LA COMMISSIONE ANTIMAFIA NELLA REPUBBLICA DEI PARTITI QUESITO CENTRALE DELLA RICERCA Nel dicembre 1962 veniva promulgata la legge che istituiva la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. 1Mancando pochi mesi allo scioglimento delle Camere, la Commissione non divenne subito operativa e gli inizi effettivi dei suoi lavori sarebbero stati posticipati alla successiva legislatura. Fra polemiche e ritardi, acquisizioni importanti e sconfitte, l'esistenza della Commissione si sarebbe protratta fino al 1976, andandosi a chiudere in un ormai generale disincanto dell'opinione pubblica, dopo le speranze suscitate al debutto. A porre termine ai lavori era il Presidente democristiano Franco Carraro, chiamato a dirigere le attività dell'Inchiesta dopo Paolo Rossi (a capo solo nominalmente della Commissione durante gli ultimi mesi della III legislatura), Donato Pafundi (IV legislatura) e Francesco Cattanei (V legislatura). L'attività dell'Antimafia è stata spesso descritta attraverso rappresentazioni dicotomiche. In larga parte ha però prevalso la raffigurazione negativa, spinta innanzitutto da una considerazione quasi elementare: se nel 1963 l’azione dello Stato poneva in effettiva difficoltà Cosa nostra, nel 1976 l’organizzazione criminale, uscita indenne dalla turbolenza, si trovava a vivere una fase di espansione sia a livello nazionale che internazionale. I frutti dell'Inchiesta sono stati così definiti «un'occasione perduta», 2 l'esito dei suoi lavori «una sconfitta»,3 l'esperienza in se stessa «una delle pagine più basse della storia parlamentare repubblicana»4. Nel 1968 Enzo Biagi poneva una pietra tombale su quella che era stata la prima fase dell'Inchiesta, affermando che «la commissione Antimafia è riuscita a non dire e a non sapere proprio niente».5 Voce sostanzialmente isolata sarebbe invece stata quella di Francesco Renda, secondo cui, al di là dei limiti effettivamente registrati, la Commissione Antimafia ha rappresentato un vero e proprio spartiacque rispetto alla storia della mafia «dividendola in prima del 1976 e in dopo il 1976»6 Di fronte a queste constatazioni, il primo quesito che mi sono posto è se sia possibile limitarsi ad un giudizio netto, positivo o negativo che sia, rispetto ad un’esperienza come quella della prima Antimafia. In secondo luogo, espandendo questo nucleo di partenza, ho ritenuto che vi sia da porsi una domanda più ampia e complessa, ovvero come vada inquadrata l'attività della Commissione in un quadro più generale che tenga conto dei percorsi istituzionali, politici e dell'opinione pubblica di fronte al fenomeno mafia. 1 Vedi Atti della Camera, III legislatura, 12 dicembre 1962, pp. 35953-35954. La legge (n. 1720) entrava poi in vigore il 20 dicembre 1962. 2 Vedi M. Pantaleone, Antimafia occasione mancata, Einaudi, Torino, 1962. 3 Vedi F. Frangioni, Le ragioni di una sconfitta: la prima commissione antimafia (1963-1968), I.S.R. Pt, Pistoia, 2008. 4 Vedi P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, UTET, Torino, 1995, p. 327. 5 Vedi E. Biagi, La Commissione Antimafia è riuscita a non sapere e a non dire proprio niente, in «La Stampa», 26 marzo 1968, p. 1. 6 F. Renda, Storia della mafia. Come, dove, quando, Sigma Edizioni, Palermo, 1997, p. 360. La ricerca è proceduta innanzitutto nell'ordine di analizzare i lavori dell'Antimafia: le singole sedute della Commissione, l'andamento delle diverse fasi dell'attività, i campi di inchiesta indagati, le audizioni realizzate, i lavori dei vari sottogruppi, il ruolo svolto dai diversi protagonisti e il loro diverso peso assunto nel seno dell'Inchiesta, i provvedimenti legislativi e sociali individuati e quelli attuati, i percorso che portarono alle relazioni settoriali e conclusive. Da questo nucleo iniziale, che può essere semplicemente descritto come la ricostruzione dell'attività di un organo istituzionale, la ricerca si amplia di prospettiva in due direzioni: una temporale ed una contenutistica. Da un punto di vista temporale, l'avvio dell'analisi si pone al 1948, ovvero all'inizio del dibattito parlamentare sulla possibilità di istituire un’Inchiesta sui fenomeni criminali siciliani, al fine di esaminare gli elementi che si andarono sedimentando e che invitano a riflessioni su continuità e discontinuità fra la fase di incubazione della Commissione e quella poi operativa. Si trattò di un dibattito che seguì fasi diverse, in base al mutare dei protagonisti, degli equilibri politici e delle manifestazioni tangibili del consorzio criminale. A emergere con più forza sono però le straordinarie continuità che caratterizzarono la discussione e le conseguenze che queste avrebbero prodotto. In primo luogo, fu proprio intorno a questa discussione parlamentare che si andò a formare il dibattito pubblico sul tema-mafia, il che dimostrava la piena capacità dei partiti di avere un protagonismo centrale nell'essere agenti del discorso pubblico. A sua volta questo dato non fa che confermare quello che rappresentarono le forze politiche nella prima fase della vita repubblicana, la potenza delle culture, o meglio ancora delle subculture, di cui si fecero portatrici. Il ruolo centrale dei partiti ebbe poi una conseguenza certamente non secondaria: l'antimafia in età repubblicana nasceva sul terreno dello scontro politico (ponendosi peraltro su questo terreno in una continuità di lungo periodo con quanto già avvenuto fra Destra e Sinistra nei primi anni dell’Unità). Quasi impressionante è la cristallizzazione che caratterizzò a lungo un dibattito che vide il Partito Comunista e quello Socialista operare insieme per elaborare una denuncia costante delle collusioni mafiose della Democrazia Cristiana, e quest’ultima impegnata di volta in volta in un’opera di sostanziale minimizzazione del fenomeno criminale, cercando di minare le fondamenta degli attacchi cui veniva sottoposta. Primo, ed anche drammatico, risultato di questo scontro fu una conseguente inerzia che caratterizzò l'azione delle istituzioni di fronte al crescere della forza mafiosa, parallela ad una generale disattenzione dei più importanti organi di comunicazione. A rimarcare la centralità dell’elemento politico fu la stessa istituzione dell'Antimafia, che rientrava nei punti programmatici della nascita del centro-sinistra. Se questa operazione di ampliamento del governo del Paese all’area socialista