Capitolo 6 Nel covo dei Burattinai Ma non era stato l’Hamen a sparare: il colpo era partito dagli alberi, insieme a molti altri. Allora un centauro emerse dal folto con un balzo, la parte inferiore del corpo era quella di un cavallo pezzato molto più grande del normale, il torace era coperto da una giubba violetta, la chioma rossa e villosa gli ricadeva sulla schiena e anche le basette erano estremamente folte. Imbracciava un fucile e continuava a fare fuoco contro gli Hamen. Contemporaneamente altre figure fecero il loro ingresso nella radura. Ad Etenn bastò un’occhiata per capire che nessuno di loro era umano e tutti indossavano delle giubbe viola con alamari grigi sul davanti. “Burattinai!” gridò l’Hamen che teneva Etenn dal colletto, ma il suo urlo fu smorzato dalla lama che gli trafisse la gola, recidendogli la testa. Il corpo si accasciò con un tonfo appena udibile in quel caos. Etenn finì per terra e sollevò lo sguardo sul suo salvatore, ma dovette alzarlo molto più di quanto pensava: l’uomo che gli stava davanti era sottile e alto quasi come un albero. Una persona normale gli sarebbe arrivata al gomito. Era molto pallido, quasi bianco, con un naso aquilino e i capelli castano chiaro raccolti in una lunga treccia. Anche lui indossava quella divisa viola, una benda gli copriva l’occhio destro e impugnava una daga che aveva l’aria di essere stata rubata a un Hamen. L’uomo gigantesco guardò Etenn e lui ricambiò lo sguardo, a carponi nel fango. Dopo un lungo momento l’uomo sorrise. Intanto gli Hamen si erano avventati contro i Burattinai. Uno si scagliò verso di loro, ma l’uomo gigante mulinò la spada, eseguendo un altro taglio di testa. Devo aiutarli, pensò Etenn. Strinse i denti e cercò di rialzarsi, ma il ginocchio a cui gli avevano sparato gli doleva da impazzire e non riuscì a reggere il suo corpo. Poi si accorse che i Burattinai non avevano affatto bisogno d’aiuto: tutti e cinque gli Hamen erano riversi al suolo, decapitati. I Burattinai controllarono i corpi, poi si riunirono intorno al gigante con la treccia. Quest’ultimo si chinò per bisbigliare qualcosa a un paio di loro, facendo cenno verso Etenn e Qennell. L’Hayel sentì qualcosa che gli solleticava la gamba: un topolino nero con gli occhi da phooka zampettò sul suo stivale e si infilò sotto il corpetto. Intanto, una ragazza graziosa dalle zampe caprine aiutò Qennell ad alzarsi e lo portò vicino ad Etenn: lo sharepho sembrava ancora un po’ stordito, ma stava bene. “Fadggia, questo qui è un elfo” annunciò la satira. “Ehi, chi hai chiamato elfo?” ribattè Qennell, d’un tratto sveglissimo. “Sono uno sharepho, è chiaro? E se ti azzardi a ripeterlo un’altra volta, biondina…” Furono interrotti da un rombo che si rivelò essere la risata dell’uomo gigantesco. “Ti prego di scusarci: la mia compagna non voleva insultarti” disse con voce calda e tonante. Fadggia si inginocchiò di fronte ad Etenn e Qennell con un’espressione che aveva qualcosa di divertito. “Dunque…uno sharepho e un ragazzo che sembra tanto un Hamen. Insieme, per di più.” “Non sono un Hamen” rispose subito Etenn. “E allora chi sei? E’ chiaro che non andate d’accordo con gli Hamen, ma tu somigli proprio a uno di loro. Anche se hai gli occhi di questo strano colore… Ma non è il caso di parlarne qui. Adesso ci seguirete: purtroppo dovremo bendarvi, ma non vi legheremo” aggiunse Fadggia, come se stesse cercando un compromesso. Si alzò e la sua testa sfiorò quasi il baldacchino degli alberi. Etenn si chiese che razza di creatura fosse: non poteva essere un gigante, perché quelli erano molto più grossi e poi era così sottile… L’attimo dopo qualcuno mise una benda sugli occhi del ragazzo e da quel momento il suo mondo diventò nero. Una mano lo issò in piedi e lo costrinse a camminare nonostante il dolore. Etenn non potè fare a meno di pensare che sembravano due prigionieri. Non seppe per quanto andarono avanti, ma aveva la sensazione che fosse passata qualche ora quando sentì il suono di un oggetto di