieme la raccolta delle olive
per conto terzi in cambio di bottiglie di olio. In
ballo c’è anche la ristrutturazione di alcuni edifici storici.
Dove non c’è lo Stato, insomma, ci pensano le
persone. E la formula finora sembra funzionare.
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
condominio di oggetti e mezzi di un singolo condomino. La fioriera
attaccata al muro, l’automobile parcheggiata in uno spazio non
autorizzato e così via.
Al terzo posto troviamo i “rumori in cortile”, in particolare il gioco
dei bambini seguiti da “l’innaffiatura di piante” sul balcone. Non
manca, al quinto posto, “il problema degli animali domestici”, in
particolare la loro presenza in ascensore o nel giardino condo-
miniale. Più giù ci sono invece le liti che attengono all’esterno del
condominio: il bucato gocciolante, i mozziconi gettati dalla finestra, lo sbattimento di tovaglie.
La casistica descritta non è di poca importanza perché oltre il 50%
delle procedure civili, nelle aule di giustizia, riguarda il condominio. In media, ogni anno circa 2 milioni di italiani fanno causa
per questioni condominiali, il più delle volte vedendosi respingere
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
9
il ricorso di fronte al giudice di pace. Per Giuseppe Bica, Presidente
dell’Anammi, arrivare alla citazione non conviene, non soltanto
per motivi finanziari e di tempo, ma soprattutto perché il comportamento illecito, nel frattempo, si perpetua”. Bica, ovviamente,
sponsorizza il ruolo degli amministratori, la categoria che rappresenta, come struttura che “deve saper mediare tra gli interessi,
evitando lo scontro duro, quello che porta alla denuncia”.
IL SOCIOLOGO
La risposta
alla crisi
del welfare
IL REGNO DELLE SECONDE CASE
Quei paesi
dove l’uomo
è più raro
di un panda
l fenomeno della “strada sociale” non è solo il ritorno del
I
buon vicinato ai tempi di Facebook. Quindi di regole,
sorrisi e saluti perduti tra estranei dello stesso pianerottolo
dotati di connessione internet. Significa ridisegnare la psico-geografia del quartiere, da alienante a solidale. Giampaolo Nuvolati, professore di Sociologia urbana all’Università Bicocca di Milano, lo traduce con “il piacere di insistere in una zona senza avere fretta di lasciarla”.
Professore, perchè ha successo questa formula?
Perché dalla dimensione virtuale si passa subito al contatto
reale. C’è una ricaduta immediata sul territorio, si ripersonalizzano i luoghi, gli “amici” del gruppo Facebook non
sono virtuali, anzi li incontri quasi tutti i giorni. E poi non
prevede spese, è una specie di
banca del tempo.
È una risposta alla crisi?
Non solo quella economica, anche del nucleo familiare. Non si
può più contare sul welfare dello
Stato (assistenzialismo, luoghi
di aggregazione, asili nido), ma
neppure sul sostegno di genitori,
che spesso vivono lontani. Le
donne una volta erano casalinghe, adesso lavorano tutto il
giorno. Ed è saltata la distribuzione dei compiti. La social street è a metà tra il comune e la
famiglia.
Qual è il peccato delle città postindustriali?
Commercializzazione dei luoghi, vie “vetrina”. Il marciapiede va calpestato, le strade vissute. Il quartiere deve essere lo spettacolo della vita. È passata l’idea che l'importante è che sia pulita casa tua, la città può restare sporca.
Chi aderisce alla social street fa petizioni contro i parcheggi
abusivi, pulisce i giardini pubblici e i muri.
È troppo definirle un miracolo?
Sì, è eccessivo. Sono un successo inaspettato. Il mondo
comunque va già in questa direzione. Si pensi al baratto e al
fai da te. Oggi abbiamo biografie attive, ci viene chiesta più
responsabilità nella gestione dell’ordinario. Erano passive
nei momenti delle grandi ideologie (quando il figlio dell'operario faceva l'operaio). La strada sociale è una manna
dal cielo per le amministrazioni locali in spending review. Se
gli abitanti si occupano del decoro urbano e tornare a comprare nelle botteghe sotto casa, di sicuro non sollevano
polemiche.
Qual è il target del gruppo?
C’è un’autoselezione spontanea: chi partecipa ha tra i 30 e
50 anni, un livello culturale medio-alto, è curioso, intraprendente. Quindi si mettono insieme persone con tratti
simili. La social street per ora non è roba da quartieri popolari, il ceto è relativamente benestante. Se ho disagi difficilmente mi apro agli altri.
A volte
cammino
di sera per la mia
strada e mi viene
il panico, non c’è
una finestra
accesa. Ci sono
mesi che vivo da
sola, che passo
giornate intere
senza scambiare
una parola. Devo
accendere
la televisione per
sentire una voce”
Sarà solo una moda passeggera?
La formula avrà successo se dura, non solo perché è nata. Il
rischio da evitare è il turn over dei residenti: devono vivere
per lungo tempo lì, sennò saranno meno disponibili. E se il
mercato immobiliare alza i prezzi ancora, verranno esclusi
i più poveri, che al contrario hanno più bisogno dei vicini.
Chi.Dai.
VICINI
IN PIAZZA
Le serate in strada nel
quartiere Fornace a
Roma e in via Duse a
Bologna
P
iù rari dei panda. Ci
sono paesi, centinaia,
in Italia, dove trovare
un vicino di casa è
un’impresa quasi impossibile.
Allora ti rendi conto di quanto
siano importanti. Magari non
stai bene e hai bisogno di aiuto
e ti ritrovi solo come un cane.
Ma a volte ti basterebbe molto
meno. Una parola. Un cavolo
di saluto. Anche soltanto i rumori che vengono dal piano di
sopra.
Niente.
Succede in quei luoghi di mare
e di montagna che una volta
erano paesi, oggi sono soprattutto case. Tante case. Vuote.
Come un grande corpo abbandonato.
PROVATE A VIVERE nei paesi
della Riviera ligure, per dirne
una, cresciuti secondo gli appetiti immobiliari dei costruttori. Ad agosto c’è più traffico
che a Milano nelle ore di punta. Ma se ci andate a novembre
sembra un altro mondo.
“Abito a Piani d’Ivrea”, racconta Clelia, una pensionata
milanese, “eravamo venuti qui
con mio marito vent’anni fa.
Eravamo ancora abbastanza
giovani, ci piaceva la natura, la
tranquillità”. Poi Clelia è rimasta vedova. E ha scoperto l’importanza dei vicini di casa:
“Vede”, dice indicando il proprio condominio, in questi
giorni d’estate pieno di colori,
di voci, di costumi stesi ad
asciugare dopo il bagno, “Vede, d’inverno qui è il deserto.
Quest’anno a febbraio non mi
sono sentita bene. Mi girava la
testa, ma non volevo chiamare
l’ambulanza. Allora ho pensato di chiedere aiuto a un vicino”. Ed ecco il problema:
semplicemente non c’era nessuno. Ma proprio il deserto:
“Ho suonato a tutti i campanelli del mio palazzo, ma niente. Ho provato nel resto del
comprensorio. Zero. Volevo
mettermi a urlare, ma non sarebbe servito a niente”. Alla fine è tornata a casa, ha aspettato. Per fortuna è andata bene. “Meglio non chiedersi se
venissero i ladri”, sospira.
Già, molti centri della Riviera
sono paesi part-time. La media
è di quaranta seconde case su
cento. Ma in alcune zone si arriva anche al settanta per cento. Perfino di più.
E c’è addirittura chi sta peggio:
gli abitanti dei paesi di montagna.
Prendete il Piemonte che, secondo Legambiente, ha il poco
invidiabile primato italiano
delle seconde case di montagna: 82,39 per cento. Seguono
Valle d’Aosta (69,99 per cento), Lombardia (68,4), Veneto
(65,05), Trentino (60,48),
Friuli (54,85).
Ecco, provate un giorno di novembre o di maggio, le stagioni morte, a camminare per le
strade di una località sciistica
nota come Bardonecchia: una
volta tutto ruotava intorno al
centro storico, oggi il corpo
del paese si è dilatato a dismisura. Un corpo, però, per molti
mesi dell’anno vuoto. Morto.
“A volte cammino di sera per
la mia strada e mi viene il panico, non c’è una finestra accesa”, si sfoga la signora Maria,
74 anni. Uno dei pochissimi
abitanti dei condomini che si
affacciano su viale Roma. Racconta: “Ero venuta ad abitare
qui negli anni Ottanta. Erano
palazzi nuovi, ho pensato che
fossero più comodi della mia
vecchia casa di pietra. Adesso
vorrei scappare. Ci sono mesi
che vivo da sola, che passo
giornate intere senza scambiare una parola. Devo accendere
la televisione per sentire una
voce”.
NON È CHE PRETENDA mol-
to: “Vorrei chiacchierare, giocare a carte. Andrei nei bar, ma
lì ci vanno soltanto gli uomini.
Le mie amiche di un tempo
abitano a chilometri di distanza. E poi non è di andare a cena
fuori che ho bisogno: mi mancano gli incontri, magari casuali, di poche parole. Mi
manca la presenza di qualcuno. Non so cosa darei per avere dei vicini”.
Vale soprattutto per gli anziani. I giovani, il problema lo risolvono in un altro modo: se
ne vanno. Franco e Luisa, che
stavano a pochi passi da Maria
hanno deciso di trasferirsi a
valle. Vicino a Susa. “A me la
solitudine piace, ma allora devi vivere in una casa isolata. A
Bardonecchia invece mi ritrovavo in un condominio come
in città, ma senza i vantaggi
della compagnia, del vivere insieme”, dice Franco. Poi ci
pensa un attimo e aggiunge:
“Lo so, ci lamentiamo spesso
dei vicini. Litighiamo. Ma ti
capitano anche degli incontri
fortunati” . Luisa che gli sta
accanto aggiunge: “So anche
che vivere uno accanto all’altro ha degli inconvenienti: i
rumori, la mancanza di privacy. Ma quando la vita ti mette
davanti delle prove, dei momenti difficili, ti aiuta sentire
la presenza degli altri. E poi
non me la sentivo di far vivere
i miei figli senza amici: c’erano
dei giorni che passavano le ore
a giocare a calcio da soli.
Boom, boom, boom, un giorno guardavo mio figlio Marco
che continuava a tirare la palla
contro un muro. E non ce l’ho
più fatta. Alla sera ho preso
mio marito e gli ho detto: andiamo via. Voglio dei vicini.
Voglio un po’ di vita”.
F.Sa.
10
QUEI MITI CON LE RUGHE
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
Nora Ephron,
il vero genio
dei dialoghi
di Francesco
PROTAGONISTA NASCOSTA Il punto non è che Meg
Ryan e Billy Crystal sono invecchiati. E con qualche lifting di
troppo. Il seguito di “Harry ti presento Sally” (When harry
met Sally, il titolo in inglese) sarebbe difficilmente pensabile perché non c’è più Nora Ephron (nella foto accanto),
la geniale sceneggiatrice nata nel 1941 e morta due anni fa
di leucemia. È stata Ephron che ha inventato i dialoghi del
Chiamulera
Q
da New York
uei marciapiedi di Manhattan lastricati di foglie rosse e gialle, la macchinetta scalcinata
fine anni Settanta che accosta e fa scendere un
ragazzo, mentre lei, capelli a boccoli dorati e
mascara, ingrana allegramente la marcia: “Non lo rivedrò più”. Oppure quell’altra scena, l’incontro veloce in
aeroporto, fingendo di non riconoscersi, e salutandosi di
nuovo come fosse l’ultima volta. O ancora, la corsa di lui
nella notte di capodanno newyorkese, mentre tutto sembra finito, anzi, mai cominciato. Quante volte finisce e
riprende da capo Harry ti presento Sally, il film di culto
assoluto della generazione degli anni Ottanta, forse il
capostipite e antesignano della commedia sentimentale
di oggi? Quante volte ci sembra che quell’amore indiscutibile, ovviamente destinato a coronarsi, invece stia
per scartare, per lasciarci a bocca asciutta? E invece sono
venticinque anni che rivediamo l’happy ending della
pellicola di Rob Reiner (scritta - come ha notato Paolo
Mereghetti - solo da una penna femminile, quella della
sceneggiatrice Nora Ephron, ex moglie del giornalista
Carl Bernstein), con una sottile sorpresa, e non ci stanchiamo. Un quarto di secolo ci separa dai vestiti un po’
goffi, tutti spalline, di Meg Ryan e Billy Crystal, eppure
qualcosa non sembra cambiato. Forse la Storia ha preso
a girare a ritmo un poco più lento, oppure forse quella
vicenda romantica conteneva davvero quasi tutto quello
che serve - amore, amicizia, deliquio, sesso, canzoni,
cattiverie, battute - fatto sta che a tutt’oggi When Harry
Met Sally è uno dei film più citati, ricordati, ripresi della
storia del cinema.
film, che ha portato nella commedia americana temi che
prima erano tabù: dall’orgasmo (nella foto a destra la mitica scena del film) alla morte. Il suo segreto era l’ironia.
Basta leggere la sceneggiatura originale del film per rendersi conto di quanto fosse azzeccata, studiata alla virgola,
ma sempre con quell’impressione di freschezza e spontaneità: nemmeno una parola è stata cambiata durante le
HARRY E SALLY
SI AMANO
ANCORA?
