Hiroshi Sugimoto, l`ossessione del tempo

Cultura | Un artista poliedrico
La mostra antologica dedicata a Hiroshi Sugimoto
si tiene al Foro Boario di Modena fino al 7 giugno
L’ossessione
del tempo
T
empus fugit, il tempo corre. «Comunque vadano le cose lui passa, e se ne frega se qualcuno è
in ritardo», cantava Jovanotti sul ritmo incalzante del metronomo. Gli scienziati hanno provato a
misurare il tempo, hanno tentato di capire quale sia
stato il suo inizio e hanno cercato di ipotizzare quale
ne sarà la fine. Ma nessuno è riuscito a bloccare il tempo, a congelarlo, a imprigionarlo o restringerlo in un
recinto. «Quello del tempo è un concetto astratto e difficile da afferrare quanto la realtà che ci circonda», ammette Hiroshi Sugimoto, fra i più ammirati e autorevoli fotografi (e artisti globali) della nostra epoca. «Stop
time», fermare il tempo, è il titolo (forse volitivo, forse
ambizioso) che Sugimoto ha scelto per l’attesa mostra
antologica che la Fondazione Fotografia gli dedica dall’8 marzo fino al 7 giugno al Foro Boario di Modena. L’artista giapponese 67enne è stato già protagonista di eventi in Italia (per esempio l’anno scorso a Venezia, dove ha realizzato anche una sua personalissima installazione, una suggestiva casa da tè, «un posto di silenzio e di meditazione»), ma quella di Modena è certamente la più completa rassegna della sua opera fotografica, e attraverso una trentina di opere di grandissimo
formato, rigorosamente in bianco e nero, ci permette di
scoprire i vari cicli del suo percorso creativo, le pietre
miliari della sua ricerca e soprattutto il suo metodo e
la sua filosofia.
«Tutta la ricerca di Sugimoto si misura con l’idea del
tempo, come se il tempo fosse qualcosa di fisico e di
tangibile che l’uomo da sempre tenta di decodificare e
È uno fra i più ammirati e autorevoli fotografi e artisti globali
della nostra epoca. La Fondazione Fotografia di Modena porta
in città la più completa rassegna dell’opera di Hiroshi Sugimoto.
Che mostra il suo percorso creativo, le pietre miliari della sua
ricerca e soprattutto il suo metodo e la sua filosofia
di Stefano Marchetti
«Il tempo
esiste
unicamente
grazie
alla percezione
umana.
Solo quando
l’umanità
scomparirà
dalla faccia
della Terra
potremo dire
veramente
di aver fermato
lo scorrere
del tempo.
E oggi
non ci manca
molto»
di possedere», spiega Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia, che ha curato la mostra con un lavoro certosino di contatti e di relazioni. «Io lo definisco
il fotografo perfetto. Conosce la storia della fotografia
e l’ha addirittura fatta sua e come reinventata nel suo
lavoro». Sugimoto si serve del mezzo fotografico per
indagare le tracce della storia nel nostro presente: «La
sua pratica artistica è caratterizzata dall’indagine del
passato e dalla necessità di raffigurare il tempo dandogli corpo attraverso la fotografia», aggiunge Maggia.
Non è un compito facile: anche perché la fotografia fissa un millisecondo, una frazione di tempo, ma nel momento in cui ha colto l’attimo fuggente quell’attimo è
già dietro le nostre spalle. «La luce e lo spazio che Sugimoto fissa con chiarezza cercano ossessivamente l’annullamento del concetto di tempo relativo che viviamo
superficialmente nella nostra vita quotidiana, rincorrendo con ostinata lucidità un tempo assoluto, indiscutibile e non corrotto dalla Storia», fa notare Luca Molinari, critico e storico dell’architettura.