ferro che veniva spostato ai suoi piedi. Il topo nero si affacciò dal suo colletto per guardare. “Cosa sta succedendo?” gli bisbigliò Etenn. “Non mi piace: hanno sollevato un coperchio nascosto dalle foglie e si stanno calando dentro…” squittì il phooka. “Io me la squaglio!” “Ehi!” protestò Etenn, ma ormai il topo era sgattaiolato giù dai suoi vestiti. “Adesso dobbiamo fare un salto” disse Fadggia prendendo Etenn per le spalle senza fatica e gettandosi nel vuoto. Quando lo rimise a terra il ragazzo si ritrovò i piedi immersi nell’acqua. “Potete togliervi le bende, se volete.” Etenn si sfilò la sua, ma comunque non riuscì a vedere quasi niente. Si trovavano in un lungo tunnel di ferro. Macchie di ruggine stavano aggrappate alle pareti ricurve, mentre dell’acqua putrida scorreva intorno alle loro caviglie. Sul loro percorso si affacciavano le soglie circolari di altri tunnel, altrettanto bui e umidi. Anche stavolta camminarono un bel po’, prima di vedere lo sbocco circolare che segnava la fine del tunnel. Lì l’acqua ai loro piedi sgorgava di sotto in una cascata scura, mentre davanti ad Etenn si spalancava la caverna più grande che avesse mai visto. Enormi stalattiti di metallo pendevano dal soffitto di pietra, come giganteschi termitai rovesciati che sembravano formare un’autentica città. Lungo le pareti delle stalattiti si aprivano centinaia di ingressi da cui partivano ponti traballanti che conducevano alle altre stalattiti o al perimetro della caverna, dove sfociavano altri tunnel di ferro come il loro. “Missione conclusa, ragazzi” annunciò Fadggia, rivolto agli altri Burattinai del gruppo. “Ci penso io a fare rapporto al capo.” Mentre i ribelli si disperdevano nella ragnatela di ponti, Fadggia imboccò quello davanti a loro e fece cenno a Qennell ed Etenn di continuare a seguirlo. C’erano anche delle terrazze di legno che giravano intorno alle stalattiti, e scale di corda che collegavano i vari piani. Sotto di loro, sul fondo della caverna, c’era solo acqua. Più di una volta sopra le loro teste sfrecciò uno strano oggetto: sembrava un mezzo di trasporto capace di fluttuare nell’aria. Era fatto di metallo nero e sul davanti aveva una forma arcuata, come il becco di un uccello; in mezzo c’era una sella su cui montava il cavaliere, mentre il retro somigliava alla pinna caudale di un pesce. “Che cosa sono quelli!” esclamò Qennell, affascinato almeno quanto Etenn. “Xerferom. Perché, non ne avevate mai visto uno?” rispose Fadggia vagamente stupito. “Come fanno a volare?” chiese Etenn, che teneva il collo reclinato indietro nella speranza di avvistare un altro xerferom. “Beh, credo che abbiano un motore che funziona grazie alla magia…ma non me ne intendo, non saprei come spiegarlo.” Il lungo ponte li aveva condotti fino a una stalattite mastodontica. Fadggia, Etenn e Qennell attraversarono un foro circolare che fungeva da porta e si ritrovarono in uno spazio ristretto dove Fadggia dovette piegare la schiena. “Merito dei nostri architetti nanici” disse girando una manopola di ferro. Etenn capì cosa intendeva quando si accorse che si trattava di un organo a contrappeso. La scatola di legno in cui si trovavano cominciò a scendere verso il basso, sibilando e stridendo. L’ascensore si fermò e loro tre avanzarono in una stanza circolare e d’acciaio, con un soffitto a volta. C’era molto buio e l’unico mobile che Etenn riuscì a scorgere fu il tavolo circolare al centro: l’intero ripiano era occupato da una mappa di Alana scolpita nella superficie, con monti e colline in rilievo. Disposte sulla piantina c’erano delle piccole statuette di legno, simili ai pezzi degli scacchi, solo che ognuna rappresentava un animale: uno scoiattolo, una lepre, un cervo, un gufo e moltissimi altri che l’Hayel non riuscì a vedere bene. Si chiese a cosa servissero e se le loro posizioni fossero casuali oppure no. Poi la sua attenzione fu attratta da un filo di fumo verde che si dimenava nell’oscurità e notò l’uomo seduto dietro a quel tavolo, intento