10 A T T U A L I T À Martedì 10 Febbraio 2015 Addio al “comandante Max”, partigiano e giornalista Il personaggio Morto a 95 anni Massimo Rendina, direttore del primo Tg della Rai e tra i fondatori dell’Aiart UOMO SIMBOLO. Massimo Rendina Roma. Roma dice addio al suo "Comandante Max". In tanti ieri sono passati in Campidoglio, dove è stata allestita la camera ardente, per dare l’ultimo saluto a Massimo Rendina, partigiano protagonista della Resistenza e giornalista di grande rigore morale, morto domenica all’età di 95 anni. La bara al centro della Sala della Protomoteca con sopra fiori e il fazzoletto "tricolore" dell’Anpi. La Capitale saluta così Rendina, che oltre che è stato anche direttore del primo tg Rai e tra i fondatori dell’Aiart che lo ricorda come «mente illuminata del cattolicesimo impegnato nella società. Non solo un grande partigiano – afferma il presidente Luca Borgomeo –, ma anche un grande studioso e un fi- ne conoscitore dell’apporto che i cattolici diedero alla Resistenza». «Un testimone leale e appassionato di molti decenni della nostra storia», lo ha definito il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella in una lettera alla moglie Grazia, sottolieando l’impegno per «difendere la memoria autentica dei valori della Resistenza e tramandarla ai giovani con passione ed entusiasmo». E così lo descrive proprio la moglie: «Non era un politico della Resistenza ma un appassionato. La sua professione era altro, però lui era stato un capo partigiano e questo non lo dimenticava mai». Ad accogliere la bara in Campidoglio il sindaco Ignazio Marino: «Grazie a uomini come lui vi- viamo oggi in una democrazia. Per questo ti ringraziamo comandante Max, per aver fatto quella scelta di combattere per la libertà». Per il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti non ci si può «permettere che i valori della Resistenza si spengano con lui o quando gli ultimi partigiani non ci saranno più. Questo nel nostro Paese non avverrà mai. I valori devono vivere a prescindere dalle persone perché dimenticarli sarebbe il più grande tradimento di chi ha vinto contro la dittatura per darci la libertà». Oggi alle 9 i funerali nella basilica di Santa Maria in Trastevere. (A.M.M.) Foibe, la memoria passa ai figli Nei diari di un’esule istriana scomparsa il racconto della fuga e della persecuzione LUCIA BELLASPIGA fine la censura e il silenzio colpevole che coprì le nostre storie l’avevano disillusa – dice Antonella –. Ora tocca a me e a mio figlio conservare la memoria tra i ragazzi». Il dolore non si esaurisce con la morte dei testimoni, resta impresso nel Dna: «Noi, figli e nipoti dell’esodo istriano, non avemmo modo di elaborare il lutto perché nessuno conosceva mai la nostra storia – spiega –: da piccola raccontavo il dramma della mia famiglia e tutti erano convinti che fossero stati i tedeschi a fare questo, non capivano cosa c’entrassero gli jugoslavi, a scuola non si è mai studiato nulla...». Solo un’amica sa capirla fino in fondo, «perché è ebrea, abbiamo alle spalle un passato identico. Io la chiamo per la Giornata della Memoria, lei per il Giorno del Ricordo». Ed è questo che allora Antonella Sirna vuole spiegare, che le stragi sono tutte uguali, che «chi ancora oggi condanna Hitler ma giustifica Tito rinnova l’orrore». Ma anche che sotto le ceneri del male una scintilla di umanità miracolosamente resta sempre accesa: «Come quando a Maribor la notte di Natale mia mamma piangeva sola e disperata mentre le compagne di cella, tutte jugoslave, ricevevano i regali da casa. Tornata in cella trovò tanti pacchettini. Ognuna di loro si era privata di qualcosa». nella –. Ad esempio quando racconta l’occupazione da parte dell’Armata poche quella notte fu gettata in una cella polare di Tito che quattro mesi fa il pree il soldato di guardia, colpito dalla sua sidente del Consiglio comunale di Triel mio processo durò 3 o 4 minugiovane età, le portò un pezzo di pane. ste, Iztok Furlanic, ha osato chiamare ti in tutto, senza possibilità di reDopo giorni però vennero a prelevare "liberazione" osannando la figura del plica. A 19 anni fui riconosciuta lei e