Gli anni ‘80 ma non solo
Non ci sono solo le scene immortali, le belle trovate, le
battute brillanti (meno brillanti, forse, e più manierate
dei contemporanei capolavori di Woody Allen, ma Woody è cinico, è sfiduciato e
La pellicola
spengleriano, mentre Harry e
Sally sono gioiosamente naif,
QUEL FINTO ORGASMO
e dunque più amabili). C’è
“Harry ti presento Sally”è
quell’odore inconfondibile,
fine anni Ottanta, così intristato girato nel 1989. È la
gante e così, ormai, retrò. Le
storia dell’amicizia e poimusiche - con le morbide e
dell’amore tra Harry Burns
civettuole citazioni di hot jazz
degli anni Cinquanta, tra Ar(Billy Crystal, classe 1948)
mstrong e la Fitzgerald, e la
e Sally Albright (Meg Ryan,
sontuosa colonna sonora fir1961). Il regista è Rob Reimata da Harry Connick Jr. ner (figlio d’arte, suo padre
svelano la nuova commedia
sentimentale americana del
Carl è autore di pellicole di
decennio del riflusso: siamo
successo). Le storie di Harry
lontani dalle storie di rottura
e Sally sono ispirate alle trae di trasgressione degli anni
versie
sentimentali di Reiprecedenti, dalla “strada” casuale e scanzonata di Kerouac
ner ed Ephron con i rispetticome dall’avventura di emanvi partner. La scena del finto
cipazione di Thelma & Louiorgasmo nacque anche dalse: loro viaggiavano verso la
la fantasia di Meg Ryan.
libertà, in fuga disperata dal
mondo maschilista, qui si
viaggia da studenti e poi da
giovani professionisti, alla ricerca di non si sa bene cosa. Il
modello è sottilmente conservatore e già retrospettivo, to”, il “calessino con le frange blu” (mediocre traduzione
guarda indietro, cerca rassicurazioni. L’America ha di The Surrey With The Fringe On Top) che viene canchiuso da poco il sipario sul lungo regno di Ronald tata dai due con una specie di apparecchio karaoke anReagan, il presidente che più di ogni altro, dai tempi di tidiluviano, mentre Harry adocchia la sua vecchia fiamEisenhower e forse anche prima, ha citato i padri fon- ma proprio nel momento in cui la canzone in inglese dice
datori nei suoi discorsi, ma che è stato capace, con- “...and their eyes will POP!”. La discussione furiosa nelle
temporaneamente, di liberare i consumatori americani cucine, al matrimonio dei migliori amici Marie e Jess,
dai faticosi imperativi morali del suo predecessore Car- davanti agli sguardi attoniti dei lavapiatti: “Lo sai che un
ter. Una grande vacanza dai sensi di colpa (che poi, anno di un uomo vale sette anni di un cane?” “Sì. Uno di
immancabilmente, torneranno, ma questa è un’altra sto- noi due dovrebbe essere un cane, in questa sceneggiata,
ria). Ma gli anni Ottanta sono anche la fodera, il vestito allora”. “Sì”. “E chi sarebbe?” “Tu”. Ma anche lo scambio
che ricopre tutte le scene: quelle inquadrature tagliate in di battute nella vettura, durante il viaggio di diciotto ore
due, con i protagonisti che si parlano da un letto all’altro, in mezzo all’America o all’aeroporto: “Se uno ti accomcongiunti dal filo dell’immancabile telefono e dal te- pagna all'aeroporto è chiaro che è all'inizio di una relevisore acceso; la grande riscoperta
in chiave commerciale del Natale,
ghirlande rosse e oro, alberi agghinSe uno ti accompagna all’aeroporto è chiaro che
dati e trascinati sui marciapiedi
mentre Bing Crosby canta Have
Yourself a Merry Little Christmas; e
è all’inizio di una relazione. Ecco perché io non
poi Sally che va alle prime lezioni di
aerobica e ginnastica ritmica (sono
accompagno nessuno. Perché le cose cambiano, e tu
i tempi di Callanetics, la linea di
esercizi da fare a casa che inonda gli
appartamenti della classe media
non l'accompagni più, e io non voglio sentirmi dire:
con i suoi homevideo).
Poi ci sono, ovviamente, le battute.
La “ragazza ad alto mantenimen“Come mai non mi accompagni più all'aeroporto?”
lazione, ecco perché io non accompagno nessuno all'aeroporto all'inizio di una relazione. Perché alla fine le
cose cambiano, e tu non la accompagni più all'aereoporto, e io non voglio sentirmi dire: Come mai non mi
accompagni più all'aeroporto?" [Harry]. Oppure: “È incredibile. Tu sembri una persona normale, ma in realtà
sei l'angelo della morte!” [Sally]. O, ancora, la fuga in taxi
di Marie e Jess, che, fatti conoscere da Harry e Sally, si
innamorano subito, e con molta più spregiudicata onestà, della coppia protagonista.
FINALMENTE
IL BACIO
Scena finale: notte
di Capodanno. Dopo una corsa forsennata per le strade di New York,
Harry dichiara il suo
amore. Olycom
Fingere l’orgasmo, negare l’amore
E, sopra a tutte, la pluricitata scena - girata al famoso
Harry: “Uomini e donne non possono essere
amici, perché il sesso ci si mette sempre
di mezzo”. Sally: “Stai dicendo che un uomo riesce a
essere amico solo di una donna che non è attraente?
Harry: “No, di norma vuole farsi anche quella”
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
riprese.
Tra gli altri suoi film (spesso con Meg Ryan) tutti ricordano
“Insonnia d’amore” e “C’è posta per te” (di cui fu anche
regista), una rivisitazione in chiave moderna del capolavoro di Ernst Lubitsch. Ha scritto anche saggi che sono
diventati best seller, come “Il mio collo mi fa impazzire” e “I
remember nothing”. È stata sposata con Carl Bernstein, il
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
11
giornalista del Washington Post che scoprì lo scandalo
Watergate. L’unione alla fine naufragò, ma fu all’origine
della sua carriera di sceneggiatrice: insieme con Bernstein
infatti Nora Ephron riscrisse la sceneggiatura di “Tutti gli
uomini del presidente” (interpretato da Dustin Hoffman e
Robert Redford), il film dedicato proprio all’episodio che
rese celebre suo marito.
Venticinque anni dopo il cult che ha rivoluzionato la
commedia americana milioni di persone ripetono
ancora le battute indimenticabili. Si riconoscono nei
personaggi.
Ma i due amici
innamorati
devono restare
giovani o
invecchiare
con noi?
Katz’s Deli nell’East Village - dell’orgasmo simulato da Meg Ryan al tavolo del
ristorante. Dove ancor più della pellicola
è leggendario il retroscena, che vuole che
a interpretare il ruolo della signora che,
dopo la performance di Ryan, chiede timidamente: “prendo quello che prende
lei” sia stata la madre del regista Reiner.
Gli eroi invecchiano?
Resta comunque, al fondo di tutto il gustoso modernariato che Harry ti presento Sally ci ha regalato, la vera domanda.
Che non è, come si potrebbe pensare,
“ma l’amicizia tra uomo e donna è possibile?”, interrogativo al quale il film risponde evidentemente con meno esitazioni di quelle che ci avrebbe potuto far
intravedere all’inizio. Ma è, piuttosto, “i
personaggi che amiamo devono cambiare, oppure no?” Che cosa chiediamo a un
nostro beniamino inventato, di restare
così com’è o di invecchiare con noi? Donald Duck, Paperino, adesso dovrebbe
avere una novantina d’anni, ha fatto notare qualcuno. Harry e Sally oggi avrebbero passato la soglia dei sessanta.
Avrebbero, come Crystal, la pancetta, e come Ryan, i
segni di qualche intervento estetico. Invece, il genio di
Nora Ephron li consegna, alla fine del film, all’immortalità, ovvero in un placido quadretto di coppia borghese,
sposata e serena, a fianco di tante altre, dopo una dichiarazione amorosa tra le più riuscite della storia del
cinema (“ti amo quando ci metti un’ora a ordinare un
sandwich, ti amo quando hai freddo e fuori ci sono trenta
gradi”). Un finale che è un inno ottimistico alla solidità
delle relazioni amorose (come ha detto Massimo Recalcati, “l’amore non è eterno, ma ogni amore degno di
questo nome aspira all’eternità”), ma che è anche, supremo escamotage narrativo, la possibilità irreale e fiabesca di fermare il tempo.
DI NUOVO
INSIEME
Meg Ryan e Billy
Crystal si sono incontrati recentemente per festeggiare i venticinque
anni della pellicola.
Ma i fan sono rimasti perplessi
davanti ai segni
del tempo. Sotto, il
regista Rob Reiner.
Ti amo... e non è perché mi sento solo,
non è perché è la notte di Capodanno.
Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che
vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi
che il resto della vita cominci il più presto possibile”
LA DISPUTA
UN SEQUEL? “FOLLIA”
MA C’È CHI CI PROVA
1
989-2014. Harry e Sally si amano ancora? Alla fine
della storia, i due protagonisti sono inseriti in un
quadretto familiare che li accomuna alle tante coppie
agé che abbiamo visto durante tutto il resto del film.
“Penso che Nora Ephron sia stata geniale ad aver concluso
con due finali che più romantici di così non si poteva proprio”, commenta Christian Mascheroni, scrittore, sceneggiatore e autore televisivo Mediaset e Mtv. “Era già sufficiente quella dichiarazione d’amore di Harry a Sally,
quando la rincorre e la riconquista, e quell’happy ending
sarebbe stato perfetto, anche se un po’ zuccheroso, da carie
nei denti. Invece, la scelta finale di fotografarli addirittura
come una coppia felice ma quotidiana, come con tante altre coppie apparse nel film, è una chiave di lettura geniale,
perché fa capire come la felicità non appartiene soltanto ai
finali dei grandi film romantici: è un happy ending duraturo, che ci si porta nella quotidianità”.
MA QUEL FINALEè un finale assoluto, o lascia aperta una
porta? È pensabile, anche solo concepibile, un sequel della
commedia americana? Paolo Mereghetti, critico cinematografico ed eponimo del più celebrato dizionario dei film
italiani (“l’unico cognome italiano che è diventato un titolo:
Il Mereghetti”, ha detto qualcuno), è molto pessimista. “Direi proprio di no. Al di là del fatto che il film è così equilibrato che è molto difficile allungarlo o completarlo in
qualcosa, se si facesse adesso un Harry ti presento Sally 2
bisognerebbe spiegare perché i due sono tornati a separarsi
e non sono più insieme. E poi, Billy Crystol che viene a
Venezia con la pancia, o lei, tutta rifatta col botox... La vedo
molto dura. Io fossi un regista non ci penserei. Cercherei
un’altra storia”. Comunque, aggiunge Mereghetti, “se qualcuno dovesse mai imbarcarsi nell’opera di scrivere un sequel, dovrebbe essere un’esponente del sesso femminile. Il
film è stato scritto da una donna, e si vede”. E un remake?
Ancora meno, secondo il critico. “Se qualcuno volesse rifare il film aggiornandolo ai giorni nostri si troverebbe di
fronte a un lavoro quasi impossibile. Perché quei personaggi, quegli equivoci, quelle situazioni sono veramente il
frutto di quegli anni. Scene come quella nel ristorante, in cui
uno parla dell’articolo che ha scritto sul pesto, la rucola, non
funzionano più in un mondo dove tutto passa attraverso
internet, il virtuale. E soprattutto i rapporti tra le persone si
perderebbero: chi si ricorda la scena in cui Carrie Fischer
tira fuori lo schedario degli scapoli appetibili su piazza?
Quelle scene sono il sale del film, e si perderebbero completamente”.
Christian Mascheroni è molto più possibilista. E sogna ad
occhi aperti l’impossibile-possibile seguito di Harry ti presento Sally. “Il film si riaprirebbe da una crisi, la crisi di
un’immaginaria nuova figlia. Harry e Sally devono tornare
a viaggiare, devono farsi altre diciotto ore di tragitto, come
nel film originale, per andare dalla figlia che, in punta di
matrimonio, è stata lasciata dal futuro marito. La ragazza prosegue Mascheroni - dovrebbe essere interpretata da
Jennifer Lawrence, oppure da Shailene Woodley, l’attrice di
Divergent”. Ma non è finita qui. “Nella mia fantasia malata
pensavo che il futuro marito della figlia di Harry e Sally
potrebbe essere il figlio della coppia di amici, cioè Carrie
Fischer e Bruno Kirby, nel film Marie e Jess. In questo modo
ci sarebbe la possibilità di rivedere anche loro due (ahimé il
grande Bruno Kirby è morto otto anni fa, ndr)”, confessa
Mascheroni. “Sarei molto curioso di riappropriarmi dei
cardini del primo film, vissuti però a venticinque anni di
distanza. Ecco, un’operazione del genere mi piacerebbe
molto con Harry ti presento Sally, dove ci sia ancora un
viaggio, ancora una tappa dove si fermano a mangiare - e
magari vediamo se lei ha di nuovo un orgasmo, vero o finto,
mentre mangia - e, infine, un battibecco”. Ovvero? “Uno
dei due genitori prende le difese della figlia, l’altro no, e così
si capisce nel tempo che cosa è cambiato nel rapporto di
coppia”.
VA BENE, ma nel possibile seguito del film che età avreb-
bero i “nuovi” Harry e Sally? Li ritroviamo ai trentacinque
circa in cui li abbiamo lasciati, o sono cresciuti con noi e si
trovano più o meno felicemente nella loro maturità, come
Diane Keaton e Jack Nicholson in Tutto può succedere?
“Ho fatto un calcolo matematico”, ragiona Mascheroni, “ed
effettivamente oggi Harry e Sally sarebbero una coppia di
sessantenni. Ma oggi una coppia di sessantenni non è una
coppia di nonnetti. È estremamente giovane. Soprattutto se
ha avuto figli tardi, come sarebbe nel caso di Harry e Sally, la
cui figlia avrebbe circa venticinque anni. Quindi li vedrei
perfettamente anche con qualche anno in più sulle spalle”.
Di opinioni radicalmente opposte la scrittrice Rosa Matteucci, che nell’ultimo romanzo Le donne perdonano tutto
tranne il silenzio (Giunti) ha messo in scena una crisi di
rapporti tra uomini e donne proprio su un set. “Harry ti
presento Sally è una specie di cimelio, non va toccato!”, si
indigna. Il film è sacro. Perché? “Perché fotografa perfettamente la natura archetipica dei rapporti maschio-femmina. Andrebbe tenuto sotto una cappa di cristallo”, spiega
la scrittrice. “Con programmazione obbligatoria nelle
scuole di grado superiore e inferiore”.