a fumare una lunga pipa. Indossava un cappotto nero, piccoli occhiali dai vetri scuri che gli nascondevano gli occhi e un cappello nero sulla testa completamente rasata. “Ti ho portato una cosa, Nessler. Anzi…due” disse allegramente Fadggia, spingendo Etenn e Qennell verso il tavolo. “Erano nella foresta. Gli Hamen li stavano attaccando.” Nessler si tolse la pipa dai denti ed esalò con uno sbuffo verde: “Non mi interessa sapere chi siete, né da dove venite. Ho un’unica domanda da farvi: state dalla nostra parte o da quella degli Hamen? Pensateci bene prima di rispondere: se siete dei nostri vi arruoleremo subito. Altrimenti vi uccideremo.” In pratica non abbiamo altra scelta che stare dalla vostra parte?, capì Etenn. “Io non ho bisogno di essere minacciato” affermò Qennell allegramente. “Mi arruolo!” Sembrava entusiasta all’idea. Il volto nel buio li osservò. Nessler non era affatto vecchio, eppure ad Etenn ricordò una cosa avvizzita, un frutto marcio. “Non sopporto quelli che vengono qui e credono che giocheremo alla guerra. Quest’organizzazione è nata per difendere la libertà degli abitanti di Alana. Se diventerete dei Burattinai, quella libertà diventerà il vostro sogno, e per i propri sogni bisogna essere disposti a perdere la vita, la famiglia, le gambe, la vista, gli amici, la reputazione, la dignità, la ragione, tutto. Altrimenti quei sogni non valgono niente. Perché questa guerra è vera, non è un gioco.” Ad Etenn quell’uomo piaceva sempre di meno. “E se noi ci rifiutassimo?” chiese in tono serio. “Perché dovremmo?” fece Qennell. Nessler trascicò le parole con la sua voce molle. “Mi mettereste di fronte a una scelta difficile: risparmiare le vostre vite e lasciarvi andare, in modo che possiate spargere le notizie sulla nostra posizione, oppure togliervi di mezzo per preservare la sicurezza della mia organizzazione? Mhm…” Finse di pensarci su. Li stava minacciando, non avrebbe potuto essere più chiaro. “Non faremmo mai qualcosa per aiutare Erill e gli Hamen” ribattè Etenn. “Davvero? Perché non ti togli la camicia, ragazzino?” rispose Nessler. Fece un cenno a Fadggia ed Etenn non ebbe il tempo di reagire: l’uomo gigantesco gli bloccò le braccia, aprì il corpetto e sollevò la camicia. Il Sitael fu perfettamente visibile e la sua luce bianca riempì la stanza. Nessler rimase immobile, fissandolo attraverso gli occhialetti neri. “Sei un Hamen” disse lentamente. “E nemmeno uno qualunque. A giudicare dal colore dei tuoi occhi devi essere Eiedaril, il principe perduto, il figlio di Qurasch e di Erill. Quale onore: un nobile è sceso nel mio umile buco sotto terra.” “Il mio nome è Etenn, non Eiedaril!” ringhiò il ragazzo. Si liberò dalla presa di Fadggia con uno strattone, barcollando in avanti. “E non ho mai voluto essere un Hamen. E’ stata Erill a mettere il Sitael dentro di me, ma non è riuscita a spegnere il mio vero cuore. Quindi io non sono come lei.” “Interessante” commentò Nessler. “Potrei anche decidere di usarvi a mio favore. Ma dato che siete lyceniani, prima è meglio che vi spieghi come funzionano le cose qui. Sedetevi.” Indicò le numerose sedie dalle alte spalliere che circondavano il tavolo. Lo sharepho e l’Hayel ubbidirono, mentre il capo dei ribelli metteva da parte la pipa e diceva: “E’ stata la prima sovrana di Alana, Galatea Dae, la madre di Erill Dae, a mettere in atto la pratica di sostituire il cuore con un Frutto dell’Eternità allo scopo di diventare immortali. Da allora, quelli che prima erano semplici esseri umani cominciarono a chiamare se stessi l’Unica Razza. Erill salì al potere all’età di diciotto anni circa e sotto il suo regime gli Hamen cominciarono lo sterminio delle altre razze, ritenute inferiori. Da molto tempo…” “Avrei una domanda: cosa significa Dae?” lo interruppe Qennell, dondolandosi sulle gambe della sedia. “E’ un appellativo che usano gli Hamen per distinguersi in base all’età” rispose Fadggia. “Un Dae è un Hamen nato nella Prima Era, che quindi ha più di seicento anni. Lo