CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - Facoltà di Giurisprudenza

Corte Suprema di Cassazione
Ufficio dei Referenti
per la Formazione Decentrata
dott. Maria Acierno
dott. Pietro Curzio
dott. Luigi Scarano
Dipartimento di Giurisprudenza
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
prof. Antonio Carratta
prof. Giorgio Costantino
prof. Giuseppe Ruffini
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Relazione su conflitto interpretativo e/o questione di massima di particolare importanza - Ricorso n.
10181/2007 (Rif. Foglietto n. 130)
Rel. n. 129
Roma, 20 settembre 2013
Oggetto: IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE LEGITTIMAZIONE ALL’IMPUGNAZIONE - PASSIVA - Morte,
anteriormente all’udienza di discussione, di parte costituita in appello ed ivi
vittoriosa - Mancata dichiarazione e/o notificazione dell’evento da parte del
suo procuratore - Ricorso per cassazione proposto nei confronti della parte
deceduta - Vizio della “vocatio in ius” - Individuazione - Costituzione dei suoi
eredi prima della scadenza del termine annuale per l’impugnazione - Sanatoria
- Ammissibilità, o meno - Conflitto interpretativo e/o questione di massima di
particolare importanza.
Questione oggetto della relazione
Se i principi affermati con la sentenza n. 6070/2013 espressamente in
materia societaria, comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità
dell’impugnazione, siano del tutto estensibili anche alle vicende successorie
delle persone fisiche; ipotesi, questa, che suscita notevoli perplessità
segnatamente nei casi in cui ad una impugnazione mal diretta, cui ha
contribuito anche la mancata dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio
a quo, abbia fatto seguito l’instaurazione del contraddittorio con gli eredi della
parte defunta, a seguito della costituzione dei medesimi, in considerazione
della quale l’impugnante, pur essendo ancora nei termini per rinnovare
utilmente il gravame, non vi abbia provveduto, confidando nella
giurisprudenza di legittimità, all’epoca di gran lunga prevalente, che ravvisava
l’intervenuta sanatoria in detta tempestiva costituzione.
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SOMMARIO:
1. La vicenda processuale.
2. L’ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente per la valutazione
dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite e la questione evidenziata.
3. Le principali disposizioni normative di riferimento.
4. La perdita di capacità processuale della parte: principi generali.
5. La delimitazione dell’indagine.
6. La notifica dell’impugnazione presso il procuratore costituito nel precedente
grado di giudizio per una parte defunta, o che comunque abbia perso la
capacità di stare in giudizio, in un momento anteriore all’udienza di
discussione finale, del cui decesso, o del cui venir meno della menzionata
capacità, non sia stata data comunicazione nelle forme legali contemplate.
6.1. Gli orientamenti giurisprudenziali susseguitisi fino all’intervento delle
Sezioni Unite del 1984;
6.2. L’intervento delle Sezioni Unite del 1984 ed i commenti della dottrina;
6.3. Il nuovo intervento delle Sezioni Unite del 1996;
6.4. Gli ulteriori (e principali) interventi delle Sezioni Unite dell’ultimo
decennio.
7. L’impugnazione non promossa da e contro la giusta parte: individuazione
del relativo vizio e possibilità, o meno di sua sanatoria.
8. Osservazioni conclusive.
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1. La vicenda processuale.
1.1. Il 9 maggio 1960 morì, senza eredi necessari, Maria Carbone, sicché,
disponendo i suoi due testamenti olografi soltanto in ordine ad alcuni beni, si aprì la
successione legittima su due fondi rustici in agro Spinazzola, alla contrada “Cugno di
Mottola”.
Chiamati all’eredità furono: in via diretta, i fratelli della defunta, Vincenzo ed
Emilia Carbone; per rappresentazione, Raffaele, Maddalena e Giuseppina De Marinis,
figli di una sua terza sorella, Angela Francesca Carbone, premorta, nonché Salvatore e
Claudio Lagna, a loro volta figli di una figlia premorta di quest’ultima.
A seguito, poi, del decesso, avvenuto nel 1985, di Maddalena De Marinis, se ne
aprì la successione in favore del marito, Luigi Tota, e dei figli, Nicola, Anna,
Francesco Elio ed Angela Maria Tota.
1.2. Dopo una prima causa divisionale iniziata dai Lagna innanzi al Tribunale di
Trani, ma conclusasi negativamente per carenza di prova dell’accettazione della eredità
della Carbone da parte di costoro, Raffaele De Marinis intraprese, nei confronti del
cognato Luigi Tota e dei suoi figli, un’azione di divisione avente ad oggetto i suddetti
fondi rustici caduti nella medesima successione, chiedendo, altresì, che i convenuti, in
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possesso dei beni ereditari, fossero condannati a rendere il conto della gestione ed a
rimborsargli il canone di affitto che assumeva essergli dovuto.
In quel procedimento si costituì solo Luigi Tota, eccependo che l’attore mai aveva
accettato l’eredità della Carbone, come poteva desumersi dall’assoluzione dei Tota
nell’ambito del procedimento penale a loro carico, per appropriazione indebita dei
frutti dei menzionati fondi, iniziato a seguito della denuncia del De Marinis e
conclusosi con il descritto esito favorevole per gli imputati e la condanna del
denunciante al risarcimento dei danni.
1.3. L’adito Tribunale di Terni emise dapprima la sentenza non definitiva n.
1121/2001, che dichiarò lo scioglimento della comunione, e poi, con decisione n.
956/2004, assegnò le quote di spettanza all’attore ed, indivise tra loro, quelle dei
convenuti.
Nel corso di quel giudizio, peraltro, morì Luigi Tota e si costituì Nicola Tota.
1.4. Entrambe le sentenze vennero impugnate da Nicola Tota e dalla moglie Anna
Maria Cusanno, ed il primo dichiarò di agire non solo quale erede di Luigi Tota ma
anche, insieme alla moglie, come acquirente di tutte le quote appartenenti agli altri
coeredi - Anna, Francesco Elio ed Angela Maria Tota - che comunque evocò in
giudizio per l’eventuale necessità di contraddittorio.
Le parti appellate eccepirono, pregiudizialmente, la nullità del procedimento e
delle sentenze per omessa citazione di una litisconsorte necessaria, nella persona della
Cusanno, comproprietaria, già prima della causa, di uno dei fondi dei quali si era
chiesta la divisione, mentre, nel merito, sindacarono la decisione di ritenere erede - e
quindi partecipe della comunione - Raffaele De Marinis, pur in mancanza della prova
di un’accettazione espressa o tacita dell’eredità della Carbone, dolendosi altresì del
fatto che le quote fossero state attribuite senza sorteggio e non tenendo conto che il
frazionamento dei terreni a vocazione edificatoria avrebbe determinato, nel progetto
divisionale così approvato, il rischio di lottizzazione abusiva.
1.5. Il giudice dell’impugnazione respinse il gravame con sentenza n. 1285 del
2006, assumendo che dalle emergenze istruttorie acquisite al giudizio di primo grado
fosse rimasta provata l’accettazione dell’eredità da parte di Raffaele De Marinis,
mediante la cogestione, insieme a Maddalena De Marinis, dei fondi de quibus, tanto da
essere chiamato a rendere conto di tale gestione nella precedente causa divisoria
iniziata dai Lagna.
Ritenne, inoltre, la Corte di Appello che fossero generiche le censure al progetto
divisionale - quanto al pericolo di lottizzazione abusiva - ed altresì infondata anche la
critica al modus procedendi del Tribunale, che non aveva proceduto all’assegnazione dei
lotti per sorteggio pur in presenza di due quote di uguale valore.
Dispose, infine, l’estromissione dei contumaci Angela Maria, Anna e Francesco
Elio Tota in quanto non più partecipi della comunione.
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1.6. Avverso detta sentenza Nicola Tota ed Anna Maria Cusanno hanno proposto
ricorso per cassazione articolato su tredici motivi, notificando l’impugnazione, il 26
marzo 2007, al procuratore di Raffaele De Marinis, deceduto il 19 agosto 2006, prima,
dunque, della pubblicazione della sentenza di appello avvenuta il 28 dicembre dello
stesso.
1.7. In particolare, con il primo motivo - “nullità della sentenza impugnata in riferimento
a quanto previsto dall’art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. e in riferimento al
quesito di diritto che si indicherà nell’illustrazione del motivo” - denunciano la nullità
dell’appena indicata decisione per avere la Corte territoriale violato il principio di
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., non
avendo esaminato la censura, formulata nel giudizio di appello, tesa a far dichiarare la
nullità delle sentenze rese dal Tribunale di Trani. Esso si conclude con il seguente
quesito di diritto: “Se è affetta da nullità la sentenza e/o il procedimento allorchè il Giudice
ometta di pronunciarsi su uno dei motivi di appello ritualmente proposto, violando il principio della
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato previsto dall’art. 112 c.p.c.”.
1.8. Con il secondo motivo - “nullità della sentenza impugnata e/o del relativo
procedimento in riferimento all’art. 360 n. 4, per violazione dell’art. 784 c.p.c. e in riferimento al
quesito di diritto che si formulerà nell’illustrazione del motivo” - ci si duole, invece, della nullità
della medesima decisione e/o del relativo procedimento per violazione dell’art. 784
cod. civ. secondo cui nelle domande di divisione e/o scioglimento di comunione è
necessaria la partecipazione di tutti i comunisti, proponendosi il seguente quesito di
diritto: “Se sono affetti da nullità, in riferimento all’art. 360, n. 4, i procedimenti e le sentenze che
si pronuncino su una domanda di divisione e/o di scioglimento di comunione senza la partecipazione
al giudizio di tutti i comunisti, e se tanto violi quanto disposto dall’art. 784 c.p.c. sul litisconsorzio
necessario di tutti i comunisti”.
1.9. Con il terzo motivo - “nullità della sentenza e/o del procedimento in riferimento all’art.
360, n. 4, c.p.c. per violazione del principio del contraddittorio e del litisconsorzio necessario previsti
dagli artt. 101 e 102 c.p.c. e in riferimento al quesito di diritto che si indicherà nell’illustrazione del
motivo” - si rappresenta la nullità della sentenza della Corte di Appello e/o del relativo
procedimento per la violazione del principio del contraddittorio e del litisconsorzio
necessario di cui agli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., concludendosi con il seguente
quesito di diritto: “Se sono affetti da nullità i procedimenti e le sentenze che pronuncino, pur in
ipotesi di litisconsorzio necessario, come accade allorchè si debba deliberare su una domanda di
divisione ereditaria e/o di scioglimento della comunione, senza la verifica della partecipazione al
giudizio di tutti i membri della comunione e senza aver disposto, in mancanza, la necessaria
integrazione del contraddittorio”.
1.10. Con il quarto motivo - “nullità della sentenza e/o del procedimento in riferimento
all’art. 360 n. 4, per violazione dell’art. 354, secondo comma, c.p.c. e in riferimento al quesito di
diritto che si indicherà nell’illustrazione del motivo” - si assume la nullità della sentenza e/o
del relativo procedimento per violazione dell’art. 354, secondo comma, cod. proc. civ.,
che sancisce la rimessione della causa al giudice di prime cure una volta verificata
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l’omessa partecipazione al giudizio di un soggetto che ne sarebbe stato litisconsorte
necessario, e si propone il seguente quesito di diritto: “Se sono affetti da nullità il
procedimento e la sentenza del Giudice di appello allorchè non sia stata rimessa la causa al Giudice
di primo grado, così come previsto dall’art. 354, secondo comma, c.p.c., una volta verificata l’ipotesi di
litisconsorzio necessario in un giudizio che abbia ad oggetto divisione ereditaria e/o scioglimento della
comunione”.
1.11. Con i successivi quattro motivi, poi, i ricorrenti lamentano la violazione e la
falsa applicazione delle norme evocate, rispettivamente, nelle doglianze finora
descritte per l’ipotesi in cui l’adita Corte ritenga rientrarne le varie ipotesi non nella
previsione di cui all’art. 360, n. 4, bensì in quella ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per
cui i quesiti di diritto conclusivi formulati per ciascuno di essi ricalcano
sostanzialmente, sebbene sotto questo diverso profilo, quelli riportati per ognuno dei
primi quattro motivi.
1.12. Con il nono motivo - “omessa e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso
e decisivo che in appresso si indicherà in riferimento all’art. 360, n. 5 c.p.c.”- si ripropone
l’analoga doglianza espressa con il primo motivo per l’ipotesi in cui la Corte ritenga
riconducibile all’ipotesi di vizio della motivazione.
1.13. Con il decimo motivo - “omessa e/o contraddittoria motivazione su un fatto
controverso e decisivo che in appresso si indicherà in riferimento all’art. 360, n. 5 c.p.c.”, - si
rappresenta l’omessa valutazione, da parte della Corte territoriale barese, delle censure
mosse dai ricorrenti nell’atto di appello circa la mancata valutazione di documenti e di
atti dai quali si sarebbe potuto evincere la infondatezza dell’accertamento delibato dal
Tribunale di Trani, nella sua sentenza non definitiva n. 1121 del 2001, sulla presunta
qualità di coerede di Raffaele De Marinis. In particolare, il giudice del gravame non
aveva minimamente tenuto conto di quanto ritenuto dal Pretore di Trani, sezione
distaccata di Canosa di Puglia, nella sentenza penale n. 208 del 5.6.192, che, statuendo
su una denuncia presentata da Raffaele De Marinis nei confronti di Luigi Tota, Nicola
Tota, Angela Maria Tota, Anna Tota e Francesco Elio Tota per presunta
appropriazione indebita dei frutti prodotti dal fondo rustico, già di proprietà della de
cuius Maria Carbone, e del quale il denunciante riteneva di essere comproprietario,
ebbe ad assolvere gli imputati dal reato ascrittogli per insussistenza del fatto, così
escludendo che il De Marinis potesse considerarsi erede della Carbone.
1.14. Con l’undicesimo motivo - “violazione o falsa applicazione dell’art. 729 c.c. in
riferimento a quanto previsto dall’art. 360, n. 3, c.p.c. e al principio di diritto che si indicherà
nell’illustrazione del motivo” - si prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 729
c.c. sull’assunto che malgrado l’attribuzione dei lotti, come disposta dalla sentenza
definitiva n. 956/2004, non fosse stata sorteggiata, come invece previsto dalla citata
norma, la Corte d’Appello neppure su questo punto aveva ritenuto di riformare la
pronuncia innanzi ad essa impugnata. Il motivo è concluso dal seguente quesito di
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diritto: “Se, in caso di uguaglianza di quote, vada applicato il criterio dell’estrazione a sorte e se, in
mancanza, il Giudice violi l’art. 729 c.c.”.
1.15. Il dodicesimo motivo, poi, ripropone, questa volta sotto il profilo del vizio
motivazionale di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., la medesima questione della
mancata effettuazione del sorteggio che invece sarebbe stato necessario alla stregua
dell’art. 729 c.c., sottolineando i ricorrenti che nessuna logica motivazione era stata
resa dalla Corte territoriale per giustificare una deroga al principio dell’estrazione a
sorte.
1.16. Infine, con il tredicesimo motivo, il Tota e la Cusanno censurano la mancata
o comunque assolutamente insufficiente ed apodittica motivazione adottata dalla
Corte barese sull’ulteriore rilievo che gli stessi avevano riferito alla sentenza definitiva
n. 956/2004, resa dal Tribunale di Trani, che non aveva in alcun modo verificato se il
frazionamento del fondo indicato dal c.t.u. nella sua relazione con la lettera A avrebbe
potuto violare gli strumenti urbanistici.
1.17. A tale ricorso, ed alle argomentazioni ivi esposte, hanno resistito, con
controricorso notificato il 5 maggio 2007, e nella dichiarata qualità di eredi del De
Marinis, i suoi figli Marcello e Nadia De Marinis, producendo il certificato di morte
del de cuius e la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio di rinuncia all’eredità da parte
della madre Fernanda Bonanni.
1.18. Gli altri intimati, già estromessi in secondo grado, non hanno svolto difese.
1.19. I ricorrenti, da ultimo, hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.,
ribadendo tutte le proprie argomentazioni e conclusioni.
2. L’ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente per la valutazione
dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite e la questione evidenziata.
2.1. Il ricorso è stato assegnato alla Seconda Sezione civile e fissato per la
trattazione all’udienza del 20 marzo 2013.
All’esito di quest’ultima, il Collegio ha pronunciato ordinanza n. 10216, depositata
il 30 aprile 2013, di rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale
assegnazione alle Sezione Unite.
2.2. In tale provvedimento interlocutorio la Corte, dopo aver ripercorso lo
svolgimento del processo, si è posta, preliminarmente, la necessità di esaminare se
l’invalidità che vizia il ricorso, indirizzato alla parte ormai defunta, presso il suo
procuratore, possa considerarsi sanata dalla costituzione degli eredi della stessa.
2.3. In particolare, la suddetta ordinanza, per un più preciso inquadramento dei
presupposti di fatto della rilevata problematica, ha premesso: a) che la causa è iniziata
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con citazione notificata il 2 marzo 1990, dunque prima delle modifiche apportate
all’art. 164 cod. proc. civ. dalla legge n. 353/1990 e successive integrazioni; b) che
Raffaele De Marinis è deceduto prima della pubblicazione della sentenza di secondo
grado; c) che il ricorso è stato notificato al procuratore dello stesso, pur dopo
l’avvenuto decesso; d) che il controricorso delle parti che si sono dichiarate eredi del de
cujus è stato notificato prima del decorso del termine c.d. lungo per l’impugnazione di
legittimità, non risultando notificata la sentenza di appello; e) che i controricorrenti
hanno ritenuto di provare la propria qualità di eredi mediante la produzione del
certificato di morte del de cujus, della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà
attestante la composizione del nucleo familiare del defunto e la rinunzia all’eredità da
parte della madre, moglie dello stesso.
2.4. Ciò posto, e non essendo revocabile in dubbio la sussistenza del vizio della
vocatio in jus del ricorso (indirizzato ad un soggetto oramai defunto), la Corte ha
evidenziato che, fino ad epoca recente, costituiva principio consolidato che la
costituzione degli eredi della parte defunta avesse un effetto sanante: I) dalla notifica
del controricorso - e quindi ex nunc - se effettuata nel vigore dell’art. 164 cod. proc.
civ. anteriore alle modifiche operate con legge 353/1990 (sempre che fosse stato
rispettato il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza); II) dalla notifica del
ricorso - e quindi ex tunc - se relativa alle cause c.d. di nuovo rito (cfr. ex multis, Cass.,
Sez. V, n. 776/2011, rv. 616293; Cass., Sez. II, n. 23522/2010, rv. 614844; Cass., Sez.
III, n. 13395/2007, rv. 597495; Cass., Sez. I, n. 7981/2007, rv. 597109; Cass., Sez.
Lav., 21550/2004, rv. 579342; Cass. Sez. Lav n. 6045/2003, rv. 562201).
2.5. Ha però osservato che, con la statuizione delle Sezioni Unite del 13 marzo
2013, n. 6070, rv. 625324, la soluzione - in termini di sanatoria - sopra prospettata è
stata sostanzialmente rimessa in discussione, quale necessario portato logico della colà
dichiarata applicabilità dei principi successori nella fattispecie in cui, all’estinzione di
una società, a seguito di cancellazione, fossero sopravvissute o sopravvenute delle
entità patrimoniali non interessate dal procedimento liquidatorio.
Infatti, si è ivi affermato che la erronea evocazione in giudizio di una parte che
non sia la “giusta parte” non comporta la nullità della vocatio in jus, e quindi la
conseguente possibilità di sanatoria a seguito della costituzione della parte
pretermessa, quanto piuttosto la inammissibilità del ricorso stesso, da dichiararsi
anche di ufficio, dunque mettendo sull’identico piano il vizio dell’atto con le
conseguenze che da esso deriverebbero.
2.6. Secondo l’ordinanza interlocutoria in esame, tale affermazione sembra
implicitamente presupporre che, nel caso sopra divisato, il vizio consista nella radicale
inesistenza della vocatio in jus, tale dunque da non consentire l’applicazione della
sanatoria prevista dall’art. 164 cod. proc. civ. e, per logica conseguenza, il ricorso che
ne sia affetto sarebbe, sempre e comunque, inammissibile.
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2.7. Muovendo, allora, dalla non rinvenibilità, nella riportata decisione delle
Sezioni Unite, di alcun cenno ad una relativizzazione della enunciazione della regula
juris al caso lì affrontato, apparendo, al contrario, la portata generale - dunque
applicabile anche ai casi di successione di persone fisiche nel processo - della
surriferita statuizione emergere dai richiami a precedenti pronunce di legittimità, ivi
disattese, che trattavano l’ipotesi di citazione di parti defunte con successiva
costituzione degli eredi (cfr. Cass., Sez. I, n. 7981/2007, rv. 597109; Cass., Sez. III, n.
13395/2007, rv. 597495), la menzionata ordinanza ha ritenuto che la generalità della
conclusione sulla non applicabilità della sanatoria, contenuta nella sentenza n.
6070/2013, non avendo formato, di per sé, oggetto di intervento regolatore di
conflitti, possa essere suscettibile di nuova valutazione da parte delle stesse Sezioni
Unite, reputandosi corretta la soluzione sinora adottata dalle sezioni semplici in
materia di sussistenza del vizio di nullità e della sua sanabilità.
2.8. Ad identica soluzione, peraltro, dovrebbe pervenirsi, ad avviso della
medesima ordinanza, anche ove si volesse ricostruire il vizio in termini di inesistenza
della vocatio - peraltro difficilmente ipotizzabile, stante la continuazione della
personalità del defunto in quella dell’erede - dal momento che tale radicale vizio non
comporterebbe, di per sé, la insuscettibilità dell’atto ad essere sanato in quanto non
potrebbe predicarsi la irrilevanza della costituzione della “giusta parte”, atteso che con
essa sarebbe comunque soddisfatta l’esigenza che al giudizio partecipino tutti i
soggetti che avevano diritto di esservi presenti, così dandosi applicazione, come
riferimento interpretativo, al principio del c.d. giusto processo.
2.9. Per tali ragioni, quindi, la Seconda Sezione Civile ha ritenuto “… necessario un
ulteriore intervento chiarificatore delle Sezioni Unite che precisi se i principi affermati con la sentenza
n. 6070/2013 espressamente in materia societaria, comportanti la drastica sanzione
dell’inammissibilità dell’impugnazione, siano del tutto estensibili anche alle vicende successorie delle
persone fisiche …”, ipotesi, questa, che - prosegue la citata ordinanza interlocutoria “...suscita notevoli perplessità segnatamente nei casi in cui - come nella specie - ad una impugnazione
mal diretta, cui ha contribuito anche la mancata dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio a
quo, abbia fatto seguito l’instaurazione del contraddittorio con gli eredi della parte defunta, a seguito
della costituzione dei medesimi, in considerazione della quale l’impugnante, pur essendo ancora nei
termini per rinnovare utilmente il gravame, non vi abbia provveduto, confidando nella giurisprudenza
di legittimità, all’epoca di gran lunga prevalente, che ravvisava l’intervenuta sanatoria in detta
tempestiva costituzione …”, sicchè, evidenziando “… la rilevante importanza della questione, in
quanto relativa a situazioni frequentemente riscontrabili nell’ambito dei giudizi in cassazione, in
massima parte relativi a vicende processuali risalenti nel tempo …”, ha rimesso gli atti al Primo
Presidente ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., per l’eventuale
assegnazione alle Sezioni Unite, al fine di risolvere il descritto conflitto interpretativo
o comunque per delineare il principio di diritto sulla corrispondente questione di
massima di particolare importanza.
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3. Le principali disposizioni normative di riferimento.
3.1. La questione evidenziata nell’ordinanza di rimessione - relativa, come si è
appena detto, al se i principi affermati con la sentenza n. 6070/2013 espressamente in
materia societaria, comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità
dell’impugnazione, siano del tutto estensibili anche alle vicende successorie delle
persone fisiche; ipotesi, questa, che suscita notevoli perplessità segnatamente nei casi
in cui ad una impugnazione mal diretta, cui ha contribuito anche la mancata
dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio a quo, abbia fatto seguito
l’instaurazione del contraddittorio con gli eredi della parte defunta, a seguito della
costituzione dei medesimi, in considerazione della quale l’impugnante, pur essendo
ancora nei termini per rinnovare utilmente il gravame, non vi abbia provveduto,
confidando nella giurisprudenza di legittimità, all’epoca di gran lunga prevalente, che
ravvisava l’intervenuta sanatoria in detta tempestiva costituzione - implica, alla stregua
di quanto da essa ricavabile, il rinvio, quanto meno, alle disposizioni di cui agli artt.
286, 299, 300, 328 e 330 del codice di procedura civile.
In particolare, il primo di essi, ricompreso nel capo quarto (Dell’esecutorietà e della
notificazione delle sentenze) del titolo primo del libro secondo del codice di procedura
civile, e rubricato “Notificazione nel caso di interruzione”, così recita: “I. Se dopo la chiusura
della discussione si è avverato uno dei casi previsti nell’art. 299, la notificazione della sentenza si può
fare, anche a norma dell’art. 303, secondo comma, a coloro ai quali spetta stare in giudizio. II. Se si
è avverato uno dei casi previsti nell’art. 301, la notificazione si fa alla parte personalmente”.
Il secondo ed il terzo, invece, ricompresi nella sezione seconda (Dell’interruzione del
processo) del capo settimo del medesimo libro del predetto codice, e rubricati,
rispettivamente, “Morte o perdita della capacità prima della costituzione” e “Morte o perdita
della capacità della parte costituita o del contumace”, dispongono, il primo, che “Se prima della
costituzione in cancelleria o all’udienza davanti al giudice istruttore, sopravviene la morte oppure la
perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la
cessazione di tale rappresentanza, il processo è interrotto, salvo che coloro ai quali spetta di
proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione
osservati i termini di cui all’art. 163 bis”; il secondo, che “I. Se alcuno degli eventi previsti
nell’articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore,
questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. II. Dal momento di tale dichiarazione o
notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a
norma dell’articolo precedente. III Se la parte è costituita personalmente, il processo è interrotto al
momento dell’evento. IV. Se l’evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto
dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall’altra parte, o è notificato ovvero è certificato
dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’art. 2921.
Giova, peraltro, sottolineare che quello riportato nel testo risulta essere il tenore del quarto comma dell’articolo in
questione come risultante dalle modifiche ad esso apportate - con decorrenza dal 4 luglio 2009 - dall’art. 46 della legge 18
giugno 2009, n. 69, laddove quello precedente sanciva che “Se questo riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto
dal momento in cui il fatto interruttivo è notificato o è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei
provvedimenti di cui all’art. 292”, e, soprattutto, che, quanto al regime transitorio, l’art. 58, primo comma, della medesima
legge, sancisce che “Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, - irrilevanti ai fini che qui interessano. Ndr - le disposizioni
della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai
giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”.
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V. Se alcuno degli eventi previsti nell’articolo precedente si avvero o è notificato dopo la chiusura della
discussione davanti al collegio, esso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell’istruzione”.