altri prigionieri e li legarono due a dittatore, salvo poi chiedere scusa e co"nemica del popolo" e condannata a due con filo di ferro. Erano certi di finisì restare in carica. dieci anni di prigionia. Era il 19 settemre in foiba, invece al porto di Pola li imAnche la giovane Mafalda fu prelevata bre del 1945». Il diario scritto a mano da barcarono sulla nave cisterna Lina Cama Trieste il 7 maggio del ’45 panella...». «senza nemmeno poter saluMafalda riassume in sé tutti i drammi ESULI.Famiglie nel campo di Tortona tare la mamma» e, legata con peggiori della vicenda giuliano-dalmaun filo di ferro, fu condotta in «Mamma Mafalda, a 19 anni, fu anche dopo morto, il suo corpo saltava. ta, perché quello della Lina CampanelIstria, di paese in paese, espodimenticherò mai quel ghigno». la è uno degli epidosi più disumani. Vi sta a sputi e bastonate. Tragicondannata come nemica del popolo co l’episodio di Visinada, do- furono imbarcati 170 italiani e la nave fu Non La prigionia continuò a Maribor, a Lualla prigionia. Noi adesso biana, a Nova Gorica e nel Carcere di spinta tra le mine. La prua esplose e l’imve fu condotta davanti alla cacorrezione politica di Begunje, da dove barcazione prese ad affondare, mentre sa di Norma Cossetto, la gioteniamo viva la sua eredità» nelle giornate limpide vedeva all’orizi prigionieri terrorizzati si buttavano in vane seviziata da diciassette zonte le Alpi Giulie: «Là dietro c’è l’Itamare e i soldati di Tito li mitragliavano partigiani e poi gettata in foilia – pensavo – la libertà». Che arrivò soin acqua: fu una mattanza. «Ci salvamba nel 1943, oggi divenuta il lo nel 1949 (in Italia intanto c’era il fermo in quindici – scrive Mafalda – e la simbolo dell’olocausto giuliano-dalMafalda Codan, esule istriana nata a Pamento della rinascita), grazie alla Cromia prigionia proseguì a Pisino». Oggi il mata: «Volevano che la madre di Norma, renzo nel 1926, è dettagliato nel racce Rossa Internazionale... Mafalda apcastello di Pisino è meta turistica, allovedendo torturare me, rivivesse il marcontare l’abisso di male ma anche riveprodò esule a Bibione, in Veneto, dove ra era tetro carcere. La notte l’urlo dei tirio di sua figlia due anni dopo», contilatore degli spiragli di luce di cui a volte divenne maestra e sposò un finanziere torturati straziava chi aspettava il suo nua Mafalda. La donna per fortuna anche gli aguzzini sono capaci... Mafalsiciliano, dando alla luce Antonella e alturno e Mafalda dovette riconoscere la svenne. da da poco è scomparsa, ma il testimotri due figli. «Fino a due anni fa andava voce di suo fratello Arnaldo, 17 anni. «Eppure mia mamma riporta anche ene è passato alla figlia Antonella Sirna, nelle scuole a raccontare, anche se alla «L’indomani un partigiano mi disse che, pisodi di speranza – interviene Anto55 anni, e al nipote Alessandro, 28, en© RIPRODUZIONE RISERVATA trambi oggi alla Camera per ricevere ben sette medaglie, «una per ogni nostro caro finito in foiba», racconta Antonella. È il diario di sua madre Mafalda a raccontare eventi che lei, «cresciuta con dentro un macigno di dolore», non riesce tuttora a riferire... In casa Codan, famiglia agiata di possidenti terrieri, il terrore entrò subito dopo l’8 settembre del 1943, quando la dissoluzione dello Stato italiano lasciò mano libera ai partise, di stoviglie, fumo, odore di cibo e di varia umanità. giani comunisti di Tito, che iniziarono i tre a un indirizzo dove presentarci: Centro Raccolta Proine gennaio 1956. La guerra è un ricordo ormai «Lungo un corridoio delimitato dalle coperte la nostra rastrellamenti degli italiani. Furono porfughi, corso Alessandria 62, Tortona». È la caserma Paslontano, sono passati 11 anni, ma per Roberto guida ci indicò uno scomparto libero. Poi ci diede tre tati via anche tutti gli uomini Codan: il salacqua, dove da anni vengono stipate le famiglie itaStanich, 15 anni, seduto in uno scompartimento brande, una balla di paglia e dei sacchi per farci un padre di Mafalda («giunsero la notte col liane fuggite dall’eccidio delle foibe, uno dei 109 campi di seconda classe del diretto per Genova, non è così. «Di materasso. Quella