stesso vale per i Kim, nati nella Seconda Era, e in fine i Mir, che sono i più giovani in quanto hanno meno di trecento anni.” “Come dicevo” riprese Nessler, un po’ infastidito per l’interruzione “da molto tempo gli unici veri abitanti di Alana sono gli Hamen e i draghi. La nostra organizzazione è formata da quei pochi inumani che sono sopravvissuti allo sterminio e che, per colpa degli Hamen, adesso sono costretti a nascondersi sotto terra.” “Ho un’altra domanda: perché vi fate chiamare Burattinai?” intervenne Qennell. “Perché sono i burattinai a tirare i fili, al contrario dei burattini che si lasciano manovrare” rispose Fadggia, diligente. “E’ solo una metafora.” “Purtroppo” riprese Nessler “questa situazione va avanti da molto tempo. Gli Hamen sono più forti di noi da qualunque punto di vista, merito dei loro cuori artificiali e del legame coi draghi.” “Già, quei bastardi sono maledettamente difficili da uccidere” aggiunse Fadggia, le braccia incrociate. “Hanno una forza disumana, sono veloci, molti di loro sanno usare la magia in modo innato e, come se non bastasse, le loro ferite si rimarginano con una rapidità spaventosa. L’unico modo per toglierli di mezzo è strappargli il cuore artificiale o tagliargli la testa: quella non possono farla ricrescere.” “Fortunatamente per noi, anche tu potresti avere tutte queste capacità.” Per la prima volta Nessler sorrise osservando Etenn, ma fu un’espressione tutt’altro che rassicurante. Giunse le dita delle mani davanti al viso. “In pratica in questo momento sei conteso tra due fazioni, appartieni a due razze, hai due nomi e due cuori. Erill ti vorrebbe dalla sua parte, e anche noi. E’ come se tu fossi due persone, Eiedaril. O Etenn, fa lo stesso.” Etenn strinse i pugni, mentre sentiva montare la rabbia dentro al petto. “Tu non sai niente di me” replicò in un soffio. “Scommetto che neanche tu ti conosci poi così bene” rispose l’uomo, piuttosto divertito dalla sua reazione. “Se accetterai di essere dei nostri sarai il primo Hamen a diventare un Burattinaio. E in cambio noi possiamo aiutarti a non trasformarti nel giocattolo di Erill.” “Cosa intendi dire?” chiese Etenn. “Immagino che vorresti liberarti di quel cuore, vero? Te lo leggo negli occhi: nutri un profondo rancore per tua madre e per quello che ti ha fatto.” “Quindi esiste un modo per farmi tornare come prima?” “Può darsi. Ma te ne parlerò solo se accetterai di essere dei nostri.” Non aveva scelta. Quello degli Hamen era un popolo fondato su idee perverse e crudeli. Erano uomini artificiali, nient’altro che macchine fatte per distruggere gli altri e lui non voleva essere uno di loro. “D’accordo” scandì Etenn, ma quella risposta arrivò come se l’avesse pronunciata qualcun altro. “Evvai, siamo dei ribelli!” esultò Qennell, scagliando i pugni in aria. L’attimo dopo cercò di ridarsi un contegno. “Cioè…sono contento che abbiate trovato un accordo…per la guerra, eccetera.” “Molto bene. Fadggia, voi due aspettate qui fuori: io devo parlare in privato con Eiedaril…volevo dire Etenn” disse Nessler, che aveva tutta l’aria di aver sbagliato di proposito. “Come vuoi, capo” rispose Fadggia e stava per allontanarsi insieme a Qennell quando Nessler aggiunse: “Cosa è successo al tuo occhio?” Etenn capì che si riferiva alla benda nera che gli copriva l’occhio destro. “Ecco…sono rimasto ferito nello scontro di due settimane fa. Non fa più male, comunque” disse Fadggia. Il capo dei ribelli non rispose. Dopo un po’ un cigolio annunciò che l’ascensore era risalito. Etenn era rimasto da solo con quell’uomo dall’aspetto inquietante. “E così hai due cuori” cominciò Nessler, quasi distrattamente. “Come dire…sono contento che la sovrana non ti abbia trasformato in un mostro come lei, ma sappi che in questa situazione non durerai a lungo. Scommetto che quel cuore artificiale ti fa molto male, a volte. Beh, continuerà a farlo, almeno finchè il tuo vero cuore non si spegnerà definitivamente.” “Quindi…” disse il ragazzo, con lo sguardo piantato