Il quarto ed il quinto, infine, ricompresi nel capo primo (Delle impugnazioni in
generale) del titolo terzo del libro secondo del codice di rito, e rubricati, rispettivamente
“Decorrrenza dei termini contro gli eredi della parte defunta” e “Luogo di notificazione della
impugnazione”, prevedono, il primo, che: “I. Se, durante la decorrenza del termine di cui
all’art. 325, sopravviene alcuno degli eventi previsti nell’art. 299, il termine stesso è interrotto e il
nuovo decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è stata rinnovata. II. Tale rinnovazione
può essere fatta agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio del defunto. III. Se,
dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza si verifica alcuno degli eventi previsti nell’art. 299, il
termine di cui all’articolo precedente è prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell’evento”2; il
secondo, che”I. Se nell’atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza
o ha eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere
notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell’art. 170, presso il procuratore
costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio. II. L’impugnazione può
essere notificata nei luoghi sopra menzionati collettivamente ed impersonalmente agli eredi della parte
defunta dopo la notificazione della sentenza. III. Quando manca la dichiarazione di residenza o
l’elezione di domicilio, e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza,
l’impugnazione, se è ancora ammessa dalla legge, si notifica personalmente a norma degli articoli 137
e seguenti”3.
3.2. Altra disposizione rilevante, alla stregua del quesito oggi sottoposto alle
Sezioni Unite, risulta essere l’art. 164 cod. proc. civ., inserito nel capo primo
(Dell’introduzione della causa) del titolo primo del libro secondo del codice di rito, e
rubricato “Nullità della citazione”4, secondo cui: “I. La citazione è nulla se è omesso o risulta
assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1 e 2 dell’articolo 163, se manca
l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire
inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento previsto dal numero 7
dell’articolo 163. II. Se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della
citazione ai sensi del primo comma, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio.
Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento
della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione
della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307, comma terzo. III. La
costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali
di cui al secondo comma; tuttavia, se il convenuto deduce l’inosservanza dei termini a comparire o la
mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7 dell’articolo 163, il giudice fissa una nuova
udienza nel rispetto dei termini. IV. La citazione è altresì nulla se è omesso o risulta assolutamente
Merita di essere ricordato, peraltro, che, con sentenza 3 marzo 1986, n. 41, la Corte costituzionale ha ritenuto l’articolo
in questione costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, tra i motivi di interruzione del termine di cui
all’art. 325, la morte, la radiazione e sospensione del procuratore costituito, sopravvenute nel corso del termine stesso.
3
Va rimarcato che le parole “ai sensi dell’art. 170” sono state inserite, con decorrenza dal 4 luglio 2009, dalla legge 18
giugno 2009, n. 69; e che, quanto al regime transitorio, si rimanda all’analoga previsione già riportata alla precedente nota
n. 1.
4
La norma è ormai pacificamente ritenuta applicabile anche alle controversie instaurate con ricorso.
2
11
incerto il requisito stabilito nel numero 3 dell’articolo 163 ovvero se manca l’esposizione dei fatti di
cui al numero 4 dello stesso articolo. V. Il giudice, rilevata la nullità ai sensi del comma precedente,
fissa all’attore un termine perentorio per rinnovare la citazione o, se il convenuto si è costituito, per
integrare la domanda. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla
rinnovazione o alla integrazione. VI. Nel caso di integrazione della domanda, il giudice fissa
l’udienza ai sensi del secondo comma dell’articolo 183 e si applica l’articolo 167”5.
3.3. Fin da ora, peraltro, si evidenzia che lo sviluppo della presente relazione
comporterà il riferimento anche ad altre norme del codice di rito o di quello civile, di
cui, pertanto, ci si riserva di dare conto.
4. La perdita di capacità processuale della parte: principi generali.
Il codice di procedura civile disciplina, nella Sezione seconda (intitolata
Dell’interruzione del processo) del Capo settimo del Titolo primo del secondo Libro, una
serie di eventi (morte o perdita di capacità della parte o del suo legale rappresentante;
morte, sospensione o radiazione del procuratore legale) che hanno come comune
caratteristica quella di menomare la possibilità della parte di difendersi adeguatamente
in giudizio.
Il verificarsi di questi fatti produce uno stato di quiescenza, caratterizzato
dall’impossibilità di compiere ulteriori atti del processo e dall’interruzione dei termini
in corso (artt. 298 e 304 cod. proc. civ.).
La dottrina ha da tempo individuato il fondamento dell’istituto della interruzione
del processo nella necessità di assicurare l’effettività del contraddittorio tra le parti,
Giova, peraltro, evidenziare: a) che quello appena riportato risulta essere il testo dell’articolo in questione come
risultante dalle modifiche ad esso apportate - con decorrenza dal 30 aprile 1995 - dall’art. 9 della legge 26 novembre
1990, n. 353, laddove quello precedente sanciva che “La citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei
requisiti stabiliti nei numeri 1, 2 e 3 dell’art. 163, o se è stato assegnato un termine a comparire minore di quello stabilito dalla legge. La
citazione è altresì nulla se manchi l’indicazione della data dell’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore. La nullità è rilevata di
ufficio dal giudice, quando il convenuto non si è costituito in giudizio. La costituzione del convenuto sana ogni vizio della citazione, ma restano
salvi i diritti anteriormente quesiti nei casi richiamati dal comma precedente”, e, soprattutto, che, secondo l’orientamento
costantemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della disciplina transitoria dettata dall’art. 90 della legge
n. 353/1990, (come modificata e sostituita, da ultimo, mediante il decreto legge 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con
modificazioni, nella legge 20 dicembre 1995, n. 534), - secondo la quale ai “giudizi pendenti” alla data del 30 aprile 1995
si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data - da un lato, l’individuazione della “pendenza” del
procedimento va fissata, nei giudizi che iniziano con atto di citazione, nel momento della “notificazione” di quest’atto (a
differenza di quelli introdotti con ricorso per i quali rileva la data del deposito dello stesso); dall’altro, il termine
“giudizio” va considerato unitariamente, sicché occorre avere riguardo alla data della citazione introduttiva del giudizio di
primo grado e non anche dell’eventuale instaurazione del giudizio di appello (cfr. in termini, Cass. 16.5.2007, n. 11301, rv.
597803, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. 23.5.2012, n. 8175, rv. 622407; Cass. 15.5.2012, n. 7542, rv.
622476; Cass. 16.5.2007, n. 11291, rv. 597800 - che ha altresì precisato che nessun rilievo può avere, ai fini di una diversa
valutazione della questione della “pendenza”, la circostanza che la trattazione del processo sia avvenuta ad opera del
collegio (come previsto dalla novella applicabile ai giudizi “nuovi”) e non del consigliere istruttore, sia perché la
eventuale erronea applicazione di una norma processuale sulla conduzione della fase istruttoria, che di per sè risulta
produttiva di una garanzia maggiore per le parti, sarebbe inidonea a generare nullità di qualsiasi genere, sia perché un
errore non potrebbe imporre, solo per simmetria, l’applicazione di una norma che ha reso più gravosi gli adempimenti a
carico delle parti con conseguenti effetti preclusivi sul prosieguo del giudizio - Cass. 29.5.2006, n. 12744, rv. 590106;
Cass. 12.5.2006, n. 11006, rv. 590444; Cass. 10.9.2004, n. 18207, rv. 576942; Cass. 20.8.2004, n. 16347, rv. 576539; Cass.
9.9.2003, n. 13147, rv. 566673); b) che, nell’ultimo comma, la parola «secondo» ha sostituito, in sede di conversione, la
parola «ultimo» in base al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1°
marzo 2006.
5
12
ove i suddetti eventi colpiscano, nel corso dello stesso, alcuna di esse (i soggetti, cioè,
investiti della potestà di compiere atti processuali), menomando in qualche misura la
loro partecipazione in difesa delle proprie ragioni6.
Al pari della speculare fattispecie della rimessione in termini, l’interruzione si
caratterizza, pertanto, nel suo aspetto genetico, come istituto volto alla tutela della
effettività del contraddittorio tra le parti (principio, questo, implicitamente garantito
dallo stesso art. 24 della Costituzione ed operante per tutta la fase di merito del
processo, ma non anche, secondo l’unanime giurisprudenza e la prevalente dottrina, in
seno al giudizio di cassazione7); sul piano funzionale, a guisa di evento determinativo
di uno iato procedimentale circoscritto nel tempo, che non incide sul permanere della
litispendenza, realizzando, per converso, uno stato di mera quiescenza del processo8.
L’interruzione è, dunque, nel suo aspetto morfologico, vicenda processuale di
tutela predisposta in favore della parte colpita dall’evento che la genera9, e solo tale
parte sarà legittimata ad eccepire il mancato rispetto delle norme che la prevedano10.
6
P. LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano 1999, 233; E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano,
1981, 195; A. SALETTI, Interruzione del processo, Enc. Giur. Trecc. XVII, Roma 1989, 1 ss.; C. MANDRIOLI, Corso di
diritto processuale civile, II, XII, Torino 2000, 324; A. CAVALAGLIO, Interruzione del processo di cognizione nel diritto processuale
civile, Dig. It., X, Torino 1993, 71).
7 Per consolidato orientamento interpretativo l’interruzione non opera nel giudizio in cassazione, in quanto determinato
dall’impulso d’ufficio (E. FAZZALARI, Il giudizio di cassazione, Milano, 1960, 123; Cass. 31 ottobre 2011, n. 22624, rv.
620463; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1257, rv. 586844); tuttavia se in passato la giurisprudenza era giunta a conclusioni
estreme al punto da non consentire agli eredi della parte deceduta durante il corso del procedimento di cassazione di
parteciparvi (Cass. 9 luglio 1992, n. 8377, rv. 478115), più di recente la Suprema Corte ammette, nel caso di morte della
parte durante il giudizio di legittimità, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio mediante deposito del ricorso o del
controricorso, l’intervento in giudizio del successore universale (Cass., S.U., 22 aprile 2013, n. 9692, rv. 625791; Cass., 31
marzo 2011, n. 7441, rv. 617518, la quale specifica che l’atto di intervento del successore, nel quale può essere rilasciata
la procura a difensore iscritto nell’albo speciale, deve essere notificato alla controparte, in vista dell’assicurazione del
contraddittorio). Però, anche nel giudizio di legittimità, sussistono numerose attività che si perfezionano solo ad impulso
di parte, sicché l’attività difensiva non si esaurisce con la proposizione del ricorso o del controricorso; essa, al contrario,
conosce dei momenti fondamentali nella produzione di nuovi documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso e del
controricorso, attività possibile anche dopo il deposito di detti atti (art. 372 cod. proc. civ.), nel deposito di memorie (art.
378 cod. proc. civ.), nella discussione e nelle osservazioni scritte sulle conclusioni del pubblico ministero (art. 379 cod.
proc. civ.). Tali attività, che costituiscono momenti imprescindibili del diritto di difesa, costituzionalmente garantito,
verrebbero sacrificate, ritenendo inapplicabile la disciplina dell’interruzione (anche G.P. CALIFANO, Commento all’art.
299 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, diretto da L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, III,
Torino, 2012, 575, sottolinea come il procedimento in cassazione «grondi di previsioni di garanzia del contraddittorio e
del diritto di difesa»), la quale, dunque, in assenza di una previsione legislativa che escluda testualmente l’applicabilità
delle norme sull’interruzione al giudizio in cassazione, sarebbe da ritenersi operante. Invero, da ultimo, la stessa
Cassazione, dopo aver a lungo ritenuto manifestamente infondato ogni profilo di illegittimità costituzionale al riguardo,
ha investito della questione la Corte Costituzionale in relazione agli artt. 301 e 377, secondo comma, cod. proc. civ., nella
parte in cui non attribuiscono rilevanza, nel giudizio di cassazione, alla morte dell’unico difensore verificatasi dopo la
proposizione del ricorso e prima dell’udienza di discussione, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo
comma, e 111 Cost. I giudici delle leggi hanno, però, deciso nel senso dell’inammissibilità della questione di illegittimità
costituzionale prospettata, in quanto «la relativa soluzione rientra nelle scelte discrezionali del legislatore» (C. cost., 18
marzo 2005, n. 109, in Giur. it., 2005, 1876, con nota di R. CONTE, Morte del difensore e processo in cassazione: «prudenti»
sviluppi giurisprudenziali delle Sezioni Unite). Ciò nonostante, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul punto,
affermando che nel procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, non trovando applicazione l’art. 301 cod. proc. civ.,
in caso di morte dell’unico difensore avvenuta dopo il deposito del ricorso e risultante dalla relata di notifica dell’avviso
di fissazione dell’udienza, la causa deve essere rinviata a nuovo ruolo ed il relativo provvedimento deve essere
comunicato alla parte personalmente, per consentirle di provvedere alla nomina di un nuovo difensore, restando esclusa,
in caso di sua inerzia, la necessità di nuove comunicazioni ai sensi dell’art. 377, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass.,
Sez. Un., 13 gennaio 2006, n. 477, rv. 585538, in Riv. dir. proc., 2006, 1425, con nota di G FINOCCHIARO,
L’interruzione «dimezzata» in cassazione).
8 G. VERDE, Profili del processo civile, 2, Napoli 2000, 185; C. MANDRIOLI, op. cit., 324.
9 S. SATTA- C. PUNZI, Diritto processuale civile, XIII, Padova 2000, 475.
13
Essa viene meno (e il procedimento riprenderà il proprio corso) quando sia stata
compiuta quell’attività che la legge ritiene necessaria per ristabilire la piena effettività
del contraddittorio11, ma i suoi effetti, secondo la più attenta dottrina, si
realizzerebbero indipendentemente dall’accertamento se il fatto interruttivo si sia
tradotto in concreto in un impedimento inevitabile con l’impiego del necessario grado
di diligenza12.
Merita, poi, di essere fin da ora sottolineato che, quoad personam, si deve distinguere
a seconda che l’evento interruttivo colpisca il soggetto “attivo” del procedimento (sia,
cioè, l’attore in primo grado, l’appellante in secondo, il ricorrente in sede di giudizio di
legittimità), ovvero il destinatario dell’iniziativa processuale da altri intrapresa (e cioè il
convenuto in primo grado, l’appellato e il controricorrente, rispettivamente, nel
giudizio di appello e di cassazione).
Quoad tempus, invece, è d’uopo altresì distinguere tra le ipotesi in cui il suddetto
evento si verifichi, nell’ordine: 1) prima o durante la pendenza del processo di primo
grado; 2) dopo la chiusura della discussione dinanzi al collegio, ma prima della
pronuncia della sentenza; 3) dopo l’emissione della sentenza, ma prima
dell’instaurazione del giudizio d’appello; 4) nel corso del giudizio di appello fino alla
pronuncia della sentenza; 5) successivamente alla pronuncia della sentenza d’appello,
ma prima della proposizione del ricorso per cassazione.
E, con riferimento al giudizio di primo grado, va ulteriormente precisato come, a
seguito della novella di riforma del codice di rito del 1990, essendo l’udienza di
discussione dinanzi al collegio divenuta vicenda processuale certamente residuale: a) se
l’istanza di discussione orale non è stata presentata, il termine di cui all’art. 300, quinto
comma, cod. proc. civ. dovrebbe coincidere con la scadenza del termine di cui agli
artt. 190 e 281 quinquies cod. proc. civ. per il deposito delle memorie di replica13; b) se
la richiesta di discussione è stata avanzata, l’inciso “davanti al collegio” deve ritenersi
tacitamente abrogato, atteso che il regime temporale deve essere lo stesso sia che la
causa debba essere decisa dal giudice unico, che dal collegio14.
Di tutte le ipotesi sopra considerate, alcune si armonizzano agevolmente con
l’architettura normativa che si dipana dalle singole fattispecie considerate dal
legislatore del 1940 attraverso le disposizioni di cui agli artt. 299 e ss. del codice di
rito.
Così, quanto alla fase precedente l’instaurazione del processo, nel caso di “morte
o perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante
legale, o di cessazione di tale rappresentanza, prima della costituzione in cancelleria o
all’udienza dinanzi al GI”, il processo “è interrotto, salva costituzione volontaria di
Cfr. Cass. 24 settembre 1996, n. 8409, rv. 499702; Cass. 18 luglio 1979, n. 4258, rv. 400772; Cass. 18.7.1997, n. 6625,
rv. 506136, ove è precisato come sia inammissibile il rilievo d’ufficio dell’evento interruttivo.
11 C. MANDRIOLI, op. cit., 333.
12
R. CAPONI, La rimessione in termini nel processo civile, Milano 1996, 488.
13
In tal senso, in dottrina, G. TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano 1996, 156; G. BALENA, La
riforma del processo di cognizione, Napoli 1994, 302; P. LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano, 1999, 237; ritiene invece più
corretto il riferimento alla chiusura dell’udienza di precisazione delle conclusioni A. PROTO PISANI, La nuova disciplina
del processo civile, Napoli 1991, 172.
14
R. CAPONI, op. cit., 507.
10
14
coloro ai quali spetta proseguirlo, ovvero citazione in riassunzione eseguita dalla
controparte” (art. 299), con il che resta disciplinato il caso di perdita di capacità
processuale della parte, o del suo legale rappresentanza (o le cessazione di tale
rappresentanza) prima che il processo risulti regolarmente instaurato15.
Dopo la costituzione in giudizio, e sino a tutta l’udienza di precisazione delle
conclusioni (o di discussione), il disposto di cui all’art. 300, primo e secondo comma,
cod. proc. civ. legittima il procuratore costituito a dichiarare l’evento in udienza o a
notificarlo alle altre parti: “dal momento della dichiarazione o della notificazione il
processo è interrotto, salva costituzione volontaria o riassunzione a norma del
precedente art. 299”.
La mancata dichiarazione o notificazione da parte del procuratore comporta, per il
principio della ultrattività del mandato ad litem16- principio, peraltro, limitato, si badi, al
lasso temporale ricompreso tra la costituzione in giudizio e la chiusura dell’udienza di
precisazione delle conclusioni - la prosecuzione della fase processuale tra le parti
originariamente costituite.
Nel caso di evento interruttivo verificatosi dopo l’udienza di discussione, ma
prima della decisione e pubblicazione della sentenza, esso non è destinato a produrre
effetto se non nel caso di riapertura dell’istruzione, giusta il disposto dell’art. 300,
ultimo comma, cod. proc. civ., che sancisce la irrilevanza dell’atto interruttivo tutte le
volte in cui non esista più la necessità di tutelare l’integrità del contraddittorio17.
Se l’evento si verifica dopo la proposizione dell’atto di appello, si applica la
medesima disciplina del primo grado di giudizio18, mentre l’istituto dell’interruzione
non trova applicazione nel giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso
d’ufficio19, specificandosi, peraltro, che il principio è applicabile solo dopo che, con la
notifica del ricorso, si sia instaurato il rapporto processuale dinanzi alla Corte di
legittimità - con conseguente inammissibilità, per converso, del ricorso sottoscritto dal
difensore della parte deceduta prima della esecuzione della notifica stessa, atteso che,
ai sensi dell’art. 1722 c.c., tale evento, al pari della morte del difensore, estingue la
procura privandola di ogni effetto20.
Lo stretto collegamento esistente tra interruzione del processo e principio del
contraddittorio vale anche ad individuare i procedimenti speciali in cui l’interruzione
non trova applicazione.
Gli eventi interruttivi non rilevano nella prima fase del procedimento per
ingiunzione (mentre sono produttivi di effetti nell’eventuale fase di opposizione a
15
La prevalente giurisprudenza ritiene che il disposto dell’art. 299 cod. proc. civ. non operi con riferimento al giudizio di
appello, applicandosi, invece, l’art. 300 secondo comma, in contrasto con quanto sostenuto dalla dottrina: per tutti, R.
CAPONI, La rimessione in termini nel processo civile, Milano 1996, 552.
16
Cfr. Cass. 29.5.1998, n. 5308, rv. 515915 ; 21.12.1995, n. 13041, rv. 495177.
17
A. SALETTI, Interruzione del processo, EGT XVII, Roma 1989, 7 e ss.
18
Cfr. Cass. 24.10.1996, n. 9299, rv. 500192.
19
R. CAPONI, op. cit., 553; Cass., Sez. Un., 14 ottobre 1992, n. 11195, rv. 478903, nonché, in termini, la concorde
giurisprudenza susseguitasi a tale pronuncia; in senso contrario, peraltro, parte della dottrina, secondo la quale anche nel
giudizio di legittimità sarebbero presenti attività di parte che indurrebbero ad ammettere la possibilità di una
interruzione, salvo sostituire l’atto di parte di riassunzione o prosecuzione con la fissazione d’ufficio della nuova udienza:
così A. SALETTI, op. cit., 3; A. PROTO PISANI, Nota a Corte cost. 20.12.1988, n. 1110, in Foro it. 1989, I, 432).
20
Cfr. Cass. 1.2.1995, n. 1131, rv. 499155.
15
contraddittorio pieno), così come non valgono nei procedimenti cautelari, allorché
ricorra il caso di cui all’art. 669 sexies, secondo comma, cod. proc. civ. (mentre il
sistema dell’interruzione opera nella fase di conferma del decreto, nonché in tutti i casi
in cui il provvedimento cautelare è pronunciato, con ordinanza, nel contraddittorio fra
le parti).
Al contrario, nel procedimento per convalida di sfratto l’interruzione deve trovare
applicazione, essendo tale procedimento caratterizzato dal contraddittorio ed anzi,
essendo ricollegate, alla mancata attività difensiva delle parti, onerose conseguenze.
L’interruzione opera, inoltre, nel processo del lavoro ed in quello locatizio, mentre
la sua applicabilità è esclusa nell’arbitrato rituale, ove esiste una norma speciale, l’art.
816 sexies cod. proc. civ., la quale, regolando tutte le ipotesi di venir meno della parte
(senza dunque limitazione all’evento morte, come invece faceva il previgente art. 820,
terzo comma, cod. proc. civ.), sancisce che quando ciò accade, ovvero quando la
stessa perde la capacità legale, gli arbitri devono assumere le misure idonee a garantire
il contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio, con facoltà di sospensione del
procedimento arbitrale.
L’applicabilità delle norme sull’interruzione è, infine, da escludersi nel processo di
esecuzione, ma ciò non perché esso non sia caratterizzato dal rispetto del principio del
contraddittorio, bensì a causa della profonda differenza di struttura con il processo di
cognizione, che esclude una automatica trasposizione degli istituti di questo, in difetto
di un testuale richiamo.
Ciò detto, va però precisato che i fatti interruttivi, se non provocano l’arresto del
processo esecutivo, non sono per questo privi di rilevanza. Conformemente alle
norme generali in materia di successioni o di rappresentanza, il sopravvenire di un
fatto interruttivo inciderà sul piano della legittimazione sia formale che sostanziale
tanto per la parte attiva che per quella passiva del processo di esecuzione, con la
conseguente necessità di dirigere gli atti esecutivi contro il successore e
corrispettivamente di legittimare, dal lato attivo, il successore a compierli.
5. La delimitazione dell’indagine.
Sin dai primi anni di applicazione dell’attuale codice di rito si è molto dibattuto,
nella giurisprudenza e nella dottrina, in ordine al regime degli effetti di tutti gli eventi
idonei a determinare l’interruzione del processo, riguardanti la parte costituita per
mezzo di procuratore, nei vari momenti dell’iter processuale, ed in particolare circa il
rapporto tra tali eventi e l’impugnazione.
Tema centrale, che - attesa la carenza reiteratamente denunciata del
corrispondente impianto normativo - ha registrato grandi oscillazioni giurisprudenziali
e reso necessario più volte l’intervento delle Sezioni Unite, è stato quello concernente
la validità, o meno, della notifica dell’impugnazione presso il procuratore costituito nel
precedente grado di giudizio per una parte defunta, o che comunque avesse perso la
capacità di stare in giudizio, in un momento anteriore all’udienza di discussione finale,
del cui decesso, o del cui venir meno della menzionata capacità, non fosse stata data
comunicazione nelle forme legali contemplate, mentre più marginale, sebbene
16
caratterizzato da analoghe oscillazioni, è stata la discussione afferente l’ambito di
operatività della notifica collettiva e impersonale agli eredi.
Fermo quanto precede, alle Sezioni Unite viene oggi chiesto nuovamente di
pronunciarsi per dirimere la questione pregiudiziale, sollevata nell’ordinanza
interlocutoria n. 10216/2013, dell’ammissibilità, o non, del ricorso per cassazione
diretto e notificato ad una parte defunta presso il suo procuratore nella precedente
fase di merito, e, soprattutto, della possibilità, o meno, di sanatoria del vizio di un
siffatto atto per effetto dell’avvenuta costituzione in giudizio degli eredi di quella
parte.
In particolare, essendosi ritenuta non revocabile in dubbio la sussistenza del vizio
della vocatio in jus del ricorso (indirizzato ad un soggetto oramai defunto), la Corte dopo aver evidenziato che, fino ad epoca recente, costituiva principio consolidato che
la costituzione degli eredi della parte defunta avesse un effetto sanante: I) dalla
notifica del controricorso - e quindi ex nunc - se effettuata nel vigore dell’art. 164 cod.
proc. civ. anteriore alle modifiche operate con legge 353/1990 (sempre che fosse stato
rispettato il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza); II) dalla notifica del
ricorso - e quindi ex tunc - se relativa alle cause c.d. di nuovo rito - ha osservato che,
con la statuizione delle Sezioni Unite del 13 marzo 2013, n. 6070, rv. 625324, la
soluzione, in termini di sanatoria, sopra prospettata è stata sostanzialmente rimessa in
discussione, quale necessario portato logico della colà dichiarata applicabilità dei
principi successori nella fattispecie in cui, all’estinzione di una società, a seguito di
cancellazione, fossero sopravvissute o sopravvenute delle entità patrimoniali non
interessate dal procedimento liquidatorio.
Infatti, si è ivi affermato che la erronea evocazione di giudizio di una parte che
non sia la “giusta parte” non comporta la nullità della vocatio in jus, e quindi la
conseguente possibilità di sanatoria a seguito della costituzione della parte
pretermessa, quanto piuttosto la inammissibilità del ricorso stesso, da dichiararsi
anche di ufficio, dunque mettendo sull’identico piano il vizio dell’atto con le
conseguenze che da esso deriverebbero.
Secondo l’ordinanza interlocutoria in esame, tale affermazione sembra
implicitamente presupporre che, nel caso sopra divisato, il vizio consista nella radicale
inesistenza della vocatio in jus, tale dunque da non consentire l’applicazione della
sanatoria prevista dall’art. 164 cod. proc. civ. e, per logica conseguenza, il ricorso che
ne sia affetto sarebbe, sempre e comunque, inammissibile.
Muovendo, allora, dalla non rinvenibilità, nella riportata decisione delle Sezioni
Unite, di alcun cenno ad una relativizzazione della enunciazione della regula juris al
caso lì in esame, apparendo, al contrario, la portata generale - dunque applicabile
anche ai casi di successione di persone fisiche nel processo - della surriferita
statuizione emergere dai richiami a precedenti pronunce di legittimità, ivi disattese,
che trattavano l’ipotesi di citazione di parti defunte con successiva costituzione degli
eredi, la menzionata ordinanza ha ritenuto che la portata generale della conclusione
sulla non applicabilità della sanatoria, contenuta nella sentenza n. 6070/2013, non
avendo formato, di per sé, oggetto di intervento regolatore di conflitti, possa essere
suscettibile di nuova valutazione da parte delle stesse Sezioni Unite, reputandosi
17
corretta la soluzione sinora adottata dalle sezioni semplici in materia di sussistenza del
vizio di nullità e della sua sanabilità.