Racconta Hiroshi Sugimoto di essere stato affascinato
«Lightning Fields 225», 2009; stampa ai sali d’argento, 58,4x47 cm (courtesy Hiroshi Sugimoto)
70 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2015
«Birds of the South Georgia», 2012; stampa ai sali d’argento, 119,5x184,5 cm (courtesy Hiroshi Sugimoto)
«El Capitan, Hollywood», 1993; stampa ai sali d’argento, 119,5x149 cm (courtesy Hiroshi Sugimoto)
Il profilo | Artista, fotografo, studioso e collezionista
F
otografo, artista, studioso e
collezionista, Hiroshi Sugimoto è davvero artista poliedrico.
Nato nel 1948 a Tokyo, ha seguito
corsi di sociologia, economia e
scienze politiche, e si è laureato
nel 1970, quando poi si è trasferito a Los Angeles negli Stati Uniti
per studiare fotografia all’Art
Center College of Design. Dal
1974 abita e lavora a New York,
anche se la sua opera continua
ad abbracciare Stati Uniti e
Giappone. Ha iniziato a fotografare negli anni ‘70, con un uso
costante del bianco e nero e l’attenzione per la luce che nelle sue
foto diventa materia. Per alcuni
anni ha affiancato alla pratica
artistica anche la professione di
72 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2015
antiquario, e in questo modo ha
potuto collezionare oggetti e
opere d’arte, soprattutto riferiti
alla storia del Giappone: ha così
approfondito sempre più la sua
riflessione filosofica sul tempo e
sugli intrecci fra il tempo presente, la fotografia e il passato.
Sugimoto organizza la sua produzione fotografica per serie,
gruppi di fotografie omogenee: in
ordine cronologico, «Dioramas» e
«Theaters» sono i primi cicli a cui
ha lavorato, iniziati rispettivamente nel 1976 e nel 1978 e tuttora in corso.
Anche se la fotografia rappresenta
il suo principale interesse e il fulcro
della sua produzione, Hiroshi
Sugimoto ha sperimentato diversi linguaggi espressivi, e ha realizzato anche libri d’artista, dal
primo «Sea of Buddha» pubblicato nel 1997 ai più recenti «On the
beach» e «Dioramas» dello scorso anno. Nel 2008 ha aperto un
proprio studio di architettura, il
New Material Research
Laboratory, con cui ha firmato nel
2009 il progetto di ampliamento
dell’Izu Photo Museum di
Shizuoka in Giappone. La passione per il teatro classico giapponese lo ha portato
nel 2001 a produrre
e dirigere la performance «Noh such
things» al Dia Cen-
ter di New York. Nel 2009 ha
anche fondato l’Odawara Art
Foundation, che intende aprire
nuove prospettive sulla Storia
attraverso la promozione delle
arti, del teatro classico giapponese e la realizzazione di mostre di
oggetti d’arte nipponica. Fra i
musei e le istituzioni culturali che
hanno ospitato le mostre di
Hiroshi Sugimoto, spiccano il J.
Paul Getty Museum di Los
Angeles, la Neue Nationalgalerie
di Berlino, la Fondation Cartier di
Parigi, il Guggenheim di Bilbao e
il Metropolitan di New York. Nel
1998 ha ricevuto il Manichi Art
Prize e nel 2001 il prestigioso
Hasselblad Foundation
International Award.
dal tempo già quando era alle scuole elementari. Su
una rivista di scienza per i ragazzi aveva letto un articolo in cui si affrontava il tema della distanza fra la
Terra e la luna: «Persino alla velocità della luce, occorrevano alcuni secondi perché la luce della luna raggiungesse la Terra», ricorda il fotografo. «Elaborai
quindi una mia personale teoria: l’immagine della
luna che io vedevo era in realtà quella dell’astro alcuni
secondi prima. Questo significava che, se avessi posizionato un grande specchio sulla luna e vi avessi contemplato la mia immagine riflessa, quella che avrei
visto era in realtà l’immagine di me stesso alcuni istanti prima». È evidente l’impostazione concettuale
di Sugimoto: la capacità della fotografia di ritrarre la
storia con accuratezza è soltanto presunta, teorica. In
realtà, appunto, il tempo scivola via e anche la fotografia fatica ad acchiapparlo. «Una fotografia è come il
vetrino di un frammento di tempo», realizza Sugimoto.
