Pdf Opera - Penne Matte

Lo svegliò il cane. Il cane della vecchia. L’effetto di quello che aveva fumato
quella notte stava finendo, evidentemente. Il cane stava piangendo sul cadavere
decapitato della sua padrona. La testa era stata poggiata sulla mensola della
cucina, tra una vecchia foto incorniciata e un trofeo di caccia. La vecchia stringeva
ancora tra le braccia la bambina. Morta anche lei. Il volto e il corpo deturpati da
strane piaghe. A terra intorno a loro il padre della bambina, la madre e i suoi due
fratelli. Tutti morti. Chi fatto a pezzi, chi gonfio come se una strana malattia lo
avesse divorato da dentro. Fino a qualche ora prima stavano tutti bene.
Roy si alzò dal divano sul quale aveva passato la notte. Si alzò e cadde
subito a terra, scivolando sul sangue. Vomitò tutto quello che aveva in corpo. Si
sentiva ancora debole. Debole e confuso. Confuso come poche volte era stato
nella sua vita. Uscì da quella casa. Il piccolo villaggio, trecentosessantasette
abitanti diceva il cartello che dava il benvenuto ai rari visitatori, era stranamente
silenzioso per essere mattina inoltrata. Si sentivano solo i cani. Decine di cani.
Abbaiare, latrare, piangere. Roy camminò per le poche strade di quel villaggio,
fino alla piazza. Erano tutti morti. Tutti. Alcuni impiccati. Ai balconi, ai lampioni,
alle insegne dei negozi. Altri fatti a pezzi da dio solo sa cosa. Altri erano gonfi,
piagati, come se un male terribile se li fosse portati via in poche ore. Alcuni erano
stati freddati a fucilate, altri erano abbracciati. Si erano sbranati a vicenda,
sembrava. Nella piazza c’erano cumuli di cadaveri, ammucchiati come sacchi di
spazzatura.
Roy rimase immobile a guardare quello spettacolo apocalittico. Immobile e
incredulo. Per alcuni lunghi, lunghissimi minuti. Era ancora intontito. Lo avevano
drogato pesantemente la sera prima. Cadde in ginocchio, tremando. Sentiva solo i
cani abbaiare. Sentiva solo il vento del deserto arrivargli addosso. Stranamente
freddo. Irrealmente freddo. Poi quel rombo che conosceva bene. Avvicinarsi alle
sue spalle, dalla main street. E quella musica. Conosceva bene anche quella. Come
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aveva fatto a trovarsi in mezzo a quel macello? Non avrebbe dovuto trovarsi lì.
No. Non avrebbe dovuto. Non avrebbe dovuto avere niente a che fare con quei
quattro. Com’era iniziato tutto?
Non avrebbe voluto accettare quel passaggio. La sua auto si era fermata. Il sole
del deserto, la cattiva manutenzione, i troppi anni di quel vecchio catorcio, la
sfortuna, il destino… quel che fosse, la sua auto si era fermata. In mezzo al nulla.
Deserto a destra, deserto a sinistra. Deserto davanti, deserto dietro. L’ultima
stazione di servizio se l’era lasciata alle spalle dieci, quindici miglia prima. La
prossima ci sarebbe stata, valutava, non prima di altre venti. Dieci, quindici miglia
sotto quel sole pomeridiano sarebbero state un suicidio, e ultimamente non era
in forma. Non era in forma per niente.
Aveva trentanove anni, e aveva ripreso a fumare da poco. E aveva smesso di
fare sport. Quella passeggiata l’avrebbe fatta, se necessario, la mattina dopo, al
sorgere del sole. Sarebbe passato qualcuno per quella strada dimenticata in
mezzo al deserto? Tutto dipendeva da quello. Passarono le ore. Nessuno. Roy
ebbe tutto il tempo di ripensare a come era finito in quel nulla infuocato.