Ad identica soluzione, peraltro, dovrebbe pervenirsi, ad avviso della medesima
ordinanza, anche ove si volesse ricostruire il vizio in termini di inesistenza della vocatio
- peraltro difficilmente ipotizzabile, stante la continuazione della personalità del
defunto in quella dell’erede - dal momento che tale radicale vizio non comporterebbe,
di per sé, la insuscettibilità dell’atto ad essere sanato in quanto non potrebbe predicarsi
la irrilevanza della costituzione della “giusta parte”, atteso che con essa sarebbe
comunque soddisfatta l’esigenza che al giudizio partecipino tutti i soggetti che
avevano diritto di esservi presenti, così dandosi applicazione, come riferimento
interpretativo, al principio del c.d. giusto processo.
In definitiva, il campo di indagine può essere, in questa sede, così delimitato: I) se,
deceduta o divenuta incapace, nel corso di un grado di merito del processo, prima
della chiusura della discussione, una parte costituita a mezzo di procuratore il quale
non abbia dichiarato in udienza, né abbia notificato alle altre parti l’evento, sia, o
meno ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330, primo
comma, cod. proc. civ., presso il procuratore stesso, alla parte deceduta o divenuta
incapace; II) se l’avvenuta costituzione degli eredi dopo una siffatta notificazione sani,
o non, ed in ipotesi positiva con quale efficacia (ex tunc o ex nunc), il vizio inficiante
quest’ultima.
Il tutto premettendosi che, nella specie, la controversia è iniziata con citazione
notificata il 2 marzo 1990, dunque prima delle modifiche apportate all’art. 164 cod.
proc. civ. dalla legge n. 353/1990 e successive integrazioni; b) che Raffaele De Marinis
è deceduto il 19 agosto 2006, vale a dire nell’intervallo temporale verificatosi, nel
giudizio di secondo grado, svoltosi innanzi alla Corte di Appello di Bari, tra l’udienza
di precisazione delle conclusioni (tenutasi il 5.10.2005) e quella di discussione finale
innanzi al Collegio (celebratasi il 17.10.2006); c) che il ricorso è stato notificato al
procuratore dello stesso, pur dopo l’avvenuto decesso; d) che il controricorso delle
parti che si sono dichiarate eredi del de cujus è stato notificato prima del decorso del
termine c.d. lungo per l’impugnazione di legittimità, non risultando notificata la
sentenza di appello.
6. La notifica dell’impugnazione presso il procuratore costituito nel precedente
grado di giudizio per una parte defunta, o che comunque abbia perso la
capacità di stare in giudizio, in un momento anteriore all’udienza di
discussione finale, del cui decesso, o del cui venir meno della menzionata
capacità, non sia stata data comunicazione nelle forme legali contemplate.
I reiterati interventi della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, in ordine al
primo problema evidenziato alla fine del paragrafo precedente, ne rendono
opportuna, per un più chiaro sviluppo di questa relazione, la loro suddivisione in base
ai rispettivi periodi temporali.
18
6.1. Gli orientamenti giurisprudenziali susseguitisi fino all’intervento delle
Sezioni Unite del 1984.
6.1.1 Dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura civile, le Sezioni
Unite, con sentenza 28 maggio 1948, n. 801, esaminando l’ipotesi in cui una parte
minorenne all’atto della introduzione del giudizio, rappresentata dal genitore,
costituita a mezzo di procuratore, era divenuta maggiorenne in corso di causa,
affermò, in mancanza della dichiarazione del mutamento di stato da parte del
procuratore, la validità della notificazione dell’atto di impugnazione al genitore quale
legale rappresentante.
6.1.2. In seguito, le sentenze 18 luglio 1950, n. 1959, e 28 luglio 1951, n. 2190,
pronunciate dalle sezioni semplici, esaminarono, rispettivamente, l’ipotesi della morte
della parte, risultata vittoriosa, avvenuta dopo l’udienza di discussione e prima della
notificazione della sentenza, e la fattispecie della morte della parte, risultata vittoriosa,
avvenuta dopo la notificazione della sentenza.
La prima di esse sancì la validità della notificazione dell’impugnazione alla parte
deceduta presso il procuratore, a norma dell’art. 330, primo comma, cod. proc. civ.,
qualora la parte notificante avesse legalmente ignorato l’evento; la seconda, invece,
ritenne l’invalidità dell’atto di impugnazione notificato alla parte deceduta.
6.1.3. Nella successiva giurisprudenza delle sezioni semplici fu affermata la validità
dell’atto di impugnazione notificato alla parte deceduta presso il procuratore già
costituitosi nel precedente grado del giudizio qualora la parte notificante non avesse
avuto legale conoscenza del decesso della controparte per non averlo il procuratore di
quest’ultima comunicato o notificato; e ciò tanto nel caso di decesso avvenuto nel
corso del precedente grado del giudizio, prima della discussione, quanto nel caso di
morte avvenuta dopo la notificazione della sentenza impugnata21.
Ma altre decisioni subordinarono all’assenza di colpa nella parte notificante,
quanto all’ignoranza dell’evento, la validità della notificazione dell’impugnazione,
presso il procuratore costituito, alla parte deceduta dopo la pubblicazione della
sentenza impugnata22 o che avesse riacquistato la capacità23; ed altre pronunce, in
ipotesi di mutamento di stato della parte vittoriosa intervenuto anteriormente alla
proposizione della impugnazione, subordinarono la validità di questa alla prova, da
fornirsi dalla parte impugnante, di aver ignorato senza sua colpa il mutamento stesso24.
6.1.4. Con sentenza del 18 maggio 1963, n. 1294, rv. 261924, le Sezioni Unite, in
ipotesi di morte della parte costituita a mezzo di procuratore avvenuta in corso di
causa, statuirono che, non dichiarato in udienza l’evento alle altre parti dal procuratore
21
Cfr. Cass. 19 gennaio 1957, n. 3971; Cass. 28 marzo 1958, n. 1060; Cass. 5 febbraio 1959, n. 357; Cass. 29 aprile 1959,
n. 1284; Cass. 22 giugno 1959, n. 1977; Cass. 1 febbraio 1960, n. 140; Cass. 16 gennaio 1962, n. 2600; Cass. 16 novembre
1962, n. 3120; Cass. 23 febbraio 1963 n. 436.
22
Cfr. Cass. 28 aprile 1956, n. 1305.
23
Cfr. Cass. 10 ottobre 1958, n. 3184.
24
Cfr. Cass. 19 luglio 1957, n. 3048.
19
di quella deceduta, è ammissibile l’impugnazione proposta nei confronti di
quest’ultima presso il procuratore. Principio di diritto, questo, ribadito, in via generale,
in ipotesi di morte della parte avvenuta sia prima che dopo la chiusura della
discussione e la pubblicazione della sentenza, nella successiva giurisprudenza delle
sezioni semplici25.
Ma la sentenza 29 novembre 1971, n. 3474, rv. 355104, in una fattispecie in cui era
stato dichiarato il fallimento di una parte, restrinse l’applicazione della disciplina di cui
all’art. 300 cod. proc. civ. al grado di giudizio in cui si verifica l’evento (morte o
perdita di capacità di una parte costituita a mezzo di procuratore), nel periodo tra la
citazione e la discussione, rilevando che, nella diversa ipotesi del verificarsi dell’evento
dopo la chiusura della discussione o dopo la pubblicazione o la notificazione della
sentenza, l’art. 328 cod. proc. civ. si limita a disporre l’interruzione o la proroga dei
termini per la impugnazione. Il che fu ribadito dalla sentenza 7 gennaio 1974, n. 30,
rv. 367523, relativamente all’ipotesi di morte della parte vittoriosa avvenuta dopo
l’udienza di discussione e prima della pubblicazione della sentenza.
Relativamente alla ipotesi di morte della parte, fu ripreso e ribadito il principio di
diritto secondo cui la validità della notificazione dell’impugnazione alla parte deceduta,
presso il procuratore costituito, è subordinata alla condizione che la parte
soccombente che propone l’impugnazione non abbia comunque avuto, senza sua
colpa, conoscenza del decesso della controparte26.
Anche relativamente all’ipotesi in cui la parte incapace perché minore,
rappresentata dall’esercente la potestà genitoria costituito a mezzo di procuratore,
avesse raggiunto la maggiore età in corso di causa, senza che l’evento fosse stato
dichiarato in udienza o notificato all’altra parte dal procuratore, fu affermata la validità
dell’impugnazione notificata al legale rappresentante presso il procuratore27, benché
alcune pronunce avessero subordinato la validità dell’impugnazione, in quel modo
notificata, all’assenza di colpa nella parte impugnante quanto all’ignoranza di detto
vento, ponendone l’onere della prova talvolta a carico di quest’ultima28, talaltra della
parte chiamata nel giudizio di impugnazione29.
6.1.5. Le Sezioni Unite si pronunciarono nuovamente con la sentenza 21 luglio
1978, n. 3630, rv. 393141, esaminando l’ipotesi di morte o perdita della capacità
processuale della parte costituita a mezzo di procuratore avvenuta tra una fase
processuale e l’altra, e, in tale occasione, statuirono che il problema della notificazione
25
Cfr. Cass. 18 novembre 1964, n. 2753, rv. 304115; Cass. 24 ottobre 1968, n. 3482, rv. 336624; Cass. 14 luglio 1971, n.
2293, rv. 353144; Cass. 22 gennaio 1974, n. 174, rv. 367755; Cass. 4 luglio 1974, n. 1934, rv. 370162; Cass. 29 ottobre
1974, n. 3281, rv. 371806; Cass. 14 febbraio 1975, n. 579, rv. 373890; Cass. 13 marzo 1975, n. 951, rv. 374339; Cass. 26
gennaio 1976, n. 2403, rv. 381184; Cass. 26 giugno 1976, n. 2420, rv. 381202; Cass. 26 novembre 1977, n. 5175, rv.
388800).
26
Cfr. Cass. 7 ottobre 1974, n. 2639, rv. 371095.
27
Cfr. Cass. 9 ottobre 1969, n. 3240, rv. 343251; Cass. 6 luglio 1971, n. 2116, rv. 352835; Cass. 28 luglio 1975, n. 2905,
rv. 376957; Cass. 10 giugno 1974, n. 2639, rv. 371095.
28
Cfr. Cass. 10 febbraio 1968, n. 452, rv. 331476; Cass. 16 ottobre 1969, n. 3352, rv. 343418; Cass. 9 aprile 1974, n. 989,
rv. 368927.
29 Cfr. Cass. 23 maggio 1972, n. 1605, rv. 358391; Cass. 21 aprile 1975, n. 1531, rv. 375129; Cass. 5 aprile 1976, n. 1176,
rv. 379858.
20
dell’atto di impugnazione e della instaurazione della fase processuale di gravame va
risolto non già alla luce dei principi dell’ultrattività del mandato al procuratore
costituito o della non automaticità della interruzione ex art. 300 cod. proc. civ. bensì
alla stregua delle disposizioni normative contenute nell’art. 328 cod. proc. civ.,
secondo cui l’evento interruttivo verificatosi dopo la pubblicazione della sentenza
conclusiva di una fase di merito incide non più sul processo, ma sul termine per la
proposizione della impugnazione, con effetti diversi a seconda che si tratti di termine
breve (art. 325 cod. proc. civ.) o di termine lungo (art. 327 cod. proc. civ.) di
decadenza; e che, conseguentemente, mai può prescindersi dalla nuova situazione
soggettiva verificatasi riguardo ad una delle parti, salvo che la controparte abbia, senza
sua colpa, ignorato l’evento, nel qual caso opera la disciplina di cui all’art. 291 cod.
proc. civ.
6.1.6. Nella successiva giurisprudenza delle sezioni semplici fu riaffermata
l’ammissibilità dell’impugnazione proposta nei confronti della parte deceduta o
divenuta incapace presso il procuratore se questi non avesse dichiarato in udienza o
notificato alle altre parti l’evento30, e fu ribadito che l’atto di impugnazione notificato
alla parte deceduta o divenuta incapace o al legale rappresentante della parte divenuta
maggiorenne è valido se la parte notificante ha ignorato senza colpa l’evento31. Il che si
trova sancito anche nella sentenza delle Sezioni Unite 2 aprile 1981, n. 1865, rv.
412552, alla quale hanno fatto seguito altre sentenze delle sezioni semplici32.
6.2. L’intervento delle Sezioni Unite del 1984 ed i commenti della dottrina.
Il descritto scenario giurisprudenziale ebbe a ricevere un importante contributo
dalle sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte del 21 febbraio 1984, n. 1228,
rv. 433371, n. 1229, rv. 433372, e n. 1230, rv. 433373.
In tale occasione, ed in particolare (per quanto specificamente interessa in questa
sede, attesa la delimitazione dell’odierna indagine come descritta nel precedente
paragrafo 5) con la prima delle citate pronunce, venne sancito che, nel caso in cui il
procuratore non dichiari o non notifichi l’evento che ha colpito, prima della chiusura
della discussione, la parte da lui rappresentata, la posizione giuridica di questa resta
stabilizzata, rispetto alle altre parti ed al giudice, quale persona ancora esistente od
ancora capace, con correlativa ultrattività del mandato alla lite, pure nelle successive
fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto processuale mediante proposizione di
impugnazione, fino a quando, nel procedimento di impugnazione, non si costituisca
l’erede del defunto, od il rappresentante della parte divenuta incapace, ovvero il
procuratore di tale parte, originariamente munito di procura valida anche per gli
ulteriori gradi, dichiari in udienza o notifichi alle altre parti il verificarsi di quegli
eventi. Dunque la notifica dell’impugnazione si potrà considerare perfezionata altresì
30
Cfr. Cass. 15 febbraio 1979, n. 996, rv. 397191; Cass. 22 febbraio 1979, n. 1139, rv. 397341; Cass. 10 gennaio 1981, n.
217, rv. 410624.
31
Cfr. Cass. 12 gennaio 1979, n. 225, rv. 396290; Cass. 25 gennaio 1979, n. 587, rv. 396722; Cass. 9 maggio 1979, n.
2641, rv. 398970; Cass. 11 febbraio 1980, n. 2452, rv. 406172; Cass. 22 aprile 1981, n. 2349, rv. 413103.
32
Cfr. Cass. 4 agosto 1982, n. 4387, non massimata; Cass. 25 novembre 1982, n. 6400, rv. 424025.
21
se indirizzata al procuratore della parte, a prescindere dall’eventuale conoscenza aliunde
dell’evento interruttivo da parte del notificante33.
Ciò venne affermato sulla scorta del rilievo che l’art. 300 cod. proc. civ.
rappresenta una fondamentale deroga all’art. 1722 cod. civ., che prevede l’estinzione
del mandato in caso di decesso del mandante. Infatti, essendo l’interruzione del
processo, ex art. 300 cod. proc. civ., stata qualificata come «fattispecie complessa»
costituita dalla verificazione dell’evento e dalla dichiarazione in udienza (o dalla
notificazione) compiuta dal procuratore della parte, in mancanza di uno di questi due
elementi essa non si verifica e lo stesso mandato al procuratore ad litem non perde
efficacia.
Ora, se all’evento non è stata, a suo tempo, attribuita rilevanza dall’unico soggetto
legittimato, ossia dal procuratore costituito, qualora si ammettesse la successiva
possibilità per la controparte di dare rilevanza allo stesso evento mediante la notifica al
successore della parte, si contrasterebbe la ratio sottesa all’art. 300 cod. proc. civ..
In buona sostanza, come sottolineato da autorevole dottrina34, il ragionamento
sillogistico delle Sezioni Unite si era snodato attraverso i seguenti passaggi: gli eventi
menomativi o esclusivi della capacità della parte costituita a mezzo di procuratore
sono regolati diversamente in funzione del momento in cui avvengono, e tali
discipline non interferiscono tra loro (premessa maggiore); gli articoli 286 e 328 cod. proc.
civ., che riguardano, rispettivamente, la notificazione della sentenza qualora tali eventi
si siano avverati tra l’udienza di discussione e la pubblicazione della sentenza ed il
decorso dei termini dell’impugnazione qualora i medesimi eventi siano avvenuti
durante la decorrenza del termine breve ex art. 325 cod. proc. civ. o dopo sei mesi
dalla pubblicazione della sentenza, non si applicano quando l’evento menomativo o
esclusivo della capacità della parte costituita a mezzo di procuratore sia avvenuto
durante la fase attiva del rapporto processuale (premessa minore); ergo, gli eventi predetti
verificatisi nella fase attiva del rapporto processuale sono disciplinati dall’art. 300 cod.
proc. civ., con conseguente legittimazione attiva e passiva del procuratore della parte
colpita dall’evento menomativo o esclusivo della capacità che non abbia dichiarato
l’evento stesso alla notificazione della sentenza e dell’impugnazione (conclusione).
La stessa dottrina, però, pur condividendo le suddette premesse, attesa la
peculiarità delle situazioni disciplinate dagli articoli 286 e 328 cod. proc. civ. rispetto a
quella di cui all’art. 300 di tale codice, dissentiva dalla menzionata conclusione,
rilevando, in contrario35, che: se il citato art. 300, primo e secondo comma, cod. proc.
33
Le tre pronunce individuano i singoli momenti processuali in cui l’evento può verificarsi, applicando ad ognuno di essi
la normativa corrispondente. Così: a) nel caso in cui l’evento si verifichi tra la costituzione della parte e l’udienza di
discussione, esso è disciplinato dall’art. 300, primo e secondo comma, cod. proc. civ., che deroga all’art. 1722, n. 4, cod.
civ. ed all’art. 1936 cod. civ. quanto all’estinzione delle procura; b) qualora l’evento si avveri “dopo la chiusura della
discussione, ma anteriormente alla notificazione della sentenza”, l’ultrattività del mandato, anziché ricollegarsi alla
disciplina dettata dall’art. 300 cod. proc. civ., si ricollegherà a quella di cui all’art. 286 cod. proc. civ., poiché, secondo le
menzionate decisioni, la lettera della norma lascerebbe aperta la possibilità di notificare altresì al procuratore costituito
nel precorso grado di giudizio per la parte che ha subito l’evento; c) laddove, infine, esso si verifichi nel periodo di
quiescenza del rapporto processuale, tra un grado e l’altro del giudizio, la relativa regolamentazione andrà individuata
nell’art. 328 cod. proc. civ., incidendo, in tal caso, sull’operatività del termine (breve o lungo) dell’impugnazione.
34 Cfr. A. FINOCCHIARO, Nota a SS.UU. 1228, 1129 e 1230 del 1984, in Giust. civ. 1985, I, 169.
35 Cfr. A. FINOCCHIARO, op. cit.
22
civ. si presenta, per certi effetti, come norma eccezionale in quanto deroga agli articoli
1722, n. 4, e 1396 cod. civ., e se tale norma disciplina espressamente l’ultrattività della
procura ad litem dopo la morte del mandante limitatamente alla fase attiva del rapporto
processuale, l’eccezionalità della disposizione impedisce ex se che la stessa possa
operare anche nella successiva fase di quiescenza del processo, dopo la pubblicazione
della sentenza, e di riattivazione dopo la proposizione della impugnazione;
dall’inapplicabilità degli articoli 286 e 328 cod. proc. civ. potrà derivare l’applicabilità
dei principi generali circa la legittimazione attiva e passiva alla notificazione della
sentenza e dell’impugnazione e giammai dell’art. 300 cod. proc.
Ne si può invocare - come invece fatto dalle citate pronunce delle Sezioni Unite
per giustificare il contrario assunto - il fatto che la posizione giuridica della parte
colpita dall’evento cd. interruttivo resta stabilizzata dalla scelta del procuratore, con la
conseguenza che se il procuratore non lo dichiara o non lo notifica alle altre parti, la
parte è considerata ancora esistente e capace, in tutte le altre fasi del rapporto
processuale, in quanto in siffatto modo si presuppone una estensione dell’obbligo
della notificazione o della comunicazione dell’evento anche dopo la pubblicazione
della sentenza soggetta ad impugnazione, così da potersi considerare, in mancanza,
come non avvenuto, agli effetti processuali, l’evento stesso.
Un tale obbligo - evidentemente presupposto - non solo non è stato dimostrato
esistente, ma, come sostenuto dalla indicata dottrina36, è assolutamente negato dalle
norme vigenti.
Altra autorevole opinione37, dopo aver denunciato la gravità, da tempo segnalata38,
del perpetrarsi dello stato di incertezza giurisprudenziale in tema di notificazione della
sentenza e della impugnazione in caso di morte o di perdita della capacità processuale
della parte non comunicata dal procuratore costituito, ed aver altresì ripercorso l’iter
logico seguito dalle Sezioni Unite nelle suddette pronunce del 1984, ebbe ad osservare
- sottolineando, peraltro, che tali decisioni avevano segnato il definitivo abbandono
del criterio della situazione soggettiva della controparte di incolpevole ignoranza, o
non, dell’evento interruttivo - che: a) esse prendono in considerazione la sola ipotesi
di morte (o perdita o acquisto della capacità) della parte costituita mediante
procuratore prima della chiusura dell’udienza di discussione senza che il procuratore abbia
dichiarato o notificato l’evento interruttivo, e danno risposta ai quesiti che tale ipotesi
pone (circa la legittimazione alla ricezione della notificazione della sentenza, la
legittimazione passiva all’impugnazione, e la legittimazione ad impugnare; nulla,
invece, è detto circa la legittimazione del procuratore a richiedere la notificazione della
sentenza) sulla base dell’affermazione della ultrattività della procura ad litem, senza
36
Cfr. A. FINOCCHIARO, op. cit.
Cfr. A. PROTO PISANI, Nota a SS.UU. nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984, in Foro it. 1984, I, 664 e ss.
38
Cfr. V. ANDRIOLI, Disorientamenti giurisprudenziali in tema di interruzione del processo, in Foro it. 1972, I, 965, nota a Cass.
22 ottobre 1971, n. 2977 e 9 luglio 1971, n. 2116; M. ACONE, Spunti sulla posizione sistematica dell’art. 328 cod. proc. civ., in
Foro it. 1972, I, 1268, nota a Cass. 29 novembre 1971, n. 3474; M. ACONE, Ancora sugli articoli 328 e 330 cod. proc. civ., in
Foro it. 1973, I, 2906, nota a Cass. 25 ottobre 1972, n, 3218; C.M. BARONE, Osservazione a Cass. 6 dicembre 1974, n. 4040,
in Foro it. 1975, I, 583; A. PROTO PISANI, Osservazioni in tema di notificazione della sentenza e della impugnazione in caso di
morte o perdita della capacità processuale della parte non comunicata dal procuratore costituito; gravità del perpetrarsi dell’atuale stato di
incertezza giurisprudenziale, in Foro it. 1978, I, 1691, nota a Cass. 2 marzo 1978, n. 1043.
37
23
però rispondere in modo alcuno ai dubbi di costituzionalità sollevati al riguardo dalla
dottrina39; b) la motivazione delle riportate decisioni non considera espressamente
l’ipotesi di morte (o perdita o acquisto della capacità) della parte costituita mediante
procuratore nel periodo intercorrente tra la chiusura dell’udienza di discussione e la
pubblicazione della sentenza. In particolare, nessuna risposta si dà ai quesiti circa la
legittimazione passiva all’impugnazione, la legittimazione ad impugnare e la
legittimazione a richiedere la notificazione della sentenza; mentre l’unica questione
presa in esame è quella relativa alla legittimazione del procuratore alla ricezione della
notificazione della sentenza, ma nulla si dice in ordine ai dubbi di costituzionalità che
l’interpretazione accolta degli articoli 285 e 286 cod. proc. civ. ha suscitato nella
dottrina40; c) non si prende in considerazione l’ipotesi di morte (o perdita o acquisto
della capacità) della parte dopo la pubblicazione della sentenza, ove si eccettui l’esame
del solo problema interpretativo immediatamente (e sistematicamente) posto dall’art.
328 cod. proc. civ.; in particolare, nessuna risposta si dà ai quesiti circa la
legittimazione alla ricezione della notificazione della sentenza, la legittimazione passiva
all’impugnazione, la legittimazione a richiedere la notificazione della sentenza e la
legittimazione ad impugnare.
Il silenzio mantenuto circa i quesiti posti dalle ipotesi indicate supra sub b) e c),
viene pertanto ritenuto41 particolarmente grave: sebbene, infatti, le fattispecie su cui le
Sezioni Unite erano chiamate a pronunciarsi fuoriuscissero dalle ipotesi ora
richiamate, per un verso, è innegabile la stretta interdipendenza tra tutte e tre le
ipotesi, e, nonostante il contrario avviso delle Sezioni Unite, la loro sovrapposizione in
alcuni casi (si pensi agli articoli 286 e 328 cod. proc. civ.); per altro verso, proprio nel
momento in cui, per la prima volta, si affermava (sia pure con riferimento alla sola
ipotesi sub a]), la tesi della piena ultrattività della procura ad litem portandola fino alle
estreme conseguenze della legittimazione del procuratore ad impugnare in nome della
parte defunta, diveniva necessario, per evitare ulteriori e forse ancor più pericolosi
sbandamenti e disorientamenti, chiarire se ed in che misura le conseguenze tratte dalla
cd. ultrattività della procura ad litem in ipotesi di morte (o perdita o acquisto della
capacità) della parte costituita mediante procuratore prima della chiusura dell’udienza
di discussione potessero trovare applicazione nelle diverse ipotesi di morte (o perdita
o acquisto della capacità) della parte dopo la chiusura dell’udienza di discussione e
dopo la pubblicazione della sentenza.
Merita, infine, di essere evidenziato che l’orientamento inaugurato dalle riportate
pronunce nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984 ha avuto un notevole seguito negli anni
successivi42, nonostante le ulteriori intervenute decisioni contrastanti delle Sezioni
Unite
39
Cfr., per tutti, M. ACONE, A. PROTO PISANI, V. ANDRIOLI, opp. citt. supra sub nota n. 23.
Cfr. C.E. BALBI, La decadenza nel processi di cognizione, Milano, 1983, 281 e ss.
41
Cfr. A. PROTO PISANI, Nota a SS.UU. nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984, in Foro it. 1984, I, 664 e ss.
42Cfr., ex aliis, in tema di perdita della capacità processuale anche in seguito a fusione per incorporazione ed al
raggiungimento della maggiore età, Cass. 10 gennaio 2006, n. 144, rv. 585910; Cass. 12 aprile 2002, n. 5305, rv. 553699;
Cass. 22 febbraio 2001, n. 2599, rv. 544054; Cass. 4 luglio 2000, n. 8930, rv. 538202; Cass. 16 febbraio 2000, n. 1721, rv.
533930; Cass. 22 giugno 1999, n. 6298, rv. 527789; Cass. 29 maggio 1999, n. 5237, rv. 526830; Cass. 27 aprile 1999, n.