verso il basso “…se non riesco a liberarmi di questo cuore artificiale, alla fine diventerò come Erill?” “Forse. O magari morirai, chi lo sa.” Etenn si portò una mano al petto, involontariamente. Non riusciva a credere che stavolta rischiasse di essere ucciso proprio dal Sitael. “Allora dimmi come fare.” “Una volta ho sentito parlare di un Hamen che voleva liberarsi del suo cuore artificiale. Non si dava pace, finchè un giorno non scoprì un modo: mangiare il proprio Frutto dell’Eternità. Però funziona solo se il Frutto dell’Eternità proviene dal corpo della persona in questione.” “Ma io non ho un Frutto dell’Eternità. Ho solo il Sitael…” “Tuttavia hai un parente che possiede un Frutto dell’Eternità. Nel suo corpo scorre il tuo stesso sangue, quindi in un certo senso è come se si trattasse del tuo Frutto.” Nessler poteva riferirsi solo a una persona. “Erill” mormorò Etenn. “Non sono del tutto sicuro che funzionerà, ma forse, se mangerai il cuore artificiale di Erill, sarai libero dal tuo” disse Nessler, molto lentamente. “In altre parole…uccidere tua madre è l’unica speranza di salvezza che hai al momento.” “Adesso dove andiamo?” chiese Qennell, praticamente euforico, mentre con Fadggia ed Etenn attraversava il groviglio di ponti che collegava le varie stalattiti. Fadggia ridacchiò. “Dal marchiatore.” Quella risposta non piacque affatto ad Etenn, che preferì non chiedere altre spiegazioni. Teneva il passo in maniera distratta, fissando per lo più le assi del ponte e continuando a pensare a quello che gli aveva detto Nessler. “Avete bisogno di essere medicati, prima?” chiese Fadggia, dato che Etenn aveva parte dei pantaloni inzuppati di sangue. “Sto bene” rispose lui ed era vero. Perché mai il dolore al ginocchio sembrava del tutto passato? Proprio allora raggiunsero una stalattite, superarono il foro circolare dell’entrata e si ritrovarono in una stanza di ferro piena di vapore. C’era un caldo infernale e l’unica fonte di luce era un letto di carboni rosseggianti. Il fracasso era generato dal respiro di un mantice e da un clangore metallico. “E’ permesso?” chiese Fadggia. “Wendy, ci sei?” Gli schiocchi di ferro si interruppero e una figura avanzò verso le braci. Era la satira che Etenn aveva già visto nella radura con i Burattinai: aveva i capelli biondi corti e un paio di piccole corna sulla fronte. Invece della giubba adesso indossava un grembiule da fabbro e impugnava un martello. “Nuove reclute?” sorrise Wendy, andando a prendere un attrezzo che somigliava a quello con cui si marchia il bestiame. “Allora ragazzini, dove lo volete questo decoro?” disse, mettendo il ferro sul fuoco perché si arroventasse. Etenn e Qennell lanciarono un’occhiata preoccupata a Fadggia. “Dovete mettervi a torso nudo e sdraiarvi su quei tavoli” disse quest’ultimo. “Si, ma…non potresti spiegarci perché?” trascinò Qennell, con le orecchie rivolte in basso per la tensione. “Il marchio è necessario per farvi diventare membri effettivi dell’organizzazione. Inoltre così saremo sicuri che non ci volterete le spalle.” Etenn non capì cosa intendesse, ma si sfilò la spada che teneva a tracolla, il corpetto e la camicia, sentendosi nervosissimo. Lui e Qennell si sdraiarono a pancia sotto su alcuni tavoli di ferro che stavano in un angolo. Ovviamente avevano capito cosa stava per succedere, ma non potevano tirarsi indietro: erano stati loro a decidere di essere dei ribelli, con tutto ciò che questo comportava. “Vi tratterremo per non farvi agitare” spiegò Fadggia, mentre le sue lunghissime dita afferravano le spalle di Etenn e lo bloccavano contro il ripiano del tavolo. “Tranquilli, dura solo un momento” disse la voce di Wendy. Etenn non poteva vederla e si chiese se il ferro rovente fosse già sospeso sopra di lui. Qennell, lì accanto, strizzò gli occhi mentre Etenn li tenne ben aperti e fissò il tavolo di ferro sotto di se, così simile a quello su cui Erill lo aveva torturato. Poi arrivò il colpo, bruciante, proprio alla base del collo. Fece così