Storia Del fico-Greci-Romani - Atelier dei Paesaggi Mediterranei

Storia Del fico
Autore: Sara Lisi
Periodo-popolo di riferimento: Greci/Romani
In Grecia nacque e maturò una vera e propria civiltà del fico, che getterà le basi del sapere su questa
specie botanica. Esportato successivamente in Italia, in particolar modo nella Magna Grecia 1.
Il
fico come era accaduto per gli altri popoli antichi, anche per i Greci divenne un alimento di
fondamentale importanza.
Già prima del 500 a.C. in Attica nel diritto ateniese, il sicofante era chi denunciava colui che
esportava i fichi, poiché essi erano protetti dallo stato quale principale nutrimento per la
popolazione come raccontano Aristofane e Platone. Si dice persino che Serse, dopo aver gustato i
fichi greci, dichiarò che non ne avrebbe mangiati più finché non avesse conquistato quei frutteti, per
cui nel 480 a.C. invase l’Attica e puntò ad Atene.
In quei secoli il fico era una risorsa alimentare importante in più paesi, infatti, come pianta rustica,
adattabile ai suoli e alla siccità è facilissima da propagare e da gestire. I Greci la studiarono e
coltivarono con attenzione. A loro dobbiamo una patrimonio di saperi che non si è più perso nel
tempo a seguire.
Conoscevano molte varietà, ne importavano e le valutavano apprezzandole, distinguevano le unifere
dalle bifere e trifere, le rese e qualità all’essiccazione. A quei tempi possiamo far risalire la prima
presenza storica della varietà Dottato e, contemporaneamente, l’etimologia del suo nome. Questa
qualità essendo già nota ai Greci come ottima per l’essiccazione, etimologicamente deriva da‘optào
(essicco, inforno) e precisamente dall’aggettivo verbale optetéon (da essiccare), che divenuto
sostantivo e fusosi con l’articolo che lo precede to optetéon (quella da essiccare) tale resta nei
dialetti meridionali e poi diventa ottato e dottato nell’idioma toscano e nell’uso letterario.
Come detto in precedenza i greci erano grandi conoscitori di questa coltura, di conseguenza
conoscevano anche la caprificazione di cui parla Erodoto nella sua opera Le Storie 2, dicendo che i
fichi selvatici “maschi” hanno nell’interno lo “pseno” che porta a maturazione i frutti, nelle palme
come nei fichi.
Molti furono gli autori greci che parlano del Fico e numerosi i poeti che tessettero le sue lodi al
punto tale da supporlo originato dagli dei. I primi testi che citano questo frutto furono quelli
omerici: Omero decanta i fichi del giardino di Alcinoo, ed asserisce che fichi si succedevano a
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fichi3. In un altro verso Odisseo con parole piene d’affetto per il vecchio padre, Laerte, ricorda il
suo frutteto e racconta che tra i vari frutti piantati ci sono ben 40 piante di fichi4.
Tra gli autori vi è anche Archiloco, che nel VII a.C., parla della fichi coltura di Paros, Galeno
invece consigliava ai gladiatori di consumare fichi per il loro alto valore energetico 5.
Famosi estimatori e consumatori di questo frutto erano: lo stoico Zenone di Cizio e Paltone.
Quest’ultimo si meritò l’appellativo di “mangiatore di fichi” e lo consigliava ad amici e parenti
perché, a suo dire, rinvigoriva l’intelligenza.
Per il grande valore energetico l’uomo greco iniziava la sua giornata con le tasche piene di fichi
secchi, soprattutto perché difficilmente si sarebbe seduto davanti a una tavola ricca di vivande 6.
I greci conoscevano bene anche i processi di conservazione come l’essicazione. Questa era molto
diffusa: avveniva al sole, ponendo i fichi distesi su spianate di pietra coperte con paglie o erbe
secche appiattite, o su canne; i fichi venivano aperti se grossi, restavano interi se medio piccoli,
ancor più se da varietà come il Dottato che li facevano già essiccare parzialmente in pianta.