4195, rv. 525793; Cass. 1 dicembre 1998, n. 12195, rv. 521303; Cass. 25 novembre 1998, n. 11966, rv. 521103; Cass. 7
40
24
6.3. Il nuovo intervento delle Sezioni Unite del 1996.
Un’inversione di rotta rispetto all’orientamento appena esposto è stata registrata
nella giurisprudenza di legittimità degli anni novanta con la sentenza n. 11394, rv.
501435, che le Sezioni Unite hanno reso il 19 dicembre 1996, intervenendo sulla
questione relativa all’individuazione del destinatario dell’impugnazione nell’ipotesi in
cui, dopo la chiusura dell’udienza di discussione (o dell’udienza di precisazione delle
conclusioni, ove le parti non abbiano richiesto, ex art. 190 bis, secondo comma, o art.
275, secondo comma, cod. proc. civ., la fissazione di un’apposita udienza per la
discussione orale della causa), ma prima della notificazione della sentenza, si verifichi
o venga notificata la morte o la perdita della capacità processuale della parte costituita
a mezzo di procuratore.
La premessa richiamata dalle Sezioni Unite è che, in questa ipotesi, il problema
della notificazione dell’atto di impugnazione e della instaurazione di una valida fase
processuale di impugnazione deve essere risolto non già alla luce dei criteri della
ultrattività del mandato al procuratore costituito e della non automaticità
dell’interruzione ex art. 300 cod. proc. civ., che operano solo se uno degli eventi
previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. si verifica nell’intervallo temporale tra la
costituzione della parte e la chiusura dell’udienza di discussione (secondo i principi
citati dalle Sezioni Unite con le già descritte sentenze nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984),
bensì alla stregua dell’art. 328 cod. proc. civ., secondo il quale l’evento interruttivo,
avvenuto nel caso di specie dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado,
incide non più sul processo, ma essenzialmente sul termine per la proposizione
dell’impugnazione, con la conseguenza che non si può, in alcun caso, prescindere dalla
nuova reale situazione soggettiva delle parti sostanziali interessate attualmente alla
sentenza ed al processo.
Traendo, così, ispirazione da Cass. 18 giugno 1980, n. 3888, rv. 407769, e dal
principio di chiovendiana memoria secondo cui le parti, una volta definito un grado di
giudizio, tornano nella situazione in cui si trovava l’attore nel momento di
intraprendere l’azione, il Supremo Collegio ebbe, in questa occasione, a statuire che
«certamente inaccettabile è la tesi che vuole comunque ed in generale condizionare il
dovere di indirizzare l’impugnazione contro i “soggetti reali” al fatto che l’impugnante
abbia avuto notizia dell’evento morte o perdita della capacità, senza che
l’impugnazione stessa, per una sorta di perpetuatio del precedente soggetto e dunque,
ancora una volta, per effetto di una fictio, sarebbe validamente instaurata nei confronti
della parte defunta o divenuta incapace».
Tale ipotesi, secondo l’argomentazione portata avanti dalla Corte, si rivelerebbe
«incompatibile con la logica stessa della costruzione normativa, quale risulta dalla
complessiva disciplina dell’art. 328 cod. proc. civ., fondata come essa è sull’obbiettiva
ottobre 1998, n. 9911, rv. 519486; Cass. 15 settembre 1998, n. 9175, rv. 518930; Cass. 6 giugno 1998, n. 5593, rv.
516150; Cass. 26 maggio 1998, n. 5230, rv. 515829; Cass. 3 aprile 1998, n. 3431, rv. 514171; Cass. 5 giugno 1997, n.
5002, rv. 504949; Cass. 14 maggio 1997, n. 4237, rv. 504304; Cass. 3 marzo 1997, n. 1865, rv. 502741; Cass. 26 agosto
1996, n. 7821, rv. 499356; Cass. 21 agosto 1996, n. 7704, rv. 499292; Cass. 27 febbraio 1996, n. 1540, rv. 496056; Cass.
24 gennaio 1995, n. 791, rv. 489985; Cass. 2 dicembre 1994, n. 10350, rv. 488990; Cass. 13 aprile 1994, n. 3427, rv.
486139; Cass. 13 ottobre 1992, n. 11174, rv. 478900.
25
esigenza che il processo di impugnazione si instauri fra i soggetti reali; e renderebbe
incomprensibili le stesse garanzie che l’art. 328 appresta contro l’eventualità che
l’impugnante, ignorando l’evento, spenda in direzione soggettivamente sbagliata il suo
potere impugnatorio.
L’esigenza, manifestata dalla pronuncia, di tutelare l’instaurazione del
contraddittorio tra le parti reali del processo evitando qualunque finzione giuridica
spiega altresì il rifiuto della tesi giurisprudenziale che vorrebbe l’applicazione dell’art.
291 cod. proc. civ. qualora il soggetto che ha “mal indirizzato” l’impugnazione
dimostri di aver incolpevolmente ignorato l’evento43.
L’unica sanatoria ammessa dalla sentenza n. 11394/1996 alla nullità
dell’impugnazione è rappresentata dalla costituzione in giudizio dei successori, purché
effettuata nelle forme e nei limiti previsti44.
Così, a “mitigare” la posizione dell’impugnante, Cass., 21 giugno 1995, n. 7023, rv. 492985; Cass. 25 giugno 1990, n.
6404, rv. 467979; Cass. 9 giugno 1987, n. 5039, rv. 453640; Cass., Sez. Un., 27 aprile 1983, n. 2881, rv. 427807; Cass.,
Sez. Un., 21 luglio 1978, n. 3630, rv. 393141.
44 Sul punto, si legge nella motivazione della menzionata decisione che “…Non può infine condividersi (per lo meno nei termini
in cui è formulata e astraendo dal diverso significato che essa probabilmente racchiude) la tesi giurisprudenziale secondo cui, sempre in caso di
evento verificatosi fra un grado e l’altro del processo, troverebbe applicazione l’art. 291 c.p.c. (rinnovazione della notificazione), se il soggetto,
che ha mal indirizzato l’impugnazione (contro la parte deceduta o divenuta incapace anziché contro gli eredi o il legale rappresentante della
stessa), incolpevolmente ignorasse l’evento. In via di principio non appare scorretta la riconduzione della tematica in esame alla categoria della
nullità, orientamento peraltro pacifico nella giurisprudenza di questa Corte indipendentemente dallo specifico riferimento all’art. 291. Non si
tratta, infatti, di impugnazione rivolta contro soggetto tutt’affatto diverso da quello che è stato in giudizio nel precedente grado, nel qual caso
l’impugnazione sarebbe come non proposta e non verrebbe in rilievo se non sotto il profilo della inesistenza/inammissibilità. In realtà, fra
soggetto deceduto e suoi eredi non vi è una totale “alterità” dal punto di vista del processo, se è vero che, in caso di morte della parte prima
della chiusura dell’udienza di discussione, il silenzio del procuratore ha un’efficacia perpetuativa del precedente soggetto; e ciò è ancor più
evidente nel caso di perdita della capacità di stare in giudizio, in questo caso restando addirittura identica la soggettività sostanziale
dell’interesse e l’alternativa ponendosi soltanto fra i soggetti capaci di far valere processualmente l’interesse medesimo. La situazione è dunque
ricostruibile non in termini di impugnazione non esercitata (a ciò equivalendo esercitarla contro un soggetto estraneo), ma in termini di
impugnazione invalidamente esercitata, nel senso che essa è posta in essere in modo difforme dal modello legale che ne individua il profilo
soggettivo in caso di morte o di sopravvenuta incapacità della parte. Insomma il vizio in esame può ricondursi alla categoria della nullità,
anche se, ove non intervenga sanatoria, l’effetto è pur sempre quello (ma, per così dire, in seconda battuta) della perdita dell’impugnazione per
decadenza. Ciò che non pare invece accettabile, come ammonisce Cass. 7045/92, è proprio il riferimento all’art. 291 c.p.c., in quanto si
tratta “non di semplice nullità della notificazione ma di errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius”. Deve inoltre
considerarsi che la riparazione di una nullità, mediante rinnovazione dell’atto, risponde ad una oggettiva esigenza di autocorrezione del
processo, per cui non vi è motivo di farla dipendere (come fa invece la giurisprudenza che richiama l’art. 291) dalla incolpevolezza del
comportamento che ha determinato la nullità stessa. Ulteriormente precisando, il vizio in questione potrebbe ricondursi al combinato disposto
degli artt. 163 n. 2 e 164 c.p.c., in quanto vizio attinente alla individuazione dei soggetti dell’impugnazione, con l’effetto che, almeno stando
alla disciplina anteriore alla novella 353/1990, non sarebbe possibile rinnovazione dell’atto e la costituzione del convenuto farebbe salvi i
diritti anteriormente quesiti, lasciando ferma la decadenza dall’impugnazione ove frattanto maturata. Diversa disciplina è invece dettata dalla
novella, prevedendosi, con riferimento alle nullità di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 163 c.p.c., la possibilità di rinnovazione (art. 164 novellato), e
tanto a questa, quanto alla costituzione del convenuto, attribuendosi effetto ex tunc: nella specie, tuttavia, trattandosi di causa “vecchia”
(pendente al 30 aprile 1995), si applica la disciplina anteriore (art. 9 d.l. 432/1995 conv. nella legge 534/1995).
Orbene, se si considera che l’art. 328 c.p.c., almeno con riguardo all’ipotesi del termine annuale, per la quale si limita a prevedere un mero
prolungamento della distantia temporis, lascia presumibilmente spazio a situazioni di incolpevole ignoranza dell’evento e, quindi, di
scusabile aberratio dell’impugnazione, appare chiaro che il sistema della sanatoria delle nullità, almeno nella versione anteriore alla novella
dell’art. 164 c.p.c., versione peraltro ancora vigente per le c.d. “vecchie cause”, offre una “valvola di sicurezza” del tutto insufficiente, non
consentendo sanatoria ex tunc e, quindi, il più delle volte, trovando limite nella già verificatasi decadenza dall’impugnazione. Si comprende
perciò come la giurisprudenza abbia fatto un uso strumentale dell’art. 291 c.p.c., facendolo funzionare non tanto come mezzo di sanatoria
della nullità (nella specie di tipo diverso e più grave di quella cui tale norma si riferisce) quanto piuttosto come strumento restitutorio, vale a
dire - attraverso la rinnovazione con effetto ex tunc - come mezzo di rimessione in termini per l’esercizio del diritto di impugnazione
incolpevolmente perduto. Tale uso strumentale è confermato dalla assunzione della incolpevolezza della nullità come requisito del rimedio,
requisito che non avrebbe senso se la norma fosse veramente impiegata nel suo significato primario di sanatoria del vizio e non in quello
indiretto di restituzione in termini contro la decadenza che per effetto del vizio si è determinata. Tale surrettizia utilizzazione dell’art. 291
c.p.c. non può essere condivisa e piuttosto sarebbe il caso di domandarsi se non giustifichi un sospetto di incostituzionalità la mancata
previsione di un vero e proprio strumento di restituzione in termini. Di questa figura si hanno manifestazioni sparse nell’ordinamento
processual-civile (artt. 184 bis, 294 e, per certi versi, 327, 650, 688), ma difetta una disciplina generale, quanto meno con riguardo all’area
43
26
6.4. Gli ulteriori (e principali) interventi delle Sezioni Unite dell’ultimo
decennio.
6.4.1. I fin qui descritti arresti delle Sezioni Unite della Suprema Corte non hanno
placato il dibattito, nella giurisprudenza e nella dottrina, in ordine al regime degli
effetti di tutti gli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo, riguardanti la
parte costituita per mezzo di procuratore nei vari momenti dell’iter processuale, ed in
particolare circa il rapporto tra tali eventi e l’impugnazione.
Prova ne sia il fatto che le stesse Sezioni Unite sono reiteratamente intervenute,
nell’ultimo decennio, per affrontarne ancora una volta alcuni peculiari aspetti.
6.4.2. Giova, in proposito, richiamare, in primo luogo, Cass., Sez. Un., 28 luglio
2005, n. 15783, rv. 582984, a tenore della quale, “qualora uno degli eventi idonei a
determinare l’interruzione del processo (nella specie, il raggiungimento della maggiore età da parte di
minore costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali rappresentanti) si verifichi nel corso del giudizio
di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il
deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell’art. 190
cod. proc. civ.), e tale evento non venga dichiarato né notificato dal procuratore della parte cui esso si
riferisce a norma dell’art. 300 cod. proc. civ., il giudizio di impugnazione deve essere comunque
instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e ciò alla luce dell’art. 328 cod. proc. civ.,
dal quale si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni
intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione,
con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto
durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato”45. Nella medesima occasione,
peraltro, la Corte ebbe a precisare che, “limitatamente, peraltro, ai processi pendenti alla data
del 30 aprile 1995 - rispetto ai quali non opera la possibilità di sanatoria dell’eventuale errore
incolpevole nell’individuazione del soggetto, nei cui confronti il potere di impugnazione deve essere
esercitato, offerta dal nuovo testo dell’art. 164 cod. proc. civ., come sostituito dalla legge 26 novembre
1990, n. 353, nella parte in cui consente la rinnovazione, con efficacia ex tunc, della citazione (e
dell’impugnazione) in relazione alle nullità riferibili ai nn. 1 e 2 dell’art. 163 cod. proc. civ. - il
dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta
subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, da
parte del soggetto che propone l’impugnazione, essendo tale interpretazione l’unica compatibile con la
garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Un’esigenza di tutela della parte
incolpevole non si pone, in ogni caso, rispetto all’ipotesi del raggiungimento della maggiore età nel corso
delle impugnazioni, come questa Corte ha già avuto occasione di riconoscere (si vedano le forti affermazioni della sentenza 2317/92).
Al riguardo deve tuttavia precisarsi che, quando l’inosservanza del termine dipende da nullità dell’atto e per questa sussista un regime di
sanatoria con effetto ex tunc, come accade, secondo la versione novellata dell’art. 164 c.p.c., per i vizi elencati nel primo comma della norma,
tale regime è di per sè sufficiente ad offrire un congruo margine di sicurezza all’impugnante e non emerge, quindi, un vuoto di tutela rilevante
sotto il profilo costituzionale, perché l’ipotesi dell’incolpevole decadenza dal diritto di impugnazione resta assorbita nella disciplina della
sanatoria della nullità. Diverso discorso deve invece farsi quando, come nel caso in esame, viga la anteriore disciplina dell’art. 164 c.p.c. e non
sia perciò possibile una sanatoria i cui “effetti sostanziali e processuali si producono sin dal momento della prima notificazione” con
conseguente neutralizzazione della decadenza frattanto verificatasi. In tal caso ben potrebbe porsi - per la mancata previsione di un rimedio di
restituzione in termini in materia ove sussistono, come si è visto, ampi ampi margini di possibile incolpevolezza dell’errore - un problema di
costituzionalità, ma di esso difetta, nel caso particolare, la rilevanza, come sarà subito dimostrato riprendendo in esame la specifica vicenda di
cui si tratta…”.
45 In senso conforme, si veda anche la più recente Cass. 4 aprile 2013, n. 8194, rv. 625669.
27
del processo, che non costituisce un evento imprevedibile, ma, al contrario, un accadimento inevitabile
nell’an - essendo lo stato di incapacità per minore età “naturaliter” temporaneo - ed agevolmente
riscontrabile nel quando” (nel caso di specie, relativo a giudizio introdotto anteriormente
al 30 aprile 1995, la sentenza impugnata venne cassata senza rinvio, ritenendosi, alla
luce degli enunciati principi, che il processo non potesse essere proseguito nei
confronti di una delle parti - divenuta maggiorenne nel corso del giudizio di primo
grado, senza che tale evento fosse stato dichiarato o notificato dal procuratore
costituito - essendo stato l’atto di appello notificato ai suoi genitori, nella qualità di
esercenti la potestà, in data nella quale era ormai cessata la loro rappresentanza legale).
La Corte, dopo aver ricostruito il trascorso panorama giurisprudenziale sul tema,
soffermandosi prima sulle storiche sentenze nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984, e,
successivamente su quella n. 11394 del 1996, ritenne che il percorso argomentativo
seguito in quest’ultima, che lasciava formalmente salva, pur incrinandone le premesse
logico - giuridiche, la soluzione adottata nelle appena menzionate statuizioni del 1984
con riferimento all’evento verificatosi nella fase attiva del processo e non dichiarato nè
notificato, meritasse ulteriore sviluppo, osservando che la tesi, sostenuta in quelle
decisioni, che l’art. 300 cod. proc. civ. disciplinasse in modo compiuto, con
riferimento a tutti i gradi del processo, l’ipotesi di evento verificatosi nella fase attiva
non potesse porsi come premessa ricostruttiva, costituendo piuttosto tale assunto il
quid demonstrandum nella problematica in oggetto.
Al contrario, il tenore letterale di detto art. 300 cod. proc. civ. - il quale si limita a
fissare un limite oltre il quale il potere di scelta del procuratore non può più esercitarsi,
salva l’ipotesi di riapertura della istruzione, e si disinteressa delle vicende successive
alla emanazione della sentenza - sembrava orientare l’interprete nel senso che
l’irrilevanza dell’evento non dichiarato nè notificato operasse solo in relazione alla fase
in cui esso si verifica.
Nè ancora appariva utilmente invocabile il principio di ultrattività del mandato,
sovente richiamato dalla giurisprudenza tendente a riconoscere la persistente
legittimazione del procuratore della parte originaria, al riguardo considerandosi che, in
assenza di specifica regolamentazione del mandato ad litem, dovesse trovare
applicazione la normativa codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente
carattere generale rispetto a quella processualistica, e quindi il principio dettato dall’art.
1722, n. 4, cod. civ., secondo il quale la morte del mandante (e gli altri eventi
assimilati, come la perdita della capacità processuale del genitore) estingue il mandato.
La disciplina dettata dall’art. 300, primo e secondo comma, cod. proc. civ., che
attribuisce al procuratore la possibilità di continuare a rappresentare in giudizio la
parte che gli abbia conferito il mandato, anche se sia nel frattempo deceduta o
divenuta incapace, in quanto costituisce deroga a quel principio, andava pertanto
contenuta entro il rigoroso ambito ivi previsto, ossia nei limiti di quella fase del
processo in cui si è verificato l’evento non dichiarato nè notificato concernente il
mandante, e non poteva espandersi nella successiva fase di quiescenza e di
riattivazione del rapporto processuale46.
46
Critico, sul punto, appare R. CAPONI, In tema di autonomia e certezza della disciplina del processo civile, in Foro it. 2006, I, 1,
136 e ss., secondo cui, “la Corte si lascia guidare da un parallelismo con il diritto sostanziale tutt’altro che scontato”. Secondo
28
Doveva, per altro aspetto, osservarsi che la tendenza ad espandere nella fase
successiva alla pronuncia della sentenza i principi della non automaticità
dell’interruzione e della ultrattività della rappresentanza, - ove l’evento non sia stato
dichiarato né notificato - non solo non teneva conto delle peculiarità della fase di
litispendenza successiva alla pubblicazione della sentenza, ma anche e soprattutto
ometteva il necessario raccordo con le altre norme che disciplinano gli effetti
dell’evento nei momenti successivi. Invero, - ha proseguito la Corte - contrariamente a
quanto ritenuto nelle sentenze n. 1228, 1229 e 1230 del 1984 circa la assoluta non
coincidenza e non sovrapponibilità e la piena autonomia delle norme regolatrici degli
effetti dell’evento interruttivo intervenuto nelle diverse fasi, l’art. 286 c.p.c., il quale ha
riguardo ad evento verificatosi dopo la chiusura della discussione e prima della
notifica della sentenza, e l’art. 328 cod. proc. civ., il quale regola l’ipotesi di evento
sopravvenuto durante il decorso dei termini per impugnare, fanno riferimento a
segmenti temporali in parte coincidenti, così da comportare la necessità di un
coordinamento tra le due disposizioni.
E tuttavia, una volta assunto l’art. 328 cod. proc. civ., secondo il percorso logico
seguito nella sentenza n. 11394 del 1996, come norma cardine del sistema, in quanto
rivolto non solo o non tanto a modificare la decorrenza dei termini per impugnare,
ma soprattutto a codificare il principio generale secondo il quale l’intervenuto
mutamento della situazione soggettiva della parte incide sulla legittimazione alla
notificazione attiva e passiva della sentenza, su quella attiva ad impugnare e quella
passiva a ricevere la relativa notificazione, e così a riconoscere, in relazione ai
successivi gradi del giudizio, l’automatica efficacia dell’evento morte o della perdita o
dell’acquisto della capacità della parte costituita nel precedente grado, appariva
evidente che l’interpretazione delle altre norme coinvolte non poteva non essere
influenzata da tale impostazione.
l’Autore, “l’applicabilità delle norme civilistiche al processo civile è un dato da verificare ogni volta, valutandone attentamente la compatibilità
con il diverso ambiente processuale, con i principi e le esigenze di funzionalità che lo sorreggono”, sicché “il criterio fondamentale di scelta,
nelle situazioni di incertezza di disciplina, dovrebbe essere il seguente: in dubio, pro autonomia del diritto processuale civile. Nel caso
concreto, vi era più di qualche dubbio, bensì vi erano indicazioni contrarie al ribaltamento giurisprudenziale compiuto dalle sezioni unite con
la pronuncia in rassegna, che - a situazione legislativa immutata - sconvolge lo scenario giurisprudenziale in tema di interruzione del processo
che risultava finora dominato dai principi dettati nella triade di sentenze della Cassazione del 1984 (Cass. nn. 1228, 1229 e 1230 del 21
febbraio 1984. Ndr). Il ribaltamento consiste nell’assimilare la disciplina degli eventi interruttivi del processo verificatisi prima della
chiusura della discussione (non dichiarati, né notificati) a quella degli eventi verificatisi dopo la chiusura della discussione, confinando
l’ultrattività del mandato ad litem al grado di giudizio in corso di svolgimento, e così privandolo di buona parte della sua utilità. Ebbene,
l’ultrattività del mandato ad litem non è un’arbitraria deviazione dalla normativa civilistica, ma è una regola giurisprudenziale che risponde
all’autonomia del diritto processuale civile, pragmaticamente elaborata tenendo conto delle esigenze di funzionalità del processo civile, come era
ben presente a Cass. n. 11394 del 1996, un precedente che la pronuncia in rassegna tenta invano di invocare a proprio sostegno. Si tratta di
esigenze di funzionalità omologhe a quelle che hanno ispirato il legislatore a neutralizzare l’incidenza dei mutamenti delle leggi e dello stato di
fatto determinanti la giurisdizione e la competenza del giudice, nella norma sulla perpetuatio jurisdictionis (art. 5 cod. proc. civ.), oppure
a privare di effetto al revoca o la rinuncia al mandato ad litem (art. 85 cod. proc. civ.)…”. L’Autore prosegue, inoltre, affermando
che “il ribaltamento dell’orientamento giurisprudenziale precedente trova nell’art. 328 cod. proc. civ. un sostegno piuttosto evanescente, mentre
per il suo mantenimento militavano invece le ragioni dell’opportunità” e conclude suggerendo “un’interpretazione della sentenza in esame
orientata scopertamente all’intento di limitarne la portata. Poiché l’ultima parte della sua motivazione distingue espressamente (ancorchè con
argomentazioni che meriterebbero di essere approfondite) le caratteristiche della fattispecie sottoposta a giudizio (la sopravvenienza della
maggiore età nel corso del rapporto) da quelle delle altre fattispecie che incidono sull’esistenza e sulla capacità della parte, è da ritenere che – in
attesa di un ripensamento – essa enunci una regola giurisprudenziale valevole solo per tale fattispecie. Nelle altre fattispecie (morte, fusione
societaria, etc.), se l’evento interviene prima della chiusura della discussione, dovrebbe continuare a valere la vecchia, opportuna (nonché
accreditata sul piano comparatistico) regola dell’ultrattività del mandato ad litem”.
29
Esigenze di coerenza sistematica imponevano, secondo la Corte, di ritenere che il
principio generale secondo il quale la legittimazione a compiere e ricevere gli atti del
giudizio di impugnazione resta influenzata dalla nuova situazione soggettiva di una
delle parti, valesse non solo nel caso di evento verificatosi dopo la discussione, ma
anche nell’ipotesi di evento accaduto nella fase attiva del processo e non dichiarato, nè
notificato, ponendosi in detta ipotesi il silenzio del procuratore quale fatto idoneo a
spostare nel tempo la rilevanza di quell’evento che, rimasto nascosto per tutto il corso
del giudizio di primo grado dalla mancata dichiarazione o notificazione, riacquistava
alle soglie dell’appello la rilevanza propria della morte o di altro evento prima della
costituzione in giudizio, sicché andava riaffermata ed accentuata una lettura dell’art.
328 c.p.c. volta a cogliere la volontà del legislatore di adeguare il processo di
impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della
notifica della sentenza che dell’impugnazione, ed operante tanto nel caso di evento
verificatosi dopo la sentenza, che in quello di evento intervenuto durante la fase attiva
e non dichiarato né notificato, con piena parificazione degli effetti delle due
fattispecie.
In tale ricostruzione sistematica, concludeva la Corte, non sembra esservi spazio
per opzioni interpretative dirette a subordinare il dovere di indirizzare l’impugnazione
al nuovo soggetto alla avvenuta conoscenza o alla conoscibilità dell’evento.
E tuttavia non poteva omettersi di considerare che la scelta ermeneutica adottata,
se riconosceva piena tutela alla parte legittimata a proseguire il giudizio, non ne
riservava in pari misura all’altra parte incolpevolmente ignara dell’evento che aveva
colpito il suo antagonista, tenuto soprattutto conto che il meccanismo di proroga del
termine annuale non eliminava del tutto il rischio che essa non venisse a conoscenza
dell’evento stesso, che può verificarsi anche nella imminenza della scadenza del
termine pur prorogato: ed erano stati appunto i ricorrenti dubbi di incostituzionalità,
sotto opposti profili, suscitati dalle varie opzioni interpretative, che avevano ispirato il
filone giurisprudenziale incline ad attribuire rilevanza alla buona fede del notificante
ed a ravvisare l’ammissibilità dell’atto di impugnazione notificato a soggetto non più
legittimato in ogni caso in cui la parte impugnante fosse stata senza colpa all’oscuro
dell’evento che aveva interessato la controparte.
Sotteso a tale impostazione era il principio, reiteratamente richiamato nella
giurisprudenza costituzionale, che il diritto di difesa ha un contenuto di pienezza
correlato al suo rapporto di necessità con l’esercizio della tutela giurisdizionale, così da
ricomprendere nel proprio ambito anche il diritto di essere informato delle situazioni
di fatto, oggettive o soggettive, che condizionano il concreto esercizio della attività
difensiva, e che pertanto era ravvisabile una violazione dell’art. 24 Cost. anche nel
caso di ignoranza di condizioni di fatto cui la legge ricollega o subordina l’esercizio del
diritto, sempre che non sussistesse un onere della parte di acquisirne conoscenza o
che non si trattasse di circostanze non conoscibili con l’ordinaria diligenza.
Pertanto, alla stregua anche di quanto chiarito dalla Corte Costituzionale con
l’ordinanza n. 27 del 200047, doveva ritenersi che, limitatamente ai processi pendenti
47
Tale pronuncia, nel dichiarare manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 163, terzo comma, n. 2, 164, secondo comma (nel testo anteriore alla riforma del 1990) e 359 cod.
