NEWSLETTER 05/2014 del 12.06.14

 STUDIO LEGALE
LEGALE LOCATELLI
STUDIO
LOCATELLI
NEWSLETTER 05/2014
del 12.06.14
1.
IRRISARCIBILITA’ IURE SUCCESSIONIS DEL DANNO DA MORTE
Corte d’Appello di Venezia, sez. IV Civ., 19 marzo 2014, Consigliere Relatore Giovanni Callegarin –
Consigliere Marina Cicognani – Consigliere Lisa Micochero
2.
DANNO ESISTENZIALE – UNITARIETÀ DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5958, Pres. Russo – Rel. Rubino
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RESPONSABILITÀ MEDICA – ART. 3 LEGGE N. 189/2012 – RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE –
ESCLUSIONE (ART. 3 LEGGE N. 189/2012)
Cass. civ., sez. VI, Ord. 17 aprile 2014, n. 8940, Pres. Finocchiaro – Rel. Frasca
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CIRCOLAZIONE STRADALE – UTILIZZO CINTURE DI SICUREZZA DA PARTE DEL TERZO TRASPORTATO –
MALA GESTIO PROPRIA
Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2014, n. 5795, Pres. Berruti – Rel. Cirillo
5.
RISARCIMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE –
DANNO DA PERDITA DELL’AIUTO DOMESTICO DI UN FAMILIARE
Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2014, n. 8407, Pres. Berruti – Rel. Rossetti
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CIRCOLAZIONE STRADALE – RIPARAZIONE DEL VEICOLO –
A VALORE DEL VEICOLO PRIMA DELL’INCIDENTE E DOPO LE RIPARAZIONI – LIMITI DEL RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA
Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6195, Pres. Segreto – Rel. Cirillo
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DANNO DA INCIDENTE STRADALE – IMPROPONIBILITÀ DELLA DOMANDA –
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REQUISITI EX ART. 148 COD. ASS.
Tribunale di Milano, XII sez. civ., 21 febbraio 2014, n. 2567, Giudice Maddaloni
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STUDIO LEGALE
1. ILOCATELLI
RRISARCIBILITA’ IURE SUCCESSIONIS DEL DANNO DA MORTE
Corte d’Appello di Venezia, sez. IV Civ., 19 marzo 2014, Consigliere Relatore Giovanni
Callegarin – Consigliere Marina Cicognani – Consigliere Lisa Micochero
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La recentissima sentenza si pone a diretta conferma di quell’orientamento giurisprudenziale in
tema di danno da morte iure successionis promosso dalla Corte Costituzionale nell’ormai lontano
1994 e, proprio di recente, messo fortemente in discussione dalla pronuncia della Cassazione Civile
del 23 gennaio 2014, n. 13161.
La pronuncia in commento dimessa dalla Corte d’Appello veneziana è chiara nel ribadire, a
sostegno dell’impossibilità di riconoscere il danno c.d. tanatologico che diritto alla salute e diritto
alla vita sono beni diversi, così come diverse sono le forme di risarcimento in ipotesi di lesione di detti
diritti, ulteriormente precisando – come del resto era stato sottolineato dalle pronunce gemelle
delle S.U. nel 2008 – che la lesione dell’integrità fisica con il verificarsi dell’evento letale
immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico.
La ratio del predetto assunto, secondo la prospettiva assunta dalla Corte, sarebbe da rinvenirsi
proprio nella natura riparatoria e non sanzionatoria del risarcimento che deve essere proclamata in
ambito civile con la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene
intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso (il
risarcimento) operi quando la persona (titolare di quel diritto) abbia cessato di esistere, non essendo
possibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste.
A smentire tali considerazioni, secondo i Giudici dell’appello, non può essere invocata la pronuncia
n. 1361 del 23 gennaio 2014, tesa, si ricorda, a riconoscere il diritto al risarcimento del danno da
perdita della vita, che viene acquisito istantaneamente dalla vittima al momento della lesione, così
configurandosi come una eccezione alla sola risarcibilità dei danni- conseguenza. Tale sentenza,
infatti, andrebbe considerata non già quale valida ragione per discostarsi da un ormai consolidato
indirizzo giurisprudenziale, bensì una decisione isolata, che peraltro non impone alcun valido
criterio liquidativo rimettendosi alla pura equità.
