28 Domenica 9 Febbraio 2014 Corriere della Sera italia: 54495751515854 Idee&opinioni Corriere della Sera SMS Le news più importanti in anteprima sul tuo cellulare. Invia un sms con la parola CORRIERE al 4898984 Servizio in abbonamento (4 euro a settimana). Per disattivarlo invia RCSMOBILE OFF al 4898984 Maggiori informazioni su www.corriere.it/mobile SCHIERAMENTI E CARICHE DELLO STATO Mi sveglio ogni mattina con una grande montagna alta 2.500 metri davanti agli occhi. Ci frequentiamo nella complicità di un piccolo essere umano che sente di appartenere a ciò di cui lei è espressione. La montagna mi suggerisce rotte possibili. In questi tempi burrascosi non si vede ancora il faro utile per doppiare il Capo Horn della Storia, così spesso chiedo come mai nessuna discussione politica e culturale, quando ha il privilegio di arrivare alle masse, metta in cima all’agenda la conversazione con la Natura. Eppure ne siamo parte integrante. Da alcuni decenni la percezione che «la Terra è malata», sposta l’attenzione dal malato più grave: l’Uomo. Abbiamo rinunciato alla geografia intima, una forza concreta che ha sempre aiutato le civilità a progredire. Serve dunque ricostruire con amore quella relazione globale perché tutto ciò che si fa a Gaia lo si fa a noi stessi. Dimenticarlo si chiama rimozione ed è principalmente una questione pratica che mi pongo quando guardo mio figlio e mi domando cosa sto facendo per lui in quanto parte della Comunità Terra (Cormac Cullinan, I diritti della natura. Wild Law.) La Natura ci ha dotato di inventiva e capacità di rigenerazione. Noi siamo creature di questa Terra, non suoi consumatori. Abbiamo così paura di riconoscerlo che viviamo nella convinzione di essere noi l’ombelico dell’universo. In cronaca rimbalzano le tragedie globali e quelle dei singoli umani. L’incidente fatale, in Val d’Aosta, a Simona Hoscuet, che pure era una guida esperta, impone ripensamenti sul rapporto con la Natura: anche queste sono spie di qualcosa di profondo e di rivedibile. Non siamo i dominatori delle vette e non lo dobbiamo comprendere solo quando una valanga spezza la vita di una creatura della nostra comunità umana. Come scrisse Mario Rigoni Stern, dobbiamo ritrovare «il desidero di uscire a camminare in libertà, perché la primavera non ha confini». Un po’ come tornare a immaginare il futuro e a frequentare la Natura in armonia. Davide Sapienza [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA TOLLERANZA E TENACIA DI UNA MADRE I VALORI CHE UN FILM PUÒ INSEGNARE Talvolta i film trasmettono segnali nascosti, sintomi di valori nascosti. Prendiamo Philomena di Stephen Frears, che a Venezia aveva ottenuto un buon consenso di pubblico e, in parte, di critica. Ma la giuria della Mostra ha preferito dare il Leone d’Oro a un misero documentario sulla vita notturna del raccordo anulare di Roma (Sacro Gra) e il Leone d’Argento a una specie di panegirico della pedofilia familiare, come Miss Violence di Alexandros Avranas. Philomena è la storia di una ragazza che resta incinta nell’Irlanda di inizio secolo e viene segregata in un convento di suore dove il piccolo viene al mondo. Come previsto dall’atroce organizzazione di allora, il bimbo viene poi affidato (o venduto?) a una coppia di americani e la mamma ne perde le tracce. Il suo sogno, circa cinquant’anni dopo, è di rintracciarlo, ma il convento si trincera dietro l’anonimato dell’affidamento. Lo fa allora con l’aiuto di un giornalista, all’inizio un po’ scettico, poi sempre più incuriosito e attratto dallo scoop: non è facile però tro- vare qualcuno di cui non si sa neppure il cognome. I due individuano l’identità del figlio da quella dei genitori adottivi, rintracciati fra i passeggeri di un piroscafo, e scoprono che ha fatto carriera, è diventato portavoce del presidente degli Stati Uniti, ma è morto di Aids a 51 anni. Philomena vorrebbe conoscere qualcosa di lui: viene a sapere che era gay e va in cerca del suo compagno, all’inizio riluttante a parlarne, poi convinto dalla gentilezza e dalla tenacia della donna. E lei scopre, ad esempio, che il figlio era andato in Irlanda alla ricerca della madre, ma scoraggiato anche lui dal convento. Il valore straordinario del film sta nell’estrema delicatezza con cui la madre tratta, a posteriori, l’omosessualità del figlio, che non viene mai sovrapposta al suo successo professionale e nemmeno interferisce nei rapporti col compagno. Eppure questo straordinario merito del film non è stato colto né apprezzato. Ne valeva invece la pena. Franco Morganti © RIPRODUZIONE RISERVATA LONDRA E PARIGI VOLANO DA SOLE RESTA UNA CHIMERA LA DIFESA EUROPEA Il 31 gennaio il premier inglese David Cameron e il presidente francese François Hollande hanno siglato un nuovo accordo nel quadro dell’alleanza