permetteva, nella fase di maggior propulsione, anche la costituzione della Commissione, nella sostanza non sarebbero però mutate le implicazioni della questione-mafia. L’alleanza fra Dc e Psi, come risultò presto palese, presentava infatti problematiche di fondo di notevole spessore, e queste avrebbe avuto un riflesso anche nell’Inchiesta. Da questa seppur rapida e schematica ricostruzione appena compiuta, ciò che credo emerga è la necessità di tenere in considerazione il lungo dibattito che avrebbe preceduto l'avvio dell'Inchiesta, perché in quel lasso temporale vi fu un’incubazione politico-culturale che occorre senz'altro avere in mente quando si tenta di analizzare le direttrici che seguì l'attività pratica dell'Antimafia. Allo stesso tempo, come la prospettiva cronologica va ampliata agli anni che precedettero la Commissione, va poi anche posta oltre alla chiusura dell'Inchiesta. L'approvazione della cosiddetta legge Rognoni-La Torre (1982) è infatti da considerarsi sotto alcuni aspetti un'appendice dell'attività dell'Antimafia. Sia perché l'intervento volto a colpire i beni mafiosi era stato a lungo oggetto di dibattito in sede di Commissione, sia perché La Torre era stato un protagonista centrale dell'ultima fase dell'Inchiesta. L’analisi di questa legge va dunque inquadrata nel contesto del lascito legislativo dell'Antimafia, in un bilancio sulle proposte che questa produsse nel tempo, e sulla capacità, o meno, del Parlamento di approvarle. Se la ricerca è da ampliarsi su un piano temporale, come premesso è poi da estendere anche sul piano della lettura tematica, perché altrimenti risulterebbe insufficiente un discorso sull'attività dell'organo istituzionale in sé, senza comprendere elementi di più ampio respiro. Preliminarmente va tenuto in considerazione il contesto nel quale la Commissione Antimafia si trovò ad operare: l'avvio del centrosinistra, la sua crisi prima a livello programmatico poi anche politico, il tentativo di impostare il “compromesso storico” e lo sfondo su cui questi cambiamenti si collocarono, ovvero quelli dei mutamenti prodotti dalla fine del boom economico, dalla contestazione giovanile ed operaia, dal nascere di tendenze centrifughe rispetto alla preminenza delle forze dell'arco costituzionale e alla rappresentanza dei sindacati, e dai duri colpi cui fu sottoposta la vita repubblicana nei cosiddetti “anni di piombo”. Tali momenti non sono oggetto né di approfondimento né di rivisitazione di questa ricerca. Tenerli a mente ha un altro obiettivo, ovverosia quello di ancorare il lavoro ad un quadro storico ben preciso, che tenga conto poi anche delle evoluzioni siciliane, perché lo studio dell'attività della Commissione Antimafia stessa perderebbe concretezza se avulso dalla cornice politica e sociale più ampia. Ciò che invece la ricerca va ad indagare da vicino è il discorso pubblico sulla mafia, il che equivale a studiare come l'Italia con le sue istituzioni, i suoi partiti e le sue voci intellettuali, ha osservato e affrontato una parte di sé. L'avvicinarsi alla questione-mafia voleva dire, infatti, inesorabilmente parlare del Sud e della Sicilia nello specifico, attraverso un tema irrisolto perlomeno dalle leggi sull'ordine pubblico emanate dal governo Minghetti nel 1875, dall'Inchiesta Bonfandini che si concludeva nel 1876 e dalla coeva indagine di Franchetti e Sonnino.7 Descrivere la mafia ha voluto dire innanzitutto un modo di confrontarsi con la Sicilia e, di conseguenza, ragionare sul suo governo (e l'Inchiesta Antimafia stessa è finita per diventare soprattutto un'indagine sulle istituzioni e la società siciliane). La Democrazia Cristiana, il Partito Comunista ed in parte quello Socialista, prima di tutti gli altri partiti, per ragioni che è superfluo ribadire, furono in prima linea nella vita repubblicana nel delineare percorsi e obiettivi che investivano la società nel suo complesso. La questione-mafia, con i suoi addentellati, rientrava ovviamente in questo gioco. Intorno al discorso sulla mafia prendeva così forma un'elaborazione culturale legata alla competizione politica fra queste forze. Lungo tutto il dibattito che aveva accompagnato la lunga nascita della Commissione, in ambiente democristiano si ripresero riflessioni di autori come Leopoldo Franchetti, Gaetano Mosca, Napoleone Colajanni e Giuseppe Pitrè, aggiornandole rispetto alla contingenza degli eventi. La mafia di questa narrazione non era un’entità criminale, o perlomeno non specificatamente criminale, bensì un disposto culturale e antropologico intriso di elementi premoderni e presente solo nelle più arretrate zone dell'Isola. Un fenomeno arcaico, per questo da combattere con le armi della modernità, e che anzi secondo l’immaginario presentato già soccombeva all'incedere di questa sui binari della riforma agraria e degli investimenti della Cassa del Mezzogiorno. Nella complessità del mondo della Democrazia Cristiana questo discorso finiva per essere sfumato in accenti diversi, da posizioni più avanzate di denuncia e autocritica 8 ad un adeguamento, negli 7Su questi temi vedi G. C. Marino, L’opposizione mafiosa. Mafia e politica, baroni e stato, Flaccovio, Palermo, 1996, III ed. e P. Pezzino, Una certa reciprocità di favori: mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, F. Angeli, Milano, 1990. 8 Cfr. F. Frangioni, Le ragioni di una sconfitta: la prima commissione antimafia, cit., pp. 39-40. Si segnala in particolare l’esperienza del periodico «Sicilia domani» cui venne data vita, nella prima metà degli anni Sessanta, da un gruppo di giovani cattolici vicini al leader democristiano siciliano Giuseppe D’Angelo. ambienti più conservatori, agli stereotipi della più retriva cultura “sicilianista” informata di quello che Paolo Pezzino avrebbe definito il “paradigma mafioso”.9 Il fronte socialcomunista opponeva a questo immaginario un'elaborazione basata sul conflitto di classe e corroborata dalle lotte contadine per la terra. Nel 1947 Emilio Sereni utilizzava la categoria dei «residui feudali» per analizzare il mondo rurale siciliano e descrivere una mafia intesa quale borghesia agraria che, nella persistenza del sistema latifondista, non era riuscita ad intraprendere un percorso di trasformazione in senso capitalista della struttura agricola isolana. 