Avveniva poi un lavaggio e un passaggio in forni a secco piccoli; poi ancora caldi erano pressati in
piccole giare di terracotta, stratificati con alloro e altre spezie conservanti (pepe, forse il timo e il
rosmarino che contengono antibiotici naturali).
I fichi venivano utilizzati in vari modi e soprattutto in cucina come attesta anche M. Teresa Iannelli,
della Soprintendenza Archeologica della Calabria, che scrive: Nella Grecia classica si consumava
grande varietà di frutta fresca e secca (tra cui fichi); ed è tramandato l’uso di fare bollire a lungo
fichi e mele cotogne nel mosto molto concentrato, tanto da ottenerne uno sciroppo che poteva essere
usato anche come dolcificante” .
La fama dei fichi secchi greci era tale che Amitrocate, figlio di Candragupta Maurya, re dell’India,
pare avesse scritto ad Antioco, come racconta Egesandro di Delfi 7, di comprare per suo conto del
vino dolce, dei fichi secchi e un sapiente. I fichi secchi venivano utilizzati dagli antichi greci anche
per produrre o integrare la produzione di bevande alcoliche 8. I greci conoscevano bene il fico e le
sue proprietà, e utilizzavano non solo il frutto ma anche il lattice di fico, utilizzato già in tempi
antichissimi, come attestano i testi omerici, per la cagliatura del latte. Questa pratica viene ricordata
anche dal famoso medico greco, Ippocrate, il quale cita nei suoi scritti che il caglio animale si
3
Omero 1963- Odissea; versione di Rosa Calzecchi Onesti. Giulio Einaudi editore. Milano. VII, v. 115-120; 183. XII,
v.432;351.
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Versi 334-344 del XXIV libro dell’Odissea.
5
Storia delle abitudini alimentari: dalla preistoria ai fast food, Giancarlo Signore p. 6
6
A tavola con omero, Del Corno Lia, p. 6
7
Fr. 43 Muller in FHG, Vol. IV
8
Storia delle abitudini alimentari: dalla preistoria ai fast food, Giancarlo Signore, p. 6.
poteva sostituire con quello di fichi. Anche Aristotele documenta tale tecnica, affermando che un
ottimo sostituto al caglio animale è il succo di fico.
Nell’antica Grecia il fico era protagonista di molti miti, ed era considerato un frutto erotico.
Secondo i Greci il nome della pianta derivava da quello di una giovane donna, Siche, i cui genitori
furono i capostipiti del mondo vegetale. Secondo la mitologia greca il fico era considerato sacro in
quanto albero primordiale. Nei miti greci, come in quelli latini, il fico assunse dei caratteri
complessi e ambigui; inoltre vi sono delle incertezze sull’attribuzione del dio protettore di
quest’albero, ma nella maggior parte delle fonti coinciderebbe con Dioniso, il Bacco latino. Il frutto,
infatti, ben si addiceva a tale dio, che in Laconia veniva chiamato Sykites, da sykon, fico9. Altri riti,
invece, attribuiscono quest’albero a Priapo, il dio simbolo della forza generativa maschile e della
fecondità della natura. Secondo il mito tra gli animali consacrati a Dioniso, oltre il delfino, la lince,
la tigre e il leone vi era il caprone; da questo animale deriva il nome del fico selvatico, infatti,
nell’antica Roma questo veniva denominato caprificus, da caper, capro, mentre in alcune regioni
della Grecia veniva detto tragos, capro.
La sacralità che i greci attribuivano a questa pianta e al suo frutto sono testimoniate anche dal
fatto che, una di queste pianta sacre era costudita ad Eleusi, sede di un famoso tempio dedicato alla
dea Demetra, protettrice del grano e dell’agricoltura, qui il fico sacro era protetto da un portico,
come racconta lo scrittore e geografo greco Pausania.
Come accennato in precedenza la sacralità del fico rimase anche nella tradizione romana. Per i
Romani il fico era considerato l’albero sacro non solo a Bacco e Priapo ma anche a Marte, e si
riteneva che fosse portatore di fertilità e di benessere. Marte era considerato il vero fondatore della
città eterna in quanto, secondo la leggenda Romolo e Remo nacquero dalla sua unione con Rea
Silvia, dopo che il dio della guerra aveva posseduto con la forza la giovane vestale di Alba Longa.