30
alla data del 30 aprile 1995, ormai in via di esaurimento, si imponesse, quale unica
interpretazione compatibile con l’art. 24 Cost., quella che valorizzava la non
conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto
che ha proposto l’impugnazione.
Tale lettura era resa necessaria dal rilievo che in relazione a detti processi, in
presenza di un vizio che non attiene alla notificazione, ma alla individuazione della
parte nei cui confronti il potere impugnatorio doveva essere esercitato, il sistema non
prevedeva una possibilità di rinnovazione dell’atto e sottoponeva la parte alle
preclusioni derivanti dall’aver indirizzato in modo errato l’atto di impugnazione, a
differenza di quelli disciplinati dalla novella del 1990, in ordine ai quali l’art. 164 cod.
proc. civ. aveva predisposto uno strumento per sanare, con efficacia ex tunc il vizio
della citazione (e dell’impugnazione), se omesso od assolutamente incerto alcuno dei
requisiti stabiliti nei numeri 1 e 2 dell’art. 163 cod. proc. civ., così da offrire un
congruo margine di tutela al soggetto incolpevole.
6.4.3. Successivamente Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2009, n. 26279, rv. 610581,
occupandosi dell’alternativa tra notifica dell’atto di impugnazione alla parte deceduta
(rappresentata dal procuratore costituito) e notifica agli eredi, enunciò il seguente
principio di diritto: “L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte
vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso
è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente;
ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non vi è luogo all’applicazione
dell’art. 291 c.p.c.”.
Questi i passaggi salienti del ragionamento all’epoca seguito dalla Corte.
La disciplina dell’impugnazione della sentenza in caso di morte non è direttamente
contenuta in nessuna delle norme nelle quali di volta in volta è stata ravvisata.
L’art. 300, ultimo comma, cod. proc. civ., prevede le condizioni in presenza delle
quali il processo può continuare a svolgersi tra le parti originarie, come se fosse ancora
in vita il defunto, il quale continua a essere rappresentato dal procuratore e nei
confronti del quale la sentenza è pronunciata. Ma niente autorizza ad estendere la
stabilizzazione della posizione della parte e la ultrattività del mandato oltre il grado di
giudizio nel quale l’evento si è verificato, e, quindi, alle impugnazioni, che nel codice
trovano disciplina in un diverso titolo del libro del processo di cognizione.
L’art. 286 cod. proc. civ. attiene alla notificazione della sentenza, prodromica
all’instaurazione del giudizio di impugnazione, ma esterna ad esso.
proc. civ., sollevata con riferimento all’art. 24 Cost. - laddove le disposizioni impugnate non consentirebbero rimedio
all’errore incolpevole dell’appellante che abbia ritenuto ancora in vita l’appellato al momento della notifica
dell’impugnazione e non prevedono che la costituzione in giudizio degli eredi determini la sanatoria ex tunc della nullità
della citazione in appello notificata alla parte deceduta dopo la chiusura della discussione nel giudizio di primo grado aveva rilevato che non era possibile operare la reductio ad legitimitatem delle norme impugnate in termini univoci e
costituzionalmente obbligati, essendo astrattamente configurabili più itinera, tutti egualmente idonei a porre rimedio alla
dedotta incostituzionalità, ed aveva indicato come diritto vivente l’orientamento che riteneva valida l’impugnazione
proposta nei confronti della parte non più esistente, allorché la controparte avesse senza colpa ignorato l’evento.
31
L’alternatività della notificazione agli eredi in forma collettiva e impersonale,
presso l’ultimo domicilio del defunto, mediante il rinvio al 303 cod. proc. civ., deve
intendersi riferita agli eredi singolarmente e personalmente.
Nessun argomento, quindi, può trarsi per l’ultrattività del mandato.
Riguardano le impugnazione l’art. 328 e l’art. 330, secondo comma, del codice.
L’art. 328 disciplina i termini, ma nulla dice sul destinatario.
L’art. 330, con riferimento al decesso posteriore alla notificazione sentenza (fatta
dal de cuis), prevede la notificazione dell’appello agli eredi collettivamente e
impersonalmente, nei luoghi indicati dal primo comma e, implicitamente, come per il
286 cod. proc. civ., alternativamente agli eredi personalmente; quindi, il ruolo del
procuratore costituito è limitato a quello di domiciliatario dei successori del defunto.
Questa norma presuppone che l’atto di impugnazione sia indirizzato e notificato
agli eredi, indipendentemente dal momento in cui il decesso è avvenuto.
Non è ravvisabile alcuna ragione per cui la notificazione della sentenza debba
segnare un discrimine temporale per l’applicazione di discipline diverse.
Che l’impugnazione debba essere proposta nei confronti degli eredi, discende
dall’art. 101 cod. proc. civ. e dall’art. 111 Cost.
Il contraddittorio delle parti, costituzionalmente imposto, implica la giusta parte,
che non può essere la persona non più in vita.
La deroga consentita dall’art. 300, ultimo comma, non può ritenersi riferita al
successivo grado di giudizio.
Trattandosi di difetto di vocatio in ius, e non di vizio che comporti la nullità della
notificazione, è inapplicabile l’art. 291 cod. proc. civ.
La rilevanza della ignoranza non imputabile del decesso è esclusa, atteso che le
norme in tema di impugnazione fanno dipendere la validità degli atti da presupposti
oggettivi e che la maggiore tutela accordata a una parte pregiudicherebbe l’altra.
Quanto, poi, ai profili di incostituzionalità ipotizzati48 rispetto a questo aspetto,
sono esclusi espressamente in riferimento alla morte della parte. L’art. 328 cod. proc.
civ. contiene regole di adeguata tutela del diritto di impugnazione della parte non
colpita dall’evento e l’altra parte dispone di almeno un anno per verificare se la parte
vittoriosa è ancora in vita, consultando agevolmente i registri dello stato civile.
Rilevato che, ratione temporis, non sono applicabili né l’art. 164 né il nuovo art. 153,
modificato dalla legge n. 69 del 2009, del codice di rito, la sentenza afferma che esula
dalla decisione se gli stessi siano applicabili all’ipotesi di impugnazione proposta nei
confronti di parte defunta.
6.4.4. Il principio sancito dalle Sezioni Unite con la riportata sentenza avrebbe
creato, a parere di una parte della dottrina49, un eccessivo “dislivello” processuale tra le
parti in giudizio, benché, a dire della Corte, esso sia stato posto come baluardo del
principio del contraddittorio.
48
Il riferimento è alle già riportate sentenze Cass. S.U. n. 11394 del 1996, rv. 501435, e Cass. S.U. n. 15783 del 2005, rv.
582984.
49 M. MARANGON, Nota in tema di morte della parte, in Giurisp. It. 2010, 7 e ss.
32
Secondo tale opinione, non convincono sino in fondo le argomentazioni dalla
stessa pronuncia adottate.
La sentenza in commento assume, a sostegno della propria tesi, che «nessuna
previsione della norma consente di estendere la “stabilizzazione” della posizione della
parte e la “ultrattività” del mandato oltre il grado di giudizio nel quale l’evento si è
verificato». Ciò è senz’altro vero, tuttavia la mancanza di una norma espressa non
basta a dimostrare la volontà del legislatore di escludere questi effetti.
Infatti, proprio in ragione di tale mancanza, il principio della c.d. “perpetuatio
dell’ufficio di difensore”, di cui è espressione l’art. 85 cod. proc. civ., è stato in seguito
esteso dalla giurisprudenza di legittimità altresì al caso di mancata comunicazione
dell’evento interruttivo da parte del difensore della parte deceduta o divenuta
incapace, probabilmente al fine di “tamponare” la carenza di conseguenze,
relativamente all’efficacia della procura alle liti, nel periodo compreso tra l’emissione
della sentenza di primo grado e l’eventuale successivo giudizio d’appello.
Tale estensione interpretativa deve ritenersi sintomatica della giusta esigenza di
non far gravare eccessivamente una scelta processuale (quella di non comunicare o di
non notificare l’evento, appunto) sulla parte incolpevolmente ignara dell’accadimento.
Invero, se da un lato è innegabile che le norme sulla interruzione del processo
sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti tali eventi si siano verificati, dall’altro è
altrettanto inconfutabile che la loro mancata applicazione nemmeno deve pregiudicare
la controparte.
Proprio l’accennato favor per la parte deceduta, che ha guidato il legislatore nella
formulazione della disciplina dell’interruzione del processo, potrebbe aiutare a
comprendere la ragione per cui, in essa, egli non abbia tenuto conto delle sorti della
procura alle liti dopo l’emissione della sentenza, in caso di mancata comunicazione o
notificazione dell’evento: il legislatore, invero, ha probabilmente considerato come
remota l’ipotesi che il difensore della parte defunta non si avvalesse di questa facoltà
prevista nel suo esclusivo interesse.
Questa lettura renderebbe altresì più comprensibile la previsione dell’obbligo di
notifica dell’appello agli eredi voluto nei successivi articoli 328 e 330 cod. proc. civ.:
dovrebbe ritenersi ingiustificatamente vessatorio il legislatore che con una mano
preveda apertamente la possibilità di non notificare l’evento all’altra parte, e con l’altra
imponga alla medesima parte ignara dell’evento la notifica dell’impugnazione ai
successori.
Proprio alla stregua di questa presunta lacuna legislativa l’opinione in esame ritiene
che non abbia senso sopravvalutare la lettera dei due ultimi articoli citati, al fine di
confinare l’ultrattività della procura alle liti nell’ambito del giudizio di primo grado,
stante altresì l’identità delle situazioni soggettive in cui si trovano ad operare le parti
prima e dopo l’emissione della relativa sentenza.
Al contrario, - si afferma - una lettura “costituzionalmente orientata” degli articoli
medesimi, che, in caso di mancata comunicazione dell’evento interruttivo, includesse
la notifica dell’atto d’appello anche al procuratore della parte colpita, sarebbe molto
più rispettosa del principio del contraddittorio.
33
Cass., Sez. Un., n. 26279/2009 fonda, infatti, buona parte della decisione proprio
sul principio del contraddittorio, così come disciplinato nel nuovo testo dell’art. 111
Cost., ma sottolineando che «esso implica e contiene anche quello di “giusta parte”,
quale non può evidentemente essere considerata la persona non più in vita, nel cui
universum ius sono subentrati i successori».
Tuttavia anche le precedenti pronunce richiamavano lo stesso principio del
contraddittorio, per motivare, però, l’orientamento opposto; ciò in quanto la
richiamata disposizione costituzionale, oltre a corroborare il principio di “giusta
parte”, sancisce espressamente altresì quello di “pari condizioni processuali”.
E tali non si può ritenere che siano - a parere della medesima opinione dottrinale quella di chi conosce l’evento interruttivo e scientemente non lo dichiari e quella di chi
non lo conosce per cause non imputabili, e per questo si veda rigettare un atto di
appello senza nemmeno la possibilità di rinnovare la notifica.
L’impostazione suggerita dalla sentenza annotata crea, quindi, secondo tale
impostazione, un eccessivo dislivello di oneri processuali a scapito della parte non
colpita dall’evento che, a questo punto, rimane la sola a subirne gli effetti negativi.
Tale decisione, peraltro, non solo rischia di concretizzare (al contrario di quanto in
essa affermato) una situazione di effettiva sperequazione tra le parti costituite, ma,
inevitabilmente, svuota altresì il primo comma dell’art. 300 cod. proc. civ. della sua
reale portata applicativa, in quanto incoraggia il difensore a non dichiarare o notificare
l’evento verificatosi, confidando che la sua inerzia procurerà agli eredi (o alla stessa
parte colpita da altro evento interruttivo) un “benefico effetto”50 nell’eventuale
successivo grado di giudizio, così favorendosi un ribaltamento dei rapporti tra regola
(comunicazione) ed eccezione (non comunicazione), e facilitandosi l’inosservanza del
precetto contenuto nel primo comma dell’art. 300 cod. proc. civ.51.
6.4.5. Merita, poi, di essere segnalata Cass., Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699, rv.
613538, secondo cui “L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte
vittoriosa (o parzialmente vittoriosa), deve essere rivolto agli eredi, indipendentemente sia dal momento
in cui il decesso è avvenuto, sia dall’eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del
soccombente; detta notifica - che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi - può anche
essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale, purché entro l’anno dalla pubblicazione
(comprensivo dell’eventuale periodo di sospensione feriale), nell’ultimo domicilio della parte defunta
ovvero, nel solo caso di notifica della sentenza ad opera della parte deceduta dopo l’avvenuta
notificazione, nei luoghi di cui al primo comma dell’art. 330 cod. proc. civ.”.
50
La nullità insanabile dell’atto di appello notificatogli.
In definitiva, secondo M. MARANGON, op. cit., “l’irrilevanza processuale della morte e l’istituto dell’ultrattività della procura alle
liti in caso di mancata comunicazione dell’evento appaiono più che adeguate a tutelare gli eredi, l’effettività delle parti in giudizio ex art. 101
cod. proc. civ., nonché la parità dei mezzi processuali tra le parti. In caso di mancata comunicazione, dunque, è fondato sostenere che l’evento
non potrà produrre alcun effetto, in alcun grado di giudizio, e lo stesso difensore titolare della “facoltà di informazione”, nonché unico reale
depositario della conoscenza dell’evento, non potrà in sede di impugnazione contestare l’ultrattività della procura ad litem rilasciata dalla parte
colpita dall’evento interruttivo”.
51
34
La fattispecie esaminata riguardava l’avvenuta notificazione del ricorso per
cassazione collettivamente e impersonalmente, ed entro l’anno dalla pubblicazione
della sentenza (non notificata), agli eredi presso il procuratore domiciliatario, nel
giudizio di secondo grado, della parte vittoriosa deceduta (senza che del
corrispondente evento risultasse la relativa data).
Nel giudizio di legittimità si era costituito uno degli eredi, chiedendo
preliminarmente dichiararsi la “inammissibilità ed improcedibilità” del ricorso stante
l’invalidità e l’inefficacia della notifica dello stesso, effettuata in violazione degli artt.
328 e 330 c.p.c.
Le Sezioni Unite, pur rilevando la nullità della descritta notificazione del ricorso
siccome non effettuata nel domicilio del defunto, ne avevano ravvisato l’intervenuta
sanatoria per effetto della costituzione, dell’erede della suddetta parte nel
procedimento innanzi ad esse.
E’ palese, quindi, che la menzionata decisione non aveva direttamente riguardato
la questione centrale, oggetto delle fin qui descritte oscillazioni giurisprudenziali,
concernente l’alternativa tra la notifica alla parte o agli eredi, bensì quella, più
marginale ma con non minori incertezze interpretative, relativa all’ambito di
operatività della notifica collettiva e impersonale agli eredi.
Ciò malgrado, non può non evidenziarsi che, con detta sentenza, i giudici di
legittimità hanno continuato nella loro opera di interpretazione dell’impianto
normativo in materia di interruzione, caratterizzato, soprattutto per quanto riguarda i
momenti di trasmigrazione del giudizio da un grado all’altro del processo, da una
disciplina più volte denunciata dalla dottrina come carente di dati certi ed inequivoci: e
tanto con il dichiarato scopo di “di rendere più sollecito il diritto di impugnativa; di tutelare il
diritto di difesa; di garantire il rispetto del principio del contraddittorio; di contemperare in modo
corretto e coerente i contrapposti interessi in gioco”.
Ai fini dell’indagine che qui specificamente interessa (come delimitata nel
precedente paragrafo 5 di questa relazione), va allora rimarcato che, in questa
occasione, le Sezioni Unite, quanto all’individuazione dei soggetti ai quali deve essere
rivolto e notificato l’atto di impugnazione della sentenza in caso di morte della parte
vittoriosa (questione costituente un chiaro logico presupposto del loro successivo
ragionamento afferente le modalità della notifica del ricorso), hanno pienamente
confermato l’insegnamento contenuto nella già riportata Cass. Sez. Un. 16 dicembre
2009, n. 26279, rv. 610581, identificando, quindi, tali soggetti negli eredi del de cuius,
indipendentemente dal momento in cui il decesso è avvenuto, e dalla ignoranza
incolpevole dell’evento da parte del soccombente52.
Avverso tale soluzione, peraltro, parte della dottrina - M.F. GHIRGA, Nuovo intervento delle Sezioni Unite sulle lacunose
norme che regolano il processo in caso di morte di una delle parti, in Riv. dir. proc. 2011, 1, 161, - ha sostanzialmente manifestato le
medesime perplessità già da altri (cfr. supra sub nota n. 46) esposte con riferimento alla precedente Cass., Sez. Un., 28
luglio 2005, n. 15783, rv. 582984, assumendo, altresì che se si consolidasse il più recente insegnamento delle Sezioni
Unite, esse graverebbe la parte che voglia impugnare o notificare la sentenza del compito di accertare se l’evento
interruttivo abbia colpito la parte avversa tra un grado e l’altro del giudizio o se, non essendo stato dichiarato né
notificato in corso di causa, si sia però verificato in una fase attiva. C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, III,
Il processo di primo grado e le impugnazioni della sentenza, Giappichelli, Torino 2010, 115, invece, con riferimento alla
giurisprudenza più recente della Cassazione, ha ritenuto eccessivo imporre alla controparte di impugnare nei confronti
52
35
Ciò premesso, il contrasto relativo alle modalità con le quali procedere alla
suddetta notifica è stato risolto nel senso della possibilità di notificare l’atto di
impugnazione agli eredi impersonalmente e collettivamente, mentre, quanto al luogo
di tale notificazione, esso è stato individuato nell’ultimo domicilio del defunto, sulla
base della ricostruzione dell’esatto ambito di applicazione dell’art. 330, secondo
comma, cod. proc. civ., norma che detta una disciplina particolare per il solo caso in
cui la sentenza sia stata notificata dalla parte che successivamente muoia.
Infine, e con riferimento alle problematiche relative alla possibilità di sanatoria del
vizio della notifica, le Sezioni Unite, dopo aver rilevato che la giurisprudenza di
legittimità era essenzialmente e prevalentemente nel senso della possibilità della
sanatoria ex tunc quando il vizio riguarda il luogo di notificazione, e della esclusione di
tale possibilità quando il vizio si riferisce all’individuazione del soggetto passivo
del successore, dovendosi considerare valida la notificazione dell’impugnazione al procuratore della parte defunta,
laddove P.C. RUGGIERI, Eventi interruttivi del processo e notificazione di atti di impugnazioni alle parti legittimate: l’attesa svolta delle
sezioni unite, in Foro it. 2006, I, 131, cit., 135, commentando Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15783, ebbe a sostenere
che l’attribuzione di una posizione deteriore ad una parte, a vantaggio dell’altra, se pure consistente nella mera
imposizione di oneri ulteriori, potrebbe essere legittimamente giustificata solo in virtù di una comparazione di valori
tutelati a livello costituzionale, che deve essere effettuata a monte dal legislatore, e non già in sede di interpretazione.
L’Autrice aveva già auspicato l’intervento del legislatore nella nota critica Capacità della parte, eventi modificativi ed
impugnazione della sentenza, in Foro it. 2005, I, 1551. M.F. GHIRGA, op. cit., nel chiedersi se la soluzione sul punto fatta
propria dalle Sezioni Unite del 2010 (di cui si è appena detto nel testo), sia davvero quella imposta dal rispetto del
principio del contraddittorio, come ritenuto da queste ultime, giunge ad una conclusione negativa in considerazione del
fatto che nel processo si realizza un contraddittorio che per sua natura si manifesta attraverso l’operato del difensore, del
quale proprio l’art. 300 cod. proc. civ. assicura la presenza e la continuità del mandato. Mentre non sembra che si possa
porre nel caso di specie un problema di “giuste parti”, se non solo dal punto di vista formale, come parti degli atti
processuali. Ed infatti l’espressione utilizzata dalle Sezioni Unite rimanda al concetto di legittimazione ad agire e quindi
di titolarità attiva e passiva dell’azione, la quale sembrerebbe presupporre che, per il verificarsi della successione nel
processo, sia necessaria anche la successione nel diritto controverso. Così, però, tale Autrice, non crede che sia, come del
resto opina la dottrina alla quale dichiara di aderire (F.P. LUISO, “Venire meno” della parte e successione nel processo, in Riv.
dir. proc. 1983, 204 ss., per il quale l’art. 110 cod. proc. civ. non richiede affatto che si abbia anche una successione a
titolo universale nel diritto controverso. C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Profili generali, Giappichelli,
Torino 2010, 422, afferma che l’art. 110 cod. proc. civ. disciplina la situazione che viene a crearsi quando viene meno
una delle parti del processo, vi si ricolleghi o meno una vicenda di successione nel diritto su cui si controverte nel
processo pendente. Anche per N. PICARDI, Manuale del processo civile, Giuffrè, Milano 2006, la successione ex art. 110
cod. proc. civ. è fenomeno distinto dalla successione a titolo universale nel rapporto giuridico sostanziale dedotto nel
processo), che ritiene sufficiente il “venir meno della parte” perché si verifichi il subingresso del successore nella sua
posizione processuale. Ciò che interessa all’ordinamento è infatti ricostituire la bilateralità del processo al fine di
consentire che lo stesso si possa concludere con una decisione, evitando l’estinzione in caso di morte di una delle parti.
Lo scopo è raggiunto individuando nel successore universale colui che proseguirà o nei confronti del quale sarà
proseguito il giudizio, in considerazione della completezza del nostro sistema successorio, il quale garantisce che alla
morte di una persona vi sia sempre la possibilità di individuarne uno ex art. 586 cod. civ. Del resto è la stessa
giurisprudenza a ritenere che nell’ipotesi di successione nel processo ex art. 110 cod. proc. civ. sussista litisconsorzio
necessario per ragioni processuali tra i coeredi del defunto, indipendentemente dalla trasmissione all’uno o all’altro della
titolarità del bene oggetto della domanda giudiziale. Dunque, a parere dell’Autrice, non sembra del tutto corretta
l’affermazione per la quale l’impugnazione “va instaurata e deve svolgersi da e contro i soggetti che siano parti sostanziali
attualmente interessate alla controversia ed al processo”, se non riferendola genericamente agli eredi nel loro complesso
e quindi prescindendo del tutto dall’effettiva successione nel diritto oggetto della lite. Del resto, il soccombente che
rivolge l’impugnativa agli eredi non è affatto onerato dell’esatta individuazione del soggetto interessato sul piano
sostanziale all’esito della lite, quale successore nel diritto controverso. Ciò è tanto più vero che le Sezioni Unite hanno
ritenuto, pur in assenza di un dato normativo certo, che l’atto di impugnazione possa essere notificato agli eredi non
nominatim, ma collettivamente e impersonalmente; con il che si agevola il soccombente, non solo esonerandolo dalla
necessità di svolgere lunghe e complesse ricerche dirette all’esatta individuazione dei successori, ma evitandogli altresì di
indicare il soggetto che è realmente interessato sul piano sostanziale, essendo subentrato a tutti gli effetti nelle posizioni
del de cuius.
36
dell’impugnazione con conseguente violazione del principio del contraddittorio e
difetto della vocatio in ius, nella specie non hanno ravvisato alcuna delle ipotesi di nullità
insanabile, trattandosi di notifica che, effettuata collettivamente ed impersonalmente
agli eredi della parte defunta, il Collegio ha ritenuto errata solo con riferimento al
luogo della notifica (presso uno di quelli di cui all’art. 330, primo comma, cod. proc.
civ., e non presso il domicilio del defunto) con sanatoria della conseguente nullità a
seguito della costituzione dell’erede della parte defunta.
6.4.6. Infine, non può sottacersi - avendo la stessa ingenerato i dubbi interpretativi
di cui all’ordinanza interlocutoria n. 101216 del 30 aprile 2013 - la statuizione delle
Sezioni Unite del 13 marzo 2013, n. 6070, rv. 625324, con cui sono state definite
alcune questioni relative agli effetti della cancellazione della società dal registro delle
imprese, dopo la riforma del diritto societario attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003.
Muovendo dalla premessa che, dall’entrata in vigore della novella, la cancellazione
determina l’estinzione della società di capitali e la presunzione d’estinzione della
società di persone, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad esse
facenti capo, avendo la riforma adottato, per una ratio di certezza giuridica, il sistema
della liquidazione «formale»53, le Sezioni Unite ricostruiscono oggi le conseguenze
dell’estinzione in termini - lato sensu - successori: a) quanto agli effetti sostanziali
passivi (trasferimento del debito sociale ai soci, con responsabilità limitata o illimitata,
a seconda del tipo di responsabilità durante societate); b) quanto agli effetti sostanziali
attivi (acquisto in comunione tra i soci dei diritti e beni non compresi nel bilancio di
liquidazione, escluse le mere pretese e le ragioni creditorie incerte, la cui mancata
liquidazione manifesta rinuncia); c) quanto agli effetti processuali (incapacità della
società di stare in giudizio, interruzione del giudizio pendente, prosecuzione o
riassunzione da parte o nei confronti dei soci, inammissibilità dell’impugnazione
proposta dalla società o contro di essa, anziché dai soci o contro di essi).
In particolare, con specifico riferimento (atteso l’oggetto dell’odierna indagine
come delimitato nel precedente paragrafo 5) a quest’ultimo punto, si è affermato che
“La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica
l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la
sola eccezione della “fictio iuris” contemplata dall’art. 10 legge fall.); pertanto, qualora l’estinzione
intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento
interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione
da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora
l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali
modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della
società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci,
atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel
quale l’evento estintivo è occorso”.
53
Cfr., anche Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4060, rv. 612083 e rv. 612084.