Nell’ultimo mese aveva perso il lavoro. Impiegato in una ditta edile. La crisi non li
aveva risparmiati. Tagli del personale superfluo. E dopo vent’anni si trovava
disoccupato. Alle soglie dei quaranta. La sua donna lo aveva lasciato dopo
neanche una settimana dal licenziamento. Se la faceva col suo superiore da
tempo. E ora avevano deciso di ufficializzare la cosa. Lo sapevano tutti. Tutti
tranne Roy. Del resto doveva immaginarselo. Troppo giovane e troppo bella per
lui.
Aveva venduto ogni cosa. Ogni cosa. Il piccolo appartamento, la sua collezione
di vinili… tutto. Quello che gli rimaneva della sua vita era uno zaino con il suo
contenuto, cinquantamila dollari alla National Bank e quella vecchia auto. Ora
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neanche più quella. Cambiare aria, cambiare costa, cambiare vita. Riniziare. Solo
questo poteva fare. Un viaggio coast to coast, con la sua vecchia auto. Un viaggio
che aveva sognato da sempre. Un viaggio che gli aveva fatto bene. Ma la sua auto
lo aveva piantato nel deserto, con quattro quinti di strada già percorsi.
Nessuno per sei ore. Solo il vento del deserto, caldo e monotono. Il sole stava
quasi tramontando quando lo sentì. Dapprima lontano, poi sempre più chiaro,
sempre più vicino. Era una moto quella che si stava avvicinando, un chopper per
la precisione. Veniva da dove era arrivato lui. Roy si mise in mezzo alla strada e
iniziò a muovere le braccia. Il motociclista rallentò e gli si fermò a pochi metri. Era
di una magrezza aberrante. Non molto alto. Lucidi capelli neri scendevano
lunghissimi da quel volto scheletrico, fin sotto le scapole. Giubbotto di pelle,
calzoni di pelle. E quei calzoni attillati mostravano nitidi i contorni delle ossa.
C’era qualcosa di malato in quell’uomo dall’età indecifrabile; poteva avere trenta,
quaranta o cinquant’anni… non riusciva a inquadrarlo. Il motociclista lo guardava
in silenzio, in un modo che a Roy stava facendo gelare il sangue. La mano gli
scivolò istintivamente nella tasca del giubbotto, a cercare il calcio della sua
pistola. Il motociclista scoppiò allora a ridere. Un riso sguaiato. Spense il suo
chopper e, sempre ridendo, scese.
- Non hai da temere nulla da me, puoi lasciar perdere quella pistola.
Roy rimase immobile. Come aveva fatto a capire che aveva una pistola?
- Oh non ti stavo guardando male sai. Solo… ero stupito. Sono stupito. Vedi
quell’ammasso di rocce laggiù? Sì, quelle lì. Ecco… ho un appuntamento con
gli altri questa sera. Proprio lì. Sono venuto un po’ prima… mi piace arrivare
prima e iniziare a metter su qualcosa per la cena. Fosse per gli altri
digiuneremmo sai, ahah… e beh… non mi aspettavo certo di trovare un…
un naufrago nel mare del deserto! Dico bene amico?
- Si la mia… la mia auto mi ha lasciato a piedi e insomma…
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- Ma certo amico, certo… le presentazioni innanzi tutto, con chi ho il piacere?
- Roy, Roy Sullivan.
- Io sono Joe “Slim” Berd, detto “Fame”
Fame… mai soprannome fu più azzeccato. Pensò Roy. Sembrava un tossico. E
aveva appuntamento con altri suoi amici lì quella sera. Roy non aveva nessuna
voglia di conoscerli.
- Senti Slim, Fame, come preferisci insomma…
- Fame andrà benissimo Roy, andrà benissimo!
- Ok Fame, senti, non è che potresti portarmi col tuo chopper alla stazione di
servizio che sta lungo la strada? L’avrai vista venendo no? Saranno dieci,
quindici miglia. Naturalmente ti posso pagare per il servizio, posso pagarti
bene anche, io…
- Ahahaha! Roy, Roy! Ma cosa credi? Che mi servano i tuoi dollari? Naa Roy,
credimi, non so che farmene dei tuoi dollari! E non ho nessuna intenzione di
muovermi da qui prima di domani mattina. Ora sentimi, ti dico io cosa: tu mi
aiuti a preparare il fuoco, a metter su la cena per noi e gli altri e ti guadagni
un passaggio domani mattina. Da che parte stai andando Roy?