strategico-militare stipulata nel 2010. Smentendo quanti sostenevano che Londra e Parigi erano ormai avviate alla separazione, anche a causa della mancanza di sintonia politica fra i rispettivi governi, è stato deciso, fra il resto, di finanziare con 240 milioni di euro in due anni il proseguimento di uno studio di fattibilità per un velivolo da combattimento senza pilota. I due maggiori Paesi europei hanno così dimostrato di voler guardare avanti invece che perdere tempo a ridiscutere i programmi aeronautici in corso. Questa scelta darà loro un forte vantaggio tecnologico nel momento in cui si dovrà avviare un programma europeo per un velivolo non pilotato, la nuova frontiera che rappresenta il futuro del settore aeronautico militare. L’aspetto negativo per l’Europa è che continuano a procedere da soli, nonostante gli impegni sulla difesa «comune» che anche a fine dicembre sono sta- ti ribaditi al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Nel frattempo, l’attenzione dell’opinione pubblica italiana viene concentrata nuovamente sul velivolo F-35. Sono passati solo pochi mesi dall’ultimo dibattito e già si ricomincia, ricreando un clima di incertezza e inaffidabilità sulle scelte compiute. Invece di guardare avanti — e in particolare, a quale strategia adottare nel campo dei velivoli non pilotati — si guarda indietro. Senza tener neppure conto di quanto emerso dalle indagine conoscitive delle Commissioni difesa di Camera e Senato: la via maestra per decidere quale strumento militare vogliamo e di quali equipaggiamenti dotarlo è quella di preparare un Libro bianco, come fanno tutti i maggiori Paesi. Continuare a parlare di singoli programmi senza questo quadro di riferimento è inutile e dannoso, perché distrae l’attenzione dal problema di fondo: quale sistema di sicurezza e difesa vogliamo costruire per gli anni che verranno. Michele Nones © RIPRODUZIONE RISERVATA Istituzioni di garanzia sotto tiro Gli effetti dell’era tripolare di MICHELE AINIS C hi la vuole cotta, chi la vuole cruda; e nel dopocena finisce arrosto il cuoco. È il destino (culinario) dei garanti nell’era tripolare. O meglio dei garanti politici delle nostre istituzioni, che a loro volta sono tre, come i partiti premiati alle ultime elezioni. È il caso di Laura Boldrini, presidente della Camera: aggredita dal Movimento 5 Stelle per aver usato la ghigliottina parlamentare durante la conversione del decreto Imu-Banca d’Italia. È il caso di Pietro Grasso, presidente del Senato: crocifisso da Forza Italia quando ha deciso la costituzione di parte civile nel processo contro Silvio Berlusconi. È il caso, infine, di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica: per lui addirittura l’impeachment, manco fosse Mata Hari, una spia al soldo del nemico. Perché tanto accanimento? Semplice: perché ci sono troppe squadre in campo. Se arbitri una gara fra maggioranza e opposizione, t’accadrà di fischiare una volta contro l’una, una volta contro l’altra. Tutti scontenti a turno, e perciò tutti contenti. Ma se le opposizioni sono due, se poi anche il partito di maggioranza è all’opposizione di se stesso, per l’arbitro non c’è via di scampo. Le sue decisioni potranno compiacere questo o quel giocatore, tuttavia gli scontenti prevarranno sempre sui contenti. È la logica dei numeri, ed è anche il frutto avvelenato dello spezzatino che ci somministra per la prima volta la politica. Sì, la prima volta. C’erano due poli negli anni ruggenti della Seconda Repubblica, e a ogni elezione si scambiavano lo scettro del comando. Ma c’erano altresì due grandi partiti (la Dc e il Pci) durante il mezzo secolo in cui si è consumata la traiettoria della Prima Repubblica, benché soltanto il primo sedesse nella stanza dei bottoni. Non a caso si parlò a quel tempo di «bipartitismo imperfetto», per definire il sistema politico italiano. E d’altronde il principale outsider (il Psi di Craxi) non arrivò mai a pesare, nemmeno nelle sue stagioni migliori, la metà dei voti del Pci. È un caso che per la prima volta finiscono al contempo sotto tiro tutte le istituzioni di garanzia politica? No, non può essere BEPPE GIACOBBE SE È UNA VALANGA CHE SPEZZA UNA VITA A RICORDARCI LE ROTTE DELLA NATURA un caso. In passato capitò talvolta al Quirinale (per esempio a Cossiga), talvolta a un presidente d’assemblea parlamentare (per esempio a Fini). Ma tutti e tre contemporaneamente, questo Mai visti fin qui attacchi in contemporanea ai «tre arbitri»: i presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera Non è un caso: è il frutto del tripartitismo. Ma la macchina si è rotta e la politica, divorando tutto, divorerà pure se stessa mai. E con quale acrimonia, con quale veemenza nei gesti e nel linguaggio! Dev’essere saltata una molla, un ingranaggio del sistema. La