«Il suo approccio è tipico anche della cultura giapponese, che ha sempre bisogno di misurarsi con qualcosa di
esistente, per migliorarlo o reinventarlo», sottolinea
Filippo Maggia.
Sugimoto lavora fra New York e Tokyo. Ha lasciato il
«Tutta la ricerca
di Sugimoto
si misura
con l’idea
del tempo,
come se il tempo
fosse qualcosa
di fisico
e di tangibile
che l’uomo
da sempre tenta
di decodificare
e di possedere»,
spiega
Filippo Maggia,
direttore
di Fondazione
Fotografia
e curatore
della mostra
Giappone nel 1970 per studiare arte a Los Angeles, e
su di lui hanno senz’altro influito sia il Minimalismo
che l’Arte Concettuale: «Dal Minimalismo, in particolare, ha tratto una passione rigorosa per la serialità»,
annotano i curatori. Nel suo lavoro si possono individuare dunque alcune serie ben definite, omogenee, e
spesso ancora aperte, così da affrontare il tempo che
passa con nuove tappe e nuovi orizzonti. La mostra al
Foro Boario ci offre appunto una carrellata fra i lavori
più importanti, dagli anni Settanta fino ai più recenti.
Come i «Dioramas», in cui Sugimoto esplora l’universo
dei diorami, scene naturalistiche e ambientazioni ricostruite in una teca o dietro a una lastra di cristallo: un
diorama, di per sé, è come una fotografia, un fermo
immagine, come guardare il mondo da un oblò. «Sugimoto esalta il suo volere essere vero sino a renderlo
reale», dice Maggia. E allo stesso modo, il fotografo
continua a fissare l’obiettivo verso l’orizzonte dei «Seascapes», le immense distese d’acqua dei paesaggi marini, dal Tirreno al Baltico, che custodiscono il segreto
dei millenni e delle civiltà che si sono avvicendate lungo le rive.
Particolarmente suggestiva e intrigante è la serie dei
MARZO/APRILE 2015 - OUTLOOK 73
Cultura | Un artista poliedrico
Novità | Partnership tra Sky Arte Hd
e Fondazione Fotografia Modena
È
la prima volta che Sky Arte
Hd abbina il suo marchio prestigioso a un premio: “Siamo onorati di farlo con la Fondazione
Fotografia di Modena, che rappresenta un’eccellenza, non solo in
ambito italiano, per le mostre che
organizza e per la sua attività formativa”, dice Roberto Pisoni, direttore dell’apprezzato canale culturale satellitare. Il mese scorso a
Milano è stata annunciata ufficialmente la partnership tra
Fondazione Fotografia e Sky Arte
Hd, che darà vita anche a un originale programma televisivo (in
onda il prossimo autunno), «Foto
Factory Modena», il primo tutorial
della fotografia, in sei puntate, che
mira a diventare una vera fucina di
talenti della fotografia, praticamente un talent didattico: nove studenti, scelti attraverso un casting
nazionale, formeranno la classe
che seguirà le lezioni di maestri
d’eccezione, come Pino Musi o
Toni Thorimbert. In ogni puntata,
verrà affrontato un tema legato
alla fotografia, dal ritratto al reportage: i docenti spiegheranno tecniche e metodi e gli allievi dovranno
realizzare un loro lavoro, che poi
verrà valutato e giudicato, come in
un’accademia. Il programma
«Theaters», avviata già nel 1975. In un teatro deserto,
la fotocamera è collocata in un palco centrale e inquadra il palcoscenico e l’abbraccio della platea e dei palchi. Su un grande schermo viene proiettato un film, e il
tempo della pellicola coincide con il tempo dell’esposizione: dunque nella fotografia compare un rettangolo
bianco al centro dell’immagine, e dentro quello spazio
abbacinante, che illumina il teatro a luci spente, c’è
tutto il tempo che è trascorso, dall’inizio alla fine della
proiezione. Per la mostra sono state selezionate le immagini di «El Capitan», storico e leggendario teatro di
Hollywood, oppure del Canton Palace e dell’Akron Civic dell’Ohio, ma per questo ciclo Sugimoto ha iniziato
a scattare anche in Italia, anche grazie al supporto tecnico di Fondazione Fotografia: sono previste per esempio le sessioni fotografiche ai teatri di Ferrara e di Mantova, e ognuna deve essere preparata scrupolosamente, prima che il maestro definisca l’immagine e la realizzi. La meticolosità è una delle caratteristiche dell’opera di Sugimoto: «Tanto le sue foto sono precise e per-
74 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2015
verrà registrato a Modena durante
l’estate, sia in esterni che nei
locali della scuola di alta formazione della Fondazione Fotografia.