10 Questa «borghesia impedita nel suo sviluppo», come l'avrebbe descritta ancora nel 1976 Pio La Torre nella relazione di minoranza dell’Antimafia, diventava, nella mitologia delle sinistre, il braccio armato al servizio delle forze della conservazione nella loro lotta per la sopravvivenza di fronte alle masse popolari con i loro partiti-guida. Date queste narrazioni di base, che hanno anche un importante punto di contatto sulla raffigurazione rurale e premoderna della mafia, da analizzare vi sono diversi fattori: le modalità di costruzione di questi immaginari, la tenuta e la possibile evoluzione nel momento dei lavori dell'Antimafia, la loro influenza sull'Inchiesta stessa, le modalità di elaborazione rispetto all’opinione pubblica. Parallela a questa analisi corre quella della dimensione pubblica, che si rivela subito problematica, della Commissione Antimafia, con il tema mai pienamente risolto della "pubblicità" dei lavori, le costanti e calibrate fughe di notizie rispetto alle indagini in corso, il rapporto a corrente alternata con i mezzi di informazione. Scopo di questa doppia disamina è dunque quello di cercare di stabilire le connessioni ed i cortocircuiti nel rapporto triangolare partiti-Commissione-opinione pubblica rispetto agli immaginari di mafia e antimafia. Ulteriore elemento che va infine preso in considerazione è quello dell'evoluzione stessa di Cosa nostra. Le domande da porsi sono molto semplici: come si mossero le indagini della Commissione rispetto all'azione concreta della mafia? Quale fu l'effettiva capacità di individuare le questioni preminenti? Quesiti che concernono anche il lato conoscitivo, in quanto si vuole riflettere sulle nostre effettive acquisizioni rispetto a quel periodo, per seguire le strade percorse dall’Inchiesta ed individuare giuste intuizioni o errori. Questa riflessione presuppone poi anche un tema speculare. Da chi era concretamente formata la vasta classe dirigente che, per un motivo o per un altro, si andava a confrontare con il fenomeno criminale? Le audizioni tenute dalla Commissione, da questo punto di vista, rappresentano un capitolo veramente interessante, perché a sedere davanti all'Antimafia furono centinaia fra politici, giudici, magistrati, prefetti, questori, sindacalisti e giornalisti. Quello che agli occhi del ricercatore prende vita è un vero e proprio microcosmo che rappresenta l'eterogeneità delle classi dirigenziali operanti in Sicilia ed in alcuni casi anche ai vertici dei corpi nazionali. RISULTATI CONSEGUITI Il lavoro di ricerca è ancora in corso. Diverso materiale individuato è tuttora da analizzare, quindi la parte già studiata necessita ancora di essere messa in rapporto con quanto emergerà prossimamente prima di avere una riflessione pienamente contestualizzata. Per la stessa ragione manca ancora una struttura già delineata per la futura stesura del lavoro. Diverse risultanze stanno ovviamente venendo alla luce, così come è già possibile individuare alcuni nuclei tematici. Ma è ora opportuno delinearli solo in maniera generica. 9 Vedi P. Pezzino, Stato violenza società. Nascita e sviluppo del paradigma mafioso, in M. Aymard-G. Giarrizzo (a cura di), Storia d’Italia. La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987. 10Vedi E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Einaudi, Torino, 1947. Ad emergere è in primo luogo la complessità dell'esperienza concreta dell'Inchiesta. Analizzando da vicino l'andamento delle indagini, ciò che risalta è una mutevolezza costante degli equilibri politici, non solo fra schieramenti ma anche all'interno di questi, e dell’incisività dell’operato dell’Antimafia sull’onda dei cambiamenti dei protagonisti, delle questioni affrontate, del contesto esterno, degli obiettivi perseguiti. Rispetto anche alle tre distinte presidenze e composizioni della Commissione, è proprio la precarietà degli equilibri raggiunti a segnare un tratto comune all'intera esperienza. Una costante più rilevante è però la preminenza dello scontro partitico rispetto allo sforzo conoscitivo e istituzionale, il che conferma la natura preminente politica con cui si era delineata l'Antimafia. Questo dato risulta evidente non solo nei momenti di maggiore tensione (dalla realizzazione dei dossier più delicati come quelli sul Comune di Palermo agli scontri tipici dei momenti elettorali), in grado di ricompattare ogni frizione interna agli schieramenti e di acuire le divisioni di campo, quanto in particolare nella stesura delle relazioni conclusive, che segnano quello che è forse il vero limite dell'esperienza dell'Inchiesta. Alla relazione di maggioranza, firmata da Carraro, si sarebbero contrapposte due di minoranza: una del Pci ed una del gruppo missino.11 Tre relazioni che proponevano analisi qualitative estremamente diverse l'una dall'altra sia del fenomeno mafioso sia, più naturalmente, delle vicende politiche siciliane. Le relazioni segnavano forti differenze anche rispetto alle risultanze acquisite durante tredici anni di lavoro e apparivano disattente rispetto alle relazioni settoriali condivise nel tempo. Eppure, fatto quasi paradossale, la Commissione approvava all'unanimità le proposte conclusive da indirizzare al Parlamento. Cosa accadeva? Certamente erano venuti meno nel tempo i presupposti per uno sforzo conclusivo condiviso. Allo stesso tempo, emergeva un dato che mi sembra si possa trarre come qualificante: ovvero come dietro alle indagini e ai dibattiti rimanesse nel fondo una mai ammessa difficoltà nel definire concretamente cosa fosse il fenomeno mafioso, il che non faceva che lasciare spazio alle elaborazioni più disparate. Ma, più di tutto, a pesare era la necessità, una volta venuta meno ogni unitarietà, di presentarsi di fronte all'arena pubblica con una propria narrazione, la quale poi riguardasse non solo le modalità del contrasto alla mafia ma, più sottilmente, le opzioni politiche che si mettevano in campo. Era dunque la narrazione politica a dominare l’atto conclusivo dell’Inchiesta, più che la ricostruzione fattiva delle risultanze sul consorzio criminale siciliano. Luigi Carraro, nella relazione approvata dalla maggioranza, arrivava a sostenere la trasformazione della mafia in criminalità comune, il che si accordava alla raffigurazione di un’azione comunque modernizzatrice portata nell'isola dal governo democristiano. I limiti di questa opera, a malincuore in parte ammessi, trovavano comunque giustificazioni: alcune presenze