37
Per quanto qui interessa, la Corte, sancita l’applicabilità, all’ipotesi di cancellazione
della società dal registro delle imprese, con conseguente sua estinzione, dell’art. 299
cod. proc. civ., in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione
della causa54, nell’affrontare gli interrogativi che sorgono quando, essendosi il giudizio
svolto senza interruzione, la necessità di confrontarsi con la sopravvenuta
cancellazione della società dal registro delle imprese si ponga nel passaggio al grado
successivo - il che può accadere o perché in precedenza siano mancate la
dichiarazione dell’evento estintivo (o il suo accertamento in una delle altre forme
prescritte dai citati art. 299 e segg.), oppure perché quell’evento si è verificato quando
ormai, nel grado precedente, non sarebbe più stato possibile farlo constare, ovvero
ancora perché l’estinzione è sopravvenuta dopo la pronuncia della sentenza che ha
concluso il grado precedente di giudizio e durante la pendenza del termine
d’impugnazione - ha ritenuto, pur nella consapevolezza di indicazioni giurisprudenziali
non sempre univoche sul punto, che “…l’esigenza di stabilità del processo, che
eccezionalmente ne consente la prosecuzione pur quando sia venuta meno la parte, se l’evento
interruttivo non sia stato fatto constare nel modi di legge, debba considerarsi limitata al grado di
giudizio in cui quell’evento è occorso, in difetto di indicazioni normative univoche che ne consentano
una più ampia esplicazione. Viceversa, è principio generale, condiviso dalla giurisprudenza di gran
lunga maggioritaria, quello per cui il giudizio d’impugnazione deve sempre esser promosso da e contro
i soggetti effettivamente legittimati, ovvero, come anche si usa dire, della “giusta parte” (si vedano, tra
le altre, Cass. 3 agosto 2012, n. 14106; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1760; Cass. 13 maggio 2011,
n. 10649; Cass. 7 gennaio 2011, n. 259; Sez. un. 18 giugno 2010, n. 14699; Cass. 8 giugno
2007, n. 13395; Sez. un. 28 luglio 2005, n. 15783). Non appare davvero un onere troppo gravoso
- nè tanto meno un’ingiustificata limitazione del diritto d’azione, a fronte dell’esigenza di tutelare
anche i successori della controparte, che potrebbero essere ignari della pendenza giudiziaria - quello di
svolgere, per chi intenda dare inizio ad un nuovo grado di giudizio, i medesimi accertamenti circa la
condizione soggettiva della controparte che sono normalmente richiesti al momento introduttivo della
lite. Nè giova qui soffermarsi a discutere del se ed in quale eventuale misura tale regola sia suscettibile
di attenuazione o di correttivi quando la parte impugnante non sia in condizione, neppure adoperando
l’ordinaria diligenza, di conoscere l’evento estintivo che ha interessato la controparte, nè quindi
d’individuare i successori nei cui confronti indirizzare correttamente l’atto d’impugnazione. L’evento
estintivo del quale qui si sta parlando, ossia la cancellazione della società dal registro delle imprese, è
oggetto di pubblicità legale. Salvo impedimenti particolari (sempre in teoria possibili, ma da
54
Si legge in motivazione, sul punto, che, “…La perdita della capacità di stare in giudizio, cui dette norme alludono, è infatti
inevitabile conseguenza della sopravvenuta estinzione dell’ente collettivo che sia parte in causa; e ricorrono qui tutte le ragioni per le quali il
legislatore ha dettato la suaccennata disciplina dell’interruzione e dell’eventuale prosecuzione o riassunzione del giudizio, così da contemperare i
diritti processuali del successore della parte venuta meno e quelli della controparte. Una sola eccezione va segnalata - ma si tratta, appunto, di
un’eccezione, come tale destinata ad operare sono nello stretto ambito in cui il legislatore la ha prevista - con riguardo alla disciplina del
fallimento. La possibilità, espressamente contemplata dall’art. 10 l. fall., che una società sia dichiarata fallita entro l’anno dalla sua
cancellazione dal registro comporta, necessariamente, che tanto il procedimento per dichiarazione di fallimento quanto le eventuali successive fasi
impugnazione continuino a svolgersi nei confronti della società (e per essa del suo legale rappresentante), ad onta della sua cancellazione dal
registro; ed è giocoforza ritenere che anche nel corso della conseguente procedura concorsuale la posizione processuale del fallito sia sempre
impersonata dalla società e da chi legalmente la rappresentava (si veda, in argomento, Cass. 5 novembre 2010, n. 22547). E’ una fictio
iuris, che postula come esistente ai soli fini del procedimento concorsuale un soggetto ormai estinto (come del resto accade anche per
l’imprenditore persona fisica che venga dichiarato fallito entro l’anno dalla morte) e dalla quale non si saprebbero trarre argomenti sistematici
da utilizzare in ambiti processuali diversi.
38
dimostrare di volta in volta ai fini di un’eventuale rimessione in termini), non appare quindi
ammissibile che l’impugnazione provenga dalla - o sia indirizzata alla - società cancellata, e perciò
non più esistente, giacchè la pubblicità legale cui l’evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i
terzi, e quindi anche le controparti processuali, ne siano a conoscenza; e la necessaria visione unitaria
dell’ordinamento non consente di limitare al solo campo del diritto sostanziale la portata delle
suaccennate regole inerenti al regime di pubblicità, escludendone l’applicazione in ambito processuale,
salvo che vi siano diverse e più specifiche disposizioni processuali di segno contrario (come accade per il
verificarsi dell’evento interruttivo nell’ambito del singolo grado di giudizio)…”55.
Sussistono, quindi, in tal caso, le esigenze di tutela del successore che sono a base
tanto dell’istituto dell’interruzione quanto del principio per cui il giudizio
d’impugnazione deve esser sempre instaurato nei confronti della “giusta parte”, cui
soltanto ormai fa capo il rapporto litigioso.
Da segnalare, poi, è anche il passaggio motivazionale in cui si afferma che, “In caso
di violazione del principio appena ricordato, quando cioè l’impugnazione non sia diretta nei confronti
della giusta parte, o non provenga da essa, l’impugnazione medesima deve essere dichiarata
inammissibile”.
“E’ vero - si sostiene - che la giurisprudenza di questa corte è apparsa talora incline a ritenere
nullo, per errore sull’identità del soggetto (anzichè inammissibile), l’atto d’impugnazione rivolto ad
una parte ormai estinta anzichè ai successori (si vedano, ad esempio, Cass. 30 marzo 2007, n.
7981; e Cass. 8 giugno 2007, n. 13395). Ma tale indicazione appare difficilmente condivisibile,
ove si rifletta sul fatto che la nullità, in coerenza con la funzione anche informativa dell’atto
introduttivo del giudizio, è contemplata dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2, e art. 164 c.p.c., comma
1, nel caso in cui la lettura di quell’atto evidenzi l’omissione o l’assoluta incertezza degli elementi che
occorrono per la corretta identificazione delle parti. Non di questo si tratta nella situazione di cui si
sta qui discutendo: perchè, lungi dall’esservi incertezza sull’identità della parte, questa è ben chiara,
ma accade che il giudizio sia stato promosso, oppure che in esso sia stata evocata, una parte (la società
estinta) diversa da quella (i relativi soci) che quel giudizio avrebbero potuto promuovere, o che
avrebbero dovuto esservi evocati. Non è, insomma, l’identificazione della parte del processo ad essere
in gioco, bensì la stessa possibilità di assumere la veste di parte per l’autore o per il destinatario della
chiamata in giudizio. Ed allora, ove tale possibilità di assumere la veste di parte faccia difetto, si è in
presenza di un giudizio (o grado di giudizio) che, per l’inesistenza di uno dei soggetti del rapporto
55
Secondo C. CONSOLO - F. GODIO, Le Sezioni Unite sull’estinzione di società: la tutela creditoria ritrovata (o quasi), in
Corriere giurid. 2013, 5, 691, l’onere per il creditore sociale di un controllo di attuale “vitalità” della società (pena
l’inammissibilità del gravame) stenta non poco a trovare giustificazione. Le Sezioni Unite vorrebbero fondare un tale
onere su di un “principio generale” (che, tuttavia, non trova alcun aggancio positivo. Cfr., amplius, A. TEDOLDI,
Cancellazione di società dal registro delle imprese e impugnazioni civili: la parola alle Sezioni Unite e alla Consulta (con un proposta di
“immortalità relativa” ad effetti meramente processuali, in Corriere giurid. 2012, 10, 1185), ormai condiviso dalla giurisprudenza
assolutamente maggioritaria, e di matrice chiovendiana, in forza del quale il giudizio di impugnazione dovrebbe sempre
essere promosso da e contro i soggetti effettivamente legittimati - alla data della proposizione del gravame - sul piano
sostanziale. Tuttavia, è proprio l’idea del rapporto processuale, che uno e unico si snoda per stati e gradi, che esclude, e
non da oggi (anche se la Cassazione ne dubitava quanto alla litispendenza, confutata, da ultimo, da V. Colesanti), la
configurabilità di un tale onere e di una sua coerente giustificazione: se il passaggio da un grado di giudizio all’altro rende
quiescente ma non estingue l’iniziale rapporto processuale facendone nascere uno nuovo, ma si conserva l’originario
(unico) rapporto, esso giocoforza potrà svilupparsi e procedere come inizialmente incardinato, a meno che la necessità di
un suo “aggiornamento soggettivo” non venga resa evidente proprio dal difensore della parte colpita dall’evento secondo
i canoni della autoresponsabilità endoprocessuale.
39
processuale che si vorrebbe instaurare, si rivela strutturalmente inidoneo a realizzare il proprio scopo:
donde l’inammissibilità dell’atto che lo promuove…”56.
7. L’impugnazione non promossa da e contro la “giusta parte”:
individuazione del relativo vizio e possibilità, o meno di sua sanatoria.
7.1. L’esame delle pronunce fin qui riportate evidenzia chiaramente come
l’orientamento ampiamente consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità è nel
senso che, in difetto di univoche indicazioni normative che ne consentano una più
ampia esplicazione, l’esigenza di stabilità del processo, che eccezionalmente ne
consente la prosecuzione, pur in presenza di eventi interruttivi che abbiano colpito la
parte ove essi non siano stati fatti constatare nei modi di legge, debba considerarsi
limitata al grado di giudizio in cui detti eventi sono occorsi, costituendo ormai
principio generale, reiteratamente sancito anche dalle Sezioni Unite della Suprema
Corte, quello per cui il giudizio di impugnazione deve sempre essere promosso da e
contro i soggetti effettivamente legittimati, ovvero, come anche si suole dire, della
giusta parte.
Pertanto, non essendo revocabile in dubbio la sussistenza di un vizio inficiante
(per quanto qui di specifico interesse, in ragione dell’oggetto di questa relazione) il
ricorso per cassazione che non sia diretto ne confronti della giusta parte, o che non
provenga da quest’ultima, occorre procedersene alla relativa individuazione al fine di
valutarne la possibilità, o meno, di una sua sanatoria.
7.2. In proposito, l’ordinanza interlocutoria n. 10216 del 30 aprile 2013, ha
evidenziato che, fino ad epoca recente, costituiva indirizzo consolidato quello per cui
la costituzione degli eredi della parte defunta avesse un effetto sanante: I) dalla
notifica del controricorso - e quindi ex nunc - se effettuata nel vigore dell’art. 164 cod.
proc. civ. anteriore alle modifiche operate con legge 353/1990 (sempre che fosse stato
rispettato il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza); II) dalla notifica del
ricorso - e quindi ex tunc - se relativa alle cause c.d. di nuovo rito.
Costituiscono espressione di tale orientamento, tra le altre:
a) Cass. 10 gennaio 2013, n. 384, rv. 624698, che ha affermato che “L’appello
proposto nei confronti di una società dichiarata fallita nel corso del termine di impugnazione,
mediante atto notificato presso il procuratore domiciliatario della medesima società in bonis” anziché
nei confronti del curatore fallimentare, è affetto non già da nullità di tale notificazione, bensì da errata
identificazione del soggetto destinatario della vocatio in ius, dovendo, pertanto, trovare applicazione
la disciplina di cui all’art. 164, primo e secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo, applicabile ratione
temporis, sostituito dalla legge n. 353 del 1990) - che prevede, in caso di mancata costituzione del
convenuto, l’obbligo del giudice di ordinare di ufficio la rinnovazione dell’atto introduttivo nullo, con
56
Analoga statuizione di inammissibilità è contenuta in Cass. 9 aprile 2013, n. 8596, rv. 625869, mentre i principi sanciti
dalle Sezioni Unite con la pronuncia in rassegna hanno trovato sostanziale conferma (pur nella diversità di fattispecie
esaminata) anche in Cass. 4 luglio 2013, n. 16751, rv. 627131.
40
efficacia ex tunc - da ritenersi utilizzabile, in assenza di specifica regolamentazione, anche nel
processo tributario”57;
b) Cass. 14 gennaio 2011, n. 776, rv. 616293, secondo cui “in caso di morte della parte
verificatasi dopo la pubblicazione della sentenza, trovando applicazione l’art. 328 cod. proc. civ.,
l’impugnazione notificata al procuratore della parte originaria anziché al successore universale, è
affetta da nullità rilevabile d’ufficio, a norma dell’art. 164, comma 1, cod. proc. civ., trattandosi di
errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius. Qualora, però, il giudice, rilevata la
nullità, ordini la rinnovazione dell’atto introduttivo nullo, ai sensi del comma 2 dell’art. 164 cod.
proc. civ. (nel testo vigente, così come modificato dall’art. 9 della l. 353 del 1990), la notifica ha
efficacia sanante del vizio, con effetto ex tunc”58;
c) Cass. 19 novembre 2010, n. 23522, rv. 614844, che ha sancito che “qualora la
notificazione dell’atto di appello sia stata effettuata nei confronti del procuratore domiciliatario della
parte deceduta nel corso del giudizio di primo grado, nonostante che dell’evento fosse a conoscenza la
controparte, e non già nei confronti degli eredi, soggetti legittimati ad assumere la qualità di parte nel
giudizio di gravame, la nullità dell’impugnazione, affetta da vizio relativo alla vocatio in jus per
omissione del requisito di cui all’art. 163, terzo comma, n. 2, cod. proc. civ., è sanata con efficacia ex
tunc, ai sensi dell’art. 164 cod. proc. civ., nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353,
dalla costituzione degli eredi nel giudizio d’appello, con la conseguenza che gli effetti di tale
costituzione risalgono sino al momento della notificazione dell’atto di appello, impedendo il passaggio
in giudicato della decisione impugnata”;
d) Cass. 21 maggio 2009, n. 11848, rv. 608318, secondo cui “In caso di morte della
parte, intervenuta dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e prima della notifica della
stessa, effettuata ad istanza degli eredi, l’appello deve essere proposto nei confronti di questi e non
contro la parte originaria, ed ove ciò non avvenga - in quanto l’impugnazione sia proposta nei
confronti della parte deceduta - la notificazione è affetta da nullità, a norma dell’art. 164, primo
comma, cod. proc. civ. (nuovo testo), per omissione del requisito stabilito dall’art. 163, terzo comma,
n. 2, cod. proc. civ.; tale nullità, tuttavia, è sanata, oltre che per effetto della rinnovazione dell’atto
eventualmente disposta dal giudice, anche in forza della costituzione degli eredi ai sensi dell’art. 164,
terzo comma, cod. proc. civ., restando salvi, con efficacia ex tunc, gli effetti sostanziali e processuali
della domanda. Qualora, invece, il decesso si sia verificato nel corso del giudizio e sia stato seguito
dalla costituzione degli eredi, è inammissibile l’impugnazione che venga indirizzata nei confronti della
parte deceduta, in quanto diretta contro persona diversa da quelle (gli eredi di detta parte) che hanno
partecipato al giudizio medesimo e, quindi, non più collegabile alla procedura in corso”59;
Nella motivazione si assume che “…deve ritenersi che nella fattispecie (appello proposto nei confronti di società dichiarata fallita nel
corso del termine di impugnazione) si sia trattato non già di nullità della notificazione dell’appello, bensì di errata identificazione del soggetto
passivo della vocatio in ius, con la conseguenza dell’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 164 cod. proc. civ., commi 1 e 2 (nel testo
sostituito dalla L. n. 353 del 1990), la quale prevede, in caso di mancata costituzione del convenuto, l’obbligo del giudice di ordinare d’ufficio
la rinnovazione dell’atto introduttivo nullo, con efficacia ex tunc…”;
58 In motivazione, peraltro, si afferma che “… Tale vizio, siccome relativo ad atto introduttivo de giudizio e comportando un’assoluta
incertezza della indicazione delle parti, in difetto di specifica regolamentazione, va inquadrato (v. Cass. civ. sent. n. 13695 del 2005) tra le
nullità previste e regolate dall’art. 164 c.p.c., comma 1 (Cass. 8427 del 2009)...”.
59 Meritevole di interesse appare il seguente passaggio motivazionale: “…In caso di morte della parte avvenuta dopo la
pubblicazione della sentenza di primo grado e prima della sua notificazione, il giudizio di appello deve essere instaurato e deve svolgersi nei
confronti dei soggetti che siano parti attualmente interessate alla controversia: da ciò consegue che, “se la sentenza venga notificata ad istanza
degli eredi di una parte ormai deceduta, l’impugnazione deve essere rivolta contro i medesimi e non già contro la parte originaria e con
l’ulteriore conseguenza che, se ciò non avvenga - in quanto sia evocato in giudizio il soggetto ormai deceduto - si verifica la nullità
dell’impugnazione, a norma dell’art. 164 c.p.c., comma 1 (nuovo testo), essendo stato omesso il requisito stabilito dal n. 2 del precedente art.
57
41
e) Cass. Sez. Un., 15 luglio 2008, n. 19343, rv. 604264, che ha statuito che “Qualora
la morte della parte si verifichi dopo la chiusura della discussione nel giudizio di appello e dopo lo
stesso deposito della sentenza di secondo grado, la notificazione del ricorso per cassazione al
procuratore della medesima è nulla, per omissione o incertezza assoluta nell’indicazione del convenuto
(art. 164, in riferimento all’art. 163 nn. 1 e 2 cod. proc. civ.), e sanabile mediante l’ordine di
rinnovo della notifica del ricorso personalmente agli eredi dell’originaria controparte, entro il termine
perentorio fissato dalla Corte di Cassazione”60;
f) Cass. 8 giugno 2007, n. 13395, rv. 597495, che ha affermato che “Quando
successivamente alla pubblicazione di una sentenza di merito (e quindi nel periodo intercorrente tra la fase
processuale del relativo giudizio e quella dell’eventuale giudizio di impugnazione), si verifica la morte (o la
perdita della capacità di agire) della persona fisica oppure l’estinzione della persona giuridica, l’evento
potenzialmente interruttivo incide non più sul processo (determinandone l’interruzione), ma sul termine
per la proposizione dell’impugnazione. Quest’ultima va proposta nei confronti del successore e, se rivolta
alla parte originaria, è affetta da nullità rilevabile d’ufficio a norma dell’art. 164, comma primo, cod.
proc. civ. (errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius), suscettibile di sanatoria in
conseguenza della costituzione in giudizio del successore universale ( o del soggetto comunque legittimato),
con effetti ex nunc ( cioè con salvezza dei diritti quesiti dalla controparte), a norma dell’art. 164 vecchio
testo, per i procedimenti pendenti alla data del 30 aprile 1995, e con efficacia sanante piena, sul piano
sostanziale e processuale, per le controversie iniziate successivamente, a norma del nuovo testo del
medesimo articolo, come sostituito dall’art. 9 della legge n. 353 del 1990”;
g) Cass. 30 marzo 2007, n. 7981, rv. 597109, che ha sostenuto che “È nullo, nel suo
valore sostanziale, l’atto introduttivo del giudizio per cassazione allorché esso, per errata
163 c.p.c. (nome, cognome e residenza dell’attuale convenuto). Tale nullità, tuttavia, è sanata, oltre che per effetto della rinnovazione dell’atto
eventualmente disposta dal giudice, anche in forza della costituzione in giudizio del vero convenuto, ai sensi del terzo comma del medesimo art.
164 c.p.c., secondo cui, in tal caso, restano salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda fin dal momento della prima notificazione”
(Cass. sez. lav., 9.1.2003 n. 134). Non è pertanto censurabile, sotto il profilo dell’errore di diritto, la determinazione della Corte territoriale
che, facendo corretta applicazione della disposizione di cui all’art. 164 c.p.c., comma 3, ha rilevato che la intervenuta nullità era sanata in
forza della costituzione in giudizio del vero destinatario dell’atto di appello; siffatta determinazione si appalesa assolutamente condivisibile ove
si osservi che lo scopo della notificazione degli atti di vocatio in ius è quello di attuare il principio del contraddittorio, e tale finalità è
chiaramente raggiunta con la costituzione in giudizio del destinatario dell’atto, rimanendo conseguentemente sanato con effetto ex tunc
qualsiasi eventuale vizio della notificazione stessa, e quindi anche il vizio previsto dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2 (ovvero, per il rito del
lavoro, dall’art. 414 c.p.c., comma 1, n. 2, richiamato per l’appello dall’art. 434 c.p.c.). Diverso è il caso in cui il vizio del ricorso consiste
nell’essere stata la impugnazione indirizzata nei confronti di persona diversa da quella che era stata inizialmente parte in giudizio, atteso che,
una volta che gli eredi della parte deceduta abbiano partecipato al precedente grado del giudizio, tale circostanza porta fuori dell’area della
nullità della impugnazione (per difformità dalle norme che ne disciplinano il profilo soggettivo in caso di morte della parte) ed immette, sic et
simpliciter, siccome rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 19.12.1996 n. 11394, in quella della inammissibilità, per
essere l’impugnazione indirizzata a soggetto comunque non più collegabile alla procedura in corso stante la intervenuta costituzione dei suoi
eredi…”.
60 Secondo la pronuncia in esame, “…Tale morte, verificatasi dopo la chiusura della discussione nel giudizio di appello e lo stesso
deposito della sentenza di secondo grado rende indubbiamente inidonea la proposizione della impugnazione al procuratore della parte ormai
deceduta (peraltro, per il superamento del principio secondo cui, se il decesso della parte non è stato dichiarato dal suo procuratore nel corso del
grado del giudizio di merito, durante il quale l’evento si è verificato, la cristallizzazione del giudizio tra le parti originarie perdura anche nella
fase successiva alla pronuncia della sentenza di quiescenza del processo e di riattivazione del rapporto processuale (v. Cass. S.U. n.
15783/2005 e 10706/2006). Il vizio è riconducibile alla nullità qualificata, con riferimento all’atto di citazione, come nullità per omissione
o incertezza assoluta nell’indicazione del convenuto (stante appunto la cessata esistenza in vita del soggetto indicato), sanabile per effetto della
costituzione in giudizio dell’effettiva controparte o per effetto della rinnovazione dell’atto entro il termine perentorio assegnato dal giudice, a
norma dell’art. 164, comma 2, nel testo di cui alla novellazione compiuta con la L. n. 353 del 1990 (cfr., ex plurimis Cass. S.U. n.
11394/1996 e 15783/2005 cit., la quale ultima, così come Cass., Sez. 1^, n. 6686/2006, per le fattispecie anteriori alla entrata in
vigore della disciplina sanatoria delle nullità della citazione, ha ritenuto che il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo
soggetto legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normali diligenza, da parte del soggetto
che propone l’impugnazione; cfr. anche Cass. S.U. 1238/2005 con riferimento all’ipotesi di decesso incolpevolmente non conosciuto della parte
nei cui confronti è stato eseguito l’ordine di integrazione del contraddittorio)…”.
42
identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius, invece che nei confronti dell’erede, sia
proposto e notificato (mediante il rilascio di copia nel domicilio eletto dal procuratore) alla parte
deceduta e del cui decesso il ricorrente abbia già avuto conoscenza legale, restando una tale nullità,
tuttavia, sanata dalla costituzione in giudizio dell’erede, avvenuta prima del passaggio in giudicato
dell’impugnata sentenza”61;
h) Cass. 12 novembre 2004, n. 21550, rv. 579342, a tenore della quale “quando si
verifica, tra una fase processuale e l’altra e dopo la pubblicazione della sentenza (o dopo la lettura del
dispositivo nelle cause soggette al rito del lavoro), la morte o la perdita della capacità di agire della
parte persona fisica (o l’estinzione della persona giuridica), il problema della notificazione dell’atto di
impugnazione e della instaurazione della fase di gravame va risolto in base alle disposizioni contenute
nell’art. 328 cod. proc. civ., secondo cui l’evento interruttivo incide non più sul processo, ma sul
termine per la proposizione dell’impugnazione. Ne deriva che, dovendo l’impugnazione essere proposta
contro il soggetto “attualmente” legittimato (art. 163, terzo comma, n. 2, cod. proc. civ.), essa, se
effettuata alla parte originaria anzichè al successore universale, è affetta da nullità rilevabile d’ufficio,
a norma dell’art. 164, primo comma, cod. proc. civ., trattandosi di errata identificazione del soggetto
passivo della vocatio in ius, e tale nullità è suscettibile di sanatoria, per effetto della costituzione del
successore a titolo universale. Detta sanatoria opera con efficacia ex nunc a norma dell’art. 164 cod.
proc. civ., nel testo anteriore alla modifica introdotta dalla legge n. 353 del 1990, per le cause
pendenti alla data del 30 aprile 1995, mentre ha efficacia sanante piena per le controversie iniziate
in epoca successiva al 1995”;
i) Cass. 16 aprile 2003, n. 6045, rv. 562201, che ha statuito che “nell’ipotesi di decesso
della parte costituita nel processo, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti della
parte deceduta con atto notificato presso il procuratore di questa, ove il ricorrente sia venuto a
conoscenza del decesso, in quanto in tal caso si verifica una nullità non già della notificazione, ma
dell’atto introduttivo nel suo valore sostanziale, essendo errata l’identificazione del soggetto passivo
della vocatio in jus; la nullità dell’atto introduttivo è sanabile per effetto della costituzione del
convenuto, ma con salvezza dei diritti da lui quesiti, tra cui quelli inerenti al già verificatosi passaggio
in giudicato della sentenza”.
7.3. Non va dimenticato, peraltro, che già secondo Cass., Sez. Un., 19 dicembre
1996, n. 11394, rv. 50143562, l’unica sanatoria ammessa alla nullità dell’impugnazione
proposta nei confronti della parte deceduta dopo la pubblicazione della sentenza, era
rappresentata dalla costituzione in giudizio dei successori, purché effettuata nelle
forme e nei limiti previsti63, mentre la successiva Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n.
In motivazione, si è, in proposito, specificato che “non v’è dubbio che qualora colui che vuoi ricorrere per cassazione abbia già
avuto conoscenza legale dell’avvenuto decesso della parte contro la quale il ricorso avrebbe dovuto essere proposto, il ricorso stesso non può essere
proposto ne’ può essere notificato alla persona defunta, mediante il rilascio di copia nel domicilio eletto presso il procuratore della medesima, ma
deve essere proposto nei confronti dell’erede e notificato allo stesso. Diversamente, si verifica una nullità non già della notificazione, ma dell’atto
introduttivo nel suo valore sostanziale, essendo errata l’identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius”.