- Io… io andavo verso Ovest…
- Verso Ovest! Anche noi andremo verso ovest domattina! Los Angeles?
Frisco? Naa… non dirmelo, non dirmelo… affari tuoi Roy, affari tuoi!
Domattina se vuoi ti porteremo alla stazione di servizio o ti daremo uno
strappo in direzione ovest ok?
- Io… beh avrei preferito arrivare alla stazione stasera…
- Ma stasera non è possibile Roy!
Tira fuori la pistola. Tirarla fuori e puntarla alla testa di quel fottuto tossico. E
costringilo ad accompagnarti alla stazione di servizio prima che arrivino i suoi
amici. Pensò. Questo avrebbe voluto fare. Ma non se la sentì. Avrebbe voluto
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farlo, ma non ci riuscì. Riuscì solo a sorridere amaro, distogliere lo sguardo da
quello scheletro vivente e dire
- Ok Fame, mettiamo su la cena allora. Ho giusto un certo appetito; ho finito i
biscotti due ore fa, e mi è rimasta solo una bottiglia d’acqua.
- Ahahah! Questo è parlare amico, questo è parlare! Prendi un paio di queste
sacche e vieni con me.
- Arrivarono sotto le rocce. Fame accese un fuoco con i pochi arbusti a
portata, e mise tra le fiamme una strana pietra dalla forma triangolare. Il
fuocherello divenne in breve un enorme falò, e la pietra non sembrava
consumarsi.
- Cosa diavolo è quella Fame? Roba militare?
- Oh, quella? Un Prodigio Roy. Un Prodigio.
Sì. Senza dubbio un tossico. Un tossico in preda ai suoi deliri. Aveva portato
quattro sacche, due piene di ogni ben di dio, una, termica, piena di lattine di birra,
e una con padelle e una griglia.
- Ma quanta roba… senti Fame, quanti amici stai aspettando? C’è un raduno o
qualcosa del genere?
- Oh si c’è un raduno. I quattro Cavalieri si radunano tra stanotte e l’alba
Roy… il lavoro ci chiama sai. Eh ogni tanto bisogna pur farsi un giro da ‘ste
parti no? Dico, cazzo, mica bisogna arrugginirsi in eterno eh Roy?
Ahahahah… Dico bene amico? Capisci che intendo?
Fatto, completamente fatto. Completamente pazzo anche, probabilmente. Roy
sorrise, un sorriso di circostanza.
- Certo. Certo che capisco. Quindi siete solo quattro? E tutta ‘sta roba solo
per quattro persone? Cinque con me ora. Beh… certo non moriremo di
fame.
- Naa amico, queste cose le avevo portate per tre sai. Il quarto Cavaliere non
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mangia mai, non è molto di compagnia lui. Arriverà col suo sidecar un
secondo prima di partire, domattina all’alba. Sicuro come la Morte se lo
conosco come lo conosco! Ahah!
- Quindi ne stiamo aspettando solo due?
Roy si sentiva sollevato. Si era immaginato un raduno di qualche decina di
tossici. Ne sarebbero arrivati solo altri due invece. E lui aveva una pistola. Non
avrebbe dormito, sarebbe rimasto di guardia. Avrebbe sorriso a tutte le loro
battute del cazzo. E la mattina dopo si sarebbe fatto accompagnare alla stazione
di servizio. Sì, si poteva fare.
- Esatto. Arriveranno a momenti. Io vado a farmi un giro; a procurarmi un po’
di carne fresca ‘nsomma. Tu metti su i fagioli in quella padella eh? Mi
raccomando di non farli bruciare eh Roy? Ed esagera col peperoncino che mi
piacciono piccanti! Il sugo e il mestolo per girarli son lì guarda… esatto!
Ahah, bene amico, ci vediamo fra poco, mezz’ora e torno!