male da dargli la nausea. Aveva l’inferno sulla pelle. “Un capolavoro” disse Wendy, ma Etenn non riuscì quasi a sentirla. Non capì nemmeno se il ferro avesse già lasciato la sua schiena, perché il dolore non si fermò e… E si svegliò su un letto, in una piccola stanza circolare. Lì vicino c’era un altro letto indentico, mentre sulla parete di ferro si trovava una finestra da cui era possibile vedere la caverna con le stalattiti. Etenn si chiese dove fosse e per prima cosa si tastò il retro del collo. “Tranquillo, anch’io sono svenuto mentre ci marchiavano” disse Qennell. Stava a torso nudo davanti a uno specchio sulla parete. Etenn notò il marchio sul collo dell’amico: il simbolo di una chiave scavata sulla pelle, che in quella zona era diventata rossa. Anche il mio è così? Poi si accorse che Qennell si stava facendo scorrere il coltello sulle guance, con attenzione, mentre fissava il proprio riflesso. “Che c’è?” chiese lo sharepho, accorgendosi del suo sguardo confuso. “A voi mezzi-demoni non cresce mai la barba?” “Credo di no” ammise Etenn. In fondo aveva già sedici anni, eppure il suo viso era ancora liscio come quello di una ragazza. “Certo che sei strano” commentò Qennell. “Pensavo che neanche voi elfi aveste bisogno di radervi” aggiunse Etenn, di proposito. “Ehi, attento a come parli!” rispose lo sharepho, anche se stava sorridendo. Etenn rise e si alzò dal letto, ma una fitta lo interruppe. Gemette e barcollò in avanti, mentre una scarica di dolore gli percorreva il corpo. “Etenn?” Qennell lasciò cadere il coltello e si precipitò verso di lui. Etenn si afferrò la carne con le dita e per alcuni secondi si sentì lontano miglia e miglia dalla stanza. Poi tutto finì, rapido com’era cominciato. “Stai bene? E’ stato il cuore, vero?” chiese Qennell. “E’ tutto ok” rispose Etenn, anche se non suonava convincente nemmeno a se stesso. Si lasciò cadere sul bordo del letto, respirando affannosamente. Qennell si sedette sulla propria branda, lì di fronte, senza smettere di fissarlo preoccupato. Parve decidere che era meglio cambiare argomento. “Fadggia è passato mentre dormivi. Quando siamo pronti dobbiamo raggiungerlo: ha detto che il capo vuole vederci.” “Pensi che unirci ai Burattinai sia stata la cosa migliore?” rispose Etenn dopo un po’. “Forse dovremmo tornare là fuori e cercare i nostri compagni…” “Ma che stai dicendo? Loro se la caveranno benissimo: scommetto che si stanno divertendo un mondo a sentire i borbottii di Ranten…” Etenn si lasciò sfuggire un sorriso, ma l’attimo dopo guardò fuori dalla finestra circolare. Chissà dove sei, Cheyun. Ci mise un bel po’ per trovare la sorgente. Qennell c’era stato mentre lui dormiva, perciò Etenn pensò che sarebbe stato facile arrivarci e invece si ritrovò a vagare alla cieca lungo i corridoi della stalattite, finchè non chiese indicazioni a un Burattinaio di passaggio. Si trattava di una stanza di ferro in cui dall’alto sgorgava un getto d’acqua bollente con cui era possibile lavarsi. Etenn socchiuse gli occhi e chinò il capo, lasciando che l’acqua gli scorresse sul collo dove c’era il marchio, che adesso non faceva più male. Aveva lasciato i vestiti e le armi in un angolo in modo che non si bagnassero. Si sedette sul fondo di metallo mentre il getto fumante gli scivolava piacevolmente dalla testa alle caviglie, scomparendo in una grata sul pavimento. Al momento c’era solo lui, lì dentro. Il buio regnava in tutte le direzioni, interrotto solo intorno a lui, per via del Sitael che gli brillava sul petto. Etenn si sfregò il ginocchio per ripulirlo dal sangue incrostato e rimase stupito: il foro di proiettile non c’era più, la ferita si era trasformata in una macchiolina rosa, col bordo incorniciato da una strana linea bianca, quasi luminosa. Fadggia aveva detto che le ferite degli Hamen si rimarginavano in fretta. Etenn si guardò le dita di una mano: prima erano rotte, mentre adesso riusciva a muoverle perfettamente. Poco dopo lui e Qennell, pronti di tutto punto, stavano