sarebbe stata per anni la nostra nuomitra. Mi abbracciò e mi tenne stretta profughi allestiti in tutta Italia. fronte a me sedevano i miei geva casa. Arrivò una suora che ebbe pietà di noi e ci ofper un interminabile istante», si legge Sfinita, la famigliola si avvia sotto nitori. Avevamo lasciato Pola, in frì un po’ di latte caldo... latte artificiale, fatto con la polsul diario) gli zii e i cugini. Caricati su un la neve. Pola e la bella casa di via Istria, due settimane prima e, dovere, ma era caldo e ci ristorò. A quel punto rimacamion, vennero gettati nella famigeMedolino ormai sembrano un mipo una decina di giorni al centro «Arrivammo in Piemonte nemmo soli io e i miei genitori. Ci guardammo, sedurata foiba di Vines dove tuttora giaccioraggio, qualcosa che esisteva una smistamento di Udine, eravamo che era buio. In caserma ti sulle brande. Mia madre iniziò a singhiozzare, mio no. Un periodo di tregua tornò, paravita fa. «Finalmente arrivammo alstati destinati al campo profughi padre cercava di consolarla ma aveva pure lui gli ocdossalmente, con l’arrivo dei tedeschi, la caserma, una costruzione del di Tortona». Un viaggio agognavennero stipate le famiglie chi pieni di lacrime». ma alla fine della guerra i titini invase1800 con quattro padiglioni dito da 8 anni, «mia mamma anfuggite dall’eccidio di Tito» sposti a quadrilatero e, nel mezzo, Tuttora Roberto, oggi milanese realizzato, una bella faro tutta l’Istria e il terrore tornò più fudava a Zagabria a sollecitare il miglia e una carriera alle spalle, porta in sé il ragazzino rioso di prima. «Dopo l’infoibamento di la piazza d’armi. Mostrammo i nopermesso, ma il governo jugoche quella notte scappò fuori dallo stanzone e corse nelmio padre – continua Mafalda – la mamstri documenti e un poliziotto ci disse di attendere. Arslavo non lo concedeva. Solo nel ’56, pagando una forla neve fino al centro della piazza d’armi, respirando a ma, io e mio fratello Arnaldo fuggimmo rivò un incaricato che ci guardò infastidito, "è tardi", distuna, potevamo raggiungere gli altri nell’esilio». Difficipieni polmoni l’aria fredda, per urlare tutta la sua rabda Parenzo a Trieste, dove eravamo più se, "come faccio a sistemarvi?", poi però si rese conto delle oggi immaginare lo spaesamento, l’incertezza del fubia e scoppiare in un pianto liberatore. Resterà nel camsicuri». Così almeno credevano, perché le nostre condizioni e ci condusse al padiglione sul lato turo: «Dal mare di Pola profumato di pini mi trovavo a po profughi fino al 1960. Il resto dell’Italia, ignara dei i titini arrivarono anche lì e per 40 giorsinistro. Entrammo in un enorme stanzone». Dentro, scrutare dal finestrino una campagna piatta ricoperta di suoi 350mila connazionali fuggiti da Istria, Fiume e Dalni, dal 1° maggio al 12 giugno 1945 (intanti scomparti a "cielo aperto" ricavati con coperte apneve, interrotta solo da radi pioppeti. Arrivammo a Tormazia, viveva quello che ricordiamo come il boom ecotanto il resto dell’Italia festeggiava orpese alle corde per simulare le pareti: solo queste divitona col buio. I pochi passeggeri scesi dal treno si avvianomico. mai la pace e la democrazia) insanguidono le famiglie accampate. Luce fioca di lampadine che rono verso casa. Sotto la pensilina rimanemmo solo noi narono la città. Per inciso, si tratta delpendono dagli alti soffitti, rumore di voci, di sedie smoscon le nostre valigie, era tutto quanto possedevamo. OlLucia Bellaspiga «I «Quegli anni al campo profughi» Da Pola a Tortona, il viaggio di un ragazzo che non dimentica F La ricorrenza. L’anniversario Oggi alla Camera la Giornata del Ricordo dieci anni dall’applicazione della legge che istituì il 10 Febbraio "Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata", sono centinaia le cerimonie in tutta Italia: dopo decenni di "oblio" volontario di una delle pagine più cruente della nostra storia, infatti, c’è ancora molto da dire sul dramma collettivo che dal 1943 fino agli anni Cinquanta colpì gli italiani del nostro confine orientale nell’indifferenza dell’Italia e del mondo. Oggi alle 16.30 alla Camera la commemorazione del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e