Roy si trovò a girare un’enorme padella di fagioli piccanti seduto su una roccia
nel deserto. Se non fosse stato per la sua auto in panne e quel chopper a poche
decine di metri sarebbe sembrato il protagonista di un vecchio western. Erano
passati cinque minuti buoni da quando Fame era corso nel deserto, il sole stava
tramontando e si iniziava a veder sempre meno. Fu allora che lo sentì. Dapprima
lontano, poi sempre più chiaro, sempre più vicino. Era un’altra moto quella che si
stava avvicinando. Un altro chopper per la precisione. Non veniva dalla direzione
dove erano arrivati lui e Fame, ma da quella opposta. Roy lo osservò fermare la
moto vicino a quella del tossico, scendere e avvicinarsi con passo deciso. Il
secondo cavaliere era molto, molto diverso dal primo.
Alto almeno un metro e novanta. Corporatura asciutta e muscolosa. Mimetica.
Cappello da sergente dei marines su una testa rasata. Un fucile mitragliatore in
mano. Sigaro in bocca. Dimostrava una cinquantina d’anni e aveva uno sguardo
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da duro come pochi ne aveva visti nella sua vita.
Un ex militare probabilmente. Completamente pazzo se era amico di Fame. O
completamente fatto. E un ex militare presumibilmente pazzo e forse strafatto
che ti si avvicina imbracciando un fucile mitragliatore in mezzo al deserto non è il
massimo della vita. Roy fece un respiro e si ordinò di rimanere tranquillo. Quando
gli arrivò a pochi metri gli sorrise, e lo salutò.
- Salve.
- E tu chi cazzo saresti figliolo?
- Io sarei… sono… Roy Sullivan signore, piacere.
- Stai seduto figliolo, stai seduto. Continua a pensare ai fagioli; visto mai
dovessi bruciarli Fame è capace di mangiartisi a te. A proposito, dov’è?
- È andato a cercare carne fresca mi ha detto.
- Ah certo, bene. Io sono il generale Benjamin Goodlock, detto “Guerra”.
Dimmi figliolo, sei il proprietario di quella macchina vero?
- Esatto.
- E sei rimasto a piedi vero?
- Esatto anche questo.
- Quanto avrai? Una quarantina a occhio e croce… ti sei fatto la guerra del
golfo forse?
- Io… no, veramente…
- Mmm. Fatti guardare bene… non hai mai sparato a nessuno con quella
pistola che hai nel giubbotto vero? Non hai mai ucciso nessuno vero?
- No io… non ho mai sparato, io... non ho mai ucciso nessuno…
- Bah. Un’altra checca! Stai fermo ora!
Fu un lampo. Neanche un secondo. Guerra tirò fuori un coltello militare, diversi
ne aveva appesi alla cintura, e lo scagliò in direzione di Roy. Senza mirare. Roy
ebbe la certezza, per una frazione di secondo, di essere morto. Invece il coltello lo
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mancò di due centimetri, andando a conficcarsi nella testa di un serpente a
sonagli. Rimanere calmo diventava sempre più difficile. Un ex militare impazzito,
sicuramente. Impazzito e armato. Armato e pericoloso. E come aveva fatto anche
lui a capire che aveva una pistola nel giubbotto? Con una mira e dei riflessi
fenomenali comunque. Gli aveva appena salvato la vita.
- Te la sei fatta addosso eh checca? Ora per ringraziarmi di aver fottuto quel
serpente mettimi su del caffè che di mangiare non ne ho voglia stasera.
Bello forte e robusto mi raccomando.
- Si… sissignore…
Roy provava una strana soggezione per quell’uomo. O forse era solo paura. Con
le mani tremanti prese la griglia, la mise sulle braci al lato del fuoco e ci mise su la
macchinetta del caffè, dopo averla preparata con tutta la cura e l’attenzione di cui
era capace in quel momento. Il sole era tramontato da un po’. Non si vedeva più
nulla, se non alla luce delle fiamme. Fu allora che lo sentì. Dapprima lontano, poi
sempre più chiaro, sempre più vicino. Era una moto quella che si stava
avvicinando. Un chopper, ci avrebbe scommesso. I fari indicavano che non stava
venendo dalla strada, veniva dal deserto, da nord. Arrivò fin quasi davanti il falò.