negative, ma comunque a se stanti, come quella di Vito Ciancimino, o l’attrazione che un partito di governo come la Dc inevitabilmente esercitava rispetto a forze sociali portatrici di interessi, cosche mafiose comprese. Nel suo insieme quello democristiano era comunque un corpo sano ed in grado di rispondere alla sfida della costruzione della democrazia. D'altro canto i comunisti riprendevano l'idea di una mafia espressione di una «borghesia impedita nel suo sviluppo», descrivendo una forza che a lungo si era legata strumentalmente al blocco agrario, ma che gli era sopravvissuta intrecciando relazioni prima con la destra isolana, poi direttamente con la Dc. Lo snodo centrale veniva individuato nel 1947, con la fine dell’alleanza antifascista e la rinuncia della Dc a governare il Paese col Pci (in questo richiamo non casuale era la coincidenza con la politica del “compromesso storico”). Nella relazione di minoranza i dati che continuavano a contraddistinguere la mafia erano l’osmosi con la politica e l’essere parte di quel più ampio fronte sociale che si opponeva alle autentiche forze del progresso, ovvero le classe contadina (in una impostazione che risentiva in particolare dell’esperienza della lotte per la terra nel dopoguerra) costantemente svilita nelle sue naturali aspirazioni di sviluppo sociale. 11Le relazioni sono pubblicate in Atti della Commissione d’inchiesta parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, Doc. XXIII, n. 2, VI leg. Attraverso le due relazioni, Dc e Pci cercavano di presentare, e legittimare, i loro contrapposti progetti e risultati politici. Ma, sul fondo, questo scontro trovava anche un terreno di incontro che si risolveva in un reciproco riconoscimento: quello di proporsi, in quanto partiti di massa, quali espressioni di una modernità politica e sociale, sostenendo dunque il loro rappresentarsi come pilastri della vita repubblicana. Di fronte a questa contrapposizione, a perdere la capacità di elaborazione autonoma era il Psi, lo stesso partito che durante gli anni dell’eccidio dei sindacalisti siciliani nel dopoguerra aveva pagato il prezzo di sangue più elevato e che poi aveva proficuamente lavorato per l'istituzione della Commissione. Ma l’indebolimento delle proprie posizioni durante gli anni dell’alleanza con la Dc si era ripercosso anche in sede di Antimafia, dove il Psi non era riuscito quasi mai a ritagliarsi un ruolo di stimolo interno alla maggioranza.12 Viceversa, da destra L'Msi cercò, attraverso una propria relazione, di rimarcare il proprio immaginario nostalgico, descrivendo la mafia come sintomo della degenerazione clientelare del sistema democratico e che in particolare nell'istituto regionale siciliano (voluto parimenti da comunisti, socialisti e democristiani), giungeva al non plus ultra della corruzione e della collusione sistematica fra politica e mafia. Il gruppo missino cercava così anch'esso di dare forza, attraverso l'Antimafia, alle proprie radici e rigettare il coevo sistema istituzionale. Ma, come il suo tentativo politico risultò sostanzialmente perdente, anche il suo lascito nella Commissione non avrebbe avuto impatto, sostanzialmente dimenticato dalla storiografia e dalla pubblicistica successive.13 Per concludere questo primo resoconto, certamente molto parziale, sui punti acquisiti nella ricerca si può descrivere quella che fu l'Antimafia come un'esperienza altamente oscillante. Novità certamente rilevante sul fronte del contrasto alla mafia, ed in grado anche di incidere sul linguaggio pubblico relativo a questo, rappresentando da entrambe le prospettive un punto di non ritorno. Un'esperienza frutto di un risultato politico volto ad uno sforzo conoscitivo non secondario, che non ha finito solo per rappresentare una fonte per gli storici, ma che fu anche luogo di attivazione e sedimentazione di conoscenze e modalità d'indagine. Allo stesso tempo, però, incapace di trovare una via certa fra gli obiettivi da perseguire, le proposte da avanzare e i rapporti da istituire con l'opinione pubblica. E, infine, troppo facilmente ostacolata da resistenze interne alle istituzioni stesse o ostaggio di finalità esclusivamente elettorali. LA STORIOGRAFIA Relativamente alla prima Commissione Antimafia la storiografia di riferimento è estremamente scarna. Mancano innanzitutto studi che si concentrano pienamente sull'esperienza dell'Inchiesta. L'unica monografia che si muove in questo senso, supportata da un approccio complesso alla materia, è Le ragioni di una sconfitta: la prima commissione Antimafia (1963-1968) di Filippo Frangioni. Come si evince però dal titolo, l'analisi si sofferma sugli anni della IV legislatura, non coprendo dunque l’intera esperienza.14 Ad interessarsi a più riprese alle vicende della Commissione è stato in particolare Nicola Tranfaglia. Lo studioso è risultato però interessato soprattutto alla pubblicazione e al commento di stralci delle 12Un’eccezione è rappresentata dalla relazione sul narcotraffico presentata dal socialista Zuccalà e pubblicata nello stesso volume delle relazioni conclusive. 13Una eccezione in questo senso è A. Caruso, Longanesi, Milano, 2008. Testo pienamente ispirato dalla relazione del gruppo missino, ma non dotato di nessun valore scientifico e basato su un’impostazione valutativa eccessivamente parziale. 14Concentrati sulle fasi della IV e poi della V legislatura sono anche M. Pantaleone, Antimafia occasione mancata, cit. e O. Barrese, I complici: gli anni dell’antimafia, Feltrinelli, Milano, 1973. In entrambi i casi si tratta però di lavoro di taglio del tutto pubblicistico e politico. diverse relazioni prodotte dall'Antimafia; per quanto riguarda invece l'esperienza nel suo complesso, nei suoi testi non è possibile ravvisare più che generici resoconti.15 Il tema è stato poi affrontato all'interno di ricerche di più ampio respiro. Esempi sono studi di Salvatore Lupo, Umberto Santino e quelli già citati di Francesco Renda. 