Fr.Ch.
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UNA GIORNATA PARTICOLARE
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
Cos’è
La palestra dei piloti w Il simulatore è essenziale per
imparare ad affrontare le emergenze che si presentano in
aria. Fulmini, avarie, windshear, perfino il giro della
morte: mettere in difficoltà jet da 300 milioni come quelli
della Air Malaysia appena caduti pare impossibile
Sperimentare il disastro w L’incubo di ogni passeggero:
l’aereo pare fermarsi, il corpo perde peso. “Stallo”, dice la
voce elettronica. E il muso del colosso di 60 metri punta a
terra. È la fine. Con il computer da 20 milioni capisci
cosa succede a bordo nei momenti della tragedia
GIOIELLO TECNOLOGICO
Uguale in tutto e per tutto a quello
della Air Malaysia, il simulatore è
una macchina da 20 milioni utilizzata
per replicare il volo dell’aereo. È una
cabina di pilotaggio vera in cui ogni
strumento risponde come sull’aereo.
Sul simulatore di volo
“Ecco cosa provi
a precipitare
sul Boeing 777”
di Ferruccio Sansa
S
enza corpo. Per un attimo ti senti così,
senza peso. Come se di te fosse rimasto
solo il pensiero. È una frazione di secondo. Poi, prima ancora di capire,
d’istinto le mani cominciano ad aggrapparsi
all’aria; il respiro, il cuore impazziscono.
Guardi il comandante che ti dice: “Stiamo precipitando, non c’è più niente da fare”. La voce
elettronica del computer di bordo è una condanna: “Stallo, stallo, stallo”. La velocità, che fino a
quel momento ti sosteneva, diventa un nemico
di cui non ti puoi liberare. Ti trascina verso terra.
Il muso dell’aereo punta verso il basso, sempre
più in basso, fino a scendere giù verticale, a girare
su se stesso. Il Boeing 777-200 non è più un aereo: è un bestione impazzito, un gigante di centinaia di tonnellate, settanta metri di metallo, 63
metri di enormi ali. E tante vite, anche la tua.
GUARDI FUORI DALLA CABINA di comando,
vedi il mondo che all’improvviso ti pare irraggiungibile. È lì, con le sue case, le strade, le piccole
imbarcazioni lungo la riva, ma tu ormai non ne
fai più parte. È tutto inutile, il comandante che
tira la cloche, che prova di nuovo a catturare l’aria
con le ali. Intorno, sul cockpit, il grande quadro
strumenti è tutto un lampeggiare di luci, un suonare di allarmi. Il copilota schiaccia pulsanti,
spinge la manetta dei motori, ma non serve a
niente: una forza immensa ti trascina giù. Gli
strumenti indicano cinquemila metri, quattromila, tremila. Il mare è vicino, sempre più vicino.
È finita.
Ecco, questo forse hanno provato i passeggeri del
Boeing 777 dell’Air Malaysia scomparso nel nulla l’8 marzo. C’è solo un modo per intuirlo. No,
FONDATA SUL LAVORO
Carlo
Di Foggia
di
non capirlo fino in fondo, perché tu adesso sei su
un simulatore di volo e sai che tra poco ne scenderai, che la tragedia l’hai solo vista. Immaginata.
Ma è stato comunque abbastanza: il cuore ci mette minuti prima di tornare a battere tranquillo. Le
mani restano gelide a lungo.
Siamo su un simulatore di volo del Boeing
777-200. Uguale in tutto e per tutto a quello
scomparso nel nulla. E all’altro, gemello, abbattuto la settimana scorsa in Ucraina. È molto più
che un video gioco: questa è una macchina che
costa 20 milioni. Che viene utilizzata dai piloti
delle compagnie aeree per simulare in tutto e per
tutto il volo dell’aereo. È una cabina di pilotaggio
vera, presa pari pari dal Boeing 777. Ogni strumento, ogni controllo risponde come sull’aereo.
Sul grande finestrino davanti a te una batteria di
computer da milioni di euro proietta esattamente ciò che vede il pilota durante il decollo, l’atterraggio, il volo. Imposti l’aeroporto, come Kuala Lumpur, da dove decollò il volo 370 dell’Air
Malaysia e vedi ogni singola casa.
Ma soprattutto il simulatore è sospeso su quattro
martinetti idraulici che fanno sentire al tuo corpo
le sensazioni che prova il pilota. Insomma, giureresti di volare. E di essere davvero precipitato.
Se non fosse che poi, terreo in volto, alla fine tu
scendi.
È dunque questo, precipitare. L’incubo di tutti i
passeggeri. Ma resta il grande mistero: come è
potuto succedere? Già, perché nella cabina del
simulatore il comandante e il copilota hanno
davvero dovuto provarle tutte per far cadere questo aereo tra i più sicuri al mondo, come l’arci-rivale, l’Airbus A340: trecento milioni di dollari di tecnologia, di sistemi di sicurezza messi a
punto in decenni di esperienza.
Prima di precipitare il comandante, con migliaia
IL LIUTAIO
tomaggiore, campagna ferrarese, Riccardo Mordeglia, 26 anni,
sguardo attento e viso gioviale da emiliano, leviga il legno di una
chitarra manouche, mentre racconta l'antica arte della liuteria
come fosse una strada che imbocchi fra le tante. Niente sapere
tramandato, niente passaggi di padre in figlio. Lo stereotipo della
vecchia bottega, dell’artigiano figlio d'arte non appartiene più a
un mestiere in evoluzione: “All'inizio degli anni '90 la liuteria
stava morendo perché gli anziani escludevano i giovani - ci spiega
- Volevano restare nicchia, si arroccavano un po' per il riflesso del
custode geloso, un po' per poterti dire che 'il lavoro è complesso,
serve tempo e ti costerà parecchio'. Fortunatamente i ragazzi
hanno salvato il mestiere”. Senza vocazione o eredità, la bottega è
una scelta casuale: “Sono laureato in scienze politiche, ho fatto
concorsi e spedito curriculum a raffica come tutti: non è servito a
niente. Ho sempre suonato e fatto piccoli lavoretti sulla chitarra,
poi ne ho fatta una per intero. Mi piaceva, ero disoccupato, ho
pensato di farne un mestiere”. Che non sempre si impara osservando: “Frequentavo le storiche botteghe che qui, nel triangolo Bologna-Ferrara-Ravenna, vantavano tradizioni illustri.
Ma i maestri sono gelosi, cercano di non farsi soffiare i segreti
della lavorazione. Così sono andato alla scuola di Gubbio”.
Il difficile, racconta, è farsi un nome, perché “conta soprattutto il
passaparola in un piccolo paesino come il mio, dove se vengono
da te è perché vanno a colpo sicuro, non ci capitano per caso”. In
di ore di volo sulle spalle, te lo dimostra. Simula
ogni possibile avaria. “Se si rompe un motore?”,
chiedi. E il computer spegne il reattore di sinistra.
Neanche te ne accorgi, l’aereo non ha un minimo
scossone. “Roba da niente”, sorride il comandante. Andiamoci giù duri. Ecco il monitor a cristalli
liquidi - che, istante per istante, segue il funzionamento dei reattori - segnala il malfunzionamento, poi la spia che suona: incendio. Il comandante schiaccia un pulsante sul soffitto della cabina, un getto di schiuma estingue le fiamme. E si
prosegue.
ANCORA PEGGIO: il windshear, uno dei nemici
più temuti dai piloti, quei colpi di vento improvvisi che in fase di atterraggio e decollo investono
gli aerei e li sbattono al suolo. Ci avviciniamo alla
pista, ma prima che la raffica arrivi una voce elettronica avverte: “Windshear”, e il pilota riprende
quota. Tutto ok. Allora senza avvertire il comandante gli tendi una trappola: sei a un passo dalla
pista, il momento più delicato, quando il velivolo
è più instabile. Il computer simula uno windshear, ma ci mette insieme un fulmine che colpisce un motore e lo mette fuori uso. Tre emer-
genze insieme, ma i piloti in una frazione di secondo reagiscono e tutto fila liscio. Si tocca terra
incolumi.
“Anche se si spaccano entrambi i motori possiamo procedere per quasi cento chilometri in
planata. E dalla coda esce una piccola elica che
produce energia per far funzionare gli strumenti
anche in caso di blackout”, sembrano invincibili i
jet delle ultime generazioni.
“Guardi cosa possiamo fare con questi aerei”, ti
sfida il comandante. E punta il muso dritto verso
il cielo. Roba da farti drizzare i peli delle braccia.
Sale, sale, sale, poi si capovolge. Il giro della morte
con un colosso da trecento passeggeri. Si potrebbe fare, anche se non è proprio la manovra più
consigliabile.
Ma allora che diavolo è successo quell’8 marzo al
volo 370? Che cosa ha messo in crisi un aereo che
ha meno di un incidente ogni tre milioni di voli?
Chissà se lo sapremo mai. Si può chiamare destino, è qualcosa che non bastano tutti gli ingegneri e i sistemi di sicurezza del mondo per prevenire. Tu, però, adesso sai cosa devono aver provato a bordo. E ti senti quasi in colpa mentre te ne
torni a casa incolume.
I NUMERI
Riccardo, l’ultimo custode
del jazz zingaro emiliano
ui sono rimasto solo io, testimone di una cultura secolare
Q
che ha padre austriaco e madre emiliana, ma sopravvive più
tra gli zingari delle periferie francesi che nella sua culla”. Por-
La cabina di pilotaggio di un aereo di linea
UNA TRADIZIONE UNICA
L'Italia vanta la più antica tradizione liuteristica. Senza scomodare Antonio Stradivari
(1644-1737), dalle famiglia Guarnieri e Galliano, a Gasparo da Salò Giovanni Paolo
Maggini, i più grandi sono italiani.
questo sobborgo agricolo alle porte di Ferrara
LE SCUOLE D’ECCELLENZA
lui è un'istituzione. L'ultimo liutaio di chitarre
La più antica e blasonata è quella di Cremomanouche, quelle del gypsy jazz suonato da
na, sede dell'Associazione Italiana Liutai.
funamboli come Django Reinhardt, Bireli e
Importanti anche Milano, Gubbio e Parma.
dai gitani di mezzo mondo. “Soprattutto dalla
comunità zingara francese, Manouche vuol
AFFARI IN CRESCITA
dire proprio zingaro in francese”. Eppure,
questa particolare chitarra a corpo largo, con
Le stime più attendibili parlano di circa 500
un lato tagliato e le corde molto tese fissate
liutai sparsi per l'Italia. Il giro d'affari è in
con una cordiera metallica che ricorda i viocrescita: solo le botteghe di liutai aderenti al
lini è nata proprio qui, nelle campagne del
“Consorzio Antonio Stradivari” sono 64,
triangolo emiliano-romagnolo: “Deriva dalle
con un giro d'affari di 4,8 milioni l'anno.
leggendarie chitarre Maccaferri, che si rifanno allo stile di quelle austriache dell'800. A Riccardo Mordeglia nella sua bottega
metà del dediciannovesimo secolo Ferrara fu
occupata da un contingente dell’esercito austriaco, che si accam- jazz, ma per riprendere una tradizione della zona che dopo di me
pò alle porte della città: ci hanno lasciato lo strudel e questo stru- rischia l'estinzione. Ma ci pensate? Uno strumento famoso nel
mento alieno e bellissimo che poi i liutai della zona hanno tra- mondo, che ha le sue radici in un posto che lo ha dimenticato”.
mandato per secoli, grazie anche agli ebrei della città, perché il Per Riccardo, il fine della memoria attenua le difficoltà. “Per riusuono della musica ebraica somiglia molto a quello del jazz ma- scire a mantenermi - spiega prima di salutarci - bisogna adattarsi
nouche”. Tracce di una tradizione che sta scomparendo. “Non c'è un po', la clientela è sporadica e per fare una chitarra ci vuole un
più nessuno che lavora questi strumenti, sono rimasto solo io”, ci mesetto, non è come nell'elettrico, dove si lavora meno ma si
racconta mentre sbuffa via la polvere di legno che si è accumulata fanno più soldi. Così mi sento più libero, senza l'assillo di clienti
sopra una chitarra. Quano la ripone, osserva la sua bottega (“co- che hanno richieste incredibili e di applicare prezzi stellari. La
struita da solo senza l'aiuto di nessuno, perchè nessuno mi voleva liuteria è un arte semplice”.
dare un finanziamento”) e ci spiega che, anche volendo, non potrebbe andarsene: “Non lo faccio solo perché mi piace il gypsy
LEZIONI DI SPORT
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
13
8 • CICLISMO
Bilanci e consigli w Date retta a me, quest’anno non ce
n’era per nessuno: Contador era già in difficoltà prima
del ritiro. Nibali era il più forte, senza ombra di dubbio. Il
Tour l’ha vinto sulla prima salita delle Alpi, la Grande
Boucle è finita quel giorno.
Il passo del grimpeur è diverso, anche il fisico è diverso
ma il ciclismo moderno fa meno distinzioni di una volta,
in montagna puoi fare la corsa o pensare a difenderti, un
buon passista può restare alla ruota di uno scalatore e
evitare ritardi catastrofici. Non è facile, ma succede.
FELICE GIMONDI
“Se vuoi fare il ciclista
lascia incubi e paure”
Chi è
IL POSTINO CAMPIONE
Felice Gimondi è nato a Sedrina il 29 settembre 1942. Fu uno dei pochi a contrastare lo strapotere di Eddie Merckx. Professionista dal 1965 al 1979, è uno dei sei
corridori ad aver vinto tutti e tre i grandi
Giri, cioè Giro d'Italia (per tre volte, nel
1967, 1969 e 1976), Tour de France (nel
1965) e Vuelta ( nel 1968). Si aggiudicò
anche due Gran Premi delle Nazioni, una
Parigi-Roubaix, una Milano-Sanremo e
un campionato del mondo (1973).