Secondo il mito inoltre fu proprio un fico, albero sacro a Marte, a bloccare la cesta che conteneva
Romolo e Remo quando i due gemelli, furono gettati nel Tevere ed è per questo motivo che
quest’albero era fortemente legato alla fondazione di Roma. Secondo alcune fonti, il fico si ergeva
alle pendici del colle Palatino, nei pressi della grotta chiamata Lupercale, mentre nell’iconografia è
spesso rappresentato con un picchio appollaiato sui suoi rami. Esso fu chiamato dai romani “fico
ruminale”.
Più tardi vennero create due nuove divinità, Jupiter Ruminalis e Rumina, la dea che proteggeva le
donne allattanti. Essa veniva venerata in un tempio ai piedi del Colle palatino, adiacente al fico
ruminale, un albero di fico in cui si credeva che lupa avesse allattato i due gemelli fondatori.
Sebbene il fico ruminale fosse, in origine, solamente quello in riva al Tevere, presso il quale si era
9
I miti e i simboli delle piante presso i greci ed i romani, Reivas Dell' Ibis, p.88
fermata la cesta con i due neonati abbandonati, nel corso dei secoli successivi e fino in epoca
imperiale, altri alberi di fico furono oggetto di venerazione, talvolta con l’epiteto di “ruminale” 10.
Plutarco e Plinio narrano invece che un fico fu piantato nel Foro Romano, in quanto ritenuto di
buon auspicio e che, ogni qual volta la pianta moriva, veniva prontamente rimpiazzata con una
nuova. Tacito aggiunge che nel 58 d.C. l’albero “ruminale” iniziò a inaridire e ciò fu visto come un
cattivo presagio. Infatti, se la pianta seccava, il popolo romano era pronto ad affrontare le peggiori
sciagure pubbliche, per questo motivo i sacerdoti avevano cura di piantarne sempre una nuova.
Per i Romani questa non era solo una pianta sacra, infatti, erano particolarmente ghiotti del frutto,
che erano soliti utilizzare in cucina come antipasto, insaporiti con sale, aceto, garum (specie di salsa
fatta con interiora di pesce).
Secondo Publio Ovidio Nasone, i fichi con il miele venivano offerti nella notte di capodanno come
segno di augurio. Il fico era un alimento amato da atleti e convalescenti, grazie all’apporto calorico
e alla facile digeribilità, inoltre gli atleti mangiando fichi pensavano di ad aumentare il loro vigore
e la loro agilità.
Nella letteratura romana il fico è frequente, numerosissime sarebbero le citazioni. Tra gli altri, Gaio
Plinio “il Vecchio” nella in Naturalis Historia 11 sosteneva che mangiare fichi “rende più forti i
giovani, aiuta la salute degli anziani, e attenua le rughe”. Catone, quando il fico fresco iniziava a
maturare riduceva il pane ai suoi operai agricoli, perché mangiassero pane e fichi insieme. Secondo
gli scrittori inoltre i fichi essiccati erano considerati una prelibatezza: “quelli secchi al sole sono
ottimi tutto l’anno”, “secchi sono in luogo di sale e cacio” costituivano quota di razione e di paga.
Palladio Rutilio (proprietario terriero del IV sec. d.C., scrisse Opus agriculturae in quindici libri,
uno per ogni mese) ci informa che “in Campania” (era il Mezzogiorno in generale, quello di cultura
fichicola greca) i fichi essiccati sono compressi come forme di cacio (“massae”) e tali conservati.
I Romani attinsero moltissimo dalla civiltà Greca e dal loro sapere sul fico. Avevano certo il
Dottato, e la loro espansione fece importare molte altre varietà da ogni luogo, come fece ad es. L.
Vitellio che, sotto Tiberio, era legato in Siria. I Romani portarono con sé i fichi nelle varie
campagne di guerra e vari paesi.