16 Si tratta di pagine che propongono spunti di riflessione che non è possibile trascurare. Ma, per l'appunto, si tratta di lavori più complessi, che affrontano la questione dell'Antimafia solo per le sue ricadute generali. Infine, è stata recentemente ripubblicata la Relazione di minoranza comunista del 1976, curata dallo storico Vittorio Coco. Nella sua introduzione Coco si sofferma in particolare sull'analisi della relazione mettendo in rilievo soprattutto il doppio carattere del testo, non riconducibile soltanto ad un’analisi del fenomeno mafioso e ad una denuncia del legame con la politica, ma da inquadrare quale documento preminentemente politico, che persegue lo scopo di legittimare l'operato del Partito Comunista.17 Accanto a questa storiografia più di riferimento,18 si è tenuta poi in considerazione la ben più vasta letteratura sul fenomeno mafioso. Non è possibile ripercorre in questa sede l'intera produzione bibliografica che si è analizzata né soffermarsi sull'andamento del dibattito, se non con rapidità e genericità. Una produzione che nel tempo ha coinvolto figure diverse fra di loro (storici, antropologi, intellettuali, sociologici, giornalisti, criminologi) e che si è caratterizzata per una forte eterogeneità nelle metodologie di approccio, in un dibattito sempre strettamente collegato alle implicazioni culturali e politiche contingenti del discorso sulla mafia. Si è tenuta innanzitutto in considerazione la letteratura del periodo liberale, caratterizzata da un ventaglio eterogeneo, per formazione e acutezza negli interventi, di autori quali Leopoldo Franchetti, Pasquale Villari, Napoleone Colajanni, Gaetano Mosca, Giuseppe Alongi, Antonino Cutrera.19 Con accenti diversi fra di loro, questi autori condivisero una matrice comune nell'interpretare la mafia quale sorta di malattia dello spirito propria di una società “medievale”, da studiare attraverso le lenti dell'analisi sociale e antropologica, che può nella sua degenerazione dare vita a forme di organizzazione criminale, ma non necessariamente deve. Citazione a parte merita 15 Vedi in particolare: N. Tranfaglia, La mafia come metodo nell’Italia Repubblicana, Laterza, Roma, 1991; ID., Mafia, politica e affari 1943-2000, Laterza, Roma, 2001; ID., Le commissioni d’inchiesta sulla mafia nell’Italia Repubblicana, in E. Ciconte, I. Sales, F. Forgione (a cura di), Atlante delle mafie: volume 1, Rubettino, Soveria Mannelli, 2012. 16Vedi in particolare S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 1996 ; F. Renda, Storia della mafia. Come, dove, quando, cit.; U. Santino, Storia del movimento antimafia: dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma, 2000. 17 V. Coco (a cura di), L’antimafia dei comunisti. Pio La Torre e la relazione di minoranza, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2013. 18 Ulteriori passaggi relativi alla Commissione Antimafia sono presenti in G. Di Lello,Giudici. Cinquant’anni di processi di mafia, Sellerio, Palermo, 1994; G. C. Marino, Storia della mafia, Newton Compton, Roma, 1997 ;A. Blando, Percorsi dell’antimafia, in «Meridiana», n. 25, 1996; R. Mangiameli, La mafia tra stereotipo e storia, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 2000; J. Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Mondolibri, Milano, 2005; L. Pepino, Antimafia. Commissione Parlamentare, in M. Mareso, L. Pepino (a cura di), Dizionario enciclopedico di mafie e antimafie, Gruppo Abele, Prato, 2013, II ed. 19Di questi autori mi limito a ricordare L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Donzelli, Roma, 2000; P. Villari, Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Guida Editori, Napoli, 1979; N. Colajanni, Nel regno della mafia, Rizzoli, Milano, 2013; G. Mosca, Che cos’è la mafia, in «Il Giornale degli economisti», luglio 1901, pp. 232-62; G. Alongi, La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni: studio sulle classi pericolose della Sicilia, Fratelli Bocca, Roma, 1886; A. Cutrera, La mafia e i mafiosi. Origini e manifestazioni: studio di sociologia criminale, Arnaldo Forni Editore, Bologna, 1984. Giuseppe Pitrè, folkorista palermitano le cui riflessioni hanno contribuito a dare vita a quel già accennato paradigma mafioso teorizzato successivamente da Paolo Pezzino.20 L'analisi è proseguita intorno alla bibliografia che prese le mosse fra gli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Ottanta, dopo un sostanziale immobilismo durante l'età fascista: gli autori di formazione più strettamente marxista che hanno teso, seppur con una serie di variazioni, a leggere il fenomeno mafioso attraverso le lenti del conflitto di classe;21 il lavoro di intellettuali impegnati, come Michele Pantaleone, Danilo Dolci, Leonardo Sciascia e Felice Chilanti, che ha contribuito a creare una coscienza comune nel dare dimensione nazionale alla questione-mafia, seppur non producendo avanzamenti sul piano scientifico, anzi in taluni casi veicolando raffigurazione fuorvianti a livello conoscitivo;22 le ricerche di antropologi stranieri come Jane e Peter Schneider, Henner Hess e Anton Blok o di sociologi come Pino Arlacchi, che hanno portato nuove metodologie di analisi, ma che hanno avuto il limite di rimanere legati ad una visione culturalista deformata dalla narrazione di un mondo rurale descritto come atavico, sostanzialmente immobile nel tempo.23 Infine si è tenuta in considerazione quella che ha tutti i tratti di una vera e propria rivoluzione metodologica che cominciò a prendere forma intorno alla metà degli anni Ottanta, che vide fra i protagonisti studiosi quali Salvatore Lupo, Rosario Mangiameli, Paolo Pezzino, Raimondo Catanzaro e Diego Gambetta e come centro propulsore più importante la rivista Meridiana, la cui pubblicazione iniziò nel 1987.24 Questa stagione inaugurava un rovesciamento di molti paradigmi acquisiti nel tempo, in primo luogo la prospettiva culturalista, a favore di una descrizione di una realtà criminale dai tratti fortemente moderni all’interno di una realtà comunque dinamica. L'accelerazione e la qualità degli studi hanno creato un trauma nella storia della letteratura sulla mafia, in quanto si sono cominciati in maniera sistematica a moltiplicare gli aspetti oggetto di analisi e si è affermato un crescente metodo scientifico che ha permesso di voltare pagina rispetto a quella che Roberto Spampinato ha definito una «storia delle interpretazioni della mafia» 25, a favore di un ampliamento del panorama delle ricerche. L'analisi delle fondamenta socio-economiche del fenomeno mafioso, il ruolo delle donne nella criminalità organizzata, l'immaginario devozionale mafioso, aspetti come il rapporto mafia-fascismo o mafia-Alleati, la disamina dei tratti comuni fra le organizzazioni criminali ormai denominate parimenti mafiose, sono solo alcuni fra gli aspetti più proficuamente indagati dalla ricerca negli ultimi venti anni.26 20G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Pedone&Lauriel, Palermo, 1889. Sul paradigma mafioso vedi n. 9. 