A lato Felice Gimondi oggi e qui sopra, al Giro, con Adorni e Motta LaPresse
di Elio
Pirari
P
rima di Merckx “Il Cannibale” era lui, poi arrivò Eddy. Arrancare dietro il belga nella Parigi-Roubaix,
scavallare il Gavia, il Col
du Galibier e l’Angliru era
come fare un eroico viaggio nella speranza,
ci voleva un bel fegato, una grande incoscienza e una inconscia vocazione al fallimento. Merckx era una scintilla, un’energia sospesa, forse un fantasma. Ma non ci
fosse stato lui non ci sarebbe stato Felice
Gimondi. Nonostante “Il Cannibale” tuttavia Gimondi è stato uno dei più grandi
corridori di ogni tempo, uno dei sei (gli altri
sono Anquetil, Merckx, Hinault, Contador
e Nibali), a vincere almeno una volta le tre
grandi corse a tappe, Giro, Tour e Vuelta.
Gimondi, sedici anni dopo Pantani, Nibali ha
vinto il Tour.
Vincere in Francia non è una sciocchezza
ma dominare il Tour, perché questo ha fatto
Nibali, è un’impresa. Vincenzo è stato perfetto, nessuno è mai riuscito a metterlo in
difficoltà, ha fatto sempre quello che ha voluto.
posto disponevamo le panchine su un prato
di Isallo, in Val Maremola e aspettavamo il
passaggio del gruppo.
Come si chiamava suo padre?
Gimondi Mosè.
Quindi il suo è stato un vero e proprio attraversamento del deserto...
Quando superai gli esami di quinta elementare mi regalò la mia prima bicicletta,
un’Ardita rossa, bella, fiammante. Da quel
giorno non rubai più quella della mamma,
che faceva la postina.
La prima bicicletta da corsa?
Una roba con i fiocchi, una Mazzoletti color
argento.
A scuola andava volentieri?
Per seguire le orme paterne dopo le elementari mi iscrissi a un corso di tecnica
meccanica ma la meccanica non mi coinvolgeva molto, o forse non ero un genio.
Lei non è nato ciclista. Che lavoro faceva prima di dedicarsi anima e corpo alla bicicletta?
Prima il supplente postino e poi il postino,
mamma serviva Sedrina, io le frazioni.
La sua prima gara?
Cadendo Contador gli ha dato una mano.
Dia retta, non ce n’era per nessuno: Contador era già in difficoltà prima del ritiro.
Nibali il Tour l’ha vinto sulla prima salita
delle Alpi, la Grande Boucle è finita quel
giorno.
Il modo di correre di Nibali le ricorda il suo?
Come me legge molto bene la corsa e sa far
correre la squadra, è un tattico ma ha fiuto,
sa quando è il momento di affidarsi alle
gambe.
Cosa vuole dire questa vittoria per il ciclismo italiano?
TATTICA E SENSIBILITÀ Un ciclista capisce quando affidarsi alla squadra e quando
alle gambe.
ALLENARE IL FISICO Fate molta ginnastica.
Io avevo due addominali così.
METTERSI A RUOTA Se non siete scalatori,
state a ruota dei grimpeur. Evita catastrofi.
Intanto che non siamo da buttare via, che la
nostra è una grande scuola e che dietro a
Nibali ci sono ragazzi in gamba, penso a De
Marchi, Trentin, Aru.
Quando ha cominciato a correre?
Mio padre era un maniaco della bici, faceva
il camionista e spesso, per non dire sempre,
ci caricava sul camion e ci portava a vedere
le corse, la tappa obbligata era il Giro di
Lombardia. Su quel camion saliva un popolo, ci caricava in quaranta, una volta sul
A Treviglio, dove c’era la fabbrica della
Bianchi, andammo lì con il solito motocarro, durante la gara finii a terra tre volte, al
traguardo sembravo un reduce di guerra.
Chi la convinse a fare il ciclista?
Nessuno, e nessuno mi ha insegnato nulla.
Ho imparato a correre sul libro di Ambrosini, l’allora direttore della Gazzetta, in
quelle pagine c’erano i segreti per diventare
un buon ciclista.
Un corso per corrispondenza. E Ambrosini
cosa scriveva?
Che bisognava fare molta ginnastica. Finì
che mi vennero due addominali così, non la
smettevo più, di fare ginnastica, d’inverno,
d’estate, sempre.
Le prime gare?
Cominciai a correre all’oratorio, ma con
calma, lì non c’era lo sponsor che pretendeva risultati.
Come si diventa un buon discesista?
Io vivevo a Sedrina, in Val Bembrana, Sedrina è tutta un saliscendi, quando non lavoravo mi buttavo a pesce lungo i dirupi, ho
imparato così.
Le salite hanno fatto la storia di questo
sport, gli scalatori fanno una preparazione
specifica?
Il passo del grimpeur è diverso, anche il
fisico è diverso ma il ciclismo moderno fa
meno distinzioni di una volta, in montagna
puoi fare la corsa o pensare a difenderti, un
buon passista può restare alla ruota di uno
scalatore e evitare ritardi catastrofici, non è
facile ma a volte succede.
Per un velocista lo Stelvio è l’inferno...
Il velocista è l’espressione della potenza, la
velocità di punta di alcuni di loro è impressionante. Ma sprinter si nasce, difficilmente si diventa, non ho mai conosciuto un
buon passista trasformarsi in un uomo da
volata.
L’alimentazione e i regimi di vita quotidiana
quanto contano?
AVERE TIMORI I ciclisti non hanno nè incubi, nè paura. A parte il pavè e la pioggia.
ECCEDERE NEI TATTICISMI Oggi vedo tanta tattica. Bisogna lasciare libertà ai giovani.
MANGIARE MALE L’alimentazione è essenziale. Soprattutto la colazione. E poi serve
una dieta vegetale.
Oggi le diete vegetali sono fondamentali,
frutta, yogurt, riso, pane di farina integrale
biologica, ma la sera bisogna nutrirsi di carne o pesce. La colazione del mattino è la più
importante della giornata perché prepara
l’atleta agli sforzi prolungati.
I discesisti hanno una tecnica particolare?
Ma no, è una questione d’istinto, e di dove
nasci. Gli spagnoli fino a qualche anno fa
erano negati perché correvano su strade
sterrate, gli mancava il colpo d’occhio e
l’abitudine alla velocità. Una cosa è scendere a 55 chilometri orari, un’altra a settanta.
L’incubo dei ciclisti è la caduta.
I ciclisti non hanno incubi e non hanno
paura. Forse della pioggia, o del pavè. Se
cadi alla Parigi-Roubeaux è un casino. Io
però riuscii a superarmi a un Giro delle
Regioni. Finii dentro a un tombino, diagnosi trauma cranico e una clavicola a pezzi.
L’episodio che ricorda di più?
A cinque o sei chilometri dal traguardo di
Laigueglia trovai un passaggio a livello chiuso. Il dettaglio è che sui binari c’era il treno.
Qualcuno di noi lo superò infilandosi sotto,
io mi misi la bici in spalla e passai da una
porta all’altra del vagone.
E i passeggeri come la presero?
Provai a metterli a loro agio, sembrava un
film di Monicelli.
C’è continuità tra il suo ciclismo e quello di
oggi?
No, il problema del ciclismo di oggi è il
tatticismo esasperato, i ragazzi sembrano
marziani. Io dico che bisognerebbe lasciargli più libertà.
È vero che senza Merckx avrebbe vinto più
di Coppi?
Non esageriamo, avrei vinto cinque Giri e
tre Tour. Riesce a immaginare il condizionamento mentale che può trasmetterti una
bestia
così?
Eddy per strada non lasciava nulla. Eravate
amici?
Lo siamo diventati, una volta gli dissi
“Guarda Eddy che tu non sei “commerciale”, se ogni tanto perdi diventiamo più ricchi tutti e due”.
E lui?
Mi offrì un mezzo whisky. Il giorno dopo
montò in bici e come gli capitava sempre si
trasformò, gli venivano gli occhi piccoli come fessure, cambiava proprio connotati,
dottor Jekyll e mister Hyde. Quando arrivò
lui dovetti rinunciare al mio istinto e modificare il modo di correre. Però l’ho battuto
tre volte, a cronometro, al Giro del ’76 e al
Mondiale, in volata.
14
TUTTI AL MARE
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
D’estate
coltivate
i vostri sogni
ANGELA MERKEL
AMA L’ALTO
ADIGE OPPURE
ISCHIA. PUTIN
SFOGGIA IL PETTO
IN SIBERIA,
OBAMA OSCILLA
TRA L’ATLANTICO
E IL PACIFICO
ABITUDINI
E TIC DEI POTENTI
IN VACANZA
di Andrea
S
di Michelle Obama*
Lady è venuta a sentire che cosa lo. Ma l'estate è davvero uno dei
farete quest'estate. Dopotutto, è momenti più importanti dell'anGRANDI ASPETTATIVE Ora voi estate, no? Insomma, si pensa no per giovani come voi. E spero
che l'estate sia quel tempo di averlo capito quando avevo la
ragazzi state facendo grandi coW:66.855pt
H:56.514pt
che serve per dormire, anda- vostra età. Perchè se avete grandi
se. Ma mi immagino che
forse
re in piscina, e poi per vincere sogni - e so che li avete - se volete
qualcuno di voi si stia/FATTO/Foto/Loghi/ng_microfono~851*
chieal video-game. E voi potete far- andare in un college, trovare un
dendo perchè la First
buon lavoro, ottenere il massimo,
allora l'estate non può essere solo vacanza. È veramente un periodo per andare avanti.
Pensate a tutta la gente in giro nel
mondo - gli atleti, quelli che vedete nei campi di basket o di foot-
Il cafonal è senza
Valdambrini
ono finiti i tempi d’oro del cafonal globale? Una
volta c’era Silvio Berlusconi a portare avanti la
bandiera in Italia e nel mondo. Erano i giorni in
cui il “bunga bunga” varcava i confini e una
breve vacanza a Villa Certosa si trasformava in un incontro al vertice con l’allora premier ceco Mirek Topolanek, ritratto completamente nudo nelle foto di Antonello Zappaddu (censurate in Italia ma pubblicate da
El Pais in Spagna). Accanto ai navigati politici, un contorno di ragazze che prendono il sole in topless o seminude. D’altronde nella sua villa in Sardegna le vacanze per eccellenza, quelle di ferragosto, si celebravano con l’eruzione di un piccolo vulcano privato, che
pur essendo niente più che una finzione teatrale, è
riuscito ad allarmare gli abitanti della vicina Porto Rotondo. Apoteosi del cafonal. Come dimenticare, poi, i
momenti di relax con l’amico Putin, tra discussioni
d’affari, lettoni ed escort?
IL SUSSIDIARIO
FRANÇOIS
HOLLANDE
Il presidente
francese ha
sempre
privilegiato
la tradizione
della Costa
Azzurra,
a Fort de
Bregançon.
Dopo gli
scandali
sentimentali,
però, la sua
estate
si annuncia
più sobria.
HAWAI PACIFICO
Arcipelago dell’oceano Pacifico, dal 1959, uno stato degli Usa
ISCHIA ITALIA
Località turistica più che famosa, è la terza isola italiana più popolosa dopo Sicilia
e Sardegna.
BREGANÇON FRANCIA
Sperone roccioso di 2000
metri quadri. Residenza del
presidente francese.
CANARIE SPAGNA
Arcipelago di sette isole al
largo dell’Africa occidentale.
SIBERIA RUSSIA
Luogo adibito alla deportazione dei dissidenti, è anche
meta delle ferie russe.
Olycom
A RAPPRESENTARE LA QUINTESSENZA delle vacanze
cafonal nel mondo ormai è rimasto proprio Vladimir
Putin, colui che ha reso anche le ferie un momento
chiave della propria muscolare propaganda. Nel 2009
Putin viene ritratto da un “fotografo di corte” del Cremlino, durante un weekend estivo nel sud della Siberia.
Lo si vede cavalcare a torso nudo nella natura selvaggia,
nuotare virile nel ruscello di montagna, accarezzare lo
stesso cavallo, pescare in un altro ruscello, sorridere
sornione in posa da cow-boy, fare tutti gli sport immaginabili in mezzo alla foresta basso-siberiana ed altre
amenità simili. Deve essersi molto stancato, dato che
più di recente l’hanno avvistato dalle nostre parti. Non
è dato sapere se sia passato in Versilia, dove i russi
abbondano, ma certo ha fatto un salto a Porto Ercole,
nell’Argentario. La visita in Toscana si deve, pare, alla
ricerca di una villa per le vacanze.
Mentre Putin fa acquisti, comunque, non si dimentica
di dispensare consigli patriottici. Niente gite e campi
scuola all’estero, ha annunciato il Fronte Popolare, un movimento vicino al presidente, soprattutto per i figli dei funzionari delle società statali. Adesso, come ai tempi dell’Urss c’è il sole
della Crimea che pare fatto apposta per le gite
fuori porta dei russi.
TUTT’ALTRO STILE PER ANGELA MERKEL,
quasi l’antitesi di Putin. Di suo, la cancelliera
tedesca è abitudinaria, una che in vacanza
ama riservatezza e tranquillità, facendo di tutto per tenere lontani i paparazzi. L’austerità
sembra la cifra dei suoi vestiti comodi e non
vistosi, senza troppe differenze tra quelli che sceglie a Berlino o in vacanza. Villeggiatura estiva in
montagna – stesso albergo, stessa valle -, sci invernale
e per Pasqua il golfo di Napoli, come il più comune dei
suoi connazionali che seguono le orme dei viaggiatori
del Grand Tour. Sempre accompagnata dal marito Jochin Sauer – talmente riservato che se potesse vorrebbe
venire trasparente in fotografia - la cancelliera è arrivata
giusto pochi giorni fa in Alto Adige. Eppure esiste anche
una versione di Merkel in costume al mare. Ed è lì che il
cafonal è in agguato. Per la pausa di Pasqua la mèta
scelta da anni è l’Hotel Miramare a Ischia: 5 stelle, vista
mare con piscina, spa e spiaggia privata, prezzi da oltre
700 euro a notte per la suite. Proprio durante i numerosi
soggiorni a Ischia, la Merkel è stata ripetutamente “paparazzata” anche in costume nonostante le proteste del
suo staff e i singolari espedienti anti-fotografi, come un
ombrello usato per difendere la privacy, che ha però
ottenuto l’effetto di attirare ancora di più l’attenzione su
di lei. Unica consolazione: essere in Italia, ma comunque qualche centinaio di chilometri di distanza da Sivlio
BARACK OBAMA
Il presidente Usa alterna
le vacanze tra le Hawai,
nel Pacifico, e l’isola
Martha’s Wineyard di
fronte alla costa Est. Con
moglie, figli e cani al
seguito.