62 Cfr. amplius, parag. 6.3 di questa relazione.
63 Sul punto, si legge nella motivazione della menzionata decisione che “…Non può infine condividersi (per lo meno nei termini
in cui è formulata e astraendo dal diverso significato che essa probabilmente racchiude) la tesi giurisprudenziale secondo cui, sempre in caso di
evento verificatosi fra un grado e l’altro del processo, troverebbe applicazione l’art. 291 c.p.c. (rinnovazione della notificazione), se il soggetto,
che ha mal indirizzato l’impugnazione (contro la parte deceduta o divenuta incapace anziché contro gli eredi o il legale rappresentante della
stessa), incolpevolmente ignorasse l’evento. In via di principio non appare scorretta la riconduzione della tematica in esame alla categoria della
nullità, orientamento peraltro pacifico nella giurisprudenza di questa Corte indipendentemente dallo specifico riferimento all’art. 291. Non si
tratta, infatti, di impugnazione rivolta contro soggetto tutt’affatto diverso da quello che è stato in giudizio nel precedente grado, nel qual caso
61
43
15783, rv. 58298464, pur riaffermando ed accentuando la lettura dell’art. 328 cod. proc.
civ. volta a cogliere la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione
alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della
sentenza che dell’impugnazione, ed operante tanto nel caso di evento verificatosi
dopo la sentenza, che in quello di evento intervenuto durante la fase attiva e non
dichiarato né notificato, con piena parificazione degli effetti delle due fattispecie,
aveva considerato che la scelta ermeneutica adottata, se riconosceva piena tutela alla
parte legittimata a proseguire il giudizio, non ne riservava in pari misura all’altra parte
incolpevolmente ignara dell’evento che aveva colpito il suo antagonista, tenuto
soprattutto conto che il meccanismo di proroga del termine annuale non eliminava del
l’impugnazione sarebbe come non proposta e non verrebbe in rilievo se non sotto il profilo della inesistenza/inammissibilità. In realtà, fra
soggetto deceduto e suoi eredi non vi è una totale “alterità” dal punto di vista del processo, se è vero che, in caso di morte della parte prima
della chiusura dell’udienza di discussione, il silenzio del procuratore ha un’efficacia perpetuativa del precedente soggetto; e ciò è ancor più
evidente nel caso di perdita della capacità di stare in giudizio, in questo caso restando addirittura identica la soggettività sostanziale
dell’interesse e l’alternativa ponendosi soltanto fra i soggetti capaci di far valere processualmente l’interesse medesimo. La situazione è dunque
ricostruibile non in termini di impugnazione non esercitata (a ciò equivalendo esercitarla contro un soggetto estraneo), ma in termini di
impugnazione invalidamente esercitata, nel senso che essa è posta in essere in modo difforme dal modello legale che ne individua il profilo
soggettivo in caso di morte o di sopravvenuta incapacità della parte. Insomma il vizio in esame può ricondursi alla categoria della nullità,
anche se, ove non intervenga sanatoria, l’effetto è pur sempre quello (ma, per così dire, in seconda battuta) della perdita dell’impugnazione per
decadenza. Ciò che non pare invece accettabile, come ammonisce Cass. 7045/92, è proprio il riferimento all’art. 291 c.p.c., in quanto si
tratta “non di semplice nullità della notificazione ma di errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius”. Deve inoltre
considerarsi che la riparazione di una nullità, mediante rinnovazione dell’atto, risponde ad una oggettiva esigenza di autocorrezione del
processo, per cui non vi è motivo di farla dipendere (come fa invece la giurisprudenza che richiama l’art. 291) dalla incolpevolezza del
comportamento che ha determinato la nullità stessa. Ulteriormente precisando, il vizio in questione potrebbe ricondursi al combinato disposto
degli artt. 163 n. 2 e 164 c.p.c., in quanto vizio attinente alla individuazione dei soggetti dell’impugnazione, con l’effetto che, almeno stando
alla disciplina anteriore alla novella 353/1990, non sarebbe possibile rinnovazione dell’atto e la costituzione del convenuto farebbe salvi i
diritti anteriormente quesiti, lasciando ferma la decadenza dall’impugnazione ove frattanto maturata. Diversa disciplina è invece dettata dalla
novella, prevedendosi, con riferimento alle nullità di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 163 c.p.c., la possibilità di rinnovazione (art. 164 novellato), e
tanto a questa, quanto alla costituzione del convenuto, attribuendosi effetto ex tunc: nella specie, tuttavia, trattandosi di causa “vecchia”
(pendente al 30 aprile 1995), si applica la disciplina anteriore (art. 9 d.l. 432/1995 conv. nella legge 534/1995).
Orbene, se si considera che l’art. 328 c.p.c., almeno con riguardo all’ipotesi del termine annuale, per la quale si limita a prevedere un mero
prolungamento della distantia temporis, lascia presumibilmente spazio a situazioni di incolpevole ignoranza dell’evento e, quindi, di
scusabile aberratio dell’impugnazione, appare chiaro che il sistema della sanatoria delle nullità, almeno nella versione anteriore alla novella
dell’art. 164 c.p.c., versione peraltro ancora vigente per le c.d. “vecchie cause”, offre una “valvola di sicurezza” del tutto insufficiente, non
consentendo sanatoria ex tunc e, quindi, il più delle volte, trovando limite nella già verificatasi decadenza dall’impugnazione. Si comprende
perciò come la giurisprudenza abbia fatto un uso strumentale dell’art. 291 c.p.c., facendolo funzionare non tanto come mezzo di sanatoria
della nullità (nella specie di tipo diverso e più grave di quella cui tale norma si riferisce) quanto piuttosto come strumento restitutorio, vale a
dire - attraverso la rinnovazione con effetto ex tunc - come mezzo di rimessione in termini per l’esercizio del diritto di impugnazione
incolpevolmente perduto. Tale uso strumentale è confermato dalla assunzione della incolpevolezza della nullità come requisito del rimedio,
requisito che non avrebbe senso se la norma fosse veramente impiegata nel suo significato primario di sanatoria del vizio e non in quello
indiretto di restituzione in termini contro la decadenza che per effetto del vizio si è determinata. Tale surrettizia utilizzazione dell’art. 291
c.p.c. non può essere condivisa e piuttosto sarebbe il caso di domandarsi se non giustifichi un sospetto di incostituzionalità la mancata
previsione di un vero e proprio strumento di restituzione in termini. Di questa figura si hanno manifestazioni sparse nell’ordinamento
processual-civile (artt. 184 bis, 294 e, per certi versi, 327, 650, 688), ma difetta una disciplina generale, quanto meno con riguardo all’area
delle impugnazioni, come questa Corte ha già avuto occasione di riconoscere (si vedano le forti affermazioni della sentenza 2317/92).
Al riguardo deve tuttavia precisarsi che, quando l’inosservanza del termine dipende da nullità dell’atto e per questa sussista un regime di
sanatoria con effetto ex tunc, come accade, secondo la versione novellata dell’art. 164 c.p.c., per i vizi elencati nel primo comma della norma,
tale regime è di per sè sufficiente ad offrire un congruo margine di sicurezza all’impugnante e non emerge, quindi, un vuoto di tutela rilevante
sotto il profilo costituzionale, perché l’ipotesi dell’incolpevole decadenza dal diritto di impugnazione resta assorbita nella disciplina della
sanatoria della nullità. Diverso discorso deve invece farsi quando, come nel caso in esame, viga la anteriore disciplina dell’art. 164 c.p.c. e non
sia perciò possibile una sanatoria i cui “effetti sostanziali e processuali si producono sin dal momento della prima notificazione” con
conseguente neutralizzazione della decadenza frattanto verificatasi. In tal caso ben potrebbe porsi - per la mancata previsione di un rimedio di
restituzione in termini in materia ove sussistono, come si è visto, ampi ampi margini di possibile incolpevolezza dell’errore - un problema di
costituzionalità, ma di esso difetta, nel caso particolare, la rilevanza, come sarà subito dimostrato riprendendo in esame la specifica vicenda di
cui si tratta…”.
64 Cfr. amplius, paragrafo 6.4.2. di questa relazione.
44
tutto il rischio che essa non venisse a conoscenza dell’evento stesso, che può
verificarsi anche nella imminenza della scadenza del termine pur prorogato.
Pertanto, alla stregua anche di quanto chiarito dalla Corte Costituzionale con
l’ordinanza n. 27 del 200065, aveva ritenuto che, limitatamente ai processi pendenti alla
data del 30 aprile 1995, ormai in via di esaurimento, si imponesse, quale unica
interpretazione compatibile con l’art. 24 Cost., quella che valorizzava la non
conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto
che ha proposto l’impugnazione, assumendo tale lettura come necessaria sul rilievo
che in relazione a detti processi, in presenza di un vizio che non attiene alla
notificazione, ma alla individuazione della parte nei cui confronti il potere
impugnatorio doveva essere esercitato, il sistema non prevedeva una possibilità di
rinnovazione dell’atto e sottoponeva la parte alle preclusioni derivanti dall’aver
indirizzato in modo errato l’atto di impugnazione, a differenza di quelli disciplinati
dalla novella del 1990, in ordine ai quali l’art. 164 cod. proc. civ. aveva predisposto
uno strumento per sanare, con efficacia ex tunc il vizio della citazione (e
dell’impugnazione), se omesso od assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti
nei numeri 1 e 2 dell’art. 163 cod. proc. civ., così da offrire un congruo margine di
tutela al soggetto incolpevole.
Non decisive, invece, appaiono, sullo specifico punto, Cass. Sez. Un. 16 dicembre
2009, n. 26279, rv. 610581, e Cass. Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699, rv. 61353866: la
prima, perché, sul presupposto dell’inapplicabilità, ratione temporis, alla vicenda da essa
decisa, dell’art. 164 e del nuovo art. 153, modificato dalla legge n. 69 del 2009, del
codice di rito, aveva affermato che esulava dalla statuizione se gli stessi fossero
applicabili all’ipotesi di impugnazione proposta nei confronti di parte defunta; la
seconda, in quanto, nella concreta fattispecie affrontata, non aveva ravvisato alcuna
delle ipotesi di nullità insanabile, trattandosi di notifica che, effettuata collettivamente
ed impersonalmente agli eredi della parte defunta, il Collegio aveva ritenuto errata
solo con riferimento al luogo della notifica (presso uno di quelli di cui all’art. 330,
primo comma, cod. proc. civ., e non presso il domicilio del defunto) con sanatoria
della conseguente nullità a seguito della costituzione dell’erede della parte defunta.
7.3. La statuizione delle Sezioni Unite del 13 marzo 2013, n. 6070, rv. 625324, ha,
però, sostanzialmente rimesso in discussione la soluzione - in termini di sanatoria finora prospettata, e tanto quale necessario portato logico della colà dichiarata
applicabilità dei principi successori nella fattispecie in cui, all’estinzione di una società,
65
Tale pronuncia, nel dichiarare manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 163, terzo comma, n. 2, 164, secondo comma (nel testo anteriore alla riforma del 1990) e 359 cod.
proc. civ., sollevata con riferimento all’art. 24 Cost. - laddove le disposizioni impugnate non consentirebbero rimedio
all’errore incolpevole dell’appellante che abbia ritenuto ancora in vita l’appellato al momento della notifica
dell’impugnazione e non prevedono che la costituzione in giudizio degli eredi determini la sanatoria ex tunc della nullità
della citazione in appello notificata alla parte deceduta dopo la chiusura della discussione nel giudizio di primo grado aveva rilevato che non era possibile operare la reductio ad legitimitatem delle norme impugnate in termini univoci e
costituzionalmente obbligati, essendo astrattamente configurabili più itinera, tutti egualmente idonei a porre rimedio alla
dedotta incostituzionalità, ed aveva indicato come diritto vivente l’orientamento che riteneva valida l’impugnazione
proposta nei confronti della parte non più esistente, allorché la controparte avesse senza colpa ignorato l’evento.
66 Cfr. amplius, rispettivamente, i paragrafi 6.4.3. e 6.4.5. di questa relazione.
45
a seguito di cancellazione, fossero sopravvissute o sopravvenute delle entità
patrimoniali non interessate dal procedimento liquidatorio.
Infatti, si è ivi sostenuto che la erronea evocazione in giudizio di una parte che
non sia la “giusta parte” non comporta la nullità della vocatio in jus, e quindi la
conseguente possibilità di sanatoria a seguito della costituzione della parte
pretermessa, quanto piuttosto la inammissibilità del ricorso stesso, da dichiararsi
anche di ufficio, dunque mettendo sull’identico piano il vizio dell’atto con le
conseguenze che da esso deriverebbero.
“E’ vero - si è affermato - che la giurisprudenza di questa corte è apparsa talora incline a
ritenere nullo, per errore sull’identità del soggetto (anzichè inammissibile), l’atto d’impugnazione
rivolto ad una parte ormai estinta anzichè ai successori. Ma tale indicazione appare difficilmente
condivisibile, ove si rifletta sul fatto che la nullità, in coerenza con la funzione anche informativa
dell’atto introduttivo del giudizio, è contemplata dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2, e art. 164 c.p.c.,
comma 1, nel caso in cui la lettura di quell’atto evidenzi l’omissione o l’assoluta incertezza degli
elementi che occorrono per la corretta identificazione delle parti. Non di questo si tratta nella
situazione di cui si sta qui discutendo: perchè, lungi dall’esservi incertezza sull’identità della parte,
questa è ben chiara, ma accade che il giudizio sia stato promosso, oppure che in esso sia stata evocata,
una parte (la società estinta) diversa da quella (i relativi soci) che quel giudizio avrebbero potuto
promuovere, o che avrebbero dovuto esservi evocati. Non è, insomma, l’identificazione della parte del
processo ad essere in gioco, bensì la stessa possibilità di assumere la veste di parte per l’autore o per il
destinatario della chiamata in giudizio. Ed allora, ove tale possibilità di assumere la veste di parte
faccia difetto, si è in presenza di un giudizio (o grado di giudizio) che, per l’inesistenza di uno dei
soggetti del rapporto processuale che si vorrebbe instaurare, si rivela strutturalmente inidoneo a
realizzare il proprio scopo: donde l’inammissibilità dell’atto che lo promuove…”.
Tali affermazioni lasciano implicitamente presupporre che, nel caso sopra
divisato, il vizio consista nella radicale inesistenza della vocatio in jus, tale dunque da
non consentire l’applicazione della sanatoria prevista dall’art. 164 cod. proc. civ. e, per
logica conseguenza, il ricorso che ne sia affetto sarebbe, sempre e comunque,
inammissibile67.
Non si rinviene, peraltro, nell’appena riportata decisione, alcun cenno ad una
relativizzazione della enunciazione della regula juris al caso lì in esame, apparendo, al
contrario, la portata generale - dunque applicabile anche ai casi di successione di
persone fisiche nel processo - della surriferita statuizione emergere dai richiami a
precedenti pronunce di legittimità, ivi disattese, che trattavano l’ipotesi di citazione di
parti defunte con successiva costituzione degli eredi.
67
E’ utile evidenziare che anche la precedente Cass. 27 novembre 2012, n. 21081, rv. 625395, richiamando in
motivazione Cass. Sez. Un. 14699/2010, aveva ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione notificato al difensore
della defunta parte vittoriosa costituito nel giudizio d’appello, e non agli eredi della stessa, indipendentemente dal
momento in cui sia avvenuta la morte, sebbene, successivamente, escludendo che, nella specie, “la nullità” potesse
“ritenersi sanata dall’intervento in giudizio di una società di fatto che si assuma costituita tra gli stessi eredi per la continuazione dell’attività
imprenditoriale del de cuius, ove non risulti che i beni oggetto del diritto controverso fossero imputati, prima del decesso, all’impresa
individuale del defunto, anziché a lui personalmente”. Sembra, quindi, potersi desumere che, in realtà, tale decisione fosse
ispirata alla possibilità di sanatoria del vizio riscontrato, concretamente però ritenuta non suscettibile di operare per le
ragioni ivi enunciate.
46
7.4. Va segnalato, peraltro, che, successivamente all’appena riportata statuizione
delle Sezioni Unite, Cass., Sez. III, 10 maggio 2013, n. 11136, rv. 626711, e Cass., Sez.
VI-5, 28 maggio 2013, n. 13276, rv. 626832, hanno nuovamente fatto applicazione
dell’orientamento disatteso da queste ultime (di cui nemmeno alcun cenno si rinviene
nelle relative motivazioni, che, invece, richiamano espressamente, la prima, Cass. S.U.
nn. 15783/05 e 26279/09; la seconda, Cass. n. 14544/2000, n. 6347/2008, n.
6426/2011, Cass. S.U. n. 11394/1996), statuendo, rispettivamente: a) che “Quando
successivamente alla pubblicazione di una sentenza di merito (e quindi nel periodo intercorrente tra la
fase processuale del relativo giudizio e quella dell’eventuale giudizio di impugnazione), si verifica la
morte (o la perdita della capacità di agire) della persona fisica oppure l’estinzione della persona
giuridica, l’evento potenzialmente interruttivo incide non più sul processo (determinandone
l’interruzione), ma sul termine per la proposizione dell’impugnazione. Quest’ultima va proposta nei
confronti del successore e, se rivolta alla parte originaria, è affetta da nullità rilevabile d’ufficio a
norma dell’art. 164, comma primo, cod. proc. civ. (errata identificazione del soggetto passivo della
vocatio in ius), suscettibile di sanatoria in conseguenza della costituzione in giudizio del successore
universale (o del soggetto comunque legittimato), con effetti ex nunc (cioè con salvezza dei diritti
quesiti dalla controparte), a norma dell’art. 164 vecchio testo, per i procedimenti pendenti alla data
del 30 aprile 1995, e con efficacia sanante piena, sul piano sostanziale e processuale, per le
controversie iniziate successivamente, a norma del nuovo testo del medesimo articolo, come sostituito
dall’art. 9 della legge n. 353 del 1990”; b) che “Nelle controversie in materia di locazione per i
giudizi introdotti dopo il 30 aprile 1995, la nullità del ricorso in appello per omissione od incertezza
assoluta nell’indicazione dell’appellato, che si determini a causa della morte della parte originaria
avvenuta prima della proposizione del gravame (ed in specie, già nel corso del giudizio di primo grado,
ma non dichiarata dal procuratore costituito) è sanabile, con effetto ex tunc, mediante l’esecuzione
dell’ordine di rinnovo della notificazione del ricorso agli eredi dell’originaria controparte, entro il
termine perentorio fissato dal giudice di appello, ovvero a seguito della costituzione nel giudizio di
appello degli eredi del defunto appellato, operando la sanatoria di cui all’art. 164, comma secondo e
terzo, cod. proc. civ., che è norma estensibile al rito del lavoro, nonché, con riferimento all’art. 414
cod. proc. civ., richiamato dall’art. 447 bis cod. proc. civ., alle controversie in materia di locazione”.
8. Osservazioni conclusive.
8.1. L’ordinanza interlocutoria del 30 aprile 2013, n. 10216, ha opinato esaminando la questione relativa al se l’invalidità che vizia l’impugnazione indirizzata
alla parte ormai defunta, presso il suo procuratore, possa considerarsi sanata dalla
costituzione degli eredi della stessa - che la portata generale della conclusione sulla
non applicabilità della sanatoria, contenuta nella statuizione delle Sezioni Unite del 12
marzo 2013, n. 6070, non avendo formato, di per sé, oggetto di intervento regolatore
di conflitti, possa essere suscettibile di nuova valutazione da parte di queste ultime,
reputandosi corretta la soluzione fino ad allora adottata dalle sezioni semplici in
materia di sussistenza del descritto vizio (qualificato come di nullità) e della sua
sanabilità.
Ha altresì aggiunto che ad identico risultato, peraltro, dovrebbe pervenirsi anche
ove si volesse ricostruire il vizio in termini di inesistenza della vocatio - a suo dire,
47
peraltro difficilmente ipotizzabile, stante la continuazione della personalità del defunto
in quella dell’erede - dal momento che tale radicale vizio non comporterebbe, di per
sé, la insuscettibilità dell’atto ad essere sanato in quanto non potrebbe predicarsi la
irrilevanza della costituzione della “giusta parte”, atteso che con essa sarebbe
comunque soddisfatta l’esigenza che al giudizio partecipino tutti i soggetti che
avevano diritto di esservi presenti, così dandosi applicazione, come riferimento
interpretativo, al principio del c.d. giusto processo.
Per tali ragioni, quindi, ha ritenuto “… necessario un ulteriore intervento chiarificatore
delle Sezioni Unite che precisi se i principi affermati con la sentenza n. 6070/2013 espressamente in
materia societaria, comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione, siano del
tutto estensibili anche alle vicende successorie delle persone fisiche …”, ipotesi, questa, che prosegue la citata ordinanza interlocutoria - “...suscita notevoli perplessità segnatamente nei
casi in cui - come nella specie - ad una impugnazione mal diretta, cui ha contribuito anche la mancata
dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio a quo, abbia fatto seguito l’instaurazione del
contraddittorio con gli eredi della parte defunta, a seguito della costituzione dei medesimi, in
considerazione della quale l’impugnante, pur essendo ancora nei termini per rinnovare utilmente il
gravame, non vi abbia provveduto, confidando nella giurisprudenza di legittimità, all’epoca di gran
lunga prevalente, che ravvisava l’intervenuta sanatoria in detta tempestiva costituzione …”,
evidenziandosi, inoltre,”… la rilevante importanza della questione, in quanto relativa a
situazioni frequentemente riscontrabili nell’ambito dei giudizi in cassazione, in massima parte relativi
a vicende processuali risalenti nel tempo …”.
8.2. Fermo quanto precede, è opportuno ribadire che: a) nella controversia oggi
all’esame delle Sezioni Unite, iniziata con citazione notificata il 2 marzo 1990, è
sopravvenuto il decesso di Raffaele De Marinis, ritualmente costituito in sede di
gravame, nell’intervallo temprale ivi ricompreso tra l’udienza di precisazione delle
conclusioni e quella di discussione innanzi alla Corte di Appello di Bari, senza che tale
evento fosse stato dichiarato (o notificato) alle parti dal proprio difensore; b) che il
successivo ricorso per cassazione è stato notificato al procuratore dello stesso, pur
dopo l’avvenuto decesso; c) che il controricorso delle parti che si sono dichiarate eredi
del de cujus è stato notificato prima del decorso del termine c.d. lungo per
l’impugnazione di legittimità, non risultando notificata la sentenza di appello.
Non sembra, quindi, potersi dubitare del fatto che, alla stregua dell’orientamento
consolidatosi a far data da Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15783, rv. 58298468,
l’odierna impugnazione doveva essere promossa ed indirizzata nei confronti degli
eredi del De Marinis, e non (come invece avvenuto) verso quest’ultimo presso il suo
difensore costituito in appello.
Parimenti innegabile è la circostanza che, in siffatta ipotesi, si sia in presenza di
un vizio attinente non alla mera notifica del ricorso (come tale, invece, suscettibile di
Ricordandosi che la precedente statuizione delle Sezioni Unite n. 11394/96 aveva ribadito, con riferimento alla
specifica fattispecie (verificarsi di uno degli eventi di cui all’art. 299 cod. proc. civ. tra il momento della costituzione della
parte e quello della chiusura dell’udienza di discussione) oggetto anche della odierna lite, l’orientamento già espresso da
Cass. Sez. Un. 21 febbraio 1984, n. 1228, ritenendo applicabile in tale ipotesi l’art. 300 cod. proc. civ., e riservando
l’utilizzazione dell’art. 328 cod. proc. civ. alle diversa vicenda afferente l’avverarsi dei medesimi eventi dopo la chiusura
della menzionata udienza.
68
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sanatoria a seguito della costituzione della controparte o, in mancanza, mediante il
meccanismo di cui all’art. 291 cod. proc. civ.), bensì direttamente a tale atto nel suo
valore sostanziale, anche se, poi, come si è ampiamente esposto nei precedenti
paragrafi di questa relazione, a fronte di un consistente indirizzo giurisprudenziale
orientato nel senso della nullità (per asserito errore sull’identità del soggetto suo
destinatario) di un ricorso così inficiato, il recente intervento delle Sezioni Unite con la
sentenza n. 6070/2013 ha contrapposto la sua diversa affermazione in termini di
inesistenza, implicitamente precludendo, quindi, la possibilità di utilizzazione del
meccanismo di cui all’art. 164 cod. proc. civ. al contrario consentita (con efficacia ex
nunc od ex tunc a seconda che si tratti di lite insorta in epoca anteriore - come quella
oggi all’esame delle Sezioni Unite - o successiva alla entrata in vigore della novella di
cui alla legge n. 353 del 1990) dal primo.
Tanto premesso, giova ricordare che il primo comma di tale articolo sanziona con
la nullità l’atto introduttivo di un giudizio in cui sia omessa o assolutamente incerta
l’indicazione di una delle parti in causa, segnalandosi, altresì, che agli effetti di detta
nullità, perché si abbia, nell’atto di citazione o di appello, l’omessa indicazione dei
soggetti processuali, è necessario che manchi del tutto l’enunciazione dei requisiti
diretti a individuarli, mentre se tale enunciazione risulti fatta solo parzialmente, si ha
non già omissione ma semplice incertezza che il giudice dovrà esaminare caso per
caso al fine di accertare se essa abbia carattere assoluto, cioè tale da determinare la
nullità dell’atto69.
Orbene, ove si muova dall’assunto che presupposto necessario della vocatio in ius
sia l’esistenza attuale delle parti, sicché il fatto oggettivo dell’inesistenza (per non
essere mai nato o per essere deceduto) del convenuto non consente l’insorgenza del
rapporto contenzioso, dovrebbe ragionevolmente conseguirne che un atto indirizzato
nei confronti di un soggetto inesistente (ab origine o per evento sopravvenuto) sia
strutturalmente inidoneo ad instaurare un giudizio (per carenza di uno dei soggetti del
rapporto processuale)70, diversamente da quanto avviene nell’ipotesi in cui sia soltanto
la mera sua identificazione (e non la sua esistenza, o meno) ad essere dubbia.
In altri termini, l’errata identificazione della parte, nella misura in cui non derivi
dall’omissione o dall’incertezza degli elementi necessari alla sua corretta
individuazione, bensì dal chiaro riferimento ad un soggetto diverso da quello che
avrebbe dovuto promuovere un giudizio, od ivi essere convenuto, potrebbe non
rientrare nella previsione (da ritenersi tassativa alla stregua di quanto sancito dall’art.
156, primo comma, cod. proc. civ.) di cui al combinato disposto degli articoli 163,
terzo comma, n. 2, e 164, primo comma, cod. proc. civ., rendendo così inapplicabile il
meccanismo di sanatoria previsto da quest’ultima disposizione.
Qualora, invece, volesse opinarsi nel senso che tra soggetto deceduto e suoi eredi
non vi sia una totale alterità dal punto di vista del processo, se è vero che, in caso di
morte della parte prima della chiusura dell’udienza di discussione, se prevista, ovvero,
Cfr. Cass. 25 marzo 1987, n. 2895, rv. 452009.
Evidentemente, questo ragionamento, trasposto in sede di gravame o di ricorso per cassazione, determinerebbe la
considerazione della impugnazione come non proposta, e, come tale, la sua valutazione non potrebbe che avvenire in
termini di inesistenza/inammissibilità.
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in mancanza, della scadenza dei termini di cui agli artt. 190 e 281 quinquies cod. proc.
civ., il silenzio del procuratore ha un’efficacia perpetuativa del precedente soggetto (e
ciò è ancor più evidente nel caso di perdita della capacità di stare in giudizio, in questo
caso restando addirittura identica la soggettività sostanziale dell’interesse e
l’alternatività ponendosi soltanto fra i soggetti capaci di far valere processualmente
l’interesse medesimo), allora l’impugnazione proposta ed indirizzata verso il defunto,
anziché verso i suoi eredi, potrebbe ricostruirsi non in termini di impugnazione non
esercitata (a ciò equivalendo l’averla fatta contro un estraneo), bensì come
impugnazione invalidamente proposta, nel senso che la stessa sarebbe stata spiegata in
modo difforme dal modello legale che ne individua il profilo soggettivo in caso di
morte o di sopravvenuta incapacità della parte71.
In tal caso, peraltro, potrebbe trovare applicazione il meccanismo di sanatoria
sancito dall’art. 164 cod. pro. civ. (con efficacia ex nunc od ex tunc, come si è già detto,
a seconda che si tratti di lite insorta in epoca anteriore - come quella oggi all’esame
delle Sezioni Unite - o successiva alla entrata in vigore della novella di cui alla legge n.
353 del 1990), e solo in sua assenza scatterebbe (per così dire, in seconda battuta) la
perdita dell’impugnazione per decadenza.