della presidente della Camera, Laura Boldrini (la diretta su Rai2). Sarà A Presenti il capo dello Stato, Mattarella, e la presidente della Camera, Boldrini La ricostruzione storica affidata a Lucia Bellaspiga presente anche il presidente del Senato, Pietro Grasso. L’orazione, che ricostruirà il contesto storico e gli eventi, quest’anno è affidata all’inviata di Avvenire Lucia Bellaspiga, da anni autrice di inchieste sull’argomento. Presenti il presidente di FederEsuli Antonio Ballarin, una rappresentanza di esuli e sopravvissuti, il ministro dell’Istruzione Giannini e il sottosegretario agli Esteri Della Vedova. Sarà lo stesso Mattarella a premiare cinque scuole vincitrici di un concorso sulla storia dei giuliano-dalmati. Oggi alle 16.15 Rai5 manderà in onda il musical civile di Simone Cristicchi "Magazzino 18": per vederlo in prima serata si è mobilitato il popolo di Facebook con una pagina ad hoc (oltre 5.000 adesioni in pochi giorni), ma nemmeno quest’anno è stato possibile a causa della concomitanza con il Festival di Sanremo. Il 12 febbraio a Milano il concerto organizzato dal Movimento nazionale Istria Fiume Dalmazia con il Conservatorio di musica e la prestigiosa orchestra Verdi all’Auditorium Fondazione Cariplo (largo Mahler, alle 20.30). (M.P.) © RIPRODUZIONE RISERVATA «Porzus, dal perdono la forza per il futuro» FRANCESCO DAL MAS UDINE A 70 anni dalla strage dei partigiani cattolici, l’arcivescovo di Udine Mazzoccato è salito alle malghe dell’eccidio. «Quei giovani – ha detto – tra i quali c’erano diversi sacerdoti, volevano difendere il Paese da un’ideologia totalitaria che minacciava di espandersi» LA LAPIDE. Commemorazione dei partigiani a Porzus © RIPRODUZIONE RISERVATA è la neve, lassù alle malghe di Porzus, 70 anni dopo l’eccidio. Ma il martirio dei 17 partigiani osovani, ad opera di partigiani comunisti, avvenuto tra l’8 e il 12 febbraio 1945, è ancora molto vivo e nella commemorazione, nella chiesa di Canebola, l’arcivescovo di Udine, Andrea Bruno Mazzocato, ha richiamato, ancora una volta, al dovere del perdono e della riconciliazione. «Il perdono non nasconde la verità anche su comportamenti efferati che purtroppo si scatenano quando gli uo- C’ mini arrivano allo scontro armato. Il perdono rasserena gli animi e dà la forza di guardare in avanti per costruire assieme un futuro migliore». Ad ascoltarlo c’erano ex partigiani, cattolici e no, il presidente della Regione, Debora Serracchiani, e quello del Consiglio regionale Franco Iacop con numerose altre autorità. «Stroncare in quel modo diciassette giovani vite non aveva alcuna ragionevole motivazione – ha ricostruito Mazzocato, salito per la prima volta alle malghe –. Non c’erano obiettivi strategici che giustificassero la decisione e l’esecuzione di una simile strage». Nessuna accusa diretta, ma una considerazione ancora di stretta attualità: «Quando gli uomini arrivano allo scontro armato perdono il senso della misura delle cose e l’altro diventa un nemico solo perché sta dall’altra parte, anche se lo si conosce e , magari, è dello stesso paese». La Chiesa friulana, che ha avuto numerosi preti fra gli osovani, ha dunque reso merito, ancora una volta, ai tanti giovani «mossi da un forte anelito di liberazione sia dai regimi totalitari, che opprimevano le nostre terre come tutta l’Europa, sia da un’altra ideologia totalitaria che minacciava di espandersi in Friuli», poteri che non rispet- tavano l’innato diritto dell’uomo alla libertà di pensiero, di parola, di determinazione. L’arcivescovo ha fatto memoria della condivisione che «non pochi sacerdoti» hanno fatto della sofferenza della loro gente fino a sostenere «attivamente» l’azione della Brigata Osoppo. «In tempi così burrascosi possiamo immaginare che sia stato per loro tutt’altro che facile mantenere chiarezza di idee e di scelte su tutto. A distanza di tempo, però, credo che possiamo riconoscere in loro l’istinto del pastore che cerca solo di preservare il suo gregge dai pericoli presenti e futuri». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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