macchina si è rotta, e si è rotta perché non regge la spinta di tre partiti con le mani sul volante. «Il triangolo no», cantava Renato Zero nel 1978. Ma quella stessa musichetta la intonò, nel 1948, la Costituzione italiana. C’è infatti un non detto, una regola invisibile, nella meccanica delle nostre istituzioni. Possono girare su due ruote, non su tre. Non senza un’unica maggioranza, non senza un’unica opposizione. E c’è anche, al loro interno, una separazione dei garanti, oltre che una separazione dei poteri. Garanti politici, garanti giuridici. Se scomunichi i primi, s’udrà solo la voce dei secondi — quella dei giudici, quella della Consulta o del Consiglio di Stato. Sicché in conclusione la politica, divorando tutto, divorerà pure se stessa, come l’Uroboro. I politici che hanno il bipolarismo in gran dispetto dovrebbero rifletterci, prima d’addentare il loro pasto. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA MINISTERO DELLO SVILUPPO Zanonato taglia, le poltrone rimangono di EDOARDO SEGANTINI U no dei segnali di cambiamento più attesi, dai cittadini come dalle aziende, è la semplificazione della burocrazia: una riforma promessa da sempre che non arriva mai. L’ultimo episodio riguarda il ministero dello Sviluppo economico (Mise), che annuncia un riassetto organizzativo in vigore da domani. L’annuncio fa sperare bene. Al Mise si cambia, si legge nel sito del ministero: «Diminuisce il personale, diminuiscono i dirigenti, s’insedia il segretario generale». I tagli operati alla dirigenza «riguardano sei posizioni di dirigente generale (da venticinque a diciannove) e cinquantacinque di dirigenti di seconda fascia (da centottantacinque a centotrenta)». Si sottolinea la novità dell’istituzione del segretario generale, il cui incarico viene affidato ad Antonio Lirosi, su proposta del ministro Flavio Zanonato. La riorganizzazione, si precisa, «risponde anche alle misure della spending review, che hanno disposto la riduzione del 20% dei dirigenti e del 10% del restante personale». Più in là di questo, però, la semplificazione non va. Tant’è vero che non vengono toccate, accorpate o ridotte le quindici direzioni generali, il cui lavoro dovrà essere coordinato da Antonio Lirosi. Non è una svista, come potrebbe sembrare: sono proprio quindici. Eccole: 1) Politica industriale, competitività e piccole e medie imprese; 2) Lotta alla contraffazio- ne, Ufficio italiano brevetti e marchi; 3) Mercato, concorrenza, consumatore, vigilanza e normativa tecnica; 4) Politica commerciale internazionale; 5) Politiche di internazionalizzazione e promozione degli scambi; 6) Risorse minerarie ed energetiche; 7) Sicurezza dell’approvvigionamento e per le infrastrutture energetiche; 8) Mercato elettrico, rinnovabili ed efficienza energetica, nucleare; 9) Pianificazione e gestione dello spettro radioelettrico; 10) Servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postale; 11) Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione; 12) Attività territoriali; 13) Incentivi alle imprese; 14) Vigilanza su enti, sistema cooperativo e gestioni commissariali; 15) Risorse, organizzazione e bilancio. Ora: non c’è bisogno di essere un alto consulente della McKinsey o del Boston Consulting Group, basta avere un minimo di esperienza d’azienda o semplicemente Altisonante annuncio di riassetto. La semplificazione non tocca però il Moloch delle 15 direzioni generali di buon senso per capire come un Moloch tanto imponente e smisurato, figlio di accorpamenti di ministeri precedenti, non possa che generare doppioni, conflitti di competenza, farraginosità. E tutto questo proprio nel campo d’azione e di governo che richiederebbe il massimo di linearità, concordia, rapidità. È il ministero a cui si chiede un «cambio di passo» nella politica industriale: basta pensare alle crisi aziendali in atto e, sul versante propositivo, all’esigenza di un rilancio dell’innovazione nell’economia e nella società, a cominciare dai programmi dell’Agenda digitale europea, in cui l’Italia è in drammatico ritardo. Certo, se la montagna del ministero, con un ministro, due viceministri e due sottosegretari, riesce a partorire solo questo topolino, malgrado le critiche piovute addosso allo stesso Zanonato — al centro del progetto di rimpasto — questo è il segno della gigantesca difficoltà di ammodernare la pubblica amministrazione, soprattutto quando si toccano i posti di potere. Questa stessa riorganizzazione, che a noi sembra modesta, all’interno è stata infatti contrastata dai conservatori per la ragione opposta. Ciò non toglie però che serva una semplificazione molto, ma molto, più incisiva. Edoardo Segantini @SegantiniE [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 5082295
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