DAVID
CAMERON
Tradizione
britannica per il
premier inglese
che si sposta
dalle Canarie al
“Chiantishire”.
Ansa
LaPresse
Berlusconi.
LE FERIE DI DAVID CAMERON sono invece lontane dal
paradigna putiniano. Ma anche nel suo caso, il cattivo
gusto non manca. Come tutti gli inglesi che si rispettino
il premier britannico trascorre i momenti di relax alternativamente in Spagna oppure nella campagna Toscana. I fotografi lo immortalano a Lanzarote, nelle
Canarie, a passeggio con la moglie Samantha e i tabloid
si divertono a fargli le pulci sui vestiti, criticando lo stile
molto casual del primo ministro quando si allontana da
Downing Street: polo, pantaloni corti, camicia fuori e
soprattutto, avverte il Daily Mail, dei mocassini color
beige da 25 euro già visti l’estate prima in Portogallo.
Quando non può allontanarsi troppo da Londra, Cameron sceglie le spiagge della domestica Cornovaglia. Ma
la meta estiva preferita rimane la Toscana, più
precisamente quel Chiantishire che ha ospitato
per anni il suo predecessore Tony Blair. Sempre
accompagnato dalla moglie e dai tre figli, ha passato le
prime vere vacanze da quando era al governo nella
tenuta Petrolo, in Valdarno. Residenza di lusso, certo,
ma da Londra ci hanno tenuto a far sapere che il conto
non è a carico dei i contribuenti inglesi: l’affitto dal
11.000 euro a settimana e il biglietto di aereo su Firenze
se li è pagati Cameron di tasca sua.
POCO CAFONAL FRANÇOIS HOLLAND, che prova a
stare il più possibile al riparo dal gossip, nonostante le
sue avventure sentimentali con l’attrice Julie Gayet abbiano occupato non poco spazio sui giornali. Sarà per
lui la terza pausa estiva dall’inizio del mandato, ma le
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
ball; i presentatori della tv o del
palcoscenico; i vostri insegnanti,
che vi danno stimoli ogni giorno
in classe. Bene, tutti questi lavorano sempre. Lavorano per tutta
l'estate, e dopo che la stagione
finisce... quando il tour musicale
finisce, quei musicisti che amate
tornano nella sala prove a perfezionarsi. Quando la scuola finisce, i vostri professori spendono l'estate per imparare e sviluppare nuove strategie per aiutarvi
l'anno
prossimo...
Qualunque cosa facciate nella
vita, ognuno di voi deve leggere,
leggere, leggere. Ecco quel che il
Presidente dice alle nostre figlie.
Ci sono biblioteche che ospitano
programmi di lettura estivi. Ci
dovete andare e prendere dei li-
frontiere
bri, magari sui temi che non conoscete molto. Perchè leggere
potrebbe essere la cosa più importante per il vostro futuro. Non
lo farete mai abbastanza. So che
i genitori ve lo dicono, e noi stessi
a casa ci battiamo perchè i nostri
Il cafonal è italiano, ma non solo…
Si, ma intanto facciamo una premessa. Bisogna dire che sono
cambiate un sacco di cose, ormai.
Non c’è più il cafonal di una volta?
Eh no. Adesso con internet e i social tutto è diventato visibile, trasparente, messo in mostra dagli
stessi protagonisti. Avanti con
trippe, smagliature e via cafoneggiando. A che servono più i paparazzi, a questo punto? Pensa a
Rihanna, a Miley Cyrus. Oppure
da noi la Marcuzzi che fa la lesbica
con Asia Argento.
Invece prima?
Una volta la panza di fuori in
spiaggia faceva
subito
notizia,
perché se ne vedevano proprio
poche. Quando
abbiamo iniziato
con Dagospia, una
decina di anni fa,
era tutta un’altra
cosa da questo
punto di vista.
Basti pensare a quando abbiamo
messo Eco in spiaggia straripante,
sembrava di vedere qualcosa di
nuovo. In fondo è proprio la
spiaggia il luogo classico dove ti
incafonisci, no? Insomma, se oggi
si vede tutto, come si fa a fare notizia? Solo l’eccesso fa successo,
ma ormai l’eccesso è ovunque.
Ma una come la Merkel, per esempio, può rientrare nel cafonal?
VLADIMIR
PUTIN
Il presidente russo
fa spesso le
vacanze in Siberia
dove si esibisce a
cavallo o nella
pesca virile.
Hai visto come si veste? Ma chi
gliele disegna quelle giacche agghiaccianti? Struttura a tenda canadese e col fiancone, è sempre
vestita in uno stile che oscilla tra il
robotico e il militare. Ovunque
vada non si smentisce, sarei proprio curioso di scoprire chi è il suo
sarto. Meno male che a Ischia
l’abbiamo pure vista in costume e
siamo riusciti a capire che in fondo è umana, una come tutti noi.
LaPresse
precedenti non sono state troppo tranquille.
Seguendo una tradizione che risale a De
Gaulle e arriva a Sarkozy, Hollande aveva scelto
nel 2012 la tenuta presidenziale di Fort Bregançon, una piccola isola in Costa Azzurra. I pochi
giorni a cavallo di Ferragosto trascorsi nel Mediterraneo avevano già mostrato un presidente impacciato e
la sua compagna di allora, la giornalista Valérie Trierweiler in forte imbarazzo per l’assalto dei paparazzi.
Così l’anno dopo il presidente decide di non allontanarsi troppo da Parigi, fermandosi a La Lantèrne,
antico padiglione di caccia dalle parti di Versailles. Ambiente di lusso con piscina e campo da tennis privato,
ma soprattutto di difficile accesso ai fotografi di tabloid.
Il prezzo da pagare alla privacy, valuta la Corte dei Conti
transalpina, si aggira sui 200.000 euro all’anno.
E BARACK OBAMA?Dell’inquilino della Casa Bianca
non vedremo mai pancia o costumi da bagno esagerati,
né momenti troppo privati. Sappiamo che opta per le
Hawaii, dove è nato 53 anni fa, durante la pausa invernale e per l’isola di Martha’s Vineyard, nel Massachussets, in agosto. Quando si sposta a bordo dell’Air
Force One insieme a Barack ci sono Michelle, le due
figlie Sasha e Malia e pure i due cani di famiglia, Bo e
E pure Berlusconi sulla Merkel
non si è risparmiato commenti.
Si, ma quello col Cafonal con
c’entra nulla. Quella di Berlusconi
è maleducazione pura: uno che sta
nella sua posizione istituzionale
Sunny .
Sull’isola hawaiana di Ohau li aspetta ogni anno la stessa
residenza di lusso, nei cui giardini, immancabilmente, il
presidente fa golf o jogging e amministra le sorti del
mondo con i collaboratori in maglietta, occhiali da sole
e cappellino da baseball. O almeno, questo è quello che
di lui viene fatto vedere attraverso i media. Ma se le
Hawaii sono una novità tutta obamiana, molto più istituzionale è la tenuta di Martha’s Vineyard che accoglie
il presidente ogni agosto, come faceva con i Kennedy e
poi Bill Clinton. Niente paparazzi in giro, ma molte
polemiche sui costi della sicurezza come sull’opportunità di allontanarsi troppo a lungo da Washington.
“Se fossi presidente io, in vacanza non ci andrei”, ha
detto la repubblicana Sarah Palin. Anche e soprattutto
perché Martha’s è ancora un luogo simbolo per il partito
bambini spengano gli schermi e
prendano in mano un libro. Davvero, la lettura farà molto per voi.
Prendete in mano quei libri ed
entrateci dentro.
*discorso agli studenti di
Washington
“Com’era bello
il cattivo gusto!”
darci indicazioni su come si muovono i politici nel mondo? Lo raggiungiamo al telefono mentre si
occupa di cose italiane. Ma non
rinuncia a dire la sua.
Olycom
15
DAGOSPIA
hi meglio di Roberto D’AgoC
stino, direttore del sito Dagospia ed esperto di “cafonal” può
ANGELA
MERKEL
Anche la
cancelliera
tedesca ha
offerto materiale
fotografico al
gossip mondiale.
A Ischia, in
costume,
secondo
Dagospia avrebbe
una mise migliore
dei tradizionali
completi con
giacca esibiti
nell’attività
politica
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
non si dovrebbe permettere neanche lontanamente…
Restiamo sugli amici di Berlusconi
nel mondo: cosa pensa di Vladimir
Putin e le sue foto in Siberia?
È una tradizione che viene da lontano, direi da Mao Tse-tung, e che
passa pure per Kennedy, con le
sue immagini curate e idilliache.
Naturalmente quelle immagini
del macho del Cremlino sono tutta una costruzione per dare
un’immagine di potere. Di uno
che tra l’altro vuole ritirare su una
specie di Urss.
Più propaganda politica che cafonal, allora?
Guardiamo come nasce il fenomeno. Molto prima di Dagospia
c’era il Borghese (la rivista di destra
fondata da Leo Longanesi e pubblicato dal 1950 al ’93, ndr). Loro
prendevano i
politici della
Prima Repubblica alle prese
con pasti sproporzionati.
Oppure pubblicavano la foto dei comunisti
sovietici.
Era un cafonal
un po’ ante-litteram, ma il
concetto è rimasto lo stesso
Putin non è
certo l’unico
politico che costruisce così tanto la propria immagine.
Ovvio, basta guardare qui da noi.
Da una parte c’è Renzi che è uno
che si fa fotografare oggi in bicicletta, domani con la racchetta
da tennis. Dall’altra la Boschi, sua
fedele adepta, di cui si commentano molto più le forme che l’azione politica. Anche tutte le storie
su un’ipotetica liaison tra i due è
semplicemente una questione di
immagine. È molto costruito…
Ma anche con Obama le cose non
sembrano troppo differenti?
Intorno a lui è tutto ipercontrollato, quasi peggio della Russia di
Putin. Per quello vedi solo Obama
in tenuta da golf oppure quando si
va a prendere un hamburger.
Cafonal di Stato?
Il cafonal è una cosa che se la provi
a bloccare da una parte ti esce
dall’altra. La gente vuole vedere i
potenti e famosi in mutande sulla
spiaggia, non glieli puoi mica togliere. Questo i politici più furbi
in fondo lo sanno.
@andreavaldambri
democratico.
INSOMMA, PER TROVARE IL CAFONAL, quello vero, i
potenti del mondo non sono più il massimo. Forse per
colpa della crisi, che riduce i conti pubblici e anche la
vanità. Forse per colpa dell’età. Per scoprire un cafonal
sempre verde, allora, è meglio dare un’occhiata al mondo dello spettacolo e al classico abbinamento calciatori-veline. Lì c’è tutto l’armamentario: spiaggia, vestiti
improponibili, costumi pacchiani, nudità e forme ritoccate. Soprattutto, ci sono gli immancabili selfie, che
pure piacciono molto al nostro Matteo Renzi. Come
quello di Cristiano Ronaldo e la fidanzata Irina Shayk,
russa e ovviamente modella, che sono a Mykonos a
scattare selfie per poi postarli subito sui social. Questa sì,
ultima frontiera del cafonal international.
16
AGENDO
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
PENSA COME MANGI
di Gian Luca Mazzella
PAESI TUOI
a cura di Silvano Rubino
[email protected]
La Val d’Orcia in piena forma
per una estate targata Unesco
RAMASSIN DELLA VALLE BRONDA A una
ventina di chilometri da Saluzzo, fra la Valle del
Po e la valle Varaita, c’è una piccola e caratteristica area dedita all’agricoltura pedemontana:
la Valle Bronda. Qua da secoli trova espressione
una delle migliori susine al mondo: denominata
“Ramassin” (Darmasin in altre vallate), riscoperta una decina di anni fa e oggi coltivata su
nemmeno una trentina di ettari. Il nome Ramassin pare alludere alla provenienza di questa varietà, ossia Damasco, antica città della Siria: fu
probabilmente portata dagli Arabi, insediatisi in
Piemonte intorno all’anno Mille. Fu però diffusa
nel nord-ovest dai frati Benedettini francesi. È
una pianta rustica, che non necessita di trattamenti particolari, ed è molto resistente al gelo, e
dunque particolarmente adatta ai terreni più impervi e alla coltivazione biologica. Proprio in questi giorni, e non per molti altri, si procede alla
raccolta manuale dei frutti che, essendo molto
delicati, si fanno cadere su reti sospese evitando
un contatto brusco col terreno, e poi vengono
trasportate in cestini. Questa susina minuta ha
colore blu-violetto, con buccia sottile, quasi trasparente. È molto profumata e gustosa: dolcissima, con polpa carnosa che si stacca facilmente
dal nocciolo. Si trova in vendita fra i 3 e i 5 euro al
chilo. Da provare fresca, ma anche essiccata o
trasformata in confettura (e in gelato), dato che
ha meno acqua di altre susine. Rispetto a cui ha
molta più fibra (7 grammi ogni 100 contro i 1,4 di
una susina normale), più vitamina C (9,4 mg
ogni 100 grammi contro 5 mg) e più antociani.
ltimi in ordine di tempo sono stati Langhe, Roero e MonU
ferrato, dichiarati dall'Unesco patrimonio dell’umanità. Ma ci
sono altri luoghi d’Italia dove il miracoloso equilibrio tra natura e
intervento dell’uomo costituisce un bene così prezioso da essere
inserito nella lista Unesco. Tra questi, la Val d’Orcia, scampolo di
terra toscana fatta di dolci colline disseminate di vigneti, oliveti,
cipressi che, grazie alla sua posizione strategica lungo la via Cassia,
ha conosciuto sviluppo e prosperità, in particolare tra Medioevo e
Rinascimento. Le testimonianze di quell’epoca ora sono bellissimi
borghi arroccati, rocche e abbazie. Il Parco Artistico Naturale della
Val d’Orcia, voluto da 5 comuni dell’area, racchiude già nel nome la
doppia valenza dei suoi obiettivi: tutelare e promuovere il patrimonio di natura e cultura (anche enogastronomica) di queste terre.