Evidente come sulla scorta di quanto contenuto anche in questa recentissima pronuncia della
Corte d’Appello di Venezia non possa che evincersi la necessità che le Sezioni Unite – il cui
intervento è stato invocato con l’ordinanza n. 5056/2014 - forniscano quanto prima una risposta
chiara ed omogenea ai tanti dubbi che caratterizzano questa importantissima tematica.
2. DANNO ESISTENZIALE – UNITARIETÀ DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5958, Pres. Russo – Rel. Rubino
Con la decisione in esame la Corte torna a pronunciarsi in ordine al danno esistenziale, pregiudizio
al centro di un annoso dibattito giurisprudenziale che si ricollega alla tassatività espressa dall’art.
2059 c.c.
Secondo la prospettiva assunta dalla Corte sarebbe contrario al principio del carattere unitario
della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. domandare la liquidazione del
danno esistenziale come voce autonoma, che si aggiunge a quanto già liquidato come danno non
patrimoniale, costituendo una vera e propria duplicazione risarcitoria.
In altri termini, la pronuncia sembrerebbe voler ribadire il dictum espresso dalle note sentenze
gemelle del 2008 statuendo l’inammissibilità di un separato ed autonomo risarcimento di
specifiche sofferenze patite dalla persona che si aggiungano alla liquidazione del danno non
patrimoniale comprensivo delle sue varie componenti.
3. RESPONSABILITÀ MEDICA – ART. 3 LEGGE N. 189/2012 – RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE –
ESCLUSIONE (ART. 3 LEGGE N. 189/2012)
Cass. civ., sez. VI, Ord. 17 aprile 2014, n. 8940, Pres. Finocchiaro – Rel. Frasca
La pronuncia in esame torna ad esprimersi, pur se incidentalmente, sulla natura della
responsabilità medica, come delineatasi a seguito dell’art. 3, comma I, della legge n. 189 del 2012.
La recentissima ordinanza, infatti, pur trattando principalmente di altra differente tematica
inerente la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348 ter
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c.p.c., ha il pregio di chiarire l’interpretazione dell’inciso contenuto nell’art. 3 della legge c.d.
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Balduzzi.
Come sappiamo, la norma relativa all’esercizio della professione sanitaria nella prima parte si
riferisce alla responsabilità penale; la seconda parte dell’inciso, è dedicata all’ambito civile, con la
previsione che “ resta comunque fermo l’obbligo ex art. 2043 c.c.”.
Le prime pronunce giurisprudenziali succedutesi all’entrata in vigore della novella (ad esempio
Tribunale di Varese sentenza del 26 gennaio 2013 e Tribunale di Torino sentenza del 14 febbraio
2013, quest’ultima citata anche dalla ricorrente nel caso sottoposto all’attenzione della Corte),
hanno ravvisato – nel richiamo all’art. 2043 c.c. – l’intenzione del legislatore di restaurare il regime
di responsabilità aquiliano anteriore all’orientamento giurisprudenziale promosso nel 1999, con
tutte le evidenti conseguenze in tema di riparto degli oneri probatori.
L’ordinanza in commento, invece, offre una differente spiegazione. Secondo la prospettiva assunta
dalla Corte, infatti, il legislatore, con il rimando al predetto articolo del codice civile, non avrebbe
inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della natura della responsabilità medica (nel
senso, del resto, di un valore del tutto neutro del riferimento all’art. 2043 c.c. si era espresso il
Tribunale di Arezzo con sentenza del 14 febbraio 2013, concetto poi riaffermato da Cass. N. 4792
del 2013). In buona sostanza, sembrerebbe essere intendimento della Corte affermare che il senso
del disposto legislativo sia piuttosto quello di chiarire come la colpa lieve - penalmente irrilevante
laddove il professionista sanitario si attenga alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica - non possa invece essere ignorata ai fini risarcitori in sede civile.
In conclusione, dunque, l’inciso contenente l’art. 2043 c.c. andrebbe inteso come precisazione della
rilevanza o meno da dare alla colpa lieve e non già come superamento dell’orientamento
tradizionale sulla responsabilità ex art. 1218 c.c., con tutte le sue implicazioni in tema di riparto di
oneri probatori e di termini di prescrizione del diritto.