Nel frattempo, partiranno anche
le selezioni per il premio internazionale di fotografia (a cadenza
biennale) che si delinea già da ora
come uno dei più importanti riconoscimenti al mondo: dodici
esperti internazionali, in rappre-
La presentazione
alla stampa
del nuovo talent
«Foto Factory
Modena»
e del premio
internazionale
di fotografia
a cadenza
biennale
che si terrà
a Modena
Sugimoto si serve
del mezzo
fotografico
per indagare
le tracce
della storia
nel nostro
presente.
Un compito
per nulla facile,
anche perché
la fotografia fissa
una frazione
di tempo,
ma nel momento
in cui ha colto
l’attimo fuggente
quell’attimo
è già dietro
le nostre spalle
sentanza di prestigiose istituzioni,
designeranno ciascuno due artisti,
e altri cinque verranno indicati dal
board della Fondazione. Da questa rosa di candidati (per questa
prima edizione il tema è l’identità) emergeranno i cinque finalisti
e quindi il vincitore che si aggiudicherà 70.000 euro e che dal 5
marzo 2016 sarà protagonista di
un’imponente personale a
Modena. La Fondazione e Sky
Arte Hd premieranno con 15.000
euro e l’allestimento di una
mostra anche un giovane fotografo italiano under 40, scelto fra
quanti si candideranno inviando
il loro portfolio a tema libero.
Come sottolinea il fotografo
Francesco Jodice «questo premio sarà un osservatorio speciale su cosa abbia da dire oggi la
fotografia».
fette, così il suo lavoro è organizzato in modo rigoroso
e quasi maniacale», rivela Maggia. «Il suo studio è un
laboratorio ultratecnologico, dove ogni collaboratore
ha un preciso compito e lo svolge con estrema puntualità. Noi immaginiamo il fotografo solo in camera oscura, e per certi versi è vero, ma in questo caso c’è una sorta di catena di montaggio». Tanto è vero che in Giappone si parla a volte della «Sugimoto Industry».
Catturano lo sguardo e l’attenzione anche gli enigmatici «Portraits», i ritratti di celebri personaggi del passato, dalla Regina Vittoria a Napoleone Bonaparte (sì,
proprio Napoleone!). Sugimoto, in questo caso, ha lavorato al mitico museo di Madame Tussaud di Londra
e ha ripreso le statue di cera, liberandole dall’ambientazione e collocandole su uno sfondo nero. Il principio è
sempre lo stesso: la scultura ha registrato un’espressione, un atteggiamento, un movimento, e la foto è un
istante nell’istante. «Sono immagini che addirittura intimoriscono nella loro tridimensionalità e nella loro fedeltà al reale», commenta Maggia. È anche un confron-
«La luce e lo spazio che Sugimoto
fissa con chiarezza cercano ossessivamente
l’annullamento del concetto di tempo relativo
che viviamo superficialmente nella nostra vita
quotidiana», fa notare Luca Molinari,
critico e storico dell’architettura.