percorrendo i ponti oscillanti della città sotterranea. Etenn osservò i collegamenti che si intrecciavano sopra e sotto di loro mentre lo sciabordio dell’acqua faceva da sottofondo, grazie a quelle cascate che grondavano dai tunnel e si riversavano nella caverna. Per la prima volta gli sembrò di sentire una traccia di quell’entusiasmo che provava Qennell: adesso era ufficialmente un ribelle. Era un nemico di Erill. Ma soprattutto era il Portatore di Luce. Ricordava ancora come si era sentito nella radura con gli Hamen: ormai aveva pienamente accettato il fatto che lui e il Sitael fossero una cosa sola. Erill non può distruggere quello che sono, non importa quanto ci proverà. Si chiese perché il capo dei ribelli volesse vederli di nuovo. “Secondo il nostro amico alto, il posto dovrebbe essere questo” disse Qennell, eppure lo aveva guidato verso una stalattite diversa da quella in cui avevano incontrato Nessler il giorno prima. Il luogo in cui entrarono era ombroso, col soffitto attraversato da diverse tubature. L’interno era pieno di tavoli circolari e affollati, quindi probabilmente si trattava di una mensa. “Da questa parte!” li chiamò Fadggia, sventolando un braccio lunghissimo. Sia il tavolo che lo sgabello erano troppo piccoli per lui, perciò doveva stare curvato. Lì accanto c’era Nessler, che sembrava quasi fuori posto lontano dal suo cupo rifugio. Ora che lo vedeva bene, Etenn si accorse di quanto era magro, come se fosse malato. Etenn e Qennell si sedettero di fronte a loro, un po’ a disagio. I ribelli che stavano agli altri tavoli guardavano continuamente verso Nessler, ed Etenn aveva l’impressione che fissassero anche lui. Si chiese quanti di loro sapessero che era un Hamen. Di sicuro non dovevano essere contenti della notizia. “Vi abbiamo preso qualcosa da mangiare” disse Fadggia, spingendo verso di loro un piatto carico di pane grigliato e qualche pesca dorata. “Volevo portarvi qui ieri sera, ma siete crollati durante la marchiatura” ridacchiò. Sia lo sharepho che l’Hayel erano affamati, perciò divorarono subito le fette di pane. “Sarò breve” disse allora il capo dei ribelli. “Ho un incarico da affidarvi: si tratta del ritrovamento di un demone. E’ una missione di considerevole importanza per l’organizzazione, perciò…” “Un demone?” lo interruppe Qennell, con la bocca piena di pane e gli occhi sgranati. “In realtà crediamo che sia l’ultimo demone rimasto” spiegò Fadggia. “Il resto della sua razza è stato sterminato da Erill, quattrocento anni fa.” “Perché lo state cercando?” proruppe Etenn. Nessler lo fissò attraverso gli occhialetti. “Questo non vi riguarda. Pensate a portare a termine la vostra missione e trovate quel demone: quando lo avrete fatto noi lo sapremo, e forse allora vi sarà data qualche spiegazione. Ci sono altre domande?” chiese, con quello che era decisamente un tono di sfida. Ad Etenn era passata del tutto la fame. “Si” rispose, anche se sapeva che stava mancando di rispetto. “Ci siamo arruolati soltanto da un giorno: perchè ci date subito una missione così importante?” “E me lo chiedi?” trascinò Nessler. “Credi che normalmente manderei un paio di ragazzini a stabilire le sorti dell’organizzazione? Io sto mandando lì l’Hamen che è diventato il mio fedele cagnolino.” Io non sono il cane di nessuno!, ruggì una voce dentro Etenn. “Fadggia, spiegagli il resto” ordinò il capo. Fadggia distese sul tavolo una cartina di Alana. “Anche gli Hamen stanno cercando quel demone: siamo riusciti a ottenere l’informazione proprio da loro, grazie alle nostre spie. Pensiamo che si trovi all’incirca in questa zona della foresta, vicino alle rovine della città demone” disse indicando un punto sulla cartina. “Quindi quando vi scorterò fuori dovrete procedere verso est. Lascerete il covo oggi stesso.” Mise sul tavolo anche due bisacce identiche e un po’ logore. “Questi sono i vostri bagagli: non è molto, ma il loro contenuto vi sarà utile durante il viaggio.” “Va bene, ma…che aspetto ha un demone?” fece Qennell, ancora