4. CIRCOLAZIONE STRADALE – UTILIZZO CINTURE DI SICUREZZA DA PARTE DEL TERZO TRASPORTATO – MALA
GESTIO PROPRIA Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2014, n. 5795, Pres. Berruti – Rel. Cirillo
Con la sentenza in esame la S.C., ribadendo il principio secondo il quale in materia di responsabilità
derivante dalla circolazione dei veicoli il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto,
può invocare la presunzione di cui all'art. 2054 c.c. per far valere la responsabilità extracontrattuale
del conducente, in considerazione del fatto che la norma citata enuncia principi che assumono
carattere generale e, dunque, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque
subiscano danni, e quindi anche ai trasportati, a prescindere dal titolo del trasporto, di cortesia
ovvero contrattuale, oneroso o gratuito, ha confermato la decisione assunta in grado d’appello
dalla Corte territoriale, che aveva affermato spettare al danneggiante-conducente l’onere di fornire
la prova del fatto che il terzo trasportato non indossava le cinture di sicurezza al momento
dell’incidente (onere, nel caso di specie, non assolto da parte del conducente).
Conseguentemente, con riguardo al danno non patrimoniale sofferto dal trasportato, la Corte di
Cassazione ha inoltre precisato che alla risarcibilità di tale pregiudizio non osta il mancato positivo
accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 c.c., debba
ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe
qualificabile come reato.La sentenza inoltre si segnala perché ribadisce l’ulteriore principio , già in
precedenza affermato dai giudici di legittimità, per il quale con riferimento al caso di mala gestio
propria dell’assicuratore, trattandosi di ipotesi di responsabilità che trova fondamento nella
violazione da parte dell’assicuratore stesso dell’obbligo contrattuale di comportarsi secondo
buona fede, l’assicurato è tenuto a formulare una specifica e autonoma domanda, con relativo
onere di allegazione e prova dei comportamenti che ne costituiscono il fondamento, senza che
possa ritenersi sufficiente la semplice domanda di garanzia.
5. RISARCIMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE – DANNO DA PERDITA DELL’AIUTO DOMESTICO DI UN
FAMILIARE Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2014, n. 8407, Pres. Berruti – Rel. Rossetti
Va rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale consistente nella perdita delle opere di
ausilio domestico che la vittima d’un fatto illecito avrebbe prestato in favore del familiare superstite, in
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assenza della prova siaSTUDIO
d’una particolare
situazione di indigenza del superstite, tale da rendere
plausibile il ricorso all’aiuto dei familiari per il disbrigo dei servizi domestici; sia della prova della natura,
del contenuto e della frequenza delle opere che la vittima si assume svolgeva o avrebbe svolto in favore
del superstite.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8407 del 2014, rigettando il ricorso
promosso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia da una donna che, avendo perso la
madre in un incidente stradale, aveva agito per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da
perdita delle utilità economiche che la madre defunta, se fosse rimasta in vita, le avrebbe potuto
offrire in futuro.
La Suprema Corte, infatti, ha evidenziato che, nel caso di specie, la donna non aveva mai allegato,
nel corso del giudizio, un proprio particolare stato di bisogno ovvero una situazione di indigenza
tale da rendere necessario il ricorso all’aiuto materno nella gestione domestica, né aveva mai
dimostrato l’estensione, il contenuto e la frequenza dei servizi che la madre prestava o avrebbe
potuto prestare in futuro, mancando, dunque, la prova sia dell’an che del quantum debeatur.
Nella stessa sentenza, infine, la Corte ha ribadito il principio secondo cui nella stima del danno alla
persona, il Giudice di merito, quando sia chiamato a compiere la cosiddetta personalizzazione del
danno, non può prendere in esame circostanze di fatto che non siano state tempestivamente allegate
sin dall'atto introduttivo del giudizio.
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6. CIRCOLAZIONE STRADALE – RIPARAZIONE DEL VEICOLO – VALORE DEL VEICOLO PRIMA DELL’INCIDENTE E
DOPO LE RIPARAZIONI – LIMITI DEL RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA
Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6195, Pres. Segreto – Rel. Cirillo
Con la sentenza n. 6195 del 2014, la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio secondo cui la
domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, quando abbia
ad oggetto la somma necessaria per effettuare la riparazione dei danni, deve considerarsi come
richiesta di risarcimento in forma specifica, con conseguente potere del giudice, ai sensi dell’art. 2058,
comma secondo, c.c. di non darvi ingresso e di condannare il danneggiante al risarcimento per
equivalente, ossia alla corresponsione della somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo
la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore del veicolo (Cass. civ. 12
ottobre 2010, n. 21012; Cass. 4 marzo 1998, n. 2402).