«L’artista rincorre con ostinata lucidità
un tempo assoluto, indiscutibile
e non corrotto dalla Storia»
to con la storia, proprio come l’operazione a cui Sugimoto si è dedicato da qualche anno, dopo avere acquistato alcuni negativi inediti di Henry Fox Talbot, uno
dei pionieri della fotografia: l’artista giapponese ha deciso di stamparli per la prima volta, con nuance di colore. «Ho voluto assumermi il rischio di tornare alle
reali origini della fotografia e ammirare quei primi “positivi”. Con paura e trepidazione, mi sono dedicato a questo obiettivo come un archeologo esploratore che scava
una sepoltura dinastica», rammenta Sugimoto. E in
un altro testo aggiunge che «nell’osservare queste foto
provo un’emozione paragonabile a quella di una donna
che abbia perso il marito in guerra mentre era incinta
e ora può finalmente portare il figlio ormai cresciuto a
visitare la tomba del padre».
Si coglie l’attimo rivelatore anche nei «Lightning
fields», fulmini e saette ottenuti direzionando sulla pellicola fotografica una scarica elettrica da 400.000 volt,
con un generatore Van de Graaff. Per approdare poi alla ricerca più recente di Sugimoto, quella indirizzata
verso l’«Architecture»: già lo scorso anno, alla Biennale
Architettura di Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa e Fondazione Fotografia avevano proposto un nucleo di queste opere, dedicate alle icone del Modernismo, dal Johnson Wax Building di Frank Lloyd Wright
alla Torre Einstein di Erich Mendelsohn, i «Modern Times». Ancora una volta l’esito è sorprendente: anziché
consegnarci fotografie dai contorni stagliati e netti,
Sugimoto sceglie di creare immagini completamente
fuori fuoco, realizzate con lunghissimi tempi di esposizione e spesso scattate da punti di vista inconsueti. I
confini del tempo si dissolvono, la visione è sfumata ed
evocativa. «Mi piace guardare oltre», ci ha detto l’artista alla vernice dell’anteprima veneziana, «In realtà
adotto una tecnica, per cui il punto di fuoco della mia
fotocamera è due volte l’infinito. E così è come se arrivassi alla “prima” visione, quella che si aveva prima
che l’edificio fosse costruito». «Sugimoto non solo cerca
una verità profonda, quasi irraggiungibile che sottende queste icone ormai consegnate alla Storia, ma ne
svela contemporaneamente una vibrante fragilità, che
«Queen Victoria», 1999; stampa ai sali d’argento, 93,7x74,9 cm
(courtesy Hiroshi Sugimoto)
Secondo
Sugimoto
la capacità
della fotografia
di ritrarre
la storia
con accuratezza
è soltanto
presunta,
teorica.
«Una fotografia
è come il vetrino
di un frammento
di tempo»,
suggerisce
l’artista
forse dichiara la vera, paradossale condizione di un
secolo che sembra non voler ancora terminare», ribadisce Luca Molinari.
Eclettico, curioso, Sugimoto spazia dal design all’architettura, con uno sguardo a tutto tondo sulle arti. Ed è
anche un collezionista di fossili, nei quali ritrova la sua
visione del mondo: «I fossili sono strumenti di registrazione del tempo così come la fotografia. Sono preistoria
antica che io posso vedere». «Il suo approccio è sempre
meditabondo, lento, giustamente prudente», continua
Maggia, «D’altronde, per sentire il tempo occorre averne piena coscienza e rispetto». Ed è sempre lui, il tempo, il protagonista, sempre al centro della nostra vita e
del nostro pensiero. «Il giorno in cui l’uomo realizzerà
il suo desiderio innato di fermare il tempo si sta avvicinando inesorabilmente», scrive sicuro Sugimoto. «Il tempo esiste unicamente grazie alla percezione umana. Solo quando l’umanità scomparirà dalla faccia della Terra potremo dire veramente di aver fermato lo scorrere
del tempo. E oggi non ci manca molto».
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