Spense il chopper e scese.
Il terzo cavaliere era un uomo sulla sessantina, basso e tarchiato, un po’ in
sovrappeso. Vestito con dei pantaloni fuori moda, delle orribili scarpe e un golfino
di lana leggera. Sembrava assolutamente innocuo. Si avvicinò a Roy con un sorriso
e la mano tesa.
- Piacere, tu devi essere il proprietario di quella vecchia Cadillac vero? Io sono
Bob, Bob Harvey, detto “Pestilenza”, “Pes” per gli amici ehehe…
- Fossi in te non la stringerei quella mano figliolo; checca come sei te la faresti
addosso per quattro pustole. E comunque non prima di aver finito di
preparare il mio caffè. Suvvia Pes, lascialo stare. Vieni a sederti e lascialo
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stare. Non ci siamo ritrovati qui per giocare no?
Guerra aveva parlato con calma, ma il tono deciso della sua voce non lasciava
spazio a repliche. Roy rimase interdetto, non sapeva cosa fare. Perché non
avrebbe dovuto stringere la mano a quel signore che, tra l’altro, sembrava l’unico
a non stare fuori di testa? Fu lo stesso Pes a toglierlo dall’imbarazzo, ritirando la
mano e andandosi a sedere vicino a Guerra.
- Beh, piacere mio comunque. Io sono Roy, Roy Sullivan.
- Ah, e di cosa ti occupi Roy?
C’erano delle mosche intorno al fuoco. Erano arrivate da chissà dove al calar del
sole. Una decina. Appena Pes si sedette caddero stecchite, alcune nel fuoco, altre
a terra. Da un buco tra le rocce uscì un piccolo roditore. Rantolava. Pochi secondi
e si stese a terra, agonizzante. Roy iniziò a tossire. Come quando si prende una
brutta influenza, d’inverno. Solo che era in mezzo al deserto. All’inizio dell’estate.
- Io… io ho perso il lavoro da poco, sapete… la crisi. Stavo appunto andando
verso la west coast per cambiare aria; riniziare insomma, ecco.
Guerra scuoteva la testa, con malcelato disprezzo. Aveva tirato fuori da chissà
dove una pistola, una pistola enorme, e l’aveva smontata pezzo per pezzo. La
stava pulendo con cura. Pes guardava divertito il piccolo roditore. Gli rispose
distratto.
- Ah certo certo, capisco… la crisi sì… una disdetta! Una vera disdetta sì!
Il caffè era pronto. I fagioli anche. Roy li levò dal fuoco. Poggiò la padella su una
roccia bassa e piatta e versò il caffè in due tazze. La prima la portò a Guerra, che
lo ringraziò con un cenno del capo. La seconda la portò al terzo Cavaliere, facendo
attenzione a non sfiorare le sue dita e cercando, per quanto possibile, di rimanere
da lui distante. Quell’uomo apparentemente normale ora lo inquietava più degli
altri due messi assieme. Lo faceva rabbrividire. Aveva qualcosa di insano.
Percepiva qualcosa di inspiegabilmente insano in lui. Quando gli porse la tazza
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sentì la propria voce chiedere
- E tu Pes di cosa ti occupi?
- Oh amico non ti piacerebbe saperlo! Ti giuro cazzo che non ti piacerebbe
saperlo! Ahahah! Forza dai, stai lontano da Pes, lo dico per il tuo bene, non
rivolgergli proprio la parola sai… e dammi una mano con questo!
Fame era tornato. Silenzioso come un’ombra. In spalla aveva un piccolo
cinghiale. Già scuoiato. Come aveva fatto a trovare un cinghiale nel deserto? Non
era possibile. Semplicemente, non era possibile.
- Ma quello… come… cioè non ci sono mica cinghiali nel deserto!