8.3. Anche ove si volesse comunque ricostruire il vizio de quo in termini di
inesistenza della vocatio, meriterebbe comunque attenzione la possibilità che tale
radicale vizio non comporti, di per sé, la insuscettibilità dell’atto ad essere sanato,
sebbene esclusivamente con efficacia ex nunc, in ipotesi e dal momento di avvenuta
della costituzione della “giusta parte”, sembrandone prima facie non agevolmente
predicabile la irrilevanza, atteso che con essa sarebbe comunque soddisfatta l’esigenza
che al giudizio partecipino tutti i soggetti che avevano diritto di esservi presenti, così
dandosi applicazione, come riferimento interpretativo, al principio del c.d. giusto
processo.
L’accoglimento, nella specie, di una siffatta conclusione, peraltro, non si
tradurrebbe necessariamente in una negazione di quanto recentemente sancito dalle
Sezioni Unite con la più volte menzionata sentenza n. 6070/2013, posto che nel
giudizio definito da quest’ultima, diversamente da quanto accaduto nella fattispecie
oggi in esame, non si era comunque avuta la costituzione in giudizio di coloro (soci
della società estinta) ai quali sarebbe spettata, alla stregua del fenomeno successorio in
quella sede ravvisato, la qualifica di giusta parte.
8.4. Il tenore letterale dell’interrogativo posto dall’ordinanza interlocutoria n.
10216/2013 - se i principi affermati con la sentenza n. 6070/2013 espressamente in materia
societaria, comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione, siano del tutto
estensibili anche alle vicende successorie delle persone fisiche …”, ipotesi, questa, che “...suscita
notevoli perplessità segnatamente nei casi in cui - come nella specie - ad una impugnazione mal
diretta, cui ha contribuito anche la mancata dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio a quo,
abbia fatto seguito l’instaurazione del contraddittorio con gli eredi della parte defunta, a seguito della
71
In tali sensi, si veda anche la motivazione di Cass. Sez, Un. 19 dicembre 1996, n. 11394, rv. 501435.
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costituzione dei medesimi, in considerazione della quale l’impugnante, pur essendo ancora nei termini
per rinnovare utilmente il gravame, non vi abbia provveduto, confidando nella giurisprudenza di
legittimità, all’epoca di gran lunga prevalente, che ravvisava l’intervenuta sanatoria in detta
tempestiva costituzione …” - impone, infine, di valutare la possibilità di applicare, nella
specie, il recente orientamento della Suprema Corte secondo cui il mutamento di una
consolidata interpretazione, da parte del Giudice della nomofilachia, di una norma
processuale non ha effetti retroattivi e quindi, in sostanza, non travolge gli atti
processuali compiuti alla luce dell’interpretazione poi ribaltata, sia in relazione al
principio, di natura costituzionale (art. 111 Cost.) e di matrice sovranazionale (art. 6
Cedu, art. 47 della Carta dei diritti dell’Ue) del “giusto processo”, sia alla luce del
principio generale dell’affidamento (la parte che deve compiere l’atto processuale non
può che guardare alla giurisprudenza prevalente all’epoca in cui l’atto si forma)72.
Giova, in proposito premettere che il cambiamento della propria precedente
interpretazione della norma processuale da parte della Suprema Corte (c.d. overruling),
il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od
una preclusione prima escluse, opera - laddove il significato che essa esibisce non trovi
origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale - come
interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale
“ora per allora”, nel senso di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento
tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente.
Infatti, il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge
(art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore
di fonte del diritto, sicché essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può
rappresentare la lex temporis acti, ossia il parametro normativo immanente per la verifica
di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del
giudice.
Tuttavia, ove l’overruling si connoti del carattere dell’imprevedibilità (per aver agito
in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica
una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante ex post non
conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che
ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che - in considerazione del bilanciamento
dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111
Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la
celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito - deve
escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall’overruling nei
confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il
momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi
in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale,
sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola
conforme alla legge del tempo.
Cfr., ex multis, Cass., Sez. Lav., 17 maggio 2012, n. 7755, rv. 623141; Cass. Sez. Lav., 11 marzo 2013, n. 5962, rv.
625840; Cass., Sez. Un., 21 novembre 2011, n. 24413, rv. 619591; Cass. Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144, rv. 617905.
72
51
Ne consegue ulteriormente che, in siffatta evenienza, lo strumento processuale
tramite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla
peculiarità delle situazioni processuali interessate dall’overruling.
Fermo quanto precede, va immediatamente sgombrato il campo dalla possibilità
di applicare i principi appena riportati con riferimento alla individuazione del soggetto
a cui l’atto di impugnazione della sentenza, in caso di morte della parte vittoriosa, deve
essere rivolto e notificato, avendo, recentemente73, i giudici di legittimità
specificamente chiarito che “la più recente interpretazione giurisprudenziale, che ha portato ad
affermare che l’atto di impugnazione della sentenza, in caso di morte della parte vittoriosa, deve essere
rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia
dall’eventuale ignoranza dell’evento, seppur incolpevole, da parte del soccombente, con conseguente
inapplicabilità dell’art. 291 cod. proc. civ. allorché l’impugnazione sia stata, invece, proposta nei
confronti del defunto, non costituisce un’ipotesi di cosiddetto overruling, ovvero di radicale
mutamento di un consolidato orientamento ad opera del giudice della nomofilachia, al quale si debba
negare efficacia retroattiva, in modo da non travolgere gli atti processuali già compiuti alla luce della
soluzione poi ribaltata, avendo detta interpretazione, in realtà, composto un contrasto di opposti
indirizzi di giurisprudenza, tale da non giustificare l’affidamento della parte impugnante sulla
legittimità della notifica precedentemente eseguita alla controparte non più in vita”.
In buona sostanza, tenuto conto dell’epoca di proposizione della odierna
impugnazione (ricorso notificato il 26 marzo 2007 e depositato il successivo 13 aprile
2007), nessun affidamento la parte che l’ha spiegata poteva certamente riporre, atteso
il pendolarismo giurisprudenziale allora esistente sulla corrispondente questione, sulla
legittimità di una notifica non eseguita agli eredi (bensì all’appellato defunto, presso il
suo procuratore).
Una siffatta conclusione, però, potrebbe non escludere, qualora non si optasse alla stregua delle argomentazioni in precedenza esposte - per la tesi della sanatoria
comunque verificatasi (anche qualificando in termini di inesistenza il vizio inficiante
quel ricorso), ex nunc, per effetto della costituzione degli eredi del de cuius, la possibilità
di utilizzare quegli stessi principi con riguardo all’avvenuta diversa qualificazione del
vizio del ricorso proposto e notificato contro un soggetto non più esistente come
73
Cfr. Cass. 21 marzo 2013, n. 7140, rv. 625578, di cui si riportano alcuni passaggi della motivazione, dai quali, peraltro,
emerge chiaramente anche l’ulteriore circostanza che, ancora in quell’occasione, la Corte aveva qualificato in termini di
nullità il vizio inficiante l’impugnazione non rivolta verso gli eredi: <… emerge chiaramente dalla sentenza prima citata (il
riferimento è a Cass. Sez. Un. 26279/2009. Ndr) di questa Corte che sino al 2009 sussisteva un acceso contrasto interpretativo tanto
che la stessa Corte nell’ultima passaggio della motivazione della sentenza del 2009 ha compensato le spese tra le parti alla luce del
“pendolarismo che ha caratterizzato la giurisprudenza sulla questione di cui si tratta con una “sterminata produzione” di pronunce orientate
per l’una o per l’altra soluzione”, peraltro richiamando l’espressione “pendolarismo” come utilizzata dalla precedente sentenza n.
15783/2005. Pertanto la decisione del 2009 a sezioni unite non costituisce un caso di overruling e cioè di mutamento radicale di indirizzo
giurisprudenzale, ma risolve un contrasto tra indirizzi che come, dice la Corte, aveva portato ad una sterminata produzione di pronunce tra
loro contrastanti... Nessun affidamento la parte che ha notificato l’appello di cui si parla poteva avere sulla legittimità di una notifica non
eseguita agli eredi e, quindi, il principio di precauzione avrebbe dovuto indurre la parte notificante a verificare tempestivamente se l’atto di
appello fosse stato notificato effettivamente alla parte appellata ancora in vita e provvedere, se del caso, alla notifica agli eredi. Pertanto la
nullità, alla luce di quanto detto supra sussiste, ma si deve ritenere che sia stata sanata… in quanto risulta dalla sentenza impugnata che
controparte si è costituita e si è difesa nel merito della controversia…. Nessuna lesione si è in concreto verificata del principio costituzionale e
sovranazionale del giusto processo”.
52
effettuata dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 6070/2013, attesi gli innegabili
effetti negativi, quanto alla prospettata impossibilità di sanatoria prima invece
costantemente ammessa dai giudici di legittimità attraverso il meccanismo dell’art. 164
cod. proc. civ., che tale mutamento interpretativo avrebbe prodotto in danno
dell’odierno impugnante.
(Red. Eduardo Campese)
Il Direttore Aggiunto
(Giovanni Amoroso)
53
Riferimenti normativi essenziali:
art. 24 Cost.;
art. 111 Cost.;
art. 163 cod. proc. civ.
art. 164 cod. proc. civ.;
art. 286 cod. proc. civ.;
art. 291 cod. proc. civ.;
art. 299 cod. proc. civ.;
art. 300 cod. proc. civ.;
art. 323 cod. proc. civ.;
art. 325 cod. proc. civ.;
art. 326 cod. proc. civ.;
art. 328 cod. proc. civ.;
art. 330 cod. proc. civ.;
art. 1396 cod. civ.;
art. 1722 cod. civ..
Riferimenti giurisprudenziali:
(citati nella relazione)
Corte Cost. 6 marzo 1986, n. 41;
Cass. 28 maggio 1948, n. 801;
Cass. 18 luglio 1950, n. 1959;
Cass. 28 luglio 1951, n. 2190;
Cass. 28 aprile 1956, n. 1305.
Cass. 19 gennaio 1957, n. 3971;
Cass. 19 luglio 1957, n. 3048.
Cass. 28 marzo 1958, n. 1060;
Cass. 10 ottobre 1958, n. 3184.
Cass. 5 febbraio 1959, n. 357;
Cass. 29 aprile 1959, n. 1284;
Cass. 22 giugno 1959, n. 1977;
Cass. 1 febbraio 1960, n. 140;
Cass., Sez. III, 18 agosto 1962, n. 2600, rv. 253873;
Cass., Sez. II, 16 novembre 1962, n. 3120, rv. 254606;
Cass., Sez. III, 23 febbraio 1963 n. 436, rv. 260576;
Cass. Sez. Un., 18 maggio 1963, n. 1294, rv. 261924;
Cass., Sez. II, 18 novembre 1964, n. 2753, rv. 304115;
Cass., Sez. III, 10 febbraio 1968, n. 452, rv. 331476;
Cass., Sez. III, 24 ottobre 1968, n. 3482, rv. 336624;
Cass., Sez. II, 9 ottobre 1969, n. 3240, rv. 343251;
Cass., Sez. II, 16 ottobre 1969, n. 3352, rv. 343418;
Cass., Sez. II, 6 luglio 1971, n. 2116, rv. 352835;
Cass., Sez. I, 14 luglio 1971, n. 2293, rv. 353144;
Cass., Sez. III, 29 novembre 1971, n. 3474, rv. 355104;
Cass., Sez. Un., 23 maggio 1972, n. 1605, rv. 358391;
Cass., Sez. II, 7 gennaio 1974, n. 30, rv. 367523;
Cass., Sez. I, 22 gennaio 1974, n. 174, rv. 367755;
Cass., Sez. III, 9 aprile 1974, n. 989, rv. 368927;
Cass., Sez. III, 10 giugno 1974, n. 2639, rv. 371095;
54
Cass., Sez. II, 4 luglio 1974, n. 1934, rv. 370162;
Cass., Sez. III, 7 ottobre 1974, n. 2639, rv. 371095;
Cass., Sez. II, 29 ottobre 1974, n. 3281, rv. 371806;
Cass., Sez. II, 14 febbraio 1975, n. 579, rv. 373890;
Cass., Sez. II, 13 marzo 1975, n. 951, rv. 374339;
Cass., Sez. III, 21 aprile 1975, n. 1531, rv. 375129;
Cass., Sez. III, 28 luglio 1975, n. 2905, rv. 376957;
Cass., Sez. I, 5 aprile 1976, n. 1176, rv. 379858;
Cass., Sez. I, 26 aprile 1976, n. 2403, rv. 381184;
Cass., Sez. II, 26 giugno 1976, n. 2420, rv. 381202;
Cass., Sez. Lav., 26 novembre 1977, n. 5175, rv. 388800;
Cass., Sez. Un., 21 luglio 1978, n. 3630, rv. 393141.
Cass., Sez. I, 12 gennaio 1979, n. 225, rv. 396290;
Cass., Sez. III, 25 gennaio 1979, n. 587, rv. 396722;
Cass., Sez. II, 15 febbraio 1979, n. 996, rv. 397191;
Cass., Sez. I, 22 febbraio 1979, n. 1139, rv. 397341;
Cass., Sez. I, 9 maggio 1979, n. 2641, rv. 398970;
Cass., Sez. II, 11 febbraio 1980, n. 2452, rv. 406172;
Cass., Sez. I, 10 gennaio 1981, n. 217, rv. 410624;
Cass., Sez. II, 2 aprile 1981, n. 1865, rv. 412552;
Cass., Sez. Lav. 22 aprile 1981, n. 2349, rv. 413103;
Cass., Sez. Lav., 4 agosto 1982, n. 4387, non massimata;
Cass., Sez. Lav., 25 novembre 1982, n. 6400, rv. 424025;
Cass., Sez. Un., 27 aprile 1983, n. 2881, rv. 427807;
Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1228, rv. 433371;
Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1229, rv. 433372;
Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1230, rv. 433373;
Cass., Sez. II, 25 marzo 1987, n. 2895, rv. 452009;
Cass., Sez. II, 9 giugno 1987, n. 5039, rv. 453640;
Cass., Sez. III, 25 giugno 1990, n. 6404, rv. 467979;
Cass., Sez. III, 9 luglio 1992, n. 8377, rv. 478115;
Cass., Sez. Un., 14 ottobre 1992, n. 11195, rv. 478903;
Cass., Sez. Lav., 13 ottobre 1992, n. 11174, rv. 478900;
Cass., Sez. I, 13 aprile 1994, n. 3427, rv. 486139;
Cass., Sez. Un., 2 dicembre 1994, n. 10350, rv. 488990;
Cass., Sez. III, 24 gennaio 1995, n. 791, rv. 489985;
Cass., Sez. Lav., 1 febbraio 1995, n. 1131, rv. 499155;
Cass., Sez. III, 21 giugno 1995, n. 7023, rv. 492985;
Cass., Sez. I, 21 dicembre 1995, n. 13041, rv. 495177;
Cass., Sez. II, 27 febbraio 1996, n. 1540, rv. 496056;
Cass., Sez. II, 21 agosto 1996, n. 7704, rv. 499292;
Cass., Sez. I, 26 agosto 1996, n. 7821, rv. 499356;
Cass., Sez. Lav., 24 ottobre 1996, n. 9299, rv. 500192;
Cass., Sez. Un., 19 dicembre 1996, n. 11394, rv. 501435;
Cass., Sez. III, 3 marzo 1997, n. 1865, rv. 502741:
Cass., Sez. III, 14 maggio 1997, n. 4237, rv. 504304;
Cass., Sez. III, 5 giugno 1997, n. 5002, rv. 504949;
Cass., Sez. II, 3 aprile 1998, n. 3431, rv. 514171;
Cass., Sez. II, 26 maggio 1998, n. 5230, rv. 515829;
Cass., Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5308, rv. 515915;
Cass., Sez. Lav., 6 giugno 1998, n. 5593, rv. 516150;
55
Cass., Sez. III, 15 settembre 1998, n. 9175, rv. 518930;
Cass., Sez. III, 7 ottobre 1998, n. 9911, rv. 519486;
Cass., Sez. III, 25 novembre 1998, n. 11966, rv. 521103;
Cass., Sez. III, 1 dicembre 1998, n. 12195, rv. 521303;
Cass., Sez. I, 27 aprile 1999, n. 4195, rv. 525793;
Cass., Sez. II, 29 maggio 1999, n. 5237, rv. 526830;
Cass., Sez. I, 22 giugno 1999, n. 6298, rv. 527789;
Cass., Sez. II, 16 febbraio 2000, n. 1721, rv. 533930, non massimata;
Cass., Sez. II, 4 luglio 2000, n. 8930, rv. 538202;
Cass., Sez. II, 22 febbraio 2001, n. 2599, rv. 544054;
Cass., Sez. Lav., 12 aprile 2002, n. 5305, rv. 553699;
Cass., Sez. Lav., 16 aprile 2003, n. 6045, rv. 562201
Cass., Sez. II, 9 settembre 2003, n. 13147, rv. 566673;
Cass., Sez. II, 10 settembre 2004, n. 18207, rv. 576942;
Cass., Sez. I, 20 agosto 2004, n. 16347, rv. 576539;
Cass., Sez. Lav., 12 novembre 2004, n. 21550, rv. 579342;
Cass., Sez. Un. 28 luglio 2005, n. 15783, rv. 582984;
Cass., Sez. II, 10 gennaio 2006, n. 144, rv. 585910;
Cass., Sez. Un., 13 gennaio 2006, n. 477, rv. 585538;
Cass., Sez. Lav. 23 gennaio 2006, n. 1257, rv. 586844;
Cass., Sez. I, 12 maggio 2006, n. 11006, rv. 590444;
Cass., Sez. II, 29 maggio 2006, n. 12744, rv. 590106;
Cass., Sez. I, 30 marzo 2007, n. 7981, rv. 597109,
Cass., Sez. II, 16 maggio 2007, n. 11291, rv. 597800;
Cass., Sez. II, 16 maggio 2007, n. 11301, rv. 597803;
Cass., Sez. III, 8 giugno 2007, n. 13395, rv. 597495,
Cass., Sez. Un., 15 luglio 2008, n. 19343, rv. 604264,
Cass., Sez. Lav., 21 maggio 2009, n. 11848, rv. 608318,
Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2009, n. 26279, rv. 610581;
Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4060, rv. 612083 e rv. 612084;
Cass., Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699, rv. 613538;
Cass., Sez. II, 19 novembre 2010, n. 23522, rv. 614844,
Cass., Sez. V, 14 gennaio 2011, n. 776, rv. 616293,
Cass., Sez. III, 31 marzo 2011, n. 7441, rv. 617518;
Cass. Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144, rv. 617905.
Cass., Sez. I, 31 ottobre 2011, n. 22624, rv. 620463;
Cass., Sez. Un., 21 novembre 2011, n. 24413, rv. 619591;
Cass., Sez. III, 15 maggio 2012, n. 7542, rv. 622476;
Cass., Sez. Lav., 17 maggio 2012, n. 7755, rv. 623141;
Cass., Sez. II, 23 maggio 2012, n. 8175, rv. 622407;
Cass., Sez. II, 27 novembre 2012, n. 21081, rv. 625395;
Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 384, rv. 624698,
Cass. Sez. Lav., 11 marzo 2013, n. 5962, rv. 625840;
Cass., Sez. Un., 13 marzo 2013, n. 6070, rv. 625324;
Cass., Sez. Lav., 21 marzo 2013, n. 7140, rv. 625578.
Cass., Sez. III, 4 aprile 2013, n. 8194, rv. 625669.
Cass., Sez. III, 9 aprile 2013, n. 8596, rv. 625869;
Cass., Sez. Un., 22 aprile 2013, n. 9692, rv. 625791;
Cass. Sez. II, Ordinanza interlocutoria 30 aprile 2013, n. 10216;
Cass., Sez. III, 10 maggio 2013, n. 11136, rv. 626711,
Cass., Sez. VI-5, 28 maggio 2013, n. 13276, rv. 626832,
56
Cass., Sez. I, 4 luglio 2013, n. 16751, rv. 627131.
Riferimenti dottrinali:
(citati nella relazione)
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C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, II, XII, Torino 2000, 324;
A. CAVALAGLIO, Interruzione del processo di cognizione nel diritto processuale civile, Dig. It., X, Torino
1993, 71);
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G.P. CALIFANO, Commento all’art. 299 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, diretto da L.P.
Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, III, Torino, 2012;
R. CONTE, Morte del difensore e processo in cassazione: «prudenti» sviluppi giurisprudenziali delle Sezioni Unite
575, in Giur. it., 2005, 1876;
G. FINOCCHIARO, L’interruzione «dimezzata» in cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 1425;
G. VERDE, Profili del processo civile, 2, Napoli 2000, 185;
S. SATTA- C. PUNZI, Diritto processuale civile, XIII, Padova 2000, 475;
R. CAPONI, La rimessione in termini nel processo civile, Milano 1996, 488;
G. TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano 1996, 156;
G. BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli 1994, 302;
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A. PROTO PISANI, Nota a SS.UU. nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984, in Foro it. 1984, I, 664 e ss.;
V. ANDRIOLI, Disorientamenti giurisprudenziali in tema di interruzione del processo, in Foro it. 1972, I, 965,
nota a Cass. 22 ottobre 1971, n. 2977 e 9 luglio 1971, n. 2116;
M. ACONE, Spunti sulla posizione sistematica dell’art. 328 cod. proc. civ., in Foro it. 1972, I, 1268, nota a
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M. ACONE, Ancora sugli articoli 328 e 330 cod. proc. civ., in Foro it. 1973, I, 2906, nota a Cass. 25
ottobre 1972, n, 3218;
C.M. BARONE, Osservazione a Cass. 6 dicembre 1974, n. 4040, in Foro it. 1975, I, 583; A. PROTO
PISANI, Osservazioni in tema di notificazione della sentenza e della impugnazione in caso di morte o perdita della
capacità processuale della parte non comunicata dal procuratore costituito; gravità del perpetrarsi dell’atuale stato di
incertezza giurisprudenziale, in Foro it. 1978, I, 1691, nota a Cass. 2 marzo 1978, n. 1043;
C.E. BALBI, La decadenza nel processi di cognizione, Milano, 1983, 281 e ss.;
R. CAPONI, In tema di autonomia e certezza della disciplina del processo civile, in Foro it. 2006, I, 1, 136 e
ss.;
M. MARANGON, Nota in tema di morte della parte, in Giurisp. It. 2010, 7 e ss.;
M.F. GHIRGA, Nuovo intervento delle Sezioni Unite sulle lacunose norme che regolano il processo in caso di morte
di una delle parti, in Riv. dir. proc. 2011, 1, 161;
C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, III, Il processo di primo grado e le impugnazioni della
sentenza, Giappichelli, Torino 2010;
P.C. RUGGIERI, Eventi interruttivi del processo e notificazione di atti di impugnazioni alle parti legittimate:
l’attesa svolta delle sezioni unite, in Foro it. 2006, I, 131,
P.C. RUGGIEARI, Capacità della parte, eventi modificativi ed impugnazione della sentenza, in Foro it. 2005,
I, 1551.
F.P. LUISO, “Venire meno” della parte e successione nel processo, in Riv. dir. proc. 1983, 204 ss.;
N. PICARDI, Manuale del processo civile, Giuffrè, Milano 2006;
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C. CONSOLO - F. GODIO, Le Sezioni Unite sull’estinzione di società: la tutela creditoria ritrovata (o quasi),
in Corriere giurid. 2013, 5, 691;
A. TEDOLDI, Cancellazione di società dal registro delle imprese e impugnazioni civili: la parola alle Sezioni Unite
e alla Consulta (con un proposta di “immortalità relativa” ad effetti meramente processuali), in Corriere giurid.
2012, 10, 1185.
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INDICE DEGLI ATTI ALLEGATI
Riferimenti giurisprudenziali:
Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1228, rv. 433371;
Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1229, rv. 433372;
Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1230, rv. 433373;
Cass., Sez. Un., 19 dicembre 1996, n. 11394, rv. 501435;
Cass., Sez. Lav., 16 aprile 2003, n. 6045, rv. 562201
Cass., Sez. Lav., 12 novembre 2004, n. 21550, rv. 579342;
Cass., Sez. Un. 28 luglio 2005, n. 15783, rv. 582984;
Cass., Sez. I, 30 marzo 2007, n. 7981, rv. 597109,
Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2009, n. 26279, rv. 610581;
Cass., Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699, rv. 613538;
Cass., Sez. II, 19 novembre 2010, n. 23522, rv. 614844,
Cass., Sez. V, 14 gennaio 2011, n. 776, rv. 616293,
Cass. Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144, rv. 617905;
Cass., Sez. Un., 21 novembre 2011, n. 24413, rv. 619591;
Cass., Sez. I., 17 maggio 2012, n. 7755, rv. 623141;
Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 384, rv. 624698,
Cass. Sez. Lav., 11 marzo 2013, n. 5962, rv. 625840;
Cass., Sez. Un., 13 marzo 2013, n. 6070, rv. 625324;
Cass., Sez. Lav., 21 marzo 2013, n. 7140, rv. 625578.
Cass., Sez. III, 9 aprile 2013, n. 8596, rv. 625869;
Cass. Sez. II, Ordinanza interlocutoria 30 aprile 2013, n. 10216;
Cass., Sez. III, 10 maggio 2013, n. 11136, rv. 626711;
Cass., Sez. VI-5, 28 maggio 2013, n. 13276, rv. 626832.
Riferimenti dottrinali essenziali:
A. FINOCCHIARO, Nota a SS.UU. 1228, 1129 e 1230 del 1984, in Giust. civ. 1985, I, 169.
A. PROTO PISANI, Nota a SS.UU. nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984, in Foro it. 1984, I, 664 e ss.;
R. CAPONI, In tema di autonomia e certezza della disciplina del processo civile, in Foro it. 2006, I, 1, 136 e
ss.;
R. CAPONI, Nota a Cass. Sez. Un. 11394/96, in Foro it. 1997, I, 2544 e ss.;
M. MARANGON, Nota in tema di morte della parte, in Giurisp. It. 2010, 7 e ss.;
M.F. GHIRGA, Nuovo intervento delle Sezioni Unite sulle lacunose norme che regolano il processo in caso di morte
di una delle parti, in Riv. dir. proc. 2011, 1, 161;
M.F. GHIRGA, Le Sezioni unite si pronunciano sul difficile equilibrio tra diritto di difesa e aspirazione al
giudicato in materia di interruzione, in Riv. dir. proc. 2010, 1, 165;
P.C. RUGGIERI, Eventi interruttivi del processo e notificazione di atti di impugnazioni alle parti legittimate:
l’attesa svolta delle sezioni unite, in Foro it. 2006, I, 131,
C. CONSOLO - F. GODIO, Le Sezioni Unite sull’estinzione di società: la tutela creditoria ritrovata (o quasi),
in Corriere giurid. 2013, 5, 691;
C. GAMBA, Nota a SS.UU. 11394 del 1996, in Nuova Giurisp. Civ. Comm., 97, I, 925;
M. MONTANARI, Rilievi critici intorno ad uno schema di sistemazione globale dell’incidenza degli eventi ex art.
299 cod. proc. civ., in Giurisp. It. 1985, I, 1, 39;
M.R. SAN GIORGIO, Arriva un onere in più per l’appellante, in Diritto e Giustizia 2005, 36, 10.
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