21Fra i vari: E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, cit.; F. Renda, Il movimento contadino nella società siciliana, Sicilia al lavoro, Palermo, 1956; S. F. Romano, Storia della mafia: mito e realtà, caratteri sociali e influenza politiche del potere segreto della mafia dalle lontane origini a oggi, Mondadori, Milano, 1966; E. Hobsbawm, I ribelli: forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino, 1966. 22Si ricordano limitatamente: D. Dolci, Inchiesta a Palermo, Einaudi, Torino, 1956; L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino, 1961; M. Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi, Torino, 1962; F. Chilanti, N. Gentile, Vita di capimafia, Editori Riuniti, Roma, 1963. 23Vedi J. Schneider, P. Schneider, Classi sociali, economia e politica in Sicilia, Rubettino, 1989; H. Hess, Mafia, Laterza, Roma, 1973; A. Blok, La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960, Einaudi, Torino, 1986; P. Arlacchim La mafia imprenditrice: l’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1984. 24Non è qui possibile ripercorrere l’ampia bibliografia in questione. Mi limito a citare le seguenti pubblicazioni di Meridiana con importanti contributi non solo degli autori citati e Mercati, n. 1, 1987; Circuiti politici, n. 2, 1988; Mafia, n. 7-8, 1990. Oltre a queste ricordo anche il volume edito da Einaudi Storia d’Italia. Le Regioni V: la Sicilia, cit. 25Vedi R. Spampinato, Per una storia della mafia. Interpretazioni e questioni controverse, i n Storia d’Italia. Le Regioni V: la Sicilia, cit., p. 884. Il legame fra una ricerca sulla Commissione Antimafia e una bibliografia che fuoriesce ampiamente dai confini temporali e contenutistici presi in considerazione, potrebbe non apparire automatico e ingenerare delle perplessità. Come ho avuto l’occasione di meglio specificare nel corso del seminario, la ricezione di tale produzione non ha come scopo la redazione di un capitolo storiografico sull’interpretazione del fenomeno mafioso. I motivi che mi hanno spinto a recepire un arco di studi così ampio sono da addebitarsi a tre differenti esigenze che necessitano di aver questo quadro presente nello sfondo: il dover inquadrare quali fossero gli elementi interpretativi più consolidati sul fenomeno mafioso e quali fossero le conoscenze sedimentate, nel momento in cui i commissari dell'Antimafia cominciavano i loro lavori; il voler studiare come l'elaborazione storiografica abbia successivamente interagito con le acquisizioni dell'Inchiesta; la già accennata necessità di avere presente come la ricerca abbia ricostruito l'evoluzione del fenomeno mafioso negli anni coincidenti con l'esperienza dell'indagine parlamentare. Infine, come già sottolineato, lo studio in corso vuole mantenere l’analisi dell'Antimafia strettamente collegata con il contesto sociale e politico coevo. Questo mi ha spinto a tenere in considerazione studi che esaminano tale cornice. In questo caso però la selezione operata è più limitata e legata agli studi che in maniera più avvertita hanno affrontato le questioni politiche e sociali della cosiddetta «prima repubblica», dal momento che l'esigenza è quella di avere solo una cornice di riferimento, senza dover dunque procedere ad un approfondimento specifico.27 LE FONTI La fonte principale per la presente ricerca è naturalmente l'ampia documentazione pubblicata dalla Commissione Antimafia. Il materiale è estremamente ampio e può essere suddiviso in due macroinsiemi: le carte prodotte direttamente dall'attività dell'Antimafia (verbali delle sedute, audizioni, relazioni settoriali e generali) e i documenti raccolti nel corso dell'Inchiesta da fonti terze (rapporti delle forze dell'ordine, carte processuali, statistiche, incartamenti relativi ad enti locali o istituzioni, e altro materiale simile). Allo stato attuale della ricerca sono state vagliate tutte le carte relative al primo gruppo, mentre si proceduto ad una analisi selezionata delle carte del secondo insieme. Quest’ultima tipologia di fonte propone due diverse problematiche. In primo luogo il fatto che la documentazione non è completa, in quanto una parte non è consultabile. I criteri di pubblicazione sono stati decisi dalla Commissione prima di terminare i lavori; nelle successive legislature si è deciso di pubblicare documenti relativi a determinate questioni fuoriuscendo dai limiti indicati, ma vi sono ancora una serie di vuoti. Questi non sono certamente imprescindibili ai fini della ricerca, 26Anche in questo caso mi limito a segnalare solo alcuni fra i contributi più significati inerenti ai temi ricordati: R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove: radicamento ed espansione, Donzelli, Roma, 1998; Donne di mafia, in «Meridiana», n. 67, 2010; A. Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra, Laterza, Roma, 2008; S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America: storia di un intreccio intercontinentale 1888-2008, Einaudi, Torino, 2009; V. Coco, M. Patti, Relazioni mafiose: la mafia ai tempi del fascismo, XL, Roma, 2010; E. Ciconte, Storia criminale: la resistibile ascesa di mafia, ‘ndrangheta e camorra dall’Ottocento ai giorni nostri, Rubettino, Soveria Mannelli, 2008. 