- Oh… questo? Un Prodigio Roy, un Prodigio!
Completamente pazzo. Completamente andato. Eppure aveva trovato un
cinghiale nel deserto! Roy non sapeva se doveva aver paura, o meglio, Roy non
sapeva quanto doveva aver paura di quei tre. Ostili tutto sommato non
sembravano, ma avevano qualcosa di strano, di troppo, troppo strano. Droga,
ancora non ne aveva vista girare. Qualche birra sì, ma droga ancora no.
Semplicemente, dovevano essere pazzi. Dei pazzi pericolosi. Fame tagliò la carne
del cinghiale con uno dei coltelli di Guerra e la mise sulla griglia. Divise i fagioli con
Pes e Roy, mangiandosene una quantità che avrebbe saziato tre persone normali.
Fece i complimenti a Roy anche: erano usciti bene. Piccanti e sugosi come
piacevano a lui.
Svuotò le sacche che aveva portato. Roy non credeva ai suoi occhi. Mangiò
quello che nessun essere umano sarebbe in grado di mangiare. Quell’uomo
scheletrico si mangiò, praticamente da solo, un cinghiale, e due sacche di cibo,
cibo di ogni tipo. Non era possibile. Non era fisicamente possibile. Pes spizzicò un
po’ di tutto, ma mangiò normalmente. Ogni volta che un qualunque animale gli
passava vicino, cadeva stecchito o si sdraiava rantolando per terra, a seconda
delle dimensioni. Roy stava iniziando ad avere paura sul serio. Era tutto irreale.
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Assolutamente irreale. Sarebbe rimasto sveglio tutta la notte, con le spalle
poggiate alla roccia più grande.
Solo Guerra non mangiò, come aveva detto. Si fece fare altre tre volte il caffè,
ma non mangiò nulla. In quelle due ore nessuno quasi parlò. Fame pretendeva
che il pasto si consumasse in silenzio, con una sorta di cerimoniosa religiosità.
Guerra e Pes non sembravano farci caso. Forse ci erano abituati. Il primo
continuava a smontare e pulire le sue armi, il secondo sembrava perso nei suoi
pensieri, a un certo punto tirò fuori dalla tasca un taccuino e iniziò a scrivere dio
solo sa cosa. Quando Fame finì il suo assurdo pasto e bevve l’ultimo caffè rimasto
si rollò uno spinello, lo accese, ne fumò un terzo e lo offrì a Roy
- Fuma amico, fuma prima che passi per le labbra di Pes, ahahah!
Roy fece giusto due tiri, due tiri di cortesia. Non sapeva cosa ci fosse in quello
spinello, ma non aveva fumato mai nulla di così forte. Dopo solo due tiri si sentiva
completamente fuso. I contorni delle cose intorno a lui iniziarono a sfocarsi. Iniziò
a tossire più forte. Sentiva dei brividi dietro la schiena ora. E aveva sonno.
Tantissimo sonno. Le voci dei Cavalieri gli arrivavano distorte e lontane.
- Bene! Ora amici miei, possiamo parlare di quello che faremo domani!
Sempre più distorte e lontane.
- Direi che… fottuto villaggio… ferro e fuoco…
Sempre più distorte e lontane.
- Sì… Apocalisse…
Si addormentò seduto sulla roccia.
Si svegliò all’alba, steso a terra, vicino a quel che rimaneva del fuoco della sera.
Si svegliò all’alba, un po’ frastornato, ma riposato.
Per un attimo pensò di essersi sognato tutto. Per un attimo solamente: gli bastò
guardarsi intorno per capire che così non era. Pes era salito sul tetto della sua
Cadillac, le mani giunte come se stesse pregando, e fissava il sole nascente.
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Guerra era salito sulla roccia più alta, a torso nudo, le braccia al cielo, e urlava in
una lingua sconosciuta, forse indiana, quello che a Roy sembrava essere un inno
di battaglia, un canto di guerra. Lo urlava con tutto il fiato che aveva in corpo.