In quest’ottica si pone il Festival Valdorcia, che porta lo spettacolo
negli angoli più belli dei borghi: si parte il 27 con la classica dei Solisti
del MusicalGiglio e si prosegue lungo generi e artisti molti differenti, come il racconto su De André di Andrea Scanzi e Giulio Casale, la voce di Ginevra di Marco, il mix inedito tra musica, teatro,
fumetti e tradizione popolare di Sergio Staino, Maurizio Geri e Giacomo Tosti (sino al 15 agosto, www.parcodellavaldorcia.com). A poca
distanza, in un altro scenario incantato, tra le vestigia dell’abbazia di
San Galgano a Chiusdino (Si), comincia l’ Estate musicale”, con
jazz, classica, operetta (31 luglio-2 settembre, www.estatemusicalesangalgano.it). Sempre a Chiusdino, nella frazione di Ciciano, si disputa, in questi giorni, il Torneo di Palla Eh!, antichissimo gioco con
qualche analogia con il tennis moderno, abbinato con la Sagra del
Ciaccino (sino al 3 agosto, pallaeh.blogspot.it).
© Lunedì 28 luglio
Doppio Flavio
Sesto San Giovanni, Carroponte,
ore 21.30
www.carroponte.org
Due artisti, una sola passione: il
teatro canzone. Flavio Oreglio e
Flavio Pirini portano sul parco
del Carroponte “Non è un progetto – Canzoni e parole sparpagliate”, in uno spettacolo inedito in equilibrio tra musica, cabaret, riflessione e ironia.
A ROMA, all' “Eutropia Festival”al
Testaccio sono di scena i Tiromancino, con il tour che legato al disco
“Indagine su un sentimento” (ore
21, www.eutropiafestival.it)
© Martedì 29 luglio
Festival paradisiaco
Oristano, sino al 16 agosto
www.dromosfestival.it
“I giardini dell'Eden” è il tema della sedicesima edizione del “Dromos Festival”, che si svolge in una
delle zone della Sardegna dove di
bellezze da paradiso perduto ce
ne sono a bizzeffe: Oristano e
dintorni. Concerti con ospiti internazionali, ma anche mostre,
incontri e proiezioni. E l'appendice ferragostana, a Nureci, tutta
dedicata al blues.
È qui che si svolge il Festival
Valdorcia, che porta lo spettacolo
negli angoli più belli dei borghi
Si comincia con il latte di capra e
ai suoi derivati, come i formaggi,
con ricette e possibili abbinamenti. “Le delizie e le virtù della
Valle d’Aosta” è un ciclo di incontri dedicato ai sapori della montagna che prevede merende con i
cuochi e i produttori, mercati
agricoli, fiere eno-gastronomiche, conferenze.
GENOVA, AL PORTO ANTICO l'
“Album di famiglia” di Simone Cristicchi, in formazione acustica
(ore 21.30, www.portoantico.it)
© Giovedì 31 luglio
Sapori di montagna
Courmayeur (Ao), sino al 6 settembre
www.courmayeurmontblanc.it
Agropoli (Sa), sino al 3 agosto
www.messapp.it
Alborosie, Mannarino, Motel
Connection, Raiz & Almamegretta, James Senese & Napoli Centrale sono gli ospiti di “Messapp
Coast Festival”, che porta la musica nel Cilento. Possibilità di
campeggio in loco e anche di visite guidate nei luoghi di interesse naturalistico e archeologico. E,
ovviamente, a disposizione, lo
splendido mare e la natura della
zona.
MARCHE, Otto località fanno da
sfondo al “Monsano Folk Festival”,
rassegna dedicata alla musica popolare curata dal gruppo La Macina, in cui si mettono a confronto
gli autentici portatori della tradizione e quella dei vari gruppi ed interpreti del folk-revival (sino al 16
agosto, www.macina.net)
Sulle tracce dei briganti
© Mercoledì 30 luglio
A TREVISO, per “Suoni di Marca”, il festival musicale che anima
le suggestiva mura della città,
Edoardo Bennato in concerto e –
prima di lui, su un altro palcoscenico – Cisco (ore 19.30, www.suonidimarca.it)
li.
© Sabato 2 agosto
A tempo di lumaca
Edoardo Bennato
il 30 luglio
a Treviso
LaPresse
CONCORDIA
© Venerdì 1 agosto
Cilento in musica
A MAGLIE (Le) il Mercatino del
Gusto porta alla ribalta alcuni dei
migliori interpreti delle eccellenze
enogastronimiche pugliesi, con laboratori, degustazioni, dimostrazioni di cucina dal vivo (sino al 5
agosto, www.mercatinodelgusto.it).
BOLOGNA, nella Sala d'attesa
della Stazione un evento in vista
dell'anniversario della strage del
1980, con Piero Nissim che leggerà e canterà le sue poesie civili (ore
21)
Casumaro (Fe), sino al 10 agosto
www.lumacadicasumaro.it
Casumaro festeggia il suo patrono, San Lorenzo, con il suo piatto
tipico, le lumache alla casumarese, antichissima ricetta che le vede accompagnate da lardo e cipolla. E poi lumache fritte, tortelli
di lumache, risotto alla lumache,
ma anche altri piatti tipici. E molto altro, non solo per la gola.
Il meme
© UN PATRIMONIO
DI VALLE
la Val d’Orcia, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco
Basilicata, sino al 10 agosto
camminoninconanco.wordpress.com
Il cammino di Ninco Nanco, leggendario brigante lucano a cui
Eugenio Bennato ha dedicato una
canzone, parte da Menfi ed è un
trekking culturale di 140 chilometri in cui una quindicina di fortunati scopriranno il territorio e la
sua storia e incontreranno artisti,
visiteranno paesi, musei, castel-
BANDIERINA/CD
di
Pasquale Rinaldis
© © © Dieci stanze di jazz
Indigo Mist - “That The Days Go By...” - RareNoise Records
IL LORO PRIMO INCONTRO avviene all’Università di Washington, dove entrambi sono docenti: Cuong Vu, trombettista di
origini vietnamite noto per aver collaborato con Pat Metheny,
David Bowie e Laurie Anderson, oggi è una voce di primo piano
nella scena del nuovo jazz, mentre Richard Karpen è un rinomato pianista e compositore. Dal loro incontro,
con la complicità del bassista Luke Berman e del
batterista Ted Poor, è nata “una suite in 10 stanze”, intitolata That The Days Go By and Never
Come Again, dedicata ai grandi del Jazz. Un’opera ricca di suggestioni a cavallo fra jazz, elettronica e musica classica contemporanea.
© Domenica 3 agosto
Remando per la vittoria
La Spezia,
www.paliodelgolfo.it, ore 16.45
finalmente
arrivata
a Genova
di A. Asquini
Nato come disfida informale tra
barche da lavoro cariche di pesce
o di “muscoli” (i rinomati mitili di
queste zone), il “Palio del Golfo”
oggi è una partecipata disfida tra
le borgate di La Spezia e i paesi
del circondario, una gara a colpi
di remi tra 13 imbarcazioni rea-
lizzate dagli artigiani locali.
LA VERNACCIA DI ORISTANO,
vino bandiera della Sardegna, è
protagonista della sagra di Baratili
San Pietro, con degustazioni e momenti di folklore (www.comune.baratilisanpietro.or.it)
IL DENTE DEL GIUDIZIO
Furio
Colombo
di
La vita e il romanzo
del principe Lanza
e autrici di Mi toccherà ballare, l'ultimo prinL
cipe di Trabia (Feltrinelli) te lo rivelano subito. Sono la figlia, e la nipote di quell’ultimo
principe, Raimonda Lanza di Trabia e Ottavia
Casagrande. E per quanto il protagonista, Raimondo, sia molto noto (anche per una precedente biografia di Marcello Sorgi) come uno
straordinario personaggio di grandi avventure,
ti aspetti affetto e nostalgia e intravedi il rischio
della celebrazione. La vera sorpresa, in questo
libro in cui non manca né il personaggio straordinario né la vita avventurosa (al punto da essere poco credibile, se non fosse attentamente
documentata) è la mano di chi scrive, due donne colte e spiritose, con una vena narrativa piena e felice che non dipende (o dipende solo in
parte) dal rapporto personale e privato con il
loro personaggio, ma da una vera vocazione al
racconto. Mi toccherà ballare è tutto vero, lo abbiamo già detto. Ma è tutto romanzo, per il modo in cui chi scrive si innamora delle vicende
che narra e senti che ha il talento di dare vita a
ciò che sarebbe solo un ricordo.
D'ALTRA PARTE LA VITA del giovane principe
narrato (insisto sul “giovane” perchè la narrazione lo coglie intorno ai quindici anni e lo lascia
nel momento in cui misteriosamente muore, o
viene ucciso, poco dopo i trent'anni) è un tale
incontrollabile flusso di vita, di partecipazione,
invenzione, spettacolo, rischio e abbandono entusiasta a un’altra nuova avventura, che spazza
via il cordoglio e anche la cautela di una figlia
che narra, per dare vita a un testo che potrebbe
essere totalmente inventato. Infatti, leggendo, ti
rendi conto che lui, il padre, che figlia e nipote
riescono a ricordare solo come un ragazzo, è il
vero autore che ha depositato il suo manoscritto
in mani fedeli. Per fortuna del protagonista, le
sue narratrici sono amorevoli ma non sono adoranti. Non lo sono perché hanno avuto la capacità di cogliere, e vivere di nuovo, la strana e
unica impronta del loro padre-personaggio: un
divoratore di vita che vede benissimo il punto di
arrivo (la morte) e lo presenta vicino.
Ma questo non intacca la festa di un uomo immensamente ricco che non vive da ricco, di uno
che è al sicuro e non fa che sottrarsi alle sue
protezioni e privilegi per buttarsi in eventi anche grandi come la Storia (la guerra di Spagna,
all’inizio da fascista e poco dopo tra gli antifranchisti, i servizi segreti alleati, la guerra contro l’occupazione tedesca, la Resistenza ), che
attraversa, senza fermarsi, tutte le scene del
mondo, dall’industria, alle corse automobilistiche, al cinema e alle sue dive, al grande amore
(del tutto estraneo a un simile personaggio) per
poi fermarsi, presunto suicida, sul marciapiede
di un hotel romano. Ha fatto bene Feltrinelli a
scegliere la copertina avventurosa (giovane uomo con la pistola). Ma il libro è di più, e non
rinuncia a niente, dalla tenerezza filiale allo
sguardo chiaro, dal senso dell’umorismo
all’ambientazione di ogni evento in una storia
più grande.
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
APP&DOWN
L’ARTE DI COSTRUIRE
Stagione
di saldi
su Play
Store
aldi sì, ma senza la ressa
S
tra gli scaffali, le gomitate
dei più agitati, gli sguardi del
cliente che sta con il fiato sul
collo in attesa che quello arrivato prima molli la camicia
che sta ispezionando. E anche saldi senza la truffa delle
vecchie collezioni spacciate
per nuove. Se in inverno gli
utenti Apple sono abituati ai
consueti “12 giorni di regali
iTunes” (con relativa app apposita, ça va sans dire), gli
sconti questa volta li fa Google sul suo Play Store, dove
sono in offerta una serie di
prodotti.
Il pianeta Android offre una
OBITUARY
ualche mese fa il direttore di una rivista patinata di moda (anzi
Q
‘fashion’ che suona più ammiccante) e architettura, che si pubblica a New York mi chiese quale fosse il miglior architetto di Mi-
A 1,79 euro invece Zombies,
run!, un incrocio tra un’app
sportiva e un gioco (le sessioni di corsa diventano parte
di un game con tanto di voce
narrante e punteggi da e raggiungere). Offerte anche su
Star Chart (la mappa stellare,
utile nelle notti estive), e un
paio di app per il meteo (anche in questo caso, è il periodo più adeguato per usufruirne). Riduzione di prezzi
anche sui giochi: tra gli altri
Ice Age Village (l’Era Glaciale), Theme Park, Tetris Blitz,
Mushroom Wars, Bubble
Blaze.
lano. Sono pieno di dubbi, ma a una domanda come questa ci metto
meno di un secondo a rispondere: Alessandro Scandurra. Nel numero dedicato a Milano di quella rivista Scandurra non ci è entrato,
a causa dei tempi imperscrutabili dell’editoria ma poco importa
perché il suo talento e cultura lo porteranno comunque lontano.
Scandurra ha passato una parte della sua infanzia al Cairo, ha mosso
i primi passi come scenografo teatrale e televisivo, e come molti
milanesi, non è milanese. Ha firmato negli ultimi anni alcuni dei
progetti più intelligenti che si siano realizzati in Italia: a Vicenza la
ristrutturazione del Museo Palladio, dove, nel solco della grande
tradizione della museologia italiana, mobili leggeri, vetrine, proiezioni digitali e luci si inseriscono con grazia all’interno di un edificio
storico. Il secondo progetto è l’Expo Gate : due padiglioni a sezione
triangolare, costruiti con una struttura leggera in vetro e acciaio,
collocati davanti al castello Sforzesco a Milano e che servono per
fornire informazione e accogliere attività legate alla prossima Expo.
Scandurra ha mescolato numerosi elementi tipici di Milano: le guglie del Duomo, i castelli neoclassici che segnavano l’accesso alla
citta, come a Porta Venezia, e le prospettive in asse. Lo potete trovare, più o meno ogni giorno, sul posto dove incontra cittadini e
visitatori per rispondere alle loro domande sul progetto.