27 Sebbene la rassegna non sia completa, testi-guida che sono stati individuati sono studi quali F. Barbagallo, La questione italiana: il Nord e il Sud dal 1860 ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 2013; S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Laterza, Roma, 1997; G. Crainz, Il paese mancato:dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli, Roma, 2003; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana: dalla fine della guerra agli anni novanta, Marsilio, Venezia, 1994; A. Lepre, Storia della prima Repubblica: l’Italia dal 1943 al 2003, Il Mulino, Bologna, 2006; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, III vol., Sellerio, Palermo, 1999; P. Scoppola, La Repubblica dei partiti: evoluzione e crisi di un sistema politico 19451996, Il Mulino, Bologna, 1997; G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, Rizzoli, Milano, 1990; M. Tarchi, Dal Msi ad AN: organizzazione e strategie, Il Mulino, Bologna, 1997; il volume Storia d’Italia. Le Regioni V: la Sicilia, cit. però non permettono una visione pienamente completa su alcuni aspetti, in particolare per quanto riguarda l'attività dei sottogruppi di lavoro, di cui non sono a disposizione i verbali, e alcune audizioni su cui gravano ancora degli omissis.28 La seconda questione riguarda la quantità del materiale consultabile, le cui dimensioni sono così ampie da necessitare di una selezione dal momento che non è ipotizzabile uno studio analitico dell'intero corpo a disposizione. L’analisi di una selezione ragionata di una parte di questa documentazione, ha confermato la forte discrasia fra l’analisi compiuta nelle relazioni conclusive dai commissari e l’effettiva realtà conoscitiva che le indagini più specifiche rilevavano. In particolare dai documenti emergono la poca considerata autonomia delle cosche mafiose rispetto alla sfera della politica e l’inconsistenza dello stereotipo che contrappone una presunta mafia tradizionale a fenomeni criminali moderni qualitativamente diversi. Allo stesso tempo, la presa in esame di questo materiale, messa in rapporto con la bibliografia sul tema, permette una riflessione sulla metodologia dell’approccio alle fonti nel campo degli studi sul fenomeno mafioso. Secondo campo delle fonti è quello più propriamente archivistico. In questo senso la ricerca si sta muovendo in due direzioni, ovvero verso fondi di partito e fondi personali. Terreno privilegiato dell'analisi, per quanto riguarda le forze politiche, sono gli archivi della Democrazia Cristiana (le cui carte sono già state consultate con particolare attenzione per quanto concerne i fondi della segreteria politica e dei gruppi parlamentari) e del Partito Comunista (dove la ricerca si è soffermata in particolare sull’esame documenti dei gruppi parlamentari, delle corrispondenze di singoli rappresentanti e delle federazioni siciliane). Benché il baricentro sia spostato verso questi due partiti, per quello che hanno rappresentato in sede di Antimafia, la ricerca verterà poi anche sulle carte del Partito Socialista, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e del Movimento Sociale Italiano. Relativamente alle carte personali i fondi di membri della Commissione sono pochi. Sono stati esaminati, in una prima fase, gli archivi di Ferruccio Parri e Sergio Flamigni, mentre più recentemente i fondi relativi a Girolamo Li Causi e Pio La Torre presso l’Istituto Gramsci di Palermo.29 A completare il panorama della ricerca concorre infine lo studio di periodici, un esame che vuole avere un peso importante negli equilibri della tesi. Lo spoglio dei periodici, infatti, che è attualmente in corso d’opera, sta rilevando una sua intrinseca importanza: oltre a rappresentare una possibile fonte di notizie relative all’attività della Commissione ed una chiave per comprendere l’interesse con cui tale attività fu seguita dall’opinione pubblica, i periodici furono, infatti, in qualche maniera parte integrante dei lavori dell’Antimafia, quali sedi di campagne-stampa volte a condizionare gli indirizzi stessi assunti dall’Inchiesta.30 La selezione del materiale è dunque ampia, al fine di prendere visione di uno spaccato il più largo possibile di quotidiani e riveste da un punto di vista di focus sociali, politici e territoriali. La presa in esame sta riguardando anche periodici stranieri, che sta rilevando un’eco anche al di fuori dei confini nazionali per quanto riguarda l’interesse legato all’andamento delle indagini; tale 28Il lavoro svolto recentemente presso l’Istituto Gramsci di Palermo ha confermato questa considerazione. Nel fondo Li Causi è stato infatti possibile rintracciare diverso materiale non pubblicato dalla Commissione; la lettura di questa documentazione si rivela utile nel caso di ricerche legate a temi specifici, ma aggiunge poco, da un punto di vista più generale, rispetto a quanto già pubblicato. 29Sull’analisi delle carte di Li Causi vedi le considerazioni nelle note 28 e 30. Per quanto riguarda le carte di La Torre si segnala che una parte importante è stata digitalizzata ed è presente in archiviopiolatorre.camera.it. 30Il lavoro presso il fondo Li Causi ha dimostrato ulteriormente la rilevanza del rapporto dell’Antimafia con la stampa; il deputato comunista ha difatti conservato un ingente quantità di articoli pubblicati dalla stampa locale e nazionale, e più raramente internazionale, relativi all’andamento dei lavori della Commissione. spoglio permette anche di delineare il quadro delle percezioni veicolate presso le opinioni pubbliche internazionali, offrendo così una lente attraverso cui analizzare immaginari, letture, ed anche stereotipi, che dall’estero si formavano nei confronti dell’Italia. IL WORKSHOP: NUOVE SUGGESTIONI PER LA RICERCA I lavori del seminario «Storie in corso» hanno prodotto un momento di analisi sulla ricerca in oggetto e un confronto più approfondito relativo alle questioni di fondo della sua impostazione, reso ancor più significativo dall’autorevolezza delle voci intervenute. Fra le questioni affrontate e le suggestioni avanzate, due in particolare, per la loro rilevanza, meritano delle riflessioni aggiuntive rispetto a quanto finora descritto. La prima riguarda la necessità del confronto con esperienze statunitense, similari alla nostra Commissione Antimafia, ovverosia il «Senate Committee Investigation Crime» (1950-51), meglio noto come «Commissione Kefauver», dal nome del suo presidente, e il «Permanent Subcommittee on Investigations» che nella prima metà degli anni Sessanta, durante la presidenza di John McClellan, si trovò ad indagare sulle attività di Cosa nostra negli U.S.A. Si tratta di due esperienze distinte fra di loro: la prima Commissione fu creata appositamente per indagare sulle attività criminali sul territorio statunitense ed ebbe carattere speciale e provvisorio, riuscendo anche a dotarsi di importanti strumenti di intervento giudiziario. Il Sottocomitato è invece un organo permanente, sorto nel 1948, che in un ampliarsi graduale del proprio campo di indagine finì per estendere le proprie prerogative anche alla sfera criminale. La sua attività fu nell’arco temporale indicato principalmente legata a Cosa nostra, in quanto riuscì ad avvalersi della collaborazione del noto Joe Valachi, membro fuoriuscito