Fame era seduto davanti la cenere e le braci del fuoco. Aveva appena fatto
colazione con i pochi avanzi della sera precedente. Aveva una tazza di caffè
fumante in una mano, uno spinello enorme nell’altra.
- Ce l’hai fatta a svegliarti eh amico? Tieni, ti ho lasciato una tazza di caffè.
Vuoi farti due tiri, eh?
- No, no grazie… vada per il caffè.
- Bene. Bevilo e preparati, fra cinque minuti si parte.
- Ma non dovevate aspettare un altro vostro amico?
- Oh si, si! Sarà qui tra cinque minuti, vedrai! Ahahah.
Cinque minuti dopo i tre Cavalieri erano sui loro chopper. Sulla strada, vicino la
macchina di Roy. Roy alla sua macchina era poggiato, lo zaino tra le gambe,
nervoso. Poi lo sentì. Dapprima lontano, poi sempre più chiaro, sempre più vicino.
Era una moto quella che si stava avvicinando. Un sidecar per la precisione. Veniva
dal deserto, dalla parte opposta a quella da cui era arrivato Pes, veniva da sud, da
dietro le rocce. L’uomo che lo guidava avrà avuto una trentina d’anni. Vestito con
un completo nero, elegantissimo. Era bello, dannatamente bello. Capelli neri e
mossi fino alle spalle. Volto abbronzato. Barba di qualche giorno. Occhiali scuri
firmati. Si fermò davanti a loro e si tolse gli occhiali scuri, mostrando due occhi
verdi, splendidi, misteriosi e magnetici.
- Salve ragazzi. Siete pronti vedo. E tu sei quello a cui serve un passaggio a
ovest vero? Salta sul mio sidecar dai, e andiamo, che non stiamo diventando
più giovani.
Roy avrebbe voluto dirgli che non voleva nessun passaggio a ovest, che se non
potevano portarlo alla stazione di servizio non c’era problema, se la sarebbe fatta
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a piedi al limite, ma non ci riuscì. Per paura, soggezione, o forse perché
semplicemente quel passaggio a ovest gli era molto comodo, troppo comodo;
anche se in cuor suo sapeva che non voleva, non doveva accettarlo. Salì su quel
sidecar col suo zaino. Gli altri tre Cavalieri accesero i loro chopper. Ora il rombo di
tutte e quattro le moto era assordante. Il quarto cavaliere alzò il volume della sua
musica: Four Horsemen dei Clash.
- Non ti da fastidio se alzo, vero?
- No no figurati. Comunque io… io sono Roy Sullivan, piacere
L’uomo gli strinse distrattamente la mano mentre girava il suo sidecar sulla
strada, direzione ovest. Roy azzardò la domanda
- Tu sei?
- Io sono la fine di tutte le cose.
E partì. Velocissimo. Seguito dagli altri. Roy non riusciva più a parlare con tutto
quel vento che gli arrivava in faccia. Né di parlare aveva voglia. Dalla risposta che
gli aveva dato era chiaro che doveva essere pazzo anche lui. E come poteva essere
altrimenti se aveva appuntamento per far chissà cosa con quegli altri tre?
Volarono sulla strada per tutta la mattina. Presero un paio di sentieri nel
deserto, direzione sud ovest, e verso le due del pomeriggio entrarono in una
piccola cittadina. Welcome to Babylon diceva il cartello, trecentosessantasette
abitanti. Si fermarono davanti l’unica locanda, al centro della piazza. Da quando
erano partiti non avevano fatto neanche una sosta. Roy era distrutto. Aveva mal
di schiena, nausea e urgente bisogno di pisciare. I quattro pazzi sembravano
freschi come rose invece. I ricordi di quella giornata erano confusi.