Nel 395 d.C. Teodosio scisse l’impero d’Oriente da quello d’Occidente, le cui frontiere
settentrionali non ressero alle migrazioni armate di Unni, Visigoti, e si disgregò; dal nord poi
vennero i Longobardi. L’autorità di Bisanzio invece permise che nel Mezzogiorno italiano si
mantenessero a lungo le antiche strutture e culture economiche e agricole, e che nel Mediterraneo
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rimanessero a lungo attivi gli scambi commerciali esercitati da greci, ebrei, levantini. In questo
modo la coltura del fico soprattutto nel sud Italia rimase tipica del territorio.
Il fico ricoprì un ruolo importante anche nell’iconografia, infatti, è il frutto più rappresentato nei
dipinti di Pompei. Peculiari sono i fichi carbonizzati rinvenuti in domus di Pompei e conservati nel
Museo Nazionale di Napoli. Le domus di Pompei ed Ercolano, inoltre conservano numerosi dipinti
dove sono riprodotti dei fichi: Ad Ercolano, nella casa dei Cervi, sono raffigurati due cestini uno
con fichi e frutta secca e l’altro con fichi freschi; nel cubicolo della casa dell’atrio a Mosaico si
trova dipinto un fico Troiano vicino ad un dattero. Nel vano a sinistra dell’ingresso della Casa della
piccola fontana a Pompei, è dipinto un cestino con fichi bianchi, pinoli sgusciati e mandorle; su la
parete N.O. del peristilio della Casa di Castore e Polluce, è visibile un cestino con fichi neri e sulla
parete Ovest, un altro cestino con fichi e frutta varia; nel triclinio della casa dell’Ara Massima sono
dipinti fichi bianchi e datteri, nel cubicolo a sinistra dei fichi Lardaro e nel cubicolo a destra fichi e
mele; su la parete est del tablino della Casa di Trebio Valente, sono raffigurati tre fichi Lardaro e
nel cubicolo a destra fichi e mele; su la parete est del tablino della Casa di Trebio Valente, sono
raffigurati tre fichi Cucuzzaro in tre pose pomologiche; nel vestibolo della casa dell’Efebo, sulla
parete a destra, entrando, si trovano dipinti, un fico, un cono di pino, una castagna e un dattero;
sulla parete est del locale di fronte al primo cubicolo, sono raffigurati dei fichi Molosso e sul
larario, ad ovest del triclinio di questa Casa, si ammira una fruttiera con un fico bianco, dei fichi
neri, dei sedani a costole rosse ed un uovo; nel primo cubicolo, a destra del vestibolo dell’Amandus,
si trova dipinto un cestino colmo di fichi Troiani e lungo la zoccolatura sono raffigurati fichi, uva,
ciliegie; nel cubicolo a sinistra dell’ingresso della Casa n.5, Reg. I , Ins. VII, si trovano dipinti dei
siconi; nel cubicolo a sinistra del vestibolo della Casa di Achille si trova ritratto un ramo fogliato
con fichi neri; nel triclinio della Casa del Criptoportico sono raffigurati una casetta con fichi, datteri
ed uva; su una parete del tablino e nel primo cubicolo a destra del vestibolo della casa dei Cei, si
trovano dipinti fichi ed altra frutta; nel cubicolo a sinistra del vestibolo della casa degli Amanti si
ammirano dei fichi, datteri e mandorle; nella taberna I, n. 10, Reg.IX, Ins. II, sono raffigurati fichi
neri ed altra frutta ;nel tablino della casa della Caccia si trovano dipinti, fichi e datteri; nel cubicolo
grande di fronte all’atrio della casa dei quattro stili sono dipinti due fichi Dottato; nella casa di
Adone ferito sono raffigurati un fico Lardaro, una melograna ed una mela. I fichi inoltre sono
presenti su numerosi dipinti conservati al museo Nazionale di Napoli: 630, 9733, 8645, 8749, 8611,
1714, 9749, 8641, 8623, 8782, 8625, 8642, 8668, 8640, 9612, 868112.
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6.Casella D., 1950 – Pompeiana. La frutta nelle pitture Pompeiane. Gaetano
Macchiaroli Editore: 22-23.