dall’organizzazione criminale le cui dichiarazioni permisero di fare luce sui meccanismi del «Sindacato del crimine». In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un qualcosa di differente rispetto alla Commissione Antimafia italiana, in particolare per la diversa natura giuridica e politica, e per le non identiche finalità, ma in maniera altrettanto evidente presentavano analogie con l’Inchiesta parlamentare e si ponevano come modelli con cui confrontarsi. La necessità dunque di operare un esame comparato fra le diverse esperienze è stata opportunamente proposta nel corso del Workshop. Sebbene presente nel quadro generale dell’impostazione della ricerca, infatti, tale disamina era stata mantenuta troppo sullo sfondo senza accordarle l’importanza che merita. In particolare la «Commissione Kefauver» aveva rappresentato un modello per l’Antimafia, caratterizzandosi entrambe per il carattere provvisorio e per la loro attività completamente incentrata sui fenomeni criminali. L’attivismo della Commissione statunitense, in grado di svolgere con rapidità le proprie indagini, la sua possibilità di intervento giudiziario più diretto e la capacità di attivare un largo interesse presso l’opinione pubblica per la propria attività (in particolare l’impatto mediatico delle audizioni di noti criminali svolte in diretta televisiva fece della Commissione un caso nazionale), furono a più riprese assunte in Italia come punto di riferimento e confronto. Dati questi presupposti, ho ritenuto dunque di estendere la ricerca in questa direzione. Lo studio dell’attività delle due esperienze statunitense è stato già avviato, individuando i punti di riferimento che permettono di approfondire questo studio,31 il che sta permettendo di ampliare la riflessione sui 31 A livello di studi è stata individuato, in questa prima fase, il seguente nucleo bibliografico: E. Kefauver, Crime in America, Doubleday, New York, 1951; W. Moore, The Kefauver coomitte and the politics of crime 1950-52, Columbia: University of Missouri press, 1974; J. Calder, Presidents and Crime Control: Kennedy, Johnson and Nixon and the Influences of Ideology, in «Presidential Studies Quarterly», vol. 12, n. 4, 1982, pp. 574-89; T. Doherty, Frank Costello’s hands. Film, television, and the Kefauver crime hearings, in «Film History», vol. 10, n. 3, 1988, pp. 359-74; U. Santino, L’impresa mafiosa: dall’Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli Editore, Milano, 1990; F. Caridi, Wops: Le radici di Cosa Nostra negli Stuati Uniti d’America: dal linciaggio di New Orleans alla Commissione Kefauver, Il cappio, Sideno, 2004; S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America: storia di un intreccio intercontinentale 1888-2008, cit. Si è rilevato poi di importante utilità lo spoglio del «New York Times» quale fonte relativa al riflesso sull’opinione pubblica delle indagini della «Commissione Kefauver» e della «Commissione McClellan». Infine, alcune informazioni tecniche sono modelli di intervento istituzionale di fronte ai fenomeni di criminalità organizzata in una prospettiva comparata fra Italia e Stati Uniti. Una seconda questione dibattuta nel corso del seminario ha riguardato invece la periodizzazione proposta. È stata infatti posta l’opportunità di estendere l’arco cronologico esaminato, inglobando nello studio l’attività di successive Commissioni Antimafia 32 fino all’Inchiesta presieduta da Luciano Violante (1992-1994). Alla base di questa osservazione vi è la suggestione di problematizzare l’intervento istituzionale in tema di lotta alla criminalità organizzata nell’alveo della cosiddetta “prima Repubblica”. La riflessione posta ha basi di rilievo che non possono non essere considerate. Si possono difatti tracciare perlomeno tre elementi caratterizzanti: una continuità nel modello, ovvero quello di una Commissione d’inchiesta; la centralità del discorso storico e politico alla base dell’attività di tali Commissioni; infine, la preminenza, quale oggetto dell’inchiesta, di Cosa nostra, rispetto alle altre organizzazioni criminali. Come ho potuto precisare nel corso del workshop, il reindirizzamento della ricerca sulla base di un simile quesito produrrebbe una riflessione più ampia e che ancora non è stata pienamente compiuta, ma mancherebbe di focalizzare l’attenzione sulla centralità dell’esperienza della prima Commissione Antimafia e sul contesto in cui questa si trova ad operare. La proposta del 1982 come termine periodizzante della ricerca, mantiene infatti una validità non soltanto cronologica ma sostanziale. Con la promulgazione della legge n. 646 del c.p., a seguito degli assassini di La Torre e Dalla Chiesa, e con l’affermazione definitiva della fazione dei corleonesi negli equilibri interni a Cosa nostra, inizia una nuova fase: all’apice della propria forza l’organizzazione criminale troverà a contrastarla il pool di Palermo che darà vita al “maxiprocesso” del 1986-1987; l’antimafia, da terreno monopolizzato dal dibattito politico, si delineerà, fra non poche contraddizioni quale patrimonio della cosiddetta “società civile” e acquisterà nuovi rituali e liturgie; lo stesso dibattito scientifico, che in effetti così poco aveva aggiunto ad un avvertito impianto conoscitivo, conoscerà un’intensa stagione cui si è accennato precedentemente, che produrrà una più consapevole problematizzazione dell’approccio al sodalizio criminale. Cambiano dunque i modelli di contrasto all’organizzazione criminale e cambiano i suoi protagonisti; mutano le pratiche e i linguaggi, così come le percezioni del fenomeno. Quella che si delinea a partire dagli anni Ottanta è dunque in gran parte una storia diversa da quella che aveva caratterizzato i precedenti decenni repubblicani. reperibili sui siti istituzionali: www.senate.gov e www.archives.gov. 32 Nel 1982 viene costituita una nuova «Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia», attiva fino al 1987 e presieduta da Abdon Alinovi: non venne dotata di potere d’inchiesta e fu istituita allo scopo di verificare il funzionamento della legge «Rognoni-La Torre». Nel 1988 si tornò a costituire una Commissione Antimafia dotata di poteri d’inchiesta, presieduta fino al 1992 da Gerardo Chiaromonte. Da allora è divenuta prassi il rinnovo della Commissione agli inizi di ogni nuova legislatura.
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