Pranzò alla locanda con i motociclisti. Si credevano i quattro Cavalieri
dell’Apocalisse a giudicare dai discorsi deliranti che avevano iniziato a fare dopo
pranzo, e chiamavano l’ultimo arrivato Morte. Avevano una faccenda da sbrigare
in quel piccolo villaggio e sarebbero ripartiti la mattina dopo. Roy non voleva
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sapere quale fosse quella faccenda, non voleva avere più nulla a che fare con quei
quattro. Quando Guerra iniziò a parlare di tattica e strategia uscì sulla veranda a
fumarsi una sigaretta. Il vento caldo del deserto gli faceva bene, si sentiva la
febbre addosso. Forse erano sicari. Forse dovevano uccidere qualcuno. Sì,
possibile. Dopo qualche minuto uscì anche Fame, e assicurò Roy che per la sera
successiva avrebbe visto l’oceano della west coast. Ma Roy declinò l’invito, gli
disse che per lui avevano fatto anche troppo, ringraziò, si mise lo zaino in spalla e
disse a Fame di salutargli gli altri, che aveva fretta.
- Fretta di andare dove amico mio?
Gli disse sarcastico Fame indicandogli le miglia e miglia di deserto arido che li
circondavano.
- Io beh... affari miei. Tu salutameli e basta ok?
Avrebbe trovato un passaggio e se ne sarebbe andato da lì, a costo di rubare
una macchina. Non voleva più vederli. No.
- Aspetta Roy. Prendi questo. Ti sei seduto vicino a Pes a tavola, stanotte non
la passerai bene, fidati. Fumati questo e riuscirai a dormire, e a svegliarti
sfebbrato anche, hehe…
Prese lo spinello che la scheletrica mano di Fame gli offriva e si allontanò a
passo svelto, borbottando un grazie e un addio. Ricevette come risposta una
risata sgraziata. Una risata che sapeva di arrivederci. Girò per le poche case del
villaggio cercando disperatamente un passaggio verso la città più vicina. Nessuno
però aveva intenzione di muoversi. Quella sera ci sarebbe stata la festa del paese.
Si sentiva sempre peggio. La febbre stava aumentando. Quasi svenne un paio di
volte, anche.
Alla fine trovò una famiglia che per 100 dollari in contanti lo avrebbe ospitato
fino al mattino successivo, quando l’uomo di casa, il nome non lo ricordava, lo
avrebbe portato in città col suo furgone. Accettò. Voleva solo stendersi ora. Pagò
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150 invece di 100, tutto pur di andarsene da lì al più presto. Lo stesero su un
vecchio divano nel salone. Il suo zaino come cuscino. Ricordi confusi, sempre più
confusi. Ricordava una vecchia, forse la madre dell’uomo, e il suo cane. Una
bambina, doveva essere la figlia, lei. Due ragazzini, gli altri due figli, una donna, la
moglie… febbre sempre più alta. Gli fecero mangiare una zuppa, e lo lasciarono a
sudare sotto una coperta. Non ce la faceva più. Si ricordò delle parole di Fame.
Ripescò lo spinello dalla tasca del giubbotto e lo accese. lo fumò tutto. E si
addormentò poco dopo.
E ora era lì. Nella piazza. In ginocchio. Tremava. Tremava e piangeva. E sentiva i
cani abbaiare. E quel rombo. E quella musica. I quattro Cavalieri gli si fermarono
davanti, mettendo i motori al minimo. La voce di Joe Strummer riempiva l’aria
“But you… you’re not searching, are you now?”
Guerra lo guardava con disprezzo, Pestilenza con indifferenza, Fame divertito.
Morte prese un’agenda nera dalla tasca e iniziò a sfogliarne le pagine…
“You’re not looking anyhow…”
- Mmm… vediamo… Roy Sullivan…
“You're never gonna ride that lonely mile… or put yourself up on trial”
- Mmm… no, la tua ora non è ancora giunta Uomo… e qui fra poco il fuoco
del Signore brucerà ogni cosa…
“Oh, you told me how your life was so bad… an' I agree that it does seem sad”
- …quindi salta su in fretta, che non stiamo diventando più giovani!
“But that's the price that you gotta pay If you're lazing all around all day”
Roy Sullivan, tremando in silenzio, piangendo con lo sguardo basso, prese il suo
zaino e montò sul sidecar.
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