Diletta Parlangeli
Valentin Blum
Periodi di sconti per le App Android
lista di app - da tenere d’occhio, offerte e tempi sono variabili - fino al 65% in meno,
e qualche prova gratuita. Ricca la sezione dell’area sport e
benessere. Trenta giorni di
prova a costo zero per esempio per Endomondo, l’app studiata per corse, ciclismo, trekking e altri sport (mappa dei
percorsi, agenda allenamenti,
e funzioni varie). La serie di
versioni di Runstatic (Pro,
Sit-Up, Mountain Bike Pro,
Push-Ups Pro), che aiutano
l’utente in varie tipologie di
allenamenti, sono disponibili
in download con sconti dal
40 al 60%.
EUREKA!
L’apartheid normale
svelato da Gordimer
Quel gran gene
del mio amico
adine Gordimer, premio Nobel 1991, scomN
parsa lo scorso 14 luglio, è stata sicuramente
la voce più affascinante e imperiosa della lette-
nteressi e valori simili o lo stesso stile di
I
vita. Sono questi, crediamo, a guidarci nella scelta degli amici. Invece c’è anche qual-
ratura sudafricana in lingua inglese, dedicando
tutta la sua vita alla letteratura ed alla lotta contro
l'apartheid. A World of Strangers (Gollancz, Londra
1958), uno dei suoi primi romanzi, offre un quadro lucido della società sudafricana regolata dalla
segregazione razziale. Il romanzo, vietato in Sudafrica per dodici anni, narra le vicende di un giovane inglese, Toby Hood, giunto a Johannesburg
come rappresentante della casa editrice di famiglia, determinato a rifiutare qualsiasi posizione
politica. Il suo punto di vista cambierà dopo l’incontro con Anna Louw, avvocato che si batte in
difesa dei diritti degli africani di colore e soprattutto con Steven Sitole, un nero ribelle con cui
nascerà una profonda amicizia. Toby inizia così a
condurre una doppia vita: da un lato continua a
frequentare la ricca società bianca e la sua amante
Cecil, bella e superficiale, e dall’altra approfondisce la sua amicizia con i nuovi amici di colore,
che per le leggi razziali sarà costretto a frequentare
di notte. La morte di Steven in un incidente d’auto
mentre tenta di sfuggire a una retata della polizia
sarà un colpo tremendo per Toby, che continuerà
a rafforzare le sue amicizie con altri compagni neri e maturerà la sua determinazione a restare in
Sudafrica. La Gordimer arriva al cuore dei suoi
personaggi che non sono semplicemente figure
d’invenzione, ma il riflesso di ciascun lettore che
pian piano scopre, anche non avendo esperienza
diretta della terribile realtà dell’apartheid sudafricana, che divisione, ignoranza e razzismo hanno un aspetto in qualche modo familiare.
Adele Marini
LE BUONE PRATICHE
Domenico
Finiguerra
17
Il miglior architetto
di Milano: Scandurra
LIBRI RARI
di
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
L’invasione della plastica
si può combattere
’isola che non c’è” esiste davvero. Ma non
L
illudetevi, voi eterni ragazzini in calzamaglia: Peter Pan deve purtroppo restare nella
vostra fantasia.
Perché “l’Isola che non c’è” è fatta di plastica.
Si trova nel Pacifico e non è altro che un’enorme chiazza di “munnezza”, un enorme agglomerato di spazzatura galleggiante. Se volete
andare a cercarla dovete fare rotta indirizzando la vostra prua verso un punto compreso tra
il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il
42º parallelo Nord.
È enorme. Si stima che potrebbe essere vasta
tra i 700.000 km² e i 10 milioni di km². Ovvero,
le stime più prudenti dicono che è grande più
di due volte l’Italia.
Ed è anche molto pesante. Tra i 3 milioni e 100
milioni di tonnellate. Ma non affonda, perché
è appunto di plastica, miliardi di frammenti.
Quell’isola, che tra l’altro potrebbe non essere
l’unica, è lo specchio del nostro modello di
sviluppo. Del nostro sistema di produzione,
del nostro consumismo e della nostra “deficienza” di intelletto. Ci crediamo homo sapiens, addirittura homo sapiens sapiens. Ma
non siamo null’altro che dei pessimi e irresponsabili abitanti del pianeta. I peggiori.
Consumiamo risorse e produciamo rifiuti
noncuranti dei diritti di chi vivrà questo nostro stesso pianeta negli anni futuri, i nostri
figli e nipoti. In definitiva siamo quindi anche
dei pessimi genitori.
Ma è possibile fermarsi e cambiare “rotta”? In
questo caso, è possibile fare a meno della plastica? Una risposta di semplice buon senso sarebbe questa: se l’uomo sopravviveva prima
dell’avvento della plastica può benissimo farcela anche senza sacchetti in polietilene e bottiglie in PET e PVC. Mica stiamo parlando
della penicillina!
Però l’homo sapiens è comodo, molto comodo. E sarà molto dura, dobbiamo essere realisti. Per eliminare completamente la plastica,
al livello cui siamo giunti (provate ad immaginare in quante azioni quotidiane incontrate
la plastica: dalla radiosveglia sul comodino, al
monitor del vostro pc, dal cruscotto dell’auto
al sedile dell’autobus, dal tubo dell’acqua allo
scarico verso la fogna) ci vorranno secoli.
Intanto però possiamo almeno smettere di disperderla (visto che stiamo parlando di un materiale che per essere prodotto ha bisogno di
risorse ed energia)?
Potremmo partire dai detersivi. Quanti flaconi
di detergenti, sapone liquido, ammorbidente
consumiamo e gettiamo all’anno? È impossibile riutilizzare lo stesso contenitore?
Non sarà difficile trovare il distributore di detersivi alla spina più vicino a casa vostra.
Basta andare sul sito: http://millebolle.iport.it
Ma questo non basta. Purtroppo. Perché
“L’isola che non c’è” è sempre li. Possiamo fermarne la crescita (ed è già questa un’impresa),
ma per provare a ripulirla, forse abbiamo bisogno di evolverci: in homo responsabilis.
cos’altro a legarci agli amici più cari: i geni.
Uno studio dellaYale Universitye dell’Università della Californiadi San Diego, pubblicato su Pnas, dimostrerebbe infatti che gli esseri umani scelgono di passare più tempo con
gli individui che gli somigliano geneticamente. Per dirlo, gli scienziati hanno analizzato il
Dna di 1932 persone, con particolare attenzione alle varianti genetiche presenti nel loro genoma, ovvero
alle variazioni del materiale genico a carico di un unico nucleotide, un singolo “mattoncino base” del Dna. Si tratta di
mutazioni che possono incidere sullo sviluppo di patologie o
sulla risposta che l’organismo dà agli agenti chimici esterni.
Osservando il genoma dei partecipanti i ricercatori si sono così
accorti che le varianti genetiche erano identiche per circa l’1% a
quelle dei loro migliori amici, percentuale che può sembrare
piccola a degli occhi non esperti ma che per i genetisti è piuttosto
significativa. Gli scienziati hanno anche sviluppato una “scala di
amicizia”, che indica quanto è probabile che due persone diventino amiche sulla base del loro Dna.
A somigliarsi, nelle persone che risultano ai vertici della classifica, sono spesso le varianti genetiche che riguardano il senso
dell’olfatto e - ad esempio - meno quelle che riguardano l’immunità rispetto a specifiche malattie. “Questo potrebbe indicare
che è vantaggioso per gli amici avere lo stesso senso dell’olfatto
ma non le stesse difese contro le malattie”, spiegano gli autori.
“Uno degli aspetti più interessanti dello studio è che queste
varianti genetiche sono anche quelle maggiormente attive a
livello evoluzionistico”. Come a dire che i geni che condividiamo con i nostri amici sono quelli che evolvono più in fretta
nel tempo, in modo da essere più “adeguati” ad eventuali nuove
necessità. “Gli esseri umani sono una delle poche specie nelle
quali un singolo individuo ha relazioni a lungo termine con altri
individui non solo per motivi riproduttivi”, ha detto in particolare James Fowler, tra gli autori dello studio. “Ora abbiamo
scoperto che questo tipo di affiliazione potrebbe essere importante anche dal punto di vista genetico, per la longevità della
specie”.
Laura Berardi
BANDIERINA/EVENTI
di
s.c.
© © © Celestini sbarca a Lampedusa
Sabir, Festival culture mediterranee, Lampedusa
DAL 1 AL 5 OTTOBRE, si terrà a Lampedusa, Sabir, il Festival
diffuso delle culture mediterranee, promosso da Arci, Comitato 3 ottobre e Comune di Lampedusa, con il patrocinio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Rai.
Sabir, che dà il titolo al festival, era un idioma parlato in tutti
i porti del Mediterraneo dal Medioevo fino a tutto il XIX
secolo. Durante i 5 giorni del festival si alterneranno dibattiti
con ospiti internazionali, laboratori, eventi teatrali e musicali,
spazi dedicati alla letteratura. La direzione artistica degli
eventi teatrali è affidata ad Ascanio Celestini, mentre per gli
eventi musicali la direzione artistica sarà di Fiorella Mannoia.
L’uomo
della
grande
Samp
di Giulia Zaccariello
[email protected]
SPORT VERO C'è un'immagine, vecchia di oltre
vent'anni, che in questi
giorni è riapparsa sui giornali e sui siti sportivi. E che
racconta forse più di ogni
altra chi era Paolo Borea.
Lo ritrae sorridente, in
mezzo ai gemelli del gol
della Sampdoria, Gianluca
Vialli e Roberto Mancini,
che lo abbracciano. Ecco,
nel colpo d'occhio della foto, c'è tutto Borea. Signore
del calcio. Direttore sportivo e maestro dei talent
scout. Un po' dirigente, un
po' fratello maggiore. Scopritore di talenti dotato di
passione e sensibilità. E di
un intuito particolare,
quello che non s'impara,
ma si ha nel dna. A Genova
ricordano ancora il suo
parlare pacato e gentile, a
tratti deciso, e quell'accento modenese, che non
scomparve mai, nemmeno dopo 10 anni alla Samp.
Era per tutti il Dottore.
Schietto e corretto, come
ogni sportivo dovrebbe
essere, fu insieme all'altro
Paolo, il presidente Mantovani, l'artefice del capolavoro. Quello scudetto
vinto nel 1991, con Vujadin
Boskov, che portò la Sampdoria sul tetto d'Italia. A
sigillo di un'epoca calcistica magica, che non sarebbe tornata più. Borea se ne
è andato a 77 anni, per un
malore che lo ha sorpreso
mentre si trovava nella sua
casa a Milano Marittima.
Ferrarese di nascita, ma
modenese d'adozione, alla Sampdoria arrivò nel
1982, dopo tre anni al Parma e una stagione al Bologna. Ci rimase per 15 anni, prima come direttore
sportivo, poi come direttore generale. Insieme a
Mantovani, costruì una
squadra in grado di unire
la fantasia dei giovani alla
solidità dei giocatori più
esperti. Regalò il sogno alla tifoseria blucerchiata. E
consegnò alla storia italiana il mito della coppia
Vialli-Mancini, affiatata
dentro e fuori dal campo.
Erano i tempi del pallone
spinto dal cuore, più che
dai contratti milionari.
Con una parte del calcio
ancora ben lontana da
scandali giudiziari e mediatici. “Borea è stato uno
dei migliori dirigenti di
sempre” lo ricorda oggi
Mancini. “Ora lei, il presidente e Vujadin sarete insieme a parlare di calcio e
della nostra Samp”.
18
DALLA PRIMA
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
MA MI FACCIA IL PIACERE
EDITORIALE
di Marco
Niente
avversari
e arbitro
amico
di Ferruccio Sansa
llarme! Una nuova squadra si
A
è iscritta alla serie A. Non è
stata promossa dalla B. Ha vinto
solo il campionato dilettanti di Firenze, ma il presidente giura che la
maggioranza degli italiani tifa per
lui. Autocertifica che lui è bravo.
Anzi, il migliore. Addirittura
l’unico. La squadra? Basta con i
Pirlo. Servono giovani, meglio se
non sanno una mazza di pallone
(anzi, se magari non hanno mai
fatto un fico). L’essenziale è l’entusiasmo. E la fedeltà al presidente. Lui ha capito come gira. Per essere sicuro di vincere si è alleato
con le squadre avversarie. Non
importa che i tifosi non lo sapessero, che già si preparassero per il
derby. Curva contro curva? Roba
superata. Basta con le rivalità, con i
campanilismi. È tempo di pacifi-
cazione. Bianconeri, rossoneri,
rossoblù, giocheranno tutti insieme. Fanno più colore tutte le maglie confuse. E poi cheppalle i
campi vuoti, le partite piene di
tempi morti. La nuova squadra
avrà 3 portieri, 16 difensori e 28
attaccanti. Gli avversari? Sono
passati quasi tutti in questa metà
del campo. A difendere l’altra porta sono rimasti i soliti rancorosi,
quelli che vogliono per forza essere divisi, che difendono bandiere
superate, che odiano lo spettacolo.
La gioia, il divertimento. I gol, ecco il senso del calcio, non importa
chi li segna. Evviva il fuorigioco!
Ma il regolamento? Non è un problema. Il presidente si è messo
d’accordo con il proprietario
dell’ex club avversario, sì, quello
condannato per frode fiscale, accusato di truccare le partite. Acqua
passata, bisogna perdonare. E poi
anche lui è simpatico e gli piace la
figa. Che non guasta. Più allegria,
più folklore, più tette per tutti. È
deciso: da oggi se vinci una partita
ti porti a casa il campionato. Scegli
i guardialinee, i giudici della Federazione. Magari i direttori della
Domenica Sportiva. I tifosi? Si
convinceranno, e poi cambieranno casacca. Non c’è gusto a tenere
per chi perde.
Ci sarebbe un ostacolo: l’arbitro.