Tale affermazione trova il suo fondamento nel fatto che, atteso che il veicolo ha un determinato
valore di mercato al momento in cui si verifica l'incidente, conseguentemente il costo delle
riparazioni non può superare tale valore, posto che altrimenti si produrrebbe un indebito
vantaggio per il danneggiato che, così facendo, potrebbe ottenere il rimborso di una somma
superiore al valore stesso del veicolo (usato) nel momento in cui è avvenuto il sinistro.
I giudici di legittimità hanno, pertanto, ritenuto di superare le doglianze del danneggiatoricorrente che aveva sostenuto che può ammettersi il risarcimento per equivalente solo ove il costo
delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del bene, precisando che la Corte
d’appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva sufficientemente motivato il rigetto
della domanda dando conto del fatto che il giudice di prime cure si era attenuto, nel
riconoscimento del diritto al rimborso, al criterio della economicità delle riparazioni, criterio sotteso
alla decisione confermata in entrambi i gradi di giudizio, osservando peraltro che il giudizio sulla
economicità o antieconomicità delle riparazioni è di competenza del giudice di merito,
insindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5), vizio che nella fattispecie non era stato prospettato.
7. DANNO DA INCIDENTE STRADALE – IMPROPONIBILITÀ DELLA DOMANDA – REQUISITI EX ART. 148 COD. ASS.
Tribunale di Milano, XII sez. civ., 21 febbraio 2014, n. 2567, Giudice Maddaloni
Il Tribunale di Milano, nella pronuncia segnalata, ha dichiarato l’improponibilità della domanda di
risarcimento del danno da lesioni fisiche svolta dal conducente di un motociclo a seguito di un
incidente stradale, per mancanza di una condizione di procedibilità, ritenendo che l’attoredanneggiato non avesse rispettato le disposizioni di cui agli artt. 145 e 148 cod. ass.
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Il Giudice ha motivato la propria decisione muovendo dalla sentenza della Corte Costituzionale n.
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111 del 2012, con la quale èSTUDIO
stata rigettata
la questione di legittimità costituzionale proposta in
relazione all’istituto dell’improponibilità della domanda emergente dal combinato disposto degli
artt. 145 e 148 cod. ass., ritenuto del tutto compatibile con il precetto di cui all’art. 24 cost. e,
dunque, rispettoso del diritto di difesa e dell’accesso alla giurisdizione: i giudici delle leggi hanno,
infatti, precisato come la ratio del meccanismo ha lo scopo di rafforzare, e non già di indebolire, le
possibilità di difesa offerte al danneggiato, evidenziando come all’onere di diligenza imposto a
quest’ultimo corrisponda l’obbligo di cooperazione previsto a carico dell’assicuratore, il quale è
tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum.
Il Tribunale di merito, esaminando le domande proposte dall’attore, ha rilevato come, nel caso di
specie, lo stesso, pur in possesso di una perizia medico legale di parte dalla quale, dunque, era
possibile desumere la precisa quantificazione del danno biologico e nonostante espressa richiesta
di integrazione documentale formulata dalla compagnia di assicurazioni alla quale la pretesa
risarcitoria era stata avanzata, avesse omesso di dare riscontro alle richieste dell’assicuratore,
violando così le prescrizioni delle richiamate norme del codice delle assicurazioni.
A parere del Giudice, non può, infatti, ritenersi sufficiente il mero invio di una richiesta risarcitoria
alla compagnia, ma occorre che questa rispetti le prescrizioni di contenuto indicate dall’art. 148
cod. ass., a nulla rilevando, peraltro, al fine di poter escludere gli oneri a carico del danneggiato, la
circostanza dell’intervenuta offerta di una somma da parte dell’assicuratore, in quanto concernente,
nel caso specifico, il solo danno materiale e non anche il danno da lesioni fisiche, in relazione alla
domanda di risarcimento del quale era stata rilevata la mancanza della condizione di procedibilità.