incerto. “Si dice che abbiano i capelli rossi e un viso privo di emozioni, che contemporaneamente riflette tutte le emozioni che si possano trovare su un volto. O almeno questo è quello che c’è scritto sui libri: pare che siano dotati di una bellezza orribile” spiegò Fadggia. Qennell sembrò perfino meno convinto di prima. “D’accordo, ma ho un’altra domanda: quando potremo avere delle divise come le vostre?” “Non dire sciocchezze! Se vi mandassimo in giro con le nostre divise vi riconoscerebbero subito: noi le usiamo solo per scendere in battaglia.” “E non potrebbero riconoscerci anche vedendo i nostri marchi?” chiese lo sharepho. “Guarda dietro al collo del tuo compagno” fu la risposta di Fadggia. Qennell afferrò Etenn e lo voltò di spalle, ignorando le sue proteste. “E’ sparito! Non hai nessun marchio!” Etenn se lo aspettava e si raddrizzò con un gesto brusco. “Lo sapevo: dev’essere successa la stessa cosa di quella ferita al ginocchio. Il mio corpo lo ha rimarginato.” “Errato” intervenne Fadggia. “Diciamo che quei marchi sono un po’ particolari: ricompariranno al momento giusto. In ogni caso, anche se sei un Hamen, quella è una ferita che non puoi perdere.” Nessler afferrò la sommità del cappello e se lo sfilò per massaggiarsi le meningi. Etenn si accorse che c’era una chiave marchiata a fuoco sulla sua fronte. “Comunque” disse il capo dei ribelli “non dimenticate che siete nemici del regno. Stando a quello che mi hai detto, penso che la sovrana non si darà pace finchè non ti avrà catturato e non avrà terminato l’operazione sul tuo cuore artificiale, il che significa che probabilmente sarete braccati non appena metterete piede fuori da qui.” Allora era loro che gli Hamen stavano cercando nella radura? O stavano semplicemente dando la caccia ai ribelli? Scommetto che è stato quel Virgil a dirgli dov’ero. Non dovevo fidarmi di lui. “Adesso sparite dalla mia vista” concluse Nessler, agitando una mano stancamente. “Agli ordini, capo!” rispose Qennell, con un tono deciso da guardia di Golantica. Nessler fissò Etenn, attendendo che anche lui rispondesse. “Agli ordini, capo” disse il ragazzo, in modo molto diverso. Fadggia li scortò attraverso i tunnel metallici e bui da cui erano venuti. “Siete stati voi a costruire questi passaggi?” chiese Etenn, mentre camminavano. “No, facevano parte di un vecchio sistema idrico. I popoli che li hanno costruiti si sono estinti a causa degli Hamen.” Continuarono a procedere con l’acqua alle caviglie. Sia lui che Qennell avevano allacciato le bisacce alla cintura ed erano equipaggiati di tutte le loro armi. Etenn non sapeva ancora come si sentiva per via della partenza e per quello che gli aveva detto Nessler su Erill e il cuore artificiale. Quella donna era sua madre ed era terribile pensare di doverla uccidere…però era colpa sua se quel cuore lo faceva soffrire di continuo. “Eccoci, siete fuori” disse Fadggia quando davanti a loro si aprì un foro circolare da cui entrava una luce accecante ed era possibile vedere le cime verdi. “Dovremmo essere ancora nella foresta Miar, giusto?” chiese Qennell. “Guardate coi vostri occhi.” Lo sharepho si avvicinò all’imboccatura. Etenn si gettò un’ultima occhiata alle spalle, verso Fadggia e il tunnel buio, prima di seguire l’amico. Il condotto metallico si affacciava direttamente sopra la foresta, sbucando dal fianco di un’altura. L’acqua sgorgava fuori dal tunnel e finiva di sotto in un piccolo rivolo. Tutto quello che si stendeva intorno era verde, completamente diverso dal mondo sotterraneo dei ribelli. Le chiome degli alberi si agitavano come onde cariche di schiuma sotto un sole particolarmente acceso. Etenn guardò il cielo e il vento gli soffiò indietro i capelli. Che cosa succederà adesso? Quel mondo era diverso dal loro…però era anche affascinante. “Beh, grazie di tutto Fadggia e…” stava dicendo Qennell, ma si fermò. “Fadggia?” Il canale alle loro spalle era completamente deserto.
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