Ma non è un problema. Ha novant’anni, da cinquanta non esce
dal campo, ma giura di sgambettare come un ragazzino. Comunque le azioni gliele racconta il presidente. E in ogni caso l’arbitro ha
già deciso: basta con la difesa, con i
portieri. Non sono sportivi. Tolgono entusiasmo, ci fanno perdere la Champions, l’Europa.
Siete terrorizzati? Siete pronti a
mollare l’ombrellone per scendere
in piazza? Tranquilli. Scherzavamo. È solo il primo ministro che
non è mai stato votato, che non
aveva detto di voler cambiare le regole della democrazia. Che aveva
giurato di essere avversario di Berlusconi e invece ci si è alleato. È
solo il presidente della Repubblica
e non l’arbitro Rizzoli che è sceso
in campo per ammonire gli avversari. Non parlavamo del regolamento Figc, ma della Costituzione. In gioco non è il campionato,
ma la vostra vita. Tranquilli.
il Fatto Quotidiano del lunedì
a cura di
Ferruccio Sansa
con Salvatore Cannavò, Alessandro
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Progetto grafico Paolo Residori
Grafica Fabio Corsi
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Editoriale il Fatto S.p.A.
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Consiglio di Amministrazione:
Luca D’Aprile, Peter Gomez,
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Travaglio
Er Fogna. “La giustizia italiana è un di-
sastro, una fogna mondiale” (Enrico Morando, Pd, viceministro dell'Economia, Il
riunire i moderati” (Libero, 24-7). Foglio, 24-7). Per uno che sta in ParlaOra che gliene andato bene uno, di ap- mento e/o al governo dal 1994, cioè per
vent'anni, è una bella soddisfazione. Mispello, s'è innamorato della parola.
Mai più senza. “I futuri senatori già pen- sione compiuta.
sano ai loro portaborse. La riforma pre- Balla coi Lupi. “Alitalia, Lupi attacca: 'Solo
vede il taglio dello stipendio dei par- un marziano può capire i sindacati'” (La
lamentari, non dei loro assistenti. E i Stampa, 27-7). O eventualmente un laconsiglieri regionali si stanno organiz- voratore. Dunque, non Lupi.
zando. Dalla Lega al Pd, chiedono che Vaffanculla. “Berlusconi ha cercato insiano confermati i loro 'collaboratori': vano di soffocarci nella culla” (Enrico
'A Roma ci servirà una mano'” (Corriere Costa, Ncd, l'Unità, 27-7). Poi ha scodella sera, 21-7). Quattro mani rubano perto che non eravamo mai nati e ha
lasciato perdere.
meglio di due.
Errani huanum. “Errani, addio con orgo- Compro una vocale. “Alfano a Renzi: 'Tra
mille ci separiamo'” (dai giorglio: 'Fiero del lavoro fatto'.
nali del 27-7). O ci spariamo.
Le dimissioni e il commiato
del presidente uscente dell'EInquietante. “Attacchi al Quirinale e al premier. Un caso le
milia Romagna dopo la condanna a 1 anno per falso
parole del pm Di Matteo:
'”Renzi tratta con un condanideologico. L'aula tra applaunato'. Le reazioni: inquietante,
si e commozione” (l'Unità,
24-7). Si aspettavano l'ergafa politica” (Corriere della sestolo.
ra, 20-7). E dice addirittura la
Porcellum. “Una scrofa giverità.
gante mi insegnò a scrivere”
Manconi, che fare? “Il giudice
(Beppe Severgnini, Corriere Silvio Berlusconi LaPresse apre le braccia al più incallito
della sera, 24-7). Dai, Beppe,
delinquente, Berlusocni prola battuta fattela tu.
clama Marco Travaglio il più bravo giorEr Cloaca. “Immigrazione, non saremo la nalista italiano, Gesù lava i piedi alla pecdiscarica d'Italia. Malattie scomparse, ne- catrice, il generale va a cena col lenone,
gli ultimi mesi sono tornate. A Treviso è l'erudito ama intrattenersi con l'analfamorta una donna di tubercolosi” (Luca beta di ritorno...” (Luigi Manconi, senaZaia, Lega Nord, governatore del Veneto, tore Pd, Il Foglio, 22-7). E anche questa
Libero, 25-7). Pare che qualcuno si sia settimana Manconi non se lo fila nessuno.
addirittura preso la zaia.
A
ppelli. “Silvio prepara l'appello per
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PRIMEPAGINE (PER BAMBINI)
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
19
MAMMAMONDO
UNA CASETTA PER GRANDI PENSIERI
Non ci vogliono fatica e soldi per costruire un gioco che si ricorderà. Basta un po’di cartone. Il resto ce lo mette la fantasia. Dei bambini e dei grandi, quando hanno tempo e voglia di stare insieme.
DISEGNA PER NOI
Disegna le notizie del mondo e della
tua città che ti hanno colpito. E inviale a [email protected]
Le metteremo sul sito
diario
di una madre
qualunque
Il nostro
primo
distacco
di Maria Valeria Valerio
C
LASCIATE CHE I BAMBINI
La danza infinita di Matisse
di Tomaso Montanari
Henry Matisse, La danza, seconda versione,
1909-11. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
L’ERMITAGE, IL CALORE DEI MUSEI
Dimenticate il caldo torrido e gli acquazzoni
improvvisi di questa estate impazzita. Immaginate l'inverno più rigido.
Ma non quello italiano: quello russo. Immaginate le strade di San Pietroburgo: fuori
ci sono dieci gradi sottozero, e il vento vi
sputa in faccia la neve. E immaginate di entrare in un museo: nel museo più bello del
mondo, l'Ermitage. Una volta dentro, il calore dei colori ti scioglie, mentre ti perdi su
un vecchio parquet scricchiolante. Già, perché una delle cose belle dei musei è che ti
proteggono: dal caldo, dal freddo, dal dedalo
delle strade, dalla fretta, dall'indifferenza.
Un museo è uno spazio liberato, gratuito,
umano. Un pensiero in cui poter entrare, un
desiderio da abitare.
Solo in un museo come l'Ermitage puoi passeggiare tra le emozioni, fermarti di fronte
ad una sensazione, sederti tra due ragionamenti, abbandonarti ad un’associazione di idee.
Oppure puoi finire proprio in mezzo ad una danza.
Una danza di tre colori: «l'azzurro del cielo, il rosa
dei corpi, il verde della collina», spiegò lo stesso
Matisse, il pittore che aveva creato questa danza
senza fine. Per una di quelle strane associazioni da
museo, ogni volta che all’Ermitage sono finito di
fronte alla Danza – così indimenticabilmente colorata, quando fuori dal vetro tutto è bianco di neve
e ghiaccio – ho pensato che il suo titolo vero dovesse
essere: «Grazie». Immancabilmente – e senza alcuna
necessità – associo quel quadro
ad una delle pagine più belle
della Bibbia. Dopo che il Mar
Rosso inghiottì l’esercito del
Faraone, Miriam, la sorella di
Mosé e Aronne, «prese in mano
un cembalo: dietro a lei uscirono le donne con i cembali,
formando cori di danza.Miriam fece loro cantare il ritornello: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato:
ha gettato in mare cavallo e cavaliere!”».
Era un grazie radicale: un grazie per la salvezza, per la vita,
per la libertà di un popolo oppresso. Un grazie crudele: senza pietà e senza remore. Un grazie senza freni. Per questo non
bastava dirlo, e nemmeno cantarlo: bisognava danzarlo.
Ed è bello voler danzare, ogni
giorno, il nostro grazie alla vita.
Non c'è bisogno di particolari successi, felicità, vittorie: basta la gioia di essere nel caldo di un museo, in
mezzo ad una città gelata. E se è bello voler danzare,
è meraviglioso poterlo fare con i colori e la forza
selvaggia della Danza di Matisse. La nostra danza
quotidiana.
iao mamma”. Ci siamo
salutati tante volte,
Luca ed io. Ma oggi è diverso: è la prima volta che
a partire è lui. Lo guardo
che sale sul pullman dei
boy scout, vedo i suoi capelli spessi, forti, che mi
pare di toccarli. Vedo lo
zaino colorato sulle sue
spalle, proprio lo stesso
che usavo io, che ho portato con me in tanti viaggi
di ragazza. Ci ho messo
tutta la notte per riempirlo, sperando che in ogni
oggetto ritrovasse un mio
gesto. Un pensiero.
Come passa veloce. Ricordo le partenze d’estate, i
saluti alla stazione, all’aeroporto, quando mi avviavo e sentivo sulle spalle lo
sguardo dei miei genitori
che mi proteggeva e mi
sospingeva. Era come un
testimone da conservare e
restituire al ritorno.
Ora siamo mio marito ed
io a guardare Luca. A chiederci quale sia il ruolo più
pesante. Se quel senso di
sottile tradimento, di colpa che ti accompagna alla
partenza. Oppure la sensazione di abbandono, di
impotenza di chi resta.
Mi ricordo due dei miei
quadri preferiti, “Gli stati
d’animo” di quel genio
straordinario che era Umberto Boccioni. “Quelli che
restano” e “Quelli che
vanno”. Non si distinguono chiaramente le persone, ma si intuiscono figure
appena accennate, piegate, deformate forse dalla
velocità, dalla distanza.
Dagli stati d’animo, appunto.
Si intuisce lo slancio, ma
anche il peso che si deve
vincere. Come un prezzo
da pagare. I colori cadono
giù verticali, come pioggia
che ti impregna dentro.
Ma tutte queste cose non
possiamo dirle a Luca.
“Sarà bellissimo”, è il solo
messaggio che possiamo
dargli. Ed è vero: le prime
sere con gli amici, i falò
sotto le stelle, i boschi da
perlustrare con il desiderio e la paura di perdersi.
Sarà bellissimo, anche se
ci allontanerà un po’. E non
basterà raccontarselo.
Tutto il resto non si può
dire. Deve bastare la certezza di sentirlo, ma di doverne ognuno portare da
solo una parte. Luca lo sa,
gliel’ho letto negli occhi
che si sono spalancati appena il pullman si è mosso.
Anche questo misura la
distanza: lo spazio che ci
separa, ma soprattutto
quello che ci unisce.
ilfattoquotidiano.it/blog /
mammamondo
20
LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014
VIVARIO
Meriggiare
pallido e
assorto
di
Maurizio Maggiani
TAM TAM
Vivere
senza
maschera
di Marina Valcarenghi
Q
uando una persona viene presa in considerazione non per la sua personalità, ma per il suo personaggio, è possibile che poco per
volta sfumi i tratti del suo carattere e perda via via consistenza e sicurezza. Dimentica allora chi è o chi potrebbe
diventare, nascosta da una
maschera (anche da diverse
maschere a seconda del contesto) e alla fine si confonde e
non sa più chi è e che cosa
vuole davvero. Ecco la maschera dell’isterico violento,
della ragazzaccia, dell’intellettuale tormentato, del sex
symbol, della signora “bon
ton”, del “cucador” e così via.
Le mode sono leggi non scritte ma talvolta vincolanti e
orientano non solo i consumi,
ma l’evoluzione dell’intera
personalità. Chi nel proprio
ambiente risulta fuori moda,
finisce fuori corso: i contesti
sono diversi ma animati dallo
stesso rigore conformista: ci
si veste in questo modo, si
frequentano quei posti, si
ascoltano quelle musiche, si
usa quel gergo. Molti sembrano più impegnati a confondersi nel branco che a valorizzare le loro diversità e così si perdono di vista.
A volte la maschera è imposta dal ruolo sociale o politico, o da esigenze pubblicitarie, esistono persino degli
esperti per queste mìmesi
che costruiscono i personaggi e annullano le persone. È
vero che anche privi di maschere possiamo essere ragionevolmente incerti della
nostra identità, traditi dalle
tagliole dell’insicurezza e
dell’autoinganno, ma c’è una
differenza fra una persona
che vede se stessa con particolari tratti caratteriali, segnata da esperienze diverse,
con una visione personale
della vita e animata da desideri che da tutto questo traggono origine e una persona
che vede se stessa come un
prodotto da immettere sul
mercato. Questa inconsistenza della personalità influisce anche sul rapporto
d’amore, su qualunque rapporto d’amore: per amare è
necessario esserci ma, con la
maschera incollata addosso,
chi ama chi?
ilfattoquotidiano.it/
blog /mvalcarenghi/
C
L’ULTIMA PAROLA
'è un posto di Riviera che si chiama
il Salto della Lepre. Io sono lì, seduto
su una panca di legno di ferrovia arrembata alla trincea di sasso vivo di un
orto lasciato ai rosmarini.
È un meriggiare pallido e assorto, non
c'è che dire. Sul pino nerboruto e dritto
che è cresciuto accanto alla panca - o
viceversa, forse - una cicala frinisce con
tanta impudente pervicacia da farti dare di volta al cervello. Di meditare neanche a parlarne, posso solo guardare, le
palpebre socchiuse contro l'ardente
sbarluccicare del mare laggiù Mediterraneo, guardare e contare le creature
che popolano la costa che scende a mare in eleganti, rapidi balzi di lepre. Costa
di piane dirotte, tenute in bilico dalle
macchie di leccioli screziate di stipa in
fioritura rosa e bianca. Qua è là, semi
clandestine, piane tenute a vigna, vitigni che strisciano intorcignati, annodati dai libecci invernali. Ulivi inselvatichiti, ghiacciati e rinati, corruschi ma
ancora floridi padroni di chiudende
mezzo sfondate dall'edera, una siepe di
IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ
canne attorno alla traccia fossile di un
rio. Una riga di pini sul crinale, altissimi,
le chiome spogliate dalla processionaria e dall'incendio, vivi in qualche modo.
Un'agave cresciuta alla porta di una baracca di selci, e fichi d'India agli orli di
conche asciutte. Tre cipresse, tre frecce, un orto di limoni custodito in un
recinto di reti cavate via dai letti proprio
sull'ultima balza prima che la falesia si
precipiti a mare. E si alza il maestrale,
sottile un filo di refe, come se passasse
un'anima.